Fotografia www.thecybartender.com 2
Mast Head Magazine Registry: Oficina Española de Patentes y Marcas, Ministerio de Industria Comércio y Turismo. Madrid, Spain. Graphic Design: Alba Graphic Design Studio, Madrid, Spain. Advisory Board of Directors & Director of Technical Solution: Philippe Germain. Founder, Publisher & Editor in Chief: Margaux Alexandria Cintrano. Co Publisher, Author & Italian Translator: Maurizio Pelli. Official Photographer: Giovanni Panarotto. Official Spanish Editor in Chief: José Luis Del Campo Villares. Collaborating Photographers and Authors: Photographer Gigi Montali Photographer Philippe Germain Photographer Giovanni Vernengo Staff Collaborating Authors, Correspondents, Journalists & Reporters: Journalist Margaux Cintrano Author Maurizio Pelli Author and Sommelier José Luis Del Campo Villares Cybartender Luca Coslovich Livia Riva Massimo Vidoni Maestro Pasticcerie Giuseppe Giuliano Emanuela Marinello Mimi Houston Author & Correspondent Roberto Mostini
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Fotografia di Giovanni Panarotto 4
Publisher Page Durante questa epoca caratterizzata dall’alta tecnologia, dove l’interscambio delle comunicazioni digitali, globalmente aumentano freneticamente, forzate a causa di una virulenta pandemia, Beyond Taste - Oltre il Gusto Magazine, si rivela essere una rivista perfettamente in sintonia in questo particolare periodo storico. Completamente digitale, gratuita, senza edizione cartacea, conseguentemente non necessita di nessun contatto fisico con i lettori, evitando così ogni eventuale e ipotetico contagio. La rivista offre sicurezza e comfort di lettura, di un carattere distinto, predominato dall’amore per la fotografia e attratto dalle ultime novità dell’arte del dressage dei piatti. Offre una selezione di racconti e servizi dei nostri esperti, un menu di lettura che spazia tra ostriche, caviale, tartufi e champagne. Racconta e intervista i migliori chef, i produttori della gastronomia internazionale, i cocktail dei grandi barmen dei locali più esclusivi e un’attenzione costante focalizzata sulla fieristica, eventi, mostre internazionali. Servizi aziendali e viaggi fuori dal comune di grande impatto fotografico. Abbiamo il piacere e l’onore di presentare alcuni volti nuovi, che hanno contribuito, tra i collaboratori e i corrispondenti abituali della rivista, alla realizzazione di questa edizione. Gigi Montali, autore e fotografo della copertina Edizione Estate 2020. Luca Coslovich, head bartender del Casino di Montecarlo, Principato di Monaco. José Luis Del Campo Villares, autore e sommelier, Sobrelias. Spagna. Lawrence Gomes, executive chef del Five Star Hotel Sahara & Resort, India. Remo Pasquini, imprenditore e artista del legno, Bovolone, Verona. Keiichi Hashimoto, chef patron del ristorante Le Sorcier a Shunanshi, Yamaguchi, Giappone. Gianni Bauce, autore, ambientalista e fondatore di African Path Safaris, Zimbabwe. Corrado Passi, autore e guida turistica ufficiale a Città del Capo, Sudafrica. Massimo Zerbo, Antico Sigaro Nostrano del Brenta, Valle del Brenta. Alessio Greguoldo, la Perla del Delta ostriche rosa, Laguna di Scardovari, Rovigo. Amancio Ortega, fondatore della Inditex, S.L. Spagna Maurizio Pelli, Gulfood 2020, Dubai. Corrispondenti, autori e fotografi di questa edizione: Philippe Germain, autore e fotografo. Giovanni Vernengo, fotografo. Giuseppe Giuliano, maestro pasticcere. Massimo Vidoni, Italtouch, Dubai. Livia Riva, La Dame du Vin, Champagne. Mimi Houston, private chef. Emanuela Marinello, hotel manageress, Venezia. Maurizio Pelli, Dubai. Margaux Alexandria Cintrano - Editore.
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Fotografia di Giovanni Panarotto 6
Co-Publisher Page Edizione Estate 2020 a cura di Maurizio Pelli editore
Interviste Chef e artigiani del gusto: Michelin Starred Chef Italo Bassi Remo Pasquini - Artista del legno Massimo Zerbo - Il Sigaro Nostrano del Brenta Alessio Greguoldo - La Perla del Delta
Articoli Gulfood 2020 - Dubai - Maurizio Pelli editore Al Vescovado di Noli - Roberto Mostini Senza marito ma non senza Champagne! - Livia Riva The sleeping Beauty - Emanuela Marinello
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Gigi Montali 8
Contents Photographer Gigi Montali, Sicilia ..................................................................
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Photographer Gigi Montali, PO .............................................................
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Photographer Philippe Germain ............................................................................
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Cybartender Luca Coslovich ..............................................................
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Gulfood Dubai 2020 ................................................................................................
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Massimo Vidoni .....................................................
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Alessio Greguoldo ...............................................
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Stelle Michelin, chef Italo Bassi ...........................................................................
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Emanuela Marinello ...............................................................................................
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Private Chef Mimi Houston ....................................................................................
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Maestro Pasticcerie Giuseppe Giuliano .................................................
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Livia Riva, La Dame du vin ...........................................................................
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Remo Pasquini ..........................................................................
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Gianni Bauce ........................................................
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Sumiller José Luis Del Campo Villares, bodega Boreal ........................................
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Sumiller José Luis Del Campo Villares, rosados ..................................................
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Sumiller José Luis Del Campo Villares, bodega Sicilia .........................................
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Chef Keiichi Hashimoto ..........................................................................................
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Chef Lawrence Gomes .................................................................................
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Autore Roberto Mostini ...........................................................
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Autore Corrado Passi .....................................................
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Amancio Ortega ...............................................................................
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Da un viaggio al sud della Sicilia nell’ottobre 2001 Articolo e fotografia di Gigi Montali Partiamo da Colorno (PR) alla fine dell’estate e dopo più di 1200 Km arriviamo sull’Isola, qui ci aspettava un sole magnifico ed un mare fantastico dove finire degnamente l’estate 2001. Certo che la Sicilia non è solo mare, per cui l’itinerario prevedeva quattro tappe da dove siamo partiti alla ricerca delle bellezze architettoniche e naturalistiche dell’Isola. La scelta è stata quella di soggiornare negli Agriturismo, la scelta è stata azzeccata perché ci ha dato modo di vivere a contatto con la natura e di conoscere bella gente. In due settimane non si può visitare un’intera regione, per cui il viaggio si limita alla parte sud partendo dagli scavi archeologici di Agrigento fino ad arrivare alla bellissima Selinunte, in riva al mare, fino alla splendida Segesta. in tutta la Sicilia si respira ancora l’aria della cultura Greca e visitare le sue rovine ti fa toccare con mano un mondo sconosciuto L’isola è affascinante, si passa dai paesaggi lunari dell’Etna alle bellissime coste, indimenticabile e unica la Scalinata dei turchi nei pressi di Agrigento. Spero di riuscire ad invogliarvi a visitare questa bellissima Regione Italiana. Un fantastico ricordo sono le persone che ci hanno accolto, come scriveva Lucio Dalla i siciliani sono cittadini del mondo che sudano la loro vita, una vita fatta di mediterraneità “ Son siciliano... mezzo africano... Un po’ norvegese... un po’ americano La prua della barca taglia in due il mare Ma il mare si riunisce e rimane sempre uguale E tra un greco, un normanno, un bizantino Io son rimasto comunque siciliano Carmelo è biondo e ha in bocca un orecchino Si sente già europeo, europeo palermitano E tra le case ancora da finire Noi continuiamo, continuiamo a far l’amore…. In questo viaggio ho avuto modo di apprezzare la loro disponibilità e la loro gentilezza sempre pronti ad un sorriso e a darti una mano se ce ne fosse bisogno. In tutte le città e paesi della Sicilia è possibile incontrare dei mercati, indimenticabile è stato il mercato di Catania (La Piscaria) dove un vociare ed un brulicare di persone ci accompagnano durante la visita, qui trovi il miglior pesce fresco dell’isola! I Siciliani sono anche molto religiosi e le processioni che si trovano in Sicilia come in tutto il Sud non ti lasciano indifferente, ritorniamo a Trapani per Pasqua per partecipare alla processione del Venerdì santo. La processione dei Misteri è una processione religiosa che si svolge da oltre 400 anni. L’origine è spagnola e infatti, ha analogie importanti con le celebrazioni andaluse. Manifestazione nota anche oltre i confini della Sicilia in quanto dura la bellezza di 24 ore.
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La Sicilia è terra vulcanica, plasmata dall’Acqua e dal vento, terra di mille colori ora nera come l’ossidiana ora bianca come il calcare, ogni angolo della terra stupisce per le sue forme, anche nell’ interno meno conosciuto è possibile scoprire angoli come le gole dell’Alcantara oppure la necropoli rupestre di Pantalica. La pietra plasmata dalla mano dell’uomo prende vita: dai palazzi, dalle chiese sembrano uscire mostri e folletti che ti seguono nel tuo itinerare . A Noto c’è l’esplosione del barocco ma un altro piccolo gioiello meno conosciuto ma che vale la pena visitare è Scicli. Non si può visitare il sud della Sicilia senza fare una visita alle bellissime saline di Marsala, con i suoi mulini a vento che disegnano paesaggi INDIMENTICABILI al tramonto.
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Viaggio lungo il fiume Po Articolo e fotografia di Gigi Montali Un viaggiatore ha sempre voglia di conoscere cose nuove, di scoprire nuovi luoghi, ma spesso è vicino a noi che ci sono le cose più belle. Ho scelto di seguire il percorso del grande fiume e di fotografare il paesaggio dei sapori, lungo il grande Fiume penso che si possano trovare tante unicità gastronomiche è importante non perderle e non perdere la bellezza del paesaggio che le produce. Come scriveva il grande Tiziano Terziani “ i fiumi mi hanno sempre attirato. Il fascino è forse in quel loro continuo passare rimanendo immutati, in quell’andarsene restando, in quel essere una sorta di rappresentazione fisica della storia, che è, in quanto passa. I fiumi sono la Storia”. In questa frase credo ci sia tutta la descrizione di un fiume come il Po. Il progetto nasce dall’idea di un viaggio lungo il Po cercando delle memorie del gusto, un gusto da assaporare ma anche da guardare, la ricerca di un paesaggio agricolo in continua trasformazione come i prodotti che “nascono” nei pressi del grande fiume. Un fiume amato temuto e spesso domato dalle persone che lo abitano, c’è sempre un filo sottile che unisce le persone al fiume stesso, questo lo si coglie fermandosi ad ascoltare le storie che essi ti raccontano. La cultura dell’uomo è sempre e sempre sarà legata al territorio ed ai suoi prodotti, per questo motivo lungo il percorso ci siamo fermati alla ricerca delle tipicità locali. I sapori che nascono lungo il grande fiume denotano sempre l’importanza del fattore umano, presente a scandire lo scorrere del fiume, volti e mani in cui si legge la fatica di lavorare la terra ma si vede la gioia di vivere a contatto con il grande Fiume. Il viaggio inizia a Pian del Re dove sorge il Po, oggi il Monviso sembra nascondersi dietro le nuvole, tra qui e il Pian della Regina, di poco più basso, si incontrano i primi alpeggi, le frisone vengono portate in quota in primavera e riportate a valle prima dei freddi autunnali. In questo tratto il percorso del Po è torrentizio, sembra inverosimile che questo ruscello diventerà il grande fiume. E’ qui che incontriamo il sig. Gianfranco Abbà con la madre Matilde che aiutati dai familiari, allevano i bovini portandoli ai pascoli e mungendo il saporito latte ogni mattina. Dentro una vecchia malga ristrutturata producono il Nostrale d’Alpe che vendono presso l’alpeggio. Il sapore è intenso, il formaggio è profumato porta con se tutto l’ambiente intorno. Gianfranco mentre prepara le due forme mattutine, ci racconta di come è dura fare questo mestiere, ci spiega tutti i segreti del suo lavoro dove l’importanza della manualità nel lavorare il caglio è fondamentale, prima ancora di metterlo in forma lo si impasta; arriva la signora Matilde che inizia a far fretta al figlio ricordandogli che dopo bisogna andare a spostare le mucche dal pascolo. Arriviamo a Chivasso, è qui che inizia Il Canale Cavour una grande opera realizzata tra il 1863 e il 1866, ideata dall’agrimensore vercellese Francesco Rossi e riprogettata dall’ispettore delle finanze Carlo Noè, per incarico di Camillo Benso Conte di Cavour. Per poter irrigare le campagne Vercellesi. Qui abbiamo una piacevole sorpresa, grandi specchi d’acqua dove viene coltivato il riso, le più estese coltivazioni a livello Europeo. Si incontrano anche le grandi cascine, trattasi di fattorie simili a picco17
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li villaggi che oltre alle abitazioni per i contadini dispongono di una chiesa, un cimitero e un’osteria. Costruite e sviluppate in base ai parametri delle zone agricole coltivate a riso, dal XII secolo vennero sostenute dai monaci Cistercensi, fondatori anche di vari comuni nei dintorni. Lasciamo le risaie del Vercellese attraversiamo il Po passiamo sulla riva destra, utilizziamo il ponte che porta a Verrua Savoia. Quello di Verrua Savoia è il più antico ponte sul Po superstite nell’intero tratto di fiume compreso tra Torino e Valenza (gli altri ponti sono stati tutti distrutti durante la seconda guerra mondiale o a causa delle alluvioni e in seguito riedificati, per lo più in forme moderne). Il ponte di Verrua mette in collegamento le colline del Monferrato con Crescentino e la pianura vercellese. La struttura fu edificata in laterizio nel 1898, attraversato il ponte ci troviamo nel basso Monferrato, in quest’area si produce il Rubino di Cantavenna, l’area di produzione è molto ristretta. Terra di vigneti e tartufi, il Monferrato è ricco non soltanto di cultura e di storia: l’enogastronomia della regione ha notevole pregio ed è rinomata e apprezzata ovunque. Dall’alto delle colline si può vedere il lento correre del grande Fiume, sullo sfondo le risaie del Vercellese. Arriviamo a Ponte della Becca, un nome, dei ricordi, ogni qualvolta il Po è in piena per noi abitanti delle zone più a valle è un segnale da guardare con attenzione, l’architettura postbellica in ferro è molto affascinante, nei pressi un bersò con le sedie accatastate ci ricordano che questi sono luoghi di incontro dove la gente si trova per “mangiate conviviali” e per passare serate nelle lunghe estati Padane. Lentamente passando paeseni e luoghi ameni arriviamo nell’Otrepo Pavese, Bosnasco è la collina più vicina al grande fiume, qui si producono grandi vini, ci fermiamo per visitare una cantina artigianale dove una famiglia con amore va alla ricerca di antichi sapori. Dai colli sullo sfondo si vede il grande fiume che scorre, dopo esserci inebriati di vino e di Collina, ritorniamo a valle la pianura ci aspetta. Dopo questa breve divagazione ritorniamo subito nella pianura dove le uniche colline sono quelle degli argini maestri. Le aree golenali sono da sempre utilizzate per feste post pesca o caccia, e qui sorgono delle costruzioni vernacolari, fatte con tutto ciò che si può utilizzare costellano le rive del grande fiume, tristi quando si trovano vuote ma piene di gioia quando ci si trova a bere e raccontare le grandi storie fantastiche di pesci grandi come squali o altri animali epici sfuggiti per un soffio. Il maiale è il re di tutta l’area padana, abili norcini appena inizia la stagione fredda girano per le cascine per celebrare il rito della Maialatura. Dal piacentino al modenese tutta la riva destra del Po è terra di Parmigiano Reggiano, tutte le mattine nei caseifici si ripete il rito di produzione del re dei formaggi, mani esperte e forti ripetono gesti imparati spesso dai genitori o da abili maestri casari, il lavoro è duro sempre meno giovani si avvicinano a questo lavoro. Tra i prodotti eccelsi della pianura spicca anche l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia, un prodotto di altissima qualità, invecchiato per anni secondo un severo disciplinare. La storia documentata dell’aceto balsamico reggiano risale al Rinascimento, periodo a partire dal quale risale la tradizione, prima nobiliare poi borghese, di coltivare un’acetaia familiare in cui invecchiare il mosto cotto di uve locali. La zucca è coltivata in tutta la bassa Mantovana e Cremonese, cucinata a dovere si estrae la polpa per i tortelli, uno sono tra i piatti più succulenti della bassa padana, è impossibile abbandonare 19
questa zona senza aver prima assaggiato un piatto di tortelli conditi con burro e parmigiano. Ottima anche la divagazione con il condimento con la mostarda. Il termine “mostarda” deriva dal latino mustum ardens, preparazione piccante in cui vengono utilizzati semi di senape pestati. L’origine della mostarda si può far risalire al 1300, inizialmente, nasce come prodotto di lusso: ce ne riportano notizia alcuni documenti gonzagheschi che testimoniano la presenza di questo alimento sulla mensa dei signori di Mantova. Il suo uso popolare, grazie alla maggiore fruibilità di zucchero e senape, si diffonde sopratutto a partire dal 1600 presso le famiglie contadine dell’Italia settentrionale che ne fanno largo consumo prevalentemente intorno al periodo delle feste natalizie. Andando verso la foce non dimentichiamo di degustare la famosa anguilla di Comacchio e perché no anche il pesce gatto fritto! Prima di andare in mare troviamo le Sacche, zone di acqua salmastra dove vengono allevate cozze e vongole. La Cozza di Scardovari è allevata all’interno di un’area di 12 ettari all’interno della Sacca degli Scardovari in aree aventi un’estensione complessiva di 1600 ettari. Qui le cozze si allevano in impianti galleggianti (off-shore) con sistemi di allevamento in sospensione. Come in ogni viaggio la valigia dei ricordi è piena di persone, luoghi, suoni, profumi e Sapori, ancor di più in questo itinerario dal quale portiamo dei bellissimi ricordi di sapori di piatti cucinati con amore non dimenticando il passato. Vorrei chiudere questo l’articolo con una riflessione del grande Cesare Zavattini, penso che possa racchiudere tutto l’animo del grande Fiume. “Si discorreva delle gazzose durante l’assonnato vagare in cerca di una strada smarrita coi versi delle faraone e dei tacchini alle spalle; imprecavamo contro le giunte municipali che non aggiornano la segnaletica, finché stanchi del parlare male degli altri, ci chiudevamo in un bozzolo da cui nel silenzio usciva la crisalide della malinconia. Ho sempre creduto che la malinconia fosse originaria del Po. E che altrove si trattasse di imitazioni. Io mi sono evidentemente imbevuto di questo stato d’animo”. Zavattini
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Philippe Germain
Fotografo, Visions of Gourmandes Auteur et Photographer Philippe Germain - Le Livre Visions Gourmandes Illustrations Micha Germain
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Fotografia di Emanuela Nocito 30
L’estate addosso Articolo di Cybartender Luca Coslovich Fotografia: Le Casino, Montecarlo, Monaco “Prima che il vento si porti via tutto e che settembre ci porti una strana felicità, pensando a cieli infuocati, ai brevi amori infiniti respira questa libertà. L’estate e la libertà” L’estate addosso, Jovanotti. Si avvicina un altra estate, quest’anno carica di dubbi ed aspettative, data la situazione sanitaria mondiale. Per fortuna ci possiamo bere sopra, visto che la creatività dei barman non è in discussione. Allora andiamo un po’ in giro per l’Italia, e non solo, a scoprire le novità nel bicchiere che ci accompagneranno nei mesi più caldi dell’anno. Partiamo da quella che è definita “la capitale del freddo”, non certo per il clima, ma perché è sede delle maggiori industrie italiane del comparto del freddo. Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, in Piemonte. Qui opera, con successo, Gianluca Alessi, alla “Società Canottieri Casale” dal 2004. Gianluca, attivissimo nel mondo delle “cocktail competition”, dove ne ha vinte parecchie, che lo hanno portato addirittura a Bangkok. Gianluca è inoltre un valido rappresentante della miscelazione molecolare. Ci propone una sua creazione:
Hoi Margarita: Ingredienti: 4,5 cl tequila blaco, 2/3 gocce Mezcal, 2 cl triple sec, 1,5 cL lime gocce di sciroppo di lavanda. Crosta di sale rosa e cannella. Metodo: Si prepara nello shaker e si serve in coppetta ghiacciata, con sale rosa e cannella sul bordo del bicchiere.
