Catalogo Selvatico 14 | 2019 | Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti

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Luoghi

Cotignola / Museo civico Luigi Varoli 27 ottobre 2019 - 19 gennaio 2020 > Palazzo Sforza corso Sforza 21 > Casa-studio Luigi Varoli corso Sforza 24 > ingresso via Cairoli 7 > Ex ospedale Testi via Roma 8 > Civico 27 corso Sforza 27

a cura di Massimiliano Fabbri Istituzioni ed Enti patrocinanti: Comuni di Cotignola, Fusignano e Bagnacavallo (Ra)

Fusignano Museo civico San Rocco 26 ottobre 2019 - 12 gennaio 2020 via Monti 5 Fusignano

Villanova di Bagnacavallo Ecomuseo delle Erbe Palustri 10 novembre 2019 - 12 gennaio 2020 via Ungaretti 1

Conad Cofra Cotignola Lucca Mauro elettrodomestici

Le mostre e i libri di Selvatico: 1. Selvatico. Rassegna di campagna 2006 Archives 2. Selvatico. Rassegna di campagna 2006 Orangotangotango. Una mostra animista 3. Selvatico. Rassegna di campagna 2006 Pensiero stupendo 4. Selvatico. Rassegna di campagna 2007 Luoghi Persone Cose 5. Selvatico. Rassegna di campagna 2008 Corale. Due muse allo specchio 6. Selvatico. Rassegna di campagna 2008 Nidi. Campi di battaglia. Preghiere e sortilegi 7. Selvatico. Rassegna di campagna 2008 Out of the map. Segnare intorno 8. Selvatico. Spore 2010 A Nera. Una lezione di tenebra 9. Selvatico. Spore 2012 E Bianca. Una parola diversa per dire latte 10. Selvatico 2014 Una testa che guarda 11. Selvatico 2015 Mattia Moreni/Nicola Samorì La disciplina della carne 12. Selvatico 2017 Foresta. Pittura Natura Animale 13. Selvatico 2018 Fantasia/Fantasma. Pittura tra immaginazione e memoria

Selvatico è fatto da Comune di Cotignola e Museo Civico Luigi Varoli/Scuola Arti e Mestieri www.museovaroli.it luigi varoli museovaroli

Ufficio stampa Unione dei Comuni della Bassa Romagna Trasporti Ivan Mazzoni Grafica catalogo e comunicazione Marilena Benini Stampato nell’ottobre 2019 da Grafiche Morandi Fusignano

Comune di Fusignano

Comune di Bagnacavallo

In collaborazione con Associazione culturale Primola

Sostenitore principale:

Altri sostenitori:

Comune di Cotignola Sindaco Luca Piovaccari Vicesindaco Pier Luca Baldini Assessore Cultura e istruzione Federico Settembrini Assessora al bilancio Laura Monti Assessora alle pari opportunità e politiche sociali Barbara Nannini Museo Civico Luigi Varoli e Scuola Arti e Mestieri Massimiliano Fabbri Area Cultura e Comunicazione Michela Fanelli Ufficio Lavori Pubblici e Patrimonio Rodolfo Gaudenzi Urp Stefano Seganti Daniela Foralosso Allestimenti Domenico Pirazzini, Antonio Cattani, Filippo Campagnoni Aperture sedi espositive, ospitalità, visite guidate, laboratori e didattica Associazione Selvatica: Pamela Casadio, Cecilia Pirazzini, Alice Iaquinta, Gioele Melandri, Arianna Zama, Chiara Dalmonte Comune di Fusignano Sindaco Nicola Pasi Assessore Cultura Lorenza Pirazzoli Responsabile Settore Cultura Tiziana Giangrandi Urp Rita Baracca Apertura e sorveglianza sedi espositive Auser Laboratorio artistico Il Cerchio Alice Lucci Allestimenti Sergio Balducci Comune di Bagnacavallo Sindaco Eleonora Proni Assessore alla Cultura, Turismo e Promozione del territorio Monica Poletti Responsabile Area Cultura, Comunicazione e Partecipazione Raffaella Costa Direttore Musei Civici di Bagnacavallo Diego Galizzi Responsabile delle attività Ecomuseo delle Erbe Palustri Maria Rosa Bagnari Associazione Culturale Civiltà delle Erbe Palustri Andrea Barangani e Giorgia Severi Si ringraziano: Sonia Muzzarelli conservatrice del Patrimonio Storico-Artistico-Archivistico AUSL Romagna Danilo Montanari Editore

ISBN 9788885449428


Cinquanta artisti (più uno) per una mostra animista sulla pelle della scultura, sul disegno, le cose e gli innesti. E sulla pittura sempre, intorno al corpo e a quasi nature. Perduti nel dettaglio. A cura di Massimiliano Fabbri

• Fusignano Museo civico San Rocco

Michele Bubacco | Paolo Maggis | Matilde Baglivo Federica Poletti | Valentina Biasetti Nero/Alessandro Neretti | Andrea Salvatori | Dem Alessandro Finocchiaro | Giulio Catelli | Ilaria Margutti

• Cotignola Museo civico Luigi Varoli

Chris Rocchegiani | Thomas Scalco | Elena Hamerski Ilaria Cuccagna | Elisa Bertaglia | Fabio Romano Matteo Lucca Silvia Vendramel | CaCO3 | Giorgia Severi | Federico Guerri Francesco Geronazzo | Manuela Vallicelli | Alice Padovani Ettore Frani | Chiara Lecca | Giovanna Caimmi | James Kalinda Chiara Enzo | Valentina D’Accardi | Sarah Ledda Milena Sgambato | Barbara Fragogna | Maurizio Bongiovanni Alice Faloretti | Mattia Noal | Giacomo Modolo | Elisa Muliere Giulia Manfredi | Luca Piovaccari | Giovanna Sarti

• Villanova di Bagnacavallo Ecomuseo delle Erbe Palustri Ana Hillar | Giorgia Moretti | Luca Zarattini Amanda Chiarucci | Giacomo Cossio | Paolo Buzzi Michele Buda | Raniero Bittante

Testi in catalogo Sabrina Foschini | Massimo Pulini | Claudio Musso Irene Biolchini | Gabriele Salvaterra | Alessandra Bigi Iotti Riccardo Ciavolella | Nicola Samorì


indice

Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti

Massimiliano Fabbri .............................. 9 Selvatico. Parole e immagini

Alessandra Bigi Iotti............................. 20

Lamento di Atlante

Sabrina Foschini.................................. 27 Atlante della Luna

Massimo Pulini.................................... 28

Segno, margine, altrove

Riccardo Ciavolella.............................. 33

Con buona pace del centro.

Irene Biolchini...................................... 36 Pensieri selvatici attorno a tre parole

Gabriele Salvaterra.............................. 38

Incrostazioni. Frammenti di frattali, supersuperfici e margini smarginati

Claudio Musso.................................... 40 Fare a pezzi. L’intero. L’illeso

Nicola Samorì...................................... 43 Selvatico 14 Massimiliano Fabbri.......... 50 Post scriptum (in mezzo al mare)

Massimiliano Fabbri............................. 67 Fusignano Museo Civico San Rocco.....................73 Giulio Catelli .................................... 76, 310 Alessandro Finocchiaro ................. 80, 326 10

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Paolo Maggis .................................. 84, 348 Michele Bubacco ............................ 88, 300 Matilde Baglivo ............................... 92, 290 Federica Poletti .............................. 96, 368 Valentina Biasetti .......................... 100, 294 Andrea Salvatori ........................... 104, 374 Nero/Alessandro Neretti ............... 108, 360 Dem ............................................... 112, 320 Ilaria Margutti ................................ 116, 352 Cotignola Museo Civico Luigi Varoli.................... 120 Chris Rocchegiani ........................ 126, 370 Elisa Bertaglia ............................... 130, 292 Ilaria Cuccagna ............................. 134, 316 Elena Hamerski ............................. 138, 336 Thomas Scalco ............................. 142, 378 Mattia Noal ................................... 146, 362 Fabio Romano .............................. 150, 372 Matteo Lucca ................................ 154, 346 Valentina D’Accardi ...................... 158, 318 David Loom ...................................... 162 Silvia Vendramel ........................... 166, 386 CaCO3 ........................................... 170, 306 Giorgia Severi ............................... 174, 380 Federico Guerri ............................. 178, 334 Francesco Geronazzo .................. 182, 332 Chiara Lecca ................................. 186, 342 Giulia Manfredi ............................. 190, 350 Alice Padovani .............................. 194, 364

Manuela Vallicelli .......................... 198, 384 Giovanna Caimmi ......................... 202, 308 James Kalinda .............................. 206, 340 Ettore Frani ................................... 210, 330 Chiara Enzo .................................. 214, 322 Sarah Ledda ................................. 218, 344 Milena Sgambato ......................... 222, 382 Maurizio Bongiovanni ................... 226, 298 Barbara Fragogna ........................ 230, 328 Elisa Muliere ................................. 234, 358 Alice Faloretti ................................ 238, 324 Giacomo Modolo .......................... 242, 354 Giovanna Sarti .............................. 246, 376 Luca Piovaccari ............................ 250, 366 Villanova di Bagnacavallo Ecomuseo delle Erbe Palustri ............ 254 Raniero Bittante ............................ 256, 296 Ana Hillar ....................................... 260, 338 Giorgia Moretti .............................. 264, 356 Amanda Chiarucci ........................ 268, 312 Luca Zarattini ................................ 272, 388 Giacomo Cossio ........................... 276, 314 Paolo Buzzi ................................... 280, 304 Michele Buda ................................ 284, 302 Schede Autori ..................................289 Le precedenti tredici edizioni di Selvatico .................. 390


Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti Massimiliano Fabbri

In altri termini, essendo qualsiasi bene incentivo al male, incoraggiamento per questi a mettere fuori la sua spaventosa testina, appariva somma pietà astenersi da qualsiasi bene, acciocché la vita nel suo complesso di bene e male poco alla volta deperisse, e scioltosi alfine il nodo vitale, chi o coloro avevano fatto il primo errore, avvedutisi, cambiassero sistema, ricostruendo un mondo privo affatto di male. Questo dimostrandosi il vero fine della cultura – l’arenamento della vita, e la divulgazione del principio che la vita va rifatta attraverso un ritorno al vuoto primigenio – era evidente che la via più giusta, il vero compito di ogni gentiluomo o poetico genio, stava nel ridurre al minimo, o almeno tener celato, il proprio respiro, al fine di non soffiare sul fuoco di un Creato malizioso e stipato come un uovo di delitto e d’inganni (disse) irriferibili. Anna Maria Ortese Rompo le cose perché ho paura e passo il tempo a ripararle. Louise Bourgeois In definitiva, tutto il nostro lavoro si basa solo ed esclusivamente su idee, idee che nel corso del tempo continuano a cambiare, e non di rado ti inducono a buttare giù quanto già credevi compiuto e a ricominciare da capo. È probabile che non mi sarei mai e poi mai avventurato nella costruzione del tempio, se avessi avuto anche solo una pallida idea di quanto avrebbe preteso da me quel lavoro, destinato a crescere in modo esponenziale e a sprofondare sempre più nel dettaglio. E infine, se tutto questo deve suscitare un’impressione di vita vera bisogna lavorare a mano e dipingere pezzo per pezzo le tessere di un centimetro quadrato sui soffitti dei portici, le centinaia di colonne e le molte migliaia di minuscoli conci. Adesso che, a poco a poco, comincia a farsi buio ai margini del mio campo visivo, mi domando a volte se

riuscirò mai a terminare la costruzione, o se tutto ciò che ho compiuto finora non sia soltanto una misera abborracciatura. W. G. Sebald Gli oggetti nascondono il volto coltivano curvi ciascuno la sua ombra come se l’ombra fosse il loro nome. Valerio Magrelli Necessariamente connesso al rischio magico di perdere l’anima sta l’altro rischio magico di perdere il mondo. Correlativamente alla rappresentazione dell’esperienza di un’anima che fugge dalla sua sede, che è insidiata, vulnerata, sottratta, rubata e simili, sta la rappresentazione e l’esperienza di oggetti che vanno oltre il loro orizzonte sensibile, che si sottraggono ai loro limiti, e che precipitano nel caos. Quando un certo orizzonte sensibile entra in crisi, il rischio è infatti costituito dal franamento di ogni limite: tutto può diventare tutto, che è quanto dire: il nulla avanza. Ma la magia, per un verso segnalatrice del rischio, interviene al tempo stesso ad arrestare il caos insorgente, a riscattarlo in un ordine. La magia si fa in tal guisa, considerata sotto questo aspetto, restauratrice di orizzonti in crisi. E con la demiurgia che le è propria, essa recupera per l’uomo il mondo che si sta perdendo. Ernesto de Martino

Selvatico/Atlante è una mostra, o forse sarebbe meglio definirla un arcipelago di mostre per la complessità, le ramificazioni e le estensioni del suo disegno che si articola attraversando e congiungendo più spazi espositivi, collegando sedi museali, case sonnambule, palazzi disabitati e negozi sfitti grazie al lavoro, alle opere e ai differenti linguaggi di un cuore numeroso di artisti chiamati a rispondere contemporaneamente sia alle risoatlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 11


nanze ed echi del luogo, che alle domande, stimoli e inneschi del progetto espositivo. E, non in ultimo, alla presenza stessa degli altri autori con cui condividono un tratto di strada comune. L’intreccio e ordito di una trama. Una rete, per quanto abusata possa suonare questa parola. Crearsi di legami. Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti è un titolo che più che svolgere funzione di tema, fornendo risposte e soluzioni più o meno facili o probabili agli interrogativi su cui ci arrovelliamo, sta a indicare una possibile pista o direzione dello sguardo; una chiave di lettura e orientamento che si rivolge agli artisti invitati quanto allo spettatore, cercando di segnalare ed evidenziare, grazie a un fitto sistema di risonanze e corrispondenze, un ambito, un andamento nell’aria e un sentire condiviso che ci è parso riscontare e ritrovare in pratiche, poetiche, modi di fare e vedere anche all’apparenza molto distanti tra loro. Un tentativo di orientamento quindi. Selvatico non è solo o propriamente una mostra collettiva: differente e anomalo il suo costruirsi, qualcosa che assomiglia al formarsi di una comunità, per quanto provvisoria, precaria ed effimera, con l’esposizione e la sua mappa che crescono e prendono forma, come carta geografica, precisandosi e definendosi insieme e con gli artisti in una sorta di esplorazione sul campo. Non è nemmeno la mostra di un curatore, o un progetto fatto solo a tavolino: rispetto a quest’ultima modalità non vuole avere lo stesso tipo di controllo e l’individualità dell’idea, schiacciante, che non accetta scarti o imprevisti, cose che ancora non sa o non ha visto; in Selvatico la dimensione della scommessa, dello spostamento e della sorpresa sono presenti e accadono nell’incontro e dialogo tra luoghi e persone e cose. Che non significa affatto una sospensione di giudizio per e a cui va bene tutto, anzi, la verifica e l’aggiustamento sono costanti, lenti, inesorabili e quasi ossessivi, ma, piuttosto, essere disposti a mettere in discussione idee, mappe e proiezioni. L’allestimento è il luogo dove tutto questo converge, si concretizza e prende forma accadendo, rivelandosi nel contrasto e nella combinazione. Così, nel cercare di descrivere il procedimento che porta alla crescita del progetto e della mostra, ricorro ancora una volta alla metafora dell’andamento vegetale, una ramificazione del pensiero che prende corpo, spazio e tempo e sboccia nella sua forma migliore, vincente, l’unica infine fra le molte possibili. Af12

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fondare nella terra e mangiare la luce. Uno scambio continuo e un equilibrio, inizialmente fragile e che si irrobustisce giorno dopo giorno. Io obbedisco a memorie dormienti, che soltanto una persona vivente può destare. Sono una collezionista di spazi e memorie. Louise Bourgeois

La mostra come un organismo quindi, con un respiro, funzionante per relazioni, incastri e intrecci, dialoghi, rimandi, connessioni e corrispondenze. Un sistema di innesti e congiunzioni, un equilibrio centripeto e centrifugo fatto di affinità e contrasti, un compromesso esatto, faticoso e felice tra le opere e gli autori, gli spazi e le persone. Un incontro plurale fatto di singolarità. Un dialogo fisico e concreto, un guardarsi reciproco negli occhi, e riconoscersi. Qualcosa di simile a una costellazione, o a una catena di immagini e associazioni che colma distanze; una collana di pietre diverse per forma, peso e colore, e suo ritmo interno, con spazi e pause, e successione di elementi mondo, andirivieni tra dettagli preziosi e visione d’insieme. Natura geometrica delle cose. Rivelarsi di principi nascosti e soggiacenti. Tutte le cose erano collegate tra loro, dalla più remota stella nelle infinite distese dello spazio siderale alla miriade di atomi contenuti nel granello di sabbia sotto i nostri piedi. Jack London

Una mostra che in questo suo nuovo episodio inquadra e mette al centro, espandendola ed esplorandola, già a partire dal titolo che la orienta e guida, una contraddizione interna, aperta e pulsante; una tensione o frattura, avvenuta o potenziale, con cui fare i conti e che ci sembra attraversare molte delle pratiche, delle indagini e ricerche, dei modi di fare e vedere, delle reazioni e dei movimenti delle arti visive, dei suoi processi e meccanismi contemporanei: da una parte l’immagine dell’atlante, l’archivio e catalogo che si fanno mondo, il corpo geografia e la mappa, gigante che regge la sfera celeste, prima vertebra su cui poggia la testa, e quindi una certa tensione enciclopedica, o dell’opera che prova a contenere o essere parte per il tutto, storia del mondo per oggetti; dall’altra l’attrazione invincibile e la voragine risucchiante nei confronti del particolare, il gorgo e vortice del dettaglio, la superficie e la pelle, margini e frammenti, derive e sperdimenti, accumuli, buchi e lame di luce, abissi in miniatura,


forre, segni minimi e riverberi che possono rallentare, avvolgere, sospendere e allargare il tempo, qualcosa che assomiglia da parte dell’artista al bisogno di spostarsi di lato, uno smarrirsi, un rimanere volontariamente un passo indietro, lungo i bordi o sulla soglia, rapiti dalle cose da niente che di solito non vediamo o sorvoliamo incuranti. Un solco della mente in cui inciampiamo. Scomporsi delle membra. Ciclico femminile tellurico. Pezzetti e intimità. Instabilità delle forme e sfaldarsi dei generi. L’impalpabile e lo sgretolarsi. La polvere. L’anatomia e i muscoli. Una divaricazione e poi un processo di risignificazione. Ricaricare il simbolo, nostalgia delle origini. Il Bomyx mori, ovvero la falena del baco da seta, vive sugli alberi di gelso bianco, fa parte della famiglia delle Bombycidae, una sottospecie dei Lepidoptera, cui appartengono alcune tra le più belle farfalle notturne – la falena dell’ermellino, Harpyia vinula, la farfalla cobra, Bombyx atlas, la monaca, Liparis monacha, e la processionaria o farfalla del carpino, Saturnia carpini. Il baco completamente sviluppato però è solo un’insignificante tignola che, con le ali distese, misura un pollice in lunghezza e a malapena uno e mezzo in diagonale. Il colore delle ali è bianco cenere con striature marrone chiaro e una macchia a forma di luna, spesso appena visibile. L’unica attività di questa farfalla è la riproduzione. Il maschio muore poco dopo l’accoppiamento. Per parecchi giorni di fila la femmina depone dalle trecento alle cinquecento uova e poi muore anch’essa. Come si legge in una enciclopedia del 1844, i bachi da seta che escono dalle uova, al momento in cui vengono al mondo, sono ricoperti da una peluria nera e vellutata. Nel corso della loro breve vita, che dura solo dalle sei alle sette settimane, vanno quattro volte in letargo e a ogni fase, lasciato il vecchio involucro, si risvegliano in uno nuovo e diventano sempre più bianchi, più lisci, più grandi e dunque anche più belli, sino a raggiungere quasi la trasparenza. Qualche giorno dopo l’ultima muta, si nota un rossore nella zona del collo, segno che il tempo della metamorfosi è imminente. Il baco ora smette di mangiare, gira attorno senza posa, cerca di arrampicarsi in alto e, quasi spregiasse il basso mondo, punta al cielo finché non ha trovato il posto giusto per poter filare il bozzolo, che ricava dai succhi resinosi al suo interno. Se si pratica un’incisione lungo il dorso di un baco ucciso con alcol etilico, si nota un fascio di cannelli variamente intrecciati fra loro, che hanno l’aspetto di visceri. Essi sfociano davanti al muso in due strettissime aperture, attraverso le quali fuoriesce il succo di cui si è detto. Il primo giorno di lavoro il baco tesse una trama larga, disordinata, sconnessa, che

serve a imbracare il bozzolo. E poi, mentre continua a muovere il corpo avanti e indietro emettendo un filo ininterrotto lungo quasi mille piedi, costruisce attorno a sé il bozzolo propriamente detto, che ha la forma di un uovo. In questo involucro impermeabile sia all’aria sia all’umidità, il baco si trasforma in ninfa grazie all’ultima muta. Lo stadio di ninfa dura in totale tra le due e le tre settimane, prima che la farfalla descritta esca fuori. Patria del baco da seta sembrano essere tutti quei paesi asiatici, nei quali il gelso bianco che ne costituisce il nutrimento cresce spontaneamente. W. G. Sebald

Atlante è la volontà testarda, l’ossessione, la tensione al grande e all’universale, il compito schiacciante di una vita, con fatiche e lentezze, stupori e meraviglie di collezionismo, raccolte e compendi, naturalia e mirabilia; l’aspirazione, l’ambizione o il desiderio di poter costruire uno sguardo nuovo e un pensiero archivio capace di comprendere, abbracciare e contenere sciami, complessità e moltitudini, pianeti perfetti, riconducendo infine queste pluralità a una forma unica e irripetibile, a un sistema ed equilibrio di segni, a un alfabeto ancora, memoria invincibile che si perde nel tempo e progettualità che tutto cataloga e mette a posto. Il compito per certi versi infinito e inutile, frustrante, sconfitto in partenza ma necessario anche, e commovente, di mettere ordine al mondo, di metterlo in salvo, riportarlo in asse e provare a comprenderlo e sentirlo, classificarlo e sorreggerlo infine, di farne parte, di dare nomi alle cose, congiungendole, aggiustandole dove serve, qualcosa che assomiglia alla coltivazione di un giardino, connettendo e ordinando i frammenti in sistemi e insiemi dotati di senso e sensi. Una grazia. Bambini e animali. Le piante. Collane di perle, rametti, conchiglie e ossicine. Cosmologie. E, a fare da controcanto a tutto questo, la difficoltà e impossibilità tangibile, sperimentata quotidianamente, di abbracciare questo imprendibile tutto, fondo del mare, cascate, oceano di immagini e informazioni, tempi e memorie, maree, ossa, detriti e ceramiche e altre cose sepolte che ci sommergono e abbandoniamo per sopravvivere e andare avanti; e lo sperdimento drammatico che ne consegue, l’immobilità paralizzante talvolta, nel cominciare qualcosa, nel voler cercare di decifrare un mondo che invece sfugge, si parcellizza in polveri volatili, fatto com’è sempre più di frammenti e particolari galleggianti sospesi nell’aria, attimi spezzati e rotti, velocità e scarsità di tempo che non ci permettono di approfondire. Discontinuità contro omogeneità. atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 13


Il lavoro oscilla fra l’aggressività estrema, la riparazione e il bisogno di perdonare. È lo stesso che mettere insieme cose che sono state rotte o separate. Louise Bourgeois

Tempo che ormai il pensiero unico capitalista ci ha sottratto praticamente del tutto, organizzando e riempendo definitivamente e mortalmente ogni nostro momento. Dettagli e pezzi sparsi, unità molte e incomprensibili, mute, parti e resti, cose come esplose e irradianti o alla deriva, e poi piccoli universi nascosti, dimenticati e abbandonati in cui forse resiste ancora qualcosa che possiamo chiamare bellezza. O arcano. Un incantamento. Vuoti dotati di senso e assenze da cui ripartire. Smarginare. Giocare la partita altrove, per obbligo o necessità. Il branco che tiene fuori. Voltarsi indietro, forse. Strabismo. Statue di sale. Trasmutazioni. E mondo che si fa labirinto. Ricondotto ad astrazione di mappa. Il disegno: proiezione mentale, diaframma tra me e il mondo. Cinema. Nuvole. Tracce e impronte. Ricordi e memorie. Le foglie e i fiori. Onde, tempeste e foreste. Rituali e talismani. Specchi e feticci. L’immaginazione ancora e il fantasticare come armi che spalancano mondi facendocene intravedere e incontrare di nuovi. Sperimentare nella materia. Esorcismi. Texture e disegni. Pazienza della trama e delle tessere. Radici e rizomi. Vento che scuote ed entra a scompigliare e incrinare le superfici. Riverberi. Pieghe impreviste, spaccature e crateri. Proiezione di ombre. Pesantezza e leggerezza capovolte. Il liscio e il ruvido, il caldo e il freddo. L’umido e il secco. Sentire il mondo. Trattenerlo. La carta come superficie sensibile e membrana, e il disegno ancora come una delle chiavi di comprensione. Un metabolismo. Il rumore delle onde e quello dei sassi che rotolano nel riflusso. Il fragore e il tumulto. Contatti e sfregamenti. Vulcani. Isole. Abbandonarsi al sonno. Visione sfocata e palpitante, periferica e notturna, sensibile alle luci e ai movimenti. Il movimento ripetitivo di una linea, accarezzare un oggetto, leccare le ferite, l’andirivieni di una spola, l’infinita ripetizione delle onde, cullare qualcuno perché dorma, pulire qualcuno che ami, un gesto d’amore infinito. Louise Bourgeois

Ed è sulla superficie che resta, affiora o prende forma, sottile come pelle o velo, questo oscillare continuo e andirivieni di 14

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vuoti e pieni, linee rette e curve, dalle galassie alla polvere e ai pulviscoli sospesi nell’aria, dal granello di sabbia all’idea delle montagne, anelli di saturno, atomi, cenere, ghiaccio, particelle di dio, resti accartocciati metallici, plastiche, cortecce e cocci di vetro, grasso, chiodi e relitti. Pelli animali e disegno incredibile di pelliccia. Bellezza del dorso di pesce. Dalle superfici riparte questa mostra, da questo ossimoro di una visione piatta e stratificata al contempo, da questa intelligenza tattile e visiva; questo il campo su cui si gioca la partita, scivolando poi, in un attimo, quasi inavvertitamente, su spigoli e profili, curve e sottosquadri di una forma paesaggio inspiegabile e all’apparenza non finita, corpo magico e misterioso. Ambiguità che significa desiderio, furore, visione e movimento. Il vuoto e l’abbandono, come sempre, parti integranti della scultura e del disegno e del pensiero. Perdersi nel dettaglio allora, entrarci e dargli spazio. Occuparsi e volgere lo sguardo verso ciò che resta indietro o lungo i bordi, o dietro. Sconfitto in apparenza. Sospinto ai margini. Frattaglie e semilavorati del mondo, echi e ultime nature. Modi di vedere tattili. Riti. Gesti. La nostra attenzione e il nostro tempo, e qualcosa che assomiglia a un tentativo di riappropriarsene e metterli al riparo, nasconderli, sottrarli e proteggerli. Un nido. Una tana. Un risarcimento che ci permette al tempo stesso di provare a rincontrare di nuovo ed empaticamente ciò che sta fuori di noi. La pelle come superficie di confine, separazione e contatto. Superficie di comunicazione che reagisce sia all’esterno che all’interno. Promiscuità. E il disegno che prepara lo spazio per l’incontro. Il disegno come predisposizione all’ascolto. Avanzare. Il mondo e le cose che ci parlano. Anime. Scheletri e strutture. L’aria. Una coscienza e memoria che è delle cose, dei materiali e della materia. E arte che si imparenta con altri modi di vedere, nutrendosi, scimmiottandoli, giocandoci e confondendosi con questi mondi altri e pratiche, cercando sponde, forse con la speranza di rivestirsi di un’aura di credibilità maggiore rispetto alla sua perfetta inutilità minerale, per affiancare racconti alle immagini di cui forse a ragione non ci fidiamo più; o per cortocircuitare la finzione e smascherarla infine, elevandola a potenza, facendo di questo inganno confine e crinale che separa e congiunge al tempo stesso: la storia e la geografia, le scienze naturalistiche e il mondo vegetale, altre memorie e intelligenze, matematica e proporzione


aurea, l’archeologia e l’antropologia per ricucire storie perdute e arginare le lacune e voragini della memoria; i buchi nella trama che lasciano per un attimo vedere di là, oltre, dietro. Vertigine. Artista esploratore. Cacciatore. Raccoglitore. Sciamano. Assorbire e farsi carico. Una specie di catalizzatore. Posseduti e in controllo al tempo stesso. L’importanza di essere piccoli, minuti, fragili e silenziosi per poter ancora accorgersi del mondo meraviglioso e del momento a tratti perfetto. Una specie di grazia resistente e, contemporaneamente, una sorta di argine al perdersi siderale nel dettaglio disegnando mappe che hanno lo scopo di suggerire immaginazioni possibili, utopie, connessioni e disconnessioni, corrispondenze e orientamenti, innescando movimenti e fantasie. Cuciture. Slittamenti delle percezioni, dall’io all’altro, e al mondo possibilmente. Proiezioni sullo schermo della coscienza. Ambiguità delle forme e delle cose. Punti di vista e mobilità. Metamorfosi. Ossessioni e ritrovamenti. Il presente. O il futuro ancora. Affinità elettive a superare le distanze. La scelta e la disposizione delle parole sulla pagina. L’esecuzione è ciò che nel Diciottesimo secolo si chiamava ispirazione. É impossibile comprendere la logica di chi è in stato di ispirazione. I processi non sono né prevedibili né scientifici. É una questione di associazioni... ma in senso positivo. Non puoi lavorare come scultore se non sei in uno stato di esaltazione controllata. Confido nei miei istinti... Invecchiando, i problemi che vedo sono non solo più intricati ma più interessanti. L’esecuzione viene dal trovare la soluzione di un problema. I problemi che mi interessano riguardano più gli altri che idee o oggetti. Il risultato finale è proprio la comunicazione con l’altro. E io non ci riesco. Louise Bourgeois

Così, alla luce di tutto questo, è forse lecito pensare a qualcosa che assomigli a un atlante ossimorico dei bordi, dei confini e dei margini, e a uno sguardo che diventa ora presa di posizione politica, resistente e selvatico, enciclopedia e atlante dei pezzi sparsi, geografia sentimentale del frammento più o meno inutile. Sistemi e pratiche capaci di indagare solitudini e recessi, dell’essere disposti a perdersi camminando senza una meta precisa o apparente; e mettere ordine, cucire e curare sfrangiature e slabbrature, adattandosi all’incrinarsi e incresparsi delle superfici, ai piccoli terremoti quotidiani e alle pieghe del tempo. Un tempo fiume e sua immobilità ciclica che ritorna, identica e

immutabile nella pratica quotidiana e artigianale dell’artista, e la materia che diventa dato irrinunciabile, luogo dell’accadimento, scenario potenzialmente sempre imprevisto proprio grazie a questa disciplina della ripetizione. Foreste di ombre, fantasmi, raggi e fasci di luce filtranti e meridiane a scandire le ore, i profili e i contorni. Pelle e disegni casuali, piccoli graffi, trame impresse, vene azzurrine, impronte di abiti ed elastici e altre traiettorie delicate. Erotici solchi. La peluria lieve in controluce. Trasparenza di cartilagine, petalo, ala e tessuto. Un canto ai resti, alle cose da niente, prive di valore e bambinesche che siamo inclini a conservare; spazi non ancora del tutto violati o dimenticati completamente, riserve di libertà e bellezza su cui poter ricostruire e ripartire ancora una volta. Disfare e fare daccapo. Il racconto che tiene e salva, ci fa superare la notte e ci riporta a casa. Per Ruth questa era una situazione del tutto sconosciuta. Non aveva mai avuto esperienze sentimentali. Le sue uniche esperienze in quel campo le venivano dai libri, dove le vicende quotidiane erano trasmutate dalla fantasia in un mondo fatato e irreale; e quasi non si rendeva conto che questo rozzo marinaio si stava insinuando nel suo cuore e lì stivava forze inesplose che un giorno sarebbero scoppiate riversandosi su di lei in lingue di fuoco. Ignorava cosa fosse il fuoco autentico dell’amore. La sua conoscenza dell’amore era puramente teorica, e se lo immaginava come una fiamma tremula, lieve come una goccia di rugiada o la superficie appena increspata dell’acqua silente e fresca come l’oscurità vellutata delle notti estive. Ai suoi occhi l’amore era più un placido affetto che avvolgeva la persona amata in un’atmosfera di calma eterea pervasa di un tenue profumo di fiori e rischiarata da una luce soffusa. Non immaginava certo le vulcaniche convulsioni dell’amore, la sua fiamma rovente e le sterili distese di cenere che lasciava dietro di sé. Non conosceva nemmeno le energie che covavano dentro di sé, inespresse, né le energie del mondo; e le profondità della vita erano per lei coperte da oceani d’illusione. Jack London

E questo, in fondo, è uno dei compiti dell’arte, da sempre, mettere ordine al mondo e resistere alle forze, fare da argine allo sradicamento e perdita, alla dissoluzione e smarrimento dell’io e della presenza, occuparsi delle ferite e delle rovine, dei guasti e dei detriti, dei corpi che stanno ai margini. E dell’invenzione del paesaggio. Del posare uno sguardo che si fa carezza e comprensione, atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 15


attivare altri punti di vista, e su questi tentare innesti e guarigioni per ributtarli poi nel mondo questi occhi come nuovi, e le cose ricaricate di senso e mistero, magiche ancora. Violente nel manifestarsi. E del tornare a essere inclini e predisposti alla meraviglia. Disciplina della contemplazione. Talvolta passando anche per un processo di congelamento, abbattimento con il freddo, necessario per fare silenzio e pulizia, grado zero, un rigore di bianco e gelo. Durezza cristallina. Traboccante luminosità abbagliante. Candori di lino e bozzolo. Calore di sguardi, pensiero e mani per riportare in vita nuovamente. Ambra e cera. Il fresco e il profumo dei tessuti lavati. Sapone. Il bianco del latte. Stropicciature. Incendi e processi di combustione. Il fuoco a far crollare e brunire. Fuliggine e carbone. Particelle e mulinelli. Unghie e ossa. Foresta scura, antico insediamento scomparso. Imploso. Tenebra fertile. Profondità nera del velluto. Ombre e impronte. Un processo di attenzione che diventa terapia, processo di guarigione e progresso anche, possibilità di avanzare o continuare. Mancanza che muove. Fame. Non riesco a parlare di stile in generale. Posso parlare solo del mio, che è uno stile interamente dettato dalla vita che conduco. Ovvero da quello che faccio – e farlo mi costa fatica. È dettato dalla mia capacità – questo è il pericolo – dalla mia capacità di sopportare le privazioni. In altre parole, lo stile ha a che fare con i limiti e temo che a questo punto dobbiamo parlare di disciplina. Si è fatti, si è forgiati da ciò cui si resiste e dai fallimenti. Il mio stile, il modo in cui lavoro è il frutto di tutti i fallimenti, di tutte le tentazioni alle quali ho resistito, di tutto il divertimento che non ho avuto, di tutti i rimpianti. Lo stile è come una statua che si scolpisce – è fatto di tutto ciò cui hai rinunciato. Tutte le cose che desideri intensamente e alle quali dici: «No». Louise Bourgeois

Ma come innamorarsi poi e darsi al frammento senza perdere inesorabilmente una visione d’insieme e una sorta di giusta distanza, con il rischio di sprofondare nella decadenza e accumulo sordo ed esploso di parti, è una delle domande che si pone l’artista, la sua sfida e disciplina: accumulare e sedimentare, scavare e scartare, seppellire e coprire, inglobare e ingrossarsi; fare spazio e liberarsi, e liberarsi interno delle forme, affioranti infine dal blocco o da un processo di distruzione o corrosione più o meno lento o improvviso; lavorare sull’innesto, che signifi16

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ca spostamento e incontro che tengono insieme il mondo, fare esperimenti sempre; casualità e materia; rotture e curve, assemblaggi e tensioni, piegature che, una volta assecondate, svelano profili mai visti. Certo il potere degli oggetti e il rischio del collezionismo colonialista bulimico è sempre dietro l’angolo. Cambiare i nomi e le parole, non usarle per un po’, metterle in quarantena, spostarne sensi, mescolare e favorire l’incontro. Sovrapporre e affiancare. E rischiare comunque l’eccesso, o lo stridore, o il mancato innamoramento e sposalizio delle cose. Una crescita lussureggiante o l’ultima forma possibile, nocciolo quasi indistruttibile. E una pratica del capovolgimento che passa tra molte delle opere e dei pensieri qui presenti; lo slittamento, il contrasto e la similitudine che innescano. L’assemblaggio è diverso dall’intaglio. Non si tratta di attaccare le cose ma di venirci a patti. Nell’assemblaggio o nell’oggetto trovato, ti attrae un dettaglio o qualcosa colpisce la tua fantasia, e allora adatti, rinunci, elimini e metti insieme. É davvero un lavoro d’amore. Ma nell’assemblaggio c’è dell’altro ancora, c’è restauro e riparazione. Louise Bourgeois

