BeyondTaste - OltreilGustoMagazine - Edizione Estate 2021

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SUMMER 2021

Cover Photographer Gigi Montali Photographer Philippe Germain Photographer Adolfo Loyola Chef Mario Puccio & Photographer Laura Rizzo Maurizio Pelli: **Michelin Starred Pastry Chef René Frank Maurizio Pelli: Delphine Veissiere Massimo Vidoni, Italtouch, Dubai Executive Chef Keiichi Hashimoto Michelin Starred Chef Igor Sapega Author Corrado Passi Sommelier José Luis Del Campo Villares: Bodega Muga,Haro, La Rioja Davide Mengoli & Damien O’ Farrell Cybartender Luca Coslovich Chef Giuseppe Giuliano & Photographer Giovanni Vernengo


Giovanni Panarotto Autore-fotografo Fotografia di Oscar Beretta



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Mast Head Summer 2021 Copyright 2021 by Beyond Taste - Oltre il Gusto Magazine. All rights reserved. No part of this magazine maybe reproduced or used in any manner without the written permission of the Publishers. Graphic Design: Alba Graphic Design Studio, Madrid, Spain. Graphic Designer: Raúl López Rojo. Advisory Board of Directors & Director of Technical Solution: Author & Photographer Philippe Germain. Founder, Publisher & Editor in Chief: Margaux Alexandria Cintrano. Co Publisher, Author & Italian Translator: Maurizio Pelli. Official Photographer: Giovanni Panarotto. Official Spansh Editor in Chief: Sommelier José Luis Del Campo Villares. Collaborating Photographers - Summer Edition 2021: Official Photographer Giovanni Panarotto Summer Cover 2021 Photographer Gigi Montali Photographer Philippe Germain Photographer Giovanni Vernengo Photographer Adolfo Loyola Photographer Laura Rizzo Staff Collaborating Authors, Journalists and Reporters: Journalist Margaux Cintrano Author Maurizio Pelli Author & Sommelier José Luis Del Campo Villares Cybartender Luca Coslovich Damien O´Farrell Davide Mengoli Massimo Vidoni - Italtouch, Dubai Maestro Chef Giuseppe Giuliano Chef Mario Puccio


Margaux Cintrano Fotografo di Giovanni Panarotto


Edizione Estate 2021

Pagina Editoriale a cura di Margaux Alexandria Cintrano

Caccia ai tesori gastronomici Tradizione, qualità e genuinità sono le parole d’ordine tra i nostri collaboratori che operano nel mondo dell’enogastronomia e dell’ospitalità. L’intento è quello di trasmettere e stimolare la curiosità per i valori di queste tre parole ai nostri appassionati lettori, in modo che possano con una visione più ampia e le informazioni necessarie durante le “battute di caccia” nelle gastronomie, panifici, erboristerie, boutique gourmet, cantine, enoteche, mercati rionali e mercatini, da sempre , luoghi di straordinarie degustazioni. Partecipano a questa edizione estiva, chef, vignaioli e produttori custodi di tradizioni da assaporare, conservare e tramandare che nella nostra vetrina espongono e ci descrivono le loro straordinarie e magnifiche creazioni provenienti da tutti i continenti e Paesi. In questa edizione: Argentina, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone, Sud Africa, Spagna e Emirati Arabi Uniti. Inoltre, sia l’autore Maurizio Pelli, mio co-editore e il sommelier José Luis Del Campo Villares, hanno scritto diversi articoli e intervistato visionari vigneron, che hanno dedicato la loro vita alla produzione di straordinari vini in Francia, Italia e Spagna. Il nostro fotografo e autore Gigi Montali, parmense, oltre all’inusuale e glaciale Copertina di questa Edizione Estate 2021 di Beyond Taste, ha ulteriormente contribuito con una serie di impressionanti scatti corredati al racconto del suo viaggio fotografico in Islanda. Questa edizione ospita diversi protagonisti internazionali, di indiscussa equilibrata eleganza, capaci di distinguersi per la qualità e la bellezza della loro fotografia, dedicata ai prodotti e dell’arte del “dressage” dei piatti. Auguro a tutti voi una meravigliosa estate, che possa alleviare questi tempi difficili ovunque voi siate e che sia d’auspicio per il termine di questa pandemia. Margaux Alexandria Cintrano e Maurizio Pelli editori - Madrid www.beyond-taste.com


Co Publisher Maurizio Pelli Fotografo Giovanni Panarotto


Edizione Estate 2021

Co.Publisher Page a cura di Maurizio Pelli editore

Interviste: **Michelin Starred Chef René Frank - “Ristorante CODA” - Berlino Delphine Veissiere - “Banche & Champagne” - Parigi Stefania Moroni - **Gruppo “Il Luogo di Aimo e Nadia” - Milano Elisa Dilavanzo - Cantina Maeli - Colli Euganei Elena Fucci - Vigneron - Barile

Articoli: “Yachting in Dubai” di Marco Lolli - Dubai


Beyond Taste Oltre il Gusto Magazine

PRESENTS ITS WEBSITE IN ITALIAN, ENGLISH, SPANISH & FRENCH

www.beyond-taste.com

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Contents Summer 2021

Cover Photographer Gigi Montali

Pag.

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Photographer Philippe Germain

Pag.

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Photographer Adolfo Loyola

Pag.

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Cybartender Luca Coslovich

Pag.

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Maurizio Pelli: **Michelin Starred Executive Pastry Chef René Frank

Pag.

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Maurizio Pelli: Delphine Veissiere

Pag.

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Sommelier José Luis Del Campo Villares: Bodega Muga, Haro, La Rioja

Pag.

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Chef Giuseppe Giuliano & Photographer Giovanni Vernengo

Pag.

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Chef Mario Puccio & Photogapher Laura Rizzo

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Maurizio Pelli: Stefania Moroni

Pag.

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Davide Mengoli & Anna Maria Mengoli: Interview onDamien O´Farrell

Pag.

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Massimo Vidoni, Italtouch, Dubai

Pag.

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Executive Chef Keiichi Hashimoto

Pag.

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Doctor Susan Levenstein, Rome: Of Masks & Men

Pag.

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Michelin Starred Chef Igor Sapega

Pag.

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Executive Chef Girolamo Orlando

Pag.

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Marco Lolli

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Author Corrado Passi

Pag. 100

Elena Bonacina, Canaletto Caviar

Pag. 102

Maurizio Pelli: Elisa Dilavanzo

Pag. 108

Maurizio Pelli: Elena Fucci

Pag. 118

Publisher Margaux Cintrano (Italian)

Pag. 128

Publisher Margaux Cintrano (English)

Pag. 132

Sommelier José Luis Del Campo Villares: Montilla Morilles Bodega Alvear y Bodega Toro Albala Sommelier José Luis Del Campo Villares: Rosados y Blancos

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Islanda

Facciamo l’unico percorso intorno per capire un po’ come è all’interno e poi torniamo a Grindavik per il pranzo. Oggi ci sta accompagnando una fastidiosa pioggerella ed inoltre il percorso sino a Selfoss risulta un po’ monotono. Nei pressi di Selfoss ci sono alcune cascate noi decidiamo per Urrogfoss, molto carina. Infine ci portiamo a Hverageroi dove ceniamo e pernottiamo. In questa cittadina colpisce la presenza di molte serre ma poi abbiamo capito che, essendo un’area geotermica molto attiva, gli abitanti sfruttano questa risorsa proprio per riscaldare abitazioni e serre.

articolo e fotografia di

Gigi Montali

Sono le 4 del mattino quando, sbrigate tutte le pratiche, con la nostra auto arriviamo a Vogar nel primo hotel per riposare qualche ora. La prima gradita sorpresa, doveva essere una camera con bagno in comune invece abbiamo quello privato. Partiamo verso le 8,30 alla volta del parco Thingellevir è già durante il tragitto non mancano le fermate, arrivati passeggiamo per vedere la famosa spaccatura di al Almalloja. Dopo aver pranzato in un mini market/fast food ci dirigiamo a Geysir. Qui ammiriamo la potenza della natura ma, ancor di più, mi entusiasmano le cascate di Gullfoss. Rientrando di nuovo siamo continuamente attirati d ai paesaggi intorno a noi , la stanchezza prende il sopravvento e alle 19 siamo a cena e poi di nuovo in hotel a rilassarci e preparare il giro di domani. Il mattino seguente partiamo per il giro della penisola, poco frequentato dal turismo di massa ma veramente carino con i suoi piccoli villaggi e fari. Il tragitto costeggia sempre il mare e si arriva a Gunnuver dove c’è un interessante area geotermica in continuo mutamento e il geyser principale piccolo e di acqua salata offre un bello spettacolo. Ci dirigiamo verso Grindavik e andiamo a vedere la blu lagoon, come letto in molti commenti, è un po’ deludente praticamente è un centro termale (dove ovviamente entri solo a pagamento) semi all’aperto e pieno di turisti.

Il martedì mattina dobbiamo modificare il nostro itinerario, il tempo è proprio brutto per andare a Landmallaugar , quindi decidiamo di andare verso sud per ammirare le due famose cascate e in seguito tutto il tratto di costa sino al promontorio di Dorelhai, il sole sta accompagnando il nostro giro e riusciamo anche ad ammirare i puffins (pulcinella di mare), la meravigliosa spiaggia nera con il

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suo arco naturale e i faraglioni. Proprio una bella giornata! Non da meno l’ottima cena in un ristorante nei pressi di Hella, pernottamento e domani speriamo di riuscire a fare la nostra escursione. Il tempo è clemente per cui si parte per Landmannauglar, lo spettacolo

andiamo a cercare le montagne colorate nei pressi di Hofn ma il tempo non è dei migliori quindi ci accontentiamo, si fa per dire, di visitare Vetrahorn una bella riserva dove se avete fortuna potrete vedere le foche, ahimè oggi non erano lì ma il posto vale comunque la pena di una bella passeggiata tra scogliera e spiaggia nera. Rientriamo verso le 18 per preparare al meglio il trasferimento di domani, una doccia ristoratrice è una buona cena. I fiordi dell’est, dopo aver riempito gli occhi la mente e il cuore nel sud, sembrano poca cosa. In realtà anche qui ci sono paesaggi notevoli, cascate e paesini di pescatori. Noi abbiamo visitato Dyopvogur decisamente caratteristico ma ancor più pittoresco il villaggio di Seyodgfiordur. La cittadina di Eglastiddir invece è buona come base per il pernottamento e i ristoranti. Trasferimento da Eglistaddir al lago Mitvan, un bel percorso sull’altro piano passando prima per le spettacolari cascate di Dettifoss, le più grandi d’Europa! Poi si passa dalle gole di Asburgy per raggiungere il villaggio di Husavik , dove

che ci attende non si può descrivere la natura offre qualcosa di fantastico. Il tempo è strano perché passiamo dal sole alla neve, alla pioggia! La giornata è lunga e l’escursione di oltre. 3 ore, si fanno sentire ma tutto è valsa la pena. Stamattina la partenza è lenta ma dopo pochi km da Steinar, dove pernottiamo, c’è il percorso per arrivare ai piedi del ghiacciaio, un po’ per caso ci avviamo verso il sentiero e arriviamo di fronte ad un altro bello spettacolo della natura, ghiaccio bianco e sabbia nera! Proseguiamo poi per la “pietra di Bismantova islandese”, montagna squadrata in mezzo alla spiaggia nera. raggiungiamo Vik per il pranzo è una breve visita cittadina e spiaggia nera. Consigliati da una signora del posto siamo saliti a vedere il paesaggio dalle colline di Vik! Al rientro ci siamo fermati a vedere il relitto di aereo spiaggiato, 7 km a piedi e non so se ne è valsa la pena, sicuramente bruciato calorie per la cena!

volendo si può effettuare il whale whatching (avvistamento balene). Si scende poi al lago Mitvan dove ci sono varie attrattive, per primo vediamo la zona geotermale di Hveir poi andiamo a vedere il natural bath ed infine la zona lavica di Dimmoguveir.

La mattina parte un po’ lenta, bellissimi paesaggi ma qui non possono mancare. Il pomeriggio invece si affaccia uno scenario meraviglioso, arriviamo alla “glacial lagoon” con la spiaggia nera e gli iceberg sulla spiaggia, le foche, i volatili...ok anche i turisti! Dopo alcune ore passate qui tra ammirazione e foto, ci portiamo ad Hofn dove ceniamo e pernottiamo. La laguna glaciale ci è veramente piaciuta tanto, quindi stamattina decidiamo di tornare. La luce è cambiata e ci sono più iceberg sulla spiaggia. Il tempo vola e ritorniamo a Hofn alle 13 per pranzare. All’andata troviamo anche una bella situazione, ci sono i pastori con le famiglie che radunano il gregge per trasferirlo in altri pascoli, è bello vedere come i genitori ci tengono alla loro terra e a trasferire questo sì loro figli. Dopo pranzo

La mattina seguente partiamo con tutta la buona intenzione di vedere le due caldere del vulcano krafla, purtroppo il maltempo e il fango ci hanno permesso di fare un piccolo giro e qualche foto. Partiamo così alla volta di Akureiry, prima tappa sotto la pioggia per vedere le cascate di Godafoss, poi pausa pranzo nella capitale del nord. Visto che non è tardi ci portiamo verso Dalvik, riusciamo a prendere l’ultimo tour per vedere le balene, quello delle 15 che termina alle 18 circa. È stata una esperienza veramente emozionante, siamo riusciti ad avvistarne circa una quindicina e anche da molto vicino! Ripartiamo e

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alle 20,15 circa siamo finalmente nel b&b che ci ospiterà questa notte, cena frugale con alcune cose che ci eravamo comprate perché è tardi e il paese più vicino è a 10 km.

subito per dare energia alle tante serre nei dintorni: ci sono pomodori, peperoni, cetrioli, fragole gustosissime (provate). Arriviamo poi sino a Husafell, il vento è troppo forte e quindi niente giro all’interno del ghiacciaio, oggi lo hanno proprio sospeso ma penso sarebbe stato molto interessante!

Ci svegliamo con il sole, quindi cerchiamo di partire un po’velocemente, prima zona che visitiamo e’ Skagafiodur, come sempre bei paesaggi e scorci sul l’oceano. Il

Scendiamo sìno a Borgarnes dove pernotteremo, check-in alla Guesthouse, pranzo e poi ci dirigiamo verso la penisola di Snaelfness, i colori oggi pomeriggio sono il grigio e il nero, le raffiche di vento spostano la macchina perciò meglio tornare indietro. Ultimo trasferimento da Borgarnes alla capitale, in circa un’ora arriviamo, ci fermiamo in hotel per parcheggiare ed iniziare subito il nostro tour della città. È veramente piccola è carina, non caotica e semplice da girare, dopo una sosta pranzo e successivamente una sosta in hotel (dopo circa 5 ore di passeggiata) andiamo in auto a visitare il parlando (museo è vista a 360 gradi sulla città, poi museo all’aperto di come erano le costruzioni negli anni passati. Infine decidiamo di gustare un’ottima cena nei pressi del porto! Ormai è arrivato l’ultimo giorno e dopo un ultimo giretto al porto e nelle strade ancora addormentate, partiamo per Keflavik dove pranziamo, riconsegnano l’auto e poi aereo porto.

pomeriggio invece è’ la volta del fiordo di Vatnsness dove vediamo subito il faraglione di Huilserkur ed in seguito meraviglia ci sono le foche!!! Arriviamo al nostro hotel come al solito che è ormai sera, quindi cena e nanna. Questa notte ci abbiamo provato ad uscire per vedere l’aurora, il tempo era sereno ma fin troppo la luce era quasi piena, il freddo però l’abbiamo trovato eravamo a -4! Un po’ delusi e tanto infreddoliti siamo ritornati a letto.

Dell’Islanda porterò nel cuore i paesaggi vari e meravigliosi, le acque limpide e pure, il tempo bizzarro ma affascinante, la buona cucina, ma soprattutto quel senso di serenità e rilassatezza. Goda Ferd.

Stamane il cielo non promette nulla di buono, partiamo ed arriviamo sino a Deildanveghur dove la sorgente più calda d’Europa sgorga a 100 gradi, viene incanalata

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Philippe Germain - Dressages artistiques Auteur: Philippe Germain Photographies: Philippe Germain et Le Livre Visions Gourmandes www.visionsgourmandes.com

En cuisine, nous le savons tous, la première impression estl’apparence, puis viennent l’odeur et le goût! Plus c’est beau, plus grande est la promesse de régal. Un peu comme au théâtre, nos mets se doivent d’être mis en scène et le décor d’accrocher l’oeil des gourmandes. Cuisiner de bons plats, c’est bien. Mais si, dans l’assiette, votre oeuvre ne donne pas envie d’être dégustée, il est fort à parier que vos convives - ou votre jury - vous en tiennent rigueur. Cuisiniers amateurs, professionnels ou étudiants, voiciquelques tableaux pour accompagner et inspirer vosprochaines créations.

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Adolfo Loyola “Chimichurri’. de: Food Photographer y Chef Adolfo Loyola

Buenos Aires - Argentina

Hablar de chimichurri en Argentina, es realmente una fantástica historia sin fin. Existen tantas formas y combinaciones en su elaboración, como criollo argentino y asador se digne de serlo. Cada asador tiene su forma de prepararlo y su “Secreto”. Si bien los ingredientes como base son los mismos a saber: ajo, orégano, ají molido, sal, vinagre y aceite; existen algunas modificaciones que fueron sumándose a lo largo de los años, como el perejil, pimentón dulce, comino, pimienta (En sus tres variedades y el fruto del turbinto, llamado pimienta rosa, el cual es muy perfumado) Existen infinidad de variaciones en sus fórmulas, según la idiosincrasia de cada rincón a lo largo y ancho de toda la República Argentina. Está claro que el chimichurri, es un emblema de la cocina criolla argentina y un estandarte culinario ante el mundo que nos rodea. El amor que genera esta preparación, no solo en su aroma volátil, sino también en su pronunciado sabor, hacen un deleite celestial a la hora de acompañar ciertas carnes rojas, en especial a las brasas. Una preparación contundente y tajante en relación a lo antes mencionado es el afamado “Choripán criollo argentino”, un embutido de carne de cerdo y/o vaca, cocido a las brasas sobre una

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parrilla de hierros candentes, para luego servirlo en un pan tostado al rescoldo y abierto a la mitad junto a generosas cucharadas de chimichurri. Un trío imposible de superar: Carnes a las brasas, leña y ahumado, chimichurri.

mucho antes, cuando solo era salmuera (Preparación de agua, sal, ajos, laurel). En mi caso el chimichurri es parte de mi vida y de mis fuegos, algo que fue transmitido por mi padre Don Adolfo Loyola, hombre de campo, nacido en 1920 en Vicuña Mackenna (Provincia de Córdoba) y criado en los campos de mi abuelo en la Provincia de San Luis, Argentina. Don Loyola, asador de ley, fue todo un maestro del fuego, leña, parrilla y el chimichurri, el cual quitaba de la heladera ni bien comenzaba el ritual del fuego. Preparaciones como “Asado con cuero”, costillar a la cruz, cordero al pozo, cerdo a la parrilla, chivito a la llama, eran un clásico en su vida. Preparaciones que realizaba para la familia y amigos personales. Eran fines de semana con más de ciento veinte invitados entre los cuales, lógicamente, me encontraba presente siendo aún un niño. En la casa se encontraban varios tablones de madera de más de seis metros de largo, bancos de madera rústica (Aún los conservo) e infinidad de tablas de madera (Platos) para cada uno de los comensales. Una vez lista la mesa ¿Quién brillaba a la hora de posar la carne en las tablas? Si, el maravilloso y perfumado chimichurri de mi padre. Muchas cazuelitas de barro que atesoraban en su interior ese manjar preferido por todos. Hoy quiero compartir con todos ustedes (Dejará de ser un secreto a mi resguardo) esa receta que aprendí de mi padre y aún hoy con orgullo y frondosa pasión de mi parte, elaboro de la misma manera, para todos aquellos que se presentan en mi hogar, a disfrutar un exquisito pedazo de carne a las brasas.

Con respecto a su origen, en especial su denominación, podemos decir que es incierto. Si bien existen tres leyendas, personalmente, no comparto ninguna de ellas. La primera, cita el caso de un inglés quien se encontraba comiendo carnes a las brasas y este, amablemente, solicita a viva voz una preparación dispuesta en la mesa, al son de “Give me the curry” transformándose con el correr de los tiempos en “Chimichurri”. La segunda hace referencia a un inglés llamado Jimmy Curry, quien tenía por costumbre elaborar varias salsas en sus almuerzos estilo campo, en especial para sus invitados, siendo esto tan magistral que llegó a alcanzar suma popularidad. Fue así como una de sus preparaciones fue bautizada como “Chimichurri”. La tercera, tiene como partícipe a una preparación de origen vasco llamada “Txmitxurri” (Con ingredientes similares), si bien llama a confusión por su parecido fonético, no hay registros oficiales que lo aseveren. Simplemente puedo decir que el origen de la palabra “Chimichurri” es incierto, pero, concreto en su existencia y el mismo acompaña a cada asador desde tiempos inmemorables como cuando solo era solo un adobo y

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Chimichurri: Ingredientes: Ajo fresco picado: 10 gs. Perejil fresco picado: 25 gs. Orégano seco: 5 gs. Ají molido seco: 2 gs. Pimentón dulce: 2 gs. Laurel seco: una hoja. Sal: 5 gs. Vinagre de alcohol 50 cc. Agua mineral 50 cc. Aceite de girasol. c/n Elaboración: En un frasco esterilizado colocar al ajo, el perejil, el ají molido, el orégano y el pimentón. En una olla de acero inoxidable colocar el vinagre, la sal, el laurel y el agua. Llevar a ebullición unos minutos. Inmediatamente verter en el frasco.Dejar enfriar y cubrir con aceite de girasol. Guardar en la heladera por un lapso de siete días antes de utilizar. Acompañar con carnes rojas a las brasas, parrilla, horno o plancha de hierro.

Adolfo Loyola - Chef And Food Photographer - Buenos Aires - Argentina

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L’estate provenzale

di Luca Coslovich

La dolce Provenza è sicuramente una delle regioni più suggestive della Francia, il jet set internazionale passa da qui, ma é anche luogo di scoperta e di emozioni. I suoi campi di lavanda, le spiagge assolate, i suoi vini rosè, la natura ed i piccoli villaggi tenuti come dei gioiellini, ne fanno la meta ideale per miriadi di turisti. Protagonista, nel corso degli anni, di innumerevoli film ed altrettante storie d’amore che ne hanno fatto un luogo mitico ed incantevole. Dal sud della Francia vogliamo partire per un tour che ci riporti ai sapori e profumi di queste terre, passando, come sempre, dai cocktail creati per l’occasione da barmen autorevoli. Luca Rapetti é un appassionato di storia e sempre alla ricerca di nuovi libri per la sua collezione di cocktail book vintage, nel 2014 Luca si è trasferito a Londra per continuare il suo percorso di ospitalità; portandolo in hotel prestigiosi come Ritz, The Lanesborough, Brown’s Hotel e L’oscar London. Attualmente ricopre il ruolo di Bar Manager presso Shangri-La Hotel At The Shard, dove è responsabile del Gong Bar, il cocktail bar più alto dell’Europa occidentale. Dal 2015 collabora come editorialista per BarTales, rivista italiana di bartending, concentrandosi sulla storia del bartending e sulla ricerca di cocktail classici. Recentemente è stato nominato ufficialmente Curatore della United Kingdom Bartender

Guild, una delle più antiche associazioni di bartender del mondo, con l’obiettivo di riportare alla luce l’archivio storico dell’associazione. Negli ultimi anni è in giuria per il London Spirit Competition. Luca ci propone il suo drink:

Melange d’Azur Di Luca Rapetti 60 ml By Ott Cotes de Provence Rose’ 15 ml Chartreuse Gentiane 10 ml Aceto di Ratatouille (soluzione sottaceto di carote, barbietole e pomodorini) 10 ml cordiale di succo di melograno 30 gr melone Cantaloupe shakerato e filtrato con passino, straight-up, servito in coppetta da cocktail e decorato con twist di arancia e fettina di Pomodoro ciliegino Andrea Brunello, partendo dalla stupenda Venezia, ci accompagna in Francia, promettendoci una esperienza sensoriale completa, coinvolgendo tutti i sensi: gli occhi chiusi, accarezza con le dita delicatamente l’erba del vassoio, percepisci il profumo leggero della lavanda.. ora apri gli occhi !Ecco che arriva l’estetica delicata contrastata con tinte che richiamano i colori della primavera e dell’estate in Provenza e nel sud della Francia che tanto hanno ispirato giganti della pittura.Assaggia delicatamente avvicinando la bocca ti immergerai in un profumo morbido e dolce.