Cocktail e Fotografia Di Gianluca Alessi 31
Restiamo in Piemonte, e ci spostiamo a Torino, nel capoluogo, per trovare Flavio Scanu “il nomade dello shaker”. Classe 1967, il padre fotografo gli insegnò i primi contatti con il pubblico, e soprattutto ad avere una visione “obbiettiva” della vita. Nonostante questo, la sua passione lo portò presto dietro il banco bar dello zio. La sua carriera l’ha portato in vari ed esclusivi locali: da Saint Moritz in Svizzera, alla Germania, da Evian, in Francia (alla corte di Tony Guida), a Londra, dove vince il concorso U.K.B.G (l’associazione dei barmen inglesi). Oggi lo troviamo al Turin Palace Hotel in qualità di capo barman, dove ci propone il cocktail:
Moscoapple:
Cocktail e Fotografia di Flavio Scanu
Ingredienti: 20 cl Moscato 5 cl Liquore alla mela 5 cl Aperol Mela, arancio fragole foglie di menta Metodo: Mettere alcuni cubetti di ghiaccio in un bicchiere da vino. Raffreddare il bicchiere e scolare l’acqua in eccesso. Versare il Moscato d’Asti e aggiungere il liquore alla mela e l’Aperol. Decorare con uno spicchio d’arancio, mela e ciliegina 32
Passando in provincia di Monza, in brianza, troviamo Salvatore Bongiovanni, titolare dello Shaker Club Cafè sede del “Classic Cocktail Club” (Club di barman Fondato nel 1995). Il locale offre un ottima selezione di gin, vini, una drink list interessante e una selezione food di tutto rispetto, disponibili in ogni momento della giornata, per poter passare momenti di relax. Salvatore è noto nel settore da oltre 30 anni, vincitore di numerosi concorsi nazionali - internazionali di cocktails e sommelier professionista, vice presidente del ccc. Il drink che ci propone è nato seguendo la semplicità e utilizzando frutti ricchi di vitamine. Perché la semplicità è sempre la cosa più bella!
Exotic Colada 2020 Ingredienti: 5 cl. Vodka Belvedere 4 cl di arancia spremuta 4cl di ananas centrifugata 4 cl di pompelmo rose spremuto 2 cucchiaini di polpa di passion fruit 5 lamponi Metodo: Nel blender con ghiaccio, servita in mug di pietra e decorata con menta Ananas 33
Incontriamo ora al più giovane tra i barmen di questo articolo: Alessandro Grasso, la sua passione per il bar nasce dai racconti del nonno e delle sue esperienze nei migliori hotel a Montecarlo. Alessandro muove i suoi primi passi dietro al bancone nel 2007 all’Hotel Nazionale, 4 stelle di Sanremo. Durante gli anni “della gavetta” frequenta numerosi corsi e concorsi, entra a far parte dell’AIBES (associazione Italiana Barmen e Sostenitori), lavora in hotel prestigiosi come il Grand Hotel 5 stelle di Portovenere e al The Wellesley Knightsbrige Hotel 5 stelle di Londra. Oggi lo troviamo al Celebre Casino di Monte- Carlo, esaudendo così un piccolo sogno coltivato da ragazzino di lavorare nel Principato, come il nonno. Questa la sua proposta:
Cristal Clear
Cocktail e Fotografia di Alessandro Grasso
Ingredienti: 4cl di Rum Bacardi bianco 1cl di Memento (acque aromatiche distillate) 1cl di liquore alla violetta Monin 1,5cl di succo di limone Metodo: Mettere tutti gli ingredienti in uno shaker, versare il contenuto in un bicchiere old-fashioned colmo di ghiaccio, precedentemente brinato di zucchero e decorare con una stringa arrotolata di scorza di limone e fiori eduli. Il drink risulta fresco e leggero, con profumi mediterranei dati dalle erbe aromatiche del Memento uniti al gusto del Rum Bacardi carta Blanca di Cuba. Tutto questo assieme a una punta di liquore alla violetta e al limone, rende il drink perfetto per rinfrescarsi in una giornata calda a bordo piscina o perché no, al tramonto come aperitivo. 34
Restiamo al Casino di Monte-Carlo, dove il sottoscritto Luca Coslovich, è felice di proporre un cocktail dissetante con un liquore “made in Monaco”:
M&M (Monaco Margheritas): Ingredienti: 4 cl. Liqueur l’orangerie 3 cl. Tequila 2 cl. Succo di arancia e limone mix 1 cucchiaino sciroppo d’agave Metodo: Si shakera il tutto e si serve in una grande coppa da margarita con ghiaccio, decorando con fettina di arancia. 35
La mia collaborazione al Casino di Monte-Carlo dura da quattro anni. Prima ho avuto il piacere di lavorare come capo barman allo Yacht Club di Monaco, dopo varie esperienze in Italia nel mondo (d’altra parte i capelli bianchi hanno un loro perché). Da ricordare, estrapolando, per non annoiare con una lunga lista, mi piace ricordare le esperienze a Mosca e a Praga, oltre a quelle italiane degli hotel Royal di Sanremo e Westin Palace di Milano, in qualità di capo barman. Varie pubblicazioni ed uno tra i primi siti italiani dedicati al bartending (www.thecybartender.com), insieme al ricevimento dell’ambito “order of merit”, completano in linea di massima il profilo professionale Ma non dimentichiamo il sud dell’Italia, dove operano dei validissimi professionisti! Allora spostiamoci nella prima contea normanna d’Italia: Aversa, in provincia di Caserta. Qui opera Francesco Conte classe 1971. Napoletano di nascita, Francesco inizia giovanissimo tutta la trafila della sala, dal commis al F&B, alternando alberghi e ristoranti, sia italiani che esteri. Nel 2008 apre ad Aversa, nel centro storico, lo “Shakerclub drink e dream”, American Bar, con Cantina e Ristorante, a coronamento di tanti anni di carriera a disposizione di altri. Lo Shakerclub è uno dei locali meglio frequentati e punto di riferimento della movida, non solo cittadina, ma anche dalle città limitrofe. Francesco, da sempre legato al Classic Cocktail Club, si occupa, costantemente della formazione di tutti coloro che si vogliono avvicinare al mondo del Beverage e della Mixability con un progetto chiamato Barman per Passione, del resto, nulla accade per caso. Questa la sua proposta:
Daiquiri Normanno
Cocktail e Fotografia di Francesco Conte
Ingredienti: 2,5 cl Rum Cubano Anejo 1,5 cl Liquore di Mela Annurca 2 cl Succo di Limone 1 cl Sciroppo di zucchero alla Cannella Metodo: Si prepara nello shaker e si serve in coppetta ghiacciata, decorando con zest di limone. 36
Finiamo il nostro viaggio tra i cocktail nella splendida Sicilia, per la precisione a sul lungomare di S. Alessio Siculo. Qui troviamo l’ Hemingway - Spirit’s Tales un locale per chi ama leggere e vuole trovare uno “spirito” nuovo nel mondo dei drink, uno spazio per rilassarsi o per partecipare ad eventi musicali, ludici e letterari. Dalla terrazza esterna la vista abbraccia il mare racchiuso tra lo stretto di Messina e il castello saraceno del “Capo d’argento”. Al banco del locale troviamo Francesco Attanasio, che ha iniziato a preparare drink all’età di vent’anni. I locali più frequentati della movida catanese sono stati i luoghi della sua formazione. Energico, sostanziale, mai distratto dalla voglia di stupire con arditezze vane. Francesco è sempre attento a costruire drink solidi e ben fatti, guidato dalla consapevolezza che l’equilibrio è l’ingrediente essenziale per chi “semplicemente” ama bere. Con queste premesse ci presenta il suo;
Sicilian Connection
Cocktail e Fotografia di Francesco Attanasio
Ingredienti: 3 CL. Vodka liscia 1,5 CL. Cognac 1,5 CL. Liquore amaretto 8 CL. Succo di arancia rossa Metodo: Si prepara con lo shaker and strain, si serve in tumbler, guarnendo con bastoncino di liquirizia, zafferano in polvere, scorza di arancia e fiori mediterranei che regaleranno freschezza al drink. Il cocktail, dolce e fresco, contiene i sapori delle passioni autenticamente siciliane. L’arancia rossa ha la potenza degli agrumi cresciuti alle pendici del vulcano Etna, la mandorla dell’amaretto ha quella dolcezza controversa che mitiga il forte spirito della vodka pura. Una “connessione” di gusti che segue i venti: dalle terre dell’est, sfiorando la Francia giù fino alla Sicilia. I presupposti per passare una piacevole estate, dimenticando lock down e problemi, ci sono tutti, non resta che accomodarsi e viaggiare attraverso i gusti dei cocktail proposti dai barmen, per l’estate. 37
Ambasciatore Italiano nelgi Emirati Arabi Uniti, S.E. Nicola Lener Sua Eccellenza Mariam bint Mohammed Saeed Hareb Al Mehairi, Minister of State for Food Security to Gulfood Tre Stelle Michelin Chef Massimo Bottura
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Gulfood 2020
dentro l’evento, The Italian Food Lab Articolo di Maurizio Pelli, editore Fotografia Gulfood 2020 Gulfood, tra le più grandi fiere alimentari (cibi e bevande) del mondo è giunta alla sua venticinquesima edizione, con meno presenze dello scorso 2019, che stabilì l’affluenza record di più di centomila visitatori provenienti da oltre duecento Paesi. In questa edizione 2020, nonostante il calo di presenze, maggiori sono stati gli incrementi di partnership, investimenti ed esportazioni multimiliardarie, grazie al collegamento in rete dei partecipanti in grado di visionare, esplorare le novità del mercato e alla possibilità di contrattazione e compravendita in tempo reale online. Molte le conferenze e i seminari dedicati agli investitori globali attraverso le startup di molti programmi innovativi. Evolve in stile festival anche l’aspetto culinario - gastronomico multisensoriale, con una serie di eventi giornalieri; Barbecue Masters e Gulfood International Culinary League, delle competizione dove le Celebrity Chef, provenienti da Europa, America, Asia, Medio Oriente e Nord Africa, si sfidano con ricette sia tradizionali che innovative nelle cucine dei padiglioni di fronte al pubblico. Rientrato a Dubai, lo scorso 5 febbraio dalla Malpensa, una settimana prima che in Italia si scatenasse l’epidemia Coronavirus - Covid 19, in tempo per partecipare a questa venticinquesima edizione di Gulfood 2020, svoltasi dal 21 al 25 febbraio. Un evento che seguo dal 2000, dove ho il piacere di parteciparvi attivamente dal 2014. Appena entrato, subito notai qualcosa di insolito dalle precedenti edizioni, si iniziava a percepire l’arrivo incombente dell’epidemia, molte entrare di accesso al “World Trade Center”, sede della manifestazione furono chiuse, in modo da convogliare tutto il pubblico solo nei punti d’ingresso muniti di rilevatori della temperatura corporea. Ogni anno costantemente cresce la presenza degli espositori, produttori, commercianti e rappresentanti provenienti da tutto il mondo. Le aziende italiane del settore sono sempre più presenti, Dubai si riconferma, la vetrina più scintillante del Medio Oriente. Un evento fieristico globale, dove prodotti e produttori hanno la possibilità di “viaggiare virtualmente” nel Golfo Arabico, ancora oggi, molti Paesi del Medio Oriente non sono visitabili o perlomeno lo posso essere con molti rischi e difficoltà. Gulfood offre la possibilità di reperire clienti e fornitori tra e per le aziende nei Paesi del Golfo senza necessariamente doverlo fare fisicamente. Costante e crescente negli anni anche l’impegno di supporto e patrocinio delle istituzioni italiane, da sempre presenti in questa importante manifestazione fieristica internazionale. Aperto al pubblico la mattina del 21 con la gradita presenza della Console Generale S.E. Valentina Setta, “The Italian Food Lab” organizzato dall’ICE - Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane nell’ambito del programma promozionale pubblico, che in questa edizione si è avvalsa del supporto operativo della società di eventi di Rosario Scarpato, “The I Factor” di Dubai. Il direttore culinario chef Sebastiano Ferlito, inizia il programma coordinando tutti gli chef provenienti dai migliori ristoranti italiani negli Emirati, che si esibiranno durante la serie di “show cooking” dedicate al pubblico per tutti i cinque giorni dell’evento. Girando tra i tre padiglioni italiani locati in differenti aree dell’enorme fiera, mi giunge un improvviso, inaspettato invito a pranzo, al padiglione “The Taste of The World”, Flour Kitchen, TWENTYfive dove performano gli chef Nick Alvis e Scott Price del ristorante Folly di Dubai.
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*** Stelle Michelin Chef Heinz Beck e Massimo VIdoni, Italtouch
*** Stelle Michelin Massimo Bottura
Pizzaiolo acrobatico Pasqualino Barbasso e Chef Bottura 40
Durante la mattina della seconda giornata, continuano gli show cooking al padiglione The Italian Food Lab con chef Alfredo Albergatore del ristorante Luigia e chef Giacomo Gallina del ristorante Bice Dubai. Nel pomeriggio, una spettacolare dimostrazione culinaria dal vivo e un intervento dedicato all’uso degli ingredienti e delle tecniche di cottura della cucina italiana dello chef Heinz Beck, tre stelle Michelin, del ristorante Social dell’Hotel Waldorf Astoria Palm chiude la giornata Durante la mattina della terza giornata di Gulfood 2020, la più importante per gli espositori italiani, giunge la visita ufficiale della Delegazione Italiana, guidata dal nostro Ambasciatore S.E. Nicola Lener, dalla Console Generale S.E Valentina Setta e dal Trade Commissioner Amedeo Scarpa, presenti il Vice Direttore dell’ITA - ICE di Dubai Marilena Procaccio, Maurizio Gentili inviato ITA di Roma viene ufficialmente inaugurato l’Italian Food Lab. Senza sosta nello spazio qui continua la serie degli show cooking di fronte al pubblico sempre più numeroso. Terminata la cerimonia, la delegazione procede con le visite agli espositori italiani che terminerà al padiglione Taste of The World, Flour Kitchen, TWENTY five, coordinato dallo chef Aira Piva. Accoglie la delegazione chef Massimo Bottura, tre stelle Michelin, del ristorante “Torno Subito” di Dubai, dove esporrà agli ospiti la sua filosofia della “cucina del riciclo” preannunciandoci cosa avremmo degustato a pranzo, durante la sua “esperienza culinaria”. Terminato l’inconsueto, piacevole e sorprendente pranzo stellato di chef Bottura, con grande piacere da parte della delegazione italiana, giunge la visita al padiglione di Sua Eccellenza Mariam bint Mohammed Saeed Hareb Al Mehairi, Minister of State for Food Security to the Gulfood. Dopo i discorsi del Ministro, dell’Ambasciatore, della Console, del Trade Commissioner e di Chef Massimo Bottura, seguiranno le interviste dei giornalisti accreditati delle testate locali e internazionali al seguito. La giornata chiuderà con le consuete foto di repertorio dei fotografi ufficiali di Gulfood. La mia quarta giornata, inizia con l’incontro casuale di Gianni Gelato, un pioniere tra gli imprenditori italiani negli Emirati, nel suo mega “Padiglione Italia”. Da venticinque anni con successo, non solo produce gelati a Dubai, ma importa e distribuisce i migliori prodotti e macchinari per la gelateria italiani in tutti gli Emirati e nel Paesi del Golfo. Proseguono gli show cooking coordinati dallo chef Sebastiano Ferlito. Oggi al padiglione The Italian Food Lab, si alterneranno chef Salvo Sardo della Ronda Locatelli, Davide Gardini del Bice Hilton, che cucineranno con gli indigenti forniti dagli espositori delle aziende italiane; Colussi Group, Pasta Zara, Mantova, Tonno Maruzzella, Caseificio Corvino, Molini Di Ferro e Monviso Water. Seguirà una visita lampo in compagnia di Maurizio Gentili, iffnviato ITA di Roma a Domenico Stranieri, del ristorante Pulcinella di Dubai che rappresenta l’Italia nel settore Street Food nella Hall 6, con il suo tradizionale street food napoletano; pizza fritta e margherita. La mia quinta e ultima giornata di GulfFood 2020, inizia con la conferenza fuori sede “I Love Italian Food” - “100 x 100 Italian Food” - “Authentico” al ristorante Roberto’s, DFIC, Dubai. Tra i relatori Amedeo Scarpa, ITA Trade Commissioner, Giacomo Bernardelli, Casinetto Co, importatore e Francesco Guarracino, Executive Chef del ristorante Roberto’s. Nel pomeriggio, con l’ultima performance dello chef Francesco Acquaviva del Social di Heinz Beck, Waldorf Astoria Hotel, Dubai Palm chiude il The Italian Food Lab, l’Italian Pavillon e terminano così i cinque frenetici e impegnativi giorni della venticinquesima edizione di Gulfood 2020. Scaramanticamente, auguro che per le date della prossima prossima edizione 2021, epidemie e pandemie siano già state debellate e relegate ai brutti ricordi del passato.