La risposta a queste domande è così un tentativo di richiamare e connettere ambiti e ricerche differenti, come sempre con andamento plurale, e contraddittorio talvolta, perché, nel cercare affinità, similitudini e corrispondenze, si nutrono e alimentano anche quel contrasto e attrito che pure rappresentano uno degli snodi vitali del vedere e della comprensione, e una delle chiavi di accesso alla mostra e al suo percorso, funzionante per scatole cinesi e rimandi. Con fiumi carsici riaffioranti e improvvisi. Selvatico, si badi bene, è una risposta estetica e visiva, aperta, spesso doppia, sfaccettata e molteplice, caleidoscopica, che si affida al lavoro e agli sguardi di molti artisti, di varia provenienza geografica e anagrafica, con percorsi, vite e storie differenti, autori scelti e invitati a far parte del percorso espositivo perché in risonanza, vicinanza e sintonia con le domande rilanciate dalla mostra. E suggestioni che, in un vero e proprio cortocircuito, sono esse stesse emerse dalla ricerca e dalle esplorazioni di questi artisti, piena e fertile circolarità che rende complicato e non sempre possibile definire chi e cosa sia venuto prima, se l’interesse verso alcune opere che si sono incontrate, o se invece siano il tema o l’umore individuato ad aver orientato sguardi


e attenzioni, aprendo strade nell’indistinto. E gli artisti chiamati qui a raccolta, in forme e modi differenti, possono essere ricondotti a un ambito di convergenza comune, una struttura o architettura di risonanze, riverberi e affinità che mette al centro del lavoro e della sperimentazione una dimensione artigianale e, di conseguenza, un certo grado di imperfezione, imprecisione ed errore; artigianalità intesa qui come processo vitale insostituibile, desiderante, sensuale e drammatico, di scoperta e approccio al mondo, una crescita che passa attraverso una curiosità mai sommersa e perduta nei confronti dei materiali e della materia e dei suoi meccanismi e movimenti imprevisti: coaguli, spezzature, morsure, fioriture e corrosioni, crepe e rotture, patine e muschi, alternarsi di forme semplici e complesse, superfici piatte quasi azzerate, minime o barocche come marmi, la pelle come confine ed esperienza ricettiva del mondo. Nervature e venature. Materia che innesca e permette il succedere delle cose, l’affiorare ed emergere di storie imprigionate perdute, l’avvenimento imprevedibile, la svolta alchemica e lo scarto, l’incontro vitale e lo scivolamento. Qualcosa che qui si imparenta alla preghiera. Nella tecnica anche, e nella sua disciplina e dittatura insostituibili, con cui fare i conti sempre. Le cose viste come dietro a un velo bianco, semitrasparente. Scostarsi e ritornare. La trama della garza. Traiettorie segnate nell’aria a tenere assieme il mondo. Ricami e ragnatele. Oh ma la resistenza del materiale è parte del processo: se non ci fosse resistenza non potrei esprimermi. Posso esprimermi solo se mi trovo in condizioni di lotta disperata. Louise Bourgeois

Linguaggi e modalità operative diverse che proprio per questo atteggiamento di fiducia nei confronti della materia, un affidarsi che talvolta diventa quasi una sorta di animismo, o altrove invece di sfida ai suoi limiti, peculiarità e prerogative, prova del fuoco o dell’acqua, o del lavorio del tempo e sotterramenti, rappresenta anche una certa idea e pratica di lateralità o, se si vuole, anche un’alternativa necessaria rispetto a processi tecnologici; una via calda, intima e imperfetta che si muove in territori liminari e ai confini di grandi sistemici economici e importanti budget di produzione che sembrano essere diventati, ahimè, requisito irrinunciabile di molte forme dell’arte; una periferia dello sguardo e una pratica e disciplina del piccolo e marginale che necessita

di attenzione e tempi differenti, con andamenti e sviluppi quasi naturali, ora rapidi, ora lenti, archeologia quotidiana, crescite, la volontà testarda di occuparsi, con mezzi poveri ed economici, e abbastanza semplici e primitivi, di ciò che rimane indietro e ai lati della scena. Lo scarto. Slittamento e incontro. Sfumare e confondersi, e scivolare di una cosa nell’altra. I confini che spesso saltano sovrapponendosi, sbiadendo e smarginando, stingendosi nell’altro. Difficile distinguere dove finisca il manufatto e inizi la natura. E viceversa. Dove il corpo diventi paesaggio. Nature morte, ancora vita. Noi non assistiamo a quasi nulla, non vediamo quasi nulla, non siamo in grado di affermare quasi nulla con certezza, anche se lo facciamo di continuo. Ne consegue che non è difficile negare un fatto o l’esistenza di qualcosa quando si preferisce negarli, l’opacità del mondo e la sua pessima memoria (labile, dubbiosa, mutevole) ce ne porgono la possibilità su un piatto d’argento. Javier Marias

A differenza delle ultime due edizioni di Selvatico che si concentravano quasi esclusivamente sulla pittura, si apre e si guarda in questo nuovo episodio, a un ampio ventaglio di linguaggi e pratiche che presentano, all’esame e ricerca dell’individuazione di uno dei tanti fili che collegano e attraversano e congiungono tra loro le opere, l’intersezione e lo scambio continuo tra i piani, le cose e le materie, come una delle modalità ricorrenti, che non è mai un metodo, ma un processo instabile e precario che porta a una non sempre facile o possibile separazione e definizione, univoca e certa, come uno degli umori e meccanismi prevalenti. Cosa è disegno, cosa scultura e cosa pittura, oscillazioni di senso, sguardo e pensiero. Sono i nostri archi e le frecce che salgono verso gli elicotteri come un sogno o come i frammenti dispersi di un sogno la nostra arma? Roberto Bolano

Un’ambiguità ricercata, o mistero ancora, che è idea del mondo, dubbio fertile e felice, una sorta di ambivalenza che è del mescolarsi mimetico, natura e artificio, o della finzione che mette in discussione i modi di vedere e le abitudini consolidate, dove il disegno diventa scultura, la scultura e la sua pelle si capovolgono adattandosi ai ritmi della superficie pittorica, una sorta di rinuncia alla forma univoca. O del suo compiersi e accadere atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 17


sempre provvisorio, minato internamente. Capovolto. In quei periodi mi sforzavo di ritrovare il suo viso, e scoprivo con costernazione che più provavo a raffigurarmelo, più imprecisi mi apparivano i suoi tratti, più mi sfuggivano e avevo difficoltà a visualizzarli, e dovevo guardare le fotografie per vederli con nitidezza, con l’ingannevole nitidezza di ciò che è definito da una luce, da un’angolazione e da un istante. Appena chiudevo l’album tornavo a non immaginarlo più, e nulla esiste senza immaginazione. Perfino quando le cose succedono e fanno parte del presente, perfino allora è necessaria l’immaginazione, perché solo lei dà rilievo ai fatti e ci insegna a distinguere, mentre avvengono, le cose memorabili da quelle che non lo sono. Javier Marias

La fotografia incerta e il fantasma, la pittura come memoria, profezia e sguardo al futuro, panorama, campo di battaglia e corpo, testa; lo specchio, il riflesso e le metamorfosi, la scultura eroica resistente, e un tentativo geografico di orientamento che porta inevitabilmente allo smarrimento del labirinto. Ancora autoritratti. Certo era molto bella, a volte addirittura dolorosamente bella. Aveva una risata, non so se straordinaria per la sua età, che alla fin fine, quando ormai ti aveva mollato per sempre, era il ricordo più indelebile di lei; la sua firma, il suo marchio a fuoco, la sua arma. Rideva di gusto, aperta, felice, e nella combinazione del suono e dei gesti uno intuiva sogni inquietanti, paranoie, voglia di vivere al massimo anche a rischio di ritrovarsi poi graffiata e piena di lividi. (…) Ma ci sono cose che ricordo ancora in modo vivido, sguardi, dischi (voglio dire l’immagine nera splendente degli oggetti dischi, non la musica) e al di sopra di tutte Lola Torrente, due anni più grande di Angelica, infinitamente più bruna, con un’ossatura più robusta e per nulla magra, il cui sorriso per me è ancora il sorriso terminale di quell’altro Messico che a volte appariva fra le pieghe di qualsiasi alba, per metà voglia rabbiosa di vivere, per metà pietra sacrificale. Roberto Bolano

Non tanto o non solo una poetica del frammento, piuttosto un’impossibilità, voluta o meno, a ricondurre il mondo a un’unità incrollabile e fiduciosa di punto di vista e fuga unico; e mondo che si parcellizza ed esplode, e si nasconde, e si rifugia bellissimo, irradiante e resistente nel dettaglio, nella cosa di poco 18

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valore, nel processo imperfetto, nell’errore vitale, nell’inciampo, nelle pieghe e negli interstizi, nelle zone d’ombra, nei resti e nelle rovine, nel microscopico e nel gesto artigianale che significa attenzione, conoscenza e saggezza, caccia, sedimentazione, sapere e attesa, nelle tracce e impronte, nelle memorie vegetali, nelle patine e ruggini, nell’immaginazione che scaturisce dall’incontro. L’attrito e la scintilla innescate dall’affiancarsi e scontrarsi tra i materiali e le storie. Fiamma. Liquido che riempie. Leggeri manti di colore. Del languido e dell’impalpabile. Il soffice e il vellutato, il tagliente e l’acuto. E su tutto il disegno a costituire colonna vertebrale, memoria e appunto, visione e immaginazione, passaggio e pratica per altri mondi possibili, siano questi progetti senza senso e irrealizzabili, o il disegno dal vero e la copia come ascolto e crescita, una modestia talvolta necessaria, un fantasticare tenendo i piedi per terra, ancora traduzione del pensiero e suo tradimento che fa succedere e apre possibilità nuove. Fraintendimenti di tecnica. I margini delle cose, i contorni tremanti e i bordi del campo, le sue righe, gli intrecci, le trame e gli orditi; forme ambigue aperte, smagliature, segni e tecniche ibride che ci tirano in ballo chiedendo a noi di completare l’operazione, la forma incerta e il pensiero, bastardo, progetto latente e in potenza: immaginare, chiudere e proseguire o abbandonare la forma, fidarsi, perdersi ed esplorare le superfici, seguire le tracce e le impronte, gli indizi, le muffe e le fioriture. Gemme. Macchie e aloni. Olio. Materia grassa. Pantani. Intonaci. Calce. Gesso. Sovrapitture, cancellature e distacchi. Sindoni, veroniche e sinopie. Il tempo e le sue cicatrici e ferite, azione levigante, intenti mimetici e l’inganno poi a stanarci e portarci allo scoperto. Sguardi i nostri a cui si chiede uno sforzo di comprensione che ricalibri la fiducia e la cascata dei sensi. Frammenti assemblati secondo nuove regole e ordini, sconosciuti e barbari, metalli, linguaggi da esplorare e al tempo stesso da inventare come fosse la prima volta, segni e lettere di alfabeti ancora misteriosi, idee del mondo e memorie. Legno e cortecce. Sottosquadri. Rocce, pietre e miniature. Cerchi concentrici. Sciami. Il frottage, le texture, la ripetizione mantra. Moduli. La geometria impazzita che scarta e devia. Combinare e combaciare. Cellule. La pelle della scultura. Il bianco e il nero, e il grigio come materia sensibile. L’ombra e la pittura. Pittura mare, pittura carne. Un invito al viaggio: perduti nel dettaglio che diventa immenso;


deserti da attraversare. Quasi paesaggi, il corpo panorama sorvolato e ravvicinato, pori, peli, squame, il corpo come paesaggio, campo di battaglia, il paesaggio come corpo; i nostri volti sconosciuti, il buco dentro agli occhi, imprendibili segni da decifrare e una serie di gesti quasi alle origini, ancora quelli. Maschere. Sono una persona incline alla dipendenza e l’unico modo per interrompere la dipendenza è dipendere da qualcosa di meno dannoso. Questo sostituto è la sostanza del mio lavoro. Le sculture rivelano un’intera vita fondata sull’erotismo; la sessualità, o la sua assenza, è tutto. Tutto sta nel desiderio di riuscire e nel sapere come. Bisogna distinguere tra il sesso, che è una funzione, e l’erotismo, che comprende molto altro. Innanzitutto, l’erotismo può essere reale o immaginario, corrisposto o meno. C’è il desiderio, la seduzione, la paura di fallire, la vulnerabilità, la gelosia e la violenza. Tutti questi elementi mi interessano. Louise Bourgeois

O forse l’ultimo gesto o pennellata possibile, isolata, salvata e risonante. Trascinamento di pennello, respiro e battito, traccia lenta che si carica di tensioni e del tempo. La curva bella: ramo, osso, fiore, piuma e foglia. Ali. Temporali. Un battito di ciglia. Capelli e lane. Pettini. Gioielli, corazza di insetto e armature. Lenzuola croccanti. Tovaglie. Abiti. Vasi e anfore. Spezie e battaglie. Miele. Ambrosia. Il vino e il caffè. Conchiglie e coralli. Le distese compatte dei prati. Il verde e il nero. Un processo di restituzione. Colori pochi come asciugati e stinti. Fuochi fatui, fuochi nella notte, vapori e nebbie. Il caldo. Colori di grotta e caverna. Semmai violenti ad accendere e infuocare come bagliore. Sangue. Rosso. Ocra. Fango e terra. Pratiche di attraversamento. Col corpo capisco. Il blu. Disegno e scultura. Galassie e orizzonti degli eventi. Ancora arte primitiva. Grotta dei sogni dimenticati. Ombre del pensiero. Eclissi. Tesori sommersi. Tutte le cose collegate.

NOTE Louise Bourgeois Distruzione del padre. Ricostruzione del padre. Scritti e interviste Quodlibet 2009 [pagine 105 – 155 – 160 – 172 - 190 – 214 – 239 – 247 – 248 - 299] W. G. Sebald Gli anelli di Saturno Adelphi 2010 [pagine 256 – 284] Jack London Martin Eden Feltrinelli 2016 [pagine 84 – 134 – 403] Ernesto de Martino Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo Bollati Boringhieri 1973 [pagina 123] Valerio Magrelli Poesie (1980-1992) e altre poesie Einaudi 1996 [pagina 112] Roberto Bolano Lo spirito della fantascienza Adelphi 2018 [pagine 70 – 79 – 87] Javier Marias Berta Isla Einaudi 2018 [pagine 332 – 355] Anna Maria Ortese L’Iguana Adelphi 2016 [pagina 38]

Se mi si chiede cosa voglio esprimere, questo ha già più senso. A quel punto c’è un mistero di cui possiamo almeno parlare, visto che è tutta la vita che cerco di dire la stessa cosa. La coerenza interna è il banco di prova dell’artista. Il reiterato fallimento nell’esprimerla è ciò che lo mantiene reattivo. Louise Bourgeois C’era nel suo carattere una certa compulsione razionale che lo spingeva a completare tutto quello che aveva iniziato e lì c’era, invece, qualcosa di incompiuto. Jack London

atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 19




Selvatico. Parole e immagini Alessandra Bigi Iotti

La parola selvatico deriva dal latino silvaticus, in latino volgare salvaticus, e proviene dal sostantivo silva, ossia selva, foresta, bosco. In epoca romana si distinguono due tipi di paesaggio: la natura selvaggia è la silva lupus di Orazio1, abitata da fiere. É la natura sconosciuta, pericolosa, mitica. Vi è poi la natura dominata, felice, pacificata, controllata dall’uomo ed esemplata nel mito dell’età dell’oro di Virgilio (figg. 1-2)2. L’arte non rappresenta il paesaggio, che fa da sfondo, se mai, nei rilievi (fig. 3) e nei pavimenti a mosaico (fig. 4 ). Le grottesche fondono piante, uomini e animali insieme, ma sono invenzioni (fig. 5). “Le immagini – ha scritto A.C. Quintavalle – cambiano con le parole e cambiano di significato”. In epoca romana la natura è artificio, invenzione (fig. 6). La tradizione letteraria da Teocrito a Lucrezio a Virgilio fino a Poliziano, Ariosto e Tasso ha inventato un’idea di paesaggio che dura da 2000 anni. Dal paesaggio di Virgilio (70 a.C.-19 a.C.: Bucoliche 42-39 a.C.) nasce anche l’idea di contorno, bordo, limite, cornice. Il selvatico è fuori dal linguaggio romano. Orazio nel celebre passo delle “Epistole”: “Naturam expelles furca, tamen usque recurret”3 tratteggia metaforicamente l’indole naturale umana individuandola nel limite, in realtà sempre conteso, tra civiltà e selvatico. Il mondo romano è ordine, strade, mura. Gli spazi selvaggi sono destinati alla caccia. I luoghi rappresentati sono sempre città e fortificazioni; è ciò che le distingue e separa dal resto, dalla non città: civitas è il perimetro delle mura, e lo sarà anche 22

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Fig. 1 Virgilio Romano, Georgiche, Età dell’oro, V sec.


Fig. 4 Santuario di Palestrina, Mosaico con il Nilo, II-I sec. a.C

Fig. 2 Virgilio Romano, Bucoliche, foglio 1, V sec.

Fig. 3 Roma, Colonna Traiana, II sec. (dettaglio)

Fig. 5 Marco Marchetti, Grottesca, Firenze Palazzo Vecchio, XVI sec. atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 23


nella cultura cristiana. Paganus (ossia non cristiano) deriva, non a caso, da pagus, ossia villaggio. Il Cristianesimo comincia con le città e non si rappresenta la campagna. Scrive Geremia: “E però il leone del bosco li percuote, il lupo che cerca la preda sulla sera li devasta, il leopardo stà cogli occhi aperti sulla loro città, sicchè chiunque esce da quella è sbranato”4.

Il tralcio o i pavimenti musivi rappresentano l’universo del naturale. “Tralcio” dunque è bosco, foresta, errore, etimologicamente errare, viaggiare. Dunque foresta e viaggio. Sono i tralci abitati con dentro gli animali dell’età imperiale (fig. 7) e che ritroviamo, non certo a caso, nel periodo romanico5 (Fig. 8, portale del Duomo di Modena, XI-XII sec.). Un’idea di paesaggio che affonda le sue radici non nelle vedute di certa pittura pompeiana, ma in un’immagine del paesaggio che elimina la descrizione dello spazio in quanto fisicità, materialità. Il paesaggio è un sistema di simboli fino alla Divina Commedia e oltre6. Con San Francesco e gli affreschi di Giotto a Assisi (Fig. 9, 1240) siamo in un mondo differente. La lode del Signore passa attraverso la bellezza del mondo (in opposizione all’idea platonica di mondo come brutta copia del mondo delle idee). Madre terra è un modo di pensare il naturale. Con Aristotele l’Occidente recupera il senso del mondo naturale. Il viaggio di Marco Polo ne “Il Milione” (figg 10-11), della fine del XIII secolo, primo preziosissimo documento storico culturale sull’Asia e insieme racconto d’avventure, a cavallo tra verità e fantasia, è un rendiconto dettagliato di città in città, da Costantinopoli alla Cina fino alla leggendaria isola di Zipangu (Giappone) e all’India. Un’opera simbolo delle meraviglie e ricchezze

Fig. 6 Roma, affreschi, villa di Livia, 40-20 a.C.

Fig. 7 Roma, Ara Pacis Augustae, I sec. a.C. 24

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Fig. 8 Duomo di Modena, facciata, XI-XII sec.(dettaglio)


Fig. 10 Le livre des merveilles, fine XIII sec.

Fig. 9 Giotto, San Francesco predica agli uccelli, Assisi basilica di San Francesco, 1292-1296

Fig. 11 Le livre des merveilles, Marco Polo in India, fine XIII sec.

dei paesi lontani, ma anche dell’“altro”, del “diverso”, e dunque sconosciuto, oscuro e pericoloso. Qui il termine salvatico ricorre più volte, sia riferito a “salvatico luogo”: “tutti loro boschi sono di legni olorosi” (in relazione all’isola di Binton, vicino a Singapore), sia riguardo a persone che abitano nella parte sud-occidentale di Sumatra, descritte come “gente molto salvatica”, “e sono idoli” (poco dopo l’autore spiega che la popolazione in caso di malattia si rivolge a un indovino. Se il malato è giudicato inguaribile viene soffocato, cotto e infine mangiato dai parenti!). “I nostri gusti nel campo delle arti visive – ha scritto Baxandall

in una famosa prefazione7 – sono strettamente legati ai concetti (e anche, è ovvio, alle parole) con cui noi riflettiamo sulle opere”, e per “gusto artistico latino-umanistico” possiamo intendere “le differenti forme secondo le quali la riconquista del linguaggio latino del periodo classico operata dai primi umanisti italiani andò a influenzare il modo con cui essi parlavano e pensavano riguardo all’arte (e fino a che punto ciò avvenne)”. La Divina Commedia è il testo che maggiormente ha influenzato l’origine della letteratura e della lingua italiana, così come il linguaggio figurativo. La nostra immagine di selva – selvatico, atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 25


nell’“Innamorato” e nel “Furioso” (figg. 13-14). La “selva de Ardena” nell’Orlando Innamorato di Boiardo è una foresta incantata nella quale si verificano prodigi e attraverso la quale passano i protagonisti del romanzo: “Dentro alla selva il barone amoroso/Guardando intorno se mette a cercare:/Vede un boschetto d’arboselli ombroso,/Che in cerchio ha un fiumicel con onde chiare./Preso alla vista del loco zoioso,/ in quel subitamente ebbe ad intrare,/dove nel mezo vide una fontana,/Non fabricata mai per arte umana […]/Merlin fu quel che l’ebbe edificata”10.

Fig. 12 William Blake, Inferno, XIII, 1790

selvaggio - è la selva oscura e fonda da cui inizia il viaggio di Dante (fig. 12). La selva è selvaggia e aspra e forte, così da rendere difficoltoso il cammino e amara, perché Dante rischia di perirvi8. La selva oscura occupa una posizione preminente nel complesso della concezione figurale della Commedia: è il luogo in cui l’autore si smarrisce nel punto sommo dell’arco vitale, e al contempo il punto in cui decide di intraprendere il viaggio. La selva non è descritta realisticamente, ma per via di suggestioni “felicemente orchestrate da amplificazioni e risonanze (il sonno, la notte, l’oscurità, la paura, le tre fiere) e assume pertanto la dimensione nettamente psicologica di proiezione dello stato d’animo di Dante personaggio”9. L’immagine della selva è simbolo per eccellenza, chiave per l’interpretazione complessiva dell’intero poema. La selva rappresenta infatti la vita viziosa, la vita umana dominata dagl’istinti e dall’oscurità dell’ignoranza e non illuminata dalla grazia e dalla ragione. Anche per Boccaccio, sulla scorta dei testi biblici e patristici, la selva è la vita presente, piena di pene, d’angosce e di peccati. Se il precedente immediato e dichiarato della selva dantesca è l’“Eneide” virgiliana, la selva è però topos narrativo anche nella letteratura medievale latina e romanza, e nei poemi cavallereschi occitanici, dove tuttavia ha i caratteri di luogo pericoloso, e deputato del prodigio, che ancora conserverà in Brunetto Latini, 26

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Fig. 13 Gustav Dorè, Orlando Furioso, 1877


Fig. 14 Gustav Dorè, Orlando furioso, 1877

Fig. 15 Thomas Moran (1837-1926), Under the Trees

1. Namque me silva lupus in sabina. Dum meam canto Lalagen, et ultra terminum curis vagor expeditus, fugit inermem, Orazio, Ode XXII, 9-14 (Così mentr’io Lalage mia per cupo Bosco sabin cantando erro, e ne varco Spensierato il confine, e d’arme scarco, Fuggemi un lupo). 2. Ante Iovem nulli subigebant arva coloni: ne signare quidem aut partiri limite campum fas erat; in medium quaerebant, ipsaque tellus omnia liberius nullo poscente ferebat, Virgilio, Georgiche I, 125-128 (Mai prima di Giove i coloni aravano i campi/ ne era un diritto segnarne i confini o dividerli/ di tutti erano i frutti e anche la terra/dava molto di più eppure nessuno chiedeva). 3. Orazio, Epist. I, 10,24. 4. “Id circo percussit eos leo de silva, lupus ad vesperam vastavit eos, pardus vigilans super civitates eorum: omnis qui egressus fuerit ex eis, capietur”, Sacra Scrittura, t. I, Geremia (trad. I. Louis Le Maistre de Sacy, 1780). 5. Il presente testo prende avvio e spunto da un memorabile corso universitario tenuto dal Prof. Arturo Carlo Quintavalle presso l’Università di Parma nel 1994 dal titolo: “Pittura, disegno, fotografia: dal realismo alle avanguardie”. Il tema del tralcio è stato ampiamente affrontato da A. Riegl, Stilfragen, Berlin 1893; trad. it. Milano 1963, con pref. di A.C. Quintavalle) 6. A.C. Quintavalle, Muri di carta. Fotografia e paesaggi dopo le avanguardie, Milano 1993, p. 9. atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 27


Fig. 16 Thomas Moran (1837-1926), Slaves escaping through the swamp large

7. M. Baxandall, Giotto e gli umanisti, Milano 2018; ed.or., Giotto and the Orators, Oxford 1971, p. 15. 8. Il commento alla Commedia è tratto da M. Sabbatini, Selva, ad vocem, in Enciclopedia dantesca, vol. 14, p. 395, Milano 2005. 9. E. Ragni, Selva‌ cit., p. 397, si vedano inoltre le pp. 398-402. 10. M.M. Boiardo, Orlando Innamorato, ed. Torino 1995, III, 32,33, p. 62. 28

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Lamento di Atlante Sabrina Foschini

Il mondo pesa. Questa cosa che sono costretto a portare. Pesano gli uomini che battono forte i piedi sulla terra e i mari gonfiati dalle scorie, crepano le montagne le loro briciole mi cadono dalla presa, si perdono sopra una strada che potremmo chiamare cielo. Il mondo pesa mi schianta le spalle e grava sui miei pensieri vela d’ombra la mia fronte, ostacola il passo, ai raggi del sole, getta il malocchio su tutti i colori. Come un’orrenda chiocciola, della lumaca che sono diventato trascino sulla schiena piegata, una casa che non voglio abitare. Il mondo è pieno, trabocca nei margini il mondo sacco di merda che tengo e che vorrei scagliare con forza, contro il muro orizzontale del firmamento vederlo schiantarsi in minuscoli frammenti, moscerini molesti da scacciare con le mani. E intanto lui parla, parla, con mille voci che fluiscono in un solo sgraziato suono un gracchio scomposto che carica altro peso, sul monte della mia fatica. Se solo potessi scuoterlo forte, fino a rompergli il meccanismo se solo potessi dimenticarlo e fare di lui una gobba orrenda a vedersi ma attaccata al tronco invece continuo a servirgli da piedistallo, così come capita alle cose preziose. Ma non c’è oro, non c’è gloria dentro questo otre vuoto globo d’occhio che non vede niente pentola piena di terra guasta nido di creature, tutte maldicenti al di fuori delle anime luminose degli animali nel loro lievissimo, profumato, passo nella loro pelle sensibile al vento in una schiavitù così vicina alla mia. Questo mondo pesa e le mie ginocchia masticano altra terra. Qualcuno mi aiuti, per carità… Qualcuno mi aiuti.

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Atlante della Luna Massimo Pulini

Diversi anni fa i miei studi storici si concentrarono per qualche mese su Claude Mellan (Abbeville 23 maggio 1598 – Parigi 9 marzo 1688), che fu un raffinato pittore, allievo del grande Simon Vouet, e che raggiunse livelli insuperabili nel campo dell’incisione, di quella forma di disegno destinato alla stampa. Le mie indagini nascevano dall’intento di avvicinarmi (quanto meno) alla comprensione del processo esecutivo che portò questo singolare artista a realizzare, nel 1649, una calcografia che definirei sovrumana, di una difficoltà quasi inconcepibile (Foto 1 e 2). L’opera raffigura una Veronica, vale a dire la miracolosa impressione del volto di Cristo che durante la salita al Calvario una

1) Claude Mellan, Veronica (Volto Santo), incisione, 1649 30

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2) Claude Mellan, Veronica (Volto Santo), incisione, 1649 (particolare)


pia donna raccolse detergendo dal sangue e dal sudore il capo di Gesù, questo almeno nella versione che ne danno i Vangeli apocrifi, i cosiddetti Atti di Pilato. Il drappo divenne, nella mitologia cristiana, la prima sacra effige della passione. Sulla meditazione di quella mancata, ma ideale reliquia, Claude Mellan inventò una incisione eseguita con una tecnica funambolica, attraverso una sola e ininterrotta linea a spirale che, allargandosi e assottigliandosi, andava a descrivere il chiaroscuro di tutto il Volto Santo e del panno che lo circondava. Non intendo ripercorrere in questa sede la complessa strategia tecnica che, secondo la mia ricostruzione dei fatti, permise all’artista di ottenere quel mirabile risultato, frutto di intuizioni fisiche e chimiche, che si accompagnarono a perizie incomparabili della gestualità grafica e a speculazioni concettuali di grande finezza. Questa premessa mi serve a introdurre il racconto, altrettanto estremo, di un’altra impresa iconica che Mellan affrontò, e che egregiamente raggiunse, circa quindici anni prima. Nel 1635 Claude era già il calcografo preferito da Re Luigi

3) Claude Mellan, Autoritratto, incisione.

XIV, dopo aver passato anni in Italia che avevano decisamente segnato la sua formazione. Roma e la conoscenza dei più colti calcografi d’Europa che lavoravano nell’Urbe, furono per Mellan come una sorta di università del bulino e dell’acquaforte. Lì, tra gli incisori che aveva frequentato, c’erano i Greuter, Mattia e Federico, tedeschi naturalizzati in Italia, che erano considerati i massimi cartografi del tempo. Ma in quell’autunno del 1635, entro il quale si svolge questo racconto, Claude si trovava in Provenza. Pure quel soggiorno era in qualche misura all’insegna della cartografia, anche se si trattava di una cartografia esplorativa, senza precedenti. Claude Mellan (Foto 3) era stato chiamato da Pierre Gassendi (Champtercier 1592 – Parigi 1655) (Foto 4) e da Nicolas Fabri Peiresc (Belgentier 1580 – Aix-en-Provence 1637) (Foto 5) due eminenti scienziati, il primo, oltre ad essere un filosofo e matematico, era anche un canonico mentre il secondo era un ricco, astronomo e botanico, formatosi presso i gesuiti. I due studiosi avevano cercato la collaborazione di un artista come Mellan per ottenere una fedele traduzione in immagine

4) Claude Mellan, Ritratto di Pierre Gassendi, 5) Claude Mellan, Ritratto di Nicolas Fabri de incisione. Peiresc, incisione atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 31


delle osservazioni telescopiche che stavano conducendo in quel periodo. Dovevano perfezionare anche i loro studi sulla misurazione delle Longitudini ed erano stati protagonisti di un esperimento che costituisce il primo lavoro scientifico, condiviso in sincrono, da una rete internazionale di collaboratori. L’eclisse lunare del 27 agosto 1635 era stata l’occasione per Gassendi e Peiresc per coordinare la simultanea osservazione di quell’evento astrale, dal Cairo ad Aleppo, da Cartagine a Malta, ma anche con varie postazioni italiane, tra le quali quella effettuata in Romagna, a Cesena dal matematico Scipione Chiaramonti (antenato di papa Pio VII). Quell’esperimento permise di scoprire che il mediterraneo si estendeva per circa 20 gradi in meno rispetto a quel che era stato stabilito da Tolomeo, le cui carte geografiche erano ancora in uso a quel tempo. Per una ulteriore precisione il progetto di Gassendi e Peiresc richiedeva una dettagliata mappa lunare e questa era stata la ragione che li portò a ingaggiare il miglior incisore del regno. Dal 24 settembre e fino al 13 novembre di quell’anno Gassendi, Peiresc e Mellan alloggiarono in cima al monte Sainte Victoire passando tutte le notti, nelle quali il cielo si mostrava sereno, a osservare la Luna. I tre intelletti di certo specularono in quel mese e mezzo su questioni astronomiche e sul superamento dei concetti tolemaici che postulavano tra l’altro una perfezione assoluta dei corpi celesti. Il telescopio messo a disposizione dallo stesso Galileo, che era sostenitore e amico dei due astronomi, aveva già sconfessato quelle credenze, attraverso la pubblicazione, stampata a Venezia nel 1610, del Sidereus Nuncius. Un anno prima di quella messa a stampa, tra il mese di novembre e quello di dicembre del 1609, Galileo Galilei aveva disegnato, su di una piccola carta di pochi centimetri, ora conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Ms. Gal. 48c 28r) (Foto 6), quel che dobbiamo considerare il primo ritratto realistico della Luna. Nelle sei immagini dell’astro vengono evidenziati crateri e monti, irregolarità che rendono l’orografia della Luna più simile a quella della Terra che alla presunta sfera tornita. Tuttavia il Sidereus Nuncius di Galileo, stampato in 550 copie, esemplificava le magnifiche scoperte attraverso una modestissima incisione (Foto 7) che non restituisce per nulla le informa32

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6) Galileo Galilei, Fasi lunari, inchiostro bruno su carta, 1609, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale

7) Galileo Galilei, Ultimo quarto di Luna, illustrazione del Sidereus Nuncius, 1610.


8) Claude Mellan, Primo quarto di Luna, incisione, 1636

9) Claude Mellan, Luna piena, incisione, 1636

zioni e il fascino dei disegni fiorentini. Si dovette attendere proprio il 1636 e quel campo di lavoro sui monti della Provenza per ottenere il primo vero Atlante della Luna (Foto 8, 9, 10). Le tre incisioni che Claude Mellan ricavò da quel soggiorno di osservazione e studio raffigurano tre differenti fasi lunari, primo quarto, luna piena e ultimo quarto, iscrivendo l’astro in un diametro di 21 centimetri. Sono calcografie che non assomigliano a nessuna incisione precedente, così come sarà per il Volto Santo eseguito con quel segno a spirale. In questo caso la fitta struttura di linee (Foto 11) che vanno a descrivere il corpo celeste è costituita da lunghi tratti paralleli che, anche in questo caso, si allargano e si assottigliano al fine di restituire il chiaroscuro necessario a ritrarre la Luna, con una fedeltà assolutamente inedita. Sono immagini di una modernità impressionante che sembrano eseguite da una stampante meccanica, quasi la mano dell’artista si muovesse come un plotter ante litteram. L’atteggiamento col quale Mellan si pose di fronte alla due

10) Claude Mellan, Ultimo quarto di Luna, incisione, 1636

scommesse rappresentative sembra essere più mentale che manuale, quasi rispondesse all’immane difficoltà dell’impresa con un metodo filo scientifico, distaccato e oggettivo, che scartò la cultura del gesto virtuoso scegliendo la strada di una visione binaria, minuziosamente miscelata e graduata tra il bianco e il nero, vale a dire attenendosi all’essenza del disegno incisorio. Questa ingegnosa via di costruzione dell’immagine, pur essendo inesplorata, è affrontata da Claude Mellan con una perizia navigatissima, segno di un assoluto dominio degli strumenti e delle materie. Mellan era figlio di un calderaio, specializzato nella fabbricazione di perfette lastre di rame, dunque materie e strumenti dovettero essere suo pane quotidiano sin dall’infanzia, ma l’educazione all’uso del bulino portò Claude a connaturarsi con questo duttile metallo, raggiungendo perizie da orafo. Si pensi che alcuni passaggi della tecnica incisoria a bulino prevedono che la mano impugnante lo strumento a taglio debba restare immobile, mentre è la lastra di rame a venir mossa dall’altra mano. Già questo ribaltamento delle azioni artistiche, che vanno a immaginare il supporto in movimento e la mano ferma, atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 33


11) Claude Mellan, Luna piena, (particolare) incisione, 1636

ci fanno comprendere che l’arte incisoria fosse, in quell’epoca, una disciplina dominata dal distacco emotivo, che si accompagnava a necessità strategiche per superare i più ardui ostacoli della rappresentazione. Le tre immagini della Luna, oltre ad assolvere l’intento di es-

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sere visioni oggettive, si dimostrano anche in una raffinata forma poetica, al punto da divenire immagini fuori da ogni tempo, da qualsiasi contingenza. La loro bellezza, ottenuta apparentemente per una via asettica, io credo nasconda un processo segreto che ne ha permesso il risultato. Sono convinto che Claude Mellan abbia dapprima dipinto, con un leggero strato di colore a olio, unito a una cera resistente all’acido, l’immagine della Luna nella lastra di rame che sarebbe divenuta matrice dell’incisione. Un impalpabile strato di pittura dovette costruire così l’impianto chiaroscurale che poi l’artista avrebbe seguito con uno stilo, riga per riga, grazie a un graduato sistema di squadre. Questa prima traccia graffiata superficialmente, venne di certo immersa nella soluzione acida (la cosiddetta acquaforte), per ottenere un primo solco uniforme, ultimato poi dal bulino, allargando più o meno il segno in corrispondenza dei punti grigi o scuri che incontrava nella pittura sottostante. Una pittura che, ovviamente, sarebbe stata annullata dall’azione grafica. Solo una doppia maestria, quella di pittore e quella di incisore, unita a una doppia tecnica calcografica, quella dell’acquaforte e quella del bulino, potevano permettere un tale raggiungimento, ma a quei talenti artistici Claude Mellan aggiunse uno sguardo nuovo, di natura scientifica, che l’arte non aveva fino ad allora frequentato. Una scienza e un’arte, entrambe legate all’ottica, a questioni connesse alla visione, si dettero appuntamento su di un monte della Provenza, al massimo livello delle rispettive qualità, raggiungendo una cuspide di pensiero condiviso che difficilmente trova, a tutt’oggi, altri corrispettivi storici.