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Provessence Di Andrea Brunello 5 cl Blu Flower Tea infuse 2 cl Cognac Hennessy VS 1.5 cl Vodka Grey Goose aromatizzata Lavanda a freddo (home made) 0.5 cl Grand Marnier 0.5 cl Lillet Blanc 2 cl Succo Limone biologico filtrato 1,5 cl Siple Syrup (home made) 1 cl albume d’uovo 1 bar Spoon Crème de cassis 4 gocce di Orange Bitter si prepara nello shaker e si serve in un ampio bicchiere “old fashioned”, dopo, averlo filtrato (double strain), ed in caso di temperature oltre i 30°, si può usare un piu capiente tubler e completare con fever tree mediterranean tonic. Guarnire con fiore di lavanda fresco, ciuffo di menta, petali di fiori secchi edibili (in superfice), crusta di fiori secchi di lavanda, fetta di Limone biologico, peel di limone edibile Foto : Andrea Brunello Location : Santa Croce Boutique Hotel 4*S Venezia Special Thanks to : Elisabetta Vianello Hotel Manager

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Classic Cocktail Club fondato dallo “zio” Franco Zingales, passando per AIBES ed ABI. Nel drink che ci propone si sente tutto l’amore per la Provenza ed i suoi profumi. Ci confessa infatti che “creare un profumo è molto simile alla creazione di un drink, per cui quando posso, mi reco nelle maison di questa regione per sbizzarrirmi tra le varie essenze e compormi il mio profumo”.

BOULEVARD FRAGONARD di Marina Milan 5 cl gin generous purple 2 cl sciroppo ( home made ) di lavanda-viola-rosa 3 cl vermouth classico ( bianco ) del professore Il tutto shakerato, versato in coppa ed allungato con 5 cl di champagne Collet brut Si completa con vaporizzazione di alcolato alle erbe provenzali ( home made )

Giuseppe Assenza, bartender siciliano, ha il suo cocktail bar “Officina 31”, nel centro storico di Ragusa Ibla. Nel 2020 ha partecipato alla finale “Miscelatore Futurista”, organizzata da Cocchi, e quest’anno è stato nella top 50 di World Class. Ci porta nel suo personalissimo viaggio alla scoperta del sud della Francia, conosciuta anche con il termine francese di Midi. Il suo é un drink estivo, dal perfetto equilibrio tra dolce e acido, al sapore di frutti rossi, basilico, pomodoro e zenzero, con l’armagnac che da struttura e il macaron che si sposa molto bene con il resto degli ingredienti. Ad ogni sorso si può assaporare l’atmosfera delle zone meridionali della Francia.

Lavorare e vivere in costa azzurra vuol dire anche respirarne l’atmosfera e conoscerne i prodotti. Se nel mondo del beverage il gin la sta facendo da padrone, la costa azzurra e la Provenza non sono da meno, partendo anche da un patrimonio di profumi e sapori non indifferente. Per preparare questo fresco long drink estivo mi sono affidato alle note speziate calde e sapide del gin 44° N , non a caso nato a Grasse, famosa nel mondo come la città dei profumi. E la produzione di questo distillato casa è la

MIDI Di Giuseppe Assenza 45 ml shrub mirtilli,pomodorini,basilico e aceto di riso 45 ml armagnac A colmare ginger beer decorazione: foglia di basilico e macaron al cioccolato bianco Si prepara direttamente nel tumbler alto. Dal basso tenore alcolico, questo drink ha un gusto dolceacido Marina Milan ha mosso i primi passi in Liguria, per la precisione a Varazze, nell’american bar “la tana” di proprietà dello zio. Nella sua carriera, lunga e piena di successi, si ritrova l’amore e la passione per il lavoro nel mondo del bartending e dell’associazionismo. A partire dallo storico

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maestosa distilleria di profumi Bertrand & Fils, risalente al 1820. A seguire gli agrumi, con in testa i famosi limoni di Mentone, uniti alle arance locali. Sebbene Marsiglia sia riconosciuta come il luogo di nascita del Pastis, SaintTropez fu una delle primissime città a lanciare il proprio Pastis, mont Pécoulet nello stesso anno di Ricard e Pastis 51. 70 anni dopo, creato da “Tropeziani“ doc, il pastis 12/12 di Saint-Tropez vuole far rivivere questa tradizione coniugando tradizione e modernità. Il tocco finale é nella presentazione: servito in uno splendido tumbler della linea “America ‘20s” di Bormioli Rocco, il drink va decorato con fiori di Lavanda

TROPEZIENNE Di Luca Coslovich 4 cl. 44° Gin 1 cl. 12/12 Pastis 5 cl.Mix agrumi limoni e arance di Mentone 2 cucchiaini di miele ai fiori di lavanda gocce di stillabunt magic velvet Shaker con ghiaccio,servito con ghiaccio tumbler“America ‘20s” di Bormioli Rocco

in

Un aperitivo semplice e rinfrescante, da sorseggiare davanti ad un campo di lavanda o in un bistrot di Grasse. O, perché no, sul lungomare di Villefranche. Sulla spiaggia abbandonata / Conchiglie e crostacei / Chi avrebbe mai pensato! Deplorare la perdita dell’estate / Chi è andato da allora .. (Brigitte Bardot, La madrague)

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Photographer: Jakob Nawka

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Photographer: Jakob Nawka

Photographer: Chris Abatzis

Photographer: Chris Abatzis

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Photographer: Chris Abatzis

Photographer: Chris Abatzis

Photographer: Chris Abatzis

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Photographer: Chris Abatzis

Photographer: Jakob Nawka

Photographer: Jakob Nawka

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Chef - René Frank, 2 Stelle Michelin, dedicate all’alta pasticceria

Puro piacere in leggerezza, mondato dalle iper calorie di “de saccaridica” certezza. Sotto molti aspetti attua una rivoluzione nel mondo dei dolci, in quanto “dolci” lo sono meno. di Maurizio Pelli editore Per gli amanti del dessert è un’entusiasmante soddisfazione; fotografia: ritratto di Jakob Nawka il gusto del peccato senza la colpa! desserts e interni di Chris Abatzis Dessert che risaltano i prodotti, semplicemente come nella

Chef René Frank, classe 1984, nasce a Wangen, nella regione dell’Algovia in Germania. Appena terminata la sua formazione di chef, fu premiato con una medaglia d’oro al “World Skills Competition” di Helsinki, i campionati mondiali delle abilità professionali. Premi che sì rivelarono un “passe par tout” che gli aprirà le porte delle cucine dei più prestigiosi ristoranti del mondo. La sua fulminea carriera iniziò con nel 2007, come “Junior Pastry Chef” presso “Zirbelstube” a Stoccarda, seguì un periodo in Spagna alla cioccolateria “Oriol Balaguer” a Barcellona e il Ristorante “Akelarre” 3 Stelle Michelin di San Sebastian. Lavorò in Svizzera al “Lampart’s” 2 Stelle Michelin e in Francia al “Restaurant Georges Blanc” 3 Stelle Michelin. Seguirono sei mesi in Giappone, incluso un periodo presso “Nihonryori RyuGin” Tre Stelle Michelin a Tokyo e al “Kikunoi” Tre Stelle Michelin a Kyoto. Alla sua versatilità e competenza contribuirono anche gli studi al “Centre de Formation Alain Ducasse” di Parigi al “Culinary Institute of America” di New York e Napa Valley. Dal 2010 al 2016, René fu capo pasticcere presso “La Vie” Tre Stelle Michelin di Osnabrück, svolse un ruolo fondamentale nel ristorante ottenendo la sua terza Stella Michelin nel 2012. Nel 2013 fu nominato pasticcere tedesco dell’anno da “Gault Millau” e nel 2016 pasticcere dell’anno dalla guida tedesca dei ristoranti “Busche Verlag”. Nel 2016 aprì CODA a Berlino, il primo e unico ristorante di dessert della Germania, dove attualmente René è Head Chef e co-proprietario. Nel 2019, CODA riceve la sua prima Stella “storica”, la prima assegnata a un ristorante di soli dessert, in oltre un secolo di attività della Guida Michelin. La pasticceria innovativa di René Frank fonde la tecnica classica con un’interpretazione moderna e progressista. Decostruisce i metodi tradizionali per dimostrare che i dessert possono essere più di un semplice piatto a fine pasto, ma possono essere un menu completo e nutriente di per sé.Ridefinisce la pasticceria riducendo il contenuto di zucchero con tecniche innovative, sostituendo gli zuccheri raffinati con essenze naturali. I suoi dessert sono studiati per essere leggeri, digeribili e a basso contenuto calorico. Evita l’uso di ingredienti artificiali e industriali, privilegiando dessert dal gusto corposo realizzati con prodotti biologici e sostenibili di alta qualità. Il risultato è di sapori complessi; bilanciamento di umami, salato, acido e amaro con una dolcezza sottile e non potenziata.

pasticceria tradizionale, i cioccolatieri lavorano con il cioccolato già pronto, sciogliendolo per creare confezioni. Queste quantità generalmente non sono di cacao puro e contengono elevate quantità di zuccheri e grassi aggiunti. I produttori di cioccolato che lavorano “dal fagiolo alla barretta” preferiscono iniziare con i semi di cacao crudo per avere un maggiore controllo sulla qualità e sul sapore. René ha coniato il termine “fagiolo al piatto” per descrivere il suo approccio ai dolci, alle praline e al suo ristorante CODA. Le fave di cacao crude, provengono da fornitori del commercio equo e solidale e vengono trattate con un processo ad alta intensità di manodopera, per diventare cioccolato utilizzato per determinati piatti. Quindici anni di esperienze nelle cucine stellate più blasonate, esclusive e innovative del mondo gli hanno conferito una grande tecnica che “amalgamata” all’innato talento e alla sue capacità creative gli hanno permesso di interpretare una nuova visione nel ruolo dei dessert in un classico menu.Da qui, un colpo di genio, dal menu elimina tutto e lascia solo i dessert. Ebbe così l’idea di aprire un “bar a dessert” per proporre le sue creazioni. Per un nuovo e inedito concetto di menu, di proposta e di ristorazione, un bar non sarebbe stato sufficiente. René Frank, aprì Coda, scatenando la sua creatività, trasformando un ristorante in un teatro dove i commensali possono osservare gli spettacoli a sorpresa, gli ingredienti si esibiscono come attori che interpretano la creazione dei suoi sorprendenti, sensuali, avvolgenti, leggiadri, rarefatti, non convenzionali, inimmaginabili inediti menu. Anche gli abbinamenti alle portate giocano un ruolo recitando una parte nella sceneggiatura, al CODA, René produce birre artigianali allo zenzero, agliinfusi di erbe e bevande a base di acido lattico come il kefir e il kombucha. Le auto sportive, in particolare le Rosse di Maranello, erano tra le passioni giovanili di René, divenuto una Star mondiale della pasticceria, nel lussuoso Coda, decide di dedicare un “rosso” dolce e un’altrettanta “rossa” bevanda a una delle ultime lussuose quattro porte supercar prodotte dalla Ferrari, la GTC4 Lusso T. Crea una di crema al cioccolato con il cacao Trinitario della Tanzania, mousse di nocciole del Piemonte, emulsione e riduzione di carote viola e nocciole, cracker di riso al cacao e con il radicchio rosso marinato, realizza il colore Rosso Ferrari per il suo dessert.L’abbinamento, è con un cocktail realizzato con il Lambrusco “Grosso” di Sorbara (Comune a pochi chilometri dalla Casa di Maranello, sede

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della Ferrari), un liquore alle ciliegie di Brandeburgo di sua produzione e del tè affumicato “lapsang souchong” cinese. René Frank offre la sua consulenza mettendo a disposizione la sua esperienza più che decennale nei ristoranti stellati in Europa, Stati Uniti e Giappone. Dal concept allo sviluppo, dalla scelta delle materie prime alla lavorazione alla presentazione del dessert, in pratica a tutto quello che riguarda la pasticceria di un ristorante di alto livello. Chef René Frank è sempre disponibile a partecipare come relatore nelle conferenze, simposi, eventi cooking show internazionali come il GulFood 2021 di Dubai, dove ebbi il piacere di conoscerlo personalmente e testare alcune delle sue “spiazzanti” disorientanti e sorprendenti creazioni, non facili da decifrare e identificare persino ai sofisticati palati dei più esperti assaggiatori. Spero di avere presto l’occasione di sedermi a un tavolo del CODA, in sua compagnia. Medaglie d’oro, premi e riconoscimenti internazionali, possono essere il “pass partout” per le porte delle cucine dei ristoranti più blasonati del mondo? I premi sono sempre stati importanti e sempre lo saranno, non necessariamente lo sono le medaglie d’oro. Riconoscimenti come le Stelle Michelin o 50best sono ancora una garanzia per avere le sale piene di ospiti. I clienti non vogliono essere delusi o commettere errori quando mangiano. Ciò che è interessante dei social media di oggi è che i premi non adornano più solo chef e ristoranti, ma anche gli ospiti, ora sono “consapevolmente consapevoli” di una visita a un ristorante stellato o di un posizionamento nella lista dei 50 migliori decorati. L’importante è esserci stati e poterlo dimostrare. Quale ristorante tra le tue esperienze e quale il Paese che ha più ispirato la tua pasticceria di oggi? Non è un’ispirazione riconducibile a un solo Paese dove ho lavorato, tutti hanno contribuito a plasmarmi. Pensando alla Francia, è tutta questione di basi solide come rocce, sia tecnicamente che in termini di gusto. La varietà materica della pasticceria francese, dal croccante al cremoso, è essenziale per dessert sofisticati, così come le note caramellate del burro marrone, della frutta sbriciolata e del cioccolato. La Spagna è stata importante per l’innovazione, il coraggio di andare controcorrente o in direzioni diverse, fondamentalmente mettere in discussione tutto. In definitiva, il pensiero di creare un dessert allo stesso livello di un antipasto o di un piatto principale di Albert e Ferran Adria. Lavorare in Giappone affetta molto il rapporto con gli ingredienti, esaltati al “feticismo” del prodotto, come in nessun’altra cultura al mondo. Frutta e verdura vengono trattate rispettosamente come fossero carni pregiate o pesce fresco. La Svizzera è già nota per il suo “orologio svizzero”, lo stesso vale in cucina. Le parole precisione e accuratezza sono in maiuscolo.In modo completamente diverso che in Germania.

L’idea di aprire un ristorante con un completo menu di solo di dolci, fu per ispirazione o per ponderata decisione? Molto consapevole. I bambini spesso sognano di diventare calciatori o modelli. Il mio sogno era diventare uno Chef a 3 Stelle. Perché ho lavorato esclusivamente in pasticceria negli ultimi anni, prima dell’apertura di CODA. Ero sicuro che il ristorante, sarebbe stato un ristorante di dessert. Le Stelle Michelin non le ho pianificate, di fatto, non puoi intenzionalmente peggiorare qualcosa che hai sempre imparato e vissuto. La prima Stella Michelin è arrivata nel 2019 e la seconda nel 2020, sono stati regali che mi sono giunti naturalmente. Berlino, fu per scelta o per caso? Assolutamente per scelta, non avevo dubbio che Berlino fosse la città ideale per un ristorante con questo concetto. La tua passione per le auto sportive della Casa di Maranello, ha ispirato la creazione di un menu di dolci con tanto di accompagnamento vini, come sei riuscito a collegare la pasticceria con una Ferrari GTC4 Lusso T? A parte essere estreme, cosa hanno in comune una Supercar e la tua passticceria? Beh, devo dire che difficilmente guido personalmente un’auto, piuttosto una bicicletta. Quando lo faccio, preferisco che sia speciale. Non abbiamo creato un intero menu, ma un dolce stravagante con il radicchio rosso, nocciole del Piemonte e cioccolato, oltre all’abbinamento di un Lambrusco di Sorbara che abbiamo arricchito con il sambuco. Ho avuto il piacere di conoscerti e di testare alcune delle tue sorprendenti creazioni lo scorso Febbraio durante GulFood 2021. Quali sono le tue impressioni riguardo la tua partecipazione a questo evento gastronomico internazionale? È sempre importante presenziare soprattutto con un concept così speciale come quello che abbiamo al Coda, mi piace cogliere ogni occasione, specialmente quelle più internazionali, per presentare il nostro concept sia agli altri chef e ai potenziali ospiti. Cos’è cambiato durante il Covid al Coda e cosa cambierà post pandemia? L’intero argomento “Mangia il Mondo” si è ridotto in modo organico, poiché ogni ospite e chef ha notato che i prodotti regionali sono i più disponibili e facilmente reperibili. La gastronomia è ancora in difficoltà, soprattutto ora che c’è un po’ di ritardo nel fare. Quando visiterò un ristorante in futuro, spero che non sarà tutto concentrato sui prodotti e sugli chef, ma che si darà molta di più attenzione ai produttori e le persone che contribuiscono con il loro lavoro alla creazione di ogni piatto.

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Delphine Veissiere, dalle Grandi Banche d’Affari allo Champagne, intersecanti passioni. di Maurizio Pelli fotografia di Delphine Veissiere Delphine Veissiere Monti, parigina, classe 1968, si laureò alla “Università Paris II-Assas nel 1991. Appassionata e amante dei Grandi Vini e degli Champagne d’Autore, Delphine è un’imprenditrice seriale. Oggi vive e lavora a Parigi, dopo anni residenza in Italia è una multitudine di viaggi attorno al mondo, dedicati alla promozione dei vini italiani pregiati sui mercati internazionali. Laureatasi dottoressa in “Ricerca in Economia Aziendale”, frequentò il “Politecnico di Milano” e in Francia l’università “ParisDauphine”. Delphine iniziò la sua carriera professionale nei “front office” delle banche d’affari milanesi, dalla “Banca Leonardo” alla “Intesa San Paolo” passando dal “Mediocredito Centrale” in qualità di analista finanziaria nel settore “sell side/buy side”. Costituì due aziende in Italia: una società di importazioni di champagne d’eccellenza e una di una consulenza d’affari e sviluppo commerciale internazionale. Dopo la crisi finanziaria degli anni 2007- 2008, ritornò a Parigi e creò una terza azienda, una “Start Up” della Fintech, specializzata negli investimenti alternativi “private equity” beni come i vini rari e altri beni di lusso. Nonostante le sue scelte lavorative siano ormai orientate esclusivamente nel settore della finanza del mercato internazionale, Delphine non dimentica la sua anima di “wine-picker” e la sua grande passione per il buon vino, che la spronano a combattere e contrastare il pensiero unico comune del “money buy taste”. Per lei, il vino si vive e racconta, non si limita alle valutazioni di un prezzo dichiarato su uno scaffale. Stilò la guida dei vini italiani (600) di Gilbert&Gaillard, collaborato con il gruppo RCS fu giudice internazionale per l’OIV (International Organisation of Vine and Wine) e del International Wine Challenge di Londra. Delphine è una sommelier AIS Milano e diplomata al WSET (Wine & Spirit Education Trust). Secondo Delphine, un vino, anche se a volte può risultare eccezionale non deve essere per forza caro e vice versa, bisogna essere in grado di saperlo apprezzare e prezzare adeguatamente, nel rispetto della classe delle icone come “Château d’Yquem” e gli altri Champagne delle “Grandi Maison”. “Il marketing è un mestiere, il gusto è un dono acquisito, che si esercita nel tempo, degustazione dopo degustazione. Bere e mangiare è un piacere, che fa parte dell’art de vivre che si impara sin da piccoli, si consolida con il tempo e mai si dimentica”. Delphine ama la cucina “brute” abbinata agli champagne

“pas dosés” (non dosati) che esprimono il terroir gessoso dell’omonima regione. Se le chiedete qual è lo Champagne che più l’ha emozionata vi risponderà: “Champagne Bollinger Vieilles vignes françaises 1999, sorseggiando a suo tempo, ai piedi del maestoso Monte Cervino”. Ebbi il piacere e la fortuna di conoscere Delphine, quando nel 2014 cercavo un sommelier per il suggerimento vini della seconda edizione del mio primo libro “Fettuccine Alfredo, Spaghetti Bolognaise & Caesar Salad”. Inizialmente, solo virtualmente, in quanto ci conoscemmo su un social network. Allora Delphine aveva da poco fondato “L’Ecole du Champagne” a Milano, era come sempre molto impegnata e costantemente in viaggio, nonostante, riuscì a stilare la sua particolare non convenzionale e inedita “suggestion wine” che venne apportata al libro. L’anno seguente, Rosario Scarpato, cercava un sommelier indipendente in occasione del “Italian Cuisine & Wine Wolrd Summit 2015”. Proposi Delphine, così divenne la sommelier uffiale del Summit 2015 e del 2016 e finalmente ci conoscemmo di persona. Con grande piacere, colgo l’occasione per annunciare ai nostri lettori che Delphine Veissiere, da questa Edizione Estate 2021, sarà una nuova corrispondente della rubrica “Champagne” di Beyond Taste - Oltre il Gusto Magazine. Dalla “Ricerca Economica Aziendale” alle Maison du Champagne, il passo è breve? Il passo non è stato breve come si potrebbe pensare. Infatti, per aprire il mercato italiano agli Champagne dei Vigneron, ho dovuto elaborare una strategia di mercato vincente ereditata dagli studi fondamentali di valutazione delle coppie mercato/azienda che ho svolto come analista Equity del settore Food & Beverage europeo. Quando fondai l’Ecole du Champagne strutturai una rete nazionale di agenti, per diffondere la cultura dell’abbinamento alla cucina italiana, proponendo anche un servizio di regalistica unico e su misura per le grandi aziende in collaborazione con alcuni produttori e Maison. Di fatto, non ho mai lasciato la ricerca in economia aziendale, avendo in publicato in parallelo articoli di ricerca presentati all’OIV e all American Association of Wine Economists che sono disponibili sulla piattaforma Researchgate dedicata ai lavori dei ricercatori universitari nel mondo. Infine, ho insegnato per anni Strategia di marketing del vino al MIB di Trieste e al Master internazionale dell’Ecole du Management di Strasburgo. Dai “front office” delle Grandi Banche d’Affari milanesi a “wine picker” nelle piccole, quasi sconosciute cantine, sempre di ricerca di tratta? Incontri, degustazioni, coinvolgimento nelle scelte degli assemblaggi e dosaggi dai produttori di champagne. Un’immersione completa è stata necessaria per capire villaggio dopo villaggio le caratteristiche organolettiche dei vini di questo terroir del nord a due passi da Parigi.

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Insomma, un ambiente e un’atmosfera molto diversa dai front office superattivi. Pertanto, la competizione tra gli importatori è serrata e richiede un potere di negoziazzione molto significativo con ciascun vignerons selezionato per poter accedere alle migliori cuvée e millesimati straordinari prodotti in Champagne. Milano o Parigi? Parigi è la mia città natale, di conseguenza, è per me la città più bella del mondo! Città internazionale e ricca, Parigi è un luogo di grandeur dove si respira, dove è facile inamorarsi. Purtroppo oggi Parigi è in grande pericolo. Il potere politico attuale, ossia la stravagante sindaca, peraltro rieletta dagli stessi parigini la maltratta. Parigi si imbrutisce mese dopo mese da diversi anni con la sua impietosa ignoranza e la mancanza di cura della bellezza architetturale e della viabilità. Come rimanere insensibili a tutti questi lavori lasciati incompiuti, che hanno conseguentemente aumentato il traffico e il livello di inquinamento. Certo che anche le distruzioni urbane accadute duranti gli scioperi e le altre manifestazioni dei gilet jaune, prima della comparsa della pandemia, hanno contribuito ad aggravare ulteriormente la situazione. Perciò posso dire che oggi Milano mi manca per la sua mantenuta “art de vivre”, la moda cosi viva e futurista senza dimenticare la creatività della sua ristorazione, rimasta comunque autentica; non compromessa delle logiche finanziarie nocive. Stilare la guida dei 600 migliori vini italiani per Gilbert&Gaillard, è concesso solo ai sommelier totalmente indipendenti? Selezionare 600 vini richiede una ferrea disciplina che si apprende praticando in qualità sommelier e participando ai concorsi internazionali, dove i degustatori provengono da tutto il mondo. L’indipendenza, la conoscenza del territorio e l’allenamento sono essenziali. Non esiste un gusto giusto o sbagliato. Deve essere esercitato, non si tratta di bere ma di degustare in condizioni ben precise che sono; il luogo, la temperatura, la luce, la calma e la messa a disposizione di bicchieri perfetti. Ogni degustazione, per essere imparziale, deve essere svolta alla cieca e ogni vino merita il suo momento di dedizione. Meglio in binomio che da solo lavorando per denominazioni e terroir. Sono Sommelier AIS Milano e diplomata del WSET di Londra, cresciuta con il gusto della cucina e grandi vini francesi. Il più caro, non è detto che sia il più buono. È una filosofia, solo per chi ha conoscenza e competenza nel settore o esiste un metodo di avvicinamento anche per gli appassionati? Se sì, sarebbe il caso di scrivere un manuale? La valutazione “buono o cattivo” è personale. Molte persone non sanno giudicare perchè non hanno un metodo

di giudizio e non sono abituate a dare valutazioni. Il vino, spesso è scelto come accompagnamento al cibo e non vice versa. Un famoso sommelier italiano nel suo ristorante parigino propose una carta, dove il vino doveva essere scelto prima del cibo, purtroppo chiuse la sua attività! Il prezzo è un’indicazione sociale per gli amanti del vino con scarsa conoscenza dei suoi possibili abbinamenti al cibo. Rassicura e garantisce (teoricamente) di fare bella figura a cena o per un regalo particolare. Scegliere bene senza guardare il prezzo, di fatto, è pratica riservata ai grandi conoscitori e ai collezionisti di vini rari. Scrivere un manuale, decriptando le caratteristiche intrinseche di valutazione, potrebbe essere molto divertitente. Vorrei utilizzare un “tool” che abbiamo sviluppato per le grandi aziende innovative a questo scopo, per poter creare quello che manca al settore dei vini italiani di grande pregio rispetto ai grandi Chateaux di Bordeaux. Ne parliamo quando vuoi! Alla fine, la tua passione per la finanza ha sopraffatto quella per il vino o con le “private equity” sei riuscita riuscita a trovare un punto d’incontro? La finanza fa parte del background della mia intelligenza imprenditoriale che dà vita ai progetti per i quali mi appassiono. Il vino è una passione che ho voluto inserire in un business che fu in voga in Italia negli anni 2000. Ora, un nuovo punto d’incontro si sta profilando attraverso la gestione dei portafogli d’investimento che stiamo costruendo nella piattaforma “Wedgeinvest” sviluppata dalla mia ultima azienda parigina Finwedge. Di fatto, il vino è un bene vivo e raro che viene acquistato per due ragioni: la prima è quella del consumo quotidiano o occasionale per feste e incontri speciali, la seconda riguarda i grandi collezionisti, spesso asiatici o americani, che investono nei grandi vini per accedere a delle performance finanziarie superiori a quelli proposti dai prodotti (equity, bond, fondi o dervati) scambiati sui mercati quotati come l’Italian Stock Exchange, per esempio. La pandemia in corso è riuscita a cancellare e posticipare a tempi migliori quasi tutti gli eventi del mondo del vino. Oggi, è più fiorente business convenzionale o quello online? La pandemia ha accelerato la digitalizzazione di tanti business in diversi settori. Di fatto, ha permesso di accelerare le transazioni e gli scambi di merci, vini e altro a livello mondiale. Al momento, non è ancora in grado di eliminare tutti gli intermediari superflui e costosi (solo la tecnologia blockchain potrà permettere questo passo senza che possa diventare il mercato dei contraffattori) e non ha sostitiuto le relazioni umane che in ogni caso sono indispensabili. Il fatto è che un vino non è digitalizzabile come puo essere

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un brano musicale. Certo, il robot degustatore già esiste, ma non sarà mai in grado (anche se molto allenato dagli algoritmi) di tradurre una sensazione, un’emozione, un momento dedicato al vino. Cuisine “brute” e Grandi Champagne, un’attrazione fatale? Sì, è proprio il termine giusto. Si tratta di un’attrazione fatale per degli abbinamenti di eccellenza con delle preparazioni culinarie che utilizzano delle materie prime pure, i condimenti giusti e una cottura perfetta. Tempo fa creai un “bar à champagne” attinente all’eccellente ristorante “Arti d’Oro” nel cuore di Milano, a due passi dal “Castello Sforzesco”, avventura che purtroppo si arenò con la crisi del 2008. Mi riservo la possibilità di riproporre questo progetto in un luogo insolito, forse un lungomare di una località sulle coste italiane.