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Re-starting up selling & importing products after Covid19 Article by Massimo Vidoni, Founder of Italtouch, Dubai Dubai 2020: Dubai felt the effect of COVID-19, and although the government had been trying to do everything to contain the spreading, in reality, we’ve been hit very hard, especially for us in the hospitality and tourism sectors. It was supposed to be a great year; however, the city had been pumped up for the upcoming Expo 2020. We had a great winter season and we were gearing up for the Expo as well. The pandemic hit the wall at full speed for us. It took us a couple of weeks to realize how serious the situation was with the few orders coming in from the gourmet shops and couple of restaurants who managed to adapt to online deliveries, however, rather than worrying, we saw the situation in a different light and in a more positive view. We saw this as an opportunity to adapt to the fast growing e-commerce industry. With this in mind, we launched an online ordering platform and started creating packages and gift baskets for the occasion of EID and it was a success! Now, we are gearing up to be more visual online for an easier access for people who love our products. It is not unknown that the pandemic put a break on the world´s economy and to be able to generate cash flow since restaurants and hotels were closed, we had to do something. In a matter of weeks, we managed to officially launch our online ordering platform with truffle baskets ranging from € 50 - € 1,000 and caviar packages from €50 - €5,000. At first, we were a bit skeptical because caviar and truffles are not a commodity, and we never thought it would work based on the fact that most of people are on unpaid leaves and if not terminated, were made redundant but we were wrong. We made various baskets from truffle products to caviar packages and people started to buy them, resulting in finding a new stream of income, generating more sales. Since Dubai announced the reopening of restaurants and hotels, sales are gradually picking up and we are thankful that the interest in caviar and truffles are still very high. We are projecting to achieve half of the sales of last year for the next quarter and we are confident that it will jump back to normal when travel restrictions are eased from all over the world and tourists start to flock the country. As for fresh truffles, we are in “summer truffle season” now, though we expect a drop on sales. There is still a lot of demand for fresh truffles and caviar. We believe that we will pass through this pandemic and we shall manage to get back on track in due time. Considering the pandemic seems almost over, we at Italtouch, feel very lucky to have friends, Chefs and clients that continue to support us even more during these unprecedented times. They are one of the reasons we remain positive amidst all that’s happening and we keep pushing as always, while not compromising our mission of importing only top quality products from the start combined with providing excellent service, the best decision we ever made. We look forward to end of the year quarter hoping to recuperate the loss of the last few months and we believe Dubai will bounce back stronger that ever. 45
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Alessio Greguoldo
la magia delle ostriche rosa del Delta del Po Articolo di Maurizio Pelli, editore Fotografia La Perla del Delta L’ostricoltura nella penisola italica (secondo Plinio il Vecchio) risale ai tempi della Roma Imperiale, l’acquacoltura per l’allevamento delle ostriche e delle perle, era già praticata dai romani in Gran Bretagna. Con carri allora definiti “veloci” le ostriche giungevano a Roma. Dal diciottesimo secolo, l’ostricoltura si diffuse in tutta la Francia, anche se nel bacino del mediterraneo veniva praticata in modo diverso, causa la limitata escursione delle maree rispetto a quelle oceaniche. Negli stagni del Mediterraneo, in particolare in quello di Thau, in Francia, nel dipartimento della Languedoc - Roussillon e nello stagno di Port Leucate, nel dipartimento dei Pirenei Orientali e dell’Aude, gli allevamenti vennero predisposti verticalmente sostituendo il sistema orizzontale, per compensare i tempi di presa d’aria delle ostriche. Alessio Greguoldo, nasce a Contarina - Rovigo nel 1997. Giovane imprenditore già appartenente al Consorzio Pescatori di Scardovari, nel 2010, durante un incontro, tra acquacoltori nella laguna di Thau, Alessio fu l’unico tra gli imprenditori presenti ad accettare la proposta di partnership, lanciata da chi sarebbe diventato presto un suo futuro socio. Nel 2016, diventa socio e amministratore unico della “La Perla del Delta”, società che si dedicherà alla produzione di ostriche, con sistema unico del suo genere in Italia, totalmente innovativo e protetto da due brevetti internazionali. Un macchinario creato dal suo nuovo socio, nonché famoso e facoltoso ostricoltore francese Florent Tarbouriech. Un macchinario inventato per riprodurre artificialmente un “effetto marea”, esattamente lo stesso che naturalmente avviene in Bretagna, dove l’escursione durante maree è superiore ai cinquanta centimetri. Viene così ricreato nella “Sacca degli Scardovari”, dove lo stesso andamento, rende la conchiglia più resistente e il mollusco più croccante, grazie alle emersioni e immersione delle ostriche nelle acque salmastre del Delta del Po. L’impianto per mezzo di argani mossi da energia eolica, solare, fotovoltaica è completamente ecocompatibile e rinnovabile. Mosso da motori a circuito chiuso, comandati da distanza remota e azionabili da qualsiasi luogo nel mondo. Quando in funzione, fanno ruotare un argano dove sono appese le corde delle ostriche in verticale, consentendo alle conchiglie di ricevere la corretta esposizione al sole e all’aria. La Perla del Delta, è ubicata nella Sacca Degli Scardovari - Isola della Donzella, Rovigo. Patrimonio Unesco e riserva della biosfera. Oggi, è la più importante azienda italiana della produzione ostriche di alta qualità. Considerata prodotto di nicchia, acclamata da gourmand e decantata da intenditori, ristoratori e chef come una tra le migliori al mondo. L’ostrica “rosa” coltivata in Italia è oggi una realtà. Questo micro ambiente protetto che gode del benefico influsso delle acque del mare Adriatico, è situato nella parte veneta del Delta del Po. Esattamente nella più grande laguna del Delta, un consistente specchio d’acqua di quasi tremila ettari che si estende tra le foci del Po di Gnocca e del Po delle Tolle, al perfetto punto di confluenza tra il Delta del grande fiume e il mare Adriatico. Un habitat naturale, ideale per l’allevamento di cozze e vongole, da decenni coltivate in queste acque. Grazie all’intuizione, capacità, abilità, determinazione, caparbietà e perseveranza, Alessio Greguoldo, iniziò la sperimentazione delle ostriche in acqua tra molte difficoltà e pochi riscontri positivi, lottando per ben sette anni, con risultati poco soddisfacenti e con chi ormai non nutriva speranze di successo. Non si fece influenzare da nessuno, sicuro che sarebbe riuscito nel suo intento, caparbiamente continuò a sperimentare e testare senza tregua, 49
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prima di riuscire a mettere a punto il sistema migliore per questa coltivazione. Finalmente a marzo 2016, iniziò la produzione, conseguentemente, nel 2017 seguì la messa in vendita e distribuzione. Un’ostrica esteticamente bella, di candida, lucente e rosata madreperla, esclusiva, pregiata. Un mollusco rosa bivalve, totalmente prodotto in Italia, in concorrenza con le produzioni francesi di alta qualità, differenziandosi per gradevolezza di gusto, invasiva sapidità, consistenza e croccantezza della polpa. Un impresa di grande successo, quella di Alessio, se si pensa che gli allevamenti di ostriche in Italia sono sempre stati penalizzati dall’insufficiente escursione delle maree. Ora, finalmente anche in Italia, possiamo vantare una produzione di ostriche pregiate di alta qualità. La produzione è limitata a circa mille molluschi alla settimana, che comporta la fase di staccamento manuale delle ostriche dalle funi, la selezione delle varie pezzature e la confezione svolta all’interno di un apposito locale, messo a disposizione di Greguoldo, nella sede operativa del Consorzio dei Pescatori del Polesine. Le ostriche, sono destinate quasi esclusivamente ai migliori ristoranti di Milano e Roma e recentemente anche di Matera. Per mantenere e consolidare la produzione di ostriche rosa, Alessio Greguoldo attivò un secondo, gemello nelll’impianto pilota, ugualmente gestito da energia fotovoltaica, per mantenere inalterate tutte le caratteristiche di allevamento, qualità e gusto. Recentemente, sono stati realizzati ulteriori quattro impianti, per far fronte alla richiesta di mercato. Il Consorzio dei Pescatori del Polesine, fu costituito nel 1988, oggi, organizza quattordici cooperative con mille quattrocento soci, lavora cinquantamila quintali di cozze e sessantamila di vongole all’anno, occupando stabilmente trentacinque dipendenti e fatturando annualmente circa settanta milioni di euro. Si tratta di una produzione limitata a circa mille molluschi alla settimana, successiva alla fase di staccamento manuale delle ostriche dalle funi, quindi selezionate nelle varie pezzature, confezionate all’interno di un apposito locale messo a disposizione di Greguoldo nella sede operativa del Consorzio dei Pescatori del Polesine. Le ostriche sono destinate principalmente ai ristoranti selezionati, di Milano e Roma, recentemente anche di Matera. Un’ostrica carnosa, compatta, soda, croccante, suadente di sapidità non invasiva. Facile da recidere dal piede e da staccare dalla conchiglia. Racchiusa in un guscio di madreperla perfetta dalle sfumature rosa, regalate dal sole durante le prese d’aria. Le ostriche di alta qualità, sono ancora associate esclusivamente alle produzioni delle coste del nord della Francia, dell’Irlanda e dell’Olanda. Al contrario, in questa località lagunare, proprio la miscela di acqua dolce e salata è stata l’elemento fondamentale a conferirne un’alta qualità specifica e distinta. Le cozze e le vongole di Scardovari, sono tra le migliori prodotte in Europa, nel 2013, la Cozza di Scardovari ottenne il riconoscimento D.O.P, conferito dalla legislazione europea. Questo fa sperare, che anche le italianissime ostriche rosa del Delta del Po, ricevano presto una più che meritata D.O.P..
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La tua, fu sfida accettata per passione dell’acquacoltura oppure per una visione di una possibilità imprenditoriale? Inizialmente la vidi come una possibilità imprenditoriale, tramutata in seguito in pura passione e dallo stimolo di una sfida con me stesso, per un’impresa che nessuno in italia era mai riuscito a portare a termine. Passare dal l’allenamento di cozze e vongole a quello delle ostriche, il passo è breve? Assolutamente no!!! Per quanto riguarda l’allevamento delle cozze, hai uno storico dove le persone con più anni di esperienza possono darti qualche dritta. Nel mio caso ho dovuto fare esperienza personale, imparando tutto da zero e spostandomi spesso in Francia per apprendere e acquisire le loro esperienze, anche se, ogni ambiente ha caratteristiche completamente diverse. Un’impresa di coltivazione con infinite possibili varianti; acqua, aria, territorio, temperatura, clima, tempistica e molti altri valori possono influire sul risultato finale. Come sei riuscito a finalizzare il sistema di produzione ideale? Facendo più esperimenti possibili, durante tutti i sette anni, dosando manualmente tutti questi fattori! Un susseguirsi di infiniti esperimenti, sul campo per sette lunghi anni, non ti sei mai avvicinato al punto di mollare? Diciamo che la passione mi ha travolto, inizialmente diventò una sfida con me stesso, poi, si estese a tutti gli scettici, che ormai non credevano in quello che stavo facendo! Subii anche un brutto infortunio durante gli esperimenti, fortunatamente senza conseguenze di danni permanenti, nonostante non mollai, perchè credevo fortemente in questo proggetto Ho avuto il piacere di testare le tue sorprendenti ostriche, durante la Master Class organizzata in occasione dell’evento enogastronomico Extraordinary Food & Wine, a Venezia, lo scorso Gennaio. Prima di allora, nonostante sia del settore, non le conoscevo. Quale pensi sia il modo più efficiente per farle conoscere al grande pubblico e conseguentemente al consumatore finale? Personalmente, la mia politica è quella di riuscire a fare parlare il pubblico del prodotto. Prediligendo degli eventi mirati, dove ci sia la possibilità di fare assaggiare il prodotto al consumatore, di raccontare questa mia avventura e la storia di questa ostrica. Riuscire a trasmettere la mia passione, penso sia la giusta chiave per appassionare e coinvolgere il consumatore che…assaggiando la magia di questo mollusco, accompagnato da un buon vino, si sente trasportato nel Delta del Po, dove, altrettanto magicamente sono coltivate e prodotte queste eccezionali ostriche dalle sfumature rosa… Carnose, compatte, sode, croccanti di sapidità non invasiva e di lunga resistenza di conservazione. Un ostrica perfetta! Pensi che sia possa ulteriormente migliorare? Penso che difficilmente sia migliorabile, anche se nella vita bisogna sempre provarci! Importantissimo, sarà riuscire a mantenere costanti nel tempo, gli standard di alta qualità, di queste ostriche rosa del nostro Delta del Po. Progetti futuri? Sicuramente fare crescere l’azienda creando nuovi posti di lavoro per il nostro piccolo paese. ...E perché non provare a fare diventare questo prodotto il più buono al modo? Sognare penso sia lecito! Anche perché, ormai sono passati oltre quattro anni da quando questo sogno divenne realtà, ora spero che con l’aiuto di Dio, tutto questo possa continuare…
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Massimo Zerbo, la rinascita dei “Pifferi del Brenta”
i pregiati sigari Italiani, dal DNA Sud Americano Articolo di Maurizio Pelli, editore Fotografia Antico Sigaro Nostrano del Brenta Le origini del tabacco Nostrano del Brenta risalgono al tardo 500. Leggenda narra che un monaco benedettino di ritorno dalla conquista delle Americhe, nascose i semi di questo tabacco ne suoi effetti personali e li portò nella Valle del Brenta. Certo è, che il tabacco non è autoctono di questa valle. La sua presenza fu storicamente registrata alla fine del 500, nei campi di un monastero a Campese, dove, iniziarono le coltivazioni. Durante il secolo successivo, divenne pratica comune coltivarlo in tutta la valle, tanto che a breve si rivelò essere la più importante coltivazione di rilievo della zona. La produzione aumentò tanto da scatenare invidie tra gli altri coltivatori e attirare l’attenzione delle autorità Veneziane. Un editto della Serenissima del 1703 vietò “la libera semina” del tabacco nel Canal del Brenta, dichiarandola “dannosa alla pubblica rendita e ai partitari della nuova condotta”. A poco servì tale editto, la coltivazione del tabacco, proseguì ininterrottamente sino nel 1750. Venezia, decise porre fine a questo abuso, inviando un suo ispettore nei paesi del Canale con il preciso incarico di distruggere tutte le coltivazioni. Nonostante tale drastico intervento, le coltivazioni ripresero ancora più abbondanti tra il 1763 e il 1796. Alla fine, Venezia decise non ostacolarne la produzione e di trattare con gli ormai consolidati coltivatori. Tre importanti contratti vennero stipulati riguardo la coltivazione e la lavorazione del tabacco tra gli emissari della Repubblica Marinara e i rappresentanti dei Comuni di Campese – Valstagna – Oliero e Campolongo. Iniziano così prime produzioni ufficiali dei già ufficiosi e leggendari “pifferi del brenta”. Una campagna napoleonica sconfisse e decretò la caduta della Serenissima Repubblica di Venezia, nel 1797 fu firmato da Napoleone e l’Austria, il trattato di “Campo Formio”, che siglò la pace tra Francia e Austria. Ebbe così fine la “Pax Veneta” e tutti i comuni della Valle del Brenta furono annessi all’Austria. Gli austriaci entusiasti della qualità questo pregiato tabacco ne confermarono e agevolarono la coltivazione in tutta la valle. Qualche anno dopo, nel 1806, Napoleone estese la concessioni anche sulla riva sinistra del Canal del Brenta, garantendo il privilegio di coltivazione ai Comuni di Solagna, Carpanè, San Nazario e Cismon. Tra le molte concessioni, fu addirittura introdotta la tolleranza sul peso delle consegne ai magazzini, con un margine del 25%, probabilmente come stimolo per incrementarne la produzione. Purtroppo, nel 1870, causa l’eccessiva pressione fiscale imposta dalle leggi dei Monopoli dello Stato Italiano, lentamente ma inesorabilmente, la coltivazione del tabacco della Valle del Brenta fu abbandonata e la maggior parte della popolazione migrò in cerca di fortuna in altre terre. Sopravvissero solo delle piccole coltivazione “nascoste”, che fiorirono, grazie alla costante richiesta da parte dei consumatori ormai vezzi ed usi alla pregiata qualità di questo tabacco. Le famiglie di coltivatori rimaste, non si persero d’animo, aumentarono nell’ombra le coltivazioni e le produzioni di sigari di contrabbando. Conoscendo alla perfezione il territorio , riuscirono abilmente a eludere i controlli del Monopolio di Stato. In tutta la valle prese piede il contrabbando di tabacco e dei suoi lavorati, che contribuì sostanzialmente alle entrate dell’economia locale. Tanto che fu istituita la Prefettura di Valstagna, per contrastarne il fenomeno. Nel 1871 fu emessa la prima sentenza ufficiale per contrabbando di sigari. Tale sentenza non scoraggiò gli abitanti della valle, che ininterrottamente continuarono a coltivare, produrre e contrabbandare i sigari persino durante la Seconda Guerra Mondiale. 55