Segno, margine, altrove Riportiamo qui un appunto scritto a mano trovato a margine di alcune pagine di un enorme atlante geografico Riccardo Ciavolella

Io sono un segno. Anzi, un insieme di segni. Una scritta. Un appunto. Un appunto inscritto su un margine, il margine di una pagina. Una pagina di un grosso atlante, che si gonfia ed espande senza sosta. Un atlante che bulimico vuole comprendere tutto, censire ogni luogo, raccogliere mappe di ogni tempo, rintracciare ogni percorso. Sono un segno sul margine sfuggente di un occhio intrusivo di un geografo globale. All’inizio, più l’atlante si arricchisce e il suo mondo si allarga e più ti sembra di poter immaginare territori lontani, sempre più lontani. Ma poi, quando tutto sembra saturato da uno sguardo al contempo microscopico e satellitare, ecco che sembra restringersi il nostro dei mondi: ora è costretto ad un margine, appunto. Tenta di sfuggire, pur sapendo che un giorno sarà ripreso per far parte dell’atlante di tut-

to: sarà appeso come premio di conquista a quel volumone che tutto compendia. È diventata un’enciclopedia geografica mastodontica. Ma come ogni enciclopedia, è un ciclope con un occhio solo. Alla vista magari ancora qualcosa gli sfugge. Possibile che il margine esista solo se è visto dal centro? Che sussista soltanto come parte di qualcos’altro - come questo margine che mi ospita fa parte della pagina qui a fianco? Possibile che il margine esista solo come frammento, brandello spuntato di altro? Solo quello, l’intero, avrebbe senso? Il margine di questa pagina è uno spazio. Bene. Facciamo finta allora che il margine sia un luogo. Ma quale tipo di luogo sarebbe? Sarebbe un altrove - una parola che indica tanti posti, eppure esiste solo al singolare. Ma l’altrove è un luogo? E come si fa a rappresentarlo: come si fa ad avere presente - qui e ora quel margine che è l’altrove? A pensarci bene in fin dei conti un luogo in sé non esiste. Esistono solo nomi di luoghi, attribuiti per convenzione a dei posti. Se il luogo è una convenzione, ogni luogo è un luogo comune. Potremmo per questo dire che questo luogo, un luogo qualsiasi, è solo questione di linguaggio? Se fosse vero, la geografia, come il nome stesso suggerisce, sarebbe solo una questione di atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 35


rappresentazione. E la geo-grafia sarebbe solo un tentativo di fissare col segno uno spazio fisico, materico, preesistente. No, l’esperienza ci dice altro: il luogo esiste davvero non per convenzione linguistica, ma perché ne facciamo esperienza, all’incrocio indistinto del luogo fisico e del luogo pensato, ossia come luogo vissuto. Il problema allora, magari, è che non possiamo avere esperienza diretta e condivisa di tutti i luoghi. Nessuno può fare un compendio dei luoghi del mondo, perché nessuno può dire “ci sono stato” o “ci andrò”, ma solo può dire “ci sono”, qui e ora. Come esiste solo il presente, esisterebbe anche un luogo soltanto. Eppure, proprio per esperienza, tutti noi sappiamo che il luogo intimo in cui siamo, qui e ora, è tutt’altro che l’unico posto reale al mondo: sappiamo che altre persone, anche loro come noi, sono a noi contemporanee e reali, ma altrove. Ma “altrove” può essere un nome di luogo? Come facciamo a pensarci in quel luogo più grande che è il mondo, che è il luogo dell’uomo in generale, quando noi siamo solo esseri umani particolari in luoghi particolari? Per fortuna, per pensare l’altrove, la storia ci ha concesso alcuni strumenti: il movimento, la memoria, la testimonianza altrui, la comunicazione a distanza e l’immaginazione. Ecco, l’immaginazione, poi, in fin dei conti sottende e comprende tutti gli altri strumenti per pensare l’altrove. Oggi che ogni luogo, si dice, sembra connesso e interdipendente, devo fare lo sforzo di immaginare altri da me nello stesso tempo in altro luogo, o altri da me in altri tempi, qui come altrove. Per fare un compendio realistico di tutti i luoghi presenti al mondo, si diceva, una persona non può farlo, perché non può avere esperienza di tutto. Eppure, si può fare un’esperienza universale, che vale per tutte: l’esperienza dell’altrove. Ma ancora, come nominare un luogo se esso è, appunto, da un’altra parte? Di atlanti, mappamondi, compendi geografici, guide turistiche, carte topografiche, commenti su TripAdvisor, foto da droni, digital maps ne abbiamo ormai fatte tante: recensendo, situando, posizionando, identificando e descrivendo ogni luogo. Con lo sguardo, con la memoria, con la misura, con il compasso, con le stelle, con i satelliti, con gli obiettivi. Sembra che solo uno spazio ecceda ancora oltre: quel che resta dell’immaginario. Ed anche esso sembra destinato a soccombere: anche lui ormai è colonizzato. Finisce la terra del poeta, rimane solo quella del 36

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reporter. Ormai andiamo dappertutto o quasi: o meglio, dappertutto possiamo passare. Come una matita che disegna un percorso su una mappa. E su di essa mettiamo la bandierina, dove possiamo dire di “esserci stati”. Il rapporto con il mondo è un rapporto bulimico di conquista: si va per dire di averci messo piede. Ma è possibile viaggiare pur “odiando i viaggi e gli esploratori” (Lévi-Strauss)? Forse sì, se esistono margini, altrove plurali, che sono luoghi di tipo molto particolare. In ogni comunità culturale, di ogni luogo del mondo, in ogni lingua della terra, c’è un’espressione per indicare un posto molto lontano. È così lontano che chi parla non sa nemmeno se quel posto esista davvero o meno. Poco importa se alcuni sono davvero luoghi reali e altri sono soltanto immaginari. A dire il vero, sono d’entrambi i tipi sia gli uni che gli altri: può trattarsi di nomi di luoghi inesistenti o di luoghi esistenti, dicevamo, ma quel che importa è che in ogni caso rimandano, nello spirito e nell’intenzione di chi li nomina, a posti che assurgono ad emblemi della distanza, fisica o culturale. I posti di cui parliamo sono posti dove si può andare, eppure mai ci si arriva: quando decidi di andarci quel posto sarà già diverso; e quando arriverai in quell’altrove remoto, ci sarà già, e sempre, un altrove remoto ulteriore. Andiamo per luoghi relativi. E per descriverli tutti ci vorrebbe un atlante al contrario. Certo, tanti ne sono già stati fatti: quello delle utopie, quello dei posti fantastici letterari, quello delle isole e delle civiltà scomparse, quello dei paesi mai riconosciuti. Ma l’atlante di cui avremmo bisogno è su un pianeta, o almeno su un piano, differente. Non è completamente né nel mondo reale, perché sta nella testa della gente, né completamente nel mondo dell’immaginario, perché sta pur sempre nel mondo reale. Stiamo parlando di tutti quei luoghi che, in diverse lingue e in diverse contrade della terra, sono nominati nel linguaggio corrente e quotidiano per indicare l’altrove assoluto o lontano, il luogo remoto per antonomasia. Annotiamo brevemente gli esempi più vicini che ci vengono in mente: - In Romagna si dice, ad esempio, A caddìo: come se la casa di Dio fosse davvero lontana, sperduta a seconda del caso su in montagna o in fondo alla bassa. E pensare che un altro modo per nominare lo stesso luogo è il suo contrario: caddìo è anche casa del diavolo.


- In Nord Italia si dice Canicattì, con quell’accento ritardato alla lettera finale che sembra spingere quel posto sempre più lontano: molti non sanno nemmeno se esista davvero quella città del centro della Sicilia. Velato o meno, c’è spesso un po’ di razzismo in queste espressioni, come se la lontananza misurasse differenze e scarti di civiltà. Per questa ragione, in molte lingue e in molti contesti, quei luoghi remoti e irraggiungibili, reali o immaginari, sono quelli dove abita un Altro - considerato primitivo e inferiore. Ad esempio, negli Stati Uniti si usa il termine podunk, che per gli Algochini altro non era che il villaggio d’inverno. In Francia, si parla di Bab El Oued, che è in realtà un villaggio alle porte d’Algeri. È un po’ come se in italiano Amb Aradam, invece di diventare sinonimo di grande confusione (per la carneficina che vi ebbe luogo nell’omonimo villaggio etiope), fosse diventato uno dei nostri nomi di margini-altrove. In Francia, ancora, si usa il termine Petahouchnok, che però ha origine non nel razzismo nei confronti altrui, ma nella paura di essere oggetto di discriminazione: diffusosi a partire dalla fine del XIX secolo, è all’origine il nome di un fantomatico villaggio della steppa siberiana dove si immaginava fossero mandati gli ebrei vittime delle persecuzioni antisemite. Ma se provassimo ad andarci davvero, in quei luoghi, reali o immaginari, emblemi della distanza? Niente, troveremmo che anche lì l’immaginazione dei locali ci spinge verso un altrove ulteriore: e sarebbe magari casa nostra, da dove siamo partiti. Non abbiamo mai pensato che, magari, siamo noi ad essere agli antipodi, quelli a testa in giù? Nell’immaginario europeo in generale, e anche in quello di un paese come l’Italia che si protende sul mare di mezzo, l’Africa rappresenta da qualche secolo quel grande altrove marginale che scappa dal progresso e dalla geografia del centro, se non per essere controllato e sfruttato: un altrove inafferrabile alla comprensione, ma un margine che esiste solo in funzione del suo rapporto col centro europeo. In tutta Europa quel grande altrove è contrassegnato spesso da parole che, anche loro, hanno l’accento sull’ultima lettera: abitato da Zulù, avrebbe per nome Timbuktù. Però, se provi ad andarci davvero, scopri che anche lì il mondo è fatto di qui e di centri relativi, e quindi che anche lì, ogni luogo ha il suo altrove. Se vai ad esempio in Mauritania, trovi che per la gente nata a Nouakchott - capitale sorta dalla sabbia del Sahara nel 1957 -

quel grande altrove ha un nome, ed è Lahraj. Gli urbani pensano che sia un villaggio immaginario, sinonimo della lontananza spaziale e della distanza dal progresso. Eppure un villaggio con quel nome esiste, e ci puoi andare. Prendi la Strada della Speranza, una linea contorta di asfalto che sega il deserto. Poi esci arrivato al capoluogo regionale e prendi la pista sabbiosa fino al villaggione che funge da capoluogo provinciale. Poi continui fino a un piccolo villaggio di capanne circolari di fango: dicono sia questo Lahraj. Entri nel villaggio e ti dicono che l’altrove, se ancora lo stai cercando, è la fuori, nel buio della notte della savana, oltre il bestiame sorvegliato da un giovane. Sei in mezzo al nulla, al buio infranto soltanto dai profili delle dune e delle rocce disegnati dalle stelle: saresti tentato di credere che alla fine del mondo non c’è altro che un granello di sabbia o una pietra muta.

Invece, c’è chi ti accompagna; ti vuole parlare e si siede per terra. Non prima, però, di aver tracciato un cerchio sulla superficie sabbiosa attorno a noi corpi seduti: un gesto che delimita uno spazio, una traccia che ridefinisce il nostro senso del qui e il nostro senso dello stare insieme. Ti chiedono com’è Roma, il centro del mondo per alcuni e un altrove per altri, e se è diversa da Lahraj. Tu di Roma sai poco, sai qualcosa in più della Romagna che altra cosa è stata rispetto a Roma: è stata il suo margine, il suo altrove. Basta un gesto e una parola: anche al margine, tutto torna. Torna tutto, proprio qui, perché ogni luogo, in realtà, è un segno ai margini. Anche di una pagina, frammento d’atlante. atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 37


Con buona pace del centro. Irene Biolchini

Ogni idea di atlante e di mappa si fonda su una visione “geografica” che, spesso, si traduce in lettura critica. Delineare un centro e un margine per molto tempo ha significato quindi decretare un canone, una traiettoria dominante. Per critici come Roberto Longhi indagare la periferia - critica e geografica - ha significato anche e sopratutto ridefinire momenti storici ed i loro protagonisti. Ridiscutere letture consolidate per inserire ciò che fino a poco tempo prima veniva considerato minore, marginale. Cosa può significare oggi, però, il centro? Quale è cioè oggi in Italia il centro del contemporaneo, quali sono le sue linee dominanti, quali sono i protagonisti “canonizzati”? Secondo Michele Dantini1 è l’Italia tutta ad essere margine e periferia, per cui la domanda è mal posta, o forse può essere dilatata in uno scenario globale permettendo di chiederci: quale è il centro? E quale è il margine? La Biennale curata da Gioni sembrava partire da queste domande, ridiscutendo la centralità del canone e lavorando in maniera problematica sulla figura dell’outsider, o come scriveva Gioni: Sfumando le distinzioni tra artisti professionisti e dilettanti, tra outsider e insider, l’esposizione adotta un approccio antropologico allo studio delle immagini, concentrandosi in particolare sulle funzioni dell’immaginazione e sul dominio dell’immaginario. Quale spazio è concesso all’immaginazione, al sogno, alle visioni e alle immagini interiori in un’epoca assediata dalle immagini esteriori?2

Lo studio antropologico delle immagini, suggerito da Gioni, sposta necessariamente le valutazioni di partenza, non muovendosi più all’interno di un canone, ma proponendo invece una let38

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tura inclusiva di elementi esterni all’immagine stessa: dall’immagine all’immaginario insomma. E forse è su questo immaginario che dovremmo interrogarci per comprendere cosa sia percepito oggi come contemporaneo. All’interno dell’immaginario che ha formato la generazione dei trentenni di oggi rientrano a pieno titolo serial televisivi, fumetti, narrativa e poca - è il momento di iniziare a dircelo - arte. Poche sono le immagini prodotte da artisti che hanno modificato la nostra percezione del mondo, che ne hanno ridiscusso confini e problematizzato la realtà. Le ragioni di questa marginalità culturale sono da alcuni critici, penso ad esempio alla rubrica Neovernacolare di Cristian Caliandro su Artribune, ricondotte al sistema interno all’arte: un mondo egoriferito e autocentrato, governato da una linea economica più che critica.3 La risposta di Caliandro è il ritorno alla volontà di parlare in maniera diretta, semplice, un dialetto che Caliandro oppone alla lingua. È chiaro che la scelta stessa del termine dialetto, specialmente in terra italiana, non può che rimandare ad una marginalità: alle periferie dove il dialetto è parlato, testimone di un legame continuo con la vita e con l’esperienza. Ciò che Caliandro propone oggi sembra una rilettura (anche se in senso più spietatamente narcisista) della linea critica di un’intera generazione cresciuta tra le due guerre e, ad oggi, troppo poco ricordata all’interno della scena culturale italiana. È proprio quel bistrattato realismo, troppo semplicisticamente rinchiuso nel recinto della pittura del realismo socialista, che ha alimentato le ricerche di molta critica italiana. Un modo di parlare e scrivere in continua connessione con la realtà, un sentire che percepiva la


partecipazione sociale non come destinataria ultima dell’opera, ma come artefice dell’opera stessa. Arte, vita e partecipazione come elementi indissolubili, o come scriveva Ernesto Treccani: Se si crede nella realtà bisogna essere capaci di inventarla e per inventarla si deve osservare, ancora osservare. Dietro al dipinto, si sa, c’è la vita. Confusa, contraddittoria. C’è la memoria e la spugna sulla memoria. Infine c’è l’occasione, il caso... Non vi è aspetto o momento della vita da lasciarci indifferenti.4

Ed è su questa linea che credo sia necessario tornare per capire e comprendere il senso di una centralità: perché è forse proprio la centralità rispetto ad un tessuto sociale ciò a cui dovremmo mirare quando lavoriamo. In questo

senso Selvatico è da anni un esempio di una buona pratica: un aggregatore di forze, lo specchio di una partecipazione collegiale nella costruzione del programma, un luogo di continuo incontro tra i cittadini e gli artisti ospitati. Fuori dalle retoriche del centro, ma centrale rispetto alla propria marginalità geografica. Di questo margine Selvatico sa infatti fare tesoro aprendosi all’incontro con ciò che è generalmente esterno al canone, sfruttando spazi più e meno istituzionali, includendo incontri pubblici e dibattiti. Perché dal margine si parte e al margine si torna, ogni volta accresciuti dal percorso condiviso (e con buona pace del centro).

1. Michele Dantini, Geopolitiche dell’arte. Arte e critica d’arte italiana nel contesto internazionale, dalle neo avanguardie ad oggi, Christian Marinotti Edizioni, 2012. 2. Massimiliano Gioni, https://www.labiennale.org/it/arte/2013/intervento-di-massimiliano-gioni 3. https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2019/04/neovernacolare-definizioni/ 4. Ernesto Treccani in Nicoletta Colombo, Maddalena Muzio Treccani, Deianira Amico (a cura di), Ernesto Treccani, Cinquantanni sei manifesti. Arte, Cultura, Società e Politica, Fondazione Corrente, Milano, 2016, p. 3. atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 39


Pensieri selvatici attorno a tre parole Gabriele Salvaterra

Margini, superfici e frammenti. Al loro opposto ci sono i centri, gli interni e le interezze, concetti certamente più affini al pensiero dominante di oggi che vuole vedere, possedere e conquistare tutto immediatamente. Affidarsi alla prima triade di parole significa votarsi a una cultura probabilmente destinata alla sconfitta ma che non rinuncia a proporsi come sotterranea alternativa – retropensiero fondamentale – a un mondo interessato all’utilità a tutti i costi. Parlare di questi tre concetti fa anche pensare alla necessità di riscoprire il valore della parzialità. Parziale è incompleto, un ambito ristretto che può aspirare a essere microcosmo e rappresentare qualcosa di più grande, pur nella sua limitatezza. Parziale è anche interessato, di parte, coinvolto. Credo sia importante farsi trasportare dalle proprie piccole cose – non importa se vere o false, importanti o trascurabili, illusorie o reali – e dirle con decisione, interiorizzarle, asserirle con forza. Qualsiasi cosa, presa da una prospettiva pratica, può essere considerata inutile ma se siamo parziali (concentrati su una parte e coinvolti) anche il superfluo, come accade nell’arte, può diventare necessario. Margini Un pensiero di Massimo Scolari afferma: “Davanti ai nostri occhi si ripete un meccanismo che caratterizza il procedere delle arti figurative: le periferie delle poetiche diventano il centro delle successive”. L’artista e architetto italiano pensa all’utilizzo che Giorgio de Chirico fa all’interno del dipinto L’enigma dell’oracolo (1910) – quindi in un contesto nuovo – della figura di Ulisse, tratta dalla celebre opera di Arnold Böcklin Ulisse e Calipso (1883). Sono sempre stato molto legato a questo pensiero che propone un modo organico e circolare di intendere il progresso. Più che circolare si potrebbe dire spiraliforme, in quanto, pur passando sempre dallo stesso punto, il percorso del linguaggio si discosta di continuo e impercettibilmente, divenendo uguale e diverso 40

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allo stesso tempo, proprio come la figura di Ulisse nei due quadri di Böcklin e de Chirico. Ancora con cristallina chiarezza dice Scolari: “Indifferenti al loro punto di partenza nel tempo e nello spazio, le periferie delle poetiche sono i luoghi dove si ricreano gli enigmi dell’arte e dove più facilmente irrompe il futuro”. I margini sono già il centro del futuro e il mestiere dell’artista, del creativo, dello scrittore di talento è proprio quello – come si dice spesso – di “far vedere” o “rendere evidente” una cosa sotto gli occhi di tutti a cui non facciamo solitamente caso. Si tratta di punti che un domani costituiranno nuovi centri e che a loro volta saranno scalzati da nuove periferie delle poetiche a cui i visionari ci insegneranno a dare attenzione. È un movimento ondivago di continuo scambio, magmatico e circolare, in cui viene riconosciuta a queste aree simboliche la preminenza nello sviluppo umano. È interessante anche considerare la frase che identifica i margini come i “luoghi dove si creano gli enigmi dell’arte”. In questi spazi interstiziali si annida un mistero che va preservato e coltivato, senza tentare di scioglierlo in alcun modo. Questo mi riporta a una lettera di Arnold Schönberg scritta a Vassily Kandinsky che non credo abbia bisogno di alcun commento: “Dobbiamo renderci conto che siamo circondati da enigmi e dobbiamo avere il coraggio di affrontarli senza chiedere vilmente di avere ‘la soluzione’. È importante che la nostra capacità creativa riproduca enigmi in base a quelli che ci circondano. Affinché la nostra anima tenti non di risolverli, ma di decifrarli. Ciò che noi otteniamo in questo modo non deve essere la soluzione, ma un metodo di cifratura o decifrazione. Metodo senza valore intrinseco che offre materiale per creare nuovi enigmi. Essi sono, infatti, il riflesso dell’inattingibile. Un riflesso imperfetto, cioè umano. Ma, se per loro tramite impariamo soltanto a ritenere possibile l’inattingibile, allora ci avviciniamo a Dio, perché in quel momento non chiediamo più di volerlo capire. Non lo misuriamo più con il


nostro intelletto, non lo critichiamo, non lo neghiamo, per il fatto che non possiamo trasformarlo in quella inadeguatezza che è la certezza di noi uomini”. Superficie Luogo anch’esso periferico, liminale, marginale che separa una cosa dall’altra, il soggetto dall’oggetto, l’io dal mondo, il dentro dal fuori. Il bello della superficie è che appare come una linea, come un segno convenzionale che, alla stregua del punto nella geometria, non possiede vero e proprio spessore ma serve a demarcare la distinzione tra due corpi. (È Leonardo a insegnarci che la linea di contorno non esiste ma che le cose si esauriscono e continuano gradualmente l’una nell’altra.) Eppure, puntando una lente di ingrandimento su qualsiasi superficie – sulla pelle, sui muri, sui tessuti – le categorie iniziano a cadere e non si capisce più cosa sia interno o esterno, cosa sia io o mondo, cosa appartenga a un corpo o a un altro, separati da questa linea impercettibile. Guardando attentamente, insomma, si capisce come essa, seppur così minuta, sia un mondo inesauribile, sviluppabile all’infinito nello spazio infinitesimale di una sottile epidermide. Quello della superficie è, in primo luogo, il reame della pittura che nei millenni è riuscita a creare in quella minima pellicola spazialità della più varia natura: da sfondamenti a volo d’uccello di decine di chilometri fino a ostensioni – di arte astratta come di icone bizantine – perfettamente aderenti ed equivalenti al piano del quadro. La superficie è poi sempre sensuale per il suo aderire alle cose, il suo coprirle completamente, negandole alla vista, per svelarle al contempo in maniera scandalosamente accettabile e renderle visibili, potenziandone il potere di seduzione anche oltre la più totale nudità. Entra qui in campo una dimensione tattile veicolata dalla vista, come quando, anche in scultura o nella grande fotografia di moda, la carne preme turgida da una superficie coprente che, nascondendo, rende tutto ancor più visibile. Questo contatto superficiale sa anche di abbraccio, di un premersi grazie a cui due piani vicini tendono a unificarsi, a formare un unico profilo ed essere il negativo e il positivo della stessa sensualissima forma o, in altri termini, una cosa sola. Usando le parole di Marcel Duchamp si ripete la magia meccanico-amorosa di “un tubo e un’asta che entrano esattamente l’una nell’altro, sebbene appartengano a oggetti che non hanno alcuna relazione”.

Questo tattile erotismo superficiale permane negli occhi degli osservatori che accarezzano con lo sguardo le texture dei dipinti, come i modellati scultorei o le emulsioni fotografiche, rimarcando la profonda natura sensuale dei linguaggi visivi. In senso metaforico, imparare dall’inclinazione superficiale delle arti anche nell’approccio alla vita può costituire un interessante e alternativo punto di vista. Contro le finte autoreferenziali profondità o le vuote superficialità incoscienti, diventa affascinante e complesso affidarsi a una superficie rigonfia di profondità solo lontanamente intuibili. È uno sviluppo epidermico che permette di muoversi con leggerezza su un’area enorme e percorrere gli eclettici frutti di una conoscenza vasta e diversificata. “Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, ci si può spingere a cercare quello che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile”, pensa il signor Palomar di Italo Calvino… Nella vera superficie risuona una profondità invisibile che non blocca, non limita né costringe, ma favorisce anzi il moto, l’azione, la conoscenza. Frammenti I frammenti sono già tra queste righe, riflessioni sparse raccolte qua e là, riproposte secondo processi inconoscibili dal proprio cervello, ripensate su pensieri già fatti da altri e ordinate alla bell’e meglio in queste pagine. Anche qui margini rimessi al centro, questioni oscure affiorate su una superficie intelligibile, frantumi disparati ricomposti in una precaria unità. A questo proposito prendo a prestito le parole di Ettore Sottsass: “Sono molto innamorato dei ruderi. Perché, di nuovo, sono ciò che ci rimane, ciò che l’ignoto ci concede di pensieri progetti e speranze”. I frammenti, come le rovine, sfidano ogni volta la capacità tutta umana di dare senso alle cose, quella qualità interpretativa che costituisce l’unico argine che abbiamo all’indistinto e all’insignificante. Prendere tanti punti disparati, collegarli tra loro, individuare somiglianze e divergenze, ritorni, assonanze e similitudini. Sarà il compito del curatore fare tutto ciò, dell’artista o semplicemente di qualsiasi persona? Ogni opera, ogni testo ma anche ogni deliberazione o iniziativa umana nascono da questa esigenza ancestrale di dare senso all’insensato e forma all’informe. È l’utopia continuamente ricercata di trascinare il superfluo fuori dalla sua gabbia di inutilità apparente e farne qualcosa di necessario. atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 41


Incrostazioni. Frammenti di frattali, supersuperfici e margini smarginati Claudio Musso L’arte non è là dove la gente pensa, ma sempre altrove. Sempre altrove, rispetto a dove la gente crede. Ludwig Hohl, Note

La rivelazione arriva sempre da un muro. Per quanto vaga e apparentemente sibillina, questa affermazione racchiude in sintesi tutte le suggestioni radunate di seguito. Per comprendere l’incidenza del margine, della superficie e del frammento nella pratica artistica osserviamo il dettaglio di una parete dipinta scrostata. In quel punto colore, luce e materia si fondono, sono tre forme di una stessa sostanza e viceversa. Il colore si offre nella sua ambiguità, la disomogeneità del supporto fa sì che si possano percepire diverse tonalità della stessa tinta, variazioni cromatiche (potenzialmente infinite) racchiuse in una porzione seppur minima. La luce gioca un ruolo fondamentale, non solo in relazione al colore di cui è fonte ed estensione. È la luce infatti a generare le ombre che a loro volta creano una presenza plastica inducendo una sensazione aptica. «La superficie, quando è rivestita di luce, ha una volumetria, una dimensione, e produce materialità».1 Luce e materia sono unite in questo scambio, una descrive l’altra, e definendola l’arricchisce. Se quella porzione fosse l’opera avremmo grosse difficoltà a collocarla precisamente, rimanendo in una continua oscillazione tra pittura e scultura: un brandello di muro raschiato è più simile a un bassorilievo policromo o a un dipinto estroflesso? Proviamo ad avvicinarlo da diversi punti di vista scomponendo le sue innumerevoli sfaccettature. Deframmentazioni Nel linguaggio informatico in voga non molto tempo fa compariva il termine defrag(ment) come riorganizzazione dei contenuti presenti su un disco rigido ai fini di ottimizzare lo spazio di archiviazione e di conseguenza rendere più agile e veloce l’operatività del processore. Parlare di frammenti significa ne42

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cessariamente parlare della loro (ri)composizione: un frammento certamente racconta qualcosa dell’insieme da cui è tratto, ma ha la possibilità di legarsi ad altri elementi simili o diversi per (ri)produrre un altro insieme. Mai come oggi viviamo in un’epoca di (ri)utilizzo dell’immagine, o parti di essa, e di (ri)mediazione del discorso, o parti di esso, si pensi solo allo straordinario magma di possibilità offerto da dispositivi e applicazioni alla portata di tutti che, attimo dopo attimo, contribuiscono ad accrescere il panorama di meme, stories e di tutto ciò che ancora non abbiamo imparato a etichettare. In fondo questa tipologia estetica, che di recente si tende a spiegare con l’incredibile fortuna dell’approccio amatoriale2, è (ancora) basata sulla tecnica del copia e incolla. «Non si tratta più di elaborare una forma sulla base di materiale grezzo, ma di lavorare con oggetti che sono già in circolazione sul mercato culturale, vale a dire oggetti già informati da altri oggetti».3 Così come l’oggetto per Bourriaud, anche il frammento di una superficie può essere informato da (un) altro, in particolare dai suoi stessi margini. Con frammento, inoltre, è possibile alludere ad una frazione estrapolata da un intero su cui si è concentrata l’attenzione, ovvero il dettaglio. Quest’ultimo è certamente una selezione, ma è anche la parte su cui si concentra uno studio mirato, un approfondimento metodico. Non a caso di frammento si parla anche per il reperto in ambito archeologico a cui si lega una narrazione fatta di (ri)trovamenti e (ri)scoperte che dischiude inedite letture a partire dal già noto. Deframmentare in questa prospettiva significa allora ricongiungere i fili di un discorso sopito, o meglio


sepolto, scovare traiettorie scomparse, che, poi, in alcuni casi, si rivela attività complessa almeno quanto tracciarne ex novo. C’è un disegno nascosto nel frammento? Cercando un punto di raccordo tra frammento e disegno ci si imbatte in queste parole di Berger: «Cos’è che fa rimpicciolire il disegno? Che c’entri il fatto che le sue parti non formino un insieme? […] Ciò detto, il disegno non si rimpicciolisce necessariamente una volta per tutte. Disegnare è un processo di correzione incessante. Avanza grazie agli errori corretti»4. Recuperare e (ri)organizzare frammenti è potenzialmente un meccanismo di correzione degli errori, veri o presunti, proprio come il cancellare e (ri)disegnare seguendo uno schema mentale che non è detto si (ri)trovi sul supporto, sulla carta, sullo schermo.

Polveri sottili Torniamo al muro. Se applichiamo una lente d’ingrandimento sopra la superficie analizzata scopriremo che è coperta di polvere, anzi che le polveri occupano anche lo spazio, seppur minimo, tra la lente e l’oggetto di analisi, e, addirittura che del pulviscolo invisibile a occhio nudo è depositato sulla lente stessa. A questo proposito è molto interessante ciò che scrive Friedman nella biografia di Pollock: «L’artista capisce che forme, colori, consistenze, tutti gli elementi della composizione, mutando quantitativamente cambiano qualitativamente; sa che quanto è eccitante o attraente in una piccola superficie può non essere tale se ingrandito».5 Rimanere nella dimensione superficiale, crogiolarsi nei suoi meandri è ciò che unisce in fondo pittura e muralismo, o meglio il pittorico e il murale. La frase citata in ef-

Chris Teerink, Sol LeWitt, 2012, film documentario, 72” (still video) atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 43


fetti fa riferimento a una consapevolezza che il pittore americano avrebbe raggiunto anche grazie alla partecipazione ai “laboratori sperimentali” guidati da Siqueiros, nei quali, tra le altre cose, l’accento era posto sulle qualità della materia (non solo) pittorica e sulle possibili relazioni con l’idea di superficie. Più che di superfici allora sarebbe necessario parlare, mutuando un neologismo creato dal Superstudio,6 di supersuperfici. Il rapporto tra polvere e superficie è ampiamente analizzato, non è il caso di scomodare Duchamp per capirne le molteplici implicazioni.7 Non è la polvere nel senso domestico che ci interessa, si tratta piuttosto di un “particolato sospeso” che precipitando sulla superficie e depositandosi sugli altri materiali contribuisce alla formazione, a tratti casuale, di una pelle. Una pelle viva, fremente, pulsante che, anche quando frammentata, è capace di (ri)velare qualsiasi corpo sottostante. Ma cosa dice la pelle del corpo? Stratigrafie Ancora muri. Durante le riprese per il documentario sulla vita e sull’opera di Sol LeWitt il regista olandese Chris Teerink visita anche l’abitazione italiana, la sua seconda casa a Spoleto.8 Proprio mentre la videocamera si avventura tra gli ambienti disadorni alla ricerca di tracce della vita che vi hanno condotto l’artista americano e sua moglie, un particolare non può non passare inosservato. In una stanza l’obiettivo si ferma di fronte a un muro apparentemente bianco, ingrigito dal tempo e dalla polvere, inizia quindi un avvicinamento graduale che scruta la superficie fino a quando la messa a fuoco mostra una serie di tratti a matita che (ri)vestono completamente tutte le pareti. Il disegno permea lo spazio come una verifica geografica, le linee che congiungono ogni punto d’interesse (prese elettriche, buchi, lampadari) vengono tirate con lo scorrere leggero della grafite attraverso le ruvidità e le rugosità dell’intonaco. Sulle di-

rettrici che solcano l’orizzonte murario è possibile leggere anche innumerevoli appunti volti a descrivere il percorso compiuto, gli ostacoli incontrati o le direzioni (non) seguite. Ci troviamo dinnanzi ad un tipico caso di infrasottile. «L’infrasottile, si può dire, mostra la differenza come limite, come bordo, soglia, attraverso cui avviene il passaggio. Porta dunque al limite, si occupa degli stati limite, espone le materie, gli eventi, le condizioni, le misure, l’esperienza stessa e il pensiero alle condizioni limite, perché a quel punto si “vede” diversamente».9 La visione altra a cui tende anche l’indagine di LeWitt non fa altro che confermare l’ipotesi che la superficie sia materia densa, che al suo interno si nascondano ulteriori strati. Non è raro trovare il riferimento ad una ipotetica profondità delle superfici, una dimensione che a che fare con il micro se non con il nano in cui ciò che apparentemente è inesplorabile si apre in ulteriori livelli di esplorazione. È il caso delle Texturologie di Dubuffet in cui gli esperimenti materici condotti su superfici ridotte aprono, ad una visione ravvicinata, alla percezione di una spazialità molto più ampia, funzionano come delle mappe. Tra i rilievi e gli avvallamenti sembra di scorgere paesaggi di estensione ambientale, come, al contrario, la visione aerea del territorio lo riduce a una sintesi di scala in cui anche enormi appezzamenti agricoli paiono frammenti di una carta topografica. Non è in fondo la mappa una supersuperficie? Tornando al muro poi, oltre la superficie si nasconde una vita, anzi molte vite. Nei tubi celati dagli strati di copertura scorrono liquidi proprio come fossero viscere di un organismo vivente. Allo stesso modo ai margini si radunano colature, sbordi e imprevisti casuali del fare che stuzzicano la stabilità della materia e suggeriscono ipotetiche soluzioni laterali, per ricominciare da capo, anzi da un altro frammento, da altri frammenti come fossero sviluppi di un frattale, sempre uguali eppure dissimili.

1. G. Bruno, Superfici. A proposito di estetica, materialità e media, Johan & Levi editore, Monza 2061, p. 58. 2. La cosiddetta Amateur Culture è argomento molto diffuso degli studi culturali in anni recenti, sia che venga affrontata in prospettiva positivista che catastrofica. 3. N. Bourriaud, Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo, postmedia books, Milano 2004, p. 7. 4. J. Berger, Sul disegnare, Il Saggiatore, Milano 2017, pp. 124-5. 5. B. H. Friedman, Jackson Pollock. Energia resa visibile, Johan & Levi, Monza 2015, p.45 6. Supersuperficie conclude un’articolata ricerca per immagini sviluppata da Superstudio tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta nell’intento di sperimentare le “possibilità dell’architettura” di agire non solo come attività risolutiva ma come strumento di conoscenza. 7. Cfr. E. Grazioli, La polvere nell’arte. Da Leonardo a Bacon, Bruno Mondadori, Milano 2004. 8. C. Teerink, Sol LeWitt, film documentario, 72”, http://www.sollewittfilm.org, (ultima visita 11/09/2019). 9. E. Grazioli, Infrasottile. L’arte contemporanea ai limiti, postmedia books, Milano 2018, pp. 17-18. 44

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Fare a pezzi L’intero L’illeso Nicola Samorì

È tutta la vita che cerco di fare un corpo intero e ho sempre fallito. Non ne troverete uno, uno solo, in tutta la mia produzione. Avrei dovuto capirlo già a cinque anni, quando cercando di comporre un molosso di terra di campo non sono riuscito a far aderire gli arti al corpo dello sgorbio preistorico. Da allora ho solo collezionato frammenti, e le cose che mi interessano di più sono pezzi di cose che furono intere oppure opere mai finite. L’apparizione del naso della Sfinge, distrutto per ordine dello sceicco Muḥammad Ṣā�im al-Dahr nel 1378, è arrivata poco dopo, ed ero così attratto da quella faccia sfregiata che poi ho sempre faticato a lasciare il naso attaccato alle mie sculture. La Grande Sfinge di Giza è uno dei più antichi e grandi manufatti in decomposizione della storia umana ed è la chimera che mi ha mostrato la rottura dell’integrità. Dio ha fatto l’uomo e l’uomo si è fatto a pezzi. Forse mi sfugge l’intero perché la vita si scheggia in giorni, perché qualcosa ricomincia daccapo tutte le mattine. Mi sono assegnato lavori a lungo termine per incoraggiare la mia impazienza e superare le ventiquattro ore, puntando ai giorni. Ho realizzato l’anno scorso un affresco per tre mesi consecutivi (di solito chiudo un dipinto in una seduta) ed è bastato strapparlo dalla parete per leggere il mosaico delle giornate con una evidenza impudica: ognuna di una calce differente, avvicinate a forza le une alle altre; una crescita disorganica tenuta insieme a forza dalla simmetria e da un percorso di penitenza che mi ero imposto.