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Bodegas Muga, tradición y familia en el vino de Rioja

Autor: José Luis Del Campo Villares Fotografias: Bodega Muga

dar forma al actual edificio. La añada 1968 es la primera con la etiqueta Muga en sus botellas. En la actualidad es la 3ª generación la que está al mando de la empresa, 2 mujeres y 5 hombres, unidos por el parentesco de hermanos o primos. Quizás de entre todos

Había muchas ganas de volver a Bodegas Muga y, a pesar de la situación actual con el Covid 19, tomando las medidas de seguridad oportunas, nos acercamos hasta Haro para visitar una de las bodegas con más solera e historia de Rioja. Allí nos esperaban Miguel Ruíz, director de marketing y comunicación, junto a Pablo Orio, enólogo actual de la bodega. Historia Bodegas Muga Muga como tal, es una empresa familiar que se funda en el año 1932, de la mano de Isaac Muga y Aurora Caño. Se asientan en un edificio bicentenario del Barrio de la Estación de Haro. Desde sus comienzos se caracterizan por utilizar materiales nobles, combinando tradición con las técnicas más avanzadas de cada momento. Su objetivo final desde sus orígenes no ha sido otro que elaborar vinos de la máxima calidad sin renunciar a la autenticidad que les caracteriza. Ya en 1932, la familia se lanza a la compra y venta de vino a granel. Pero será la 2ª generación quien tome los pasos para elaborar y etiquetar sus propios vinos, así como para

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sus uvas en época de vendimia, mientras que la crianza tiene lugar siempre en barrica de roble, del mismo tamaño, entre las que priman principalmente las de roble francés. Bodegas Muga es la única bodega en España que cuenta con un maestro cubero y tres toneleros, los cuales fabrican la mayoría de los depósitos y barricas a diario. Ahora mismo cuentan con una sala de crianza con más de 14.000 barricas. Ahí es nada. Recorremos las diferentes salas del complejo bodeguero. Diferentes zonas de elaboración, crianza, embotellado, tonelería, museo, tienda y winebar. La verdad es que recorrer una bodega como está en pleno funcionamiento es una gozada, y más si vas acompañado de gente como Miguel y Pablo.

ellos, Isaac, Manu y Juan sean las cabezas más visibles. Visita Bodegas Muga Comenzamos nuestra visita junto a Pablo y Miguel y nos acercamos a uno de los viñedos de la bodega. Son 350 ha en propiedad las que tiene Muga, más otras 150 ha arrendadas que pertenecen a agricultores de la zona, con los que tienen acuerdos desde hace muchos años, las cuales, trabaja la propia bodega. Encontramos viñedos de todo tipo, grandes y pequeñas parcelas, ubicadas en su mayoría en Rioja Alta, con gran diversidad de orientaciones y suelos, predominando eso si los arcilloso calcáreos. Por norma general hablamos de una viticultura integrada, aunque sí que es cierto que desde bodega están encaminados hacia la viticultura ecológica y biodinámica. Hay parcelas que ya se trabajan así, y posiblemente, más pronto que tarde, alguno de sus vinos reciba tal sello. Es un reto interesante y complicado aunque manejar tal número de ha con ese objetivo se me antoja difícil. De toda la información que recibimos me quedo con la producción controlada y sus estándares de calidad. Siempre buscando la mejor uva, la mejor materia prima para elaborar sus vinos. Prima la calidad por encima de la calidad.Trabajan con variedades típicas de la DOCa Rioja. Viura, Garnacha blanca, Malvasía, Maturana y Chardonnay en blancas, y Tempranillo, Garnacha, Mazuelo y Graciano principalmente en tintas.

Viñedos El conjunto de viñedos que trabaja Bodegas Muga permite encontrarnos con todo tipo de climatología, Mediterráneo, Atlántico y Continental, lo que le permite a la bodega mostrar un abanico increíble de vinos, con carácter diferenciados, de enorme calidad y con un estilo inconfundible, pero para diferentes gustos de los amantes del vino. Probablemente una de los terruños que mejor define la tipicidad de los vinos elaborados en Haro. Sus características tanto geológicas cómo climáticas, confieren a los vinos una marcada personalidad con gran potencial de envejecimiento, haciendo de él un paraje único en La Rioja. La Loma Situada a pocos kilómetros de Haro se encuentra en una meseta con una estructura geológica muy particular a lo que debemos añadir su fantástica protección a los vientos fríos del norte. En pocas palabras, un viñedo de excepción.

Bodega Volvemos a bodega para recorrer sus instalaciones. Destaca por encima de todo el uso del roble en todo el proceso, tanto de elaboración como de crianza. Depósitos de diferentes capacidades, todos ellos de madera, albergan

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Baltracones Son los primeros viñedos en propiedad de la familia Muga. La calidad de nuestros vinos de gama alta reside en este paradisíaco paraje. Tempranillo, Mazuelo, Graciano conviven juntas en este viñedo para darnos magníficos caldos. La Loma Alta Este es el ejemplo del trabajo de una familia por asegurar una calidad en el futuro. Muga no ceja en su empeño de continuar invirtiendo en los mejores terruños de la zona. Para nuestros viñedos de nueva plantación no solo buscamos en recuperar los terrenos de máxima calidad sino que también trabajamos para que la selección de todas y cada una de nuestras cepas sea la mejor y por ello Muga planta sus viñedos con nuestra propia selección de vides. Sajazarra Estos viñedos situados a máxima altitud de La Rioja siendo límite de cultivo consiguen vinos de muy buena acidez y potencial de envejecimiento. Pocas bodegas apuestan por zonas tan extremas, pero nuestro peculiar sistema de cultivo nos permite elaborar vinos de máxima calidad y descubrir el potencial de cada uno de nuestros viñedos. El Espacio Torre Muga Es una propuesta de enoturismo 360, un entorno donde conocer, descubrir, aprender y saborear el vino en su máxima expresión. Un lugar donde se vivir una toda una experiencia. Este espacio refleja las señas de identidad de Bodegas Muga: la pasión por el vino. Tras una visita a la bodega, un curso, una conferencia o por puro deleite, qué mejor que disfrutar de un buen vino en buena compañía. Dentro del Espacio Torre Muga está ubicado nuestro Wine Bar, donde relajarse y degustar cómodamente. Disfruta de un paseo sensorial a través de la degustación de nuestros vinos. El Aula de Cata del Espacio Torre Muga está completamente equipada y dispone de una capacidad de hasta 24 personas.Y tras el trabajo, o sencillamente por puro disfrute, un toque inconfundible para completar cualquier encuentro: una sesión en la Sala de Catas. Una sala única, situada en la parte más alta de la Torre, en la que la luz y un entorno incomparable son un regalo para los sentidos. Un espacio diferente y genuino para “sentir” el vino.

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Montilla - Moriles, viaje a la cuna de la Pedro Ximénez Autor José Luis Del Campo Villares Fotografias del Sobrelias.com Sin duda, una de las zonas vitivinícolas más interesantes que tenemos en nuestro país es Montilla – Moriles, la cuna de una de las varietales autóctonas españolas como es la Pedro Ximénez, conocida como la PX. Nos movemos a la provincia de Córdoba. No obstante, durante mucho tiempo, ha sido una zona que se ha encontrado a la sombra de Jerez, ya que esta era la imagen de los vinos generosos españoles a nivel internacional. Pero lo cierto es que Montilla – Moriles es, sin ningún género de dudas, una de las ‘grandes’ zonas del mundo donde se elaboran los tan afamados finos, olorosos, amontillados, dulces o palos cortado.

se consiguen en las extraordinarias condiciones edafoclimáticas del Valle del Guadalquivir; El vino Oloroso de crianza oxidativa y el Vino dulce Pedro Ximénez, elaborado a partir de la uvas pasificadas al Sol de la variedad que le da nombre. Pero si algo la diferencia por ejemplo de Jerez y sus vinos, es que en Montilla – Moriles nos encontramos con una uva autóctona de la zona que da vinos realmente espectaculares y diferentes. Hablamos de la Pedro Ximénez. Una uva que según los historiadores llegó a España por un soldado español de los Tercios de Flandes que la trajo en una de sus campañas bélicas, aunque también hay quien dice que recibe el nombre de un cardenal católico llamado Pedro Ximénez. El hecho es que en el siglo XVII ya hay referencias escritas de la existencia de esta uva en las Sierras de Málaga, de donde se movió hacia la provincia de

Vinos de Montilla- Moriles Los tipos de vino que se elaboran en la D.O.P. Montilla - Moriles, procedentes en su mayoría de la variedad principal, la uva Pedro Ximénez, que ofrecen una gama amplia de más de doce productos. Entre ellos los vinos sin crianza, los vinos Jóven y de Tinaja, frescos y apropiados para los menos iniciados; vinos de crianza biológica bajo velo de flor, los Vinos Fino, Amontillado y Palo Cortado, verdaderas joyas de la enología mundial y que únicamente

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Córdoba, convirtiéndose en la uva principal de esta zona. Pero a diferencia de la Palomino Fino, más típica de Jerez con la que se elaboran los vinos generosos de esta zona, la Pedro Ximénez es una varietal blanca con una importante presencia de azúcares, lo que hace que los vinos que elaboran presenten un dulzor natural, sin necesidad de que sean encabezados, como se elaboran en jerez (encabezar es añadir alcohol vínico para añadir dulzor y graduación a los vinos). Si nos acercamos a los viñedos de Montilla – Moriles, podemos disfrutar de un espectáculo increíble cuando vemos los racimos de PX expuestos al sol, en lo que se conoce como el asoleo, hacer que se sequen los racimos consiguiendo una concentración de azúcares que permitan la elaboración de los vinos tan especiales que se dan en esta zona. Vinos densos, espesos, oscuros en vista, con toques ámbar caoba, con sabores a pasas y melaza, que es fortificado o no dependiendo de cada bodega y elaborador y envejecido en sistemas de soleras y criaderas. Las Soleras y las Criaderas Al igual que ocurre con los vinos generosos de Jerez, el sistema de criaderas y soleras es fundamental en Montilla – Moriles. Las botas (barricas) tienen una fila a pie de suelo de donde se extrae el vino cada año, la solera, mientras que encima se van situando más botas en diferentes alturas que, cada año, van pasando vino a las que están justo debajo, lo que hace que, al final, cuando lleguen a la solera, no se pueda hablar de un vino de añada, sino que es un vino único cada año, fruto de la evolución de diferentes añadas y que, en vez de ser identificadas por el año de elaboración, se conocen por la fecha en la que se sacan de las botas y se embotellan, lo que tradicionalmente se conoce como ‘la saca’. De esta forma es habitual ver en las etiquetas de los vinos de esta zona con el año de la solera fundacional y con la fecha de la saca. Con esto no quiere decir que no se elaboren vinos de añada, o sea, botas únicas de las que se van realizando año a año sacas para embotellar y que, sin duda, algún día se acabarán, pero que permiten disfrutar de un vino de mucha edad en diferentes sacas que les darán plazos de crianza diferentes.

Bodegas e historia Una de las bodegas de referencia en esta zona es Bodegas Alvear, una bodega que, desde sus inicios es familiar, y que data los inicios de su elaboración de vino allá por el año 1729, lo que la convierte en una de las bodegas historia viva del vino español. Juan Bautista García de Alvear y Garnica nace en Nájera (La Rioja) el 18 de julio de 1.657. Este personaje fue alcalde del Estado noble de Nájera, y cuando ejercía esta actividad fue destinado a Córdoba como Administrador de las Rentas Reales. Se casa en segundas nupcias con una noble señora cordobesa y después nace Diego de Alvear y Escalera, el primero de la saga. Diego, se traslada a Montilla y allí descubre su pasión por la viña y en el vino cuando en 1.729 construye la bodega Alvear. Una bodega pequeña y disimulada en el apretado laberinto de Montilla. De ahí, hasta nuestros días, se ha convertido en un referente de los vinos de Montilla – Moriles a nivel nacional e internacional. Otra de las bodegas referentes de esta zona es Bodegas Toro Albalá. Nace en el corazón de la campiña cordobesa en el año 1922, donde se refleja la historia de un pequeño agricultor, José María Toro Albalá, que tuvo la genial idea de guardar vinos viejos para la creación de joyas enológicas destinadas a los paladares más exigentes. Una filosofía que supo implantar en los valores familiares y que aún se conserva. Una bodega que si elabora vinos de añada que sin duda están presentes en las mesas más gourmets del mundo. Un cambio generacional en los años 60 de la mano del enólogo Antonio Sánchez hace que la marca tome personalidad propia. A partir de entonces, apuesta por recuperar los tesoros de crianza y las tradiciones en el mundo del vino. El sobrino del fundador trajo los aires nuevos de su formación en escuelas europeas y la ilusión de un proyecto del que ha sido partícipe desde los seis años de edad. El legado de este bodeguero, inseparable de sus gafas, no es solo la creación de unas joyas enológicas con estilo propio sino una manera de entender la cultura del vino, rodeado de obras literarias, arqueología o pintura. Todo ello, sin olvidar el incesante aroma que dejan las barricas de

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amontillado que los acompañan. Sabe mantener la calidad de siempre y el sabor clásico. Su especialidad son los amontillados muy punzantes y los Don P.X. insuperables. Estas son dos de las bodegas de las muchas que nos podemos encontrar en esta Denominación de Origen española. Ruta del Vino Montilla - Moriles No podíamos pasar sin mencionar el papel fundamental para la promoción de los vinos y productos de la zona que ha realizado la Ruta del Vino Montilla – Moriles. La Ruta transcurre por el sur de la provincia de Córdoba, en la campiña, y atraviesa 17 municipios: Aguilar de la Frontera, Baena, Cabra, Córdoba, Fernán Núñez, Espejo, La Rambla, Lucena, Montemayor, Montilla, Moriles, Montalbán, Monturque, Castro del Río, Doña Mencía, Santaella y Puente Genil. Esta zona conserva el encanto de un paisaje dominado por viñedos y olivos, una biodiversidad difícilmente alcanzable en

otras zonas vitícolas y acompañado de una gran riqueza Histórica, Artística y Patrimonial de los pueblos que la conforman. Hoy la Ruta del Vino Montilla-Moriles cuenta con más de 60 empresas asociadas entre alojamientos (hoteles, hostales, alojamientos rurales), restaurantes, tabernas, bodegas y lagares, eno-tiendas, museo del mosto, tonelería, alfarería, etc. A su vez, tanto el Patronato provincial de Turismo como el Consejo Regulador de las D.O.P. “MontillaMoriles” y “vinagre de Montilla-Moriles” forman parte de la Ruta del Vino Montilla-Moriles. La Ruta del Vino Montilla-Moriles tiene sus inicios en 2001 por la apuesta que lleva a cabo el Ayuntamiento de Montilla cumpliendo los compromisos que tiene como ciudad del vino y socio de ACEVIN, Asociación Española de Ciudades del Vino. En ese año se constituye la Asociación para la Promoción del Turismo del Vino, AVINTUR, cuyo fin primordial es la promoción y dinamización de la cultura del vino en el territorio de la D.O.P. “Montilla Moriles”. En julio de 2005, se consigue la certificación de la Ruta del Vino Montilla-Moriles, por parte de ACEVIN y la SGT, como Ruta del Vino de España consiguiendo ser la primera ruta certificada de Andalucía.

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Llega el calor, tiempo de rosados y blancos Autor José Luis Del Campo Villares Fotografias del Sobrelias.com Aunque un amante del vino puede disfrutar de cualquier tipo en cualquier momento del año, lo que es innegable es que cuando llega el calor, se suele disfrutar más de aquellos vinos que se sirven a menores temperaturas ya que, además de ser vino, hacen ‘labores’ de bebida refrescante. Por ese motivo tanto los vinos blancos como los rosados suelen tener menor graduación alcohólica que los vinos tintos aunque, últimamente, empiezan a aparecer de estos vinos con crianza que ya presentan graduaciones similares a los de cualquier vino tinto. Si hablamos de vinos rosados, podemos encontrarnos con vinos elaborados con prácticamente todas las uvas tintas del mundo, ya que por la técnica de prensado o sangrado se pueden obtener estos vinos. Según sea mayor o menor dicho procedimiento tendremos mayor o menor extracción de color, dándonos un amplio abanico de vinos en tonalidades que pueden ir pasando por los colorfresa/ frambuesa, pasando por los que tiran más a color rosa hasta llegara a los color ‘piel de cebolla’, típicos de la Provenza francesa. Además, como casi todas las bodegas desde hace unos años para acá han seguido la tendencia de elaborar al menos un vino rosado, nos vamos encontrando cada vez más con vinos rosados diferentes, con crianza en barricas, más carácter, más potentes, o más afrutados, vinificados como vinos blancos para conseguir la mayor presencia de fruta y frescura. Todo esto con el fin de conseguir un

vino rosado diferente que le permita captar un nicho de mercado dentro de los amantes de estos vinos. Podríamos decir incluso que ya se elaboran vinos rosados para todas las épocas del año, no solo para el verano. Algo parecido podíamos decir de los vinos blancos. Mientras que para las épocas calurosas nos encontramos más con vinos blancos suaves, sin crianza, con mucha fruta, frescura, mineralidad y viveza en boca, para el resto del año cada vez son más los vinos que tienen descanso en depósitos sobre sus lías, con paso por barricas en una corta crianza o, incluso, los que ya tienen tanto tiempo en

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roble como los tintos de crianza media y larga. Hoy os recomendamos unos vinos rosados y blancos que seguro que os gustarán y que harán sin duda las delicias de los maridajes que tengáis pensado hacer con los típicos platos de esta época estival que se aproxima. Vinos rosados Hemos preparado una selección que estamos convencidos de que os va a gustar. Nuestra primera recomendación nos lleva a Navarra, concretamente a Bodega Otazu, una bodega Pago de España que elabora un Rosé y un Rosado. Os hemos querido presentar su Rosado elaborado con Merlot. Esta uva, presente en nuestro país, no es muy habitual, por eso que nos haya gustado su Otazu Rosado Merlot. Une frescura y carácter. Elaborado por el tradicional método del sangrado, para respetar al máximo la calidad de la fruta y mantener la personalidad y singularidad de la variedad. Color frambuesa de capa media. Nariz dominada por una explosión de frutas rojas, (grosellas, frambuesas y fresas silvestres) y recuerdos de golosinas. Tiene una boca estructurada, con buen cuerpo, volumen y peso de fruta, de tacto sedoso, con final fresco y aromático. En segundo lugar nos desplazamos a La Rioja, a Bodegas Muga. Al igual que la bodega anterior, posee varios rosados. Nosotros os presentamos el Flor de Muga Rosado. Un vino que se elabora como monovarietal Garnacha que procede de una docena de parcelas, cuidadosamente escogidas, de la zona del Alto Najerilla de clima Continental con una edad entre 70 y 90 años. Viñedos cultivados en vaso,

mayoritariamente en laderas, a una altitud entre 600 y 750 metros, con suelos arcillo-calcáreos y arcillo-ferrosos rojizos idóneos para las garnachas de estos viñedos casi Centenarios. De color rosa pálido, elegante y con una intensidad aromática muy alta. En nariz se muestra complejo y nos encontramos aromas de fruta de hueso (melocotón, nectarina), cítricos, flores blancas y algunas notas especiadas procedentes de los pequeños tinos de madera donde fermenta. En boca es muy expresivo, equilibrado, con buena acidez y suave debido al trabajo de bâtonage realizado con sus finas lías. Largo final en boca. En tercer lugar seguimos en La Rioja con Bodega Contino (del grupo CVNE) y os acercamos su Contino Rosado. Uno de los “Chateau” más maravillosos de Rioja nace este rosado tan singular. Huele como un tinto, sabe cómo un blanco y una crianza de nueve meses en barrica acaba de darle el toque de vino aristócrata. Riquísimo. Un vino elaborado con Graciano, Garnacha y Viura. Con un color fresa intenso, presenta una nariz fresca y fina, presenta una amplia gama de aromas dominados por la fruta roja, que combinan a la perfección con notas cítricas y florales. Una boca que presenta una vibrante acidez que da paso a un largo posgusto. Como cuarta recomendación volvemos a Navarra, a Bodegas Inurrieta, con su Innurieta Mediodía Rosado. Elaborado con un 38% Cabernet Sauvignon, 23% Merlot, 15% Garnacha, 15% Syrah, 5% Graciano y 4% Tempranillo. Es un conjunto de juventud vivaz, luminosidad y experiencia de color, con una vista que nos deja ese color rosa frambuesa de gran viveza y con cuerpo. Una buena y refrescante acidez realza sus sabores.

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Vinos blancos Entre las recomendaciones vinos blancos, hemos tenido que abrir el abanico, y hemos preferido daros unas cuantas recomendaciones sin entrar demasiado en su cata porque así tenéis donde elegir y seréis vosotros los que nos digáis que os han parecido. Eso sí, hemos intentado abrir al máximo la mano en zonas geográficas diferentes y tipos de Uva. Bodega Dominio del Águila, con su Dominio del Águila Albillo Viñas Viejasen Ribera del Duero, puede que sea el mejor vino blanco que probamos el pasado 2020. De Bodegas Vallobera el vino Caudalia de Vallobera, un vino blanco estupendo, fresco y vivo elaborado en Rioja

con Tempranillo Blanco. De Vides y Vinos Ossian, un Verdejo elaborado por uvas de viñas viejas procedentes de la provincia de Segovia al amparo de VT de Castilla y León. Remelluri Blanco, un vino elaborado por Telmo Rodriguez en la Rioja realmente espectacular.

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Giuseppe Giuliano “Tempo d’Estate” di Giuseppe Giuliano fotografia di Giovanni Vernengo Semplicità, rispetto dell’ingrediente, estetica e gusto queste sono alcune delle principali caratteristiche che deve avere un elaborato eseguito da Giuseppe Giuliano. La corretta manipolazione e quindi il rispetto dell’ingrediente per Giuseppe Giuliano diventano le basi principali. Tutte le parti commestibili degli ingredienti usati per la realizzazione dell’elaborato devono essere utilizzate completamente evitando qualsiasi tipo di spreco. Conoscenza delle metodologie e tecniche classiche e innovative, ma soprattutto e studio ricerca per Giuseppe Giuliano diventano fondamentali per il suo lavoro. Gli elaborati presentati sono tre preparazioni che comprendono ingredienti che attraversano la stagione estiva dall’inizio fino ad estate inoltrata. Estate, stagione calda, voglia di stare all’aperto, colori brillanti ed altro ancora, tutte queste componenti ti spingono quasi ad un bisogno di consumare cibi freschi, gustosi ma non troppo elaborati; questo è ciò che esprime Giuseppe Giuliano con la sua cucina e la sua pasticceria. Ecco le proposte presentate da Giuseppe Giuliano. Starter: Crema fredda di favette verdi all’olio extravergine d’oliva, profumata al finocchietto,con seppioline scottate e marinate. Secondo piatto: Salmone affumicato e frutti di mare con emulsione di limoni verdelli e basilico. Dessert: Semifreddo ai gelsi e prugne e mousse alla pesca e mentuccia.