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Nel 1939, in cooperativa da 16 coltivatori, fu costituito il “Consorzio Tabacchicoltori Bassano del Grappa” divenuto inseguito “ Consorzio Tabacchicoltori Monte Grappa”. Lo scopo sociale fu quello di garantire assistenza per la coltivazione, lavorazione e vendita del tabacco a tutti i produttori associati. In seguito il Consorzio si espanse nei comuni limitrofi annettendo i coltivatori di Castelfranco Veneto e Noventa Vicentina. Un impegno costante del Consorzio, con alle spalle ottant’anni di attività sempre dedita al tabacco e al sigaro Nostrano del Brenta, che nonostante gli impedimenti che la storia impose, generò sempre ricchezza nella Valle, dalla fine del 500 ai giorni nostri. Nel 2002, il Consorzio, giustamente decise di riportare l’antica arte sigaraia della sua Valle ai fasti passato, una tradizione, in realtà solo assopita e mai totalmente debellata dagli eventi della storia. Nel 2012, l’Antico Sigaro Nostrano del Brenta 1763, esordì sul mercato. Segui Il Doge, il primo sigaro italiano interamente fatto a mano con fascia e sottofascia Le aziende associate che coltivano e conferiscono il tabacco che verrà utilizzato per la produzione dei sigari, sono tutte situate nel Veneto, nelle Provincie di Padova, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza. Questo è il territorio tipico dove, duranti lo scorrere dei secoli, l’originale pianta habanos, divenuta Nostrano del Brenta, si adattò e sviluppò esaltandone proprietà e qualità. Nonostante che i territori delle diverse Province possano presentare alcune proprietà, caratteristiche e peculiarità diverse, verranno comunque assorbite e assimilate dalle piante di tabacco coltivato in questo territorio, regalando lievi sfumature e diversità di gusto alle foglie impiegate per la realizzazione dei sigari. Le diverse fasi della lavorazione agricola del tabacco Nostrano del Brenta sono rigorosamente manuali e svolte direttamente dai soci del Consorzio, in base dallo scorrere delle stagioni. Passato l’inverno, a marzo inizia la preparazione del terreno e in aprile si svolge la vangatura, eliminando le erbe infestanti, migliorando la struttura del terreno. Coltivare il tabacco, cimarlo, raccoglierlo, asciugarlo, fermentarlo, umidificarlo, lavorarlo e prepararlo per produzione di sigari è un’opera molto complessa, specialmente se tutte le lavorazioni sono eseguite manualmente. Infiniti controlli e verifiche seguiranno, durante tutte le fasi di lavorazioni, prima che le foglie di tabacco possano essere utilizzate per la confezione dei sigari. L’ Antico Sigaro Nostrano del Brenta 1763, è realizzato completamente a mano dalle sigaraie della manifattura di Campese in Bassano del Grappa secondo un processo tramandato da generazioni da oltre quattro secoli di storia. Confezionato con fascia e sottofascia, precedentemente fermentate e sagomate. Partendo dalla preparazione della c.d. “pupa”, ossia, l’arrotolatura della sottofascia sul ripieno, eseguita a distanza di qualche giorno dalla fascia, la foglia esterna che completa la “vestizione” del sigaro. Gli strumenti impiegati dalle sigaraie sono tutti manuali, necessitano di grande esperienza e manualità. Fondamentale per l’ottima costruzione del sigaro, oltre alle qualità dei tabacchi impiegati, è la capacità della sigaraia di arrotolare la giusta quantità di tabacco per evitare tiraggi eccessivi o eccessivamente serrati. La “manciata” è la giusta quantità di ripieno racchiusa dalla sottofascia, determinata oggi come 400 anni fa, dalla sensibilità della sigaraia che costruisce il sigaro, questa specifica attività può essere considerata un’arte. I segreti si imparano dopo lunghissimi periodi di apprendimento e pratica. Tutto il tabacco impiegato nella manifattura per essere maneggiato viene riportato ad un grado di umidità molto elevato, per consentirne un’ottima elasticità. La costruzione del sigaro inizia con la preparazione della sottofascia, una foglia avente caratteristiche molto simili alla fascia, che le sigaraie sagomano in modo definitivo con l’aiuto di apposite lame a mezza luna. Il ripieno viene avvolto con l’aiuto di un tappetino flessibile, che permette di formare il cilindro, senza che i pezzi di tabacco si sparpaglino. L’operazione è delicata, il tabacco deve essere 57
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distribuito in modo da non formare vuoti o, al contrario, zone eccessivamente piene che se asciugate, renderebbero il sigaro impossibile da “tirare”. Arrotolata la pupa viene lasciata riposare in piccoli telai di legno, lasciata ad asciugare per rendere possibile la fase successiva di arrotolatura della fascia. A differenza dei sigari caraibici, la tradizione manifatturiera italiana, non prevede l’uso di presse e formelle per conferire al sigaro forma perfettamente cilindrica. Contrariamente, la pupa riposa, senza alcuna costrizione di spazio o forma, influenzando la successiva fase di arrotolamento della fascia delineando la forma finale del sigaro. In questa terza fase, vengono utilizzate fasce precedentemente selezionate e sagomate. La sigaraia stende un sottile strato di colla vegetale (naturale, incolore e totalmente insapore), procede poi all’arrotolamento definitivo della pupa esercitando una pressione leggera e costante durante tutta la torsione. Grazie alla morbidezza mantenuta dalla pupa il sigaro assume la caratteristica forma bitronco conica, tipica di tutti i sigari realizzati in Italia senza ausilio di presse e stampi. Il sigaro ora definitivamente racchiuso da fascia e sottofascia viene “spuntato” alle estremità per mezzo di particolari ghigliottine che eliminano le sporgenze finali pareggiando fasce e ripieno. Esaurita questa lavorazione il sigaro è finito. Ora dovrà maturare per raggiungere un grado di umidità normale di fumata. Per questo motivo, dopo la spuntatura, il sigaro viene collocato in telai traforati che, opportunatamente individuati con il numero di lotto, data di produzione e tipologia di ripieno utilizzato, saranno riposti in speciali celle di asciugatura e maturazione. Seguiranno numerosi controlli di qualità relativi a peso, lunghezza, spessore, consistenza, confezione, integrità della fascia e serraggio del ripieno. Superati questi controlli i sigari vengono messi a riposare sui rispettivi telai in una specifica cella di asciugatura dove, grazie a temperature elevate a umidità controllata, perderanno l’eccesso di umidità accumulato per la confezione. Verranno poi trasferiti in una seconda cella di maturazione, nella quale la temperatura e l’umidità sono mantenute a condizioni più prossime a quelle ambientali. In questa fase i sigari maturano ulteriormente ed il tabacco utilizzato subisce un’ulteriore, ennesima, micro fermentazione. Sono proprio questi continui passaggi tra umidificazione - riscaldamento ed asciugatura raffreddamento imposti al tabacco Nostrano del Brenta, durante tutte le diverse fasi di lavorazione, a conferire ai sigari la maggior parte gran parte dei loro caratteri tipici. Successivamente, i sigari usciti da questa seconda cella verranno stivati in una terza, detta di mantenimento, nella quale riposeranno fino al momento del loro definitivo confezionamento. L’ultimo passaggio prevede i controlli dei tecnici del Consorzio, al fine di verificarne colore, aspetto e grado di maturazione finale. Verranno ulteriormente suddivisi per colore e aspetto esteriore, prima di essere disposti nei rispettivi astucci nelle scatole Antico Sigaro Nostrano del Brenta 1763. Il confezionamento è l’ultimo passaggio subito dai sigari prima di essere immessi sul mercato. Anche questa fase di lavorazione è svolta manualmente dalle sigaraie della manifattura che eseguono, contestualmente, un ultimo controllo di qualità del colore e l’integrità dei sigari maneggiati. Solo i sigari che superano quest’ultimo test sono pronti per essere immessi in commercio ed assaporati da tutti gli appassionati. Avere in Italia una zona adatta per coltivare un pregiato tabacco di origine sudamericana, riuscire a produrre e confezionare sigari di alta qualità, riuscendo addirittura a perfezionare alcune lavorazioni tipiche delle grandi, rinomate e famose case manifatturiere sudamericane non è cosa da poco. Artefice e promotore di questo progetto di successo è il cinquantasette, direttore commerciale Massimo Zerbo. Nato a Thiene ((VI), tecnico commerciale, socio fondatore e direttore commerciale della società “Ellisse Snc”, specializzata nella ricerca di finanza pubblica e privata a favore delle aziende Entrò in azienda a progetto idealizzato, ma ancora da realizzare. Subito si focalizza alla ricerca di un valido partner commerciale. In questo settore la parte difficile, specialmente in Italia, non è produrre o confezionare i sigari, bensi venderli. 59
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Conseguentemente nel 2011 stringe rapporti commerciali con la Manifattura Sigaro Toscano, grazie al loto continuo e contributivo supporto, alla fine del 2012, riuscì a presentare e distribuire nelle tabaccherie “Il Doge” il primo Antico Sigaro Nostrano del Brenta. In seguito si concentra nella promozione tra i consumatori del prodotto girando ininterrottamente per tutta Italia, presenziando in tutte le serate degli eventi promozionali, organizzate dai diversi “cigar club” nazionali. Oggi, dopo essere riuscito a completare la distribuzione su tutto il territorio nazionale, Massimo Zerbo, mira al mercato estero, in particolare in Svizzera, Germania e Inghilterra, dove iniziò con piccole quantità, consolidando una presenza stabile in leggera crescita. Dopo qualche anno le referenze dell’Antico Sigaro Nostrano del Brenta, aumentarono, favorendo conseguentemente le richieste. Oggi, edizioni speciali a parte, continuativamente sono presenti 9 varietà di sigari diversi.
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Riportare in auge uno storico pregiato sigaro del passato, nel contesto economico non favorevole degli ultimi anni, non è cosa poco. Com’è nata questa avventura? L’avventura è nata sulla scorta di normative europee che stravolsero il mondo dei contributi alle aziende agricole, estese in particolare modo al mondo del tabacco. Ecco che i soci della Cooperativa, decisero di rilanciare la coltivazione del tabacco storico della valle del Brenta, appunto il Nostrano del Brenta. Tabacco scuro di origine sud americana idoneo alla produzione di sigari. La tua, è stata un’impresa mossa dal business o dalla passione per il questo sigaro? Quando fui chiamato dall’allora direttore del Consorzio, il mio ruolo era legato al mio lavoro di quel tempo, ovvero, ricercare finanziamenti per poter avviare la produzione del sigaro. Successivamente subentrò la passione che mi fece attuare una scelta di campo netta e decisa. Oggi, eccomi qui, nelle vesti di direttore commerciale. I sigari sudamericani, sono notoriamente e globalmente riconosciuti come i migliori e i più pregiati del mondo, l’origine in comune del tabacco è sufficiente per entrare in competizione con i grandi nomi delle case manifatturiere del Sud America? In competizione no, fosse solo per il fatto che nell’immaginario collettivo, il sigaro è sud americano, meglio sarebbe definirlo cubano, che è frutto di molti anni di storia dei sigari. Nonostante posso tranquillamente affermare che, chi si avvicina al nostro sigaro, trova un prodotto con un ottimo rapporto qualità - prezzo, non elevato e concorrenziale. Il consumatore rimane felicemente stupito e molto soddisfatto. Produrre e confezionare un sigaro a mano comporta un notevole impiego di tempo e necessita di una quantità adeguata di manodopera esperta e specializzata. Rispetto alle concorrenti produzioni sudamericane, dove il costo del lavoro è notevolmente inferiore, come riuscite a contenere i costi di produzione e a calmierare i prezzi al pubblico? I nostri sigari mediamente costano molto meno nelle tabaccherie di quelli delle produzioni sud americane più blasonate, di conseguenza abbiamo la possibilità di collocarci sul mercato con un prezzo finale inferiore, ma con le giuste soddisfazioni. Quali sono le sostanziali differenze tra il nostro più famoso e consumato Sigaro Toscano e l’Antico Sigaro Nostrano del Brenta? Hai presente la differenza che passa tra uno speck e un prosciutto crudo? Entrambi salumi che derivano dallo stesso animale, ma differenti. Il primo è affumicato il secondo è asciugato all’aria, trasferisci questo semplice concetto nei sigari, e troverai la differenza più sostanziale. Il sigaro Toscano è prodotto con tabacco “Kent” curato a fuoco, con la tecnica denominata “fire cured”. Il Nostrano è curato ad aria ovvero con la tecnica denominata “air cured”, di conseguenza il nostrano è meno spigoloso e più morbido Ho avuto il piacere di presenziare alla tua interessante Master Class, in occasione dell’evento enogastronomico Extraordinary Food & Wine, lo scorso gennaio a Venezia. Prima di allora, nonostante sia coinvolto in questo settore, non conoscevo questo prodotto. Eventi Food & Wine, Cognac & Distillati a parte, quali sono le strategie opportune per farlo conoscere al grande pubblico e conseguentemente al consumatore finale? Porta a porta, partecipare a molte serate, master class, in modo da coinvolgere direttamente il consumatore finale. Progetti futuri? A breve, dovremo consolidare la nostra presenza sul mercato italiano, sia in termini di numero di tabaccherie servite che nella quantità di pezzi venduti. Nel medio e lungo periodo, vorremmo aggredire il mercato estero. Consapevoli che potrebbe essere una “Missione Impossibile”, date le nostre piccole dimensioni aziendali, nonostante questo, non abbiamo timore alcuno. La storia di questo tabacco è fatta di duro lavoro e tanti sacrifici, se siamo arrivati sin qui, possiamo arrivare dovunque. 63
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Michelin Starred Chef Italo Bassi una passione per la cucina nata sulla Riviera Romagnola, vissuta intorno al mondo e approdata in Costa Smeralda
Articolo di Maurizio Pelli, editore Fotografia Ristorante ConFusion Porto Cervo Italo Bassi, romagnolo doc, è nato a Fusignano nel 1969, dopo aver frequentato la scuola alberghiera nel 1988, inizia le sue prime esperienze stagionali negli hotel e ristoranti delle Riviera Romagnola e negli hotel a cinque stelle di Riolo Terme - Ravenna, nota elegante - esclusiva zona termale, già conosciuta come Riolo dei Bagni e frequentata dai bolognesi sino dal 1870. Inizierà la sua più importante esperienza formativa, entrando nelle cucine del famoso ristorante “Trigabolo di Argenta“ a Ferrara, sotto la guida e la regia dello chef Igles Corelli, precursore della sperimentazione e grande innovatore dell’alta cucina italiana, chef Italo fa il suo ingresso nel mondo all’alta ristorazione dove apprese l’uso delle attrezzature più complesse e la lavorazione delle materie prime di alta qualità. Dopo una breve, ma significativa esperienza a Piacenza presso “l’Osteria del Teatro”, a soli 19, fa il suo ingresso nelle cucine dell’Enoteca Pinchiorri, dove durante gli anni scalerà tutte le posizioni della carriera di chef, fino a diventarne un’icona. Nel 1992 venne inviato a Tokyo, in qualità di responsabile della cucina, in occasione dell’apertura del “Enoteca del Sol Levante”. Un ruolo che lo vedrà co-protagonista del successo riscontrato da oltre quindici anni dall’Enoteca Pinchiorri, in tutto l’oriente, quale divulgatrice della cucina e dei prodotti italiani nel mondo. Un anno dopo rientra a Firenze, durante i primi mesi del 1993, gli venne offera la posizione di Executive Chef dell’Enoteca Pinchiorri, da poco insignita della terza stella Michelin. Negli anni successivi, nel 2003, con qualche difficoltà, ma sempre con grande impegno e capacità, riuscì a riconquistare l’ambitissima terza stella Michelin che fu persa qualche anno prima, riportando così l’Enoteca ai vertici della cucina italiana e internazionale e ripagando la fiducia ripostagli dai titolari Giorgio Pinchiorri e Annie Feolde. Una conquista importante, che gli consentirà di viaggiare nel mondo, da New York a Parigi, da San Francisco a Los Angeles, Stoccolma, Vienna, Bangkok, Singapore, Hong Kong, Rio de Janeiro, dagli Emirati Arabi Uniti fino all’Australia. Costantemente promuovendo la cucina italiana dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze, lavorando con i migliori chef internazionali, riuscendo a farsi apprezzare sia per le sue spiccate capacità professionali che per le sue doti umane. Nel febbraio del 2013 apre il suo primo ristorante, il “ConFusion Verona“. Nel 2015, dopo 27 anni, lascia l’incarico di Executive chef dell’Enoteca Pinchiorri per dedicarsi esclusivamente ai suoi progetti. Nel 2016, apre un secondo ristorante, il “ConFusion Restaurant” di Porto Cervo, dove conquisterà una Stella Michelin nel 2019, la prima e unica conferita in tutta la Costa Smeralda. L’ambito riconoscimento gli è stato riconfermato anche per il 2020. Un concept esclusivo, dove l’eccellenza della cucina si fonde con il lusso e la raffinatezza degliambienti. Cucina, eleganza e design, il ConFusion rappresenta il meglio la filosofia dell’eno-gastro-edonismo. A Porto Cervo, Chef Italo Bassi propone la sua nuova visione di Grande Cucina, basata sulla tradizione italiana, arricchita dai profumi esotici e dalle materie prime di altissima qualità, dedicando una particolare attenzione ai prodotti tipici della Sardegna, in particolare ai crudi di mare. La sua proposta segue il filo conduttore dell’eccellenza, spaziando da piatti gourmet alle de65
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gustazioni di ostriche e caviale accompagnati dagli champagnes delle Grandi Maison. Un offerta di menu creati appositamente per eventi speciali e le serate A fianco di Italo Bassi, in sala, si gode dell’inconfondibile tocco di “Madame Confusion” donna Tatyana Rozenfeld, fondatrice del “Club dei degustatori cronici”, che grazie alla sue esperienze internazionali, nel campo del design, contribuisce a rendere il ConFusion, un autentico gioiello di arte moderna. Un percorso tutto il salita, passare dalla riviera romagnola alle più ambite città del mondo, il passo è breve? Il passo è tutt’altro che breve! Il percorso è stato molto difficile ma sempre caratterizzato dalla mia volontà, determinazione, professionalità, e perché no, dalla mia bravura. Certo non è stato un passaggio improvvisato o dettato dalla fortuna, ma graduale e basato sui tanti anni di esperienza che mi hanno portato ad ottenere tantissimi risultati che per me sono motivo di grande orgoglio. Cos’è rimasto, da cosa non ti sei mai separato, della cucina romagnola durante tutti questi anni? Non mi sono mai separato da uno degli ingredienti più semplici della nostra terra che è il sale di Cervia, indispensabile per esaltare tutte le pietanze. Il sale dolce di Cervia, usato fin dai tempi antichi, fu valorizzato molto dai Dogi di Venezia, quale elemento non solo di commercio ma anche fondamentale per insaporire i piatti. Quali sono le cucine estere che più ti hanno ispirato e quali sono gli ingredienti esotici che più hanno contribuito all’evoluzione della cucina ConFusion di oggi? Tantissime cucine estere mi hanno ispirato nel corso della mia carriera e mi ispirano tutt’oggi, perché non sono mai sazio dell’apprendimento e delle nuove scoperte. Sono molto legato alla cucina asiatica, ai suoi prodotti e alle sue spezie e ai profumi ed alle sue erbe. L’ingrediente di cui non posso fare a meno è il coriandolo sia fresco che in semi, così come le diverse qualità di curry, latte di cocco o lime. Anche la lemongrass è di fondamentale importanza per la mia idea di cucina leggera, profumata ed elegante. Dopo aver vissuto le cucine delle “Città del mondo”, cosa ti ha fatto decidere di aprire il tuo ristorante in Italia? Perché Verona? E’ stata una conseguenza naturale voler mettere in pratica la mia esperienza nell’alta cucina in un mio locale. Il ConFusion nasce a Verona, ma la sua caratteristica è quella di sapersi adattare ad ogni località, valorizzando i prodotti locali ed aggiungendo altri ingredienti pregiati con l’obiettivo finale di rendere la cucina molto confusion! Ventisette anni di Enoteca Pinchiorri, passati sempre in tensione? Oppure sei riuscito a raggiungere un consolidato “modus operandi” di stabile routine? Ventisette anni che hanno rappresentato per me tanta soddisfazione a livello personale e lavorativo. La tensione non è mai mancata, ma non è mai stata routine, in quanto ogni giorno era sempre un giorno a sé, così come ogni stagione ed ogni anno. Una continua evoluzione nel corso del tempo, un percorso di grande crescita dove tante idee sono state sviluppate fino al riottenimento delle tre stelle Michelin, con il glorioso ritorno all’apice della ristorazione non solo italiana ma anche mondiale.