Una volta non era così: gli artisti entravano nelle loro opere e ci si perdevano dentro. Philip Guston lo ha detto molto bene: “tutta l’arte moderna mi sconcerta, non la capisco proprio. Non so se sia frammentaria. È che provo una nostalgia lancinante per quest’altra condizione (l’arte antica) in cui si sosteneva un sentimento per mesi, questo essere capaci di strutturare e costruire un’immagine.” Sostenere un sentimento per mesi. Ci ho provato l’ultima volta a undici anni e da allora non ho più saputo nutrire un sentimento di fiducia e di desiderio così a lungo, durato un’estate intera. Adesso il sentimento sostenuto diventa una mostra, spesso una corale di cose a caso. Sei settembre Ho rimesso mano alla Santa Lucia dal Ribera. È già la seconda volta che mi confronto con questa immagine e durante la prima, nel 2012, mentre lavoravo e fuori nevicava, ho iniziato ad avvertire un ronzio all’orecchio sinistro. Un acufene. Non mi era mai accaduto e ci sono volute settimane per ristabilirmi. Ora è successo di nuovo. Rappresento una santa privata della vista e vengo attaccato all’udito. Assurdo. Ci sono opere - e artisti - ai quali faccio corrispondere un mio disturbo; sono oggetti, e soggetti, pericolosi dai quali dovrei tenermi alla larga, ma non ci riesco. Accade anche con il Bambino ebreo di Medardo Rosso, ma col fanciullo di cera sono i miei occhi a correre un pericolo. Rembrandt, invece, mi colpisce le viscere. Con Caravaggio è l’equilibrio mentale ad essere minato e cerco di evitarlo persino in libreria e nei musei dal 2010. atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 45


Una guerra. Una zuffa di corpi si avventa su un piccolo bottino: sono due occhi, brillano come pietre preziose; sono l’unico frammento minerale nudo dell’onice sulla quale la vasta scena è dipinta. I combattenti sono ciechi, le orbite sono vuote, ma le teste si orientano verso i globi oculari con sicurezza, mossi dall’olfatto, forse dall’istinto. “Quando un oggetto è dotato di occhi diventa un corpo” scriveva Mike Kelley; ma cosa accade quando un corpo è privato degli occhi? David Freedberg sostiene che “privare un’immagine degli occhi è privarla effettivamente della vita”. Accecare un’immagine per vederci meglio. Settembre di un anno fa: Caina (un bassorilievo in marmo nero di Carrara che rappresenta l’uccisione di Abele) è concluso, cesellato con minuzia e il mio intaglio si confonde perfettamente con la superficie scabra della pietra che, a contatto con la pioggia, l’aria e il vento per migliaia di anni, è diventata una corteccia ruvida, come bucata da batteri petrofagi. Lo appoggio distrattamente a pavimento contro una sedia e pochi istanti dopo odo un tonfo secco. Steso a pancia all’aria il marmo si è aperto a metà assecondando una piccola, invisibile fessurazione custodita nella pietra. Abele si è sganciato da Caino, atterrito da qualcosa di invisibile. Caino aggredisce una presenza che si trova oltre i margini del marmo. Sette Mi serve un morto vivente che mostri con la sua stessa mano la piaga sul costato e dopo un po’ di ricerca trovo un dettaglio del Trono di Grazia di Caltagirone che mi incuriosisce molto. Fra le immagini correlate al Trono scorgo poi la Pietas Patris di Varsavia, un’immagine stupefacente dove il Cristo, sorretto dal Padre e circondato da quattro angeli che stendono un tessuto damascato, poggia i piedi su un piccolo globo azzurro. Basta socchiudere gli occhi per capire che in questa immagine Cristo senza il Padre è un acrobata sgraziato. Anoressico come la ragazzina dipinta da Picasso nell’Acrobata e giovane equilibrista. Picasso del periodo rosa, ma soprattutto quello della stagione blu, mi riporta sempre alla puzza della pittura, ai miei quindici anni quando lo copiavo quotidianamente accatastando in camera da letto croste nauseabonde. Forse era il medium che 46

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utilizzavo, forse la mia ostinazione a spingere il giallo dentro al blu come ne La morte di Casagemas, senza trovare un verde convincente. Per me quello fu l’apice della sporcizia in pittura e una buona ragione per dare il benservito a due primari che dopo ventisette anni continuo a guardare con sospetto. Ho cercato di riappacificarmi quest’anno col primo Picasso, l’ho fatto a Basilea e ho percorso la grande mostra alla Fondazione Beyeler al contrario: con i polmoni pieni di rosa ho attraversato il blu senza problemi. Mi sono imbattuto nel Ritratto di un paziente dell’ospedale di Saint-Paul che Van Gogh dipinse nel 1889. Non ne ero a conoscenza e l’articolo di Mariella Guzzoni dove m’è apparso fa riferimento alla parte alta del ritratto con queste parole “un fumo sale dal cervello, a destra e a sinistra, come se il cervello stesso dovesse evaporare, stesse già evaporando”, ma questa macchia sfaldata è “solo” la vasta impronta lasciata da uno straccio, come se qualcuno si fosse seduto sulla testa fresca, come se il pittore avesse di proposito manomesso il cranio con un gancio finito dritto in faccia a Francis Bacon (che, ne sono certo, conosceva questo ritratto) e a tanti pittori venuti dopo. Pittura per pressione. Il sito del Van Gogh Museum si limita a dire che nessuno sa come e perché la parte alta fu danneggiata. Il dipinto è di piccole dimensioni; forse è stata una manica larga premuta distrattamente; forse il commento dell’effigiato. Era ottobre. Otto Ballata barocca La malattia minerale niente Nove Santa Lucia è finita; Cristo mostra la sua piaga minerale; un nuovo grande affresco è quasi apparso, ieri, senza fatica. Una sola giornata dipinta in verticale e in orizzontale, su supporto staccato. Obbligare la pratica verticale a mettersi supina come un acquerello.


La Madonna col Bambino e i santi Giovanni Evangelista e Gregorio Taumaturgo del Guercino, rubata nel 2014 dalla chiesa di San Vincenzo a Modena, è stata presentata dopo un intervento di restauro per porre rimedio ai gravi danni inferti dal furto maldestro. L’estetica della rovina ha avuto la meglio e i margini frastagliati sono la prima cosa che notiamo dell’opera. Dalla rappresentazione della rovina alla presentazione della rovina. Conosco bene questo disturbo. Bernini ha curato le mutilazioni di due antiche sculture con una alterazione genetica della sostanza e della forma: dal marmo pentelico al marmo di Carrara, dalla pelle leonina al materassino. Dieci L’intaglio e l’intero Una stanza con una scultura in marmo nero perfettamente cesellata, adeguata alle sue mutilazioni. A pavimento tutte le schegge di lavoro; la materia staccata dal blocco si allarga sull’intera superficie, disseminata a caso. Salvaguardo il peso specifico iniziale, come quando una mensola fissata sotto al dipinto trattiene tutto il pigmento strappato all’immagine. Il mio lavoro mostra lo spostamento della materialità dell’opera, la sua dislocazione parziale. In questo senso ciò che sembra un frammento custodisce la nostalgia dell’intero. A Lucca c’è una tomba alla quale penso spesso: è quella di Domenico Bertini e si trova nella Cattedrale di San Martino. Appena l’ho vista i miei occhi hanno puntato una presenza ambigua sotto la lastra sepolcrale, una ricombinazione delle ossa del bacino che sembrano un Giano ossuto, fuori tempo e, in una certa misura, fuori luogo, perché la sua freschezza spezza di colpo lo stile del monumento scolpito da Matteo Civitali nel 1479. Quelle ossa di marmo sono state posizionate in un punto morto del tempo, sono un virus iniettato nelle regole di un’epoca. Una gamba di San Girolamo a grandezza naturale. Undici L’occhio del ciclone L’epicentro

La bocca del vulcano C’è un centro nelle catastrofi naturali ed è tenendo a mente un centro che mi metto al lavoro. Generare – o trovare – un centro che polarizzi i pezzi. Oggi un corpo che non arriva dal rinascimento e nemmeno dal barocco. Ci ho lavorato un pomeriggio e la carne sembra la stessa della gamba del San Girolamo di ieri. Un frame di bondage è diventato la prova di un anacoreta nel deserto. Il pennello non perde la memoria alla svelta; quando lo si carica di virgole barocche ed è tempo di fare qualcosa di asciutto non le dimentica in un’ora. La cappella di San Luca o dei Pittori a Firenze ospita la Santissima Trinità di Alessandro Allori (1571), che alla consueta iconografia aggiunge, alla base del gruppo di figure sacre, i ritratti di Pontormo, a sinistra, e di Bronzino, a destra. Quel che mi ha colpito non è l’omaggio di Allori ai propri maestri, quanto i graffi nervosi che serpeggiano su entrambi i loro volti, incisi nell’intonaco. Twombly compete con la craquelure della malta, le luci sono cadute e gli occhi sembrano buchi nel sasso. Fregio e sfregio coincidono. Non potrei mai imprimere segni così sprezzanti su quel che ho dipinto io stesso. Resto lo stesso pittore anche quando mi libero del modellato mimetico. Dodici Portata via la scorza del Girolamo alla signorina di spalle; tutto rifatto. Ora la sacca rugosa del penitente inizia a somigliare a un bruco dalla pelle tesa, a un palloncino sul punto di esplodere. Scrivendo del filosofo romano Lucrezio, Horst Bredekamp afferma che “Lucrezio dà un nome all’energia fisica delle immagini: una pressione interna che le fa “spellare” allo scopo di provocare reazioni. Poiché le immagini rappresentano strati di pelle incessantemente staccati dai corpi, esse creano un legame fisico tra oggetto e osservatore, facendo della vista una forma particolare di tatto”. La spellatura, nelle mie immagini, strappa la pittura al suo sonno bidimensionale e la spinge verso gli occhi dell’osservatore, oppure entra nel supporto, generando voragini che gli occhi cercano di sondare (geodi, squarci aperti con le dita o con la sgorbia). atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 47


La melodia del fallimento Associo alcune canzoni al fallimento, per il semplice fatto che le ascoltavo quando ho realizzato qualcosa di sciatto e quando le cose, per un motivo o per l’altro, non sono andate bene. Stasera a un tratto me ne è girata una per la testa proprio mentre cercavo di rimediare un’altra giornata storta. Requiem a un giorno di lavoro. “I fiumi crebbero a furia di piangere”. Ovidio, La morte di Orfeo. Jonny Costantino a proposito di El Topo: “In Jodorowsky non sento le catene! Friedrich Nietzsche scrive che bisogna saper danzare in catene e Thomas Mann scrive qualcosa di analogo in questo brano che trovo citato, guarda caso, in Scolpire il tempo di Andrej Tarkovskij: «Solo l’indifferenza è libera. Ciò che ha carattere non è mai libero, esso è coniato dal proprio conio, è condizionato e incatenato». “Mi seppelliranno nel mio stesso volto e mi dimenticheranno guardandolo”. Bernard Noël a proposito di Anna Magnani. Tredici Ho sognato stanotte di possedere la facilità di Dürer nel disegnare. Il tratto correva veloce e lieve, con un automatismo ipnotico. Nella storia del disegno c’è stato un cambio di pressione: nei secoli scorsi il disegno veniva realizzato con leggerezza e sicurezza (rari gli esempi di segno opposto, mi vengono in mente alcune sanguigne di Pontormo); i segni a penna di Leonardo e di Dürer sfiorano appena la carta, mentre quelli di Basquiat e di Baselitz la bucano. Oggi sembra che pressione e potenza debbano coincidere, che il grido sia più autentico del filo di voce. Se il disegno non diventa un tracciato braille il disegnatore potrebbe essere ritenuto privo di carattere e di autenticità. Nella scrittura a mano è ancor più evidente. Alle poste, quando devo far lavorare la carta copiativa fra uno strato e l’altro dei moduli, ho bisogno di impugnare la penna fra il medio e l’anulare per lasciare una traccia accettabile.

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Quattordici Il corpo dell’autore e la sua opera. Deve esserci una relazione fra lo sviluppo del corpo e la trasformazione del corpo rappresentato. Penso alle immagini esili, quasi anoressiche, del primo Michelangelo o del primo Picasso, e all’irrobustimento successivo dei corpi scolpiti e dipinti. Forse in un primo tempo Picasso cercava di replicare la lingua anoressica di El Greco e solo molti anni dopo ha trovato lo specchio. A Michelangelo potrebbe essere accaduto il contrario: solo incontrando il Laocoonte avrebbe dismesso il suo ritratto per andare verso un corpo che non era il suo, verso l’anatomia del desiderio. Chissà cosa sarebbe accaduto al lavoro di uno Schiele ingrassato. Affresco: una scultura in controluce, nerissima, per esaltare la luce sprigionata dalla calce. Una sola giornata di due metri; il corpo orizzontale sui cavalletti fino a tarda sera. Quindici Giacobbe lotta con l’immateriale. Non può più stringere l’angelo nerboruto e abbraccia il vuoto della pietra a cavalcioni sull’abisso. Il geode è una cavità interna ad una roccia, rivestita di cristalli, che si forma da una massa di magma il cui raffreddamento non omogeneo e molto lento permette ai minerali di disporsi ordinatamente secondo il reticolo cristallino. Potremmo definirlo un tarlo della pietra, partito da un granello che si moltiplica creando uno spazio interno progressivamente sempre più grande. È la traccia di una forza creativa e distruttiva al contempo, che agisce fuori dalla storia e che entra nella storia dell’uomo solo attraverso la frattura. Se non si spezza l’intero non si conosce il dentro. Il geode ricorda i siti corporei più viscerali - ano, vagina, bocca oppure la ferita. Nel Ritorno dei magi affrescato da Giovanni da Modena nella Cappella Bolognini è scesa la notte.


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26 ottobre 2019 - 12 gennaio 2020 Fusignano / Museo civico San Rocco via Monti 5 [inaugurazione sabato 26 ottobre 2019] > primo piano • ingresso / quadreria-mappa con un disegno a testa per ciascun autore • prima sala / Michele Bubacco | Paolo Maggis | Matilde Baglivo • saletta centrale / Federica Poletti | Valentina Biasetti • seconda sala / Nero/Alessandro Neretti | Andrea Salvatori | Dem • museo civico / Alessandro Finocchiaro | Giulio Catelli > piano terra raccolta targhe devozionali / Ilaria Margutti Cotignola / Museo civico Luigi Varoli [inaugurazione domenica 27 ottobre] > Palazzo Sforza corso Sforza 21 • piano terra / Thomas Scalco - Mattia Noal Elena Hamerski – Ilaria Cuccagna – Elisa Bertaglia | Fabio Romano • primo piano / pinacoteca Matteo Lucca / sala archeologica Francesco Geronazzo • secondo piano / Silvia Vendramel – CaCO3 – Giorgia Severi > Civico 27 corso Sforza 27 Chris Rocchegiani > Casa-studio Luigi Varoli ingresso corso Sforza 24 Alice Padovani – Chiara Lecca – Giulia Manfredi ingresso via Cairoli 7 Luca Piovaccari | Giovanna Sarti | Valentina D’Accardi > Ex ospedale Testi via Roma 8 • piano terra / James Kalinda | Giovanna Caimmi | Federico Guerri | Manuela Vallicelli Ettore Frani | Chiara Enzo • primo piano / Alice Faloretti | Giacomo Modolo | Milena Sgambato | Sarah Ledda | Maurizio Bongiovanni Barbara Fragogna | Elisa Muliere Villanova di Bagnacavallo / Ecomuseo delle Erbe Palustri via Ungaretti 1 [inaugurazione domenica 10 novembre 2019] • Ana Hillar | Giorgia Moretti | Luca Zarattini | Amanda Chiarucci | Giacomo Cossio | Paolo Buzzi Michele Buda | Raniero Bittante 52

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Entriamo ora, e vediamo le cose, andando incontro alle immagini e presenze come in una sorta di unico piano sequenza, quasi senza prendere fiato; il cuore della mostra è fatto da un dialogo, sovrapporsi e convergenza tra due esposizioni e mostre distinte, differenti e complementari, che si snodano e prendono forma a partire dai musei di due paesi distanti tra loro pochi chilometri: Cotignola e Fusignano, nella bassa Romagna, una specie di terra di mezzo che non è già più riviera e non ancora appennino, dove la campagna è un’industria. E una terza mostra, leggermente differita nella sua apertura, che si muove in uno spazio nuovo per Selvatico, un ecomuseo, quello delle Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo, sempre in provincia di Ravenna. A Cotignola la mostra si irradia a partire dal Museo civico Luigi Varoli ramificandosi dentro e intorno, poi, a una serie di spazi recuperati per l’occasione, tra edifici storici, case vuote e negozi sfitti che si affacciano tutti su corso Sforza, la stessa via del museo, contenitore e contenuto dedicato principalmente all’artista cotignolese del primo novecento che ha sede nell’antica casa degli Attendoli, a pochi passi dal fiume Senio, teatro e argine quest’ultimo di una lunga battaglia che mise sotto assedio il paese, per centoquarantaquattro giorni, durante la Seconda Guerra mondiale. A Fusignano invece tutto avviene vorticosamente dentro al Museo civico San Rocco, un ex ospedale, un edificio ottocentesco che conserva nell’atrio e colonnato di ingresso al primo piano, due belle statue in gesso di Visani ad accoglierci e accompagnarci in un rinnovato spazio espositivo e museale così articolato: tra le ampie sale dedicate alle mostre temporanee, la raccolta di targhe devozionali in ceramica e una nuova ala e sezione del museo, recentemente inaugurata, che attraversa e ripercorre i fatti e le memorie del centro abitato e del paese, dalle origini alla rinascita del dopoguerra, intrecciando vicende storiche e artistiche, si snoda il percorso espositivo in cui si stratificano, susseguono e affiancano narrazioni diverse: dalla selva alla presenza dell’acqua in territori un tempo paludosi, fino ad Arcangelo Corelli e ad alcune figure dell’arte romagnola quasi agli antipodi, se affiancati, su tutti Francesco Verlicchi e il sorprendente Annibale Bergamini; e anche qui il fiume Senio, teatro di guerra, tra Linea Gotica e Resistenza.

Selvatico disegna e costruisce un percorso espositivo che attraversando, articolandosi ed espandendosi tra le varie sedi e sezioni connesse tra loro, assume così la forma complessa e frastagliata di un arcipelago, o di una vasta e ricca costellazione punteggiata da piccole personali, con risonanze molte e un esteso dialogo e confronto capace di abbracciare e coinvolgere cinquanta artiste e artisti tra disegno, scultura, ceramica, collage, ricamo, fotografia, incisione e pittura. E un certo grado comune di artigianalità e interesse per la materia, che significa vita, errore, sperimentazione, disciplina, caso e imperfezione (per quanto si cerchi di superare questa condizione, instabile e contraddittoria, con la pratica quotidiana e il lavoro) alla base di tutte le cose presenti, forme e immagini, dettagli, frammenti e superfici, modi di vedere, pensieri e idee del mondo. L’idea o suggestione alla base della mostra, e la mappa che essa traccia e proietta, è un susseguirsi un po’ labirintico, a tratti domestico, di edifici, piani, camere e interni, abitati temporaneamente da opere e installazioni, con un andamento che procede quasi per scatole cinesi, alternando temperature, linguaggi, tecniche, temi e materie differenti a dettare il ritmo e l’avvicendarsi degli umori e cromie, a creare sistemi di senso che governano delle quasi sezioni e sottoinsiemi in cui si raccoglie, distende, sovrappone, interseca e presenta infine il percorso espositivo: dall’insieme al dettaglio, dalla singola opera alla stanza, e alla mostra tutta. E mostra che può essere letta così, attraverso un doppio movimento o modalità, ossia a partire da un singolo disegno o dipinto o da una scultura per connettere via via gli incontri e le cose viste in un processo di orientamento, svelamento e gioco a incastri a cui si aggiunge ogni volta un tassello a chiarire, decifrare, svelare e completare il disegno complessivo, oppure partendo dall’architettura d’insieme o struttura che governa il percorso espositivo, e da questo, incontrare le presenze, scendendo ed entrando nel particolare, attraverso un movimento contrario a quello precedente e che parte invece da una specie di visione a volo d’uccello che via via si abbassa fino a entrare nel paesaggio o panorama quasi perdendosi nel frammento e nel particolare. Una geografia vista dall’alto o esplorata e compresa con i piedi per terra quasi immaginandola, registrando gli spostamenti con misurazioni empiriche. Chiamando comunque e sempre, chi guarda, a congiungere e connettere, trovando ordine tra le cose e i pensieri, e suggeatlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 53


rendo poi nuovi rapporti e traiettorie personali, impreviste anche, nuovi e altri sistemi di senso, collegamenti. Foreste. Fantasie e fantasmi. Sguardi. Giardini. Luce e ombra. Archivi. Pause. Sottrazioni e accumuli. Naturalia e mirabilia. Mondi magici. Immaginazioni e memorie. Il bianco e il nero e il colore. Disegno scultura e pittura disegnata. Geografie. COTIGNOLA A Cotignola la mostra coinvolge trentuno artiste e artisti e cinque spazi espositivi tra cui, oltre al Museo Varoli, alcuni luoghi ricavati all’interno di edifici, case, palazzi disabitati e negozi sfitti. Qui, come sempre, la mostra ruota, irradiandosi, intorno al museo dedicato alla vita e alle opere di Luigi Varoli (1889-1958) che fu molte cose insieme, pittore, scultore, musicista, conservatore, uomo giusto, maestro ed educatore, e che seppe creare a Cotignola, dentro alla sua casa studio e alla locale scuola di Arti e Mestieri, ostinatamente e in maniera visionaria e resistente, stupida e contraria, una sorta di cenacolo che ha permesso a molti artisti di emergere o trovare qui un approdo o sponda momentanea, da Umberto Folli a Giulio Ruffini, da Gaetano Giangrandi a Ettore Panighi, da Primo Costa fino a quell’incredibile pittore che fu Mattia Moreni, e molti altri; e Selvatico, da questa energia centripeta e centrifuga al tempo stesso, riparte, connettendosi a questo spirito, portando l’arte contemporanea, non solo genericamente in provincia, ma davvero ai margini e confini, nella periferia e campagna piena, nutrendola di nuovi sguardi e incontri. E viceversa nutrendo gli artisti con pratiche non somiglianti ad altro. L’arte contemporanea è molte cose, innanzitutto è contemporanea, ossia è fatta da persone che vivono qui e ora, verrebbe da dire scherzandoci un po’ su, con noi e come noi, e per questo è ancora uno strumento di scoperta, di crescita ed emancipazione; è un tentativo di orientamento, incontro e trasformazione; è una forma di attenzione ai luoghi e alle persone. E il suo essere diffusa e distribuita secondo dinamiche e fioriture imprevedibili, l’essere disposta a calarsi in contesti che funzionano diversamente misurandosi con altre tipologie di ostacoli e difficoltà, è anche, in qualche modo, anzi, in modalità molte e differenti, una tradizione italiana, una peculiarità capillare che continua a essere sorprendente, vitale e necessaria: un museo diffuso, il 54

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susseguirsi di scuole e centri, scambi e pensieri che costituiscono la nostra geografia più intima, vera e profonda. Il panorama contemporaneo italiano è punteggiato e sostenuto da più di un esempio in questo senso, con persone che lavorano e credono in progetti pubblici e politici che si irradiano luminosi da luoghi isolati, difficili, periferici o estremi, distanze capaci di richiamo e forza attrattiva, propositiva e produttiva. E, senza nascondersi o peccare di falsa modestia, Selvatico è certamente uno di questi. Adesso, finalmente, siamo dentro alla sede del Museo Varoli a Palazzo Sforza, un edificio storico che fu la casa della famiglia Attendoli; da qui partiamo in un certo senso, da Cotignola culla degli Sforza come viene chiamata talvolta, considerato che questo piccolo paese ha dato i natali a Muzio Attendolo, soprannominato lo Sforza, il quale, grazie al mestiere delle armi, a successi in battaglia e a una altrettanto abile strategia fatta di matrimoni combinati, riesce a compiere il salto breve e vertiginoso che porta suo figlio Francesco al ducato di Milano. Fragrantia durat herculea capta manu come riportato nello stemma cittadino, leoni e mele cotogne, animale e vegetale, forza e fragranza. Questa convivenza, incontro e scambio tra regni potrebbe anche essere una delle chiavi di lettura di quanto vedremo in seguito.

Al piano terra tre ambienti, solitamente gli spazi destinati alle


mostre temporanee del museo: qui, in una prima stanza, Thomas Scalco, una sala più ampia che si dividono e in cui si incontrano Elena Hamerski, Ilaria Cuccagna e Elisa Bertaglia, e un’ultima camera con Fabio Romano. Quasi nature, sterili, ultime; gemmazioni e ossimori; impronte, innesti e superfici, fragili e delicati reperti vegetali, ossicine, lastre, marmi, pietra, venature e striature; punti e macchie. Il disegno, la pittura e la scultura, e loro confondersi, slittare, interferire e capovolgersi. Leggerezza dei materiali e senso di precarietà; resti e rovine, fossili, profili antichi perduti, polvere, pigmenti e combustioni. Una sorta di sezione archeologica o della fantascienza, principalmente in bianco e in nero, colori mondi opposti e dialoganti. Il blu. Schermi. Spazi siderali, soglie e orizzonti degli eventi; immagini generative e biologia; visioni da microscopio, soglie e interni; macchie e movimenti. La carta: libri artigianali e diari, piegature e collage, il giallo opalino e trasparente dell’olio, velature e trasparenze. Fiori, foglie e carbone; flora e fauna. Tentativi di classificazione e preservazione. Resine e siliconi. Il vegetale e il minerale. Stridore di materiali caldi naturali artificiali freddi, e leggerezza dell’impianto. Nature morte, ancora vita. Muschi a coprire. Funghi e muffe. Fioriture. Visioni notturne. Patine e velature.

Al primo piano del palazzo, nella pinacoteca dedicata a Varoli, tra i celebri mascheroni in cartapesta che raffigurano perdigiorno e vagabondi cotignolesi, e i molti ritratti disegnati e dipinti, vera e propria galleria degli affetti, con storie, memorie, vite e persone trattenute e al tempo stesso perdute nei molti volti fatti dall’artista, tra tutti questi sguardi che costituiscono il cuore della raccolta, con sculture in ferro e teste in legno e terracotta, in mezzo a questi fantasmi, chiamati ad abitare il museo, si affiancano altri magici e commoventi volti, le maschere e i corpi di pane di Matteo Lucca: la farina usata per la colla e la lievitazione, il processo di metamorfosi e la trasformazione casuale nella cottura di queste sculture mobili e vive; la terra, l’acqua e il fuoco. Il calco e l’impronta. Materia lievitante, con respiro. Al secondo e ultimo piano dell’edificio la sezione dedicata ai quattro Giusti cotignolesi e a quella rete dell’ospitalità che permise tra il 1943 e il 1945 di offrire accoglienza e protezione a quarantuno ebrei in fuga dalle persecuzioni e leggi razziali; e, quasi parallela, la vicenda tragica della Linea Gotica e del fronte bellico sul fiume Senio con il disastro delle vite perdute spezzate, e il centro del paese raso al suolo dai bombardamenti alleati; paese ridotto a conti fatti a un paesaggio lunare, con cumuli di macerie, ammassi, crolli e distruzione ovunque. Qui si trova un’installazione permanente di David Loom intitolata Frame, fatta a partire dall’archivio fotografico del comune di Cotignola, e che rientra a pieno titolo nel percorso di questa mostra. Proiezioni affioranti svanenti all’interno di una camera nera, rumore di passi sull’erba, il fiume, il vento, rombi, boati e tuoni lontani incombenti; carbone a terra e un’essenza profumata nell’aria. Così come rientra questa storia di ospitalità e solidarietà che ha sicuramente nella tragedia del popolo ebraico il suo acme, fortunatamente, in questo piccolo ma importante e significativo caso, con un lieto finale; una rete ospitale capace di allargare questa trama di accoglienza a semplici sfollati, irregolari, antifascisti e rifugiati politici (Ernesto de Martino, sposato con Anna Macchioro, una donna ebrea che a Cotignola aveva legami di parentela, trovò qui rifugio e scrisse parte di uno dei suoi più libri più celebri e sofferti, Il mondo magico).

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persistenza ultima della forma. L’incisione, la stampa e il monotipo, dalla natura al manufatto e viceversa; panorami, architetture, scheletri e finestre; nature, foglie e tinture, pressioni meccaniche e ombre, giungle, cascate, foreste di segni, gesti e tracce; movimenti spadaccini, curve e morbidezze ritorte cascanti vegetali. Sismografi; rilievi ed equilibri. Nero e blu. Il grigio sempre, sensibile e ricettivo. Trascinamenti e scie. Tracciati. Carbone e inchiostro. Bave argentee e filamenti nella notte.

Nelle due sale al secondo piano, che fino a poco fa ospitavano l’archivio storico, (recentemente spostato nel palazzo della biblioteca liberando questi ambienti che accoglieranno in futuro una nuova sezione del museo dedicata agli Sforza e ai tre pittori cotignolesi del Rinascimento, Francesco e Bernardino Zaganelli e Girolamo Marchesi), troviamo Silvia Vendramel, CaCO3, Giorgia Severi in una, e Federico Guerri e Francesco Geronazzo nell’altra. Qui superfici vibranti e preziose a dettare il ritmo, luccicanze, scintille e opacità, sfregamenti, e forme che potremmo definire a tratti quasi monumentali rispetto a quelle più intime e fragili viste al piano terra, e che pure sono in diretta continuità e connessione con quanto incontriamo, sperimentiamo e vediamo ora: distese di prati e spighe, onde e movimenti volatori di vento a entrare e scompigliare, scuotere e increspare; sporgenze, ruvidità, rientranze di pareti e blocchi di roccia; montagne; resistenza del materiale; specchi e riflessi di metallo liquido, lava e foglia d’oro, cerchi nell’acqua, eco di geometrie scomposte ed esplose; impronte, crescite e materie, innesti, tracce, segni del tempo, corrosioni, limature, barbe taglienti e scavi. Il mosaico, l’assemblaggio, il frottage e il disegno, il vetro, la carta e il cemento, il bronzo e le sue patine. Sabbiature. Paesaggi, forme misteriose e magiche, elementi artificiali ritornati alla natura attraverso il processo; seppellimenti, calchi, coperture pompeiane, vuoti e pieni, buchi e fori, ramificazioni e steli, 56

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Il percorso espositivo di Cotignola si muove con un ritmo che alterna velocità e densità differenti: all’affollarsi e convergere di presenze molte che creano un dialogo serrato e fitto, che diventa a tratti quasi labirinto di stanze e foresta abitata da immagini e cose, come avviene dentro ai palazzi Sforza e Pezzi, si affiancano poi altri tre spazi in cui invece l’andamento sembra distendersi e rallentare, e farsi più rado, soffermandosi su isole più piccole, pause nella mappa facenti parte di questo arcipelago e rappresentate da mostre in solo che espandono e allargano lo sguardo e il respiro: è il caso delle sedi in cui troviamo Manuela Vallicelli, Alice Padovani e Chris Rocchegiani. Manuela Vallicelli espone in un piccolo edificio, a fianco di casa Varoli, che è stato recentemente acquisito dall’amministrazione comunale e che, congiungendosi alla casa studio dell’artista, entrerà a far parte dell’offerta museale accogliendo e ospitando la rinnovata sezione dedicata alla rete della solidarietà e ai quattro Giusti cotignolesi, così come alla memoria del fronte sul Senio e alle vicende della seconda guerra mondiale che hanno così fortemente e drammaticamente segnato la storia del paese. Grandi dipinti che innescano una vertigine percettiva capace di oscillare senza sosta tra uno sguardo dall’alto che sembra sorvolare paesaggi primordiali, pianeti lontani e panorami familiari eppure mai visti, e uno che si cala entrando nel dettaglio e profondità interne, ingigantendo la visione come in un’osservazione biologica, molecolare e cellulare da microscopio. Micromondi immensi e spostamenti misteriosi di pigmenti rispondenti a ordini e regole segrete sconosciute che si rovesciano cristallizzandosi in macrovisioni. Vallate e ampie distese, montagne e crinali, spiagge, mari e fiumi e laghi, deserti, grotte, forre e crateri, magma pallido spento; corpi, tendini e interni, nervi e legamenti, superfici e membrane, liquidi che scorrono, l’umido e il secco, maree interne al cervello, cartilagini, fondali scoperti e cinema


della mente. Pelle. Bianco nero verde marrone. Pittura espansa. Geografia e scrittura. Casualità e controllo. E, dentro alla camera delle meraviglie varoliana, tra gessi, pietre e ceramiche, libri e vecchie fotografie, strumenti musicali antichi, ex voto, ossa e bestiari, disegni, maschere e pupazzi di cartapesta, frammenti e mancanze sparse, reperti e chincaglierie varie, gli archivi di Alice Padovani, tra natura e artificio, palinsesti ingannevoli, delicati, incantati e mimetici. Un canto fragile alla durata. Dramma ricomposto e preghiera. Cosmologie e tentativi di mettere ordine al mondo a partire da schegge e resti, ritrovamenti e abbandoni. E pratica della ripetizione che guarisce e sospende, e impazzisce forse, o resiste. Costruzione di sistemi complessi, chiusi e protetti in forme semplici e geometriche. Architetture mantra. Precarietà di mandala. Sistema. Il disegno dall’alto a governare e l’attraversamento necessario: diario del tempo, dei giorni e delle ore. Ricomporre geografie e mondi, ciò che è stato disperso. La curva e l’angolo, il caos e il metodo; giardini ancora. Usciti, ritornati su corso Sforza, a fianco dell’ingresso del museo, un negozio sfitto, con vetrine che si affacciano sul corso, ospita e accoglie la pittura di Chris Rocchegiani: tele non preparate grezze e ultime pennellate, segni e tracce zen e gesti minimi isolati; il dettaglio o il restante del processo come parte per il tutto, resistente azione di asciugatura, perdita, distaccamento e screpolamento, tra memoria e possibilità future e aperte di evoluzione dell’immagine; e immagine in bilico tra figurazione e astrazione, oscillante drammaticamente giocosamente tra una descrizione a tratti minuziosa e un coagulo o sporcatura informale, tocchi solitari trattenuti e gesto risuonante, macchia di colore bellissima come ritrovamento e resto archeologico. Paradisi perduti. Uccelli, battito d’ali, animali e vegetazioni, paraventi, echi della natura dipinta a svelare i meccanismi stessi della pittura, la sua storia e durata quasi svanente sotto gli occhi eppure ancora stupefacente nel lacerto e frammento che inonda e accende infuocando la camera. Poco più avanti eccoci a Palazzo Pezzi, uno dei pochi edifici scampati fortunatamente ai pesantissimi bombardamenti alleati subiti durante la guerra ai nazifascisti. È un palazzo molto grande e di pregio, all’epoca della seconda guerra mondiale, sede di un’importante collezione privata di strumenti musicali ad arco

poi trafugata in larga parte dai nazisti in fuga. Al piano terra, tra scultura, disegno e pittura, è il bianco decisamente a governare l’atmosfera: opalino, lattiginoso, intatto, sporco, luminescente. Laccature. Vapori e nebbie. Il grigio e l’ombra. Ambra e cera. Tracce e impronte e sfregamenti. Stropicciature. Fondali. Viaggi. Carte geografiche con fiumi, increspature, avvallamenti e rilievi. Corpi. Curve perfette. Bestiari, montagne e nature, giardini selvatici e foreste, raccolte e archivi del mondo tramite pezzi sparsi e frammenti alla deriva, depositati sulla superficie come relitti; la pelle del corpo e i suoi infiniti disegni e tracce e piste, nei, laghi e fiumi di una geografia ravvicinata, inesplorata e ancora esotica. Peluria. Pori e squame. Mappe e vertigini. La pittura come un piano lunare, apparizione luminosa, con zone buie, grotte e caverne. Candore. Neve. Ghiacciai. Visioni come al microscopio che si capovolgono in spazi siderali e apparizioni inspiegabili. Simboli e feticci. Materia e pigmento. Ceramica e resti animali; sciamanesimi improbabili che si capovolgono in inganno e vanitas barocca, restituzione ironica e mimetica, seconda vita delle cose e sberleffo, capogiro sempre pericolosamente in equilibrio tra eleganza raffinata e gusto per il kitsch, rito arcano e carnevalesco. Gioco bambino tra il commosso e il crudele. Durezza minerale del disegno. Incanto congelato della pittura. Morbidezza di polvere, volatile aerea, e liquidità di colore non ancora coagulato. Forme nel paesaggio. Corpo paesaggio. Panorama. Costrizioni dello sguardo e sperdimenti sensuali. Cascata dei sensi, sua registrazione e memoria lacunosa incompleta. Ettore Frani, James Kalinda, Chiara Lecca, Giovanna Caimmi, Chiara Enzo E, a fare da contrasto e controcanto a quanto visto al piano terra, al primo, ecco un piano tutto denso di pittura e colore, gesti e pennellate, tracce, colature e cascami: il corpo sensuale mutante languido, il corpo come campo di battaglia, teatro di lotta e sfida, autoritratti più o meno nascosti, celati e interni; la natura traboccante e romantica e il suo eco di tempeste e nuvole e cascate e pennellate sospese e galleggianti; il cinema come atlante del mondo tutto, completo e a sé stante, con frammenti sparsi, salvati, isolati e alla deriva, dipinti per essere bloccati per sempre e lanciati nello spazio per messaggi futuri in bottiglia, una parte per il tutto, memoria del mondo; il gesto esplosivo rosatlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 57


Qualcosa di molto vicino al teatro in questo. Una messa in scena. Dipinta. Spezzata. Ricomposta. Sarah Ledda, Barbara Fragogna, Maurizio Bongiovanni, Alice Faloretti, Mattia Noal, Elisa Muliere, Milena Sgambato, Giacomo Modolo

so e rosa della pittura carne, l’ingaggio informale ravvicinato nel dettaglio che diventa immenso e ci sperde, lo scontro di forze. Pittura sudario, volti come veroniche o macchie, e la pittura che si fa velo e che, come ossimoro, scoperchia il mondo. Cascami. Abiti. Capelli e parrucche. La pittura come corpo, il corpo come paesaggio. La pittura come carne. Panorama e paesaggio interno, che accade per convenzione dentro i margini e la cornice. Finzione che dobbiamo accettare pena il perdere questi mondi.