Photographer: Giovanni Vernengo

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L’olio extravergine d’oliva nella mia cucina. L’ulivo che agli uomini appresti la bocca ch’è cibo ch’è luce. (Giovanni Pascoli, I canti di Castelvecchio)

di Mario Puccio fotografia di Laura Rizzo L’olio extravergine di oliva siciliano è tra i migliori in termini di qualità, presenti nel nostro territorio. Si identifica con l’affermazione della cucina siciliana nel mondo, non solo per le sue grandi caratteristiche organolettiche e gusto-olfattive, ma soprattutto per i benefici nutrizionali, che lo vedono al primo posto tra gli alimenti della dieta mediterranea. Oggi sono sei le DOP presenti sull’isola: Monte Etna, Monti Iblei, Valdemone, Val di Mazara, Valli Trapanesi e Valle del Belice, e contestualmente le IGP siciliane. Nella cucina siciliana, l’olio è una presenza molto antica, risalente alle antiche colonie greche che si insediarono in Sicilia. Proprio perché è un territorio vocato alla produzione dell’ulivo, in Sicilia sono presenti tantissime varietà, che

Fotografa: Laura Rizzo grazie alla grande biodiversità e al terreno, consentono di avere un patrimonio inestimabile. “Biancolilla”, “Nocellara del Belice”, “Cersuola”, “Tonda iblea”, “Giarraffa” sono alcune delle “cultivar” presenti, che dopo la spremitura, creano olii veramente incredibili, differenti tra loro per intensità aromatica, acidità e gusto. L’olio extravergine d’ oliva è un prodotto molto versatile non solo in cucina, ma anche in pasticceria, si può perfino realizzare un gelato all’azoto con l’olio extravergine d’oliva, oppure utilizzarlo negli impasti così da renderli più salutari da un punto di vista nutrizionale. L’ olio evo si presta anche ad essere aromatizzato con delle infusioni di agrumi, per esempio con le erbe aromatiche che rilasciando i loro olii essenziali e sentori aromatizzati, mi consentono di creare degli olii con un carattere aromatico molto deciso. Confesso che amo questo prodotto, perché permette di rendere particolari e intriganti i miei piatti. L’utilizzo dell’olio nelle mie preparazioni è prevalentemente a “Crudo” per conferire una nota aromatica e un punto di acidità. Il pesce azzurro, binomio perfetto con l’olio, nella mia cucina di certo manca, perché è molto ricco di proprietà

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nutrizionali e perché il mare siciliano è il suo habitat ideale. Una delle tecniche che prediligo per la sua preparazione è l’olio cottura, che consiste nel cuocere il pesce fresco, abbattuto, per immersione in olio E.V.O. a basse temperature 50°60°. Il pesce così preparato mantiene inalterate, non solo le sue proprietà nutrizionali, ma anche quelle dell’olio, non subendo lo stress del forte impatto con l’elevato calore. I piatti che vi presento sono: Tartare di tonno rosso con perle di tapioca all’olio Evo “Nocellara del Belice” latte di cocco e polvere di peperone arrosto. Linguine con triglie e finocchietto selvatico, “muddica atturrata” all’aglio rosso di Nubia e olio “Valli Trapanesi” Sgombro in olio cottura di “Giarraffa” aromatizzato all’ origano verde con carciofo in crosta di Kataifi e farina di pistacchi, salsa di piselli e cristalli di sale nero. Biancomangiare di mandorla e fragole osmotizzate all’ olio “Biancolilla” alla vaniglia

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Stefania Moroni, arte e ristorazione in scena in un “Theatrum dei Sapori”

Nel tempo, il “brand” Aimo e Nadia si evolve, abbraccia la filosofia di cucina “pura inalterata”, sinonimo di costante ricerca e selezione delle materie prime e si consolida grazie Maurizio Pelli editore al meticoloso e instancabile impegno imprenditoriale della Fotografia: Il Luogo di Aimo e Nadia figlia Stefania Moroni, dal 1999, alla guida di questa Aimo Moroni nasce a Pescia - Pistoia nel 1934. Nel 1946 impresa commerciale assieme ai due Chef imprenditori si traferisce a Milano, dove inizia facendo esperienze nelle Alessandro Negrini e Fabio Pisani che continuano a cucine dei ristoranti della città. Nel 1955, con la madre interpretate la filosofia di cucina semplice di rigorosa Nunzia, già “personal chef” presso alcune famiglie in qualità del Luogo, fondendo gli antichi metodi con le Francia e in Toscana, prende in gestione la cucina di una tecniche più moderne, creando una cucina rinnovata in sintonia con la complessità dei nostri territori e dell’arte trattoria, in zona Stazione Centrale. La lunga storia della ristorazione di successo del Luogo di della cultura italiana. Aimo e Nadia ebbe inizio 1962, quando Aimo e sua moglie Nadia, aprirono il loro ristorante in via Montecuccoli, Nel 2018, Il Luogo viene ristrutturato, gli spazi ridisegnati, zona sud-ovest di Milano, dove, iniziarono il loro percorso includendo il nuovo suggestivo “Theatrum dei Sapori”, personale e professionale che li vide quotidianamente un “luogo nel Luogo” sobrio in stile contemporaneo, una condurre la loro attività con immutato entusiasmo e cucina aperta, più un ambiente domestico “esteso” che un ristorante, creato dell’architetto Paolo Ferrari. Un teatro passione per più di 50 anni. Il “Luogo”, festeggerà 60 anni di attività il prossimo anno: perfetto, dove arte e gastronomia giocano con una cucina un punto di riferimento dell’identità gastronomica italiana più elaborata nei contenuti con profonde radici nel passato, nel mondo, dove, sono stati creati piatti che hanno scandito focalizzata sul rispetto e la qualità degli ingredienti e la l’evoluzione della cucina italiana per più di mezzo secolo. professionalità delle esecuzioni. Un Luogo ideale per gli L’impiego delle migliori e più esclusive materie prime ospiti, non solo stranieri, che desiderano approfondire di alta qualità, frutto di anni di scrupolose selezioni e la conoscenza e fare esperienze reali dei piatti autentici ricerche, impiegate per riportare alla ribalta e portare a della nostra cucina. il “Theatrum dei Sapori” mette a conoscenza ingredienti e tecniche meno conosciute, a disposizione una saletta con una cucina professionale, ideale per eventi privati, dimostrazioni show cooking, volte dimenticate o sconosciute. master class o per un ospite in ispirazione di personale

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performance ai fornelli, che troverà a sua disposizione le migliori materie prime del nostro territorio. Sempre durante lo stesso anno, Aimo e Nadia,, si trasforma in un Gruppo, con l’apertura di altri due locali: “BistRo Aimo e Nadia” e “VOCE Aimo e Nadia”. BistRo, creato in collaborazione con la fashion designer -gallerista - curatrice di mostre internazionali Rossana Orlandi e la Maison Etro, due indiscusse icone dello stile e della moda milanese. Connubi di gusto, una perfetta simbiosi tra piaceri visivi e gustativi “ da vivere in convivialità “fashion e gourmet” che solo le serate milanesi sanno offrire. La cucina e il bar, mantengono gli alti standard del Luogo, proponendo un’offerta più semplice e snella, mirata a soddisfare una completa ristorazione giornaliera, l’impiego di ingredienti autoctoni provenienti dalle nostre diverse zone gastronomiche, sono indicati e specificati nel menu. Un’ammirevole e utilissima iniziativa per i clienti stranieri, che così potranno meglio identificare e collocare correttamente le specialità e i piatti consumati, nelle giuste regioni e zone provenienza nella nostra inusuale e complicata cartina geografica. Voce, è un “Anfiteatro multi task”, che comprende una caffetteria sempre aperta dal mattino sino all’aperitivo, la gelateria artigianale “Spazio 17” “La Dispensa” di prodotti di nicchia del nostro territorio e il “Ristorante Gourmet” all’interno degli spazi gestiti da “Intesa Sanpaolo” del polo museale delle “Gallerie d’Italia”. Durante la nella stagione estiva, il ristorante si trasferisce all’esterno, per godere di uno dei più belli, affascinanti e storici giardini d’Italia, l’incantato Giardino di Alessandro. La proposta degli chef è sempre quella dell’alta qualità, orientata e declinata all’arte proposta dal museo La carta dei vini, di specifica ricerca, è orientata alle piccole cantine di aziende vitivinicole consolidate e internazionalmente riconosciute, radicate nella storia nei loro territori, dove nascono i vini che possono raccontare la peculiarità della loro provenienza. Stefania Moroni, figlia di Aimo e Nadia Moroni, “figura sui generis” nel mondo della ristorazione, “CEO” Amministratore delegato del Gruppo, da sempre felice e fiera di portare con orgoglio l’epiteto di “figlia d’arte”, consapevole dell’importante eredità che comporta. La contraddistinguono una profonda cultura, passione per l’arte e genuina semplicità. Oggi gestisce quella che chiama “la rete” del ristorante, Stefania non ha mai smesso di studiare e aggiornarsi, fin da quando iniziò a lavorare nel Luogo a fianco dei genitori, frequentò corsi alla Bocconi, prese lezioni private per meglio destreggiarsi tra le questioni finanziarie e segui corsi sull’olio e sul vino, ritagliandosi nel tempo una precisa identità in base ai suoi interessi: primo fra tutti

l’arte, con Il Luogo che fu uno di primi ristoranti in Italia a inserire le installazioni artistiche nella sala. Ebbi il piacere di conoscere personalmente Stefania, quando ci ritrovammo nella giuria di “Emergente Sala” di Witaly, durante il “Merano Wine Festival” 2019, uno degli ultimi eventi “dal vivo” pre epidemia. Spero ci si possa ritrovare presto, seduti a un gastronomico tavolo, possibilmente a pandemia debellata. Dal 1962 a oggi, “Il Luogo” è sempre stato in continua evoluzione, con tua decisione di collaborare nel nel ristorante di famiglia, iniziasti a intraprende gli studi di finanza e amministrazione societaria. Contemporaneamente, non tralasciasti di seguire i corsi e gli aggiornamenti enogastronomici di formazione e conoscimento di vini, oli d’oliva e materie prime. Consapevolezza che un giorno, sarebbe arrivato il momento, in cui ti saresti dovuta fare carico di questa eredità? Più che la prospettiva di una futura eredità da prendere in consegna, a muovermi è sempre stata prima di tutto la passione. L’amore che ho per lo studio e l’apprendimento in senso lato, per la gioia di conoscere. È questo che mi ha guidato in tutti i miei percorsi di studio e nei diversi corsi, che ho seguito non tanto con l’intento di possedere una laurea in economia, quanto per riuscire ad approfondire molti aspetti del mondo enogastronomico, guardandolo da prospettive diverse. Certo, durante gli anni è emerso anche il valore strategico di aver intrapreso questo poliedrico percorso, ma la spinta iniziale è arrivata dalla pura passione. Grazie alla tua grande passione per arte e cultura, in collaborazione con Rossana Orlandi, Paolo Ferrari, la Maison Etro, Studio Fontana, hai trasformato Il Luogo, in vortice enogastronomico di “attrazione fatale” per la pittura, scultura, l’Alta moda e il mondo dell’arte milanese. Fu casualità o azione premeditata? Non solo Il Luogo, ma anche gli altri locali interagiscono con l’arte e la cultura, non solo enogastronomica, come segni distintivi. Il “fil rouge” iniziato negli anni ’90, ha legato prima Il Luogo e inseguito gli altri locali all’arte. Questo ha reso possibili collaborazioni come quelle con Rossana Orlandi, e ha fatto sì che Intesa Sanpaolo scegliesse il nostro Gruppo per il progetto che ha portato a “VOCE Aimo e Nadia” all’interno della splendida cornice delle Gallerie d’Italia. Sicuramente in questo percorso hanno giocato sia la casualità che l’azione premeditata (o, comunque, guidata). Certamente il caso ci ha offerto delle occasioni, ma da parte nostra è sempre stata forte e presente la volontà di cogliere questo tipo di opportunità. L’arte è rimasta nel nostro DNA, oggi visibile in diverse forme, con caratteristiche peculiari nei diversi contesti.

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Ereditare un ristorante storico e riuscire a mantenere gli standard è indubbiamente molto impegnativo. Migliorarlo - innovarlo - evolverlo è certamente ardua impresa. Come ci sei riuscita? Credo che la chiave sia stata quella di dare continuità alla mentalità per cui si è consapevoli di lavorare in una squadra, inizialmente familiare, ora composta da un gruppo di soci, ma sempre mossa dal criterio di mantenere l’identità di ciascuno traendo valore dalle specificità di ognuno. Continuare nel solco di un metodo di lavoro allargato, iniziato dai miei genitori, che oggi si è evoluto e affinato. Un valore di un lavoro che continua a essere a più mani e a più teste e che migliora attraverso il confronto, vero motore dell’innovazione. Un’altra delle leve dell’innovazione è certamente l’elemento culturale: l’innovatore giunge a formulare una serie di ipotesi, anticipando magari i tempi, sempre tenendo conto della serie di elementi che giungono dagli studi più diversi e traendo dalle contaminazioni la sua forza. Quello culturale, è per me un motore ancora più forte anche rispetto a tutti quelli che provengono dallo sviluppo delle sole, pur fondamentali, competenze tecniche, poiché consente di avere una visione più ampia, che non si ferma all’immediato ma che procede allargando sempre il campo. Dal 2018, al Gruppo si sono aggiunti due nuovi locali accanto al “Luogo”: VOCE Aimo e Nadia e BistRo Aimo e Nadia. A quale dei tuoi spazi sei più legata? È molto difficile per me rispondere a questa domanda. C’è un frammento di Stefania in ognuno di questi spazi: ho partecipato alla loro genesi, pensandoli da zero partendo dai progetti ancora in stato embrionale. Sono legata in modo diverso a tutti e tre e ognuno ha una propria differente identità. Questo mi consente di apprezzare e amare tutti allo stesso modo, se troppo simili o se avessero troppe affinità, probabilmente finirei per preferirne uno rispetto agli altri, sono le loro specificità intrinseche che me li fanno apprezzare tutti in egual maniera.

abbiamo deciso di intentare un nuovo percorso, siamo andati incontro all’ignoto tipico di un’esperienza nuova, ma abbiamo avuto ragione. Le nostre scelte, ci hanno permesso di mantenere le due Stelle Michelin, portando l’evoluzione nella continuità: “Fin nella stessa grammatica dei nostri sapori, unendo il gesto contemporaneo alla memoria gustativa”. Quanto influisce questa pandemia, i tuoi provvedimenti adottati per contenerla e quali saranno i tuoi progetti post Covid per Il Luogo di Aimo e Nadia? La pandemia ha avuto e continua ad avere un’influenza importante nel mondo della ristorazione, così come in tutto il Paese in generale. Noi, da sempre, ci atteniamo scrupolosamente a tutte le regole, norme, disposizioni e provvedimenti, a partire dal distanziamento e dalla cura delle persone, iniziando prima di tutto dai nostri lavoratori. Il fatto di esserci attenuti scrupolosamente ci ha consentito di gestire al meglio la situazione. Per quanto riguarda i progetti post-covid, posso dire che la progettualità e la pianificazione si sono intensificate in questo periodo, avendo tutti più tempo a disposizione per riflettere, essendo venuta in parte meno la dimensione della quotidianità. In questa sede vorrei solo anticipare che, da qui a un anno, inaugureremo un percorso che coinvolgerà anche e soprattutto Il Luogo, e sarà incentrato tanto sulla cucina quanto sulla sala. Ma questa storia la racconteremo meglio più avanti.

Chef Fabio Pisani & Alessandro Negrini, dal sud della Puglia al nord della Valtellina, due Stelle Michelin, estro e talento contemporaneo con solide radici nella cucina tradizionale classica e regionale, sono indiscussamente i protagonisti perfetti per la tua filosofia di cucina “pura e inalterata”. Fu per caso o per tua ricerca? Da parte mia c’era la volontà di trovare qualcuno che non si prendesse solo carico dell’eredità dei miei genirori, ma che la prendesse anche a cuore, che condividesse i valori e la filosofia di Aimo e Nadia. Non solo riguardo la cucina, ma anche del lato umano, delle relazioni interpersonali, del rapporto con i fornitori, ecc. Quando 10 anni fa i miei genitori si sono ritirati,

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Relocating in Italy Interview by Davide Mengoli Photo copyright by Damien O’Farrell So first of all, I’d like to give a good welcome to Damien O’farrell. Good morning Damien. Well, you too Davide, thank you. So, thank you for accepting first of all the invite to be a part of this information that we’ve been delivering regularly to people that are considering either moving, relocating, purchasing or investing in Italy.So, people of your calibre are extremely useful and probably I would say, paramount to the success of the exercise of relocating or purchasing real estate in Italy, so thank you first of all for all the work that you do for anyone that is thinking about relocating, so with that in mind actually I’ll probably think it would be good for you to tell us uh what is it that you actually do in Italy. Essentially what I do in Italy is, I’m a global mobility expert and in simple terms, what that means is, I take care of people and corporates relocating to Italy; so, I’m the sort of quintessential, one-stop shop. So, I will help them with the housing, though I mainly deal with rentals, I don’t really deal with purchasing of properties, I will take care of the compliance, which is the immigration and then I also provide specific expat coaching programs for people that need a little bit more assistance. I’ve been doing this for over 30 years in Italy and with the various teams that I’ve had through the years I calculated that I’ve overseen a little over 10 000 relocations into Italy both individual and corporate. Amazing! So, one of the reasons why I reached out to you is, because I’ve obviously been following you on the social media and on the professional part of your business, and I can see that you are solid because are so many people I think that sort of tend to improvise in the business of helping other people, because they’ve potentially moved over here, they’ve learned a few things about how the country operates and they kind of improvise offering services and so one of the main purposes of me reaching out to you is, because you are very professional in what you do. You are very solid at what you do and you’ve been doing it for a long period of time so your answers are literally like the bible; where unfortunately sometimes people that are looking at relocating or potentially approaching these issues, they get answers that are a little bit sort of cloudy. Well, they do. I speak a lot about that, I talk about what I call the so-called free information on the internet. The thing that you have to remember is that, when the internet came along it kind of destroyed the entry level bar for people, so basically anybody could just start handing out

information, but when you’re talking specifically about taxation and compliance, a lot of the information on the internet is not case specific, it’s missing pieces, it’s not in sequence; so a lot of the time people don’t know what to do with all of that information and then Facebook came along and then there was an explosion of Facebook groups aimed at expats, and again a lot of the information is not correct and in some cases it is, but particularly when it comes to anything to do with legal stuff, buying a house, renting a house, getting a work permit, your taxes, you need to work with solid people. I mean I’ve had grown adults sitting in front of me crying literally because they took the advice of an unknown person on the internet, so I mean it can also be dangerous. I do agree with you. I’ve been doing this for less than two years now and I’m already coming across people that have made those kinds of wrong choices, unfortunately, and that’s why we’re here. Before we get into the questions, first of all for the audience of YouTube that is watching this program, we’ll put all the links below and they can just go straight onto your website and see the services and come straight to you and contact you personally. Let’s go straight in, because, obviously we can’t cover everything we want; to cover one particular aspect and then probably we’ll meet again on zoom. Zoom is the place to meet these days, I don’t know if it’s a good thing or bad thing, but anyway it’s been good for me. So, we wanted to cover mainly today things in relation to people moving over and we get these questions. I get this question you get these questions, in fact I asked what is the most common questions you get and so the first one is as a non-EU citizen, what are my options for a long-term visa? All non-EU citizens regardless of where they come from, if they do not have a long-term visa for Italy, they have to respect the 90 days in the 90 days out; so, they can come for 90 days and they can leave for 90 days. I’m old enough and I’ve been in Italy long enough to remember where if you overstayed the 90 days not too much would happen, but the world has changed dramatically and Italy’s immigration is connected to its Schengen partners, so once you enter any Schengen country you get registered in the system. In 2022 the European union will launch its SDS system ETIAS, which is similar to the ESTA system for the United States, where you will get pre-approved travel permission. This will make it even more difficult to overstay and even if you get out of Italy after having overstayed, as has happened to some people that I know, you can get caught particularly in Zurich, Amsterdam and Frankfurt; and bestcase scenario they find you, worst case scenario they ban you from the Schengen area for a certain period of time, so it’s not worth it. So if your dream is to live in Italy beyond 90 days, you need a longterm visa

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and you can, I mean in a nutshell that can either be done through an intra-company transfer, so the company in the United States or Canada or India, wherever sends you to work for their local branch in Italy; you can apply for an investor’s visa, you can apply for a self-employment visa, but this is one of the most difficult to get and if you have a certain income that’s not from work, you can apply for what is called an elective residency visa, which is essentially a retirement visa and you go to the consulate, you present all your documentation and they’re issued very much on a case-by-case basis; you also have a start-up visa and I would like to see Italy introduce some other visas that are currently available in other markets, but for now as a nonEU citizen they’re basically your choices. So, people can reach out to you, if that is their dream and ask you the question and then you can actually guide them through the process. That’s fantastic! So, we are also experiencing a big change in the European union, well we’ve experienced that already, it was on and off for a very long time and now it’s coming to effect; we are talking about obviously UK nationals. UK nationals are no longer part of the EU; what are my options if I was a UK citizen and I would like a long-term visa? UK nationals that were living in Italy or that were thinking of living in Italy, had during the transition period up until the 31st of December last year to register in Italy; unfortunately, some didn’t take advantage of that and now they’re in the category of third country national, which means they are essentially non-EU citizens, if they want to come to now live in Italy, they need a long-term visa. It’s still not exactly precise as to how they will do that, I mean, yes, it’s clear in the sense that they will need a visa, but

the consulates are getting still up to speed where this is concerned. If they’re married or they have a partner that’s another EU citizen; for example I have a client at the moment she has a British passport, but she’s married to a man from Ireland and so she can come in on his passport, as can a non- EU citizen like someone from Mexico married to an EU citizen, they can do either family cohesion or family unification; essentially as of January 1st they need a visa, so they need to go to their local consulate and find out what are their options based on their personal circumstances. Yeah, we’ve got a lot of those questions coming through lately. It’s interesting that you gave me one of these questions that is coming across to you quite often about, is it worth importing a car? I thought, “what an interesting question that people ask you, that reach out to you” and I also see that question as well coming through some of the Facebook chats on some of these expat’s groups, so it would be fantastic to hear the answer from a professional. Is it worth bringing my own car if I’m moving over to Italy? My personal opinion is no. This importing of the car is specifically related to the Germans because they really love their cars and so they really want to bring their BMW and their Mercedes to Italy and I can understand that. The thing is that it takes time and labour, depending on where you live; it can take seven to ten months to complete usually; I mean I don’t think I’ve ever met any, although maybe I have; I’ve met maybe two or three people that actually did it themselves and I think they almost ended up, you know, pulling their hair out. The best thing to do is to give it to a driving school in Italy and let them deal with it and if you go down that road, I think more or less the cost

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is somewhere between 600 to 1000 euros plus any disbursement’s translations or legalizations or government stamps or anything like that, but in my personal opinion I would buy a car locally. Okay so unless probably the car is a vintage car or you have a particular sort of affection or something that you’re attached to, then I would say it doesn’t make an excuse and it gets even more complicated if you’re talking about a car from the UK or Ireland. Yes, because they drive on the other side Very good, so okay that answers that question and also a very important question coming up; can I sign up for the SSN so for the for the national health service when I’m over here in Italy? Yes and no is the answer. The national health service, even though it’s called the national health service, is managed on a regional level. You can sign up for this if you have obtained from your home EU country the relevant form and this is like rarer than a hen’s teeth, in the sense that they’re very difficult to find. Other countries are very slow about issuing them, so getting your hands on one of those forms is extremely difficult. If you do manage to get the form, essentially what that means, and this is usually for retired people, it usually means that the home country will pay your bill in Italy; if you are selfemployed in Italy or you do subordinate work, you will be able to sign up for the health service and some regions, if you’re not in one of those three cases, they will allow you to pay in a yearly sum, but some regions, I know Umbria for example, they won’t allow you to do that and I think other regions will follow suit because one of the things, and I’ve been hearing rumours about the elective residency visa, is they’re going

to be raising the bar with regard to applying for that and I think it’s based on the experience that Portugal had with a lot of retirees going there and then signing up for the health service and now with covid all of these health services are extremely burdened, so I think they may start to make it a little bit more difficult for people to sign up. So that leaves probably the option of having a private health thing. I personally have both. I’ve had both for years and the main reason is sometimes well because I’m in Rome so I’m in a major city and sometimes if I want to do something with the national health service the appointment might be two months down the road, so in order to avoid that I go privately, but going privately doesn’t always mean that you get better or higher quality assistance; there are some very good doctors and professionals in the national health service, it’s just that sometimes depending on where you live they might have wait lists for certain exams that you want to take. I guess that’s the same situation in majority of the countries these days. I mean I’ve lived in England for 32 years and it was the same thing; if you wanted something done very fast, you know the best way was to go privately and pay for so and the reason why I’m stressing this point is because sometimes people sort of think that Italy doesn’t have a good solid health service where it is, but just like all the national health services around the world that have been subsidized by the government, there are under a lot of pressure so the service is not as good. You know when I do other webinars, I always stress to