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Cosa rimpiangi della posizione di Executive Chef nelle cucine della più famosa delle enoteche italiane? Cosa invece “meno digerisci” della tua posizione di attuale imprenditore – Chef Patron? Invidio la meravigliosa collezione di grandi vini dell’Enoteca Pinchiorri, così come il lavoro di squadra, che quotidianamente lavora fianco a fianco per raggiungere grandissimi risultati. Aver avuto dei dipendenti come me, che sono rimasti tantissimi anni come pilastri di un progetto molto ambizioso è una grande fortuna, oltre che un’assoluta rarità. Se devo essere sincero sono molto felice e soddisfatto della mia attuale posizione di imprenditore e Chef Patron del mio ristorante. Svegliarmi alla mattina e poter decidere cosa fare, avere la possibilità di spaziare e creare senza dover assecondare le richieste della proprietà, è per me motivo di grande stimolo, giorno dopo giorno. Aprire il tuo secondo ristorante a Porto Cervo, fu per scelta o per caso? L’apertura del ristorante Confusion Boutique Restaurant di Porto Cervo è avvenuta per caso, anzi per un’occasione. Mi hanno fortemente voluto qui, perché la ristorazione era troppo improvvisata, hanno scelto di puntare su di me per ottenere grandi risultati. Dopo soli due anni, sono riuscito ad ottenere l’unica stella Michelin nella storia della Costa Smeralda, penso che questo sia un grande riconoscimento, sia a livello personale che per la ristorazione di Porto Cervo e di tutta la Costa Smeralda.
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The Sleeping Beauty Articolo e fotografia di Emanuela Marinello Dopo due mesi e mezzo di lockdown, finalmente, ritorno a passeggiare nella mia amata Venezia. La splendida giornata di sole la rende ancora più sfavillante, sconcerta l’assenza di turisti, l’insolita immagine incantata le dona un’altra aurea, anche i più piccoli particolari saltano all’occhio nel vuoto cosmico dell’assenza di persone, gondole e vaporetti. Quanta bellezza! Una sfacciata fortuna poterla ammirare in questo momento unico, che sappiamo durerà ancora per poco, farò tesoro di queste immagini e le sigillerò negli scatti di questo mio articolo. E’ tutto molto strano, tante le attività ancora chiuse, in attesa che giunga il mese di giugno per la riapertura, quando, anche per i foresti sarà possibile raggiungere nuovamente la città. Chi è riuscito a riaprire, sorride in modo inaspettato, cercando un contatto e un riscontro umano tra i pochi passanti tra le calli. Impressionante è passare dalla consueta visione di una Venezia costantemente presa d’assalto dai turisti, in tutte le stagioni dell’anno, ad una città vuota e deserta, come si presenta in questo momento. Il Sindaco di Venezia offre la possibilità di navigare nella sua città, ora si può fare un giro in Canal Grande con i taxi acquei a prezzi calmierati, colgo l’occasione e ne approfitto, il Canal Grande o “Canalasso”, come lo chiamano i veneziani, si esprime in tutta la sua bellezza, con i suoi maestosi luccicanti palazzi che si specchiano riflessi nelle calme acque, magicamente prive di traffico, incrociamo un solo vaporetto e qualche vogatore che si allena per le prossime gare. Non posso esimermi dal prendere un aperitivo in uno dei pochi bacari o bar aperti; “Signora, abbiamo appena riaperto, non siamo ancora pronti per servirvi i famosi cicchetti veneziani” ci informa l’oste. Non importa, mi godo il prosecco fresco e ammiro tutta la dormiente bellezza che mi circonda. E’ giunta l’ora di andare, indosso la mia mascherina e lentamente mi incammino verso il vaporetto che mi riporterà a casa. A presto mia Venezia, splendida come sempre!
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Art in a Glass By: Author and Private Chef Mimi Houston As the endless days of April showers had come to an end, May flowers had been in sight, and the warmth of Summer is upon us. I can almost feel the rays of sunshine warming the earth, the excitement of a hot breeze kissing our cheeks and the anticipation of the 1st bloom which is both blissful and intoxicating. The same can be said of watching a dance scene from the renowned “Rocky Horror Picture Show”, the Time Warp Dance, which in my opinon was the best dance routine there had been, and like cooking, it’s instructional, and anyone can do it, singing and dancing with a wide variety of friends of that frankly, in my opinion, puts the twist to shame. “If you want to find the secrets to the universe, think in terms of energy, frequency and vibration” ~ Nikola Tesla At one moment or another, we are all inspired to do and create something wonderful. What happens to our bodies during these moments? We are all made up of energy and vibration, and our frequency changes. I am always excited when I feel this change, in this case, I wanted to create something to represent summer, a ray of sunshine, cool to the palate, hydrating the soul, a breath of fresh air if you will. Let’s talk soup, a main dish often served with a bread roll or crusty bread. We have been making soup since ancient times. The high water content in soup is one of the most delicous ways to stay hydrated. Often, we associate hot, hardy style of soups for autumn or cold winter months, but its counterpart is often less mentioned, and almost every country has a cold or chilled soup. Korea: Naengmyeon, a cold noodle soup. Russia: Okroshka, a mixture of of most raw vegetables, boiled potatoes, eggs and cooked meat such as beef, sausage or ham with kvass; a non-alcoholic beverage made from fermented black or rye bread. France: Vichyssoise, a puree of leeks, onions, potatoes, cream and chicken stock Spain: An Andalusian Gazpacho prepared with fresh red ripe tomatoes, extra virgin olive oil, day old bread, red bell capsicum, garlic, onion, salt and white wine vinegar. When I think of cold or chilled soups, I think raw, uncooked, unprocessed fruits and vegetables because they pack more nutritional value than their cooked counterparts, and are deliciously refreshing. Here I am featuring two Gazpachos inspired from Spain. A watermelon Gazpacho and a Corn Gazpacho with a Whipped Espresso for dessert. A little piece of advice; “Eat only at meal times, Eat fresh and local; do not eat our of season” .. ~Confucius was a Foodie
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Il pensiero e la filosofia attuati da Giuseppe Giuliano in cucina e pasticceria Articolo di Giuseppe Giuliano Fotografia di Giovanni Vernengo Semplicità, fattibilità e gusto sono alcuni degli elementi importanti che Giuseppe Giuliano mette in cima alla lista dei principi necessari per progettare e creare elaborati nella sua cucina e nella pasticceria. Il gusto è la componente principale nella pianificazione di un elaborato, senza trascurare altri elementi come le essenze e le consistenze diverse, ancora meglio se composto anche con temperature diverse; elementi soffici, croccanti e con l’inserimento di frutta e ortaggi. Anche se non disdegna la cromia, predilige la “monocromia” (“Monocromia…chiaro e scuro” è il pensiero e la filosofia attuati da Giuseppe Giuliano nella sua cucina e nella pasticceria, la sua prima rubrica fu pubblicata sulla rivista “Pasticceria Internazionale”), le diverse tonalità e le sfumature che vanno a completare il suo progetto culinario o dolciario. Sempre alla ricerca di nuovi ingredienti, anche tra quelli poveri, ritrovati nella cucina del territorio. I suoi piatti sono semplici, leggeri e delicati, cercando di snellire le portate, ama curare la presentazione perché per Giuseppe Giuliano è la parte finale dell’elaborato, come se fosse uno specchio che riflette l’immagine dell’esecutore, ma ancora di più rispecchia l’organizzazione e la progettazione del piatto completato.
Tonno in agrodolce profumato al basilico 79
Diversificazione di pollo con peperoni e pomodoro essiccato
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Dessert al limone e miele di zagara
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Senza marito, ma non senza Champagne! Articolo di Livia Riva Fotografia Maisons du Champagne Bollinger & Pommery Clicquot- Ponsardin, Pommery, Bollinger, sono nomi di importanti Maison di Champagne che hanno una particolarità in comune: il loro successo è dovuto principalmente al merito e alla determinazione delle proprietarie che, una volta rimaste vedove, sono riuscite a continuare e migliorare il lavoro iniziato dai loro mariti nel meraviglioso mondo delle bollicine francesi. Prima fra tutte la famosissima Nicole-Barbe Ponsardin che divenne vedova di François Clicquot nel 1805, alla giovane et à di 25 anni. Nicole, nota ai giorni nostri come Veuve Clicquot -Ponsardin (Vedova Clicquot -Ponsardin), non si perse d’animo e, con piglio imprenditoriale e l’aiuto di bravi venditori, inondò la Russia del suo Champagne, che a San Pietroburgo prese il nome di Klikovskoje. Visionaria e presuntuosa quel tanto che bastava, con la sua caparbietà riuscì a migliorare le tecniche di produzione delle bollicine creando, insieme al suo Chef de Cave, il tavolo del “remuage sur pupitres”, tecnica utilizzata ancora oggi per concentrare nel collo della bottiglia i sedimenti che si formano dopo il periodo di permanenza sugli lieviti. A questa donna è dedicato il vino di punta della Maison Clicquot -Ponsardin: La Grande Dame, spumeggiante nettare dove si incontrano i due più grandi vitigni della Champagne: Pinot Nero nella misura del 65% e Chardonnay, con il 35% (la proporzione varia di poco da un millesimo all’altro). Le caratteristiche sensoriali di questo splendido vino, sono anzitutto dominate dalla freschezza del frutto rosso e dalla precisione del gusto data dal Pinot Nero. Come Madame Ponsardin, anche La Grande Dame rivela un carattere forte e deciso, con delle note ben delineate di fragola e di lamponi, una freschezza invitante e una complessità di aromi notevole. E come la grande vedova, rivela la sua grandezza lentamente. Bisogna dargli tempo e saperlo aspettare: solo la storia riconoscerà il suo valore. Nel 1858 un’altra lungimirante signora francese, Louise Pommery, vedova a causa della prematura scomparsa del marito, raccolse le redini dell’azienda e a soli 39 anni riuscì ad interpretare i gusti degli Inglesi, i più grandi consumatori di Champagne a tutt’oggi, e iniziò a produrlo nella versione Brut, ossia con un residuo zuccherino nettamente inferiore rispetto a quello che normalmente veniva aggiunto dalle altre Maison nella “liqueur d’expedition” per il resto del mercato europeo. Louise, la conquistatrice, riuscì magistralmente nel suo intento e in pochi anni portò la produzione di Pommery da 45.000 a 2.250.000 bottiglie, costruendo, nelle cave di gesso sotterranee risalenti al tempo degli antichi Romani, 18 Kilometri di gallerie per l’affinamento delle bottiglie. Per celebrare quest’altra grande Dama del vino, nel 1979 la Maison ha creato la Cuvée Louise, 60% Chardonnay e 40% Pinot Noir. Un incontro elegante degli stessi vitigni della precedente bottiglia, proposti in percentuale diversa. Ecco quindi che l’irruenza dello champagne precedente viene sostituita da un equilibrio di suadenti emozioni gustative. Vi sono profumi erbacei iniziali, che lasciano subito il passo ad accenni burrosi e fruttati di pesca gialla e albicocca, insieme adaccattivanti note di biscotto appena sfornato. Uno champagne di gran classe ed eleganza che, anche in bocca, si esprime con una morbidezza e setosità perfette. Ha una bella consistenza, e un approccio garbato. I l finale è un ritorno di mandorla tostata, con una persistenza decisa e risoluta, proprio come Madame Louise. E’ da godere pasteggiando in modo tranquillo con un menu a tutto tondo, ed ha talmente tanta eleganza che riesce ad adeguarsi a tutte le occasioni e con tutte le portate.
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Infine, arrivando in epoche più moderne, è d’obbligo ricordare Madame Elisabeth Law de Lauriston Boubers, vedova Bollinger, nota a tutto il mondo com e Lily Bollinger o, in modo più affettuoso, Tante (zia) Lily. Madame Bollinger rimase vedova all’età di 42 anni, nel 1941. In quegli anni l’Europa era devastata dalla seconda guerra mondiale, i tedeschi avevano invaso la Francia e sotto la loro occupazione anche le razioni di carburante erano state ridotte. Fu così che Tante Lily iniziò a ispezionare i suoi vigneti ogni giorno in bicicletta. L’immagine di Lily Bollinger, vestita di tutto punto, che gira per le vigne con il suo “vélo” (bicicletta), diventa l’icona della Champagne di quel periodo. Viaggiò in tutta l’Europa per far conoscere al mondo la particolarità del suo champagne e la maestria con cui veniva prodotto. Curava personalmente tute le fasi della vinificazione, dalla raccolta in vigna, alla fermentazionein cantina, all’assemblaggio delle differenti cuvées. Tutto passava al suo controllo prim a di essere immesso sul mercato. Non c’è quindi da stupirsi se il grande successo di Bollinger dei nostri giorni è da far risalire alla precisione dei suoi sistemi, utilizzati ancora oggi dalla grande Maison. Uno champagne che fra tutti la rappresenta maggiormente è Bollinger Grande Année, prodotto solo quando le vendemmie sono ineccepibili e solo millesimato. La vinificazione di questo champagne avviene in piccole botti di legno, costruite dalla Maison stessa. L’affinamento in bottiglia non viene effettuato con il tappo a corona, come si fa comunemente, ma con il tappo in sughero. Il “remuage” e la sboccatura vengono effettuati esclusivamente a mano. È quindi indiscusso che un tale champagne offra un panorama di sensazioni di olfatto e di gusto molto complesse. Si colgono immediatamente delle note di legno e di burro di cacao, e, come sempre, un buon frutto polposo e ricco dato dalla predominanza del Pinot Nero, 65% , assemblato con lo Chardonnay, 35%. L’assaggio è davvero un’esperienza dei sensi senza confini….questo champagne avvolge il palato com e un mantello di seta e sprigiona un ventaglio di aromi talmente complesso da incantare i sensi come una danza di luce e profumi. Spezie, miele, tamarindo, resina, mandorle, ogni assaggio porta un sapore diverso, e non si finisce mai di gustarlo. I mariti sarebbero stati fieri di queste loro mogli! Santé!
