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Felix Lo Basso, intervistato e fotografato da Modestino Tozzi.

Intervista e fotografia di Modestino Tozzi

È un onore per me intervistare Felix Lo Basso, chef stellato che da anni è uno dei riferimenti del panorama ristorativo milanese. Originario della Puglia, dove ha iniziato a sviluppare la grande passione per la cucina, approda a Milano dopo significative esperienze in Francia e in Alto Adige.

Il mestiere del cuoco non è un mestiere che si sceglie di fare perché non si hanno le idee chiare sul proprio futuro professionale. Decidere di fare il cuoco nasce da un sacro fuoco che si ha dentro, spesso sin da bambino. Nel tuo caso, Felice, in che occasione hai capito, nella tua vita, che la cucina sarebbe diventata il tuo mondo?

Come ben sai sono nato a Molfetta, un paese affacciato sul Mare Adriatico a qualche decina di chilometri a nord di Bari. Nel sud Italia l’impostazione della famiglia è ancora di tipo matriarcale, sono le donne che mandano avanti la casa e soprattutto le nonne hanno un ruolo determinante. E quindi anche a casa mia era mia nonna che coordinava tutto, compreso la cucina. Ho trascorso molti anni, da bambino, al suo fianco e sin dai primi momenti avevo capito che quella magia che lei compiva instancabilmente per pranzo e per cena, in cucina, tutti i santi giorni, sarebbe diventato il mio mondo, il mio lavoro. E poi è stato tutto un percorso molto lineare.

Volevo arrivare proprio lì: che formazione professionale hai svolto?

Ho frequentato la scuola alberghiera, come molti cuochi. Però c’era un piccolo problema, e sono sarcastico nel dire “piccolo”: non mi piaceva studiare. Sin da ragazzino ho avuto la forte spinta di dedicarmi al lavoro. Ho frequentato solo i primi tre anni e poi ho preferito continuare la mia formazione direttamente sul campo. Sono una persona molto curiosa, ancora oggi non mi sento mai “arrivato” e continuo ad imparare, anche dai miei ragazzi che mi affiancano in cucina. Appena terminato il triennio sono partito per la riviera romagnola con l’idea di imparare il più possibile e nella maniera migliore. Successivamente, crescendo, ho fatto esperienze all’estero (Monte Carlo e Parigi) per poi rientrare in Italia (Alto Adige) e infine Milano. Ancora oggi, da adulto, ricordo benissimo tutte quelle esperienze perché sono state proprio quelle che, permettendomi di imparare molto, mi hanno dato la possibilità di essere quello che sono oggi: uno Chef stellato e soddisfatto del proprio lavoro.

Oggi la tua cucina, intesa come stile, ha una cifra molto esclusiva e distintiva. È inevitabile constatare la forte abnegazione e determinazione nel tuo lavoro. I tuoi piatti sono molto ricercati, studiati, rielaborati. Si nota un grande stile contemporaneo ma con dei richiami ai sapori antichi, della tradizione meridionale e spesso marinara. A quale piatto sei legato in particolar modo?

Non ho esitazioni nel risponderti: pasta al pomodoro al forno con la ricotta stagionata salata. È un piatto tipico della cucina meridionale che preparava spesso mia mamma. Sono legatissimo a questo piatto perché la sua preparazione era magia pura. Oltre alla gestualità e alla cura del dettaglio, era impressionante il profumo che sprigionava il forno durante la cottura. Era qualcosa che mi eccitava, mi elettrizzava. Da bambino ero sempre vicino al forno durante la preparazione di questo piatto:amavo vedere come si imbrunivano i maccheroni in superficie alle punte; per me era tutto fantastico. La mia mente viaggiava, mi vedevo già cuoco che cucinava per i clienti. Insomma, come hai capito, il mio destino professionale era veramente già segnato. Ancora oggi porto nel cuore quei momenti e, quando mi arriva quella “nostalgia canaglia” che canta Albano Carrisi, ripenso a quei tempi e a quei profumi, chiudo gli occhi, e per un attimo mi rivedo bambino accanto a mia madre a preparare la pasta al pomodoro al forno con la ricotta salata.

Oggi, fra TV e Web, il ruolo dello Chef è salito nell’Olimpo delle professioni più ambite dai giovani. Ma sappiamo bene che è un mestiere molto faticoso e stressante. Cosa ti senti di consigliare a un giovane che volesse avvicinarsi alla professione di cuoco?

Il primo consiglio è quello di studiare molto, nonostante io non ami studiare, perché oggi la cucina è diventata molto più “scientifica” e la clientela è diventata sempre più esigente e informata. In secondo luogo, ma non per importanza, suggerisco di trasferirsi e lavorare molto all’estero, in più nazioni possibili. Questo permette a un futuro cuoco di acquisire tecniche e conoscenze specifiche che non avrebbe modo di acquisire stando solo in Italia. È pur vero che la tecnologia oggi permette di imparare cose via web impensabili sino a qualche anno fa, ma l’esperienza diretta è tutt’altra cosa. Vorrei sottolineare che la permanenza all’estero non debba essere presa come una sorta di vacanza studio, al contrario debba diventare il periodo più intenso della carriera di un cuoco. Ci vuole una ferrea disciplina, costanza, pazienza e infine l’ingrediente più “romantico” di tutti: la passione.