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E lungo le scale e al secondo piano, si riprende il discorso intorno ai fantasmi, ai bianchi e alle ombre e ai fuochi fatui lasciato quasi in sospeso al piano terra: fotografie sporche e imbastardite con il disegno e la pittura e altri materiali plastici a schermare e complicare la visione, e stratificazioni di trasparenze e storie e sguardi e tempi a corrodere certezze e linearità di visione; la carta e la tela in fogli volanti sospesi, macchie e aloni; il tempo che passa dragato ed esplorato, richiamato e riportato qui e ora con tutte le sue ferite e sfasature e drammatiche finzioni; astrazioni di superfici e immagini ad affiorare da dentro, gorghi, vortici e mulinelli, contenitori di racconto, soglie per l’emergere improvviso e violento della memoria, ancora nature e geometrie e paesaggi e pezzi di mondo racchiusi nell’ambra; il marmo e il vapore. Cinema. Pittura. Disegno. Crescite e abbandoni. Storie. Apparizioni ed epifanie. Il nero e il verde. L’acqua. Valentina D’Accardi, Giulia Manfredi, Luca Piovaccari, Giovanna Sarti


FUSIGNANO A Fusignano undici sono le artiste e artisti dentro al Museo civico San Rocco. All’ingresso, al primo piano, a mettere ordine e dispiegare in un solo colpo d’occhio quel che troveremo in mostra e nelle sale, c’è una parete su cui è allestita una quadreria collettiva composta da un disegno a testa per ciascun autore presente: schizzi, progetti, appunti sparsi, disegni finiti o incompleti, la carta come membrana sensibile e il disegno come una delle spine dorsali di questa mostra, non a caso una delle cose che qui si incontrano subito, prima che il percorso si ramifichi proponendo e aprendo contemporaneamente varie direzioni e piste, sentieri che si riprendono poi e intrecciano come fiumi carsici nel dispiegarsi circolare del percorso espositivo. La prima sala si apre ancora una volta alla pittura, campo d’indagine prediletto di Selvatico, con i dipinti di Michele Bubacco, Paolo Maggis e Matilde Baglivo; volti e corpi e panorami felici da cartolina, parti e frammenti, pittura che esplode, si irradia, mangia e sommerge, pezzi sparsi ricomposti, sovrapitture e coperture, ritagli, collage mentali e fisici, stratificazioni; coesistenza di piani e convivenza di stili a tratti quasi schizofrenica; maschere e sguardi, il corpo come paesaggio, la pittura come fiume che copre e sedimenta facendo affiorare fantasmi e l’ultima pennellata vincente infine; il dettaglio che si prende la scena, allargarsi ed espandersi ravvicinato della pennellata e trama, pittura come un mare che porta alla deriva e disperde la visione togliendole riferimenti, approdi e appoggi; tagli, cesure e spezzature, ingaggio e agone della battaglia, ripensamenti, particolari a collidere e scontrasi, rallentamenti e soste, voragini risucchianti; sguardi e facce da un tempo lontano primitivo come incubi, ritratti con occhi luminosi bucanti e una platea di volti misteriosi che non so se provenienti dal passato o dal futuro. Sovrapposizioni e rotture. Tempeste e temporali interni alla superficie. Stratificazioni e terremoti del segno a scuotere. Nella saletta centrale l’incontro elettrico tra Federica Poletti e Valentina Biasetti: il corpo e il volto qui, e loro strano alternarsi, oscillanti come in un sogno tra massima e puntigliosa descrizione e negazione o impedimento del vedere, precisione di dettaglio e non finito, accanimento e abbandono; lo sguardo vojuer, il colore squillante e la persistenza imprendibile dell’immagine, ultimi frammenti salvati resistenti sospesi e visioni che

attendono di essere completate; il mistero, magia e potenza del corpo, l’immagine e suo mostrarsi violento, sensualità e colori saturi zuccherini; vortici, turbinii e tenebre. Un corpo a corpo tra disegno e pittura; buchi e punti luminosi, decorazioni, scoperchiamenti, tracce e caverne. Desiderio che muove. Posizioni bloccate come di attori in scena; una danza; o pitture antiche con simbologie di gesti perduti esatti precisi. Statue, sagome, silhouette, perimetri e impronte. Abiti, tessuti, stoffe e avvolgimenti a coprire e a ricordare forse anche le molte pelli e stratificazioni della pittura stessa. Pelle e carne, muscoli e nervi. Ingaggio mimetico del segno e superficie. Cascate di capelli e maree. Chimere e comete scintillanti. Sibille e oracoli. Mantra della ripetizione e varianti teatrali anatomiche; e l’identità, parola pericolosa e indefinibile, messa in scena e in discussione, sempre, scorticata urlante. Disegno dipinto e pittura disegnata. Mancanze. Proiezioni e materia. E una camera che funziona anche come raccordo tra le due sale che congiunge, mescolando e inglobando le differenti temperature che rispettivamente le governano, così come doppia e circolare è la dinamica interna a questa stanza, grotta rischiarata con figure e apparizioni mute. E nella circolarità di questo percorso a cui si accennava sopra, queste due autrici ritorneranno poi anche al museo, in una saletta al piano terra in cui questa atmosfera di grotta dipinta diventerà se possibile ancora più evidente. Nella seconda sala Nero/Alessandro Neretti, Andrea Salvatori e Dem; tre autori diversissimi eppure con convergenze e punti di contatto inattesi che vanno oltre la dimensione comune della scultura e ceramica che li accomuna, e che sono poi i linguaggi, insieme al disegno, che governano questo ambiente e stanza, nonché l’incontro, convergenza e convivenza tra i tre artisti. Il volto e la maschera, il feticcio, l’amuleto e il talismano, oggetti trovati e chincaglierie, animismi sparsi, atlanti e archivi, sradicamenti e slittamenti di senso e contesto, ironie che rifanno le cose come nuove, copie, finzioni e capovolgimenti grotteschi e magici. Una certa irriverenza e sarcasmo a smontare e tirare giù dal piedistallo le presenze mescolando indistinguibili l’alto e il basso, il pop e la storia dell’arte. Museo del mondo, una stanza degli oggetti e delle cose, e delle storie quasi perdute. Busti, vasi, astri, meteoriti, animali, mostri, cose stregonesche e sciamaniche, ritrovamenti vari, statuine e pupazzi. Accumuli e palinsesti fitti e barocchi. Mercatini. Sculture dozzinali da giardino. Fantasia/Fantasma. Pittura tra immaginazione e memoria 59


Antropologia e simboli. Occhi. Buchi. Irriverenze e trasformazioni, e la ceramica a creare una sponda ideale e collegamento stridente con la raccolta di targhe devozionali. E poi, dentro al nuovo museo, tra le collezioni, gli oggetti e le storie del luogo e del territorio, una coppia di pittori, Alessandro Finocchiaro e Giulio Catelli, intreccia un dialogo serrato con queste presenze e narrazioni attraverso il riflesso e specchio del disegno e della pittura, con un gioco divertito e lieve sui generi tradizionali che a queste memorie si affiancano facendone eco e rilanciandole in altre direzioni; disegno e pittura che diventano a loro volta sia esercizio di memoria che pratica di avvicinamento e scoperta, strumenti e armi per vedere meglio, esplorare e comprendere. Un dialogo a potenza. Infine, dentro alla raccolta di targhe devozionali Ilaria Margutti: si tratta di un museo di targhe in ceramica raffiguranti per lo piĂš madonne, anche santi certo, frutto di una devozione popolare,

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diffusa e domestica, a cui si sovrappone in un vero e proprio cortocircuito, il ricamo, il cucito e il filo paziente e lento a tramare il mondo, e capovolgere destini, attraverso un linguaggio in origine destinato al femminile e circoscritto all’ambito domestico, se non punitivo, di certo di controllo e sottomissione, eppure ancora piÚ che mai vitale; qui, il filo di cotone come vene e nervi e arterie, capace di crescite, sviluppi e ramificazioni vegetali anatomiche; semi, linfa, gemme, radici, fiori e foglie, capillare, filamenti rossi e neri di sangue e carne e tessuti candidi virginali su cui aprirsi e distendersi, diari del corpo e metamorfosi di donna albero. Ragnatele. Geografie sentimentali. Il corpo come paesaggio. Il disegno come scrittura e preghiera. Le ore e il tempo. E poi, in fondo, come detto sopra, in una stanza quasi nascosta ecco l’ultimo ritrovamento e incontro con altri dipinti e disegni di Valentina Biasetti e Federica Poletti, il femminile ancora, ciclico, tellurico, a rifare il mondo, misterioso ancora. Migliore.


VILLANOVA DI BAGNACAVALLO Email inviata martedì 13 agosto 2019 alle 1:02:48 a Ana Hillar, Giorgia Moretti, Amanda Chiarucci, Luca Zarattini, Paolo Buzzi, Giacomo Cossio, Raniero Bittante e Michele Buda (e in copia a Giorgia Severi) Ciao Giorgia, Ana, Amanda, Luca, Giacomo, Paolo, Raniero e Michele, vi scrivo insieme e contemporaneamente per proporvi, sempre che ne abbiate voglia e tempo, e sempre che il progetto rientri nelle vostre corde, e vi stimoli pure, una sezione del prossimo episodio di Selvatico che si intitolerà Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti, che vorremmo costruire con e insieme a voi, e che, nel vostro caso, dovrebbe avvenire e succedere dentro all’Ecomuseo delle Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo, spazio che, grazie a Giorgia Severi, che collabora con questo museo e ci legge in copia, ho scoperto in maniera approfondita solo recentemente, con stupore e meraviglia tanti; mi muovo solo ora, un po’ colpevolmente, perché prima dovevo chiudere le mostre di Fusignano e Cotignola che mi hanno tenuto sommerso e impegnato per quasi tutta l’estate (e che inaugureranno a fine ottobre), e così mi sono trovato con la mente sufficientemente libera e sgombra per poter attendere e ascoltare nuove immagini e incastri fertili e generativi, solo ora… Si tratta di un ecomuseo, il museo delle Erbe Palustri appunto, un posto magico, fatto da persone potenti e resistenti, con una direttrice guerrigliera e battagliera, che ci ha dato disponibilità ad accogliere una sezione di Selvatico che ho immaginato, a grandi linee, così: un lavoro a testa, un artista per stanza o sala, con installazioni o sculture o lavori esposti su tavoli e piani, o a terra anche, dove funzioni, sia per differenziarci dall’allestimento museale che raccoglie sguardi antropologici e oggetti della memoria e conoscenze contadine, pienissimo e densissimo alle pareti, capace di passare dalle genti al paesaggio attraversando e raccogliendo una serie di saperi antichi non ancora, qui, del tutto perduti, sia perché lavorare alle pareti risulta infine, in questo caso specifico, molto complicato. Il museo è davvero un atlante, per riprendere il titolo della mostra, che vorrei mettere in relazione e dialogo con le vostre opere, riflessioni e sguardi: il rapporto tra natura e artificio in Paolo, Giacomo e Raniero, la terra, l’acqua e il fuoco come elementi e materia ancestrale, alchemica e magica in Ana, con sortilegi, feticci e corpi; il disegno e l’incisione in Giorgia, soprattutto i be-

stiari e quella parte relativa a strani animali e pesci e spine dorsali e innesti e metamorfosi, carte che vorrei mettere in una sorta di vicinanza con le memorie di un territorio palustre spingendo sul quel lato fantastico che qui è presente, meraviglioso, sui racconti e credenze, favole e storie sepolte, con folletti, streghe e diavoli, e racconti per superare la notte, preghiere e riti per rendere fertili i campi o conoscere il futuro. La fotografia come indagine e scoperta sulla continua e incessante invenzione del paesaggio, svelamento di geometrie e rapporti che regolano tengono in ordine e in asse il mondo; parallelamente agli intrecci, alle trame, orditi e pieghe pazienti della carta in Amanda, e anche, in uno slittamento, di angoli mai visti in Michele e Raniero, esplorazioni quindi, ancora esotiche forse e avventurose. Il riutilizzo e seconda vita delle cose, l’invenzione e una specie di economia e funzionalità degli oggetti che si trasforma in bellezza, e che nelle campagne è sempre stata presente, una sorta di imprendibile senso estetico e vitale che governava tutto, dall’orto ai campi, dagli utensili alle barche, dalle case e capanni; qui penso a Giacomo e Paolo, e Luca anche con i suoi collage; l’intreccio, il cucire paziente e la ricomposizione del frammento, che sia naturale o dipinto, in Luca ancora, e nelle trame che qui ancora si creano con le canne, il vimini, le erbe e la paglia, ancora Amanda. Adesso forse, ricucire le ferite e i pezzi del mondo alla deriva, occuparsi degli scarti, dei margini e di ciò che resta indietro. Sortilegi sempre, e un senso del magico ancora, tra saperi tramandati oralmente e invenzioni geniali affinatesi nel tempo e che si perdono all’indietro; natura e prodotto dell’uomo se non indistinguibili a tratti, perlomeno facenti parte dello stesso mondo. Continuità e contiguità di senso. Miglioramenti lenti e raffinatezza delle soluzioni. Tela di ragno, telai e croci nella campagna. Erbe e frutti, ricette, materiali e materie prime presenti sul posto. L’invenzione che parte dalla necessità, l’estetica diretta conseguenza della funzionalità. Altre forme di naturalia e mirabilia, più quotidiane certo, popolari, per nulla aristocratiche. Segrete a tratti. Perdonate i pensieri sparsi e a braccio, buttati giù sull’onda dell’entusiasmo di un incontro con Giorgia Severi fatto questo pomeriggio, che credo risolutivo, e che, pur nel disordine dell’esposizione, mi pare che ben si adattino al luogo e allo sguardo di questo nuovo Selvatico, che non si concentra solo sulla pittura ma attraversa e congiunge disegno, pittura, scultura e fotografia, e tutte le loro infinite e innumerevoli intersezioni, scivolamenti, slittamenti, incontri e mescolanze. atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 61


La mostra inaugurerà a partire dalla seconda metà di novembre; la nostra idea sarebbe quella di incontrarci al museo già martedì 20 agosto alle 15, per fare un giro e una visita guidata insieme alla direttrice Maria Rosa: lì potrete scegliere e capire cosa di questo luogo e raccolta di storie e memorie più vi intriga; di sicuro, visto e considerato lo spazio, sarebbe molto bello riuscire a fare qualcosa di dedicato, ma conoscendovi bene tutti penso di poter azzardare questa richiesta e scommessa un po’ al limite. Non vi spaventate però, già vedo molte connessioni e convergenze tra le vostre anime e quelle che questo museo raccoglie e tiene insieme. Quindi, riassumendo, due artisti tra disegno e pittura, incisione e collage (Luca e Giorgia) due sulla fotografia (Raniero e Michele) due sulla scultura, innesti, cose e materiali (Paolo e Giacomo), una sulla carta, intrecci pazienti e origami (Amanda) e una sulla ceramica (Ana). E, soprattutto, come queste definizioni grossolane siano un’indicazione di massima per intenderci e capire quali connessioni siano scattate in me, quali i rimandi, e come in realtà questi confini si confondano e saltino, e come infine tutti i vostri lavori siano abbracciati da uno sguardo che si potrebbe definire antropologico e magico, quasi da artista sciamano. Vi ringrazio molto per l’attenzione, e mi scuso per la fretta e l’irruenza. Spero a presto, Massimiliano [Il primo incontro e sopralluogo al museo è avvenuto il pomeriggio di martedì 20 agosto] Da: Amanda Chiarucci | Inviato: Martedì, 20 agosto 2019 20:42:58 Ciao Massimiliano, ti ho inviato messaggi su WhatsApp ma vedo che non vengono letti. Spero per mail di arrivare. Vorrei tanto fare la residenza almeno due o tre giorni. Ne ho proprio bisogno. Vivendo una crisi artistica credo il museo sia il posto giusto per ricaricarmi… La mia crisi riguarda proprio il tema del museo: la nostra alienazione dalle risorse della natura e vedo la mia creazione pervasa da una nostalgia verso la natura che sta diventando una palude. Per cui integrarmi con la genuinità del luogo. Pensavo di fare un weekend. Ora vedo di fare una botta di conti sulle date. Ti mando foto della sala che mi ha colpito ed è quella con le scarpette della regina… la numero 10 nella 62

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mappa che ho visto nel sito del museo… calcolando che vorrei intrecciare qualche erba palustre da integrare con l’opera. A presto AAA Da: Giacomo Cossio | Inviato: Mercoledì, 21 agosto 2019 0:13:05 Buonasera a tutti, oggi dopo il piacevolissimo sopralluogo fatto insieme a voi nel museo di Villanova, ho compreso che lo spazio più adeguato a una mia istallazione è la stanza detta della “Stiancia” o del “Giunco Lacustre”, dove al centro posizionerei volentieri un giardino portatile di dimensioni di 200x200, con piante di color giallo fluo. L’opera consiste in due tavoli di dimensioni 200x100 di ferro con ruote accostati con bordi alti saturi di vasi di dimensioni varie contenenti piante di papiro o calle o di altro tipo… verniciate di colore a smalto con una pistola a pressione. Immagino il contrasto tra il colore sgargiante delle piante e il giallo antico dei primi del novecento degli oggetti accatastati intorno, possa essere molto suggestivo… in seguito, sarò più preciso e cercherò di produrre un’ immagine che chiarisca il progetto. Spero che questo mio desiderio sia accolto favorevolmente, vi ringrazio e vi saluto tutti con affetto. Giacomo Da: Massimiliano Fabbri | Inviato: Mercoledì, 21 agosto 2019 8:31:05 Buongiorno a tutte e a tutti, desidero ringraziarvi per il bellissimo pomeriggio di ieri, per la grande disponibilità e la fortuna sfacciata di poterci essere incontrati tutti con così scarso preavviso (alla mia età ormai, mi affido sempre più spesso a queste coincidenze e segnali). Allora, per quanto riguarda il catalogo: ci legge in copia Marilena Benini, che farà il libro: avete quattro facciate a testa a colori, più due in fondo al libro che funzionano come scheda contenente breve bio, un vostro testo, didascalie delle opere pubblicate e, nella pagina a fianco, un disegno (qui Marilena vi preciserà meglio in quali formati devono arrivare le cose, testi e immagini); tutto da spedire entro e non oltre il 15 di settembre, ma nel caso possiate essere pronti già prima inviate pure, già stiamo raccogliendo materiale. Nb. Come ci siamo detti di persona, non potrà per ovvie ra-


gioni di tempo figurare in catalogo quello che produrrete per l’occasione, ma cercate dove possibile di scegliere comunque qualcosa di vicino o in linea con quello che sarà il vostro progetto, tenendo conto sempre, contemporaneamente, del titolo Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti. Ps. Infine, qualsiasi vostra proposta o decisione prendiate, vi chiedo di condividerla con questo gruppo così saremo tutti aggiornati sull’evoluzione e crescita della mostra, e soprattutto sulla distribuzione degli spazi; quindi, per partire, trovate già l’idea molto concreta, materica e selvatica di Giacomo con la sua ipotetica collocazione e opera, e anche la necessità e desiderio di Amanda che condivido con Maria Rosa e Giorgia Per Michele invece - che ieri non c’era - la data di inaugurazione è fissata per domenica 10 novembre. Grazie ancora! M Da: Luca Zarattini | Inviato: Mercoledì, 21 agosto 2019 13:28:13 Buongiorno a tutti, dopo l’incontro e la visita guidata che ci ha uniti ieri pomeriggio ho individuato la possibilità di presentare una mia installazione pittorico/musicale esposta qualche mese fa per la sola durata di un giorno, al festival Without Frontiers di Mantova. L’opera è composta da 6 tele di 95x140 cm l’una, unite tra loro a comporre un dipinto/collage di 190x420 cm che ha come tema il paesaggio/viaggio nel quale sono andato a scomporre, frammentare e reinventare un altro possibile mondo nel quale compaiono elementi umani/animali/vegetali, che possono essere da richiamo ai contenuti del museo, in dialogo ad una musica composta da me e dal jazzista Gianluca Fortini, mentre suoniamo rispettivamente lo scheletro di un pianoforte a muro smontato, cornici di ferro, pennelli e il clarinetto basso. La sala in cui ho pensato di inserirla è quella della grande barca nella quale andrei a creare un parallelepipedo di legno bianco lungo 4/5 metri che posizionerei al centro dentro al quale inserire un impianto audio collegato a tre/quattro cuffie che fungerà sia da seduta per i visitatori che da riproduttore musicale. Il grande dipinto verrò poi installato proprio di fronte ad esso e alla parete con la videoproiezione. Diventerà molto interessante, per quanto mi riguarda, il dialogo che si verrà ad instaurare tra dipinto, video e audio nel quale

il visitatore potrà determinare che tipo di fruizione desidera ottenere, alternando la visione del dipinto alla proiezione video accompagnata dal mio audio, oppure il mio dipinto accompagnato dall’audio della proiezione, o decidere di dargli completamente le spalle, in base a come deciderà di muoversi all’interno della sala. Attendendo un vostro riscontro vi mando un caro abbraccio. L. Da: Ecomuseo delle Erbe Palustri | Inviato: Mercoledì, 21 agosto 2019 16:00:46 Buongiorno, ringraziamo di cuore tutti gli artisti che hanno partecipato all’incontro di ieri. Faccio presente che dalle richieste fino ad ora pervenute il signor Cossio e la signora Chiarucci hanno indicato la medesima sala come destinazione della loro opera. Cordialmente Andrea Barangani Da: Raniero Bittante | Inviato: Mercoledì, 21 agosto 2019 18:37:46 ...vorrei creare uno spazio sacro, all’interno della prima capanna a destra dell’entrata al Museo. Un taglio netto tra interno ed esterno per separare quello che Derrida definiva la violenza dell’archivio o museificazione del mondo che ha trasformato ogni soggetto moderno occidentale, il mondo e i suoi abitanti in oggetti. Uno spazio di confine tra il mistero che ci è stato tolto e tutto l’esistente. Trasformare il breve atrio della capanna in una navata, collocare una parete di canne e gesso colorata con il carbone sul fondo che diventerebbe un’abside, porre al centro una delle mie teche Playstone… creare un cortocircuito tra la situazione della palude e l’aspirazione a salire verso il cielo. Costruire una porta girevole, simile alle ruote degli esposti nei conventi, che chiuda e separi in modo totale i due luoghi. Da: Amanda Chiarucci | Inviato: Mercoledì, 21 agosto 2019 18:49:58 Giacomo come facciamo??? Ci tiriamo i capelli? Da: Amanda Chiarucci | Inviato: Mercoledì, 21 agosto 2019 18:58:46 atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 63


Allora visto che io non ho affatto le idee chiare come Giacomo e lui ha un’installazione notevolmente bisognosa di spazio abbandono con un po’ di rammarico ma senza tragedie il desiderio della numero 10. A questo punto penso alla capanna in fondo. Visto che mi devo levare di dosso la silenziosa musealità degli oggetti mi do alla capanna sciamanica… per quella c’è qualcuno che ci pensa? Da: Giorgia Moretti | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 0:00:19 Ciao a tutti, io ho diverse idee non chiarissime. Avendo comunque del materiale fragile (cartaceo o tela leggera) installerò la mia opera all’interno. Mi piacerebbe come prima ipotesi la sala con la barca al piano superiore per utilizzare l’interno della barca come una grande lavagna luminosa, oppure come piano di appoggio. La seconda ipotesi è la stanza con le stie, per disegnare o dipingere fantasmi di conigli e radiografie di voli. Da: Ana Cecilia Hillar | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 11:06:31 Vi condivido le mie idee, avrei due progetti, non riesco ancora a decidere quale dei due materializzare. Il primo è una reinterpretazione delle croci propiziatorie, creando un intreccio di simbologie e materiali tra terra cruda, ceramica, ed erbe palustri, con contaminazioni di materiali contemporanei… Questa installazione che ho immaginato di tre croci a grandezza simili a quelle del museo, andrebbe appoggiata a terra e non ha esigenze particolari di spazio, bensì trovare un senso al interno del percorso espositivo, come fossero parte integrante della collezione del museo. L’altro è un lavoro sugli intrecci, intrecci interiori, fatti nel mio caso con il materiale che mi è più consono, la terracotta. Un’installazione anche questa, un percorso di carattere intimo. L’intreccio come lavorazione della nostra interna materia, percorso silenzioso e ripetitivo, come un mantra il movimento delle mani compongono la trama di quello che decidiamo essere. Ritmo millenario mille volte percorso, spesso ora ignorato, tangente nelle mani e nei volti delle persone che hanno tessuto ogni oggetto che il museo raccoglie, metafora semplice e profonda delle nostre orme. Per questo lavoro più intimo avrei immaginato la stanza numero 8 dove ci sono le corde e il giunco pungente. Entro il fine settimana prendo una decisione. 64

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Ringrazio anch’io Maria Rosa, Giorgia e tutto il team del museo per la meravigliosa visita e accoglienza, ringrazio Massimiliano per l’invito selvatico e a tutti voi per la compagnia in questo progetto. Ana Da: Giorgia Moretti | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 15:04:21 Espongo le mie idee in fase ancora embrionale. Prima idea: con sala della barca al primo piano intendevo la numero 7 Canne L’idea era di dipingere un telo leggero (1, 2, 3,4 in allegato opere simili), tendendolo su un telaio che abbia la forma della barca. L’effetto sarebbe quello di una lavagna luminosa - devo capire se l’installazione sia realizzabile, cioè se si riesca ad inserire una luce all’interno della barca per la retroilluminazione, per esempio delle strisce led, e se si riesca a costruire un telaio curvo che calzi a pennello con i bordi della barca, magari con le stesse canne di Villanova. Qualora non risultasse fattibile potrei realizzare dei lavori di pittura / incisione / disegno su un tavolo al centro della stanza, a tema acquatico palustre: es.1 sui microrganismi di una goccia d’acqua di fiume, come le diatomee, es.2 sul mito di san Giorgio e il drago (visto che mi chiamo Giorgia mi è venuto in mente): ci vedrei un bel drago d’acqua in questo posto che rappresenta la natura selvaggia e non civilizzata es.3 sul tema dello specchio d’acqua, dell’immagine riflessa, del doppio, es.4 un’Ofelia galleggiante con i giunchi, es.5 una sirena impigliata nelle nasse… o tutti i temi insieme per creare un po’ di mistero. In alternativa al tavolo normale un piano sagomato, anche in mdf, a forma lanceolare (tipo tavola da surf) riempito con patchwork di disegni, incisioni, dipinti, che richiama la sagoma delle due barche ai bordi. Seconda idea: con “stanza con le stie” intendevo la numero 6 salice e legno dolce. Qui immagino una stanza viva di fantasmi animali, lepri e volatili, molte ossa e radiografie ma anche delle immagini romantiche di voli d’uccello e stormi. Non ho idea come installarli, forse con delle cornici incastrate tra gli oggetti,


oppure solito tavolo al centro della stanza. Terza idea: mi attira molto la porta dello zolfo nell’ultima stanzetta (13), stanza che è già troppo densa di cose per pensare di mettere un tavolo con disegni. Allora ho pensato se all’ingresso (stanza numero 2), dove ora sono allestiti temporaneamente i centrini di zucchero, si potesse spostare quella porta (o un’altra gemella se c’è) e creare una piccola “stanza dello zolfo”. Come una porta verso un’altra dimensione, la luce azzurra della fiamma dello zolfo rimanda ai sogni ma anche all’inferno, oltre al doppio senso di purificazione, delle cose, del corpo e dello spirito. Non ho ancora scelto quale idea e stanza allestire, per questo chiedo anche un parere ai gestori del museo se la terza idea, ovvero spostare la porta dello zolfo al piano terra, sia un problema o no. Grazie mille, a tutti quanti, tra qualche giorno deciderò quale sarà l’idea su cui mi concentrerò, per ora un saluto e un abbraccio a tutti ciao Da: Giacomo Cossio | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 15:06:05 Ciao Amanda, Scusa se non ho risposto prima, volevo scusarmi se ho occupato la stanza! So di mancare di galanteria... Ma il mio lavoro mi è sembrato iscrivibile nel mezzo di quella stanza e mi è apparso. Sono comunque pronto a ricollocamento... se ritieni necessario quell’ambiente. Ciao G.

Grazie Giacomo. Capisco il tuo impeto. Lo condivido. Ma credo che le tue opere stiano bene proprio in quella. Per cui faccio passo indietro. Ti ripeto: non ho le idee chiare. Quindi nel mio cervello ancora c’è riunione senza esito… Grazie per la tua disponibilità, l’apprezzo tantissimo. Il capanno di Bittante lo so che è suo: l’ho capito dai suoi occhi appena sono entrata. Non spezzerei mai tale innamoramento. :-)))) Allora io opto tra ultimo capanno vicino orto e sala 11 come seconda opzione… perché gravito tra due tipologie di idee assai ben diverse. Intanto invio materiale per catalogo… e appena riunione è finita vi avviso subito sul mio contributo. La cosa assurda è che ho un déjá vu... Io ho vissuto o visto tutto questo... ohhhhh MY God!!!!! Presto chiamerò anche! Grazie Giorgia per le stanze numerate: precisissima! Intanto auguro a tutti buon lavoro. Spero di aver notizie anche da Ana! Grazie per la “perfetta sintonia”… sicuramente Massimiliano e il museo mi date una grande possibilità per prendere in considerazione di adottare un altro materiale naturale nelle opere che mi incuriosisce da tempo ma che non ho mai osato sperimentare. Però sono amante da tempo del punto croce… del cavandoli, del punto Emilia ars, del macramè e infine dello Scooby-Doo!!! Quindi wwwwwww il museo delle erbe palustri!!!

Da: Giorgia Moretti | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 15:47:11 Nella email avevo dimenticato gli allegati per far capire l’idea del telo nella barca. Ps. Ho fatto delle prove nella vasca di casa per rendere l’idea, potrebbero bastare due faretti laterali, uno nella prua l’altro nella poppa puntanti sul fondo della barca oppure delle strisce di led sul perimetro interno puntati sempre verso il fondo della barca.

Da: Ecomuseo delle Erbe Palustri | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 18:56:34 Buongiorno Do questa informazione nel caso possa servire per delineare meglio l’opera da allestire. Le figure fantastiche della nostra terra sono: - Mazapugual: folletto dispettoso - Borda: strega della valle - Papon: uomo nero - Besa bova: serpente di valle Saluti Andrea

Da: Amanda Chiarucci | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 16:11:26 Dunque:

Da: Amanda Chiarucci | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 19:28:50 Ciao io invece volevo sapere del libretto che ci avete dato atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 65


“Long e fiom” alla pagina 12 si parla della festa a Traversara. Che festa è? E ci sarà una mostra “Dalla terra al cielo”. Per il materiale mi sapete dire qualcosa? Per quanto riguarda la reperibilità? Grazie AAA

Giorgia Moretti | Inviato: Venerdì, 23 agosto 2019 18:27:14 Ok!!! stanza n 6 fantasmagoria aggiudicata. Lavorerò su sfondo nero, mando due esempi che ho già fatto di incisione e dipinto. Poi li farò a tema. Ciao grazie baci Gio

Da: Paolo Buzzi | Inviato: Giovedì, 22 agosto 2019 19:30:30 Buonasera a tutti ...rispetto allo spazio sono interessato al corridoio del secondo piano...l’idea è un allestimento/installazione di una serie di “natural totem” (si tratta di vasi in terracotta e gesso) quasi sicuramente di forma sferica e di varie misure che si sviluppa in lunghezza lungo il corridoio con delle basi (da verificare la disponibilità in termini di modello e numero) o eventualmente e la preferirei come ipotesi, funziona meglio un tavolo stretto e molto lungo...a proposito colgo l’occasione per chiedere a Raniero.... quello che è lì da una parte appoggiato sulla parete di sinistra all’interno della prima capanna a destra dell’entrata al Museo è molto interessante, ti serve? perché ammetto che mi piace molto… in allegato le immagini in attesa di riscontro colgo l’occasione per ringraziare lo staff del museo per l’accoglienza e la disponibilità a prestissimo ciao paolo buzzi

Da: Giacomo Cossio | Inviato: Venerdì, 23 agosto 2019 21:40:22 Ciao Massimiliano buonasera, sono a chiederti se fosse possibile la realizzazione di due tavoli molto esili in ferro come ti accennavo l’altro giorno. Mi servirebbero con le ruote e il disegno sarebbe semplice ed essenziale. Se la risposta fosse un si, come spero, mando i disegni o verrei volentieri un giorno a incontrare chi li dovesse realizzare. Grazie di tutto e a presto. Giacomo

Da: Ecomuseo delle Erbe Palustri | Inviato: Venerdì, 23 agosto 2019 17:21:51 Ciao Giorgia, abbiamo riletto le tue proposte e siamo particolarmente rimasti affascinati dall’idea n.2: con “stanza con le stie” intendevo la numero 6 salice e legno dolce “Qui immagino una stanza viva di fantasmi animali, lepri e volatili, molte ossa e radiografie ma anche delle immagini romantiche di voli d’uccello e stormi. Non ho idea come installarli, forse con delle cornici incastrate tra gli oggetti, oppure solito tavolo al centro della stanza.” Si possono inserire nelle gabbie di legno, sospesi o in mezzo agli oggetti le radiografie, ossa, fantasmi e varie che avevi citato senza problemi. grazie mille, Andrea e Giorgia 66

| selvatico [quattordici]

Da: Amanda Chiarucci | Inviato: Venerdì, 23 agosto 2019 22:42:20 Ciao ragazzi, grazie di quanto detto, lo apprezzo tantissimo. la stima è reciproca per tutto ciò che fate per trasmettere alle generazioni future il patrimonio antico, ma non per questo destinato all’oblio, delle erbe palustri. avervi conosciuto grazie a Massi, per me è stato fondamentale. Vi aggiorno prossima settimana su mie decisioni in quanto avevo preso in considerazione di portare “Naturae elevatio”, ma devo consultarmi prima con altre persone per concretizzare ciò. Per la residenza pensavo verso fine ottobre. Non abito a Forlì, sono di Meldola e vivo con i miei figli e se decido di stare via, devo mettermi d’accordo con loro padre. Fare su e giù la vedo un po’ brigosa come situazione. Ma vi ripeto, riesco a fare più lucidità prossima settimana. La riunione non è finita! Io rimango sempre per il capanno come prima opzione ma sono perplessa su rischi di condensa all’interno della teca.. tra umidità e calore in sbalzi di temperature. quindi l’opzione b è sempre la stanza 11.. Ana Hillar ha scelto la sua stanza? Vi svelo che mi ero innamorata delle sante croci propiziatorie… con il rituale dei bambini… fantastico rito che avrei voluto riproporre… ma chissà! grazie intanto AAA Da: “Ana Cecilia Hillar | Inviato: Domenica, 25 agosto


2019 23:54:01 Ciao Amanda, come detto nella mail precedente avrei scelto la stanza n 8, sto lavorando al progetto, appena avrà una forma più definita, vi condividerò. Mi sa che a te non sia arrivata la mia precedente mail, la rigiro a te... a presto! Da:Massimiliano Fabbri | Inviato: Lunedì, 26 agosto 2019 12:27:34 Ciao a tutte e a tutti, scusate la tempistica della mia risposta ma attendevo di avere e farmi un quadro generale dopo aver raccolto impressioni, i vostri movimenti e gli incastri che si venivano a creare; e la mappa che ha preso forma mi pare ora funzionare assai bene e altrettanto bene distribuirsi e alternarsi, questo grazie al vostro lavoro e disponibilità, e prontezza anche, oltre ai preziosi suggerimenti di Andrea e Giorgia. Provo a rispondere sotto alle questioni aperte e riassumere la geografia della msotra con la speranza di non dimenticare nulla, pezzi o persone... 1 - Raniero e il capanno esterno: l’idea e il progetto sono potenti e giusti. dobbiamo solo capire chi e come realizza le cose che ti servono, parete di fondo intonacata e porta girevole vero? ci sono idee, cosa pensate a riguardo andrea? c’è qualcuno che secondo voi potrebbe realizzare la parete, la facciamo noi insieme? oppure che costi potrebbe avere? 2 - Luca al piano terra sala proiezione: mi piace lo specchiarsi del grande dipinto di Luca e la proiezione acquatica, paesaggio che guarda paesaggio, e anche l’alternarsi o sovrapporsi dei due suoni; se al museo sta bene, per me funziona assai bene, e anche perché Raniero è fuori, e questa cosa di Luca se ne sta come a metà tra i due mondi, cortile e primo piano, accogliendo e accompagnando idealmente, e prepara anche prima di salire al cuore numeroso della mostra. Tecnicamente Luca di cosa hai bisogno? Per la pannellatura posso sentire da Forlì fiera per il noleggio, loro hanno moduli larghi 100 cm e alti 290 circa quindi potrebbe essere una parete di 5 metri di larghezza, autoportante, con due spalle da 50 cm ai lati (Andrea, a che altezza è il videoproiettore?) 3 - Giacomo stanza 10, pure mi pare, come già detto, una bella sorpresa questo giardino giungla fluorescente e acido; i tavoli li faccio fare, mandami pure il disegno così ti risparmi il viag-

gio, tanto mi sembra una cosa relativamente semplice (un unico dubbio, sei sicuro che ne vuoi fare due di 2x1 e non quattro di 1x1? Non sono, in questo secondo caso, più gestibili?) 4 - Paolo il lavoro nel corridoio sul tavolo stretto e lungo mi piace assai, e crea anche un cortocircuito molto interessante con la foresta gialla di Giacomo dentro... 5 - Ana, benissimo tutto, stanza 8 giusto? 6 - Per Giorgia nella 6 concordo pienamente con la visione di Andrea e Giorgia (Severi): i disegni, le incisioni e i dipinti di Giorgia (Moretti) sono affascinanti, misteriosi e delicati, meno macchine e apparati costruiamo intorno e meglio è, o almeno credo, quindi condivido l’idea di integrarli alla stanza tra le presenze, nella modalità più semplice e lineare. 7 - Amanda infine nella stanza 11 vero? per la residenza come ci era già stato detto c’è disponibilità (tieni conto che il 26 e 27 ottobre apriamo le altre due mostre di Selvatico Fusignano e Cotignola); non scartare a priori la carta con cui ultimamente hai fatto, per me, cose sorprendenti; la tua idea di innesti e intrecci e mescolanze mi incuriosisce parecchio e sono certo che sarà una bomba. 8 - Resta fuori Michele... che a questo punto, lavorando su di un tavolo penso, potrà scegliere tra la stanza 7 e la 9, forse meglio la 7, altrimenti resta un buco nel percorso e successione. Infine, ho messo insieme il vostro scambio vivace di email, se vi piace e non vi disturba svelare questo retroscena spadaccino lo aggiustiamo un attimo e potremmo anche pensare di metterlo in catalogo, lo allego ancora in forma grezza. Grazie ancora, Massimiliano Da: Michele Buda | Inviato: Lunedì, 26 agosto 2019 12:51:13 Ciao, si, pensavo di mettere le fotografie su un tavolo incorniciate con vetro e appoggiate le une alle altre tipo “castello di carte”. La stanza 7 andrà benissimo. Mi servirebbe sapere la grandezza della stanza e la grandezza del tavolo, grazie. A presto M Da: Amanda Chiarucci | Inviato: Lunedì, 26 agosto 2019 atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 67


20:35:11 La mia opera sarà di carta e giunco! E legno!;-) Da: Ecomuseo delle Erbe Palustri | Inviato: Lunedì, 26 agosto 2019 14:54:19 Buongiorno a tutti. Grazie Massimiliano per il riassunto sintetico della situazione che mi sembra splendidamente avviata alla realizzazione di qualcosa di splendido. 1 - CAPANNO: è possibile realizzare una cornice o supporto di legno dove applicare dei cannicciati, creando dei pannelli che possono essere intonacati con gesso, credo siano di semplice realizzazione tutto sommato. Ci vorrà qualcuno che sappia lavorare bene con il gesso per realizzare l’intonaco. In questo modo possono essere realizzati a terra e posizionati in verticale dopo l’applicazione del gesso. Anche la parte absidale deve essere intonacata? 2 - SALA PROIEZIONI: l’altezza del proiettore e di poco superiore ai 3.10 m quindi credo che i pannelli da fiera (che conosco bene perché ho lavorato in fiera a Forlì) non dovrebbero creare

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| selvatico [quattordici]

problemi. 8 - SALA 7: lo spazio centrale ritagliato dai pianali espositivi è 2x5.70 m. Per me non ci sono problemi alla pubblicazione in catalogo delle e-mail scambiate. Saluti Andrea Da: Ana Cecilia Hillar | Inviato: Martedì, 27 agosto 2019 10:48:50 Ciao a tutti, confermo che sto lavorando alla seconda idea per la stanza 8, intrecci che creano percorsi e disegnano confini sottili. Vorrei tornare al museo per capire se utilizzare lo spazio centrale o se possibile contaminare l’allestimento della sala. Nei prossimi giorni contatterò Andrea e Giorgia. Bello il racconto che viene fuori dalle mail! A presto. Ana Cecilia Hillar