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Remo Pasquini, gourmande e gastronauta un bon vivant artista del legno Articolo di Maurizio Pelli, editore Fotografia: Laboratorio Marino Pasquini Remo Pasquini, nasce a Bovolone (Verona) nel 1965, dove ha sempre vissuto, solo da qualche anno si è trasferito nella vicina Cerea. Frequentò la scuola di disegno ed ebanisteria serale a quattordici anni, le giornate, già le passava lavorando con il padre Marino, fondatore, alla fine degli anni cinquanta della tradizionale Bottega Veneta Artigiana, il “Laboratorio Marino Pasquini”. L’abilità nella scelta delle essenze e la maestria nel plasmarle, già allora, era finalizzata alla produzione di mobili d’arredo artistici, solo in seguito, si estese anche alla realizzazione di sedie e poltrone. Influenzata dalla fresca spinta innovativa di Remo, l’abilità manifatturiera dell’azienda, si arricchisce producendo nuove forme artistiche. Mantenendo saldi, valori, priorità e contenuti contenuti di sempre, Remo iniziò disegnando, progettando e realizzando cantine e oggettistica in legno pregiato dedicata al mondo del “food & wine”. Data la grande passione e la conoscenza del “bien vivre”, mai venuta meno, la sua priorità cadde inevitabilmente sulla scelta accuratissima dei materiali, fondata sull’esperienza pluriennale che nel corso degli anni si è fusa consapevolmente con la progettualità, sempre attenta e focalizzata alle esigenze dei privati e della ristorazione. Grazie alla cura del dettaglio e un impeccabile senso estetico, Remo riesce a coniugare bellezza e praticità. Il legno massello tra le abili mani degli artigiani del laboratorio, può prendere forma classica o diventare oggetto di design innovativo, senza precluderne la praticità di utilizzo. Il laboratorio Marino Pasquini si consolida, riconosciuto per gli elementi di attualità che contraddistingue l’azienda di Bovolone, la progettualità nell’assemblare materiali e idee e sintesi di forma e contenuto, capisaldi dell’artigianato. Modernizzare, attualizzare per soddisfate esigenze e desideri, per i clienti alla ricerca un arredo dalle linee più attuali e al tempo stesso originali. Remo, con successo, risponde alle richieste del pubblico, con due nuove linee denominate: New Vision e Traditional. Due linee differenti, allo tempo stesso contigue, dove esprime la sua competenza, sodisfando sia la clientela attratta dalle più creazioni moderne, che quella tradizionale di gusto classico, attualizzando forma e stile. La linea Traditional, propone realizzazioni in legno massello della migliore qualità, in stile classico - elegante. Pratici comò, cassettiere e scrittoi, di diverse forme e utilizzi, sedie ergonomiche e confortevoli, altre colorate, dedicate agli ambienti più informali e moderni, robustezza e praticità di utilizzo realizzate in legno massello. Tra i componenti di arredo più versatili, le ceste che offrono praticità d’uso con il calore del legno, dedicate agli ambienti più moderni. La realizzazione delle cantine su misura, prevede che tutti i materiali, siano asserviti alla perfetta maturazione del vino e alla funzionalità delle forme delle bottiglie in base agli spazi designati. Esigenza soddisfatta dagli scaffali in legno massello, ideali per ristoranti - trattorie – enoteche botteghe, dove evidenziano e valorizzano l’esposizione delle etichette prescelte o preferite. Tra l’oggettistica più accurata, una selezione di artistici fermacarte pratici e funzionali, rigorosamente realizzati a mano, per evidenziare un tocco sartoriale agli ambienti. La New Vision, esprime al meglio la passione di Remo per il vino. La linea prevede i più adeguati strumenti di conservazione, realizzati in legno massello. La perfetta modulabilità degli spazi è ottenuta utilizzando le essenze di frassino o di abete, in grado non solo di abbattere i livelli di umidità ma anche di ridurre considerevolmente problema della resistenza agli urti. Scomparti e nicchie, su misura, modulati in base alle differenti esigenze del cliente. La funzionalità non è mai preclusa, ma 89
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adeguata e studiata in base alle diverse tipologie di vini, che la cantina dovrà ospitare. La cura estetica della propria cantina si può arricchire grazie alle “poupitre” realizzate a mano dal laboratorio di Bovolone. Tra i più rinomati locali dell’alta ristorazione italiana, solo per citarne alcuni; “La Torre del Saracino” di Gennaro Esposito, “Le Colline Ciociare” di Salvatore Tassa e il ristorante “Perbellini”, le cantine e gli arredi, sono state personalizzate dal laboratorio Marino Pasquini. Tavoli da lavoro in legno massello che riprendono la foggia dei ripiani utilizzati dai falegnami, un’idea originale e pratica di Remo, trasformati in carrelli per dolci o formaggi, oppure in eleganti ripiani per sporzionare le pietanze. Espositori alveolari realizzati in diverse essenze che si adattano alle forme e agli stili degli ambienti, senza pregiudicare la corretta conservazione delle bottiglie preferite. Supporti per bottiglia in legno massello plasmato rigorosamente a mano, eleganti e solidi. Taglieri realizzati a mano utilizzando legni tendenzialmente duri, ideali per affettare salumi o tagliare porzioni di formaggi. Eleganti e informali taglieri di portata, realizzati con forma studiata per essere utilizzate nei ristoranti, trattorie, enoteche e assaggi in cantine. La grande passione dell’azienda per il vino si desume anche dalle divertenti lampade colorate ricavate dalle bottiglie e dai porta oggetti realizzati in acciaio e legno, raffreddano le bottiglie riscaldando al tempo stesso l’ambiente, grazie ai colori emanati dalle diverse essenze utilizzate per realizzarli. Ebbi la fortuna e il piacere di conoscere Mr Remo Pasquini, artista di grande estrosa e spiccata personalità in occasione di alcuni eventi enogastronomici, durante gli scorsi anni. Grande appassionato e profondo conoscitore del vino, esperto di cucina, gourmande e gastronauta. Sempre alla ricerca della perfezione della materia prima e della qualità senza compromessi, non solo nel mondo legno dove è maestro e conclamato artista, ma in tutti i territori dell’enogastronomia. Remo spazia e si muove e vive in una realtà che si è creato ad hoc, per soddisfare a pieno le sue passioni. Un giorno, anni fa, mi fece visitare una delle cantine che realizzò per un suo anonimo cliente in una località imprecisata che rimarrà sempre segreta. Migliaia di etichette italiane e francesi di grande pregio, delle migliori annate, un interminabile susseguirsi di sorprese e rarità raccolte e stivate dall’inizio del secolo scorso ai nostri giorni. Mi sarebbe garbato assai perdermi per giornate intere, testando qualche vino, assaggiando prosciutti e salumi appesi tra le arcate e qualche formaggio di fine di stagionatura, assaporandolo qualche bicchiere di Château d’Yquemme, scelto tra le infinite annate a disposizione, soffermandomi al fresco delle piccole grotte ricavate in alcune zone di quel parco delle meraviglie. Remo, scelse qualche bottiglia da abbinare alle portate del pranzo che cucinò personalmente. Risalendo in superficie, ringraziai per avermi mostrato quello che definii “una cantina commovente” quando controvoglia la lasciai alle mie spalle! Raggiungemmo il personaggio misterioso nelle cucine, iniziammo a stappare rare e gustose bellezze, e pranzo fu!
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Un affare di famiglia, seguire le orme di tuo padre, fu per scelta voluta? E’ stata una scelta voluta, essendo cresciuto in bottega, da subito mi appassionai al mondo del legno e al lavoro di mio papà. Iniziare da una consolidata Bottega Veneta Artigiana tradizionale e introdurre una produzione creazioni innovative all’avanguardia dell’oggettistica, il passo è breve? Dopo molti anni di esperienza è possibile creare oggetti innovati, vuoi per la capacità di scelta e per la profonda conoscenza dei materiali da impiegare per ogni singola creazione, il passo senza dubbio si abbrevia! Quanto incide la tua passione per i vini nella progettazione e realizzazione delle tue ambite cantine? Incide molto, per realizzare gli arredi per la conservazione dei vini, bisogna considerare le diverse forme delle bottiglie che ogni azienda vitivinicola opta per la propria cantina. Oltre al design, per comprendere le esigenze del cliente, necessita tenere conto dello stoccaggio e dei diversi tempi di conservazione dei vini. Tra le tue passioni; falegnameria artistica, vini e cucina, qual è la sequenza corretta? Vini – cucina - falegnameria. Per un gastronomo, frequentatore di cucine stellate, arredatore di enoteche, ristoranti e trattorie, nonché uomo che si destreggia ai fornelli è certamente più facile interpretare le esigenze della tua clientela. La progettazione dell’oggettistica è più ispirata dalla passione o dall’esigenza in cucina? Mi ispiro sempre alla mia passione, anche se è fondamentale sapere cosa succede in una cucina, conseguentemente devi saper cucinare per riuscire a capire le esigenze. Qual è il confine invalicabile tra essere un eclettico ed estroso artista e un imprenditore di successo? Lavorare sodo, viaggiare molto, acculturarsi, essere curioso… Progetti futuri? Continuare a fare il lavoro che amo.
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ZIMBABWE
UN MONDO DI MERAVIGLIE
Articolo di Gianni Bauce, fondatore di African Path Safaris Fotografia: African Path Safaris E chi se l’aspettava? Una pandemia proprio come nel Medio Evo! Soltanto che nel Medio Evo il mondo era più piccolo o forse le distanze erano più difficilil da colmare, mentre oggi il mondo è piccolo e ogni luogo si raggiunge in un baleno. Nemmeno lo Zimbabwe, nel cuore dell’Africa australe, è stato risparmiato e per far fronte a questo enorme rischio il Governo ha adottato alcune restrizioni, tra cui il “lock down” che dura da nove settimane. Così, affacciato sulla soglia della porta di casa mia, ad Harare, in una splendita notte di luna piena, osservo i giochi di luci ed ombre e la mia mente vola nei luoghi più incantevoli di questo paese, ora deserti, fino a quando il turismo non riprenderà il suo corso. Ai piedi della grande palma che sovrasta il giardino, un’ombra sinuosa, appena accarezzata dalla luce riflessa della luna, scivola con le sue movenze feline. Non vedo un gatto, ma la sagoma di un leopardo che si muove silenzioso ed etereo nella notte, lassù nella valle dello Zambesi, dove il grande fiume scorre silenzioso, abbeverando i grandi e piccoli animali africani. Qui, nelle Mana Pools, all’ombra dei grandi alberi del margine fluviale, i raggi solari che filtrano durante il giorno, disegnano magiche atmosfere nelle quali danzano elefanti, leoni, antilopi, licaoni, ghepardi e leopardi, mentre nel fiume sguazzano ippopotami e coccodrilli. I mille colori delle piume di centinaia di specie diverse d’uccelli gettano pennellate di colore che subito si dissolvono per far posto a nuovi spruzzi cromatici che si stagliano contro il cielo e le chiome degli alberi. Il gatto prosegue la sua perlustrazione nel buio, sfiorando il muro della casa, che nella mia fantasia diviene un muro di pietre magistralmente disposte da uomini vissuti cinque secoli fa, qui in Africa, proprio mentre il Vecchio Continente veniva spazzato da un’altra devastante epidemia. La civiltà di Great Zimbabwe, la città delle “Case di pietra” (“Zimba ya babwe”, da cui deriva il nome della nazione, significa proprio questo), nasce prima dell’anno mille e prospera nella regione dell’odierno Zimbabwe sud-orientale erigendo straordinari monumenti in pietra granitica che sono giunti fino a noi quasi intatti: una testimonianza unica nell’Africa subsahariana medievale. Tra le pietre disposte ordinatamente ed i graniti naturali, la storia ci sussurra e ci racconta. La mia fantasia non si ferma, coì come il gatto nel giardino, che distratto da un rumore si ferma, poi sale sulla montagnola di grosse pietre sulla quale cresce un aloe, circondata da altre piante ornamentali. I miei occhi viziati dalla luce incerta e dalla nostalgia per luoghi momentaneamente irraggiungibilli, non vedono le pietre di un giardino, ma le magiche composizioni geologiche delle colline del Matopos, dove gli enormi massi di granito formano colline e ciclopiche composizioni artistiche naturali, dipinte dai mille colori dei licheni. Tra le pietre gigantesche balzano antiloppi saltarupe e le procavie si crogiolano sotto i raggi del sole, mentre un leopardo osserva nascosto nell’anfratto di una grotta. Laggiù nella valle, tra l’erba alta della prateria, i rinoceronti bianchi, giganti preistorici dai corni lunghi ed appuntiti pascolano in piccoli gruppi, mischiandosi a volte con le giraffe e gli gnu. Dall’alto del cielo sopra le colline, le aquile nere di Verroux scrutano la prateria in cerca di prede, mentre sotto di loro, nelle grotte scavate dall’erosione, le pitture rupestri ci tramandano il messaggio dei nostri antenati. Il gatto fiuta il terreno, poi riprende il suo cammino e scompare tra l’erba, proprio come i leoni di 95
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Hwange (il grande parco nazionale che sorge nello Zimbabwe occidentale), che appaiono all’improvviso dalla boscaglia, nella fredda luce del primo mattino, sfiorano il Land Rover con i loro corpi sinuosi, guardano con i loro occhi gialli che incutono timore anche ai più impavidi e infine scompaiono di nuovo, leggiadri e letali, come se non fossero mai esistiti. Ora, la grande palma del giardino mi sembra un baobab millenario, dai rami che paiono centinaia di braccia stese sulla boscaglia, come un vecchio saggio che custodisce questo immenso patrimonio naturale dalle mille meraviglie. Intanto, il cielo di mezzanotte si è rannuvolato e un lampo squarcia l’oscurità. Un ultimo temporale si attarda in questa fine stagione delle piogge e le goccie di pioggia iniziano a cadere in un piovasco violento, ma breve che per un istante mi ricorda il rombo sommesso che si ode già a distanza, avvicinandosi alle Cascatte Vittoria. Qui, dove lo Zambesi si tuffa in un salto di circa cento metri d’altezza, lungo un fronte che sfiora i due chilometri, lo Zimbabwe ci regala uno degli spettacoli più maestosi e suggestivi del pianeta, un luogo che pur sembrando riservato agli Angeli, ci viene concesso di ammirare in silenzio, laddove solo l’acqua ha diritto di cantare. E’ ora di ritirarmi sotto le coperte. Domani è un nuovo giorno e magari si tornerà a viaggiare. Questo articolo vuole raccontare in modo alternativo, alcune delle straordinarie ed uniche bellezze del mio paese, lo Zimbabwe, condite con un po’ di nostalgia e un goccio di frustrazione per l’immobilità a cui l’umanità intera è costretta in questo particolare momento storico. E’ un sentimento che proviamo noi operatori turistici, per i quali il viaggio non è soltano passione, ma anche sopravvivenza; ed è un sentimento che provate certamente anche tutti voi viaggiatori. Questo testo, quindi, non intende raccontare la nostalgia per un tempo perduto, bensì ravvivare l’entusiasmo per il viaggio che presto tornerà ad arricchirci di emozioni ed esperienza. Vi aspetto quindi in Zimbabwe, dove presto torneremo a trasformare il vostro sogno african
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Bodegas Boreal
Conocemos el viñedo más al Norte de España Articulo de José Luis Del Campo Villares Fotografía de Bodegas Boreal Sin duda hay muchas zonas vitivinícolas a lo largo de la Península Ibérica de gran reconocimiento a nivel internacional, Al Norte, al Sur, al Este o al Oeste de nuestro país, nos encontramos con grandes vinos. Pero hoy queremos acercaros un proyecto que nos ha encantado por su filosofía de trabajo, elaboraciones que realiza, entorno natural y como detalle que lo hace tan diferente, es que hablamos del viñedo situado más al Norte de España. Hablamos del proyecto Boreal Bodega y Viñedos que se ubica en Cantabria, una zona que no es de las más conocidas sin embargo de nuestro mapa vitivinícola. Un entorno natural realmente espectacular en el que nos encontramos a esta pequeña bodega familiar que elabora vinos naturales, con la práctica de una viticultura sostenible ligada al mar y a la tierra. Un proyecto diferente de los habituales que hay por nuestra geografía que, a mi modo de ver, es más un estilo o filosofía de vida que una bodega. Como especial que es este proyecto de Boreal Bodega y Viñedos, elaboran vinos naturales, vinos singulares, trabajando uvas realmente no habituales en otras zonas del país. Un trabajo con esmero en la viña, cuidado en el entorno del viñedo, un respeto al máximo por el medio ambiente, da lugar a que los vinos que elabora sean realmente únicos. De esta forma, nos encontramos entre sus elaboraciones varios vinos monovarietales como son el monovarietal Riesling que elaboran, algo realmente difícil de encontrar en España. Un monovarietal Petit Verdot que, aunque hay más zonas del país donde se elabora, no es muy habitual, Y un monovarietal Rufete, uva típica de la zona de Sierra de Salamanca. También combinan dos varietales tan distantes como la Riesling y la gallega Albariño para elaborar un vino blanco espectacular y dos tintas como son la Mencía y la Garnacha Tintorera, para elaborar otro tinto. Todas ellas varietales muy diferentes de lo habitual.
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Respeto al medio ambiente por bandera Como máxima del proyecto, trabajamos las viñas de acuerdo a sus ciclos naturales, manualmente, y de forma lógica y sostenible. No usan herbicidas, ni productos químicos agresivos; prefieren la prevención como tratamiento. Como nos dice Hugo Rivero, responsable del proyecto, “aplicamos buenas prácticas que busquen el respeto por el medio ambiente sin afectar la calidad de los cultivos. Somos jóvenes agricultores que hemos apostado por la agricultura del s. XXI”. “Elaboramos pequeñas y cuidadas producciones, con unos matices únicos. Una mínima intervención y una viticultura sostenible son nuestras principales premisas, lo que tratamos de expresar en nuestras elaboraciones”. El principio irrenunciable es la sostenibilidad. Una viticultura y elaboraciones lo más naturales posible con una mínima intervención. No usan levaduras comerciales, ni enzimas, ni nutrientes, ni clarificantes sintéticos.
Cantabría, también tierra de vinos La viticultura había desaparecido en Cantabria en el siglo XIX y en el año 2000 se empezó a recuperar. Era perfecto para este proyecto; una zona nueva, con todo por hacer, variedades, suelos, clima… En este proyecto el planteamiento era otro de lo habitual por otras zonas de España. Buscaron sentar las bases de lo que van a ser las viñas del futuro. “Somos un proyecto de presente y futuro. Esto acaba de empezar y no tiene límite”. Muestra de ello es que comenzaron a comercializar sus vinos en 2018, y la respuesta no ha podido ser mejor. Vinos singulares, diferentes, algo que los amantes del vino sin duda valoran cada día más, la personalidad en la copa, huyendo de los tópicos vinos clones de diferentes zonas del país. “Cierto es que a la gente le sorprende cuando decimos que somo un proyecto de Cantabria, ya que no es habitual que esta zona tenga vinos, pero cuando prueban nuestras elaboraciones comprueban nuestra filosofía y muchos nos dicen que se trasladan en la mente a nuestras tierras cántabras cuando paladean cualquiera de nuestros vinos.” Nuestra máxima siempre ha sido: “Crear nuestro proyecto familiar elaborando vinos sostenibles en Cantabria”. Cantabria ofrece el poder realizar su trabajo en unos viñedos de perfecta altitud y latitud (los más al Norte del País), lo que permite estar en una zona de lluvias muy constantes, pero en la cual, a la vez, hay las suficientes horas de sol y temperatura como para que maduren las uvas correctamente. Agronómicamente hablando, Cantabria se divide en cuatro zonas:
•Costa: al norte •Valles: en el interior •Liébana: oeste •Valderredible: Sur
Este proyecto está trabajando viñas en todas ellas, buscando la singularidad y ventajas de cada zona. En la costa tienen Riesling y algo de Albariño, todo en espaldera y poda guyot. En el interior trabajan varias viñas viejas donde hay un poco de todo, Mencía, Tempranillo, Verdejo Negro, Caiño, Merenzao, Palomino, Moscatel, Godello, Albarín, principalmente en vaso y una parte en espaldera. 101
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No solo hay vino en este proyecto Para nuestra sorpresa, nos encontramos con que no solo hay vino en este proyecto. También elaboran hidromiel, una bebida fermentada hecha con miel y agua, es de las más antiguas, anterior al vino y precursora de la cerveza. Su uso estuvo muy difundido entre los pueblos de la antigüedad. En Europa fue consumida en forma abundante por los griegos, celtas, sajones y los bárbaros del norte. Los griegos le dieron el nombre de melikraton y los latinos la llamaban agua mulsum.
Enoturismo Y el entorno natural del proyecto, es idílico, no solo para los amantes del vino, sino para los amantes de la naturaleza. Entre sus actividades nos encontramos con degustaciones que nos permiten comprobar cómo es el mundo del vino en Cantabria, acompañado de manjares típicos de la región, ideal para los que anhelan aventuras gastronómicas. Si quieres disfrutar más a un de la gastronomía cántabra, ofrecen una visita a la bodega, cata de 4 vinos con un menú cerrado en uno de los restaurantes concertados de la zona, donde se prolongará el contacto espectacular con la viticultura y gastronomía de esta estupenda zona del país. Incluso cabe la posibilidad de realizar una cata y visita al viñedo más al norte del país donde podremos conocer las varietales diferentes del viñedo y como se trabajan, todo ello acompañados del enólogo del proyecto.