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people it’s not free, we pay for this, yes, you know because people think “wow you’ve got this free system”, no it’s paid for through taxation if you come to live in Italy. I knew a lady who came from the UK, she didn’t qualify for the SSN, she had no private medical insurance, that’s a very precarious situation to be in, so you have to either have one or the other or both, but if you move to Italy you need to have what I call your dream team in place which means your doctor, your dentist, your hairdresser, your lawyer eventually and your accountant. Which brings me to the last question a very interesting question; is it worth having or should I have an accountant if I move to Italy? Absolutely. I would cannot imagine why someone would not want to have an accountant, I mean if you are a tax resident in Italy, I want to stress that this is not my area of expertise, but you become a subject under the radar of the tax authorities, Italy has got some special programs going on for people that move to certain regions and whatever, but even before I talk to people about compliance, I tell them first to talk to an accountant and I say “if you’re happy with what you hear after speaking to the accountant then let’s move forward”, but I don’t think it’s kind of putting the horse before the cart, I think you need to know what you’re going to be responsible for from a taxation point of view if you are thinking of having a business in Italy and I see a lot of questions on the internet about this because people say “well should I open a vat number? Because I heard that you don’t need this if you earn up to 5 000 euros a year”, but I mean 5 000 euros a year is not a lot of money, so if you want to grow, you’re going to need to have a vat number and you’re going to need to work with a savvy accountant who can guide you in the Italian

system. One of the reasons I fortunately have never had major tax problems in Italy is because from day one I understood that I had to be working with an accountant. I didn’t know the system; I would read documents and I would say “what are these documents? I mean this is very complex language”, I mean, I’m not saying I’m Einstein, but I’m also not stupid and I thought, you know, I don’t understand what do they mean so my accountant helped me. Then if you grow even further as an entrepreneur or enterprise then you need a lawyer and you need a work consultant, a labour consultant, they have saved me on so many occasions because I’ve had ideas for businesses and I run them by my dream team, as I call them, and they tell me where I’m going to have the problems, so I said “okay well that’s good. We know the problems, now we can find the solutions” okay right, but you would never move, I mean, there’s a reason why we call somewhere a foreign country and the reason why we use the word foreign is because it’s foreign to us; yes and while it’s wonderful to sit by the sea and have spaghetti alle vongole and wine and whatever, and that’s the wonderful side of Italy, if you live here you want to be able to sleep well at night and that every time the doorbell rings it’s not a registered letter from the tax office. So, I guess that answers the question. We don’t want to scare anyone, but it’s worth to know because i would say, unfortunately, a lot of people, perhaps, have this dream about Italy, they jump on the wagon and they think “oh I don’t need this”, but then back home, you know, they stick to all the rules and they follow all the rules and then they come over to a foreign country, not just Italy in general, and they think “ah there is no rules here we can do what we like”; so it’s good to sort

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of make sure that people follow. It’s not a question of scaring people, it’s a question if, I call it, having a bulletproof relocation. Absolutely. You know, I tell people all the time “if you want to hear that you cannot pay your taxes or you can drive with a foreign car beyond six months”; I’m not the person to work with. I’m the person to work with if you want to sleep well at night. That’s what we like. You see we like that, and I think just to probably wrap it all up, you know, we started by saying that a lot of these social medias have allowed people to have access to people that have similar experiences and they can get access to a basic level of information and I think it’s important to understand that anybody who reaches out to a professional consultant, like yourself, myself or a lawyer or an accountant, just with the idea of having some kind of strategy set up or in place; they need to sort of kind put into place budget, because ,obviously, there is a cost involved in making sure that we give the right advice to people. So I would like to wrap it up just what’s your opinion on that. Well yeah, I mean that’s what I do with the clients. That work with, me we go through a strategy session and I mean, one of the questions that I ask people is “what do you want to achieve out of moving to Italy?” and then based on those answers I put together the program. We look at certain things and you know I say “if you want to be an actor you don’t move to Nebraska you move to New York city, you move to Los Angeles, you moved to London”; and the same is true of any relocation, what are your goals. People complain a lot about the job market in Italy, but there are also a lot of opportunities for people who have get up and go. I’m experiencing that right now. In the one year and a half that we set up a srl here in Italy; we’ve actually gone beyond our expectations because I do have a way, you know, sort of get up and go, about that for many years, so it’s nice when I come across people like yourselves, that are very structured and also that came through the answers that you’ve given to people. There are a lot of gaps in the market in Italy for opportunities and that’s why I walk people through, where they’re going to go to, because if they’re moving to a town with 600 people and they don’t need to work and the quality of the internet is not important, even though now you can get satellite connections, then that quiet bucolic lifestyle is probably going to work out very well. That’s why I have my coaching aspect; where I coach people through, what do they want to do in Italy and then we look at certain things, and they may say “okay I didn’t really think about

that, maybe I need to be in a in a larger city as opposed to a smaller city”. I mean, I also have a little house in Gaeta, two hours south of Rome and I love Gaeta, but I need Rome, I need the city. Nothing is going to get me out of the city, but I know that doesn’t work for everybody, so it’s just a question of setting the expectations with the reality and if we do that, then we end up with, what I call the bulletproof relocation. We get a successful relocation, the person is happy, they sleep well at night and I’ve done my job. So first of all, thank you Damien and the information will be at the bottom of the page of this interview If you would like just to say to people how they can reach out to you perhaps that would be also a great idea. They can reach out to me through my website, which is https://damienofarrell.com/ or they can join my Facebook group, which has almost 15 000 members, it’s called Ultimate Italy and it’s a great community. It’s a very positive community, I don’t tolerate negativity or any low vibration emotions, it’s about encouraging each other, it’s about finding solutions and I’m very proud of that group; and people can come there also to find me. Fantastic! i’d like to say probably, as a closing statement of what you said right at the end, about guiding people through, I find that this is exactly what’s happening for us and that’s why I really wanted to have you on board and potentially we can have some other zoom calls together. We can share some of our knowledge with the world because, I’ve always said this and I’m a great sort of supporter of this, that strategy is the only way to success and you don’t strategize things depending on the importance of what you’re doing, you can strategize something over a couple of minutes, but if you’re strategizing a change of life or a movement to another country, you may need months and you need the professional to help you through, creating the strategy. So, I can’t stress enough how important it is to go through the process and making sure that you put what I really loved about this call today the dream team. I’m going to take away the dream team and I’d love to have you as part of that dream team; so, thank you very much everybody who’s been watching this interview, put a like, leave a comment and join the YouTube page and reach out to Damien for any questions. So, thank you Damien, have a lovely weekend; it’s Friday today, I don’t know if this video will go out tomorrow whatever, but just the important thing that I always say at the end of my video just stay safe wherever you are.

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The wild, wild secrets of caviar By Massimo Vidoni Photo credit: Italtouch - Dubai I’ve always loved traveling, discovering new places and going to the exact source of foods I crave…another reasonwhy I love my job. You see, I’ve felt the cold wind of the Caspian Sea, stood before the picturesque Qiandao lake in China’s Zhejiang province and been close to my home in Italy where sturgeon is farmed. Sadly, after the Soviet Union collapsed in the early 1990s, poaching and pollution destroyed sturgeon supplies in the Caspian Sea. Controls that were put in place, were not enforced and so anyone who had a boat could catch sturgeonswhich of course led to the almost extinction of the species. Thankfully, CITES (The Convention of International Trade of Endangered Species) stepped in and declared wild sturgeon a protected species worldwide. Today, trading wild sturgeon is considered illegal…like smuggling baby pandas or ivory! And so, the new era of farmed caviar started. It’s controlled, sustainable and also more affordable. In the past, only the few super rich or ‘well-connected’ were able to buy from the high-end, blackmarket Iranian Beluga Caviar. One of the first sturgeon farms was started 40 years ago in Italy, followed by the French, Chinese and Americans. Farming caviar is a major investment. While some are private, governments often step in to help them, although now more and more are popping up, but only a few farms can produce high quality and quantity with consistency. To put it into perspective, a Beluga sturgeon produces the caviar that we can use 20 years later. Furthermore, the quality of the caviar depends on the wellbeing of the sturgeon who need fresh water and the highest quality of feed. Farms that safeguard the species, with a sustainable approach relies upon the well-being of the sturgeons. When many of us think ‘farmed’, we tend to envision hundreds of salmon all swimming together in a tank. This is not the case with quality caviar. The money, time and effort it takes to produce caviar is enormous. These farms with breathtaking massive lakes are truly stunning. And knowing that caviar nearly became extinct, seeing these farms is really a good thing! So for Italtouch, I selected three of the oldest caviar farms in the world that can guarantee excellence in quality and consistency of taste. All about our Caviar Tradition Prestige Caviar comes from the white sturgeon, (Acpencer Trasmontanous) a species from the Pacific coast of North America between Alaska & Baja California. It is one of the longest living Sturgeon and it is heavier than 1,750lbs (800 kg) and measures up to 19ft. long (6 m).

Tradition Prestige has large eggs that are silky and have elegant notes. Creamy, buttery flavour arrive first as hints of seaweed yield to a long, impressive clean finish. The taste of this caviar is perfectly balanced, combining delicate nuances of the sea with light, buttery flavour of pastry. The time required to harvest this caviar is approximately 14 to 15 years. Beluga Caviar, Calvisius Italian is a caviar extracted from the Huso Huso sturgeon. A fish that can reach 8 meters (26 ft) in length and more than 1.5 tons (3300 lbs) in weight. Originally found in the Black Sea, Caspian Sea, Azov Sea, it was also present in Italy in the Adriatic Sea, Ionian Sea and their tributaries before its extinction. Its quality is the most rare and expensive, defined by large roe (more than 3 mm), oval shape and colour tones of pearl to dark grey. This caviar has to be tasted strictly by itself to truly appreciate and savour its incredible quality. The time required to harvest this prized caviar is 20 years. Oscietra Royal Caviar is a caviar extracted from the Russian Sturgeon (Acipenser Gueldenstaedtii), a species originally native to the Caspian Sea, Black Sea and Azov Sea. This medium-sized sturgeon can weigh between 20 to 60kg (44 to 132 lbs). Only the largest roe is selected for this elegant caviar, with a subtle fruity and nutty flavour and with tones of dark brown to beige in color. Considered to be one of the more notable caviar, enjoy it on its own. The time required to harvest this caviar is approximately 10 to 11 years. Caviar Ars - Italica is a caviar extracted from the Russian sturgeon (Acipenser Gueldenstaedtii), a species with origins from the Caspian Sea, Black Sea and Azov Sea.

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A medium-sized fish that can weigh from 20 to 60 kg (44 to 132 lbs). This elegant roe with a diameter between 2.7 to 3.2 mm (7/64 to 1/8 inch) boasts a soft flavour with fruity notes and delicate nutty aromas. The colour ranges from dark brown to beige. Considered to be one of the more notable caviars, enjoy it on its own. The time required to harvest this caviar is approximately 9 to 11 years. Italtouch Caviar Exclusive (Hybris Acipenser Schrenckii* Huso dauricus Caviar Kaluga Queen, hybrid). This farm-raised derived from a hybrid of Amur River sturgeons Kaluga (Huso dauricus) and Schrenkii (acipenserschrenkii), has beautiful colours ranging from vibrant gold to chocolate brown with grains that are truly spectacular in size. In addition to being large in size and light in colour, Kaluga Hybrid caviar has an incredible delicate and buttery flavour with a slight hint of the sea and glistening finish. It is a popular caviar amongst chefs, a great balance of texture and flavour. You will love this ecologically friendly farm-raised caviar, with it’s marvelous eggs and mellow, rich, buttery flavour. The time required to harvest this caviar is approximately 10 to 11 years. Iranian Beluga (Huso Huso) Caviar also known as the Beluga Sturgeon or Great sturgeon (Huso huso) is a species of Anadromous fish in the Sturgeon family. The farm is located on the coast of the Caspian Sea in Iran and is the first private company to breed “Wild Sturgeon” and which has released tens of thousands back in the Caspian Sea. The fish are manually feed and the water used for farming is from the Caspian to simulate the same original habitat for the fish. The large roe is oval shape and the colour tones of the pearls are light grey. This caviar has a rich, smooth taste and is of the highest quality. Delicious on it’s on or with some crème fraiche and blinis The time required to harvest this caviar is approximately 18 to 20 years.

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Chef Keiichi Hashimoto of Restaurant Le Sorcier

Interview by: Publisher Margaux Cintrano Photography by: Chef Keiichi Hashimoto, Shunanshi, Yamaguchi, Japan

When designing a complete meal, what factors do you take into account to achieve, the harmony and balance amongst “earth, water, air and fire” elements? Unconsciously, I am always thinking about the next dish or next course. In every day life, at various moments, desirable factors are overflowing. When to water the flowers, a puddle after a rain shower, a beautiful sunset, I feel are always amazing factors. “What is most important, is to feel them” .. Harmony and balance consist of both a sensory part and a logical part. If there is too much emotion it could become excessive and if there is too much logic, it could become boring. Balance is quintessential. What do you consider your best Summer colors, textures and plating arrangements during this season? This year, I have adopted “Change in Time”. For example, “Strawberry Crown”. Clear red jelly reminds me of a beautiful sunset. For this reason, I had taken my

photographs in the early evening. These images are shared with numerous people on the Social Media. Another example is pale green dishes, from my friend Yusuke Wakasa. He expresses beautiful “Seto Inland Sea”. “Seto Inland Sea”, is our native place, and this pale green dish is made of seaweed glaze. So, I utilize this Seaweed and Fish from “Seto Inland Sea”. I want my diners to imagine the aromas of the ocean, feel the sea breezes and hear the sound of the waves from this dish. Which dishes have you created over the years, that you are most proud of, and that gave you a chance to gauge or measure your creativity? There is no superiority or inferiority in the work. All my dishes are special. Everything is precious. Each dish, has a relationship with the customers, a relationship with the ceramic-ware and glass artist and the beautiful landscapes, and a change in time. There are various feelings, and I cannot select what would be considered “the best”. What Covid procedures have you been required to follow to keep your restaurant, kitchen, employees and customers safe? Fortunately, Le Sorcier is a very small restaurant and only uses one table for 4 people. In the Yamaguchi Prefecture, there are very very few infected people. This is my ideal style; to spend time politely, slowly and in

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this way, I do my best with only one group. This style does not come into contact with many people. It is a safety measure. What would you consider your management style to be? Of course, the finest tiny hide-a-way. In looking back, what would you say, was the most memorable moments for you and Le Sorcier? I shall be renovating Le Sorcier on a small scale. Just a little, however, my guess is that it shall be a very important moment for me. If you could invite three people dead or alive for a dinner at Le Sorcier, who would be these three people and why? One of my younger brothers, who passed away, my parents and my other younger brother who are all fine and myself of course. The restaurant is my second home!

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Doctor Susan Levenstein, “Of Masks and Men”. by Dr. Susan Levenstein photography: Cartoon by Joe Heller (copyright of the MASKS) Treatment updates: Budesonide: The study I discussed as a preprint in February, giving high-dose non-absorbed steroid inhalers to outpatients with early disease, has now been published. The trial is placebo-controlled, and its results (fewer severe outcomes, faster healing) make sense, so even though the study wasn’t done “blind” I still believe its results. I’ve prescribed this inhaler several times already. Natural immunity: Judging from a study in Marine recruits, young adults may be less protected than older ones by previous exposure to SARS-CoV-2, perhaps because they get less sick. But this article played down its most disturbing finding: nearly half of the recruits who started out susceptible got infected in the course of the 6-week study. This is insane. Aside from anything else, shouldn’t the recruits’ obligatory 2-week quarantine have weeded out anybody who was infectious? Tocilizumab: I’m tired of reporting mixed results. This time it’s one study in the UK where desperately ill patients getting the drug were less likely to die (though the difference was only 31% vs. 35%), and a meta-analysis where they were not. Bamlanivimab plus etesevimab: Eli Lilly’s monoclonal

antibody combo is running into trouble - not with its science but with its assembly lines. Whistleblowers accuse the company of sloppy quality control and substandard sanitation (!) in its factories, and of lying to the US Food and Drug Administration to sweep its problems under the rug. Resveratrolo: Google “resveratrol COVID-19” and you get 7 million hits about how pills of the famed red wine component can prevent or cure COVID-19. Dream on. But why not get it the natural way? PF-07321332: In March, Pfizer CEO Alfred Bourla created momentary chaos by forseeing boosters of his company’s vaccine once or twice a year, forever, for all human beings on the planet – a prediction Tom Frieden, previous head of the Centers for Disease Control, blasted as being made “for their corporate benefit.” Bourla’s latest exploit is announcing that Pfizer could get an effective anti-COVID19 pill into pharmacies by the end of 2021. Like some successful AIDS and Hepatitis C treatments, PF- 07321332 is a protease inhibitor. Given that other antivirals have done very little for COVID-19 and that this new one doesn’t seem to have even been tried in sick animals, much less humans, the announcement seems more a dream than a prediction. Vaccine updates New kid on the block? After mRNA vaccines (Moderna, Pfizer), adenovirus vector vaccines (AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sputnik), spike protein vaccines (Novavax), and weakened coronavirus vaccines (Sinovac, Sinopharm) now a brand new kind may be in the works: a piece of viral

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DNA is synthesized and allowed to multiply inside specially pared-down Escherichia coli bacteria, the bacteria are killed, and the liberated DNA, in a pill, stimulates a response from the immune system. A single vaccine could supposedly protect against a wide range of coronaviruses, including variants present and future. This platform has already produced a vaccine against one pig virus. Though the process sounds complicated, it is said to be so easy that existing factories could gear up in weeks to churning out tens of millions of doses, so cheap that they’d cost a buck each, and so easy to transport and store that it could sweep the global South. Sounds like a dream – but no such vaccine has yet been given to a single human being. Johnson & Johnson: Back on board in the United States after investigation of clotting complications, it carries a new warning label but no restrictions by age or gender. At least 15 cases and 3 deaths have now surfaced, mostly in women under 50, double the original number. Europe has received very few doses, and Italy and France (at least) are giving them preferentially to older people. For women in their 30’s, the risk of developing life-threatening clotting complications seems to be about 1 in 80,000. That’s less than the risk from birth control pills or the AstraZeneca vaccine, but given the excellent alternatives, and given young women’s low risk of serious COVID-19, I agree with Paul Sax and Leana Wen that women under 50 should be warned off Johnson & Johnson (and AstraZeneca too). The J&J Phase 3 trial has now been properly published, confirming an overall efficacy of 66.1-66.9% against clinical COVID-19 and 85.4% against severe or critical disease, as good in the old as in the young. …did you hear that the guy whose factory ruined 15 million J&J doses sold off $10 million in stocks during the weeks before that disaster came to light? Sinovac: A real-world study analyzing Chile’s vaccination campaign says this Chinese vaccine was 67% effective in preventing symptomatic infection, 85% effective in preventing hospitalizations, and 80% effective in preventing deaths, beating the 50% top-line efficacy previously reported. And in the Indonesian campaign it supposedly prevented 94% of COVID-19 cases, 96% of hospitalizations, and 98% of deaths among 120,000 healthcare workers… Who are we to believe? AstraZeneca: This headline deserves at least a couple of Pinocchios. First of all, according to the preprinted manuscript, single-dose AstraZeneca elicited more of a T-cell response but less of an antibody response than single-dose Pfizer. Second, immune responses are reported 5 weeks after a single dose of vaccine, when most countries will have already given Pfizer’s second dose. Finally, while admiring AstraZeneca for achieving a T-cell response in 31% of people over 80, the FT article admits that two-dose Pfizer does twice as well. Act I: UK authorities claimed they had given millions of doses of AstraZeneca without seeing a single case of

anomalous blood clots. Act II: they admitted they had actually seen 30 cases, 7 of them fatal. Act III: the number of cases is now 242, with 49 deaths. Enough to make the Brits raise the lower age limit for AstraZeneca vaccination from 30 to 40. Pfizer: That giant study of 600,000 Israeli vaccinees and 600,000 matched controls has now been published. People were already 57% protected just 2 weeks after their first dose, and 74% less likely to need hospitalization. Those numbers rose to 92% and 87% a week after the second dose, and were if anything better in the elderly. Asymptomatic infections were cut by a hefty 90%. Anybody wondering how much Pfizer is making off their splendid vaccine? In the first quarter of 2021 it brought in $3.5 billion, with pretax profits pushing a billion bucks. Its CEO, Albert Bourla, made a cool $21 million last year. Germany and France have now extended the time between doses to 6 weeks. Their reasoning makes some sense: elderly people are mostly vaccinated, and youthful immune systems are vigorous enough to tolerate a longer gap. And the medically vulnerable will get their second dose on schedule. This is very different from the UK’s decreeing a 12-week gap for everybody, from the get-go, including the very old. Oddly, now that the Italians are playing copy-cat, they’re getting pushback from Pfizer.I’ve always wondered why the company let the UK get away with it…But how about that 12-week gap? Has the UK won its gamble? Is it OK to give the second dose of the Pfizer vaccine 12 weeks after the first. From the statistics since the vaccination campaign began on December 8th you’d likely say yes. But doubts remain. First there’s the Scottish vaccination campaign suggesting protection starts fading after a mere 5 weeks. Then there’s the fact that nobody’s yet reported a single dose to give protection approaching what you get from two doses – a very recent BMJ article estimates protection against hospitalization among British elderly at 80% from one dose, to be compared to 97% from two doses in Israel. And many, including Anthony Fauci, fear that protection may wear off early if the second dose of vaccine is substantially postponed. Recent reports of outbreaks among one-dose vaccinated elderly people are particularly worrisome. I certainly hope the other skeptics and I are wrong. Sputnik: Soon after its boost from San Marino came a slap in the face from Brazil, where regulators voted unanimously not to approve the Russian vaccine despite a raging epidemic. They cited concerns over efficacy, side effects, and quality control, and said the Russians had blocked factory inspections. The Brazilians apparently found potentially infectious adenovirus in every lot they tested, risking vaccine efficacy and putting vaccinees at risk for adenovirus disease. Gamaleya could find no better response than “fake news.” Slovakia, incidentally, approved the vaccine but then returned its first batch to sender for not matching

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the product that was promised – the Russians called this “an act of sabotage.” A few days later, the British Medical Journal published a detailed critique of the rôle its brother journal The Lancet had played in the ascending trajectory of Sputnik. Let the games begin… Italians do it better: I felt utterly undeserved pride in seeing, soon after the Washington Post and the New York Timestrashed the Italian vaccination campaign, Politico singling outthe Lazio region (which includes my home in Rome) as an example of excellence. Face masks: suits of armor or theatrical costumes? Celebrating Joe Biden’s win in front of the White House – jammed together, masked It is somewhat amazing that a year into the COVID-19 pandemic we still don’t know how well face masks work. Researchers have tried to examine the question using three approaches: 1) Case-control studies asking people with and without COVID-19 whether they wore masks: A study in Maryland found that physical distancing was highly and indoor masking moderately protective, and that risk was increased moderately by using public transportation and greatly by attending places of worship. Then there’s the CDC survey finding that 85% of people with COVID-19 said they had habitually worn masks before getting sick – a finding that got deliciously Trumpified into “85% of the people wearing masks get it.” 2) Studies of mask mandates, mostly comparing areas with one to areas without. In Tennessee, counties that instituted mask mandates had fewer COVID-19 hospitalizations than those that didn’t. But those same counties generally introduced other mitigation mandates simultaneously, related to gatherings, restaurants, bars, etc., so it’s impossible to sort out the impact of masks. A German study comparing regions that introduced mask mandates sooner vs. later reported that masks decreased COVID-19 cases by 45%. Alas, as in Tennessee, the most virtuous regions were also particularly quick to close bars and restaurants, require returning travelers to quarantine, etc., causing hopeless confounding. 3) Randomized, controlled trials. There’s only been one, a Danish study that assigned 6000 people to wear or not wear surgical masks outside their homes (about 4.5 hours a day). Mask wearers had 42 infections and controls 53, a nonsignificant difference. But the trial’s ability to detect an effect was limited: there was little disease around, people were careful about physical distancing, and mask compliance was mediocre. The lead author himself recommended afterward that people mask up. I’ve dumped on outdoor masking repeatedly in this blog, based on everything from Chinese contact tracing studies to examinations of infection patterns following Black Lives Matter protests. Recently many prominent authorities are

leaning in my direction, from epidemiologists Dr. Paul Sax and Monica Gandhi to aerosol expert Linsey Marr and sociologist Zeynep Tufekci. Israel no longer requires any masks outdoors, and the first major loosening of CDC guidelines said it was OK for vaccinated people, at least, to be barefaced outdoors. In one famous argument between Anthony Fauci and Rand PaulI was shocked to find myself on Paul’s side. The question was whether it’s “theater” for vaccinated people to keep wearing masks outdoors – Paul and I both think it is. In fact I’d double down: it’s theater for anyone to wear masks outdoors, except in exceptional circumstances. Indoors, too, masks on vaccinated people are often de trop. Between 95% fewer infections and lower viral loads if they do get infected, people who’ve had both doses of RNA vaccines are extraordinarily unlikely to make other people sick or to get sick themselves. Now the CDC is on the same page, or has even turned it, saying vaccinated people (presumably only those who are not immunosuppressed) can leave their masks off indoors too, except in crowded unventilated spaces, in congregate settings, or near highrisk unvaccinated people. The unvaccinated, though, absolutely must keep wearing proper masks whenever they’re in indoor spaces with unrelated people, even with 6 feet in between and good ventilation. How will any of this work? Vaccinees don’t wear a brand on their foreheads… Many scientists will be turning pale at the leniency of these latest guidelines. Just this month 95% of epidemiologists told the New York Times they thought people should generally keep wearing face masks indoors at least through the summer. Even I think the CDC has gone too far with this one – and it will be impossible to walk back. Surveys find that fewer and fewer Americans are wearing masks – especially the unvaccinated! Mask avoidance and vaccine avoidance seem to reflect the same devil-may-care attitude. We may find out more soon from semi-natural experiments. Researchers in the UK threw a giant club party on April 30th – no masks, no distancing – to study what would happen. And Florida Gov. De Santis has forbidden all mask requirements in his state, at a moment when there are thousands of new cases daily and scores of deaths. Rapper NLE Choppa and fans in a Tuscaloosa nightclub Unfortunately all vaccines were not created equal. Johnson & Johnson is not as good as Pfizer or Moderna at protecting the vaccinee. AstraZeneca is even less effective, and doesn’t prevent asymptomatic infection. So people who received those vaccines really ought to keep masking up in most circumstances, to protect themselves, as long as there is considerable SARS-CoV-2 virus around in the community, and those vaccinated with AstraZeneca really ought to keep masking up to protect others. Some time back a friend forwarded me a rather astonishing article in “The Fort Fairfield Journal.” It was titled “Maine’s Rise in COVID-19 Cases Linked to Face Masks”