Post scriptum (in mezzo al mare) 24 settembre 2019 Massimiliano Fabbri

Quella che vedete e leggete in questo libro è l’ultima mostra di Selvatico, almeno nelle forme e nei modi conosciuti e sperimentati nelle sue quattordici edizioni fatte tra il 2006 e il 2019. Che l’ultimo episodio e movimento coincida poi con la cifra tonda dei centotrent’anni che ci separano dalla nascita di Luigi Varoli (Cotignola, 23-9-1889) è una convergenza che non solo mi piace e diverte, ma che ritengo in qualche modo, in molti anzi, giusta e perfettamente combaciante, come a chiudere un cerchio che più o meno coscientemente o intenzionalmente, ha sempre avuto nella figura dell’artista cotignolese del primo Novecento, uno dei suoi centri, inneschi e stimoli al fare. Un fare ai margini, periferico e di campagna, ma non per questo isolato. Un modo di stare al mondo. E di essere artista anche. Così si chiude un ciclo, quello di un progetto che ha coinvolto negli anni un numero decisamente importante di artisti, ramificandosi nei luoghi e nelle persone, favorendo incontri, scambi e relazioni; aprendo piste, consolidando legami e suggerendo future collaborazioni rivelatesi spesso fertili. Un percorso che visto ora a ritroso, attraverso un primo, lacunoso e parziale bilancio, è comunque abbastanza impressionante e soprattutto significativo di uno sguardo, o certa idea del mondo che, se ora sembra vivere, forse, di risonanze, riflessi e sponde, e altre realtà simili e pratiche sorelle che si affiancano e diffondono capillarmente, ha comunque rappresentato un’anomalia, non somigliante ad altro, nel panorama non solo delle arti visive contemporanee, ma anche nei suoi molti e costanti

intrecci con il paesaggio e il territorio, specificità e mobilità che infine è dei musei stessi, piccoli soprattutto, da cui Selvatico è sempre partito e ritornato. Una geografia di provincia in cui Selvatico è nato, e dove ha poi preso forma precisandosi nel tempo, cambiando, e finendo per modificare, tra fantasie e fantasmi, la mappa stessa e le traiettorie dei luoghi, le possibilità di esplorazione e il quotidiano. E i modi di vedere. Ma questo scritto, quasi una lettera, in catalogo appendice di un’appendice, non ha il compito né di stilare resoconti né di ripercorrere un cammino a ritroso, ma è mosso, spinto da qualcosa di più urgente, un problema che non ci è possibile aggirare, ossia la necessità di correggere il tiro rispetto a un imprevisto e importante cambiamento improvviso che ci costringe a ripensare e rivedere drasticamente, e in corsa, il percorso espositivo e il disegno della mostra di Cotignola a partire dai suoi stessi spazi in cui si sarebbe dovuta articolare e distendere. Questo ulteriore testo quindi è un discorso intorno a una crisi e anche un primo tentativo di rimettere a posto i pezzi. A circa un mese dall’apertura della mostra, con il libro quasi fatto e gli ultimi inserimenti e aggiustamenti all’impaginazione, dopo mesi intensi di lavoro, scrittura, contatti, incontri e sopralluoghi, e tutti i faticosi e doverosi aggiustamenti del caso alla ricerca dell’incastro perfetto tra luoghi, opere, persone e desideri, senza perdere mai di vista la mappa complessiva e l’andamento della mostra, e dopo che molti artisti si sono buttati in generose atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 69


nuove produzioni pensate appositamente per gli ambienti che li avrebbero accolti, veniamo a sapere che uno dei principali edifici di questa esposizione, palazzo Pezzi, non potrà essere utilizzato e non sarà più disponibile. Tutto questo a nemmeno quaranta giorni dall’inaugurazione di Cotignola, prevista per domenica 27 ottobre. Qualcosa in più di un guaio purtroppo. Con tutte le debite proporzioni e i distinguo del caso, una specie di terremoto, una cosa che immobilizza e getta nello sconforto. Il lavoro di mesi praticamente inutile, buttato al vento, come sepolto o sommerso, in larga parte da rifare, e in fretta pure. Come detto precedentemente palazzo Pezzi è un edificio storico di pregio situato nel centro storico di Cotignola, uno dei pochi scampati ai bombardamenti avvenuti durante l’ultima guerra: tre piani, una dozzina di stanze, corridoi, disimpegni, un’ampia scala e un giardino; dei trentuno artisti coinvolti dalla mostra, oltre la metà era destinato a questi spazi, a creare una successione labirintica di stanze, dialoghi, confronti e micropersonali, con un’attenzione prevalente qui, rispetto a quel che avviene nelle due sedi del Museo Varoli, alla pittura. Se non fosse per la destabilizzazione profonda e l’ansia e lo smottamento provocato dalla notizia dell’impossibilità di avere a disposizione questo luogo per noi prezioso, con sullo sfondo l’immagine della mostra che frana e implode, e svanisce, come inghiottita improvvisamente senza che si possa fare nulla né capire bene cosa sia successo, verrebbe da sorridere se tutto questo lo si mette, inevitabilmente, in relazione ai margini e frammenti, e all’incompiutezza abbracciata dal titolo di questo Selvatico, fatto di cataloghi e dettagli, di archivi e pezzi sparsi, di impossibili visioni d’insieme, pelli, superfici e smarrimenti. Unica nota positiva, che tutto questo sia avvenuto prima dell’apertura, anche se con scarsissimo anticipo, praticamente nullo, e non a mostra già allestita o aperta. Cosa fare? O restare pietrificati o di sale, paralizzati e vinti, rimandando tutto, abbandonando, facendo saltare la mostra o amputandola dolorosamente, dividendo ancora una volta il mondo in fortunati e non, oppure cercare subito un altro posto, quasi disperatamente e, ammesso che si riesca a trovarlo, sufficientemente ampio e interessante e bello anche, spostare 70

| selvatico [quattordici]

sguardi e attenzioni in corsa, trovare un nuovo equilibrio e percorso interno che risulti soddisfacente e non sappia di ripiego, adattando la mostra a questo nuovo spazio e da questo pure farsi contemporaneamente guidare, orientandosi di nuovo, affidandosi all’instabilità e cercando al tempo stesso un controllo; e metterlo a posto poi, e imbiancare dove serve, e portare e mettere le luci, tracciando nuove mappe di senso. Abitandolo prima con l’immaginazione questo luogo ancora inesistente. Insomma, lavorare su questa sensazione di sradicamento come se fosse un’opportunità, una fame nuova che scuote, una possibilità ulteriore, forse anche migliore, chissà. Metterci alla prova ancora, ridestare spazi dormienti, fare bene e con poco, individuare nuove costellazioni e connessioni, tracciare figure complesse, collegare e congiungere fili tra le cose, e costruire architetture precarie capaci di sorprendere e funzionare come ragnatela. O nido. Una nuova casa. Mentre sto scrivendo questa specie di post scriptum sono in mezzo al mare su di un traghetto che da Olbia porta a Livorno: l’ho saputo solo pochi giorni fa che non ci sarebbe stata più questa sede all’interno del percorso espositivo, e che tutto era di conseguenza sospeso, se non proprio perduto. Sensazione strana, amplificata e ovattata al tempo stesso dalla distanza. Prima della mia partenza per questa breve vacanza in Sardegna, il 4 settembre scorso, senza una scadenza o un progetto, o un’idea precisa in mente, avevamo fatto un sopralluogo presso l’ex Ospedale Testi, il vecchio ospedale di Cotignola, una struttura di proprietà dell’azienda ASL a fianco della scuola Arti e Mestieri, insieme a una loro responsabile, conservatrice del patrimonio artistico; suo interesse era sondare il terreno per l’apertura di un’eventuale possibile convenzione, con l’amministrazione comunale e il museo, collaborazione destinata all’utilizzo e apertura da parte nostra di una piccola chiesetta interna all’edificio attraverso una serie di appuntamenti e piccole attività espositive. In questa occasione e visita, in cui ci veniva aperto un luogo rimasto chiuso per molti anni, abbiamo poi esplorato molto velocemente, ma assai incuriositi e bambineschi, come avviene spesso in questi casi per i posti semiabbandonati che si schiudono, anche altre parti dell’edificio oltre a quelle che ci eravamo prefissi di vedere in fase di sopralluogo: ecco aprirsi stanze e


camere e forse, ora, venti giorni più tardi, questi ambienti avvolti nell’ombra, con tagli di luce su ragnatele e polvere, e le poche cose sparse a terra abbandonate, sembrano improvvisamente e quasi miracolosamente poter andare al loro posto e rappresentare una possibile e valida alternativa alle nostre mancanze e ricerche e paurosi giri a vuoto della mente. Li ricontattiamo, sembra esserci disponibilità all’accordo, nonostante i tempi strettissimi; serve però subito un altra visita, più mirata, per capire esattamente cosa c’è da fare e quale tipo di mostra provare a costruire dentro. Forse già domani, al mio ritorno, visiteremo di nuovo questi spazi e mi immaginerò la mostra, fantasticandola ancora una volta; misureremo pareti, lunghezze, larghezze e altezze, apriremo finestre, toccheremo i muri; disegnerò planimetrie sghembe e imperfette, le ripasserò poi cercando di renderle più accettabili e comprensibili, e ci metterò dentro i nomi e i dipinti e le opere che mi popolano la testa e il cervello in questo periodo, lasciando poco spazio ad altro. E cancellerò molto, questo già lo so, in attesa della mappa vincente ed esatta. Avrei potuto attendere ancora qualche giorno e scrivere un nuovo testo adattando un poco il precedente, tenendo conto dei nuovi spazi, degli spostamenti necessari e degli equilibri e nuove relazioni venutesi a creare, ma ho deciso di lasciare visibile nella scrittura questa sfasatura e frattura avvenuta, questa incertezza, scivolamento e inciampo netto. Come se davvero

anche questo scarto, paura e disorientamento fossero anch’essi un pezzo di mostra e un ragionare intorno a questo imprendibile atlante che schiaccia e contiene. Per questo ho lasciato intatta e presente la descrizione e racconto del percorso espositivo, anche quella che entra dentro al palazzo fantasma, a incontrare una cosa che, in fin dei conti, non cè mai stata se non nella nostra testa. Una crepa non occultata, una rottura visibile come in certi restauri, un errore che potrebbe diventare memoria del processo, stratificazione geologica, meccanismo visibile e sipario strappato, testimonianza preziosa dei ripensamenti e del tempo e dei suoi segni, ma soprattutto accelerazione vitale e pulsante a innervare ancora di più questa mostra, scuotendola e scuotendoci, costringendoci a essere ancora più decisi e uniti. Ecco allora che la scrittura può farsi e diventare membrana che assorbe anche questa spezzatura e sperdimento labirintico, superficie e pagina su cui si incide e imprime la caduta. E anche il successivo tentativo di rialzarsi. Una mostra faticosa e sofferta questa, ma probabilmente c’era da aspettarselo nell’ultima sua edizione. Ma ancora più bella credo, anche e proprio in queste difficoltà, e nell’opportunità felice, bella e violenta offerta da questo disagio, qualcosa che non so bene se chiamare crisi, ma che mi sento in qualche modo di festeggiare. Una buona visione.

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Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti > Fusignano Museo civico San Rocco via Monti 5 ingresso quadreria-mappa con un disegno a testa per ciascun autore prima sala Michele Bubacco | Paolo Maggis | Matilde Baglivo saletta centrale Federica Poletti | Valentina Biasetti seconda sala Nero/Alessandro Neretti | Andrea Salvatori | Dem museo civico Alessandro Finocchiaro | Giulio Catelli piano terra – raccolta targhe devozionali Ilaria Margutti


IM

IM

IM IM

IM

VB FP

Museo civico San Rocco piano terra

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Piano terra raccolta targhe devozionali IM = Ilaria Margutti


AF GC

GC

AF

AF

GC

AS

VB FP N

PM

GC AF

AF GC

MBA

D

MBU

GC AF

AF GC

quadreria disegni

Museo civico San Rocco primo piano Primo piano prima sala MBU = Michele Bubacco PM = Paolo Maggis MBA = Matilde Baglivo saletta centrale FP = Federica Poletti VB = Valentina Biasetti seconda sala N = Nero/Alessandro Neretti AS = Andrea Salvatori D = Dem museo civico AF = Alessandro Finocchiaro GC = Giulio Catelli

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Giulio Catelli

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Alessandro Finocchiaro

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Paolo Maggis

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Michele Bubacco

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Matilde Baglivo

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Federica Poletti

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Andrea Salvatori

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Ilaria Margutti

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Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti Cotignola / Museo civico Luigi Varoli > Palazzo Sforza corso Sforza 21

piano terra Thomas Scalco - Mattia Noal Elena Hamerski – Ilaria Cuccagna – Elisa Bertaglia | Fabio Romano primo piano pinacoteca Matteo Lucca sala archeologica Francesco Geronazzo secondo piano

Silvia Vendramel – CaCO3 – Giorgia Severi

> Civico 27 corso Sforza 27 Chris Rocchegiani

> Casa-studio Luigi Varoli ingresso corso Sforza 24

Alice Padovani – Chiara Lecca – Giulia Manfredi

ingresso via Cairoli 7

Luca Piovaccari | Giovanna Sarti | Valentina D’Accardi

> Ex ospedale Testi via Roma 8

piano terra James Kalinda | Giovanna Caimmi | Federico Guerri | Manuela Vallicelli Ettore Frani | Chiara Enzo primo piano Alice Faloretti | Giacomo Modolo | Milena Sgambato | Sarah Ledda Maurizio Bongiovanni | Barbara Fragogna | Elisa Muliere

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EB

TS

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IC

ML

FG

MN

ML

FR

PIANO TERRA

PIANO TERRA

Palazzo Sforza piano PALAZZO terra

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> Palazzo Sforza piano terra TS = Thomas Scalco MN = Mattia Noal EH = Elena Hamerski IC = Ilaria Cuccagna EB = Elisa Bertaglia FR = Fabio Romano

PIANO PRIMO

PIANO PRIMO

Palazzo Sforza primo piano SFORZA PALAZZO SFORZA

primo piano pinacoteca ML = Matteo Lucca sala archeologica PIANO SECONDO PIANO SECONDO FG = Francesco Geronazzo


GS

SV

C

CR DL

PIANO SECONDO

Palazzo Sforza secondo piano

Civico 27

secondo piano SV = Silvia Vendramel C = CaCO3 GS = Giorgia Severi DL = David Loom

> Civico 27 CR = Chris Rocchegiani

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iano primo

LP

GM

VDA GS AP CL

Casa Varoli piano terra

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Casa Varoli primo piano

> Casa-studio Luigi Varoli ingresso corso Sforza 24 AP = Alice Padovani CL = Chiara Lecca GM = Giulia Manfredi ingresso via Cairoli 7 LP = Luca Piovaccari GS = Giovanna Sarti VDA = Valentina D’Accardi


FG

AF

GM

MS

GC CE MB EM

JK

SL MV EF JK

Ex Ospedale Testi piano terra

> Ex ospedale Testi piano terra JK = James Kalinda GC = Giovanna Caimmi FG = Federico Guerri MV = Manuela Vallicelli EF = Ettore Frani CE = Chiara Enzo

BF

Ex Ospedale Testi primo piano

primo piano AF = Alice Faloretti GM = Giacomo Modolo MS = Milena Sgambato SL = Sarah Ledda MB = Maurizio Bongiovanni BF = Barbara Fragogna EM = Elisa Muliere

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Chris Rocchegiani

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Matteo Lucca

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Silvia Vendramel

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CaCO3

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Giorgia Severi

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Federico Guerri

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Francesco Geronazzo

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Chiara Lecca

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Giulia Manfredi

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Alice Padovani

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Manuela Vallicelli

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Giovanna Caimmi

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James Kalinda

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Ettore Frani


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Chiara Enzo

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Sarah Ledda

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Milena Sgambato

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Maurizio Bongiovanni

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Barbara Fragogna

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Elisa Muliere

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Alice Faloretti

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Giacomo Modolo

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Giovanna Sarti

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Luca Piovaccari

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GM RB LZ PB

MB

AH

GC AC

Ecomuseo delle Erbe Palustri piano terra

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primo piano

AH = Ana Hillar GM = Giorgia Moretti LZ = Luca Zarattini AC = Amanda Chiarucci GC = Giacomo Cossio PB = Paolo Buzzi MB = Michele Buda RB = Raniero Bittante


Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti > Villanova di Bagnacavallo Ecomuseo delle Erbe Palustri via Ungaretti 1 Ana Hillar Giorgia Moretti Luca Zarattini Amanda Chiarucci Giacomo Cossio Paolo Buzzi Michele Buda Raniero Bittante

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Raniero

Bittante

Il mio nome, la mia frontiera, la mia interazione con le cose del mondo, riconduce la veritĂ al corpo delle mie opere.

Il mio cognome, la mia realtĂ , origine e nascita della mia materia, membrana avvolta da case e giardini che chiamiamo cultura, contiene le immagini che hanno formato il mio perimetro.


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Ana Hillar

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Giorgia Moretti

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Amanda Chiarucci

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Luca Zarattini

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Giacomo Cossio

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Michele Buda

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Schede autori

Matilde Baglivo (pp 92, 290) Elisa Bertaglia (pp 130, 292) Valentina Biasetti (pp 100, 294) Raniero Bittante (pp 256, 296) Maurizio Bongiovanni (pp 226, 298) Michele Bubacco (pp 88, 300) Michele Buda (pp 284, 302) Paolo Buzzi (pp 280, 304) CaCO3 (pp 170, 306) Giovanna Caimmi (pp 202, 308) Giulio Catelli (pp 76, 310) Amanda Chiarucci (pp 258, 312) Giacomo Cossio (pp 276, 314) Ilaria Cuccagna (pp 134, 316) Valentina D’Accardi (pp 158, 318) Dem (pp 112, 320) Chiara Enzo (pp 214, 322) Alice Faloretti (pp 238, 324) Alessandro Finocchiaro (pp 80, 326) Barbara Fragogna (pp 230, 328) Ettore Frani (pp 210, 330) Francesco Geronazzo (pp 182, 332) Federico Guerri (pp 178, 334) Elena Hamerski (pp 138, 336) Ana Hillar (pp 260, 338)

James Kalinda (pp 206, 340) Chiara Lecca (pp 186, 342) Sarah Ledda (pp 218, 344) Matteo Lucca (pp 154, 346) Paolo Maggis (pp 84, 348) Giulia Manfredi (pp 190, 350) Ilaria Margutti (pp 116, 352) Giacomo Modolo (pp 242, 354) Giorgia Moretti (pp 264, 356) Elisa Muliere (pp 234, 358) Nero/Alessandro Neretti (pp 108, 360) Mattia Noal (pp 146, 362) Alice Padovani (pp 194, 364) Luca Piovaccari (pp 250, 366) Federica Poletti (pp 96, 368) Chris Rocchegiani (pp 126, 370) Fabio Romano (pp 150, 372) Andrea Salvatori (pp 104, 374) Giovanna Sarti (pp 246, 376) Thomas Scalco (pp 142, 378) Giorgia Severi (pp 174, 380) Milena Sgambato (pp 222, 382) Manuela Vallicelli (pp 198, 384) Silvia Vendramel (pp 166, 386) Luca Zarattini (pp 272, 388)

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Matilde Baglivo Matilde Baglivo nasce ad Ivrea nella provincia di Torino nel 1992. Consegue la sua laurea triennale presso l’Accademia di Belle Arti di Torino nel 2016, concludendo in seguito i suoi studi al biennio specialistico all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2018, presso la cattedra di Pittura – Arti Visive del professore Luca Caccioni. Il suo prodotto artistico è completamente incentrato sul tema del volto, rigorosamente eseguito ad olio su tela. Attualmente vive e lavora a Bologna. Il facciario A tutti sarà capitato di sfogliare almeno una volta nella vita un’enciclopedia riguardante uno specifico argomento.Un bestiario, un demonologo, un erbario, un atlante geografico, un ricettario, un dizionario sulle malattie... si potrebbe scrivere un’enciclopedia per ogni cavillo della vita, realmente esistente o non. Non mi è parso dunque così fuori norma organizzare la mia schiera di volti, sotto forma di un archivio che mi diverte chiamare “facciario”. La sequenza di facce appunto, si allontana dall’idea di ritratto, che è in fin dei conti la rappresentazione più o meno fedele di qualcuno, l’imitazione se pur reinterpretata della realtà. Se nei vari cicli di ritratti ed autoritratti che normalmente svolgo, miro dunque a lavorare sull’immagine di qualcuno, nel facciario avviene il procedimento opposto : l’obiettivo è nessuno. Tutti questi volti non sono riconducibili ad un nome, ad una storia, ad una sensazione scaturita dal loro passaggio dinanzi ai miei occhi. Il facciario nasce da un bisogno di studiare i tratti somatici, di verificare tutte le possibilità che offrono gli elementi base combinati fra loro : occhi, naso, bocca, mento, sopracciglia, zigomi, denti, lingua... Tanti tasselli che, se mossi appena, possono dar luogo a molteplici espressioni completamente differenti fra loro. Per focalizzarmi meglio sull’idea di “mappa fisionomica” ho dovuto isolare questi volti inventati, ponendoli fra confini ben ristretti e decontestualizzati, al punto da impedirgli quasi di respirare fra i margini della tela. Così, con il tempestivo ripetersi di espressioni facciali, prende forma una sorta di catalogo di smorfie che si prestano ai connotati organici, adattandosi con disinvoltura alla morfologia del viso. Questo atlante della faccia acquisisce la sua forza se visto nella sua totalità, proponendosi quasi come una raccolta di francobolli, avendo utilizzato tele più o meno piccole che variano da un minimo di 20 cm per 20, ad un massimo di 70 cm per 70, formati che ho ritenuto più che sufficienti per i miei appunti fisionomici.

Il facciario, 2018, istallazione di ventotto tele ad olio e ad acrilico su parete 292

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Elisa Bertaglia Elisa Bertaglia (Rovigo, 1983) è una pittrice e artista visiva. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, conseguendo nel 2009 la Laurea di II Livello in Pittura. Dal 2008 collabora con molti curatori e critici d’arte, esponendo il suo lavoro in Italia e all’estero in importanti gallerie, musei ed istituzioni. Nel 2011 la sua opera Populus III è stata selezionata per la 54ma Biennale d’Arte di Venezia (Padiglione Accademie, Arsenale). Tra il 2013 e il 2014 è stata invitata a prendere parte a due residenze d’artista per Dolomiti Contemporanee e Progetto Borca. Nel 2016 è stata selezionata alla ESKFF Artist Residency di Jersey City. Nel 2019 è stata scelta come artista internazionale per esporre alla mostra Nebula, al Museo di Arte Moderna di Saitama, in Giappone. Molti articoli sono stati scritti sul suo lavoro in magazine e riviste di settore. Vive e lavora tra Rovigo, Milano e New York. Gallerie di riferimento: Galleria Officine dell’Immagine, Milano Martina’s Gallery, Giussano Galleria Weber & Weber, Torino Galerie MZ, Augsburg, Germania Principali mostre personali: 2019 – Cendriers, Galerie MZ, Augsburg, Germania, a cura di Martin Ziegelmayr, con un testo di Carmen Roll; Concerto. Singing over the Bones, Martina’s Gallery, Giussano, a cura di Rossella Farinotti. 2016 – Out of the Blue, Galleria Officine dell’Immagine, Milano, a cura di Matteo Galbiati; Brutal Imagination, Galleria Weber & Weber, Torino, a cura di Stefano Suozzi. 2015 – Bindwood, Banca Sistema, Milano, a cura di Chiara Serri. Principali mostre collettive: 2019 – CAF - Nebula, Museo d’arte moderna, Saitama, Giappone. Cittadella dell’Arte, dipinto murale per la Cittadella degli archivi, Milano, a cura di Rosella Farinotti. 2018 – Biennale del Disegno di Rimini, Ala Nuova Museo della Città,

Concerto. Singing over the Bones, 2019, veduta d’allestimento. Courtesy Martina’s Gallery. Foto di Cosimo Filippini 294

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Rimini, a cura di Annamaria Bernucci. 2017 – Field of Vision – Festival Art Stays, Galleria FO.VI., Ptuj, Slovenia, a cura di Marika Vicari; Biennale Giovani Monza, Villa Reale, Monza 2016 – Join the Underground, Undercurrent Projects Gallery, New York, USA; Erranza. Del radicante e altri segni, Galleria Atipografia, Arzignano, a cura di Petra Cason. 2013 – Oceans: under skin of the sea, HB55, Berlino, Germania 2011 – Lo stato dell’arte, 54ma Biennale di Venezia, Padiglione Accademie, Tese di San Cristoforo, Arsenale, Venezia; 2010 – Arte Scienza e Scuola, Museo Guggenheim, Venezia, a cura di Aldo Grazzi. 2009 – Nuovi orizzonti in laguna, Borges Cultural Center, Buenos Aires, Argentina, a cura di I. D’Agostino; 93ma Bevilacqua La Masa, Gallerie di San Marco, Venezia Nella ricerca artistica di Elisa Bertaglia, i mondi dell’inconscio, natura, dualità e memoria, sono rappresentati attraverso un approccio eterogeneo, attraverso serie di piccoli o grandi dipinti su carta o tela, installazioni e progetti site-specific, dipinti murali. L’influenza della letteratura - ad esempio dei Classici latini o di romanzi di autori contemporanei, tra cui Maurizio Maggiani, Patricia Highsmith, Cornelius Eady, Han Kang - e del cinema (specialmente di registi come Patrice Leconte, Bernardo Bertolucci, Kim Ki-Duk), apre il lavoro dell’artista a molteplici livelli interpretativi. Prendendo risolutamente le distanze dal linguaggio illustrativo, l’artista utilizza un approccio filosofico ed un linguaggio onirico e simbolico, ritraendo un ricco vocabolario di piante, animali e personaggi, completamente immersi in paesaggi immaginari ma possibili. Bertaglia investiga il concetto di soglia come metamorfosi, difficile quanto necessaria alla ricerca e allo sviluppo dell’identità: vertebre e ossa di pesce, radici e grovigli di foglie, bambini e bestie selvagge, sospesi nel vuoto o avvolti da rami di piante carnivore, sono simboli del corto circuito nel complesso compendio di rituali e regole che celebrano il naturale passaggio tra innocenza e consapevolezza.

To the Crows, 2019, olio, carboncino e grafite su carta, 30x23 cm. Courtesy Galleria Officine dell’Immagine.

Singing over the Bones, 2019, olio, carboncino e grafite su carta, 30x23 cm. Courtesy Martina’s Gallery.

Cendriers, 2018, carboncino e grafite su tre fogli trasparenti sovrapposti di poliestere, 30x23 cm. Courtesy Galerie MZ.


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Valentina Biasetti Valentina Biasetti nasce a Parma nel 1979,ha frequentato l’Istituto d’Arte P. Toschi e successivamente l’ Accademia di Belle Arti di Bologna, da subito ha manifestato uno spassionato e viscerale amore per il disegno, la matita e la carta. Dal 2002 ha inizio la sua attività espositiva, con mostre collettive e personali, tra le più recenti ricordiamo, nel 2015 la collettiva “Autonomie del disegno” alla galleria Quam di Scicli, nello stesso anno è tra i finalisti dell’ ArteamCup all’ Officina delle Zattere di Venezia, nel 2016 la personale “Pink Moon” alla galleria Lacerba di Ferrara, nel 2017 vince il premio Basement Project Room per il concorso We Art International con mostra personale “Sometimes you should try to fly” a Latina, è dello stesso anno la personale “Angeli di Nylon” alla Galleria Gare82 di Brescia e del 2018 “Perigliosa Voce” alla Zaion Gallery di Biella. La Biasetti interpreta Il disegno come desiderio di esistenza, la matita accarezza il foglio e intreccia segni, campiture, lotte, echi di storie che nascono dal profondo fino a prendere forma, corpo e peso tra il tangibile e l’invisibile, non ama dire di sé artista, piuttosto camminatrice indipendente perché alla fine tutto questo è solo un bel viaggio. Attualmente vive e lavora nella colina Parmense. Per raccontare la pelle con la punta della matita è necessario saperne ricordare a memoria l’odore, il sapore e la geometria dei pori, perché c’è una relazione arcaica che lega i sensi alla geografia del desiderio il quale filtra dall’esercizio vitreo del guardare al segno che con la mano viene im-

Caverne anatomiche siderali 10, 2019, tecnica necessaria su carta su legno, cm 40x45

Caverne anatomiche siderali 13, 2019, tecnica necessaria su carta su legno, cm 40x45

presso sul foglio. Un’ algebra primordiale per cui il disegno nasce da una fame interiore, da quel buco spaventoso che genera la necessità fisica di appagamento dello sguardo impudico che si appoggia sulle cose e le accarezza, siano esse un volto, un intreccio di capelli, la testa di un animale, un orecchio, i nervi tesi della mano o il tessuto polposo di un frutto spalancato: esploro ogni singolo dettaglio chirurgicamente, lo isolo dalla sua dimensione e ne modifico relazioni e identità, nel tentativo di trasformarlo e di renderlo IN-forme. È questo il processo che accomuna le mie due serie di lavori presenti in questo grande Atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti, in una dicotomia tra presenza e sospensione si avvicendano “caverne anatomiche”, dove la negazione dei corpi ritaglia lo spazio all’invisibile lasciando fermo il frammento del ricordo dentro stanze lattee della memoria, e “esercizi epidermici”, dove la sensualità del soggetto cerca l’implosione dello sguardo per soffocarne la tentazione e declassarla a peso che polarizza lo spazio. Quando si lavora ci si pone dei problemi, e il problema che mi pongo è sempre questo: guardare, guardare dentro le cose per poi cercare di attraversarle sovvertendone la sostanza. Un viaggio dentro l’assenza e la negazione, dove l’impulso del desiderio iniziale sprofonda, si eclissa, nella sua stessa voluttà come fosse una terra sommersa. Dicono che Atlantide si inabissò nel giro di una notte in seguito a un terribile cataclisma, scomparsa, assorbita dal mare, non resta di lei nulla di tangibile, come qualcosa che ho perduto ma che ancora ricordo.

Caverne anatomiche siderali 15, 2019, tecnica necessaria su lenzuolo intelato, cm 110x90

Caverne anatomiche siderali 16, 2019, tecnica necessaria su lenzuolo intelato, cm 110x90

Esercizio epidermico sulla sensualità, 2019, tecnica necessaria su carta su legno, cm 34x42,5

Esercizio epidermico sulla sensualità, 2019, tecnica necessaria su carta su legno, cm 40x45

Diary 7 ottobre, ogni cosa nella sua fragilità manifesta l’indistruttibile, 2019, matita su carta, cm 20x20 296

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Raniero Bittante Curriculum. Qualche volta una mela. Nel 1976 avevo sedici anni, e con mia grande sorpresa l’architetto Gino Gamberini mi chiese di progettare la tomba della sua famiglia. La mia idea in origine prevedeva che la tomba fosse priva di qualsiasi nominativo o descrizione, il rito della regolare deposizione floreale doveva essere sostituito con una mela rossa adagiata sul vetro del sarcofago. All’interno di una teca di cristallo gli scheletri di Adamo ed Eva, rappresentati come un ritrovamento archeologico... ripenso a un pomeriggio del 1976 mentre poso la mela sulla lastra di cristallo, alla frase che pronuncia il serpente per convincere Eva a mordere la mela... vedo i denti di Eva che affondano decisi nella polpa. Un gesto forte di disobbedienza per uscire dalla tirannia del potere divino, un gesto che servirebbe ora più che mai a tutti noi, per uscire da tutto l’ordine simbolico della società dei consumi che riesce ad amministrare anche il dissenso, il nuovo ordine mondiale dell’economia classista spoliticizzata si trasfigura in questo orrendo monoteismo del mercato e delle nostre identità... penso a questo... guardo la mela ora galleggiare sopra questo cristallo che sembra diventato un laghetto per carpe giapponesi, scendo dal gradino della tomba e lentamente mi allontano, poi mi giro, in questo cimitero foderato di fiori fisso di nuovo la mela, in quanto fiore divenuto frutto mostra tutta la sua alterità e suggerisce una maturazione come soggetto verso una sua visione critica e personale, scelta liberamente e non accettata passivamente perché imposto dall’ordine simbolico dominante... penso a questo... al mio curriculum... a quello, ora, di tutti

i due disegni qui a fianco sono simbolicamente la mia vita ora, un trattato logico disegnato sul come tenere insieme le cose.

Il lavoro… fotografie prelevate dalla rete, sentieri e tracce in mezzo a boschi, percorsi della grande guerra, impronte di pensieri e ragioni umane, non singoli punti di realtà ma concentrati di sequenze e percorsi formalizzati da altri….e sassi. Gli oggetti che aggiungo sono apologia delle dissonanze, intrusione di un vissuto, di una fisicità irriducibile a qualsiasi corpo d’immagine. La pietra, oggetto reale, galleggia al centro del box, guardandola rimane il dubbio sulla sua traiettoria, sta retrocedendo verso l’immagine o si scaglia contro il nostro sguardo? E se la pietra venisse fuori dal bosco, se invece si trattasse di un attacco a chi guarda, o al ‘vedere’ in ogni caso, cioè al principio dell’arte? Il sasso compare come maschera/volto/arma, incarnazione del caos, teste che ci guardano, minacciano la ragione strumentale e applicativa dell’uomo, una ragione che vuole misurare, controllare tutto, distruttiva. Pietre, sasso, testa, volto sospeso tra la realtà e tutte le sue possibilità, testimone di luoghi dove la natura non è mai domata e l’uomo mai rassegnato.

Playstones/Playwar/ 2012-15 fotografie, sassi, legno, plexiglass cm 40x53x30 298

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Progetto per l’installazione all’Ecomuseo delle Erbe Palustri Villanova di Bagnacavallo (RA)


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Maurizio Bongiovanni Nato a Tettnang, Germania nel 1979. Vive e lavora tra Milano e Londra. Bongiovanni ha esposto i suoi lavori presso The Guildhall Art Gallery (Londra); Eve Leibe Gallery (Londra); The Century Club (Londra); Studio d’arte Cannaviello (Milano); Federico Lugar Gallery per Window Project (Milano) e la Galleria Richter (Roma). Ha partecipato a diverse residenze internazionali quali: Vermont Studio Center in America, La Napoule Art Foundation in Francia, IARB Residency in Cina e la SIM in Islanda. Nel 2018 e 2019 è stato invitato dalla Fondazione Lac o Le Mon a Lecce curata da Luigi Presicce. Nel 2013 e 2014 ha partecipato alla Fondazione Spinola Banna per l’arte, con gli artisti Doug Ashford, Liliana Moro e Mario Airò. Nel 2014 ha frequentato Internationale Sommerakademie di Salisburgo con l’artista Felix Gmelin. Nel 2012 vince il premio GAI per partecipare alla Fondazione Valparaiso in Spagna. Le opere di Bongiovanni sono state riportate in pubblicazioni come Nature Morte di Thames & Hudson, L’Uomo Vogue, Artribune e Queen&Country Magazine. Recentemente ha fondato Metodo Milano un artist run space. Attraverso la pittura esploro l’erotismo nella società dei consumi. Ogni mio dipinto rappresenta per me un desiderio erotico di possesso, che subito svanisce una volta realizzato. Un appagamento effimero come di un orgasmo. Elementi cari alla mia pratica pittorica sono: il sesso, l’amore, l’erotismo e la tragedia nelle sue varie forme. Mi piace pensare ad una pittura frammentata come un iper-testo pieno di link, ogni singolo dettaglio è un invito a viaggiare.

Birman View, 2018, olio su tela, 115x150 cm

Disabled Heroes, 2018, olio su tela, 100x150 cm

Mr Venus, 2018, olio su tela, 115x150 cm

The Vail, 2019, olio su tela, 100x150 cm

Testa (studio), 2019, matita su carta, 24x33 cm 300

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Michele Bubacco Venezia 1983 Vive e lavora tra Vienna e Venezia. Tra le sue recenti mostre personali e collettive: Song Song, Vienna, 2019; Il bruco e la farfalla, Palazzo delle Albere, Trento, 2019; Essere Corpo, Kunsthalle West, Lana-Bolzano, 2019; Brain-Tooling, Forte di Monte Ricco, Pieve di Cadore, 2018; L’intreccio arabonormanno, Manifesta 12, evento collaterale, Palermo, 2018; Angry Boys, Museum Det Ny Kastet, Thisted, 2018; Mad Cow, Scag Gallery, Vienna, 2017; Manhood, Litvak Contemporary, Tel Aviv, 2017; Fuck-Simile, Galleria Alessandro Casciaro, Bolzano, 2017; Horizon, Litvak Contemporary, Tel Aviv, 2016; Up-Becoming, Fridman Gallery, New York, 2016; Premio Fondazione VAF, Posizioni attuali dell’arte italiana, Chemnitz Museum of Art, Chemnitz, Stadgalerie Kiel e MACRO, Roma, 2016; Your bones, Rompone Galerie, Köln, 2016; Danse macabre, Louis B James Gallery, New York City, 2016; Anaconda, Kulturkirche Ost, Köln, 2016; Autoselbstfahrer, Rompone Galerie, Köln, 2016; Serenade, David Richard gallery, Santa Fe, 2016; Cesare quand’era Pavese, Rompone Galerie, Köln, 2015; (Un)Real, David Richard gallery, Santa Fe, 2015; 5x5: Other Voices, Litvak Contemporary, Tel Aviv, 2015; Stripped to Tease?, Locomot contemporary art, Vienna, 2015, Bacan, Markhof 2 Galerie, Vienna 2015; Bonjour Venezia, Bonjour Vedova, Ikona Gallery, Venezia, 2013; Whitegray, Litvak Contemporary, Tel Aviv, 2012; Paint it black on the with tnight, Ikona Gallery, Venezia, 2011. saponette, tovaglie a quadri, pompa dell’acqua, api, sassetti, ciglia, anello d’oro in vasca da bagno, cavo elettrico, fazzoletto cucito in tasca, rotule, bustine, bustarelle, tromba, baffi, bidè, pneumatici, granchi, unghie, maracas, ciliegie, frusta, valeriana, ghigliottina, ombrelloni, bocchino, candele, cavallette.