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Verano, tiempo de vinos rosados Articulo de José Luis Del Campo Villares Ya estamos en tiempo de los rosados. Cuando el calor está presente, el poder disfrutar de un vino fresco siempre es algo que se agradece. Además, desde hace más de un lustro se ha convertido en un tipo de vinos muy de moda, pese a que muchos los consideran como un cuerpo de vino tinto con características de vino blanco. Pero lo cierto es que la demanda a nivel mundial aumenta cada año y son muchas las bodegas que se animan a elaborar un vino de estas características. Por ese motivo queremos hoy comentaros los diferentes procedimientos que hay para elaborar los vinos rosados, que caracteriza a cada tipo de vino y que así podáis escoger mejor cuál es el vino que se adapta más vuestros gustos. Lo primero es indicar que no hay uvas que sean específicas para elaborar rosados, con lo que se necesitará siempre que uvas tintas entren a jugar en el proceso con lo que prácticamente puede haber vinos rosados de todos los tipos de uvas tintas que hay en el mundo. Eso sí, hay uvas que por sus características son más proclives para la elaboración de rosados que otras. Así, a nivel internacional, es habitual encontrarnos vinos rosados elaborados con Syrah, Pinot Noir, Cabernet Sauvignon, Merlot o Cinsault, mientras que en España, a las anteriores se le suele añadir la Garnacha, la Cariñena, la Tempranillo, la Prieto Picudo, la Bobal o la Mencía, por ejemplo. Incluso uvas que son especiales en Cataluña para Cavas como es la Trepat, con la que se elabora el cava La Mítica de Cavas Josep Marsachs. Será el tipo de uva elegida y el método de elaboración lo que nos de la amplia variedad de vinos rosados que nos podemos encontrar en el mundo, con diferentes colores (rosa pálido, color fresa, color frambuesa,…), intensidades en nariz (más o menos fruta, acidez, …), cuerpo en boca (más ligeros, más carnosos,…). Además, queremos quitaros la idea, aun bastante extendida, de que los rosados se elaboran echando uvas blancas conjuntamente a las tintas, cosa que puede suceder, aunque lo más habitual es emplear varietales tintas solamente.
Por su elaboración los conoceréis Comenzamos viendo los vinos rosados elaborados por maceración. Con este método las pieles de la uva se mantienen a baja temperatura en contacto con el mosto de la uva, entre 6 y 8 horas, lo que permite extraer componentes cromáticos, taninos y elementos fenólicos que aporten al potencial aromático del vino. En este tipo de método suelen utilizarse varietales como Garnacha, Cabernet Sauvignon y Tempranillo. Son vinos rosados con mucho cuerpo, incluso, en cata a ciegas, podrías confundirlos con tintos jóvenes. Nos dejan un color intenso, en nariz aromas afrutados y vegetales, mientras que en boca tienen cuerpo e, incluso, un toque de astringencia (habitual en los vinos tintos). En este tipo de elaboración hay incluso la técnica del ‘madreo’, que es similar pero con la diferencia que lo que se pone en contacto con el mosto del vino son racimos de uvas enteros. El resultado son vinos con más cuerpo e intensidad cromática en vista aun. Por lo general adquiere una textura áspera, aromas afrutados y vegetales, y una ligera astringencia. Me gusta mucho el vino Gurdos que elabora Bodegas Gordonzello en la DO. León, un monovarietal Prieto Picudo. 105
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Pasamos ahora a ver los vinos rosados elaborados por sangrado. Este sistema nos deja vinos con algunas características de vinos tintos ya que se busca que los compuestos fenólicos entren en juego. Cuando el enólogo ve que comienza la maceración retira parte del mosto rosado, logrando que el vino tinto sobrante se intensifique al reducirse el volumen total. El mosto se concentra más haciendo un vino tinto con mayor cuerpo, estructura y astringencia. Mientras, el mosto rosado sangrado se fermenta por separado, produciendo así un vino rosado de mayor intensidad colorante pero ligero en boca. El método de sangrado se aplica a prácticamente todo tipo de uvas tintas, lo que permite el disfrutar de vinos de mucha intensidad de color en vista, ricos en aromas frutales, toques minerales de una intensidad media y un paso por boca más ligero. Son vinos que sorprenden por su viveza de color pero que luego, en su cata, sorprenden los la facilidad que dan en boca. Y, ¿qué entendemos por Vino Gris? Muchos conoceréis este sistema de elaboración ya que el resultado son vinos con color muy claro con tonos salmón, para muchos, los famosos vinos franceses de la zona de la Provenza, los más reconocidos a nivel mundial. Para estas elaboraciones, la bodega emplea sólo la pulpa de la uva, quitando la piel que contiene la mayor parte de los compuestos fenólicos y la materia colorante, y así evitar la aportación de color y sabor de la piel. Los vinos que se obtienen por este método son vinos más ligeros en su cata, con un gran aporte de fruta en nariz y en boca, con mucha acidez y muy fáciles de beber. Os podéis imaginar que estos sueles ser más los denominados ‘vinos del año’, jóvenes. Un vino ecológico y vegano como es el Pasión Bobal Rosado elaborado por Bodega Sierra Norte en la DO Utiel-Requena es un gran ejemplo.
¿Y qué son los ‘rosados de lágrima’? El término rosado de lágrima está en los últimos años muy de moda en este tipo de vinos y, como veis, no lo hemos comentado en los tipos de elaboración anteriormente indicados. Y es que el rosado de lágrima hace referencia al proceso de prensado de la uva, no al proceso de fermentación propiamente dicho. Si el prensado de las uvas para obtener el mosto inicial se realiza de forma muy suave, ligera, sin mucha presión, el resultado es que va saliendo de la uva el aporte al vino de forma suave, como lágrimas, lo que da como resultado que no se intensifiquen mucho las características propias de las uvas tintas. Hay quién dice que los rosados de lágrima deben de ser elaborados con uvas procedentes de vendimias nocturnas, que permiten conservar mejor los azúcares de la uva, pero no es exclusividad de este tipo de vendimias. Lo que debéis de tener claro es que, a mayor prensado de la uva, el vino rosado resultante tira más hacia vino tinto porque las uvas transmiten al mosto más de sus propiedades. Un rosado de lágrima es el Ochoa Rosado Lagrima de Bodegas Ochoa en la DO Navarra, elaborado con Garnacha, Cabernet Sauvignon y Merlot.
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¿Admiten los vinos rosados crianza en barricas o sobre sus lías? Cada enólogo tiene sus preferencias, sus costumbres, además de que siempre están deseoso de experimentar cosas nuevas, con lo cual lo dicho hasta ahora es una orientación pero luego podemos entrar más al detalle en la elaboración de cada vino porque ‘cada maestrillo tiene su librillo. Por eso es muy interesante la pregunta última ya que, al resultado final del vino, se le puede dar una mayor complejidad tanto en vista, nariz o boca, si terminamos el proceso de elaboración dándole crianza en barricas o en depósitos y descansando o no unos meses sobre sus lías (levaduras de la elaboración). Un ejemplo es el Alegra de Beronia, vino de la DOCa Rioja de Bodegas Beronia, elaborado por escurrido sin presión del mosto inicial con Garnacha y Tempranillo, al que luego se le da crianza de 3 meses en lías para darle más complejidad. Las barricas suelen darle al vino más intensidad en la cata, aportes especiados, toques minerales o profundidad en boca. El dejarlo descansando unos meses sobre sus lías también ayuda a potenciar diferentes aspectos del vino final. Otro excelente ejemplo es el Mazas Rosado, un monovarietal Garnacha elaborado en la DO Toso por Bodegas Mazas con 5 meses sobre sus lías. En ambos casos el enólogo busca destacar el punto fuerte de su vino que lo haga más llamativo sin que se vean perjudicados el resto de las características. Por eso aquí las combinaciones son muchísimas, desde dejarlo en depósito de acero inoxidable, con o sin lías, dejando solo parte del vino y luego ensamblarlo, que vaya a barricas, con o sin lías, también todo o una parte y luego también unirlo. Dependerá lo que quiera el enólogo, pero suele ir encaminado a dos puntos principalmente: darle mayor intensidad cromática y aromática, y a conseguir mayor cuerpo y profundidad en boca.
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Vega Sicilia
viaje a la Historia del vino en España Articulo de José Luis Del Campo Villares Fotografía de Bodega Vega Sicilia La Historia del vino en España tiene muchos nombres propios. Pero si alguno ha alcanzado el reconocimiento, prestigio y es sinónimo de vino de nuestro país, tanto a nivel nacional como internacional, es sin lugar a duda Vega Sicilia. Pero es que Vega Sicilia ya no es solamente vino. Vega Sicilia es una ‘cultura’, una ‘filosofía’, una forma de búsqueda de la excelencia en el trabajo diario. Vega Sicilia se ha convertido en un conjunto de valores que transciende a las personas. Es una forma de vida, de trabajo y de forma de ser, donde los miembros que forma su equipo, pasados presentes y futuros, han asimilado como suyos, siendo en todo momento un perfecto espejo de la filosofía y valores que envuelven desde sus inicios a Vega Sicilia. Como elaboradores de vino no ‘hacen vinos’ sino que ‘crean sensaciones y momentos’. No solo es la cata de un excelente vino, es algo más. Catar un vino de Vega Sicilia te transporta a la viña, a la tierra, a la naturaleza. Es un conjunto de sensaciones que puedes explicarlas si has catado en alguna ocasión alguno de sus vinos, sino difícilmente podrás hacerlo. Y no solo es un viaje de ensueño y atemporal a su lugar inicial de origen, Ribera del Duero, ya que ahora, como grupo TEMPOS Vega Sicilia, realizan elaboraciones en otras denominaciones de origen o países, como son en España la zona de Toro y de La Rioja, o a nivel internacional, la zona de Tokaj en Hungría. Cualquiera de sus vinos posee su impronta, su estilo, su filosofía, permitiendo durante su cata el realizar un viaje extracorpóreo a estos terroirs tan dispares.
Historia de Vega Sicilia Vega Sicilia nace como bodega en el año 1864, en la localidad vallisoletana de Valbuena de Duero de la mano de Eloy Lecanda y Chaves. Fue cuando plantó sus 18.000 sarmientos de uvas de Cabernet Sauvignon, Merlot, Malbec y Pinot Noir que había traido de Burdeos para elaborar brandy, aunque las dos primeras eran empleadas también para la elaboración de vinos. Pero el momento de mayor relevancia en la actual imagen de Vega Sicilia ocurre en el año 1982, lo que supone el inicio de la etapa actual de la bodega (o Grupo bodeguero actualmente). En ese año fue cuando David Álvarez Díez adquiere la bodega y los viñedos al empresario venezolano Hans Neumann, lo que convierte al mundo del vino y a esta bodega en el eje del proyecto empresarial de la familia Álvarez. Es cuando la filosofía de trabajar diariamente por la excelencia, por elaborar siempre lo mejor, se convierte en el eje conductor de esta bodega. Para ello no dudan en unir las innovaciones en el sector del vino con el saber hacer tradicional, poniendo su sinigual impronta en todos los vinos que comenzaron a elaborar. Algo que se ve a la perfección al crear en 1991 Alión, también en Ribera del Duero, vino que en su día rompió el paradigma de los vinos de esta denominación por su nuevo corte pero, no obstante, siguiendo siempre la filosofía de trabajo que la familia Álvarez había marcado. Su salto internacional ocurre solamente dos años después, tras la caída del régimen comunista en Hungría, la familia Álvarez decide crear Tokaj – Oremus, para llevar la tecnología vitivinícola 111
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empleada en España a esta zona de renombre mundial por sus afamados Tokaj o vino de los reyes, uniendo la enorme tradición de vinos de la zona con su propia impronta personal. En 2001 deciden subir por el río Duero y nace Pintia, al amparo de la denominación de origen Toro, donde nace un vino muy del terruño pero que transmite, al igual que sus hermanos, una filosofía de trabajo inconfundible. Ya en el 2013, se da el salto a la denominación de origen Rioja, creando Macan, en unión con Benjamin de Rothschild, lo que supone, hasta la fecha, el último proyecto de este grupo TEMPOS Vega Sicilia que nació del germen de la Bodega Vega Sicilia.
Filosofía de Vega Sicilia Como ya os indicábamos antes, Vega Sicilia no es solo un vino, es mucho más. La mejor definición sería que es una filosofía de vida, en la que el pilar fundamental es el del respeto por la naturaleza, por la tierra, por el entorno, una preocupación por el buen trato a este conjunto, ya que es la propia tierra la que posteriormente le devolverá el bien más preciado para poder elaborar sus vinos. Filosofía que se ve reforzada por la búsqueda de la excelencia en todo momento, una mejora continua y un ‘contrato’ de cada miembro de su equipo con la bodega y su forma de trabajar. Este compromiso es uno de los pilares que permite a Vega Sicilia el diferenciarse del resto. No son directrices impuestas, sino que son valores adquiridos por sus miembros y que guían en todo momento su forma de trabajar. Sin duda, el que cada uno de sus miembros haya sabido a la perfección interiorizar esos valores y ‘principios de vida’ ha sido la clave fundamental de la imagen que ha adquirido a nivel nacional e internacional esta bodega.
Sus vinos Buscando la excelencia, Vega Sicilia ha establecido unos límites en el rendimiento de sus cepas, que no pueden superan los 22 hectolitros por hectárea. El número de vides por hectárea es de unas 2.200. No se emplea el regadío y se lleva un cuidadoso sistema de poda en verde para eliminar racimos con el fin de que cada cepa tenga una producción inferior a los dos kilos, concentrando en esta producción tan baja todos los elementos minerales y nutritivos que aporta el suelo. La uva solo se recoge si supera los 13 grados. Como no podía ser de otra forma, los vinos que elaboran son realmente diferentes, especiales, de carácter. Por ese motivo no nos puede extrañar que el vino más conocido de Vega Sicilia se denomine ‘‘Unico”. Hablar de Vega Sicilia “Único” es hablar de precisamente de eso, de algo único. Un vino que se elabora mayoritariamente con Tempranillo (alrededor del 80%) y el resto de Cabernet Sauvignon, variando algo según la añada, que recibe una crianza de cinco años en diferentes barricas tanto de tamaño como de edad de las mismas. Muchos amantes del vino en todo el mundo, esperan año tras año para poder adquirir la nueva añada, muchos de los cuáles poseen colecciones de este vino único desde hace décadas. Este vino es el perfecto reflejo de la impronta de Vega Sicilia: trabajo, trabajo y más trabajo, unido a un compromiso perfecto de que ‘el mejor vino siempre será el de la añada siguiente’. La ilusión por esta máxima se percibe en cada nueva añada, siempre con su impronta pero siempre aspirando a ser mejor que la última y que todas las anteriores. 113
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Os podemos asegurar que poder disfrutar de la cata de un vino Vega Sicilia “Único” es algo que siempre recordaréis si sois amantes del vino. Además de este vino Vega Sicilia elabora otros dos. El primero de estos es el Valbuena 5°, un vino elaborado con Tempranillo al 95 % y de Merlot al 5%. Excelente en su elaboración, excelente reflejo igualmente de la filosofía de la bodega pero con un corte diferente al Único. El segundo vino es el Único Reserva Especial. Un vino que sale sin añada ya que se elabora con parte de vinos procedentes de las añadas excelentes que ha habido anteriormente. Es un vino que supera el paso del tiempo ya que, siendo elaborado con lo mejor de lo mejor de diferentes añadas, no está condicionado por las circunstancias climatológicas de un determinado año, sino que es un vino que se limita, cosa que no es poco, a ser un excelente reflejo del terroir de Ribera del Duero, de mostrarnos la riqueza y tipicidad de su suelo. Yo lo definiría como un ‘vino atemporal’. Se puede disfrutar de su cata en cualquier momento con independencia de cuáles sean las añadas con las que se ha elaborado, porque siempre será un perfecto espejo de la tierra, de la filosofía y del estilo de esta bodega.
Bodega y Viñedo
Una visita a esta bodega y un paseo por sus viñedos, es pasear por la historia del vino de España sin lugar a dudas. Estoy convencido de que para los amantes del vino es algo místico, como para cualquier practicante de una religión el ir a visitar su ‘ciudad santa’. Se percibe un total respeto por el entorno, por el cuidado al detalle y con grandísimo esmero de la naturaleza, como si esta pudiera percibir el buen trato recibido y luego responderá dándole lo mejor siempre. Se percibe sin duda la existencia de un cariño mutuo entre bodega y naturaleza, algo que se nos antoja fundamental y clave en el éxito que Vega Sicilia ha conseguido a lo largo de su historia, que no deja de ser a la vez, una parte importantísima de la historia del vino en nuestro país.