Articulo de José Luis Del Campo Villares Fotografia de Las Bodegas en el articulo

Mientras que cuando hablamos de vinos tintos, a muchos se le vienen a la mente siempre vinos con paso por barrica, más o menos largo, pero que siempre han pasado por madera de roble en su crianza, cuando hablamos de vinos blancos, ocurre lo contrario, ya que mayoritariamente se nos viene a la cabeza vinos elaborados por distintas uvas pero que son de los denominados ‘del año’, jóvenes sin paso por madera y que, como mucho, han tenido parte de su vinificación en reposo sobre sus lías pero en depósitos de acero inoxidable antes de ser embotellados.

Y lo cierto es que cada día los vinos blancos con crianza están siendo más demandados por los amantes de descubrir nuevos vinos, lo que ha hecho que cada vez más las bodegas se preocupen por elaborar más vinos de gran calidad de este perfil.

Un vino de este perfil une por un lado la frescura y la presencia de fruta que le dan las uvas blancas y, por otro, la complejidad y profundidad de sensaciones durante su cata que le da la participación de las barricas de roble en su elaboración y crianza, sobre todo en nariz, donde adquieren mayor intensidad y en boca, donde presentan más estructura, más profundidad en el paladar y un paso más untuosos y sabroso, fruto de la madera y de las lías. Eso sí, frente a los vinos tintos, donde suele darse el caso de qué a más tiempo en barrica, mejor se encuentran los vinos, en los blancos hay que tener mucho cuidado en esto, ya que un exceso de madera puede ocultar con facilidad los aportes afrutados y frescos que nos dan las uvas. Por ese motivo considero que, elaborar un vino blanco con crianza en madera exige un mayor trabajo y cuidado en ciertos momentos de su elaboración que si fuese un vino tinto.

La barrica en los vinos blancos

En vista, son vinos con menor brillantez, ya que la madera y el trabajo de las lías tiende a atenuar la intensidad de estos en su movimiento en copa. Ganan en intensidad cromática, más intensos de color, incluso podríamos decir que algo más oscuros que los vinos jóvenes blancos. Al moverse en la copa, la lágrima suele ser más densa, más glicérica, frente a una más rápida y viva de un vino joven.

En nariz, son vinos con mayor intensidad que los jóvenes, más complejos, donde se perciben los aromas de las frutas que da cada varietal muy bien pero que pueden ser condicionados por los aportes que le da el roble (ya sea francés o americano mayoritariamente). Toques a fruta madura, toques de ruta confitada en ocasiones. Ojo, siguen siendo aportes frutales, lo que no impide por lo tanto que tengamos delante vinos muy frescos. Los aportes florales se perciben muy bien al airearla copa, lo mismo que los herbáceos. La crianza en madera nos deja toques tostados, toques a frutos secos, a vainilla, especias varias, toques amielados con mucha frecuencia, toques infusionados, todos dándole una mayor complejidad en nariz.

En boca, son vinos menos frescos que los jóvenes de entrada en boca, pero a cambio nos dejan un paso más potente, más carnoso, sabroso, untuoso, incluso glicérico. Las levaduras y la madera les suelen dar más volumen en el paso por el paladar, más amplios, con una potencia alcohólica ligeramente mayor. Aparecen muchos de los aportes que daban en nariz. Presentan una gran persistencia y un final bastante largo frente a vinos jóvenes. Pero si algo destacan estos vinos en boca es por la estructura que dejan, se perciben que son vinos que tienen un potencial enorme de guarda en botella y donde pueden crecer y dejarnos catas con el tiempo espectaculares. Son vinos que se pueden tomar por lo tanto de 1 a 3 años con toda facilidad, y si optamos por sacrificar algo la frescura por la complejidad, pueden catarse perfectamente en 5 o más años.

Distintas elaboraciones, enormes vinos

Y para poder dejaros muestras de algunos vinos que se elaboran en España de este perfil, he decidido comentaros algunos de los que a día de hoy son realmente vinos espectaculares.

Un vino que no podía faltar es el vino Sorte O Soro, un vino monovarietal Godelloque elabora Rafael Palacios al amparo de la D.O. Valdeorras y que, en su última añada de 2020, ha alcanzado los 100 puntos en la revista Wine Advocate del reconocido Robert Parker.