La stanza mangia Saturno che mangia suo figlio, 2018, olio e poster montato su alluminio, 140X100 cm 302

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Still life with trojan horse in the room on fire, 2018, olio e poster montato su alluminio, 140x100 cm

The alphabet, 2018, olio e poster montato su alluminio, 140X100 cm

Young musician plays his trumpet sitting on a chair, 2018, olio e stampa su legno, 173,5x130 cm

Studio per un applauso, 2018, tecnica mista su carta, 30x30 cm


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Michele Buda È nato nel 1967 a Ravenna, vive e lavora a Cesena. È docente di Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Ha studiato Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo all’Università di Bologna. Ha iniziato ad occuparsi di fotografia all’inizio degli anni novanta partecipando a diverse campagne fotografiche pubbliche. Nel 2005 ha esposto al Fotomuseum di Winterthur e l’anno successivo al SK Stiftung Kultur di Koln. Tra le mostre si ricordano le personali alla Galleria Spazio Senzatitolo, Fotografie (2009) e One Day in Berlin (2013); alla Galleria Metronom, 9909 (2010) e Tricks and Falls (2012); alla Galleria dell’Immagine di Rimini, Tricks and Falls (2013). Nel 2017 la mostra personale accademia, tratta dal omonimo libro, è ospitata negli spazi della Galleria del Ridotto di Cesena. Nel 2018 la personale dedicata al quartiere dove vive Archivio Quasimodo alla Galleria C31/Cristallino a Cesena. Sue fotografie fanno parte delle collezioni di Linea di Confine per la fotografia contemporanea di Reggio Emilia, dell’IBC della Regione EmiliaRomagna, del Canadian Centre for Architecture di Montréal e del Fotomuseum Winterthur in Svizzera. Osservare la strada, di tanto in tanto, magari con una cura un po’ sistematica. Applicarsi. Fare tutto con calma. Costringersi a vedere più piattamente. Percepire un ritmo: il passaggio delle macchine: le macchine arrivano a gruppi perché, più su o più giù nella strada, sono state fermate da qualche semaforo.

Georges Perec, Specie di spazi

Avenida Pio XII, Valencia, 2013 304

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Paolo Buzzi Paolo Buzzi è nato a Comacchio (FE), è residente a Bagnacavallo di Ravenna dove vive e lavora. Diplomato in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha trascorso periodi di studio all’Ecole de Beaux Arts di Saint Etienne in Francia. Attualmente collabora con diverse gallerie d’arte contemporanea. I suoi lavori sono stati presentati nelle principali fiere italiane e sono presenti in alcune collezioni private. Ha esposto in numerose collettive e personali sia in spazi pubblici che in gallerie private. Mostre principali recenti: 2019 Performing nature, Bolzano, Galleria Antonella Cattani. 2018 Destino glorioso, CasermArcheologica, Sansepolcro (AR) a cura e testi in catalogo di I. Margutti e L. Caruso – Cristallino, luoghi per le arti visive, In studio – vie periferiche Paolo Buzzi a cura di Calligraphie, presentazione di R. Bertozzi, patrocinio Regione Emilia-Romagna. 2017 Micro collezione permanente, Galleria C31, Cesena a cura di R. Bertozzi – Di-versi, ingranare, Hangar Rosso Tiepido, Modena, a cura di F. Fiumelli – Doppio sogno, Galleria il lepre, Piacenza. 2016 Lacustre, Galleria Il lepre, Piacenza – Paesaggi/landscapes per Edel, Senape art space, Bologna, a cura di Calligraphie, presentazione di R. Bertozzi. 2015 Still White, a cura di Galleria Lara e Rino Costa Arte Contemporanea, Valenza (AL) – Natura per Elisa, EDEL # 4, Torre del Nuti, Museo di Scienze Naturali di Cesena, interventi critici di R. Bertozzi e S. Mazzotti – Germinal, Palazzo Don Baronio, Savignano sul Rubicone (FC) cura e testi in catalogo di R. Bertozzi e D. Torcellini. 2014 Hotel Cabiria, San

L’abat jour del poeta, 2018, terracotta, resina, acciaio, smalti e materiali vari, h. 88 ø 30 cm 306

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Three small moons, 2019, terracotta, gesso e smalti h.18 ø 16 cm

Big moon, 2019 terracotta, gesso e smalti h.40 ø 30 cm

Mauro Pascoli (FC) a cura di F. Bocchini e C. Ballestracci – Still Alive, BrerArt contemporary art week, Milano, a cura di C. Gangitano – Sei legato a atomi e molecole, Museo Storico Archeologico, Santarcangelo di Romagna (FC) a cura di F. Bocchini – Sogni, ombre del vero, Centro culturale di Russi (RA), a cura del Comune di Russi, testo in catalogo di R. Bertozzi – Natural 2.0, pescherie della Rocca Estense, Lugo (RA) a cura e testi in catalogo di S. Fabbri e A. Riva – Naturalia, Studio Arch. Zaccherini, Castel Bolognese (RA) Settimana del Contemporaneo a cura del Comune di Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche. 2013 – Eco-logica, Leo Galleries, Monza. 2012 – Orti siberiani, Spazio C.etrA Arte Contemporanea, Castel Bolognese (RA), testi in catalogo di R. Bertozzi – E bianca, Museo del Senio, Alfonsine (RA) a cura di Massimiliano Fabbri, testi in catalogo di Alessandro Giovanardi e Maria Rita Bentini – Glocal, Leo Galleries, Monza. 2011 54° BIENNALE DI VENEZIA, Padiglione Italia, Sala Nervi, Palazzo delle esposizioni, Torino, a cura e testi in catalogo di V. Sgarbi. C’è un filo conduttore che accompagna il mio lavoro nella sua totalità, riguarda l’approccio che è sempre lo stesso, sia che si tratti di un dipinto, di una scultura o di un installazione. Un approccio che definirei comportamentale, inteso come modo di pormi e di essere nel mondo, e che, altro non è, che la mia modalità affettiva di stare in contatto o dentro le cose. È una partecipazione fisica alla quale corrisponde sempre un atto di appropriazione.

Big moon, 2019 terracotta, gesso e smalti h.40 diam. 30 cm

Senza titolo, 2019, argilla su carta, 75x60 cm


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CaCO3 CaCO3 è un gruppo artistico fondato nel 2006 da Âniko Ferreira da Silva (Ravenna, Italia, 1976), Giuseppe Donnaloia (Martina Franca, Italia, 1976) e Pavlos Mavromatidis (Kavàla, Grecia, 1979). Il nome, CaCO3, marca il riferimento a uno dei materiali che più caratterizza la ricerca del gruppo, il carbonato di calcio, principale componente del calcare. Il gruppo è presente in varie collezioni artistiche sia a livello nazionale che internazionale, ha esposto in numerose mostre ed è rappresentato da varie gallerie in diverse fiere d’arte. Tra le ultime mostre, la personale Neoarcheologia curata da Niccolò Tasselli è attualmente presentata presso il Complesso Museale di Palazzo Ducale a Mantova. CaCO3 opera a Ravenna. www.caco3studio.com “La nostra ricerca indaga le relazioni tra materiali di diversa natura e le possibilità estetiche che si delineano attraverso l’alterazione degli aspetti fondamentali di un mezzo espressivo, riflettendo sulla materia anche le dinamiche intrinseche del gruppo stesso. La bellezza per noi è qualcosa che ha a che fare con la più semplice manifestazione della vita ovvero, la trasformazione della materia in una continua ricerca di equilibrio.

Soffio n33, Particolare, 2019, mosaico, 120x100x4 cm, foto: Daniele Casadio

Cattedrale n67, 2019, mosaico, ø 150x6 cm foto: Daniele Casadio

Ossidazione n1, 2019, tecnica mista, 70x70x4 cm foto: Daniele Casadio

Lavorare in gruppo amplia le possibilità di scoperta dove ogni intuizione è il frutto di un lavoro di progettazione comune e dove ogni opera prodotta riflette la qualità del confronto collettivo. La nostra ricerca quindi prosegue e si ridefinisce attraverso l’osservazione delle differenze” CaCO3 (…)”La gamma dei materiali impiegati è piuttosto ridotta, calcare bianco o nero, vetri a foglia oro o argento, vetro comune, vetri colorati trasparenti da cui ricavare tessere dalla forma stretta e lunga, mai uguali a sé stesse, accanto ad intonaci, malte, cocciopesti, più o meno pigmentati, per i fondi, che talvolta si elevano al ruolo di figura o quanto meno di soggetto. In una accezione spiccatamente neo-archologica, sono recuperati materiali che la tradizione del mosaico ha storicamente codificato. Lo scarto concettuale rispetto alla tradizione da cui i tre attingono è però dei più significativi. Con una attitudine che potrebbe dirsi minimalista, le composizioni si strutturano secondo rigide astrazioni geometriche o più libere organizzazioni biomorfe, definite, per ogni opera, da un unico materiale variamente modulato - sottilmente modulato talvolta - nello spazio dell’estensione dell’opera. Un’ossessiva insistenza su variazioni e micro-variazioni dei parametri vitali che permettono ad un opera di esistere.(…) D.Torcellini, “CaCO3 o dell’ipotesi di archeologia del futuro”, in CaCO3 Variazioni Parametriche, Catalogo Mostra, Marte edizioni, Ravenna, 2015

Ossidazione n2, 2019, tecnica mista, 70x70x4 cm foto: Daniele Casadio

Frottage n1, 2012, matita su carta, 30x21 cm 308

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Giovanna Caimmi Nata a Cesena, vive a Bologna dove insegna all’Accademia di Belle Arti. Personali: “Enquired Landscape”, Xi an, China, 20 Yuly 2019, Workshop bipersonale con Sergia Avveduti; “Aerial Roots”, 18; 5; 2019, Personale e Performance, Nantong University, China; “Germinal”, 14; 3; 2019, Cesena, Corte Zavattini, curatore Roberta Bertozzi; “White Lights”, 4; 3; 2019, PXL University College Hasselt, Hasselt, Belgium. “Heaven”, 1; 2; 2019, Bologna, Spazio B5, curatore Alice Rubbini; “Drawings”, Biennale del Disegno, Rimini, 2018, curatori Massimo Pulini, Andrea Lo Savio; “Il male degli ardenti- Caimmi- Roberto Paci Dalò”, performance, Istituto Cavazza, Bologna, 2016; “Non verbis sed rebus”, bipersonale con Jacopo Dal bello, Dif-fu-sa contemporanea, Forlì, 2016; Il male degli ardenti”, AbC gallery, Bologna 2016, curatori Beatrice Buscaroli, Angelo Antonio Fierro; “La Zona”, Visionnaire Gallery, Milano, 2013; “Wasserjungfer”, Museo della città di Rimini, Rimini, 2012, curatore Massimo Pulini; “Pan”, D406 Artecontemporanea, Modena, 2010, testo intervista Marisa Albanese – Giovanna Caimmi; “Assenza di Gravità”, Romberg Arte Contemporanea, Roma, 2008, curatore Gianluca Marziani; “Eterotopie”, D406 artecontemporanea, Modena, 2006, curator Giuseppe Fonseca; “Red Match”, Galleria Il Milione, Milano, 2005; “Red Match”, Stadio Dallara, Bologna,2005, curatore Eleonora Frattarolo; “Stato Intermedio”, Galleria Loretta Cristofori, Bologna, 2000, curatore Valerio Dehò; Collettive: “Immagini, note di sguardi”, Cervia - Bologna - Berlin; Pankow - Aigues Mortes, Curatore Gino Giannuizzi – ottobre 2019, Bologna; “Premio Santa Croce Grafica”, Santa Croce sull’Arno, 2016, curatore Ilaria Mariotti; “Il sangue delle donne”, Roma 2015, curatore Manuela de Leonardis; “Casabianca-Disseminazione”, Bologna 2015, curatore Gino Giannuizzi; “Germinal -Cristallino”, Savignano 2015, curatore Roberta Bertozzi; “Cuore di pietra”, Pianoro, 2014, curatore Mili Romano; “La scrittura disegnata”, Santarcangelo, 2014, Biennale del

disegno di Rimini; “Selvatico: Bianca”, Lugo, 2012, curatore Massimiliano Fabbri; “Le Invasioni Barbariche”, Russi, 2012, curatore Bruno Bandini; “Il mucchio selvaggio”, Galleria D406, Modena, 2009; “Artisti della Galleria D406”, Officina delle Arti, Reggio Emilia, 2007; “Il lavoro del Mito”, Galleria D406, Modena, 2005; “Artisti della Galleria”, D406, Modena, 2005; XXXII Premio Sulmona, Sulmona, 2005; Terza Triennale di Arte Sacra Contemporanea, Lecce, 2004, curatore Toti Carpentieri; “Artisti della Galleria”, Galleria Santo Ficara, Firenze, 2003; “God Bye Gondola, Vulgaris” Galleria 42, Modena 2003; IX Biennale d’Arte Sacra, Teramo, 2000, curator Calvesi, Chenis, Apa, Pontiggia Testi pubblicati: “Come gli amanti di lungo corso”, Icone, Roma, 2009, introduzione di Mariano Apa; “Il male degli ardenti”, OM edizioni, Bologna 2016, Testi di Giovanna Caimmi, Beatrice Buscaroli, Angelo Antonio Fierro. Napoli, 17 maggio 1787 “Devo ora dirti, in confidenza, che sono prossimo a scoprire il segreto della generazione e della organizzazione delle piante: è la cosa più semplice che si possa immaginare. Sotto questo cielo si possono fare le più belle osservazioni. Ho trovato in modo indubbio e chiarissimo il punto essenziale, dove è riposto il germe; tutto il resto lo vedo ora all’ingrosso, e solo alcuni punti devono essere meglio precisati. La pianta primitiva diventa la cosa più sorprendente del mondo, per la quale la natura stessa mi invidierà. Con questo modello e con la sua chiave si potranno inventare piante all’infinito, che saranno conseguenti, vale a dire che, anche senza esistere nella realtà, potrebbero tuttavia esistere; che non saranno ombre o parvenze pittoriche, ma avranno una verità e una necessità interiore. La stessa legge si potrà applicare a tutti gli altri esseri viventi.” Johann Wolfgang Goethe

Die Urpflanze, 2018, carboncino, matita cm 245x200 Intrusioni, 2019, carboncino, matita cm173x108 310

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Tarassaco, 2019, carboncino, olio, matita cm163x118

Giochi per piccoli animali, 2018, carboncino, matita cm 121x165

Lightning rod, 2018, carboncino, matita, cm125x200

Apocalisse di San Giovanni, 2018, carboncino, matita cm 150x260

Parassita zen (dettaglio) pistillo


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Giulio Catelli Giulio Catelli (Roma 1982). Tra le principali mostre recenti si ricordano: Cats love birds, Giulio Catelli/Alessandro Finocchiaro, Mars, Milano 2019; Spiriti in Fermento. In memoria di Antonio Mercadante, a cura di Salvatore Falzone ed Elisa Mandarà, Galleria Civica d’Arte di Palazzo Moncada, Caltanissetta 2019; Antonio Mercadante, un critico irregolare in mostra. Paesaggi umani, a cura di Walter Angelelli, Francesca Bottari, Stefano Petrocchi, Accademia di Belle Arti di Roma, Roma 2019; Quotidiano emozionale, a cura di Marta Silenzi, con un contributo di Mercedes Auteri, Galleria Centofiorini, Civitanova Marche (Mc) 2018; Landina 2017, esperienze di Pittura en plein air, a cura di Lorenza Boisi, Museo Tornielli, Ameno (NO) 2018; Selvatico [dodici]/ foresta. Pittura Natura Animale, a cura di Massimiliano Fabbri e Lorenzo di Lucido, Galleria Marcolini, Forlì (FC) 2017. Con Lorenza Boisi e Luca De Angelis è collaboratore dell’Almanacco lunare degli artisti – Il piccolo Giotto, blog dedicato al disegno e alla poesia contemporanea (https://ilpiccologiotto.blogspot.com/). I quadri che espongo al Museo di San Rocco a Fusignano, per lo più dipinti di figura, sono legati a occasioni del quotidiano: La gonna di Lorenza, Anniversario, Albertino s’è arrabbiato, etc.. La forma frammento, il flash visivo è il modo che sento più congeniale per accostarmi alle immagini. Lo spettacolo del mondo mi si offre in tracce, scatti, brillii; si stabilisce così, un parallelismo tra i soggetti sospesi e talvolta incompleti e la modalità di rappresentazione, abbreviata e sintetizzata. La direzione sarebbe quella di un’immediatezza visiva, di una ricerca di spontaneità, di uno spazio delle associazioni libere e se si vuole della divagazione; in ogni caso, il bisogno di mettere alla prova lo sguardo sulla realtà, a chiarire il groviglio dei sensi e dei sentimenti.

Le nécessaire 2018, olio su carta su tavola 35x25 cm

Gonna a fiori 2018, olio su tela 70x50 cm

Albertino s’è arrabbiato 2019, olio su tela 160x150 cm

La tenda a piazza Vittorio, 2018, olio su tela 160x140 cm

Anniversario 2019, olio su tela 140x120 cm

Spiaggia 2019, inchiostro su carta 48x33 cm 312

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Amanda Chiarucci Amanda Chiarucci, classe 1974. Nel 2015 con la personale ‘Il sentimento dell’evoluzione’ a cura di Alessandro Giovanardi presso la Galleria Luigi Michelacci di Meldola, espone il suo nuovo ciclo di opere che presenterà poi in altre partecipazioni: ‘Dialoghi Paralleli’ alla Galleria Lara e Rino Costa di Valenza Po e ‘La scultura è una cosa seria’ alla Galleria Bonioni Arte di Reggio Emilia, con la curatela di Niccolò Bonechi. Nel 2018 partecipa al ‘Cantiere Disegno’ della Biennale del Disegno di Rimini, a cura di Massimo Pulini. Il 2019 si apre con la personale ‘Rubedo’ presso la Galleria Bonioni Arte, a cura di Matteo Galbiati e con le collettive ‘Quante storie sulla luna: a cinquant’anni dall’allunaggio’ alla Galleria Colossi Arte Contemporanea di Brescia, ‘Transiti’ a cura di Raffaella A. Caruso alla Galleria Carla Spagnuolo di Palazzo Lascaris di Torino e ‘B-Archive’, mostra sulle opere donate al Museo della Città per l’archivio della Biennale del Disegno di Rimini, a cura di Alessandra Bigi Iotti e Franco Pozzi. Il suo percorso prosegue nel circuito fieristico dell’Arte Contemporanea come Arte Fiera di Bologna, ArtVerona, BAF di Bergamo e Arte Padova. “Il globo stesso continuamente trascende e cambia se stesso, diventando alato nella sua orbita. Persino il ghiaccio comincia con delicate foglie di cristallo, come se fosse fluito in forme che le fronde delle piante acquatiche hanno impresso sullo specchio dell’acqua. Lo stesso albero, nella sua tonalità, non è che un’unica foglia, e i fiumi sono foglie ancora più ampie, la cui polpa è la terra che vi si infiltra, e i paesi e le città sono le uova degli insetti nelle loro ascelle. Quando il sole tramonta, la sabbia cessa di fluire, ma al mattino i ruscelli riprenderanno a scorrere e a ramificarsi in miriadi di altri. Di qui, forse, si può vedere come siano formati i vasi sanguigni. Guardando attentamente si osserva che, dalla massa che si scioglie, esce prima un ruscello di sabbia ammorbidita, con una punta simile a una goccia, come il polpastrello del dito, che tenta la sua via lentamente e ciecamente

Naturae elevatio, 2019, origami Golden Venture, carta da romanzi anni ’60, da libri scolastici, guide turistiche T. C. I. del 1920, riviste geografiche, organdis di cotone e tronco di albero 132,5x76x66 cm 314

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Elevation, 2017, origami Golden Venture, carta da guide turistiche della Touring Club Italia del 1920, china e frammenti di alberi, 60x60x15 cm

verso il basso, finché, quando la calura e l’umidità aumentano, a mano a mano che il sole si alza, la parte più fluida - nel suo sforzo di obbedire alla legge cui cede anche la parte più inerte - si separa da essa, e, all’interno, forma per sé un canale serpeggiante, o arteria, in cui si scorge il ruscelletto argenteo, guizzante come il lampo da una serie all’altra di foglie polpose o di rami, che ogni tanto è inghiottito nella sabbia. [...] Tali sono le sorgenti dei fiumi. Nella materia silicea che l’acqua deposita c’è, forse, il sistema osseo, e, nel suolo, ancora più sottile, e nella materia organica, c’è la fibra carnosa, o tessuto cellulare. Cos’è mai l’uomo se non una massa di creta che sgela? Il polpastrello del dito umano, altro non è che una goccia congelata. [...] Non è forse la mano una foglia di palma aperta, con i suoi lobi e le sue vene? L’orecchio può essere considerato fantasticamente come un lichene, Umbilicaria sui lati della testa, con il suo lobo o goccia. Il labbro, labium da Labor, lambisce o trascorre dalle parti della bocca cavernosa. Il naso è chiaramente una goccia congelata, o stalattite. […] Le guance sono una discesa, dalle ciglia alla valle della faccia, ostacolata e ampliata dagli zigomi. [...] Così pareva che questo pendio illustrasse il principio di tutte le operazioni della Natura. Il fattore di questa terra brevettò solo una foglia. [...] È vero, c’è qualcosa di escrementizio nel suo carattere, e non c’è fine negli ammassi dei suoi fegati e delle sue viscere, quasi che il globo fosse sventrato e rovesciato; ma ciò almeno mostra che la Natura ha viscere, e là, ancora, che essa è Madre dell’Umanità.” H. D. THOREAU, WALDEN, 1854 “Volgi il tuo occhio all’interno e scoprirai migliaia di regioni nel tuo cuore ancora vergini. Percorrile tutte, e fatti esperto in cosmografia interiore.” W. HABINGTON

Magma cristallino, 2017, altorilievo Golden Venture con carta Bristol Fabriano, 111x 161x16 cm

Scorci di ghiaccio. C’é Qualcosa che si Muove Sotto il Ghiaccio, 2019, altorilievo Golden Venture, carta da rivista geografica militare l’’Universo’ e carta da calco, 91,5x93x17,5 cm

Atum, I Am Nature, disegno, 2018, carta da calco e grafite


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Giacomo Cossio Nato a Parma nel 1974, vive e lavora a Parma. I giardini portatili sono una serie iniziata nel 2018. Sono piante in vaso colorate dipinte con smalti all’acqua poste su dei tavoli con ruote. Le piante adeguatamente curate continuano a vivere e a crescere.

ControNatura, Modena OvestLab a cura di Scuola Cesare Leonardi Maggio 2019, installazione, piante in vaso e smalto, 600x250x300 cm Foto di Massimo Vicini

ControNatura, Modena OvestLab a cura di Scuola Cesare Leonardi Settembre 2019, installazione, piante in vaso e smalto, 600x250x300 cm Foto di Massimo Vicini Tavolo per Giardino portatile scala 1/20.

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Ilaria Cuccagna Ilaria Cuccagna è nata a Cesena nel 1981, vive e lavora a Como. Dopo gli studi di scultura e fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino e la Facultad de Bellas Artes de San Carlos, Universidad Politécnica di Valencia, dal 2008 inizia a collaborare con fonderie artistiche in Italia, Inghilterra e Svizzera contribuendo alla realizzazione di numerose opere di scultura in bronzo. Si occupa inoltre di didattica insegnando tecniche della scultura. Nel 2015 è visiting professor presso il Dipartimento di Storia dell’Arte dell’Università di Malta. Ha partecipato a mostre collettive, in Italia e all’estero, tra cui dal 2011 ad oggi: Abecedario della storia sotto il tappeto, MAR museo Ravenna, Officine dell’Arte presso Careof, Fabbrica del Vapore a Milano; Spatium. Trentacinque artisti e un regista presso il Castello di Pagazzano; Brain-tooling nel Forte di Montericco sulle Dolomiti Bellunesi e la mostra Premio Giovani Artisti 2019 Sinestesia nel mondo dell’arte, presso il M.A.X. Museo di Chiasso in Svizzera. Qui riceve il Primo Premio Giovani Artisti 2019 assegnatole dalla giuria presieduta da Marco Franciolli. Nel 2015 è tra gli artisti invitati alla Mdina Contemporary Art Biennale (Malta). Tra le mostre personali si segnala: Migratio, Mdina-Valletta, personale presso Spazio Splendid a Valletta; Wunderkammer Ilaria Cuccagna. Ossimori, presso la Galleria Riccardo Crespi di Milano e Vestigia del presente, presso Galleria Ramo a Como. Negli anni ha preso parte a programmi di residenza artistica nazionali ed internazionali. www.ilariacuccagna.com Nella mia pratica l’opera nasce come risultato di una ricerca che lentamente, interagendo con il vissuto, conquista la propria fisicità. Il processo, inteso come relazione temporale e fisica tra gli elementi e l’ambiente, è il focus

dei miei lavori più recenti. Spesso il lavoro inizia attraverso l’osservazione delle situazioni codificate all’interno dei soggetti stessi. Importanti per me sono le tecniche proprie della scultura immaginate come processi fisici e chimici (quasi alchemici) tra le materie e in grado di generare un immenso fascino. Nel tempo è diventato fondamentale sperimentare la tecnica, portare il metodo all’estremo, spingere la materia verso il limite, vicino al proprio punto di rottura. Lì trovo ancora qualcosa da raccontare, qualcosa che meriti di essere prodotto. Così nascono sculture e site-specific che parlano di azioni accadute, processi innescati, alterazioni della materia, oggetti che raggiungono la propria conformazione definitiva solamente dopo essere stati sottoposti a sollecitazioni. Attraverso la scelta di assecondare tali trasformazioni ricerco una sorta di autonomia del lavoro, una dimensione di totale imprevedibilità in cui l’opera possa assumere conformazioni inaspettate. In questo senso considero la scultura come una pratica performativa. La natura e il paesaggio sono temi importanti della mia ricerca. Mi interessano quelle situazioni in cui la natura si relaziona -o torna a relazionarsi- al paesaggio antropico (in particolare architetture abbandonate e luoghi di estrazione e lavorazione delle materie prime). Attraverso il mio lavoro tento di mettere in luce questi equilibri -fragili e intensi allo stesso tempo- perché penso sia necessaria una riflessione profonda sull’utilizzo del patrimonio naturale. Anche il riferimento all’archeologia è un aspetto costante nel mio lavoro. Lo scavo e il ritrovamento, così come l’utilizzo dei “resti”, fanno parte della mia pratica. I “frammenti” e gli “scarti” rimandano ai ricordi e al vissuto, dunque alla storia. Il resto e l’azione risvegliano il ricordo. Conducono la mente entro spazi intimi e aiutano a comprendere i meccanismi della realtà.

Ossimori, 2016-2017, marmo rosso / acer palmatum / travertino rosso / arbutus unedo / marmo rosa portogallo / phytolacca americana / granito juparanà classico / trametes versicolor / travertino romano / hydrangea aspera / travertino giallo / trametes versicolor / marmo rosa portogallo /cornus kousa / onice rosa / ganoderma applanatum / marmo carrara / lavandula angustifolia / marmo calacatta / hydrangea cinerea / marmo nero / grimmia pulvinta / marmo nero marquina / phytolacca americana / verde marinace / asplenium trichomanes / marmo verde serpentino / nelumbo nucifera / onice grigio / grimmia pulvinata / granito marrone / magnolia grandiflora / marmo nero marquina / bjerkandera adusta / onice bianco / lunaria annua / marmo carrara / piuma, dimensioni variabili 318

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Archaeological, between creation and discovery, 2019, gesso, ossido di ferro, sale, tempo, 60x30x30 cm


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Valentina D’Accardi Nata nel 1985, vive e lavora a Bologna. Diplomata in Pittura al Biennio Magistrale di Arti Visive presso l’A.B.A. di Bologna. Mostre Personali Selezione: 2017 Fiume, Bologna Fotografata, Bologna, a cura di SpazioLabò per Cineteca di Bologna / Perpetuus, Atto I, ABC per Setup Artfair, a cura di Irene Biolchini / 2016 Individui Universali, MIC, Faenza. Doppia personale con Victor Agius. A cura di I. Biolchini / Bellaria Reportage, La Casa Rossa di Alfredo Panzini, Bellaria-IgeaMarina. A cura di Marco Antonio Bazzocchi / Fiume, ABC, Bologna, a cura di Maura Pozzati / Fiume Preview, ABC per Setup Artfair, Bologna / 2014 Vie di dialogo/4, Museo della Città, Rimini. Doppia Personale con Silvia Camporesi. A cura di Claudia Collina e Massimo Pulini / 2011 Grakcsios Dvasios, AV17 Gallery, Vilnius, Lituania. A cura di Kristyna Mizgiryte / Polvere Sottile, Adiacenze, Bologna. A cura di Daniela Tozzi / 2010 Mulhouse 010, Francia. A cura di Roberto Daolio. Mostre Collettive Selezione: 2018The Wanderer Proximity, Metronom per Fotopub, Novo Mesto, Slovenia. A cura di Gabriele Tosi / Artifact Prize. A cura di Metronom, Castello di Levizzano Modena / 2017 Ritrattare, Galérie l’Entrepot, Montecarlo, Monaco. A cura di Gino Giannuizzi / 2016 Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee, Fondazione Francesco Fabbri, Pieve di Soligo. A cura di Carlo Sala / Paragone Antico/Contemporaneo, Fortezza Rinascimentale di San Leo, Rimini. A cura di Alessandro Marchi e Danilo Montanari / Giovane Fotografia Italiana #04 -Sideways - Fotografia Europea, Palazzo Casotti, Reggio Emilia. A cura di Daniele De Luigi / 2015 Chiamata Collettiva: 13 Artisti per Germinal, Palazzo Don Baronio, Borgo San Rocco, Savignano sul Rubicone. A cura di Roberta Bertozzi, Francesco Bocchini, Claudio Ballestracci / Hestia: La dimora, cinque artiste e una divinità, ABC Ass. Cult., Bologna. A cura di Maura Pozzati / Der Garten | Gesamtkunstwerk, Bag Photo Art Gallery, Pesaro. A cura di Cristina Magnanelli Weitensfelder Premi e Riconoscimenti Selezione: 2018 Artifact Prize: Terza Classificata / 2016 Premio Francesco Fabbri, sezione Fotografia Contemporanea: Menzione Speciale della Giuria / Giovane Fotografia Itliana #04 - Sideways, Festival Fotografia Europea: Finalista / Setup Contemporary Artfair: Miglior Artista Under 35 - 2015 / Premio Celeste: Segnalata ed Editor’s Choice / 2010 Segnalata al Premio Nazionale delle Arti, Napoli;

Pubblicazioni e Articoli Selezione: 222 Artisti Emergenti su cui Investire, Exibart;
 Espoarte 95 - Talent Show Giovani, di Irene Biolchini; La ceramica Moderna, “Da Artissima alla Serenissima”, di Irene Biolchini; Fiume, Valentina D’Accardi, pubblicazione, Danilo Montanari Editore; Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee, a cura di C. Sala; Settimana del Contemporaneo 2016 Faenza / Individui Universali, a cura di Irene Biolchini; Paragone, a cura di Alessandro Marchi, Danilo Montanari Editore; Bellaria Reportage - con gli occhi di Panzini, a cura di Marco Antonio Bazzocchi, edizioni Pendragon; Fotografia Europea – La via Emilia. Strade, viaggi, confini, di Ezio Grazioli e Walter Guadagnini, Silvana Editoriale; Vie di dialogo/4, IBC Istituto Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna
 Non so ancora se ne sono uscita. Sono andata in queste paludi nel 2015. Cercavo un’ombra: volevo chiederle di rispondermi, oppure di lasciarmi libera. Avrei accettato entrambe le cose. Invece sono rimasta incastrata. Ancora. Lei scivola nel fiume un giorno del 1972. Con gli occhi chiusi il suo corpo attraversa la pianura. Viene trovato dieci giorni dopo, in un’altra provincia. Lascia tre bimbi di 12,11 e 6 anni. Sono mia zia, mia madre, mio zio. Ora sono molto piccola, apro l’album. Vedo foto di teneri orfani tristi, poco importanti. Sento le loro voci: mi fanno domande. Non so rispondere. Allora sono grande. Faccio il viaggio nella pianura trent’anni dopo. Guardo l’acqua per capire, vedere. Voglio delle risposte. Non accade. Ma qualcosa succede.

44.652988, 44.545803, 44.651569, 44.651698, 44.652612, 11.427646, 11.421505, 25x35 cm 11.351610, 11.423240, 25x35 cm 11.422983, 18x27 cm 27x18 cm 27x18 cm 2016, stampe ai sali d’argento 320

| selvatico [quattordici]

44.665004, 11.451304, 18x27 cm

44.694600, 44.697832, 11.597769, 11.474213,18x27 cm 27x18 cm

I bimbi sperduti, 2016, matita su carta, 25x35 cm


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Dem Marco Barbieri, noto come DEM nel mondo dell’arte, è nato a Codogno nel 1978. Come un moderno alchimista, crea personaggi bizzarri, creature surreali, abitanti di uno strato impercettibile della realtà umana. Multiforme ed ironico, le sue opere che spaziano dal wall-painting, alla ceramica, al disegno, si arricchiscono di un linguaggio simbolico che invita ad elaborare un proprio codice d’accesso per questo mondo enigmatico ed arcano. L’avvicinamento a tematiche antropologiche e legate alla natura stimolano l’artista a una costante sperimentazione, giunta negli ultimi anni alla produzione di un film e alla creazione d’installazioni composte esclusivamente da materiali naturali. Oltre alla produzione nelle fabbriche abbandonate e nei boschi, scelti come sfondo ideale per i suoi lavori, DEM vanta varie pubblicazioni ed esperienze espositive, come la personale alla Oro Gallery di Goteborg e la partecipazione alla mostre Street Art, Sweet Art al PAC di Milano, Nomadaz alla Scion Installation di Los Angeles e CCTV all’Apostrophe Gallery di Hong Kong.

Kukero, 2018, tessuto, 71x41 cm

Doppia testa, 2019, ceramica 23x13x13 cm

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Hopi 2019, ceramica 20x11x14 cm

Eternal little goddess, 2018, materiali vari 300x380 cm

Tre teste 2019, ceramica 26x16x16 cm

Burqa 2019, tessuto 50x25x32 cm

Bandari 2019, tessuto 70x36x35 cm

Dea della fertilità 2018 china su carta 45x37cm


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Chiara Enzo Chiara Enzo (1989) vive e lavora a Venezia, e si è laureata in Pittura nel 2018 presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia con Carlo Di Raco. Nel 2013 una borsa di studio Erasmus+ le permette di proseguire gli studi per un anno presso la De Montfort University a Leicester, nel Regno Unito. Nel 2017 vince la 101ma Collettiva Giovani Artisti della Fondazione Bevilacqua La Masa (Venezia), e nello stesso anno ottiene uno studio d’artista nell’ambito del programma di residenze della stessa fondazione; nel 2018 è finalista al Premio Fabbri per le Arti Contemporanee, ed è vincitrice di Lydia! Premio all’Arte Contemporanea Emergente, indetto dalla Fondazione Il Lazzaretto (Milano). Nel 2019 è finalista al Premio States of Minds (Vicenza). Ha esposto in diverse mostre in Italia e in Europa. La pratica artistica di Chiara Enzo indaga la relazione tra il sé e l’Altro, al cui centro è posto il corpo, percepito come topos vulnerabile, straniante e contraddittorio. L’opera si articola in serie di immagini che incarnano uno sguardo analitico, focalizzato su esperienze minime e frammentarie. La superficie, oggetto e soggetto primario della pittura, è concepita come pelle, confine entro cui prende necessariamente forma l’esperienza, e nel suo costituirsi come limite si carica del desiderio di oltrepassarlo. La sua ricerca si sviluppa quasi esclusivamente per mezzo del disegno e della pittura, secondo modalità che rispondono alla necessità primaria dell’autrice di stabilire un contatto prolungato e sfiancante con l’oggetto scandagliato. Il supporto preferito è la carta, e il materiale il pastello, congeniale perché non richiede di adeguarsi a tempi di asciugatura e permette quindi una dilatazione temporale estrema del processo di realizzazione. Il pastello richiede un’attenzione tirannica, produce una tensione che si inscrive nell’attenzione ossessiva dello sguardo che esplora la prossimità. Uno degli aspetti di maggiore importanza è qui la relazione che viene ad interporsi tra l’opera e l’osservatore, che assume un carattere esclusivo di rapporto a tu per tu. Il formato delle opere tende a non superare mai le dimensioni di un volto umano. L’immagine viene così ad assumere le sembianze di una piccola finestra, troppo piccola per potervici affacciare; l’osservatore è però indotto ad avvicinarsi quanto più possibile, a ritracciare il percorso dell’autrice, a cercare nell’immedesimazione una coincidenza degli sguardi, ad attivare uno stato di ricerca inquieta generata dal carattere intenzionalmente parziale del rappresentato, che induce allo spostamento nel perseguimento della completezza. L’aderenza del vedere si configura in una concezione oltre-realistica che ingloba il linguaggio dei media attraverso cui si interfaccia, prendendo a prestito una visione che non è mai puramente quella dell’occhio umano, ma incorpora invece quella dell’obiettivo della fotocamera o ancora più spesso quello della cinepresa; una visione mediata che è peculiare del mondo contemporaneo, che accentua il frammentarsi della percezione della realtà e la dispersione, il ritrarsi del senso.