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and claimed, with a slew of reputable-sounding citations, that “The Data Shows Prolonged Face Mask Use Increases Risk of Catching Respiratory Illness.” This pseudoscientific screed, nicely citedarticles concluding masks have limited value, but cited none (because none exist) showing masks to increase risk of infection. The Fort Fairfield Journal article was written by its sole contributor, David Deschesne, “the paper’s Editor, Publisher, Graphics Designer, Advertising Sales, Journalist, Researcher, Photographer, IT Support, Legal Advisor, Marketing Representative, Mail Subscriptions, Proofreader, Accounts Receivable/Payable and Website Administrator.” Then there’s an Israeli character named Baruch Vainshelboim, who claimed to be affiliated with Stanford University but wasn’t, and published an antimask article last November that only lasted a millisecond before Medical Hypotheses, a wild-and-wooly journal to start with, yanked it. So many people think face masks are hazardous to your health that one group of researchers felt moved to see whether they caused elderly people’s oxygen levels to drop. Nope – oxygen saturation was 96% before putting on a face mask, 96% while wearing one, and 96% after they took it off. The researchers have been criticized for even trying, since conspiracy theorists are unlikely to be moved by scientific evidence. Variant variations Remember the boy who cried wolf? The one in Aesop’s fables who lied so often about a wolf on the prowl that when a real wolf came around nobody believed him? That’s what the British B.1.1.7 variant story was like. The warnings it was extra-contagious were so overblown that until quite recently I didn’t believe real evidence that it is… What’s not clear is whether B.1.1.7 is also more virulent. In early March there were reports that Danish patients infected with it were more likely to need hospitalization, and studies in the UK claimed it was deadlier than the Wuhan original by a dizzying 55% to 64%. Then came two other reports that were reassuring: users of a tracing app and hospitalized patients had similar symptoms and disease severity whether they had B.1.1.7 or the wild strain. In the latest twist two new UK studies, one following matched pairs of cases and the other analyzing a large dataset, are again reporting higher mortality. At least we do now have solid evidence that the Pfizer vaccine works well to prevent it, and AstraZeneca and Modernaprobably do too. Brazil’s P.1 variant is more contagious, and from what we see in testtubes it may resist current monoclonal antibody therapies. But it seems the AstraZeneca, Moderna, and Pfizer vaccines will all prevent it. Unfortunately the same is not true of the South African B.1.351 variant. We already knew the Novavax and Johnson & Johnson vaccines didn’t do much against it,

that it escaped AstraZeneca altogether, and that current monoclonal antibody therapies are likely ineffective. Moderna is working on a specially-designed booster, though. It’s promising but quite toxic – generally speaking, it apparently should be pretty easy to engineer mRNA vaccines to protect against new variants. Pfizer already shines. We had hints it was less effective against B.1.351 in a study in Israel. But now we have real-world data from Qatar, where half the COVID-19 cases are due to B.1.351 and people are getting Pfizer 75% protection against infection, 100% against severe disease. Though 75% is less than perfect it’s better than what either AstraZeneca or Johnson & Johnson do against any strain. Then there’s B.1.526, familiarly known as the “New York variant,” now causing about half the cases in the city. It may be a bit more contagious, but the Pfizer and Moderna vaccines seem good at warding it off. Some are very worried about the Indian B.1.617 variant and locals often blame it for their current terrifying surge, but most scientists are skeptical and what little evidence we have tends to be reassuring. The World Health Organization has now shifted from calling it a “variant of interest” to a “variant of concern,” but it thinks existing vaccines should work. UK authorities warn that their 1700- plus cases might block reopening plans. There was also worry when a California variant showed up, CAL.20C/B.1.427/B.1.429, but it now seems it may actually be protecting that state against surges elsewhere in the country, by knocking out the more contagious B.1.1.7 version. What could possibly go wrong? Military scientists engineering a groovy microchip that will be implanted under your skin and test you continuously for SARS-CoV-2, detecting COVID-19 before it gives you any symptoms. As per the Facebook post above, offering the Russian government’s take on a 60 minutes interview. And the Russians aren’t the only ones to bite: Well, not exactly… It turns out that: 1) it’s not a microchip but a bit of glowing green goo; 2) it can’t connect to the internet or track you or transmit anything; 3) it is intended to detect nothing as specific as COVID-19 but molecules like oxygen, glucose, lactate that might possibly conceivably maybe reflect a nonspecific state of sickness, like a cold; 4) tissue levels of lactate do increase in desperately ill patients, including if they have COVID-19, but an increase is unlikely to be detectablewhile you’re feeling well.

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Chef Igor Sapega Interview By: Margaux Cintrano, Publisher Photo Copyright: Chef Igor Sapega Firstly, please tell our readers who or what inspired you to become a chef, and when did this passion for gastronomy develop? I have been one of those chefs who hung out in my Grandma’s skirts from an early age during the summers at her cottage outside St. Petersburg, Russia. My grandparents had a big farm with fresh vegetables. We visited these farms and purchased local products to fill our fridges with proteins. We used to go fishing from our lake and cooked fresh fish, or air dried the fish and / or smoked the fish. It was everything from the Russian food culture that I had

learnt from the beginning, and how to take care of the products in the best way possible. However, I have been sickly picky with the foods, for example, boiled duck-egg yolks on my salads. However, recently when my hearing impairment got worse from an antibiotic which was banned in Europe 10 years earlier, my mother decided to move to Norway, which werelocated to a small town on Sweden’s west coast named Varberg. Then, my first experience, with a tasting of a grilled steak with french fries in the late 90’s was the lifechanging moment that would forever change the way,I viewed the culinary arts. I was 9 years old and daydreamed of becoming a football professional. The combination of grilled steak, crispy fries, and homemade bearnaise sauce made me think again. At least temporarily, it was quite an

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between tarragon and parsley. In the kitchen, I obtained an outlet for both my creativity and competitive instinct. Working there was the closest I had come to a professional football match off the field. The feeling in a dressing room ten minutes before kick-off is not different from that in a kitchen, ten minutes before opening. You are in a room full of hyper-serious people with high expectations of themselves, where victory is the only thing that counts. There is a sentiment in it, as “we against them” feeling cool. When Iknow it will be action. I usually got away with scratch and verbal threats. Except on one occasion. If I roll up the shirt sleeve to show the scar from the heated spatula that goes straight over the forearm. A punishment because I was up a few seconds late with a fish from the frying pan because of the communication fault. When I tell people, I always get the same reaction: “How could you stand it?” and “Why did you not strike back?” It is hard for people who were not there to understand. However, with a seasoned CV and a 4-month low-paid chef job in the US, I returned to Sweden to finish my graduation with one year left. I also got a job doing extra nights at Varberg’s finest hotel with a restaurant.

amazing experience for me. The tastiest I´ve ever eaten. I decided to become a chef, if the professional football plans did not work, so that I could cook that steak every day. Since I was 12 years old, “I started studying French at primary school because that was what all the chefs talked about”. However, due to my hearing impairment, my Swedish was not completely perfect, and at a meeting with the teachers, theysaid that I had to stop French classes and take Swedish lessons for immigrants. I, who have a stubborn streak, could not accept this. At the gymnasium, the choice fell on Peder Skrivares Culinary School in Varberg, Sweden. I remember myself as a guy interested in sports with good grades. The winner mindset was there from the beginning, but the focus remained on the football games. During my teenage years, the only thing I wanted to do was to hang out with my friends, play football and video games.

After reading many of your articles and emails, I have seen that a hearing impairment has never dettered you from following your dreams. Tell us, what has been the most challenging and how have you compensated for this? The restaurants in Stockholm in the early 2010s were like any sect. In the beginning before Guide Michelin

Could you tell us about your “Stages”? Firstly, there must be skills and talents in order to be successful. It also takes a lot of time and humility and it is important to use common sense to create and build up a good team with positive and driven people. While I had my 2nd yearof culinary school done, during the summer, I went to Texas, USA to work as a chef, at the age of eighteen, the youngest in kitchen, which became the breeding ground for me, and who could barely distinguish

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previously lacked. Without her, my professional aspirations would not exist today. She is the one who has driven me forward, while I have worked. She has always been there if someone had to make sacrifices and has been forced to put her own dreams on pause so that we can solution and succeed together. Being with my wife and my child, who will be born in October 2021, are my top priorities, above all of my restaurant dreams. Everything must be done with a certain balance for it to work.

put Sweden ontheir culinary map, physical and mental abuse were normal and accepted at all levels. It was not until 2016, that this behaviour was seen in a new light, and that I reacted to how sick everything was. With my disability, my hearing impairment, I have received so much discrimination and had been so depressed, and they even told me to start working at McDonalds as it suited me best there. In retrospect, of course, there were millions of reasons to throw in the towel and move back home to the Swedish Westcoast. However, at the same time, I learnt alot from those years in Stockholm. If I clean fish eighteen hours a day, six days a week, I will eventually be quite good at filleting that fish. The longer I stayed in one place, the less bullying Iencountered. For me, this was not so much about proving how good I was, but about coming out alive on the other side. Not to let myself be broken down. It has also given me positive vibes from other chefs, that due to my hearing impairment, my other senses have been strengthened as taste, smell, feeling and the visuals on the plate. Often, I had not eaten all day and sleep was my hardest commidity. My wife Laura who is also hearing impaired always used to wait for me when I came home so we could have dinner together. I took off my hearing aids, and in total silence and we sat there and talked in sign language. She was the one who kept me alive. We are together five years. Laura has always been the stability of my life. She is a brilliantwoman who has given me perspectives that I

What is your current culinary philosophy and what changes have you had to face due to the Covid Virus? In my vision, innovative and modern, born in theory and adapted to the season. I shuffle freely in front of the computer and brainstorm ideas. I prefer more tangible experimentation in the kitchen. Once the list of ingredients has taken shape, the search for the perfect raw material begins. While other restaurateurs tie the knot to build their menus on locally grown alternatives, preferably grown in their own backyard, I look more into the contacts I have internationally such as truffles from Italy, king crabs from northern Norway and quail from France. An uncompromising pursuit of perfection, where the quality of the raw material always comes first. If the best strawberry comes from the south of France, I choose the French strawberry over the English one, every day of the week. Only taste counts for me. After my 10 years in Stockholm, I´ve made the decision to move to a higher level of kitchen professionalism and

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connect with new chefs and restaurants in London, UK. That is where I got to start in a larger company with a chance for development to succeed. I got the job with the Ritz Hotelbefore covid-19, which has survived those two world wars, unfortunately had to be shut down for the first time in history. To sit in the office face to face with Executive Director John Williams MBE and been told that the Ritz is closing for the first time, and the entire staff of chefs were sent home, and no one knew when London would reopen again. I asked myself, how should I manage my rent, bills, etc. Everything was in lockdown and with my 15 years of experience. The was no other options. Meanwhile, I saw this as a fantastic opportunity to reinventmyself, both physically and mentally and have spent more time with my wife. I had seen more people starting to engage with social media as Instagram, where I started to get more connections with several hearing impaired chefs with whom I have collaborated with and also several influencers we had and created a cooking show once a month in international sign language with success. While social media and world online shopping grew as it cracked, it struck me to start designing my own knives from Seki, Japan and start with sales from my website www. igorsapega.com which have given me jobs to complete, a completely different perspective than stand in the kitchen 18 hours a day. Since then, there have been more requests from curious clients for private catering, where I have been cookingwith my menu of Nordic flavours in luxurious villages in London.

When did you realise that being a professional Chef & Restaurateur was your calling? Sometimes I was thinking, has it always been worth it to be a professional chef? There have been moments when I was wondering what the hell I am doing. At the same time, I have never really felt that there has been an alternative. I had sacrificed a lot at the age of 20 to 30 to get to where I am today. When my friends went on a holiday to Ibiza or on a ski trip to the Alps, I was always kneeling continuously and thoseawful years abroad without even having to try to open my own future restaurant. I wanted to see how far I could have taken it, and it would probably have hurt terribly. That is all I can do. Four years ago, the body said stop. Two decades of stress and brutal work shifts finally took their toll. I was going to play football and was suddenly completely unable to get myself up the stairs to the changing room. There were far too many negative things happening at the same time. From quarrels with my landlord to budgets that burst. It was a useful lesson. Then I felt it was time to start making changes. I had to convince myself that I am better today than what I was before, otherwise it would not have worked. If I have worked 80-100 hours a week at great restaurants in Stockholm and London for several years, most of it looked like child’s play. I could even open my own restaurant before I turned 30, without the help of financiers and rich parents, however, thiswould never have happened if I didn´t experience my past behind me.

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working kitchen ? Do you use Sign Language? There were always solutions, like saying “behind you” instead they had to “knock” on my back, it means I know that someone is behind me. In the beginning of my career with orders during service, I do not hear when they call fourSeabass, as well as any allergies noted or meat must be in medium well as it been told, which can be a big risk if I missto hear those important details. I built my inward to service where I started by being responsible for all orders with easier opportunity for me to control and read out the order, than to receive and cook, which corresponds to a lot of time and mistakes. I am positive there have been a few older wise chefs who have been responsive and tried to find the best solutions for me that it should work fluently and easier to find routines. Sometimes I teach sign language to the youngers chefs as they have more inspiration, often under stress and pressure there is no time to think about trying to communicate in sign language. The only possibility is to work together as a brigade, which is the best way with our routine. How would you best describe the receiving of a Michelin Star? Were you utterly surprised and / or previously notified? I’ve been in the brigade and chased a Michelin star since 2010, of course it came with some relief. A reward after ten years of hard work. But does it change anything for Who and or which tools have had the most inspiration on you to overcome your hearing loss in respect to the laboral path chosen? The best tool I could not do without, are my hearing aids, as well as extra batteries included. Since I have a hearing loss in both ears, and in the middle of service if one of the batteriesstarts to run out, then it becomes difficult to lead the service, to run down to the locker room and recharge with a new battery. Because I must listen and communicate and tell and advise the kitchen that “now I’m half deaf, now we have to start communicating in sign language” which does not give full capacity to chefs under stress in service. It is constantly keeping an eye every time, I must stick to. It takes a lot of strength to fight my disability and try to listen every time. But despite my passion for cooking, is indescribable. If I had stayed in Russia, then I would be more discriminated, been seen as mentally retarded, I would not have been able to learn to speak, I would have been able to work in a broken factory, to tape and past boxes and earn 50 cents per hour. In Sweden I had the opportunity to learn to speak Russian, Swedish, English and Swedish sign language. How do you communicate with your team in a busy

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me personally? No. However, it changes a lot of other things, such as more attention to the restaurant and more guests to the restaurant and offers came about opening new restaurants around Stockholm. Michelin stars create security in the product and security for employees and financiers. However, I am still in the start-up phase and have not yet done a whole season on the premises, so of course it has gone fast. And is far from finished. From a gastronomic point of view, I have only just begun of my career. We are in a much better time now with better products to get hold of. To continue to develop and not stagnate is a responsibility that comes with Michelin stars, which must always be defended. I am not ready to move to Dubai, drive down Aston Martin and become a full time golfer really yet. Every dramaturgically correct success story has one before and one after. Due to the present circumstances regarding Covid, what are you doing at this time, in other words, have you set up a Delivery Service and / or Take Out Service to supply Customers with your Menus? Due Covid-19 lockdowns, we didn’t choose to set up delivery service or take our service, as it doesn´t make a win winsituation, as all chefs were sent home by the UK governments.

will be a long recovery to rebuild the industry, even in the UK we have Brexit affecting all young Europeans, which will be difficult for us to recruit the best. It is the recruitment of staff that is the big challenge. Partly to get young people to study and apply, then get them into working life and partly to get newcomers into working life and retain them. During this summer after lockdowns in UK. I will work more intensively to be able to find the right staff and then be able to retain them. One of the clues and what our industry lacks is that we must become clear and we must become better employers. We cannot remain in the old, but we must look at the new generation and what they want and lack. After all, they are the future and I think we have not been clear enough or careful enough before and that is something I think we should challenge ourselves with and get better at. The restaurant education that exist today can be better. However, it is the same with everything. I think it is especially important that chefs work closely together, with the basic education that isavailable. In this way, we create a better insight into ourworking lives for those students and as employers get a better insight into what we should change and not. In this way, we can more easily comment and have opinions about how we should organise and run a kitchen. Still the industry is flourishing. In London, the restaurant and hospitality industries are slowly returning. Now it is about all restaurants being allowed to live. Which means that we must have enough customer base and we must continue to be good at tourism and the whole associated part. In the future, guests will demand a remarkably high standard of clientel service. We have a hope for a clear luxury segment, at the same time as we must adjust the price and meet the audience that goes out to restaurants very often. It is required that it be possible to find many different types of restaurants with many different types of specialisations and prices. Not to forget is that you we should always have a backup for future recessions. This means that there are very many who are willing to invest and then there is the risk of a future over-establishment. We need to reconsider safety measures in event of another coming recessionand it is important to always be on our toes and be prepared for new twists and challenges.

Let us look ahead, at Post Covid, 2022. Do you have any plans that have been on hold is a “normalcy” I expect everything to be back to normal from 2023, this

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Chef Girolamo Orlando, “La mia evoluzione in cucina”

Nel tempo ho maturato una mia filosofia culinaria legata all’Evoluzione. Lei mi porta a riproporre piatti della tradizione, in chiave contemporanea e futurista, sia alla vista che al gusto. di Girolamo Orlando Un’evoluzione culinaria che prende vita tra tradizione e fotografia di Silvana Laviola innovazione. Per attuarla è fondamentale conoscere la storia, la Sono nato a Palermo e cresciuto a Bagheria, anche se, materia, le tecniche di trasformazione e una buona dose il percorso per diventare Chef mi ha portato a viaggiare di creatività. Questa mia filosofia non mira a sostituire la sin da giovane. Da sempre mi è piaciuta l’arte in tutte cultura gastronomica tradizionale, che rispetto sempre, ma le sue sfaccettature, non a caso ho frequentato anche il a generarne una nuova. conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo per studiare Nei miei piatti mi piace immaginare un racconto trasmesso attraverso il gusto. violino e pianoforte. Grazie a un amico di famiglia, ho scoperto il mondo Uno dei compiti più importanti di uno Chef è quello di culinario e l’affascinante figura di Gualtiero Marchesi. Mi pensare, progettare e realizzare dei piatti, pianificare il sono piaciuti così tanto, da decidere di iscrivermi all’istituto lavoro in cucina e le modalità di somministrazione. Tutto Alberghiero “Pietro Piazza” di Palermo,che mi ha dato la ciò deve rispondere alle necessità del cliente proveniente possibilità di studiare la cucina, di fare i primi viaggi e le da qualsiasi area geografica, la stagionalità e l’aspetto socioculturale del posto. Mi torna sempre in mente mie prime esperienze lavorative, in Italia e all’estero. l’esperienza del mio primo menù alla “carta “ che realizzai Ricordo la prima stagione a Lampedusa. Ero un adolescente con uno chef a me caro che mi diede l’incarico di “Chef di Cucina”. con tanti sogni e poca esperienza. Un percorso duro, che non ho mai voluto abbandonare per Per me l’estetica, nella presentazione di una pietanza è comprendere sempre più la professione di cuoco. In quel importante solo quando risulta chiara, genuina e funzionale. periodo ho lavorato in un piccolo ristorante che si affacciava Rappresenta l’approccio, l’inizio del percorso gustativo e sul porticciolo, che ai miei occhi appariva simile ad un per questo necessità di un’attenta progettazione. castello, in cui iniziai a muovere i primi passi in cucina, Penso che il cibo sia un mezzo di comunicazione tra l’affetto e i rimproveri dei cuochi che mi affidavano indispensabile al mondo; ogni individuo comunica fin dalla diversi compiti. Ricordo con gratitudine la titolare che nascita grazie a esso. Nel tempo è stato usato come mezzo passava con me interi pomeriggi, mentre stavamo seduti a di scambio, di conoscenza, di cortesia e condivisione, che costruisce i legami tra uomo e territorio dai quali nascono guardare il mare e a pulire cassette di sardine. Le ore trascorrevano, mentre lei parlava, io restavo sempre cultura e tradizioni. più affascinato dalle sue sapienti mani che sfilettavano le E’ proprio considerando la tradizione, che a Dicembre dello sardine, alla luce del tramonto. Anni dopo, vinsi una borsa di studio, che mi permise di frequentare la prestigiosa “Ecole Gastronomique Bellouet Counseil” di Parigi, dove appresi le regole della precisione della cura nell’esecuzione tecnica per la realizzazione di dessert di alta pasticceria. L’ambiente francese mi piacque così tanto da decidere ritornarci per lavorare con la catena ristorativa “L’Eléphant”. Passione per la cucina e impegno costante nella formazione, mi hanno condotto ad aggiudicarmi la prima medaglia d’oro agli Internazionali d’Italia di Massa Carrara e varie vittorie conseguite ai Mondiali di cucina di Basilea, alla “Culinary Word Cup” in Lussemburgo, alle “Olympiade der Koche” di Erfurt e i Campionati di cucina di Rimini. Per la realizzazione dei miei piatti mi affido, quando possibile, ai prodotti del territorio dei piccoli produttori, a quelli dei mercati rionali dettati dalla stagionalità. Le scelte sono sempre legate a quello che percepisco con i miei sensi.

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scorso anno, ho avuto l’onore di rendere omaggio al maestro Gualtiero Marchesi, proponendo, in una mia pubblicazione, una reinterpretazione del celebre piatto “Riso, Oro e Zafferano” con la “Pepita d’Oro”, un cuore morbido di riso condito con zafferano e pomodorino giallo, racchiuso in una foglia d’oro alimentare, che ha ricevuto l’approvazione da parte della sua prestigiosa Accademia. Con questo menù propongo al commensale un racconto, partendo proprio dalle mie origini e lasciando che siano i sensi a condurre al percorso gustativo; L’antipasto, “Essenza di Caponata”, lascia al gusto il piacere di riconoscere l’identità di uno degli antipasti siciliani più famosi, “La caponata di melanzane”. Il primo piatto, “ gli Anelloni”, rappresentano la fusione di due identità di pasta della tradizione italiana, “I Cannelloni” e gli “Anelletti”. Il secondo piatto, “L’uovo di pollo”, pietanza inaspettata e dal gusto avvolgente. Il dessert, “Dubai”, elegante e luminoso.

Fotografa: Silvana Laviola

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Marco Lolli - Yachting in Dubai, dal “boat tour” al “mega yacht”.

isole e alla recente realizzazione di “Deira Island” dagli iniziali 72 Km di costa del 1972 agli oltre 300 Km di oggi.

Molte le società specializzate che organizzano “Yacht di Marco Lolli - Vivere a Dubai Charter” offrendo una vasta scelta di proposte a partire fotografia: Dubai Marina Yacht Club - Website dal classico tour di 2 ore, ai noleggi giornalieri privati, Dubai è una metropoli che oggi, offre ai suoi visitati ogni dalla barca per la pesca d’altura al charter per navigare tipo di esperienza, tra le più gettonate e richieste; il charter lungo i Sette Emirati. Avendo disponibilità, non manca la possibilità di noleggiare “Mega Yacht” per un charter alle “Boat Tour”, un giro in barca lungo le sue coste. Una breve escursione, che permette di ammirare dal mare, Maldive - Seychelles - Mauritius - Zanzibar - Madagascar il bellissimo e suggestivo panoramico “Dubai Skyline”, o qualsiasi altro destino. Per gli appassionati della specialmente al tramonto, quando gli splendidi grattacieli Formula1, è possibile noleggiare uno yacht ormeggiato dalle pareti vetrate scintillanti, riflettono i colori del mare a “Yas Island”, in occasione del “Gran Premio di Abu Dhabi”. regalando uno spettacolo mozzafiato. Grazie all’alternarsi delle diverse tipologie architettoniche, composte dalle tipiche costruzioni locali e dagli ultramoderni - futuristici grattacieli si gode di un panorama unico nel suo genere. Navigare nel confort di uno yacht, da nord a sud della città, oltre che appagare la vista permette di capire la filosofia futuristica di una città, che in pochi anni, dal nulla ha realizzato il “Progetto Dubai” grazie alla visionaria guida di S.E. Sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum.