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Interview Chef Keiichi Hashimoto, Le Sorcier Interview By: Editor in Chief Margaux Cintrano. Photo Credit: Restaurant Le Sorcier, Shunan shi, Yamaguchi, Japan. What are your keys to success, since the world, has been in quite a turmoil, how has this effected you, Le Sorcier and Shunan shi, Yamaguchi in general ? I think that in this situation,it would be more difficult for a large restaurant. It was a stroke of luck that, Le-sorcier is a very small restaurant, ( servinng only one group of diners a day). I had chosen to do Le Sorcier in this way. For that reason there was no mejor damages, (having said that, I do have a few less guests) however, the majority of guests, come with peace of mind. Could you tell our readers, about your Summer Carte and the products you are going to use ? This summer I am going to be serving plates reminiscent of nature. For example: fish scales, herbs from the local fields ,various flowers, waterside creatures and plant life from the rocky dunes Additionally, I shall also use potter’s ware, ceramic servingware with motifs of nature indigenious to Yamaguchi & Setouchi. Tell us about this amazing blue glass “servingware” that you use. This Blue glass is “Taichi Ito”’s artisanial work. He is an artist of Venetian glass. He lives in Yamaguchi too. Sometimes, I order his glassware, as it is created from the elements in Yamaguchi and the Japanese significance is that we are surrounded by the sea in 3 directions. How do you relax when you have the time ? I go to our farms and take care of the agricultural lands, overlooking the sea, take drives, and cook. Who were the catalysts that stimulated your interests in gastronomy and when did you discover that you wanted to study the culinary arts ? I was totally Influenced by Pierre Hermés in 1998, from an article in a Japanese cuisine magazine article. It looks very simple and creative, however, it is extraordinarily complex - - - anyway so cool to me at the time. How would you describe yourself in 5 adjectives ? Natural , simple, curious, strong willed and “kind” always. If money were not a problem, tell us about your gastronomic dream trip and why ? “If money were not a problema, it’s would be like a dream”. I want my Restaurant and Farm on the hill where I can see the sea.That’s really all I want. I want to 117
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stay here forever and I am not, a traveller as I went through that phase. Is there a specific culinary skill that you would like to learn ? At this time, I am not veered to this however, one never knows. We learn something new every day. I want to pursue “concepts “,”ways of thinking outside of the box “,”logic” etcetra, more than a culinary skill. I feel It is important to face myself and my hometown Yamaguchi. I’m sure that will tell me something. Thank you always Margaux for your kindness. Le-sorcier Keiichi Hashimoto
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Master Chef Lawrence Gomes hails from gastronomic bloodlines
Written by Publisher Margaux Cintrano Photo by Sahara Hotel The Kolkata native Chef hails from a family of well respected and renowed Chefs. His father Chef David Dayal Gomes was a British Chef in London. Lawrence´s great grandfather, Samuel Maita Gomes was also a well recognised chef. On his maternal side, Lawrence´s grandfather, was also a well respected Chef during The British Reign in India at Fort William Calcutta, and was also a Gold Medal Winner, who received notariety from Queen Victoria, King George-I and King George-II. Lawrence´s paternal grandfather, Hiru Dayal Gomes was a pre-opening Chef of P&O Cruises, which were the oldest & first class Cruise line in the world of commercial Passenger ships. Also, many of Lawrence´s closest relatives, cousins and brothers are respected National & International Famous Chefs. Chef Lawrence Gomes has more than 31 years of professional chef experience, innovative and creative ideas of multi cuisines and the Hospitality Industry. He has worked at the Ritz Hotel Mumbai, The First Italian Hotel in India, the Deira Park Hotel Dubai, Al-Burami Hotel Omen, The Dubai Hilton, The Dubai World Trade Centre, The Dubai Hilton Beach Club, The Hilton Apartments & Club, The Ramada Continental Dubai, The Hindustan International Hotel Kolkata and The Hotel Shikhara NB. Since 2003, Master Chef Lawrence Gomes has been working in Aamby Valley City, India, one of the top ten destinations in the world, at The Seven Star Hotel owned by SAHARA GROUP, spread across 12.000 acres. His experience includes, Hotels Banquets, the 12 Restaurants, 30 Function venues with more than 1.000 rooms, The International School, the Private Airport, The Base Hospital, the Pirate Ship, the Aqua Bus, the private Sea-Planes, the Hotel Spas. Chef Gomes, pre-opening teams at Aamby valley City, have successfully contributed in the opening of Restaurants, Banquets, indoor and outdoor venues, Wedding Catering, Corporate events, Leisure Functions and even TV Shows like Miss India, Biggest Looser, Asian Golf Tournaments & also on going events. Chef Lawrence has worked with some of the World Best Master Chefs, the Master Chef of Italy, the Master Chef of Belgium, the Master Chef of Australia, the Master Chef of France, the Master Chef of Germany, the Ambassador Master Chef of Belgium, the Master Chef of Thailand & the International Celebrity Chefs, the Master Chefs of India and the President of the Master Chefs of The Gulf & Africa. Additionally, Chef Gomes has worked under the guidance of expert chefs in India, Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka, China, Nepal, The Philippines, Iran, Oman, Lebanon, The USA and Canada. Tempering heritage cuisine of the Royal Bengal, in West Bengal, Calcutta where Indian heritage gastronomy has won the hearts of food lovers worldwide. The Mughal Kings, The Persians, The 123
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Chinese, The British, The Afghans and The Pakistanis had developed and transformed many of our heritage dishes. West Bengal is traditionally known for its highly artistic cuisine and as Calcutta was once the capital of India, they have never compromised their cuisine. Some of the most famous dishes of our heritage are: Fresh Mango Chicken Curry, Chicken Masala with tea, Bengoli Fish Curry with Mustard, Goan Pork Vindaloo, Vegetarian Soy bean Kababs and Traditional Egg Pakoda, a famous “street food”.
Chef Gomes Has Participated many Culinary Competitions Nationally & Internationally: Gulfood Dubai competitions. Emirates Salon culinary competition, Dubai. The Great Indian Culinary challenge of Mumbai, Goa and Bangalore, India The Indian Cheese Awards of Goa, in the Top 10 FoodEX Culinary challenge, Bangalore. India
Demonstrations of Chef Lawrence: Muscat( SOM)International Exhibition Centre, Fruits & Vegetables Carving, Sharjah ( UAE) International Exhibition Centre, Fruits & Vegetables carving. Bombay International Exhibition Centre, Fruits & Vegetables carving. Goa International Exhibition Centre. Fruits & Vegetables carving. Furthermore, Chef Lawrence Gomes has been invited as a Judge in many Culinary competitions, Academies in Mumbai, Pune & other States of India and numerous cultural organizations & for special culinary classes and gastronomic exhibitions. Chef Gomes has had numerous articles published in newspapers, magazines and has been a guest on uncountable television shows.
Awards and Medals of Chef Lawrence: Gold Medals, India’s best Biryani Chef 2018, Gold. Chocolate Sculpture, Gold. India’s best Biryani Chef 2019, Gold. Platted Appetizers, Gold. Three course Dinner set menu, Gold. Chocolate Sculpture, Gold. Margarine Sculpture, Gold. Bronze Medals, Chocolate Sculpture, Bronze, 2017. Fruits and vegetable Carving, Bronze. Fruits & Vegetables Carving, Salad presentation, Bronze. India’s Chefs awards, top-10. India’s Best Top-10 Chef. Gunnies Book of World Record ( Group Record ) Goa. 125
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Specialities & Expertise of Master Chef Lawrence Gomes: -Indian - taste of West Bengal ( Calcutta ) -Garde-manger -Continental Carvings ( Fruits & vegetables, Chocolate, Margarine, Ice etc ) In conclusions, Chef Lawrence was blessed by Mother Teresa when she tasted his first cooked meal, while he was attending his first culinary class. Chef Lawrence told me his philosophy is, “to be a proud Chef and to learn from others and teach others�. Master Chef Lawrence Gomes. Mobile: +91 9823510513. cookindiacook@gmail.com
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Al Vescovado di Noli
uno dei ristoranti più belli d’Italia vista mare Articolo di Roberto Mostini Fotografia Vescovado di Noli Al Vescovado di Noli, uno dei ristoranti più belli d’Italia vista mare Le piccole clessidre collocate ad ogni tavolo fanno scorrere il tempo senza farsi sentire, solo facendosi notare per le colorazioni diverse. Il loro ruolo è ripetitivo. Segnano un posto, segnano un tempo definito. Granellini di sabbie diverse che coincidono con un finale comune. Tempo scaduto. No, dai, basta girare la clessidra e si ricomincia. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho varcato la soglia del Palazzo Vescovile? Oggettivamente troppo. Tre anni, nei quali con “il Giuse” e la sua bella famiglia ci si è incontrati altrove, così come con l’ottimo uomo del vino, Pier Ravera, che nel frattempo ha approfondito la materia in locali di primo livello, e che ora si occupa di altro. Aimo e Nadia e Crippa come stage per dirne due, ma non solo, perché la ricerca di nuovi prodotti e di nuove attività laterali hanno formato un grande maitre, sommelier, consigliere di tavola e ricercatore di buone bottiglie, da proporre anche fuori da queste vecchie e nobili mura. Alcune cose sono cambiate qui, tutte in meglio, inquadrando e rispettando i diversi ruoli che hanno formato una squadra ormai in grado di competere al top. Regolamentari, sono ad occhio in 11, ma immagino ci sia anche una panchina. Sette in cucina e almeno quattro in sala, nelle diverse sale, affascinanti quanto difficoltose da seguire con gli occhi, tavolo per tavolo ben distanziato, con l’aggiunta del vasto dehors in stagione. Tutto quanto con splendida vista mare. La gestione del ristorante è nel tempo passata completamente in mano alla famiglia Ricchebuono, proprio nel momento in cui il buon senso ha consigliato al Giuse di ridurre drasticamente le sue incursioni all’estero, portatore sano della buona cucina italiana, un po’ ovunque, ma forse è veramente arrivato il momento di valutare, rivalutare e riposizionare il Vescovado al livello di fornello che gli compete. Sono anni che ci si chiede se in Liguria ci potrà essere un nuovo due stelle Michelin. Sempre le stelle in testa, anche se la Michelin lo scorso anno ha fatto il possibile per diminuirne il numero e il prestigio, offrendo al pubblico e ai ristoratori dei servizi che cozzano abbastanza con lo spirito critico e con le proposizioni. Fuori da discorsi marginali bisogna comunque che ci si veda più spesso tra quelli della nostra razza, che è vero che rappresentano una generazione di sopravvissuti, però, accidenti, ci dessimo anche una regolata non sarebbe un errore Troppo tempo attaccati alle gambe del tavolo, per scrivere progetti degni di Willy Coyote -tanto quello struzzo non lo prenderemo mai - o per afferrare un altro bicchiere di vino francese mentre ci farebbe meno male attaccarci alle gambe di una qualche ballerina dell’est, sempre con un bicchiere che brilli tra le dita. I costi economici non sarebbero superiori a quelli fisici, ma il tempo scorre lo stesso: panta rei. Guardando le clessidre. 129
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Mancavo in effetti da un bel po’, ma solo dal luogo, non dalle persone. Ci si è visti agli eventi con Flavio Costa per i Due Chef al Mercato, e poi nella bellissima quanto evanescente esperienza al Carillon di Portofino, dove, per un brevissimo periodo si mangiò una cucina incorniciata da un cadre unico, una cucina da una stella e mezza, così, pronti e via. Non sembrava vero. Infatti. Di cucina, beh, estremista il Giuse. Far bene con quello che gli gira intorno. Tutti liguri. I pescatori di Noli e Savona, i contadini, gli allevatori, i coltivatori di ogni cosa, gli artigiani del gusto, tutto molto vicino alla sua cucina pulita e lineare, senza un ingrediente che rompa il precario equilibrio trovato, senza, come dice lui “senza caricare il piatto” ma raggiungendo il risultato secondo logica e senso della misura. Tutto rimane molto ligure, neanche il formaggio compra fuori. Tanti viaggi, tante consulenze, alcune interessanti, alcune improbabili. Ma nessuna contaminazione. Oggi si riparte con una nuova energia. Da una gestione propria, al 100%. Con le ambizioni di puntare ancora più in alto, da qui, dal Palazzo Vescovile di Noli, in uno dei ristoranti più belli d’Italia, il Vescovado. E per completezza di informazione, Il Vescovado si declina anche sotto forma di piccolo hotel di charme, di trattoria lungo mare - il Nazionale - e di pratico bistrot a Savona, il Bino
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Camps Bay
Cape Town - South Africa Articolo di Corrado Passi Fotografia di Silvia Turazza Se esiste una dimensione sospesa – che nulla ha a che fare con il tempo di questo periodo di attesa, quello che precede il ritorno alla vita, un tempo che di sospeso ha ben poco e che, al contrario, meriterebbe di essere considerato per quello che è, un tempo vero, reale, doloroso e infinito - essa è quell’occhiata che la mattina, guardando la costa, Craig dava al passaggio tra i due colori turchini, il confine tra i due azzurri più intensi del mondo. «Guardo sempre il cielo, a Cape Town», pensava Craig camminando verso Camps Bay. Non c’era nulla di arrogante, nelle sue parole, nulla che si potesse confondere con il disprezzo dell’ovvio. Lei l’aspettava puntuale, senza mostrare insofferenza nè fretta; sapeva che Craig amava passeggiare un poco, ed annusare l’aria fredda e salata. Il tempo correva veloce, ritmato dal traffico locale e dalle giornate più belle dell’anno, le mattine invernali svelate dalle prime fioriture. Si muoveva lento, Craig, mentre il sole accarezzava la baia senza ferirla, lasciandone intatti il colore e quel ritmo nascosto e impossibile che sono le onde. C’era, in quella parte della città, tutta la forza magnetica di una roccia arenarica, tutta la tenacia del Fynbos immortale e sferzato dal vento. Là, i giorni correvano veloci senza sfiorare la terra, e quella sensazione di immunità alla vita, al trascorrere del tempo e dei minuti, piaceva a Craig e a chi l’amava e lo stava aspettando. Laggiù, lungo Camps Bay Drive, qualsiasi cosa accadesse, si scendeva e si risaliva veloci, cambiando prospettiva ad ogni tornante. «Mi piace questo tramonto, riflesso sulla Montagna», aveva detto Anne, il primo giorno, e Craig aveva capito che lì sarebbero tornati presto, e che a lei era piaciuto. In quel luogo, si arrivava sempre a pensare qualche cosa di simile, un’idea o un ricordo che avvicinava due persone senza tradirle. Anne lo attendeva con pazienza, perchè vivere di fronte alla baia ed uscire, la mattina, senza camminare un pò, sarebbe stato, per lui, innaturale e privo di senso. Per questo, si ripeteva Anne ogni giorno, lei lo amava. Si erano incontrati lontano, dove le strade non si inerpicano sulla montagna e i semafori, dopo mille miglia, diventano alberi. Lì era diverso, e dimenticare diventava un gesto occasionale, lieve come un’abitudine, come bere un bicchiere d’acqua. Restava, di quel mattino d’inverno, la leggerezza del vento marino e quel sole che rendeva ogni colore più denso, ogni forma capace di contrastare il paesaggio tutt’intorno ed apparire come un bassorilievo. Se le avessero chiesto perchè laggiù era diverso, si sarebbe sentita incapace di rispondere, poichè aveva imparato che, in quel luogo, la bellezza del paesaggio non ammetteva domande. Lo vide tornare, una figura che camminava contro il verde degli alberi. Quel luogo in discesa, si ripetè, non avrebbe concesso risposte. Per questo le piaceva. Non si sarebbero mai traditi, tra loro. Partirono subito, risalendo Geneve. Non c’erano nuvole, quel giorno.
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La storia di un successo; Amancio Ortega Gaona, Fondatore di Inditex, l’industria della moda Articolo di Margaux Cintrano editore Traduzione di Maurizio Pelli Fotografia: Inditex, S.L. Inditex, il più grande gruppo del settore moda al mondo, gestisce oltre settemila e duecento negozi in novantatré Paesi. Il marchio leader dell’azienda è “Zara”, che detiene le catene; “Zara Home” – “Massimo Dutti” – “Bershka” – “Oysho” – “Pull and Bear” – “Temple” – “Lefties” - “Stradivarius” e “Uterqüe”. La maggior parte dei negozi sono principalmente presenti nei Paesi dove le proprietà aziendali non possono essere straniere. L’azienda opta per un modello di business unico, non si impegna per le grandi produzioni delle prossime stagioni della moda ma solo per una piccola quantità. Utilizza il feedback dei clienti e una rete di produzione molto efficiente per rifornire settimanalmente i negozi al dettaglio, costantemente con nuovi e diversi prodotti. Le nuove collezioni sono prototipate in soli cinque giorni e il 60% della produzione avviene localmente, per abbreviarne i tempi di consegna. Nei negozi Zara, i nuovi capi di abbigliamento passano dalla progettazione - produzione alla disponibilità sugli scaffali dei negozi in soli quindici giorni. Una vecchia storia Amancio Ortega, iniziò nel settore dell’abbigliamento nei primi anni 60’ lavorando per un produttore di camicie locale ad A Coruña - Galizia - Spagna. Ortega iniziò a sviluppare i suoi disegni con la moglie Rosalia Mera, realizzando abiti da casa. Appena riuscì a capitalizzare abbastanza denaro, aprì una piccola fabbrica, annoverando tra i suoi clienti anche il suo ex datore di lavoro. Nel 1975, inaugurarono il loro primo negozio, Zara, che offriva moda popolare a prezzi bassi. L’anno seguente, costituirono la società Zara, presto iniziarono ad aprire altri negozi e fabbriche in tutta la Spagna. In seguito, nello stesso anno, Ortega si rese conto della crescente importanza dell’uso dei computer, un professore locale, José Maria Castellano, fu assunto per incrementare l’uso tecnologico in azienda. 1980 - 2000 Negli anni 80’ la società implementò un nuovo metodo di progettazione – distribuzione, riducendo drasticamente i tempi delle consegne ai punti vendita. Il sistema fu progettato da Castellano che divenne Direttore Generale della società nel 1984. Nel 1988, la società iniziò a espandersi a livello internazionale con l’apertura di un negozio Zara a Porto - Portogallo. Nel 1990, l’azienda acquisì la collezione di calzature, Tempe, inserita nella sezione per bambini dei negozi Zara. Nel 1991, Inditex creò Pull and Bear, una società di abbigliamento casual per uomo. Più tardi nello stesso anno, la società acquisì anche una quota del 65% nel marchio di lusso di Massimo Dutti. Nel 1993 Inditex creò “Lefties”, nel 1995 acquistò tutte le azioni di Massimo Dutti iniziando a espandere il marchio includendone la linea di moda donna. Nel 1998, lanciò il marchio Bershka dedicato alla “moda urbana alla moda” e nel 1999 acquistò Stradivarius un marchio di moda giovanile.
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Dal 2001 a oggi Inditex quotò la sua offerta pubblica nel 2001, alla Borsa di Madrid (IPO) cedendo il 26% agli investitori pubblici, la società fu valutata a nove miliardi di euro. Nel 2001, la società lanciò i negozi di biancheria e abbigliamento femminile Oysho. Nel 2003, Inditex lancio il marchio Zara Home, proponendo biancheria letto - posateria – tovaglie bicchieri - accessori casa. Nel 2004, con l’apertura del negozio di Hong Kong, la catena raggiunse le duemila unità, stabilendo la sua presenza in cinquantasei Paesi. Nel 2005, l’amministratore delegato José Maria Castellano fu dimesso dalla carica per sovrintendere ai piani di espansione e sostituito dall’attuale direttore generale Pablo Isla. Inditex lanciò Uterqüe nell’estate del 2008, un marchio specializzato in accessori donna. Nel corso del 2008, la società inaugurò il negozio di Tokyo, in Giappone, raggiungendo le quattromila unità, raddoppiando le dimensioni societarie in quattro anni. Nel 2011, Ortega, fondatore dell’azienda e azionista di maggioranza, si dimette dalla carica di Vice Presidente e Direttore Generale. Pablo Isla, da quel momento in poi, gestirà tutte le operazioni. Nel 2011, la società aprì un negozio in Australia, stabilendo così la sua presenza nei cinque continenti e in settantasette Paesi. Dopo il 2013, Inditex fu tra le trentotto aziende che firmarono l’accordo sulla fabbricazione e la sicurezza degli edifici in Bangladesh. A partire dal 2019, Inditex diviene il più grande rivenditore di moda al mondo per fatturato. La strategia di marketing è quella di evitare la pubblicità sulle riviste in favore delle proprie campagne stampa, allestire vetrine per un’ottima visibilità su strada e la diversione dei prodotti di tendenza. Per concludere, Ortega preferisce investire per fare indossare le sue etichette alle celebrità che spendere in campagne pubblicitarie esterne.
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