Una delicia de los sentidos. Procedente de una parcela única situada en el Valle del Bibei - Santa Cruz do Bolo, plantada en bancales en 1.978, con un clon original de Godello de vigor muy bajo de orientación sur - oeste a 710 metros de altitud, recibiendo una brisa permanente que define su carácter dual, entre madurez y frescura. Su suelo de granito, destaca por sus arenas finas con esquistos de cuarzo. Esta particularidad, aporta a este vino su marcado carácter salino y su mineralidad sápida y horizontal.

Una parcela que se cultiva de forma tradicional con tracción animal y aplicando los métodos de la agricultura biodinámica. Tiene su fermentación en barricas de 500 litros y crianza de 8 meses posterior. Frescura, complejidad, profundidad. Excepcional vino.

Otro vino que no podía faltar es el vino Castillo de Ygay Blanco Gran Reserva Especial 1986 que elabora la bodega Marqués de Murrieta al amparo de la DOCaRioja, el primer vino blanco que recibió los 100 puntos Parker en su día. Un vino único que se embotelló en 2014 tras más de 20 años de crianza en barrica de roble americano y casi 6 años de reposo en depósito de hormigón.

Increíblemente complejo y vivo, seguirá evolucionando en botella por muchos añosgracias a la gran estructura que presenta. Puede que sea el vino blanco con crianza más exclusivo y único que nos encontramos en nuestro país. En boca es potente y elegante, con una excelente acidez y gran longitud, volumen y nitidez, con un toque mineral.

Entre algunos de los vinos blancos gallegos más afamados se encuentran los Albariños. Ahí me he decantado por una francamente diferente como es el vino La Fillaboa 1898 2016 un vino que elabora Bodegas Fillaboa a lo que se le añade el hecho de que esta añada de 2016 fue una de las mejores cosechas de la historia de esta bodegacon una maduración impecable, motivo por el cual se decidió realizar de nuevo este vino blanco de guarda (que no lo elaboran todas las añadas, la anterior en 2010), con una estancia en depósito sobre lías dando como resultado un vino blanco de guarda especial y único.

Amarillo pajizo con tonalidades doradas, limpio y brillante, con una nariz en la que destacan aromas tostados, con fondos frutales almibarados, fruta muy madura, recuerdo de manzana asada y de panadería. Con boca suave en la entrada, se perfila con una acidez muy bien integrada, volumen y larga persistencia.

Otro vino blanco indispensable es el vino Nelin, tanto en su añada de 2018 como 2019, un vino blanco que elabora Clos Mogador en la zona del Priorat, donde está presente la mano de René Barbier. El vino blanco Nelin se elabora con uvas recolectadas de una única finca de suelos pobres de pizarra (Finca Clos Mogador) con menos de 6 hectáreas de extensión. La vendimia se realiza de forma manual y cuenta con un coupage de uvas de las variedades blancas Garnacha Blanca, Macabeo, Marsanne, Pedro Ximénez, PinotNoir y Viognier. Realiza su crianza repartida en barricas de roble durante 12 meses y 6 meses en depósitos de acero inoxidable.

En vita nos muestra un color amarillo oscurecido, muy limpio e intenso con reflejos pajizos en su superficie, con una nariz de gran intensidad y complejidad, destacando aromas a frutas blancas de hueso como los albaricoques, melocotones y membrillo junto con otros aromas secundarios que nos evocan sensaciones minerales y a flores silvestres. Boca con una entrada intensa en su entrada, con un paso en el que destacan las notas a fruta muy fresca con un punto acido que nos acompaña largo tiempo en boca después de tomarlo.

Otro enorme vino blanco con crianza que os acercamos es el vino Pazo de Señorans Selección Añada que elabora la bodega Pazo de Señorans en la D.O. Rías Baixas. Un vino con una crianza de 30 meses sobre sus lías. Este vino blanco gallego es un vino varietal de uva albariño (de viñas de más de 45 años de edad), que se ha conservado en depósitos de acero inoxidable durante unos años concentrándose su intensidad y adquiriendo matices y aromas nuevos sin llegar a maderizarse.

Es una crianza diferente, sin madera, pero si muy larga en meses que le permite dejarnos un vino realmente diferente y único.

Y no podía terminar la recomendación de vinos blancos con crianza sin tener en cuenta el vino Viña Tondonia Reserva Blanco que elabora al amparo de la DOCa Rioja la bodega R. López de Heredia -Viña Tondonia. Aquí además me surge un dilema porque es un vino en el que cada añada es espectacular, diferente por las características de las uvas de ese año, pero siempre a un nivel excepcional. Y es que esta bodegaelabora sus vinos reserva con una cuidadosa selección de la uva con el fin de elaborar vinos con vocación de ser criados en barrica y largo envejecimiento en botella. Un vino que cuenta con mayoría de la varietal Viura y un porcentaje de Malvasía con una crianza cuenta con un mínimo de 10 años antes de que llegue a nuestras copas, 6 de ellos habitualmente en barricas de roble.

Y estos son solos algunos ejemplos de los grandes vinos blancos con crianza que podemos encontrarnos en España. ¿Cuáles añadirías tú?

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