Negli ultimi anni il Governo dell’Emirato di Dubai, grazie alle numerose opere realizzate, ha sviluppato e aumentato notevolmente l’estensione delle sue coste, iniziando da “Palm Jumeirah Island”, che vanta di un diametro di cinque chilometri, al “The World”, costituito da oltre 300

Le barche delle gite di 2 ore, generalmente salpano da uno dei “Yacht Club” di “Dubai Marina” a sud della città. Durante la navigazione è possibile gustare un cocktail circumnavigando Palm Island, sino all’estremità dell’isola di fronte al “Hotel Atlantis”, nelle gite di più ore si naviga lungo tutta la costa, passando per il famosissimo “Burj Al Arab”, costeggiando il The Word per terminare davanti alle spiagge di “La Mer”, da dove, si può ammirare il maestoso “Burj Khalifa” svettare verso il cielo con i suoi 830 metri di altezza. Un’offerta ricca e diversificata per tutti i gusti, esigenze e disponibilità, un’esperienza assolutamente consigliata da non perdere...

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Cape Town Seashore di Corrado Passi fotografia di Mauro Magagna Si apriva la città, ad Alphen, e le colline s’allungavano verso il crinale roccioso che sostiene la Cape Peninsula, un’appendice a galla sull’oceano smeraldo. Lei, guidando, pensò che quella brughiera, con i pini marittimi e la distesa d’acqua all’orizzonte un tessuto invernale e assolato, le ricordava il Sud e i suoi colori che avanzavano, il mattino, con discrezione.

Non una parola, di giorno; il basso continuo del mare e null’altro. Nemmeno quando il sole, dopo mezzogiorno, indora il pulviscolo, nell’aria, e la costa, all’improvviso, diventa nebbiosa e lucente come una lama da toccare con attenzione, per non farsi male. Lui amava quel momento, e ripeterlo a voce alta, di fronte al caffè, e vederla sorridere senzaun motivo, riempiva il mattino di luce.

Dall’altra parte, a poche miglia, Scarborough si svegliava tra la bruma e il sapore denso della notte, l’umido a bagnare il legno, le foglie. Un villaggio non troppo lontano dal rumore della metropoli, si erano detti. Lo abitavano senza rimpianti, impegnati a tenere lontani i ricordi più aspri, con la foschia pomeridiana a dissolvere ciò che ancora restava. L’oceano, dopo vent’anni, quasi non si sentiva più, e questo silenzio, ogni giorno, li incuriosiva, rendendoli ancor più vicini a quella striscia di sabbia costiera che nascondeva relitti, al largo, e urla notturne di tempesta. Urla solo di notte, l’oceano. Quando nessuno lo ascolta, e le rocce sommerse scatenano pianti e dolore, è qualcuno, là sotto, vorrebbe muoverci compassione.

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Canaletto Luxury Food, approccio al caviale “Made in Italy”. di Elena Bonacina fotografia - Canaletto Caviar Pochi sanno che l’Italia è il primo produttore Europeo di caviale da storione allevato. L’Acipenser Sturio è un grande pesce d’acqua dolce, suddiviso in 26 differenti specie, risalente all’era dei dinosauri, 200 milioni di anni or sono, anche se, fu sufficiente solo poco più di un secolo, per rischiare la sua completa estinzione. Per questo motivo, dal 2006, tutto il caviale in commercio, ha l’obbligo di avere un’etichettatura molto precisa dove viene indicata esattamente la sua provenienza di acquacoltura. Il caviale italiano è ecologico e sicuro, perché controllato durante tutte le fasi di produzione, sotto la rigida normativa comunitaria, attenta a non arrecare danni alle popolazioni selvatiche degli storioni. Motivo per il quale abbiamo scelto di commercializzare solo caviale 100% italiano, per offrire ai nostri clienti la cultura del caviale di alta qualità, la sicurezza dell’origine di un prodotto artigianale italiano, contribuendo così a mantenere alta la nostra immagine del campo agroalimentare nel mondo. La chiusura forzata dei ristoranti, la mancanza di eventi, matrimoni, cene e pranzi tra amici ha indubbiamente

limitato il consumo di caviale nei locali pubblici, almeno in Italia, durante tutto il 2020. Ci siamo dedicati al mercato dei privati che, essendo impossibilitati a uscire di casa, hanno acquistato volentieri i prodotti di nicchia per “consolarsi”. L’offerta ha avuto un ottimo riscontro sia da parte degli appassionati che dai novizi che ci conoscevano seguendo i nostri post sui social. Decidemmo così, di proporre post “formativi”, per aiutare i nostri novizi “followers” ad acquisire le nozioni basilari per avvicinarsi al mondo del caviale con consapevolezza e altri post con proposte sempre nuove e accattivanti per i conoscitori. Abbiamo attinto all’immenso archivio fotografico messoci a disposizione da Margaux Cintrano, che in questa occasione, ringraziamo pubblicamente! Fotografie che useremo per presentare le creazioni degli chef più famosi al mondo, abbinate alle nostre “pillole” di conoscenza dalle immagini evocative e assolutamente meravigliose. Il caviale si assapora prima con gli occhi, così, abbiamo stimolato l’interesse dei nostri followers. Inizierò con darvi delle indicazioni su come godere appieno di questo meraviglioso prodotto: Quale tipo di caviale acquistare? Ai ‘neofiti’ consiglio di iniziare con un caviale dal gusto leggero, quello dello “Storione Bianco del Pacifico”, “Acipenser Trasmontanus”, come il nostro “Indaco”. Una volta presa confidenza al palato, potrete passare al

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caviale più strutturato “Osetra” come il nostro “Intenso”, proseguire con il “Siberiano”, il nostro “Neero”, per infine approdare al “Beluga” il nostro “Pervinca”. Controllate sempre l’etichetta sul retro, deve avere tutte le informazioni del “CITES” (Convention International Trade in Endangered Species of wild fauna and flora) e la data di scadenza. Come conservarlo? In frigorifero nel reparto più freddo, +3° max +4°, mai nel freezer. Toglietelo dal frigo solo qualche minuto prima di servirlo e posizionate la confezione al centro sul ghiaccio tritato per mantenerlo in temperatura. Se lo presenterete in tavola in un porta-caviale, in mancanza, potete riversarlo in un contenitore preferibilmente di vetro facendo molta attenzione di non usare un cucchiai di metallo o d’argento, i metalli alterano il suo sapore. Meglio un cucchiaio in madreperla - osso - corno. L’unico metallo prezioso consentito e l’oro! Come aprire una latta, o come la denominano gli appassionati, la “papalina”? Esistono degli attrezzi specifici, se non a disposizione, fate delicatamente leva sotto il bordo del coperchio con il manico di un cucchiaio, lasciate entrare l’aria e la papalina si aprirà come uno scrigno! Come valutare il caviale? Iniziate con gli occhi, soffermatevi e ammiratelo, come fosse un gioiello! State rimirando un prodotto per il quale

ci sono voluti, a seconda della specie, dagli 8 ai 23 anni, per giungere pronto sulla vostra tavola! La degustazione inizia sempre con gli occhi: lo stupore di chi apre per la prima volta una papalina e vede queste piccole sfere luccicanti è indimenticabile. Bisogna essere consapevoli, che trattandosi di prodotto naturale, non tutte le uova saranno identiche: sta all’arte del produttore fare una selezione per colore e diametro, che permettano di creare dei lotti con le uova il più possibile omogenee. La fase successiva sarà sulla mano: il calore della pelle. priva di qualsiasi profumo, farà sì che il caviale freddo ‘si apra’ e rilasci i suoi aromi trovando il giusto equilibrio di sapore e persistenza. Prendete un cucchiaino di caviale e ponetelo sulla mano chiusa a pugno tra il pollice e l’indice. Inclinando leggermente la mano si potrà ammirare la lucentezza che ne indica la freschezza e la burrosità, caratteristica del caviale fresco prodotto seguendo il metodo russo “Malossol”, che significa “con poco sale”. Il colore delle uova, varia a seconda della tipologia del caviale, presenta sfumature dal grigio antracite al nero passando dal grigio più chiaro al marrone, fino al colore dorato che in certi casi è addirittura bianco del caviale “Almas”, che in persiano significa “diamante” e proviene da particolari storioni sterleto o dagli storioni beluga, i più rari in assoluto, conseguentemente i pregiati e costosi, con una particolarità genetica che colpisce solo pochissimi esemplari: la mancanza di melanina. Proseguiamo con la sensazione olfattiva, il profumo: È giunto il momento di sentirne l’aroma: trattandosi di uova di pesce crude e sale i primi sentori saranno, appunto, di pesce e iodio ma anche di mare e di fresco, come in spiaggia durante una mareggiata. Non deve mai avere un odore di pesce troppo marcato. Bisogna comunque tenere in considerazione che dal momento della salatura il caviale ‘matura’ nelle latte originali almeno due mesi prima di essere riconfezionato in papaline più piccole con scadenza di 3 mesi, se fresco, o 6 mesi, se leggermente pastorizzato. Se rimane più a lungo nelle latte originali (e può rimanerci fino a due anni) il sale ‘tira fuori’ il profumo e il sapore di caviale che, più maturo, avrà un’intensità maggiore. E’ un pregio, un difetto? Ci sono diverse correnti di pensiero, personalmente lo preferiamo più ‘giovane’ ma in alcune culture, come in Francia, un sapore più incisivo è molto apprezzato. Finalmente, la degustazione vera e propria. Prendete il caviale della mano, una volta in bocca, spingete le uova verso il palato e lasciatele “scoppiettare’, il “tuorlo” all’interno sprigionerà gli aromi delicati del mare e il retrogusto che, a seconda del tipo di caviale, potrà ricordarvi la frutta secca come la nocciola, il burro, i frutti di mare. Come accompagnare il caviale: La tradizione russa vuole che il caviale si serva abbinato alla vodka. Questa deve essere liscia, non aromatizzata, molto fredda, così da assaporare al meglio il caratteristico

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gusto del protagonista. La vodka aiuta a “sgrassare” la bocca e a predisporla per ogni successivo assaggio. Come alternativa alla vodka? Gin o sakè: la loro componente acida aiuta a sgrassare la bocca dal caviale. I palati più raffinati preferiscono lo Champagne, le bollicine secche favoriscono il flusso degli aromi e fondono la propria complessità aromatica a quella del caviale con effetti decisamente sorprendenti. E il nostro prosecco? Negli ultimi anni la qualità è salita moltissimo di livello, le bollicine secche preservano la persistenza aromatica creando un mix equilibrato e offrendo una vivace freschezza al palato. Le tipologie più delicate di caviale prediligono gli spumanti prodotti con Metodo Classico, che offrono una buona mineralità capace di smorzare l’untuosità del piatto creando un connubio perfetto. Dai vini agrumati a quelli impreziositi da sentori di frutta matura, fino a quelli che arricchiti da note di frutta secca, la scelta del bianco da abbinare al caviale può spaziare in base alla salinità delle varie tipologie. Da provare anche con il Cava, lo spumante spagnolo. Da evitare quelli dalla struttura complessa o aromatizzati, come i passiti o i vini invecchiati in botte. Con cosa abbinare il caviale: Gli chef, essendo dei creativi, con il caviale se abbinato anche ai cibi più semplici come le patate bollite, le uova sode o in camicia riescono a regalare un tocco di ricercatezza.

Semplicemente, servitelo in purezza su tartine con o senza burro, o sui blinis (piccoli e soffici pancake) accompagnati da una goccia di panna acida oppure un sottile filo di burro fresco. Una nostra proposta di menù a base di caviale Antipasti: Le patate bollite, schiacciate o zucca lessata sono ottime basi “neutre” per far risaltare la delicatezza del caviale. Per una presentazione più raffinata, cuocete le patate in forno avvolte da carta stagnola, apritele e scavate la parte alta dove metterete creme frâiche e caviale! Tartine con il salmone sia fresco che affumicato e avocado. Anche il fresco e acido cetriolo è un ottimo connubio. Tartare di gamberi o scampi, la loro dolcezza si sposa perfettamente con l’oscietra L’accostamenti del caviale con le capesante, molluschi dalla consistenza corposa e dal sapore delicato ed elegante, risulta delizioso e ricco di sapore. Tocco superlusso? Ostriche e caviale Primi Piatti: Una sola regola: aggiungere il caviale fuori dal fuoco, non va mai cotto. Pasta lunga, semplicissima, con burro da sciogliere delicatamente con un po’ di vodka – gin - sakè e acqua di cottura, per creare una salsina dove saltare degli spaghetti,

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spento il fuoco aggiungere un generoso cucchiaino di caviale. Risotto con scampi o capesante, mantecato con burrata o stracciatella e l’aggiunta di caviale. Secondi Piatti: Crema di piselli passati al burro con aragosta o scampi al vapore: la burrosità del caviale completerà la dolcezza dei crostacei. Mai provata la carne bianca e delicata di storione? Si può mangiare cruda tagliata sottile come per lo sashimi o in tranci (è priva di lische), o con una tartare di zucchine e un tocco di caviale diventa un secondo appagante. Tartare di manzo, un abbinamento affascinante! La carne appena condita con olio, sale, pepe e il connubio con il caviale renderà il piatto semplicemente perfetto! Un’idea un po’ folle? Sulla pizza, ormai anche questo piatto semplice, si presta ad essere una tavolozza sulla quale la fantasia dello chef disegna l’inimmaginabile. Dessert: Gelato alla panna con caviale Dolce al cioccolato bianco con panna e caviale Blinis dolci, mascarpone e caviale La regola fondamentale è sempre quella di fare attenzione al corretto bilanciamento degli ingredienti. Basatevi sul vostro gusto, la libertà di sperimentare vi permetterà di vivere appieno i vostri desideri.

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Elisa Dilavanzo - Cantina Maeli, da Miss, alla moda in Tv, a Vigneron

di Maurizio Pelli fotografia - Cantina Maeli

Elisa Dilavanzo, rodigina, classe 1977, non nacque vigneron, con passione, tenacia, determinazione e competenza lo divenne. Dopo la maturità classica si iscrisse a giurisprudenza, frequentò per un anno, diede due esami e interruppe gli studi. Iniziò a lavorare in Televisione nel 1998 alla RAI, poi dal 1999 a Mediaset. Dopo sei anni da presentatrice di programmi di moda in Tv e provini cinematografici, decise seguire la sua passione, si iscrisse ai corsi AIS, e si dedicò se stessa esclusivamente al vino. Nel 2008 si diplomò sommelier - degustatore ufficiale vincendo il concorso nazionale, “Charme Sommelier”, organizzato dall’AIS in collaborazione con la Cantina Bisol. Fu in quell’occasione che incontrò per la prima volta Gianluca Bisol, senza sapere che un giorno, sarebbe diventato suo socio nella Cantina Maeli. Elisa vuole lavorare nel mondo del vino, non possedendo un’azienda agricola, iniziò come procacciatore di affari per alcune cantine delle quali, in seguito, ottenne il mandato. In realtà il suo sogno era quello di lavorare all’interno, quando seppe che una cantina dei Colli Berici cercava una posizione per il commerciale, decise di cogliere l’occasione e si fece assumere. Mentre vendeva Garganega e Tai Rosso nei Colli Euganei, incontrò l’albergatore, Massimo Sabbion, che aveva appena rilevato dei vigneti a Luvigliano di Torreglia in un luogo conosciuto come “Le Terre Bianche Del Pirio”. Massimo, intuendo la sua passione e la volontà di imparare, decise di coinvolgerla nel progetto di ristrutturazione di quell’azienda, la Cantina Maeli. Trascorsero due anni, durante i quali si occupò quasi di tutto. Dalla vigna alla cantina alla commercializzazione dei vini. Un giorno, Massimo le comunicò la sua intenzione di vendere l’azienda e il mondo le crollò addosso. Maeli era già la sua vita, amava quei vigneti, che comprendevano anche il suo progetto di valorizzazione del Fior D’Arancio. Progetto, che dipendeva proprio da quello che sarebbe accaduto da quel momento in poi. Fortunatamente, in quel periodo si svolse Vinitaly, così come di consuetudine, andò a salutare Gianluca Bisol al suo stand e lo mise al corrente che, purtroppo, l’azienda dove lavorava nei Colli Euganei era stata messa in vendita. Bisol, incuriosito dalla stravaganza del suo progetto dedicato Moscato Giallo, decise di andarla a trovare nei Colli Euganei. Gianluca, subito rimase sconvolto dalla bellezza del paesaggio, dalle vigne di Luvigliano, dove si scorgevano la laguna di Venezia da un lato e le Dolomiti dall’altro.

Quando assaggiò i vini, rimase profondamente colpito dalla potenza aromatica, dalla mineralità e dall’eleganza del Moscato Giallo, comprendendo così, l’unicità del progetto di Elisa. Celebrare il Moscato Giallo vinificandolo in cinque versioni distinte; da Spumante dolce a Metodo Classico Brut Nature, da vino frizzante rifermentato in bottiglia a vino fermo secco fino al Passito. Bisol decise di supportarla investendo nel progetto, insieme, riuscirono a subentrare alla precedente proprietà. Così, Maeli divenne la sua cantina ed Elisa sì realizzò vigneron. I viaggi virtuali portano non solo in altri Paesi ma danno accesso anche alle case delle persone. Maeli, l’8 marzo 2020, durante la pandemia, fu la prima cantina a lanciare le degustazioni online. Grazie alla tecnologia, si continua a viaggiare virtualmente comunque e ovunque, gli intenti di collaborazione pre Covid, non si fermarono, al contrario, in piena pandemia si consolidarono con gli USA, Canada, Messico, Guatemala, Francia, Belgio, Olanda, Croazia, Romania, Germania e Cina. Nel mondo, si sono aperti nuovi mercati, grazie alla domanda costante e sempre più consistente di vini da agricoltura biologica e sostenibile. Maeli è stata l’unica cantina al mondo ad avere espresso il Moscato Giallo in cinque versioni differenti, riuscendo a suscitare interesse globalmente. La pandemia ha rallentato, quasi fermato il mondo HORECA, registrando un calo di oltre l’80% per cento del fatturato indotto da hotel ristoranti, enoteche, wine bar e catering, mentre gli acquisti online sia nazionali che internazionali hanno avuto un considerevole aumento. Anche le esperienze in cantina hanno attratto più presenze, consolidando una crescita del 213% tra degustazioni, pernottamenti e acquisti. L’estero ha subito un calo appena del 5%, positivamente, al momento, si stanno delineando diverse aperture verso nuovi mercati. Maeli portò Elisa in giro per il mondo, senza sosta, viaggiando costantemente, proprio durante uno dei suoi viaggi ebbi il piacere di conoscere personalmente Elisa e il suo socio Gianluca Bisol in occasione del “Italian Cuisine & Wine World Summit” 2016 di Dubai. I suo I viaggi terminarono con arrivo l’epidemia che si trasformò in pandemia, prima del Covid, Maeli esportava circa il 65% della sua produzione, oggi le esportazioni sono scese al 55%. Con l’ingresso della sommelier Elisa Dilavanzo, grazie alla sua professionalità, Maeli poté investire maggiormente in visibilità internazionale e partecipare ai importanti concorsi vitivinicoli europei Nel 2014, la selezione dei migliori Moscati della “International Competition Muscats du Monde”, assegnò la medaglia d’oro al Fior d’Arancio Maeli di Elisa Dilavanzo.

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Sempre nel 2014, al “Concours Mondial De Bruxelles”, Maeli D+ si è aggiudicò una medaglia d’oro nella categoria “Denominazione di Origine Controllata dei Colli Euganei”. La seconda annata del 2015, venne premiata dai francesi “Gilbert&Gaillard International Challenge 2018”, al concorso degli spumanti del Metodo Classico. Sempre nel 2015 alla rassegna “Champagne & Sparkling Wine World Championships”, concorso tra i più prestigiosi nel mondo delle bollicine, Maeli Fior d’Arancio” Spumante DOCG 2013 - Moscato Giallo 100% ottenne la medaglia d’oro vincendo tra 100 nuovi produttori di spumante in competizione. Le Medaglie d’oro non passarono inosservate, l’agenzia americana Bloomberg giudicò il il vino “Dilà” tra i primi 10 migliori del mondo, listato tra iconici e coronati Champagne, Chassagne Montrachet e Chateaux Margaux. Un vino che secondo gli esperti degustatori di Bloomberg brilla di luce propria, l’unico italiano dei 4000 degustati dalla Master of Wine Elin McCoy. “Una medaglia che va al Moscato Giallo e conseguentemente anche ai Colli Euganei, dove questa uva si esprime in modo unico, affermandosi come un’eccellenza nel panorama vitivinicolo veneto e nazionale e di cui finalmente anche all’estero iniziano ad accorgersi”. Commentò Elisa Dilavanzo. Marna & Limo, sono i caratteri territoriali dei Colli Euganei, dove il Moscato Giallo, trova un grande potenziale nei terreni di antichissime origini vulcaniche, ricchi di trachite, calcare e argilla che nei vigneti si mescolano a strati di marna e di limo. Di qui il nome Maeli Una cantina con vigneti nel centro del Parco Regionale dei Colli Euganei, in provincia di Padova, a meno di un’ora da Venezia. Un territorio che rappresenta un esempio di incredibile biodiversità per la varietà di microclimi che danno origine anche alla diversificazione della vegetazione. La varietà dei terreni, la pendenza delle colline, le differenti esposizioni dei vigneti, le escursioni termiche di questo versante e ancora la ricca vegetazione e di alberi da frutto e ulivi intorno, sono il naturale contesto che Maeli vuole esprimere nei suoi vini. Nel piccolo comprensorio Euganeo si concentra più del 50% della flora e della vegetazione del bacino mediterraneo. Il nord e ricco di boschi grazie al clima più fresco, a sud cresce la pianta del cappero, il fico d’india e favorisce la coltivazione dello zafferano. In questa area tutelata dal Parco Regionale dei Colli Euganei, si estendono i vigneti della Cantina Maeli. A nord di Luvigliano di Torreglia, “Le Terre Bianche Del Pirio” dove possiede circa 20 ettari vitati prevalentemente a Moscato Giallo, vitigno principe della loro produzione. A sud di Baone, vicino alla cantina, sono situati i vitigni

della tradizione e le antiche varietà autoctone, dove Maeli possiede circa 4 ettari vitati a Merlot, Cabernet Sauvignon e Carmenere oltre alcune vitigni, oggi, in via di estinzione come la Corbina Nera, Marzemina Bianca, Pataresca, Vernazzola e Malvasia Istriana. Questi vitigni sono coltivati nel Monte Gemola, una delle colline più iconiche del territorio, caratterizzato da un clima mediterraneo e da terreni vulcanici percorsi da venature calcaree. I vini che nascono qui sono caratterizzati da potenza aromatica, struttura e longevità. La missione di Maeli è la valorizzazione dei vitigni del territorio, con priorità al Moscato Giallo, protagonista assoluto della sua produzione e del Carmenere, uva di origine francese comparsa in Italia per la prima volta intorno al 1830 a Lispida, località dei Colli Euganei poco distante dai loro vigneti. “La Via Del Moscato Giallo”, è un percorso unico e originale di conoscenza e approfondimento di questo vitigno nelle sue cinque versioni differenti: spumante dolce - metodo classico brut nature - vino frizzante imbottigliato con i propri lieviti e rifermentato in bottiglia - vino fermo - vino passito. Completano la gamma della produzione Maeli, le vecchie varierà e i tagli Bordolesi; un rosé frizzate col fondo, imbottigliato con i propri lieviti e rifermentato in bottiglia, da vecchie varietà autoctone come Corbina Nera e Marzemina Bianca, Pataresca, Vernazzola e Malvasia Istriana e due tagli bordolesi impreziositi dalla presenza del Carmenere. Il lungo affinamento dei vini Maeli è frutto di pratiche agronomiche rispettose della natura, grazie alla viticoltura biologica che preserva l’ecosistema e la presenza di insetti, piante e organismi che vivono sia in vigneto che nel sottosuolo. In cantina favoriscono il più possibile le fermentazioni spontanee, con i lieviti delle loro uve contenendo il più possibile l’uso di solfiti. I vini non escono mai prima di due o tre anni dalla vendemmia. Maeli crede fermamente che il tempo e la sapiente e rispettosa mano dell’uomo, in vigna come in cantina, siano gli artefici che insieme possono contribuire a esprimere al meglio le peculiarità di ogni vino. Dai programmi “Fashion Tv” a “Vigneron”, il passo è breve? Non brevissimo in verità, i Colli Euganei erano già nel mio destino. Da piccola giocavo tra i vigneti vicino alla casa degli zii a Baone, esattamente dove si trova la cantina Maeli in Via Dietro Cero, a circa 100 metri dalla casa dei miei bisnonni, che ai loro tempi si dilettavano a fare vino. Da cosa nasce la tua passione per vino, o meglio, per la viticoltura? Dalla curiosità, di conoscere, cogliere affinità e diversità

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del mondo vitivinicolo. Ho avuto la fortuna di viaggiare molto e di testare i vini di tutto il mondo. Così, ho deciso di approfondire la mia conoscenza, iscrivendomi ai corsi AIS. Nel 2008 mi sono diplomata Sommelier AIS e Degustatore Ufficiale AIS vincendo il concorso nazionale, Charme Sommelier, organizzato dall’AIS in collaborazione con la cantina Bisol. L’unico modo per far parte del mondo del vino, era per me quello di rappresentare le cantine e di vendere i loro vini. Proprio il destino però, mentre vendevo vino, mi ha portata nei Colli Euganei, a Maeli. Lì ho conosciuto il Moscato Giallo, è stato amore a prima vista. Ho sentito che potevo in qualche modo reinterpretare questo vitigno e che la mia passione poteva diventare una missione unica nel suo genere, quella di valorizzare il Moscato Giallo in cinque distinte versioni. Soddisfare una passione è pratica ardua e complessa, dopo esserci riuscita, qual è oggi il tuo bilancio tra soddisfazioni, obbligazioni, sacrifici e rinunce? In realtà mi sembra di aver appena imboccato la strada che cercavo e ho l’impressione che dovrò percorrere ancora un lungo tragitto. Per fortuna ho trovato delle guide preziose e dei buoni compagni di viaggio, i miei collaboratori in primis, che hanno compreso e fatto loro la missione di Maeli. Sono molto esigente, ancora prima che con gli altri, con me stessa. Quando hai un’immensa opportunità nella tua vita come quella che mi è capitata, non si deve sprecare nemmeno un secondo e bisogna fare tesoro di tutto ciò che può diventare esperienza. Vivo Maeli di giorno, tra vigneto, cantina e ospitalità e ancora in cantina la notte, quando ripenso a quel taglio del vino che può ancora migliorare, quando mi interrogo se sia giusto imbottigliare ora o più avanti, quando penso a nuove connessioni del vino con tutto ciò che mi piace e che fa parte della mia vita. Sono felice così.

in base a parametri più soggettivi e che sono interessanti per interpretare i gusti e le tendenze della clientela e dei mercati. Covid ha cambiato il modo di interagire con clienti, “Porte chiuse in Cantina”, chi ebbe l’idea di riaprirle tramite le degustazioni online? Maeli è stata la prima cantina in Italia a lanciare le degustazioni online. Avevamo appena creato una e-commerce all’interno del nostro sito www.maeliwine. com, ma sentivo che mancava il rapporto umano che si crea con i winelovers o con un ospite che viene a trovarti in cantina. All’inizio ho pensato di caricare un video dove spiegavo i vini acquistati in un link, ma non era abbastanza, non c’era interazione. Perciò ho pensato di condividere la degustazione sulle piattaforme online, in modo da ricreare quel dialogo fatto di scambio di informazioni, di impressioni, di emozioni che è la parte più bella della degustazione in cantina. Ora, da Vigneron consolida e riconosciuta, quale sarà il tuo prossimo obbiettivo? Non esageriamo…ho ancora tutto da imparare! L’obiettivo, ora, è rendere la cantina un luogo dove anche chi non è un esperto può trovare il suo modo di interagire con il vino. Mi piace creare connessioni tra il vino e l’arte, la musica e la cultura. Perciò ho ideato un progetto, “Maeli Stappa l’Arte” dove la degustazione in cantina diviene un’esperienza multisensoriale perché vissuta in un contesto coinvolgente, grazie alla suggestione della musica, all’introspezione generata dalla lettura di un libro o da un approccio di tipo olistico al vino. Mi piace quando il vino ti porta fuori dal calice alla scoperta di un territorio e del mondo, sia quello fuori che quello dentro di noi.

Da finalista a Miss Italia e Miss Universo alle medaglie d’oro conquistate ai concorsi con i tuoi vini, sempre di competizioni si tratta? È vero! Nei concorsi di bellezza hai il vantaggio vedere le altre concorrenti e di sapere chi sono i giurati. Nel vino non sai chi sono gli altri concorrenti, concorri con territori e nazioni da tutto il mondo. Fermo restando che la qualità del vino è assolutamente fondamentale, entrano in gioco anche altri fattori, come la piacevolezza della beva, se il vino è attuale o vecchio stile e la sua versatilità. I concorsi inoltre si sono diversificati, uno premia le bollicine, un altro la miglior espressione di quel vitigno, uno è dedicato ai vitigni autoctoni, un altro è centrato sui vini naturali. A me piace confrontarmi con il mondo, dato che al momento esportiamo buona parte della nostra produzione all’estero. È sempre bene avere un feedback che arriva proprio dai concorsi, alcuni dei quali coinvolgono i consumatori stessi, che valutano un vino

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Elena Fucci, vocata vigneron, per designazione ereditaria

Maurizio Pelli editore fotografia di Elena Fucci

Elena Fucci, nasce a Barile - Potenza nel 1981, tra i vigneti acquistati dal nonno Generoso negli anni sessanta. Da ragazza, durante gli studi, Elena e le sorelle sognavano di lasciare il paese natio in favore di un futuro di avventure ed esperienze, lontano dalle colline di Barile, viaggiando attorno al mondo in cerca di fortuna e opportunità. Il destino, al contrario, l’aveva già vocata vigneron per designazione ereditaria. Con i genitori, entrambi insegnanti, in famiglia si discuteva di mettere in vendita i bellissimi vigneti di proprietà che circondano la loro abitazione, immersa nelle vigne della parte più alta dei poderi situati in Contrada Solagna del Titolo ai piedi del Monte Vulture. Durante lo scorrere degli anni, il nonno e il bisnonno prima di lui, coltivarono le vigne, limitandosi a vendere le uve e produrre vino solo per autoconsumo. “Sei ettari non si tengono per scherzo”, dicevano, quando ormai decisi a vendere, fino al momento che gli acquirenti interessati iniziarono a bussare alla porta. Durante una trattativa con un ipotetico compratore, proprio all’ultimo momento, Elena, accusò un colpo al cuore. Non sopportava l’idea che qualcuno le portasse via i vigneti da sotto il panoramico sguardo e che un cognome diverso dal suo

potesse realizzare qualcosa di grande con i vigneti più vecchi del Vulture, la maggior parte tra i 55 - 60 anni e alcuni poco meno di 70. Così, Elena, decise di cambiare i programmi della sua vita e quelli della sua famiglia e di investire sul suo territorio e sulle risorse che avevano permesso a suo padre, e ancora prima ai nonni e bisnonni di vivere e di crescere nel Vulture. Elena confidò ai genitori la sua idea e l’intenzione di studiare enologia all’università, furono immediatamente più che contenti e molto disponibili. Suo padre, parve covasse questo sogno già da tempo, tanto che Elena lo trovò già informato sulle possibili facoltà di Agraria delle università italiane dove avrebbe potuto iscriversi e su tutto quello che sarebbe servito per avviare il suo progetto. Elena, con entusiasmo, frequentò l’Università di Agraria - Corso di Viticoltura ed Enologia - di Pisa , laureandosi nel 2005 e ancora più motivata affrontò gli stage in alcune delle più più rinomate cantine italiane in Toscana, Trentino, Alto Adige, Sardegna e a Bordeaux in Francia. Titolare, enologa, agronoma e volto dell’azienda, Elena inizialmente fu affiancata da un professionista esterno, durante la vendemmia del 2000 la cantina prese vita e iniziò la sua attività. Il suo progetto di investimento nell’azienda, prese forma puntando tutto su un unico grande vino, una sola etichetta il “Titolo”, immaginandolo come un cru, per motivi oggettivi legati alle rese dei vigneti e per la qualità delle uve offerte dalla maturità delle piante, ideali per rappresentare

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al meglio le caratteristiche dell’Aglianico, che nel Volture, grazie al terroir e al microclima unico offrono la loro massima espressione. Dal 2004, Elena sì occupa della vinificazione del prodotto, in prima persona. “Il lavoro che svolgo in vigna non è viticoltura una vera e propria opera di giardinaggio, tanta è la cura dedicata alle mie viti, sempre rispettando i cicli stagionali della natura, mai impiegando prodotti chimici e vinificando soltanto le mie uve”. Asserisce con orgoglio Elena. La sua interpretazione del territorio viene definita dagli addetti del settore “moderna, ma, non modernista”. Moderna, per aver compreso come interpretare le reali necessità del vitigno in termini di maturazione e di affinamento. “non modernista” perché Elena lavora sempre senza stravolgere le caratteristiche del frutto che il vigneto regala”. La cantina storica dell’azienda fu ricavata nei vecchi locali sotto l’abitazione di famiglia “Torre Titolo”, dove nonno Generoso ricoverava i mezzi e le attrezzature agricole. Un primo ampliamento fu eseguito scavando direttamente nella roccia vulcanica per ospitare la barriccaia. Recentemente è stato completato un nuovo progetto di ampliamento, adiacente al corpo storico aziendale, collegato alla struttura da un tunnel scavato nella roccia. La nuova struttura è stata costruita secondo i principi della bioarchitettura, impiegando materiali di recupero e riciclo, sistemi di isolamento termico, ventilazione naturale per azzerare l’uso degli impatti e ridurre i consumi energetici. La cantina è dotata di tutte le più moderne attrezzature necessarie ed è stata concepita per garantire le migliori attenzioni possibili al Titolo. Terre generose, dove le vigne volgono lo sguardo con orgoglio e timore il Monte Vulture, come se stessero cercando conferma del riscontro della qualità delle uve e dei vino prodotti duranti lo scorrere del tempo. Un contesto di bellezza senza pari dove il sole, la pioggia, la neve e i venti scandiscono l’alternarsi delle stagioni accanto a un vitigno importante, l’Aglianico del Vulture, che la loro famiglia, da sempre lavora con passione per conservare i caratteri unici e inconfondibili del loro vino. Elena, non solo ne cambiò il programmi, alla sua famiglia, assegnò anche i ruoli chiave in azienda: Nonno Generoso, possiede l’arte della viticoltura nel sangue, nonostante le sue 94 primavere, segue personalmente e quotidianamente i vigneti. Ogni anno, dopo la vendemmia, è una lotta, non fanno in tempo a portare l’uva in cantina che Generoso sarebbe pronto a potare le piante, preoccupandosi di lasciare tutto in ordine nel caso dovesse trovarsi a “partire” anzitempo. Salvatore Fucci, il vero uomo immagine dell’azienda, si

è fatto carico dei sogni di Elena, impegnando tutto quello che aveva per assecondarli (molto probabilmente sognava anche lui la stessa storia). Nonostante non parli inglese, accoglie i clienti in azienda, facendosi capire e rendendo divertente ogni momento della visita. Andrea Manzani, da buon fiorentino ha l’organizzazione e l’arte del commercio nel sangue. Il suo apporto è stato determinante per allargare gli orizzonti commerciali, anche se spesso capita di vederlo girare con il trattore in vigna o con il decespugliatore, come attività defaticanti. Sophia Fucci, sorella minore, è la presenza giovane ma fondamentale nell’azienda. Grazie al carattere spigliato e alle sue abilità nella comunicazione sui social network, si occupa della divulgazione dell’Aglianico del Vulture e delle pubbliche relazioni. La forza e la mineralità dei terreni vulcanici, l’acidità donata dalle forti escursioni termiche, sono caratteri che non si esauriscono nel profumo e nel colore, nella limpidezza e nel sapore, ma vivono nella personalità di questo vino, il Titolo, che grazie al suo equilibrio, possiede la capacità di trasmettere i suoi sentori originali a chi lo beve. “La riconoscibilità, fondata sulla rappresentatività del territorio”, è stato il più grande complimento assegnato al Titolo. Chi visiterà la cantina e l’azienda, vedrà i vigneti di una zona interna, montana, posti a 600 metri di altezza, su un terreno vulcanico. Passeggiando tra i filari, senza mai perdere di vista il Monte Vulture, si cammina su un terreno fortemente minerale, dal colore scuro e pozzolanico, dove si può chiaramente interpretare la storia e la vita del vulcano. Note di degustazione; il gusto e il profumo del Titolo sono dettati proprio dalla peculiarità del terreno, composto da strati di colate laviche, di lapilli o ceneri, intervallati da fasi di stasi in argilla. Il colore, di un rubino intenso, presenta marcati riflessi granati. Il profumo, ampio e complesso, è decisamente fruttato ed etereo, con nitidi sentori speziati. Presenta spiccate sensazioni di ciliegia - confettura di frutta - ribes – rosmarino - tabacco - cannella, con leggeri accenni di vaniglia. Il sapore è secco e caldo di ampia struttura e lunga persistenza aromatica. È un vino di spiccata personalità, che rappresenta molto Elena, ancora giovane, ma destinato a un grande futuro. Caratteri del Titolo; Origine del terreno: Vulcanico Vitigno: 100% Aglianico del Vulture Superficie totale dell’azienda: 7,00 Ha. Superficie vitata attuale: 6,00 Ha. Forma di allevamento: Guyot corto, “capanno” (forma tipica di allevamento nel Vulture). Vendemmia: Fine mese di ottobre, effettuata interamente a mano con l’uso di piccole cassette. Produzione: Diraspatura e pigiatura soffice. Tradizionale

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fermentazione in rosso con temperatura non superiore ai 22-24°. Maturazione in barriques nuove per almeno 12 mesi. Imbottigliamento verso la fine dell’anno successivo alla vendemmia. Affinamento in bottiglia per 12 mesi prima di avviarsi al mercato.

posizioni si fondono, organizzarle non è cosa semplice. Il rapporto con i nostri dipendenti diventa un rapporto di fiducia simile a quello famigliare. Necessariamente il benessere deve essere condiviso tra tutti quanti.

“Su queste colline che sembrano infinite, accanto all’Aglianico del Vulture, con mio marito Andrea, l’aiuto di papà Salvatore, lavoriamo con passione i vigneti. Abbiamo iniziato coscienti di poter fare un ottimo lavoro, senza grandi pretese, considerato il grande patrimonio vitivinicolo italiano. Siamo comunque riusciti a ritagliare la nostra visibilità e togliendoci soddisfazioni che vanno oltre i riconoscimenti ottenuti dalle guide nazionali e internazionali. È la dimostrazione che “passato e futuro”, viaggiando insieme, da una piccola realtà come la nostra, possono creare una grande azienda conosciuta e apprezzata nel mondo, che attraverso l’immagine del territorio fa conoscere la nostra Basilicata”. Elena Fucci.

Premi, riconoscimenti e presenza sulle guide dei vini, oltre regalare soddisfazioni personali, sono stimoli fondamentali per un enologo - agronomo? Certo! È sempre una bella soddisfazione ricevere premi, riconoscimenti ed essere presenti sulle guide, specialmente quando accade con continuità, è la conferma che il percorso, le idee e il lavoro fatto vanno nella giusta direzione. Senza dimenticare gli apprezzamenti espressi dai clienti, i premi più ambiti che un produttore di vino possa ricevere, come messaggi, foto, post sui social network che ci giungono da tutto il mondo dalle persone che bevono i nostri vini con emozione e soddisfazione.

Da un desiderio di un avventuroso giro del mondo a rimanere nel “giardino” di casa, la meditazione fu breve? Il cambio di rotta fu abbastanza repentino, giocato quasi tutto in tempo breve. Lasciare il paesello, andare a studiare fuori regione, investire tutta la mia vita e quella della mia famiglia che mi ha sempre sostenuto su questo territorio. Quando mi sono resa conto che lasciando casa, avremmo dovuto vendere la proprietà (i vigneti fino ad allora venivano curati da mio nonno, che a quei tempi aveva già più di 70 anni) e quindi abbandonare quei luoghi dove sono nata e cresciuta, mi è preso un groppo al cuore. Avrei sconvolto anche la vita delle mie sorelle più piccole, anche loro avrebbero dovuto abbandonare la proprietà. Quindi presi la decisione di cambiare rotta, provare ad investire sul nostro territorio, sul nostro patrimonio e sulla nostra famiglia. Con tutta la leggerezza e ingenuità di una diciottenne. Oggi ripensandoci, questa ingenuità è stata la chiave di volta (insieme alla ferrea decisione di lavorare solo per la qualità, con competenze e conoscenze adeguate senza improvvisare niente) per il successo del progetto Titolo. Per un capitano d’azienda, è più facile coordinare una famiglia o i dipendenti? Quali, nel tuo caso sono i “pro e contro” del tuo ruolo di responsabile? Nel mio caso in particolare, sono piuttosto difficili entrambe le cose, soprattutto, l’integrazione tra la vita privata e quella professionale. Nel nostro lavoro non basta condurre i vigneti, produrre uva e vini, necessita anche occuparsi anche della commercializzazione e della promozione. Competenze che ricadono sempre e solo sulla figura e nella persona del produttore, nello specifico; Elena Fucci, dato che la Cantina porta il mio nome. Spesso, le diverse

La tua scelta iniziale, di giocare tutto sul Titolo, confermatasi vincente, oggi, fa viaggiare il tuo nel mondo. Compensa in parte il tuo sogno di gioventù? Sì, a conti fatti lo supera. Fu una scelta di gioventù, presa con un pizzico di leggerezza, non sapendo a cosa andassi incontro. I sacrifici sono stati tanti, personali e professionali, tutto quello abbiamo fatto, stiamo facendo e faremo, non può che inorgoglirmi. Girare il mondo, vedere persone di ogni continente che mi riconoscono e che conoscono il minuscolo borgo di Barile è meraviglioso. Ricevere gli ospiti in azienda, che affrontano migliaia di chilometri per vedere dove nasce il nostro vino, leggere la loro emozione quando stringo loro la mano, vederli mentre passeggiano tra nostri vigneti è straordinario, probabilmente a 18 anni, mai avrei potuto sognare e immaginare cosa più grande. Chi coltiva la terra non può che amarla, “la tua” Basilicata è tra le regioni italiane meno conosciute all’estero. Il tuo vino è il tuo ambasciatore, oggi causa pandemia, si vende più online che in cantina. Quali saranno le nuove strategie di espansione sul mercato globale della tua azienda? È vero, questa stagione 2020 - 2021, che ancora oggi viviamo in condizioni di pandemia, con le conseguenti incertezze riguardo il futuro, hanno obbligato tutti, produttori e consumatori a cambiare abitudini e stili di vita. C’è stato un notevole incremento dell’uso degli strumenti di vendita online e della comunicazione via social network, permettendo così a molte aziende di riuscire a sopravvivere in questo periodo nero. Sicuramente in futuro ci sarà una maggiore integrazione di questi strumenti nella vita aziendale e privata di tutti. Sono certa che l’essere umano è fatto per socializzare e per la socialità, dopo questi mesi di blocchi forzati, torneremo a frequentare ristoranti, enoteche, bar e caffè con ancora più piacere.

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Guida Michelin, Spagna 2021

di Margaux Cintrano, editore fotografia: Ristoranti Madrileni

La Guida Michelin 2021, assegna a Madrid un totale di diciassette Ristoranti Stellati, la capitale orgogliosamente detiene il maggiore numero di Stelle Michelin della Spagna. “DiverXO”, tre Stelle Michelin, dove Dabiz Muñoz, giovane chef tra più enigmatici e affascinanti con grande visione e creatività offre una cucina fusion senza tempo plasmando ingredienti iberici, asiatici e latinoamericani. “Paco Roncero” due Stelle Michelin è il miglior esempio di avanguardia gastronomica. “Ramon Freixa” Hotel Único, nel quartiere Salamanca, è da sempre un’esperienza gastronomica eccezionale che con merito riconferma suo status di Michelin Starred. “Dstage” in Calle Regueros, dove chef patron Diego Guerrero propone la sua alta cucina conserva le due Stelle Michelin dal 2017. “Coque” la straordinaria cucina creativa dello chef Mario Sandoval riconferma le due Stelle Michelin anche nella sua nuova sede. “Kabuki”, nel distretto di Santiago Bernabeú, una

versione assolutamente straordinaria e senza tempo della cucina giapponese, con grande merito conferma status di Michelin Starred. “Kabuki Wellington” sigillo di qualità Kabuki ha unito le forze con l’Hotel Wellington, dove Michelin Starred chef Ric Sanz offre la migliore e più autentica cucina giapponese della capitale. “Ristorante Gioia”, nel quartiere Chueca, dello chef piemontese Davide Bonate, è il primo ristorante italiano a ricevere una Stella Michelin a Madrid. “Lüa”, nel distretto Chamberi, dove lo chef galiziano Manuel Dominguez, trasforma la gastronomia galiziana tradizionale con nuove interpretazioni gourmand. “Abarra”- Hotel Derby, chef Aurelio Morales, si riconferma una Stella Michelin per 2021. “Gaytän” dello chef Javier Aranda detiene la Stella Michelin dal 2017. “El Corral de Moreria Gastronamico”, quartiere Chamberi, offre una cucina mediterranea d’avanguardia con un servizio impeccabile, aveva ricevuto la sua prima Stella Michelin nel 2019. “El Invernadero” gastro - botánica dello chef Rodrigo de la Calle, riconferma la Stella Michelin per il 2021 e riceve la prima Stella Verde.

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“The Bunker”, Yugo Barrio de Las Letras, dove chef Julián Mármol propone alta cucina giapponese, già Stella Michelin dal 2019. “Chirone” a Valdemoro, i Fratelli Mufioz hanno ricevuto la loro prima Stella Michelin. “Santceloni” è attualmente chiuso per ristrutturazione. “El Club Allard”, club privato di Argüelles dello chef José Carlos Fuente, considerato un “tempio culinario” è temporaneamente chiuso per lavori di ristrutturazione. “El Invernadero” riconferma la Stella Michelin per il 2021 e conquista anche una Stella Verde. La nuova distinzione evidenzia gli sforzi di coloro che operano in prima linea nel campo delle pratiche gastronomiche sostenibili. La Guida assegna un “Bib Gourmand”, a quattordici ristoranti considerati “locali amichevoli” dove viene servito buon cibo a prezzi moderati. Altri sessantacinque locali hanno ricevuto una Targa Michelin, assegnata ai ristoranti che semplicemente servono cibo eccellente. La Guida, infine tristemente annuncia, che causa pandemia sono stati costretti a chiudere i locali “KO Sushi Bar” e “Punto MX” entrambi una Stella Michelin.

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Spain’s Michelin Guide 2021 Article By: Margaux Cintrano, editore Fotografia di: Madrid Restaurants in articles

Kabuki Wellington: The Kabuki seal of quality had joined forces with the Hotel Wellington to offer the most authentic and best Japanese in the Capital by Michelin Starred Chef Ric Sanz.

The 2021 Michelin Guide for Spain has revealed that the Madrid Capital has once again done itself proud. The city boasts a total of 17 restaurants with Michelin Stars:

Ristorante Gioia: Awarded quite recently, Chef Davide Bonate, from Piedmont, is the first Italian Restaurant to receive a Michelin Star in the Madrid Capital, located in the Chueca neighbourhood.

DiverXO: with three Michelin Stars. One of the most enigmatic and fascinating of young chefs, Dabiz Muñoz, in a venue shaped by imagination, creativity and timeless fusion of Iberian, Asian and Latin American ingredients.

Lüa: Galician Chef Manuel Dominguez, situated in the Chamberi district turns traditional Galician gastronomy into gourmand visions.

Paco Roncero: Awarded two Michelin Stars is the best example of the gastronomic avant garde. Ramon Freixa: Located in the Hotel Único, in the Salamanca district, is an exceptional gastronomic experience well deserving of its Michelin Status. Dstage: Chef Diego Guerrero, holder of two Michelin stars since 2017, offers his own haute cuisine at his restaurant in Calle Regueros. Coque: Mario Sandoval´s creative and extraordinary cuisine has retained two Michelin Stars at its new location. Kabuki: The first Kabuki located in the Santiago Bernabeúdistrict, an absolutely extraordinary and timeless take on Japanese and in grand deservance of Michelin status.

ABarra: Located in the Hotel Derby led by Chef Aurelio Morales, repeats his Michelin status in 2021. Gaytän: Chef Javier Aranda recevied his 1st Michelin Star in 2017. El Corral de Moreria Gastronamico: Cutting edge Mediterranean cuisine and exquisite service, in the district of Chamberi had been awarded his 1st Michelin Star in 2019. El Invernadero: Chef Rodrigo de la Calle, gastro - botánica has had its Michelin Star 2021 confirmed for his Calle Ponzano establishment, which has also been awarded the Green Star. The Bunker, By: Yugo Barrio de Las Letras, boasts a Japanese haute cuisine restaurant by Chef Julián Mármol, awarded the 1st Michelin Star in 2019. Chiron: The Mufioz Brothers were awarded their 1st Michelin at their venue in Valdemoro.

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Santceloni (currently closed for renovations). El Club Allard (currently closed for renovations): Chef José Carlos Fuente is in charge of this culinary temple with a touch of a private club in Argüelles is temporarily closed. This year in fact, in addition to keeping its Michelin Star. El Invernadero has also received a Green Star. This new distinction highlights the efforts of those operating at the forefront of their field with sustainable gastronomic practices. Additionally, the guide has also awarded 14 establishments a Bib Gourmand, which is given to restaurants deemed friendly establishments that serve good food at moderate prices. Futhermore, 65 establishments have been given a Michelin Plate, which regonisesrestaurants that simply serve excellent food. We are sad to announce that KO Sushi Bar and Punto MX, both of which had a Michelin Star, have been forced to close this year due to the panademic.

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