A me stessa, 2019, tempera, pastello, matite colorate su carta incollata su tavola, 24x16,8 cm

Installazione di tre opere pittoriche a parete (Letti, Graticola, M. Supina), 2018, tempera, pastello, matite colorate su carta incollata su tavola, Dim. complessive 20x110x3 cm

Lenzuolo, 2019, tempera, pastello, matite colorate su carta incollata su tavola, 15x32 cm

Parziale esposizione, 2019, tempera, pastello, matite colorate su carta incollata su tavola, 17,7x14,8 cm

Senza titolo, 2019 tempera, pastello, matite colorate su carta incollata su tavola, 17,7x14,8 cm

Tracce su letto, 2017, grafite su carta, 18x15 cm 324

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Alice Faloretti Nasce a Brescia nel 1992, vive e lavora a Venezia. Nel 2018 ottiene il Diploma di Secondo livello presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, nel 2017 trascorre un periodo di studi presso AVU Fine Arts Academy di Praga. Mostre personali: 2019 Personale, Galleria Francesca Antonini Arte Contemporanea, Roma (in programma); Transizioni, Festival 360, Parma; Ricognizioni in Contemporanea, galleria 1.1Zenonecontemporanea, Reggio Emilia; 2018 Premio Start, Studio legale, Padova. Mostre collettive: 2019 Tutti non ci sono, Traffic Gallery, Bergamo; Premio Nocivelli, Chiesa della Disciplina, Brescia; Summer Exhibition, Crag Gallery, Torino; 102ma Collettiva Bevilacqua La Masa, Galleria di Piazza San Marco,Venezia; La risposta dell’amore/ Die antwort die liebe, Cantieri Culturali della Zisa, Palermo; 2018 Open Studio Progetto Borca, Dolomiti Contemporanee, Borca di Cadore; Premio Nocivelli, Chiesa della Disciplina, Brescia; 1, 2, 3 Start!, Centro Culturale Altinate San Gaetano, Padova; Opera Prima, spazio Dumbo Docks, Venezia; Combat Prize, Museo Civico G. Fattori, Livorno; Arteam Cup, Fondazione Dino Zoli, Forlì; 2017 AVU Exhibition, Accademia di belle arti, Praga; 2016 Fuori Uso 2016. Avviso di Garanzia, Ex Tribunale, Piazza Alessandrini, Pescara; 2015 Biennale internazionale dell’incisione, Museo d’arte Contemporanea e del Novecento, Monsummano Terme.

Fulgido, 2019 olio su tela 30x25 cm

Una grotta, uno squarcio nel cielo, forse una stanza, 2019, olio su tela, 170x200 cm

La mia ricerca si sviluppa attraverso il riaccostamento di immagini e suggestioni provenienti dai luoghi del mio vissuto, frammenti che quotidianamente colgo per poi rievocare tracciando nuove relazioni e significati. Il paesaggio costituisce il cardine del mio lavoro ed è inteso sia dal punto di vista naturale, spesso distinto da una prosperosa e conturbante vegetazione, sia artificiale, in cui strutture artefatte paiono richiamare scorci domestici. Mi attraggono le infinite possibilità che possono scaturire da ciò che direttamene mi circonda, dalla vicinanza fisica e mnemonica a determinati ambienti e la rilettura interiore che ne può emergere. Attraverso la pittura ad olio metto in atto accostamenti e sovrapposizioni inaspettati, generando luoghi immaginari, fittizi, spazi ibridi tra natura e artificio, tra esterno e interno, tra intimo e sconosciuto. Scenari irreali avvolti da atmosfere ambigue, in cui ricordi, sogni e riflessioni si alternano e si contaminano in un flusso senza fine.

Barlume, una pallida luce sull’orizzonte del mio cielo, 2019, olio su tela, 70x100 cm

Piscina, 2019, olio su carta, 29x21 cm

Veduta, 2018, olio su carta, 21x14,5 cm

Finestre sul giardino, 2019, 21x15 cm, matita su carta 326

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Alessandro Finocchiaro (Catania, 1967). Tra le recenti attività: Milano, Mars (con G. Catelli) Cats love birds, 2019. Catania, Scuola fuori norma/Student Lab, Rovereto, Roulotte di Sant’Osvaldo, Hal is forgiven, a cura di Ignazio Lago. Ameno, Museo Tornielli, Landina, a cura di L. Boisi, 2018. Vicenza, L-Officina e Galleria Ghelfi, Birds, a cura di E. Mitrovich. Roma, Galleria Andrè (con Laura Barbarini) Il verde è il nostro segno, testo di Carlo Fabrizio Carli, 2017. Civitanova Marche, Galleria Centofiorini, personale, testo di Ruggero Savinio. Selvatico 12, Foresta. Pittura Natura Animale, a cura di Massimiliano Fabbri - Forlì, Galleria Marcolini, a cura di Lorenzo Di Lucido. Territorio di Verbania-Cusio-Ossola, Landina, residenza di pittura en plein air (Cars – Omegna), a cura di L. Boisi. Caltagirone, Scalamatrice 33, Esploratori da camera (con Maurizio Pierfranceschi). Magliano Sabina, Convento Santa Maria delle Grazie/Eco-Ostello, Still Nature, (con G. Catelli), a cura di Chiara Palozza, testo di Daniela Vasta, 2016. Ragusa, Palazzo Zacco, Civica Raccolta Carmelo Cappello, 2015, Il puro soggetto visto, antologica a cura di Andrea Guastella. La mia è una pittura di realtà: cerco di dipingere ciò che ho visto. Di solito il dipinto nasce da un ricordo. Pittura come una sorta di scrittura: descrizione quindi, non riproduzione. Forse per questo nei miei lavori ho sempre teso a una, per quanto possibile, forte sintesi e asciuttezza. Frammenti di memoria, cancellazioni e rinascite, percorsi caratterizzati anche da ellissi, da spazi vuoti come lunghe pause mi sembra caratterizzino molti miei lavori. I volumi sono spesso resi per masse cromatiche, o accennati con tocchi di colore. Questa sintesi risponde probabilmente a mie esigenze stilistiche, anche se mi sono sempre tenuto a distanza di sicurezza da un preciso stile, così come da una particolare tecnica esecutiva. Mi affascina-

Uccellini, 2017 olio su tela, cm 30x30

Giorno d’estate, 2018 olio su tela, cm 20x20

no spesso pitture completamente diverse dalle mie. Cerco forse di trovare soluzioni che accendano l’immagine, che la portino al suo limite. Non so bene poi il motivo per cui finisco per soffermarmi su un dettaglio piuttosto che un altro. Poi dipingendo le ragioni si presentano come ineludibili. Probabilmente, come è stato notato, entrano nel mio dipingere esperienze anche sinestetiche. Questo forse, e paradossalmente, grazie al fatto che dipingo senza dirette interferenze, senza ascoltare musica e, spesso, senza neanche avere davanti il soggetto rappresentato o fotografie. Ciò non è comunque una regola. La pittura cerca, nel suo silenzio, di comprendere tutto, o almeno di lasciarne una traccia. I ricordi come i ritmi e suoni evocati scaturiscono dall’architettura piana del dipinto, che si costruisce, a volte strato su strato, altre volte già con pochi tratti di pennello e leggere stesure veloci, a studio. Il dipinto è, spesso, la somma nascosta di più immagini. Mi è ultimamente successo, grazie a esperienze fatte insieme ad amici pittori (Landina di Lorenza Boisi in primis), di ritrarre invece oggetti o natura e figure direttamente osservati, così una ritrovata gioia è dilagata nel dipingere. Non riprendo in studio i dipinti fatti dal vivo. Forse questi somigliano più a dei disegni, a degli appunti fatti di semplice ritmo e colore. A questi possono ricondursi alcuni di quelli qui presentati sugli uccelli, da me dedicati a delle composizioni di Olivier Messiaen, fatti qualche tempo fa grazie all’invito dell’amico Enrico Mitrovich a dipingere per una mostra che ricordasse - e dialogasse con - le sculturine lignee di Tolmino Zara. Questi uccellini, come frammenti di vita, mi è parso si potessero ben sposare al tema di Selvatico 14. Ora questi e altri dipinti e disegni di Giulio Catelli e miei incontrano, nella nuova ala del Museo San Rocco di Fusignano, le immagini fotografiche e pittoriche del fronte e della resistenza, dell’alluvione del 26 novembre del ’49, lo spazio e le pitture di Annibale Luigi Bergamini, le sculture di Raoul Vistoli.

La rondine, 2017 olio su tela, cm 30x30

Passerotti sul Soratte 2018, olio su tela, cm 50x50

Pausa lavoro, 2019 olio su carta, cm 25,8x20

La foto del museo. Fusignano 1949, 2019, matita grassa su carta, cm 23,4×31,3 328

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Barbara Fragogna Nata a Venezia nel 1975, Barbara Fragogna è un’artista multidisciplinare, curatrice ed editrice. Attualmente vive tra Torino e Berlino. La mia ricerca artistica indaga principalmente i temi del fallimento produttivo quali l’ironia, l’ansia, il senso del ridicolo, la nausea, l’individualismo, il confronto non democratico, il patriarcato, l’ossessione, la disfatta della memoria, la ri-dimensione dell’ego, l’assurdo e il paradosso attraverso la pratica artistica (e curatoriale) come azione inutile, ma necessaria. Ha esposto presso numerose gallerie e istituzioni in Italia e all’estero, è stata la direttrice artistica della KH Tacheles dal 2008 al 2012, nel 2013 ha fondato la casa editrice indipendente Edizioni Inaudite. Dal 2015 dirige il progetto Fusion/Inaudita a Torino. www.barbarafragogna.com Selfie, Not A Hero Vivo in un luogo dove la marmaglia si smeriglia i lucidi nasi sfrigolano sul pianeta in catene in dorate strade bannate corteggiano paralitici mentali governanti egotici. Ascoltare sordi come se cascatasse cera con la testa piegata un po’ a destra un po’ a sinistra a sfondare membrane sicchè le trombe non suonino che gargarismiche vibrazioni al cranio dopo un maremoto.

Selfie, Not a Hero, 2019, olio su tela, 140x120 cm

Selfie, Not a Hero, 2019, olio su tela, 140x120 cm

Selfie, Not a Hero, 2019, olio su tela, 140x120 cm

E non credo nell’intrepido maleodorante marmo quello che scanala sulla fronte una faglia che trasuda idee grasse e mistiche che spinge geyser numero cinque. Io che non so dare un taglio alla siepe che nella sua forma ermetica mi sembra più un frigo (che un totem) aspetto che la grandine semini dai tropici un lussuoso rampicante a foglia larga. Ma abbiamo la forza l’indipendenza l’impulso
 abbiamo la violenza del desiderio l’acredine dell’orgogliosa 
fedeltà al bene siamo artisti e poeti (mai degli eroi) assassini dell’inutile idiozia portatori di luce led
 castratori di maledette manfrine
 siamo la pace cornuta l’amore storpio che avanza
 siamo i boriosi creatori
 di figli dissidenti e selfie rgb. Tutta la morte è andata persa siamo artisti
 siamo poeti (mai degli eroi) Piangiamo e ridiamo astrusi nel simbolismo vergognoso dell’altro mai.

Selfie, Not a Hero, 2017, olio su tela, 140x120 cm

Selfie, Not a Hero, 2019, olio su tela, 40x35 cm

Selfie, Not a Hero, 2019, olio su tela, 40x35 cm

Selfie, Ephemeral, 2018, creta non cotta, dim variabili

Selfie, Not a Hero, 2019, inchiostro su carta, 40x30 cm 330

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Ettore Frani Ettore Frani (Termoli, 1978. Vive e lavora a Roma). Diplomato in pittura presso le Accademie di Belle Arti di Urbino (2002) e Bologna (2007), ha ricevuto finora consensi da parte di pubblico e critica risultando uno degli artisti più apprezzati delle giovani generazioni. Alcune sue opere figurano in importanti collezioni pubbliche e private. Nel suo ricco percorso artistico ha esposto in numerosi spazi pubblici e privati vincendo i seguenti premi Premio San Fedele 2010, Premio Ciaccio Broker per la Giovane Pittura Italiana 2011, I^ edizione degli Espoarte awards 2012/2013 “Artista under 45”, Special Project Arteam Cup 2016. Tra le principali mostre personali ricordiamo: L’ombra e grazia e Risonanze Galleria San Fedele, Sepolcro Glorioso Museo San Fedele (Milano); La pietà della Luce PAN (Napoli); In memoria di me Raccolta Lercaro (Bologna); La misura dell’inespresso. Yamamoto Masao | Ettore Frani Galleria Nobili (Milano); Composizioni Complesso Monumentale Santa Maria della Vita (Bologna); Respiri Museo Nazionale (Ravenna); Un’etica per la Natura Casa Morandi/Fienili del Campiaro (Grizzana Morandi); Attrazione celeste Casa Natale Raffaello (Urbino) e L’Arca (Teramo); Critica in arte 12 MAR (Ravenna); Limen L’Ariete artecontemporanea (Bologna). Tra le principali collettive: Il profumo del pane Oratorio San Lupo (Bergamo), GASC (Milano); Premio Paolo VI Collezione Paolo VI (Brescia); 16° Premio Cairo Palazzo della Permanente (Milano); Macrocosmi Ordnungen anderer Art Berlin<>Bologna CuBO Unipol (Bologna) Altes Postfuhramt West (Berlino); Con gli occhi alle stelle. Giovani artisti si confrontano col Sacro Raccolta Lercaro (Bologna); 54^ Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Evento speciale del Padiglione Italia: Lo stato dell’arte/Padiglione Accademie Tese di San Cristoforo (Venezia); Giorni Felici a Casa Testori - Stanza 22/Respiri Casa Testori (Novate Milanese); LVI Premio Michetti Museo Michetti (Francavilla al Mare).

Piccola apocalisse (part. dell’allestimento Piccola apocalisse), 2019, olio su tavola laccata, cm 57x85 332

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Luminosa (part. dell’allestimento Piccola apocalisse), 2019, olio su tavola laccata, cm 29x22

Piccola apocalisse Molteplici suggestioni e riflessioni si sono accumulate e stratificate in questi ultimi anni. All’interno dello studio, con il tempo, sulle pareti e attorno ai cavalletti segnanti dal nero, è emerso un mondo parallelo fatto di bagliori e oscurità; di luminose visioni e flebili apparizioni. Rivelazioni quotidiane e domestiche sono rimaste, nei giorni, come impresse nella trama dei dipinti. Una silenziosa e personale Piccola apocalisse è apparsa quale segno e traccia indecifrabile dell’Oltre, dove le cose sono e, anche se per pochi attimi, parlano ancora il linguaggio arcano dell’essere qui nel mondo. Tutto, all’interno del suo apparire e svanire, diviene evento e epifania. La relazione che emerge tra soggetti è favorita da un’unica e solidale convivenza di rimandi, assonanze e analogie. Un pulsare comune di luci e di ombre avvicina e allontana i soggetti tra loro, come fossero presi da un respiro comune segnato dal tempo e dalla fatica, quasi a divenire un organismo dai contorni incerti che non riesca ancora del tutto a definirsi. Nessun centro aprioristico, né tantomeno uno svelamento definitivo accompagna l’opera nel suo farsi. Soli, l’uno di fronte all’altra, l’uomo e la natura come due specchi riflettenti l’infinito, stretti in un solo ed irripetibile destino. La luce, impressa e “scolpita” sulla tavola dipinta, si converte in corpo stesso del mondo - suo respiro e sua intima carne - restituendoci sulle pareti la trasposizione di un continente sfaccettato e multiforme, una sconosciuta geografia. E la pittura… La pittura diviene infine dono e testimonianza silenziosa del mistero in cui - nonostante tutto - è chiamato a vivere l’uomo.

Rivolta (part. dell’allestimento Piccola apocalisse), 2019, olio su tavola laccata, cm 75x62

Prima sorgente (part. dell’allestimento Piccola apocalisse), 2017-2019, olio su tavola laccata, cm 100x120

Semi /nello studio, 2019 ph. Paola Feraiorni


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Francesco Geronazzo Vive e lavora a Margaret River, (Australia occidentale) e Castel del Rio in Italia. Dopo aver frequentato il Liceo artistico di Treviso si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna; Francesco Geronazzo ha lavorato come docente a Bologna, Italia per due anni. Attualmente vive a Margaret River WA, dove lavora per Leon Pericles e insegna tecniche di incisione. • Invited as resident guest to “Taccuino urbinate” Kaus Urbino 2016 • 2Nd prize for printmaking at fig Bilbao 2013 • 1St prize in arts at in-arti mestieri Suzzara 2012 • 3Rd prize Fibrenus Carnello 2012 • 1St prize for printmaking Giorgio Morandi Bologna 2011 • Painting award fondazione Zucchelli Bologna 2010 • 1St prize for painting Molinella 2010 • Invited to printmaking symposium Kaus Urbino 2008 • Painting award fondazione Zucchelli Bologna 2008 • 1St prize for printmaking “Carnello carte ad arte” 2007 • 1St prize for printmaking Gorlago 2006 • 1St prize for printmaking “ex libris Giorgio Gasparini” Treviso 2004 Scrivere del lavoro è sempre un grande confronto. Il focus è puntato sul perché continuare con ostinati tentativi volontari a ricercare una determinata forma, studiarla per poi archiviarne memoria. Il concetto di “Verba volant, scripta manent” si lega alle pratiche artistiche come un’archiviazione di momenti. Pensieri fermati sotto forma di immagini che solo guardando indietro si riuscirà eventualmente a collegarle. Il piano non è stato deciso a tavolino; intendo dire che il risultato è semplicemente una traduzione naturale della mia persona. La raccolta di memorie come singoli elementi, andrà a costruire, in modo olistico, l’insieme/archivio di essi generando qualcosa di ancora sconosciuto. L’essenza del mio lavoro quindi penso sia la documentazione. Un prendere nota di forme, combinazioni tra esse, valutarle per poi giustapporle in

Root, 2019, monotipia, inchiostro e pigmento 35x50cm

Forma, 2018, gesso ceramica

archivio. Radici (in questo caso) come la base di un percorso; forme nuove ai miei occhi ma che malgrado questo vengono associate a qualcosa di indefinito ma di precedentemente conosciuto. L’azione impulsiva, il continuo fare, divengono parte non solo integrante ma bensì l’anima stessa del lavoro finale. A riguardo in un testo di qualche anno fa, Sandro Sproccati descriveva molto bene i miei intenti: “Ecco allora che l’azione assolutamente impropria (e perfino eversiva) a cui Francesco Geronazzo piega metodi apparentemente – o se si vuole tecnicamente – calcografici, rende a mio avviso il lavoro di questo giovane “poeta dell’immagine” assai interessante. Vi è in esso un uso della traccia come memoria di un’esperienza vissuta, dunque l’esigenza di un contatto diretto, di un amplesso tra forma e forma, che si invera nella fisicità del rapporto tra l’immagine e l’oggetto che essa rammemora, un contatto fisico ottenuto, appunto, a mezzo dalle procedure classiche del monotipo e della xilografia... Ma stravolgendole, in quanto sostanzialmente non accettando il (loro) principio per cui la matrice (unicum) deve informare in modo direttamente meccanico, e dispotico, le copie su carta pressoché tutte uguali che produce... No, perché lo scopo di Geronazzo non è ottenere multipli, bensì copie uniche..” tratto da Senza titolo per Geronazzo, Sandro Sproccati 2010). Pensare, tramite le abilità tecniche, di “essere a servizio” delle idee è ciò che mi spinge verso la costanza del fare. In passato sono stato legato ad un tema in particolare come una sorta di naturale, strana auto imposizione, mentre penso ora ci sia una versatilità mentale che accoglie più che respingere. Mi sento meglio; mi sento più libero. La traccia e l’impronta sono sempre legate ad il segno e alla pressione che questo esercita su di una materia, valori primi per l’incisore. La lavorazione indiretta della matrice mantiene segreta in sé il completo numero di segni, per rivelarli allo spettatore solo al momento della stampa. È anche forse questa una delle ragioni per cui amo l’incisione e amo praticarla. Tra I segni più timidi e quelli più decisi, il chiaroscuro dato dall’erosione della lastra, nel caso si riesca a cogliere, c’é anche la più intima parte di me.

Roots, 2019, monotipia, inchiostro e pigmento 50x70 cm (x 3)

Samples, 2019, monotipia, inchiostro e pigmento 50x70 cm (x 3)

Root, 2019, calcografia, acquaforte, acquatinta e puntasecca 334

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Federico Guerri Nasce a Cesena nel 1972 dove vive e lavora. Personali 2019 Mutevoli paesaggi, a cura di Alberto Weber, Galleria Weber&Weber, Torino. 2017 Contrappunto, Galleria dell’Immagine, Rimini. 2015 Frammenti, a cura di Alberto Weber, Galleria Weber&Weber, Torino; Una sola moltitudine, testo in catalogo di Bernardo Follini, Galleria L’Affiche, Milano. 2013 Ogni altro luogo, a cura di Ursula Hawlitschka, con testi di Flavio Ermini e Ursula Hawlitschka, Galleria Montoro12, Roma; Camere, a cura di Raoul Simoni, Rossosegnale 3001Lab, in collaborazione con Galleria L’Affiche, Milano. 2012 La civilizzazione - Ecco il destino è una statua arsa affamata e io vi giro intorno pazzo d’anni di sere di ritorni, a cura di Gian Ruggero Manzoni, Galleria Gasparelli, Fano (PU). 2011 Universi, a cura di Alberto Weber, Galleria Weber&Weber, Torino; Leitmotiv, a cura di Martina Cavallarin, Scatola Bianca Project room, Venezia; Grand Tour, a cura di Roberta Bertozzi, Laboratorio dell’imperfetto, Gambettola (FC). 2010 Sentieri interrotti, testo in catalogo di Valerio Dehò, contributo critico di Roberta Bertozzi, Galleria L’Affiche, Milano. 2008 Mappa Mundi, a cura di Sabrina Foschini, Galleria Gasparelli, Fano (PU). 2007 Bisso Marino, a cura di Sabrina Foschini e Giancarlo Papi, Galleria Pieri, Cesena. Doppie personali 2016 Fragilis Mortalitas - 1915: Renato Serra e la Grande Guerra, con

Le figure non sono ombre, 2019, grafite e pastello su tela, cm160x137

Pagine per appunti notturni, 2019, ardesie incise e oliate, cm50x70x32, Ph Paolo Semprucci, courtesy Gasparelli Arte Contemporanea

Luca Piovaccari, a cura di Augusto Pompili e Marisa Zattini, Maison de l’Union Européenne, Lussemburgo. 2015 Fragilis Mortalitas - 1915: Renato Serra e la Grande Guerra, con Luca Piovaccari, a cura di Augusto Pompili e Marisa Zattini, Casa Museo Renato Sera e Galleria Il Vicolo, Cesena. 2014 Mechanical sculptures and paintings from a retro world, con Francesco Bocchini, De Freo Gallery, Berlin, Germany. 2010 Simboli politici - Ho trovato un ordine nel dominio dei nervi, con Mattia Vernocchi, a cura di Gian Ruggero Manzoni, Galleria Gasparelli, Fano (PU). 2006 Fuori di se, con Germano Sartelli, a cura di Stefania Vecchi, Casa Rossini, Lugo (RA). Pagine per appunti notturni Il nero cupo della pietra si sfoglia a pagine e il libro rivela i suoi disegni come fossili. Verticalità che si staglia ai primi bagliori. Una lama di luce, una luce radente, trafori di profili taglienti. Schegge di un tempo geologico, immemore, tempo ormai perduto. La pietra comprime la pietra generando il confine sottile tra natura e artifizio. Ecco una foresta... no, una costellazione... i cerchi disegnati da mia figlia... I sogni si sovrappongono. In ultimo non intendo un oggetto, non un frammento naturale, ma semmai, tra le mie mani, si frantuma un piccolo universo di concentrata e astratta naturalità.

C’era nell’aria il vuoto del mondo, 2018, grafite e pastello su tela, cm160x140

Cattedrale, 2018, grafite e pastello su tela, cm160x140

Diario famigliare, 2018, inchiostro tipografico trasportato su carta, cm36x25,5 336

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Elena Hamerski Elena Hamerski è nata a Forlimpopoli nel 1989. Si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna. La sua ricerca è caratterizzata dall’interesse per il mondo naturale ed artificiale, un’analisi scientifica ed emotiva del mondo in cui viviamo. Dettagli tratti dal mondo naturale, a volte al confine con il mondo artificiale: piante, fiori, frutti, semi, conchiglie, animali, molecole, cellule, cartine geografiche, a volte però già intaccati dalla mano dell’uomo o degradati dal tempo. La natura è presa in esame come elemento fertile ma anche sterile del mondo. Nel 2012 ha vinto il Premio Terna (sezione giovani). Nel 2015 ha ideato il progetto “Change!”, incentrato sullo scambio e relazione tra artisti. Vincitrice del Premio speciale Rottapharm Biotech – Biennale Giovani Monza (2017), con l’acquisizione di due grandi lavori da parte della Pinacoteca Civica di Monza, nel 2018 si è aggiudicata anche il Premio Speciale Residenza Dino Zoli Textile all’interno di Arteam Cup 2018; nel 2019 ha svolto una Residenza presso la Dino Zoli Textile di Forlì e una mostra personale presso la Fondazione Dino Zoli. Vive e lavora a Forlì. elenahamerski.tumblr.com

Anèmos. Adolescĕre. Crescere. Né seme né quercia. Natura come ricerca animale, come pelle, come persona. Avventura della vita, della morte, della perdita e del riconoscimento d’identità. (Tienimi in vita ancora accanto a te). Nulla è nulla. Il nero e il seme sono pieni. Il nero e il seme sono vuoti. Foglie come parti, insieme di cose che nascono, crescono, muoiono. Foglie d’impronte e di fili. Pelle tagliata e ritagliata, sagomata e cucita. Pelle sottile, trasparente, grassa e sporca. Carta come pelle d’impronte nere e unte. (Non so come dirlo, ma vorrei toccarti). Identità non risolte. Anime sconvolte. (C’è qualcosa di sbagliato nell’amore). Storie di piante, fiori, semi e bambine. Bambine senza scelta. (Non domandarmi dove porta la strada, seguila e cammina soltanto). Essere e Tessere. Ogni ricamo ha un recto e un verso, un battito. Trova una direzione. Cambia direzione. Sono io la direzione. (La chiave della felicità è la disobbedienza in sé a quello che non c’è).

Anime, 2019, carta, olio di lino, pigmento nero e filo di cotone, dimensioni variabili

Anime, 2019, (dettagli) 338

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Fogli Incauti, 2019, (taccuino) pastelli acquerellabili su carta, 19x26 cm


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Ana Hillar Nasce a Santa Fe, Argentina, dopo il diploma alla Accademia di Belle Arti di Santa Fe, si trasferisce a Faenza nel 1998. Rivelata alla critica ceramica internazionale come vincitrice del Premio Faenza nella 52°edizione del Concorso Internazionale della Ceramica d‘Arte del 2001 con l‘installazione dal titolo Sombra del Viento. Nel 2003 la sua prima mostra personale in Italia: Humano, presso il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. Da allora numerose le mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Tra le mostre recenti possiamo ricordare: 2019 Faenza Contemporanea a cura di Oscar Dominguez, Regione Emilia Romagna, Bologna. Il colore interiore, a cura di Matteo Zauli, Le strade binache, Galleria Facto, Montelupo Fiorentino (FI) 2018 European Ceramic, Art Avenue Art Gallery Taoxichuan, Jingdezhen, Cina. 2017 Blanco Dentro, personale a cura di Artealmonte, Palazzo del Monte di Pietà, Forlì (FC). ExtraMurum, personale. Arte Contemporanea tra le mura di cinque città venete, a cura di M. Polloniato e F. Scremin, Castello degli Ezzelini, Bassano del Grappa. Catalogo a cura di Lampi Creativi. Collect, Galleria MADEINBRITALY, a cura di Viola Emaldi per London. Gyeonggi International Ceramic Biennale Korea, mostra a cura di Irene Biolchini e Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, Aprile Maggio, Icheon, Korea. Galleria Lara e Rino Costa, Arte Fiera Bologna dal 26 al 30 gennaio, Bologna Fiera. 2015/2016 CERAMIX mostra internazionale sulla scultura ceramica del XX secolo. Bonnefantenmuseum Maastricht, Netherlands; Parigi, Francia: La Maison Rouge e Sèvres Cité de la Céramique . 59° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea, Museo Internazionale della Ceramica in Faenza (RA) Italia. Exhibition Ceramics Symposium Gmunden 2015 – Keramikmuseum Westerwald /Höhr-Grenzhausen / Germany.

Abbandono impreciso, 2019, terracotta e legno, h 80x200x80 cm

Viaggio attraverso la Ceramica, a cura di Vittorio Sgarbi. Vietri sul Mare 22/12/2014- 17/01/2015. 2014 Marco De Luca/ Ana Hillar - Artifex – La materia del Tempo, a cura di Marisa Zattini. Galleria Comunale d‘Arte, Faenza (RA) Italia. Catalogo a Cura di Il Vicolo Sezione Arte - Cesena. Le sue opere fanno parte di collezioni private e pubbliche: Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (RA) Italia. Museo Settore Territorio: Arte Contemporanea. Palazzo Comunale di Via Zanelli, Faenza (RA) Italia. Nove, Museo Civico della Ceramica (VI) Italia. Museo Provinciale di Belle Arti Rosa Galisteo de Rodriguez. Santa Fe, Argentina. Palace de Glass, Buenos Aires, Argentina. Museo Nazionale D’Arte, Il Cairo, Egitto. Museo municipale di Nasice, Croatia. Museo Civico di Gmunden, Austria. Ceramic Art Avenue Art Gallery Taoxichuan, Jingdezhen, Cina. Vive e lavora a Faenza. #anahillar Abbandono impreciso Intrecci, siamo fati d’intrecci, arterie, tendini, muscoli, e poi quelli immateriali, interni, ingarbugliati, imprecisi, difficili di raffigurare. Intrecci interiori che tracciano confini sottili, mobili, un tentativo che le linee disegnano nel suo abbandono. L’intreccio come lavorazione della nostra interna materia, percorso silenzioso e ripetitivo, come un mantra, il movimento delle mani compongono la trama di quello che scegliamo essere. E questo lavoro quotidiano ci separa e unisci, ci protegge o deborda nella nostra intima geografia. Ritmo millenario infinite volte percorso, spesso ora ignorato, tangente nelle mani e nei volti delle persone che hanno tessuto ogni oggetto che il museo delle erbe palustri raccoglie, metafora semplice e profonda delle nostre orme.

Habitat II, 2017, terraglia, h cm 270 x ø75 Habitat III 2019

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James Kalinda James Kalinda vive sull’appennino reggiano. James Kalinda firma i suoi disegni con un fumetto nero. Mette al centro delle sue rappresentazioni gli esseri umani mentre la desolazione dei luoghi abbandonati, come case e fabbricati, sono il paesaggio tipico di cui si nutre la sua creatività . Il suo lavoro ha un forte legame anche con la natura e le sue deformazioni. I temi ricorrenti nei suoi lavori sono la vita e la morte e le montagne. si sentono storie di tsunami che inonando pianure. tabula rasa. terra che torna mare, marne subacquee. spuntano picchi neri. tagliano cieli finalmente blu. sembra il collasso all occhio distratto ma sono spigoli vivi. pieghe dure dove si infilano evacuazioni organiche. sono false partenze, l’uomo non corre.

Metanoia 01, 2018, matita su carta e resina, 43x62 cm

Metanoia 02,2018, china su carta, 42x62 cm

Metanoia 04, 2019, acrilico su tela, 100x100 cm

Metanoia 05, 2019, acrilico su tela, 100x100 cm

Tetsuo 01, 2016, matita su carta e resina, 18x24 cm

Tetsuo 02, 2016, matita su carta e resina, 18x24 cm

Tetsuo, 2016, matita su carta e resina, 18x24 cm 342

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Chiara Lecca Chiara Lecca nasce il 15 giugno del 1977 a Modigliana (FC), dove vive e lavora. Il suo lavoro artistico è principalmente scultoreo e installativo con incursioni nella fotografia e nella video arte. Nel 2005 si diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e nel 2008 è invitata a prender parte al corso di formazione per l’arte contemporanea della Fondazione Spinola Banna per l’Arte di Torino. Ha esposto le sue opere in numerosi musei pubblici e gallerie private in Italia ed Europa, tra cui Museo MACRO di Roma nel 2019, Vestfossen Kunstlaboratorium in Norvegia nel 2018, Schloss Ambras Innsbruck in Austria nel 2017, Palazzo Reale a Milano e Museum Schloss Moyland in Germania nel 2016, Castle Gaasbeek in Belgio nel 2016, Museo Poldi Pezzoli, Gallerie d’Italia e Villa Necchi Campiglio a Milano nel 2013, MIC Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza nel 2015, 2013 e 2012, Spazio Thetis a Venezia nel 2011, Kunst Meran/o Arte nel 2009, PROG Zentru fur Kulturproduktion in Svizzera nel 2008, Castel Sant’Elmo a Napoli nel 2005. Numerose le sue mostre personali in Italia e all’estero tra cui “A fior di pelle” presso le Collezioni Comunali d’Arte di Palazzo d’Accursio a Bologna e “Retroterra” presso Museo Carlo Zauli di Faenza nel 2017; la personale “LICK” presso la Fondazione “Ghisla Art Collection” di Locarno in Svizzera nel 2016; nel 2015 allestisce al Naturkundemuseum Ottoneum di Kassel, Germania, la mostra “Quod Paret”; nel 2010 espone al MAR, Museo d’Arte della città di Ravenna. Nel 2016 è finalista del XVII Premio Cairo con l’opera “Dark Still Life”; nel 2015 e nel 2013 è finalista al Premio Faenza, Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea. Chiara Lecca collabora con Galleria Fumagalli Milano dal 2008, anno della sua mostra personale presso la sede di Bergamo.

Vermilion Sharp Pulp 2018, terracotta, cuoio, pelli, metallo, spago, cm 170x60x60 Courtesy Galleria Fumagalli Milano Foto Sergio Frantini

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Glazed Sharp Pulp 2018, smalti su terracotta, cuoio, pelli, ganci, marmo, pietra, metallo, n. 4 elementi cm 180x80x80 Courtesy Galleria Fumagalli Milano Foto Sergio Frantini

Sharp Pulp La manualità è una peculiarità della mia vita ancor prima che della mia arte. È un aspetto che mi appartiene e nel momento in cui ho sentito la necessità di realizzare opere è stato naturale utilizzare questo mezzo. Ho preziosi ricordi di me bambina che si lasciava permeare da sensazioni primitive, dettate dai cicli della vita e a pari merito della morte, dalla paura della solitudine, dell’ignoto e il grande senso di libertà, l’affezione tra creature, la crudità nel doversene separare, i profumi, gli odori nauseanti e al contempo rassicuranti… Con il mio lavoro tento di guardare al nostro passato atavico, selvatico e alla nostra società nel suo divenire i cui archetipi primigeni si proiettano fino a noi. L’unione di elementi apparentemente differenti è il cardine su cui ruotano le opere “Vermilion Sharp Pulp” e “Glazed Sharp Pulp”. La terracotta e la pelle hanno in realtà una provenienza comune, entrambe appartengono al mondo naturale ed hanno accompagnato l’uomo dal suo passato più remoto fino alla società attuale. In queste opere esse si scambiano i ruoli e si intersecano tra loro a tal punto che ciò che è rigido appare morbido, ciò che è malleabile diviene statico, ciò che è organico diviene minerale. Questi lavori raccontano il continuo incontro, anche ambiguo o ingannevole tra diversi aspetti che caratterizzano la nostra evoluzione e il nostro stato di esseri viventi. Le forme rimandano ad elementi organici come carni e l’allestimento richiama la loro lavorazione ed essiccazione. Alcuni piedistalli in metallo le sostengono e si ritrovano così bloccate all’interno di un processo di trasformazione che tende all’infinito e all’infinito tende la terracotta, un elemento tanto fragile quanto indistruttibile. La pelle suddivisa in lembi è come mimetizzata, e adotta il ruolo di medium tra l’effimero dell’organico e il perpetuo della terracotta.

Sharp Pulp (Studio), 2018, china su carta, cm 35x24 Courtesy dell'artista


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Sarah Ledda Nata ad Aosta nel 1970, vive fino al compimento degli studi a Palermo, dove nel ’93 si diploma all’Accademia di Belle Arti. La prima personale di rilievo è Nitrato d’argento, a cura di Luca Beatrice (Aosta, 2000) a cui seguono esposizioni a Parigi e a Bruxelles. Dal 2003 con alcune mostre curate da Maurizio Sciaccaluga e la partecipazione al 5° Premio Cairo e al Premio Seat PagineBianche d’Autore il suo lavoro entra nel circuito nazionale delle gallerie e fiere d’arte contemporanea realizzando da allora numerose esposizioni in Italia e all’estero, in spazi e collezioni privati e pubblici. È presente nella collezione permanente del Castello Gamba, museo d’arte moderna e contemporanea della Valle d’Aosta. Dopo qualche anno a Torino, dal 2016 vive e lavora ad Aosta. Tra le mostre recenti, del 2019: Talking Round About Painting (solo, Zaion Gallery, Biella), Il Tesoro di Eros, Wondertime 2019 (Palazzo della Cultura, Catania), Main d’artiste (site-specific al MAIN, Maison de l’Artisanat International, Gignod, Aosta), Umani Paesaggi Urbani (Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo), Camera Lucida #1, L’immagine e la pelle (Teatro Garibaldi, Palermo). Nel suo lavoro la pittura è una trasposizione soggettiva dell’immagine catturata nel movimento del video. Già dagli anni di formazione concepisce i suoi quadri attingendo al repertorio cinematografico hollywoodiano della golden age, inizialmente per mescolarlo ai ricordi di infanzia. Progressivamente quell’immaginario, universale e atemporale, ha sostituito qualunque altro per divenire una sorta di atlante iconografico con cui costruisce una propria narrazione poetica e pittorica.

Incarnato, 2019, olio su tela, cm 80x100

Amata solitudine, 2019 olio su tela, cm 68x80 346

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Circle, 2018, olio su tela, cm 60x60

Ophelia, 2016, olio su tela, cm 10x12

(su Selvatico) Non c’è riflessione che tenga, nessun discorso regge la semplice constatazione che il problema non è l’inizio o la fine, ma ciò che sta in mezzo, dove l’intuizione prende forma facendo i conti con ogni limite, dove l’esperienza si alimenta di successi ed errori. La pratica quotidiana è l’isola da cui non puoi fuggire, ma anche l’unico luogo dove vorresti essere. Nella mia stanza in Selvatico non presento solo una selezione di opere recenti, ma condivido qualcosa di quell’isola. Per me una condizione necessaria perché ogni singolo quadro e l’insieme del mio lavoro abbia senso è l’essere consapevole come pittrice di agire all’interno di un percorso circolare. Un girare largo o stretto ma continuo, attraversando in fasi differenti il vuoto e il pieno, la sintesi e l’abbondanza, la scarna costruzione di una figura e la saturazione della tela. Una pittura che si incarna in immagini diverse restando sempre se stessa. In questa stanza/isola ci sono diversi estremi che pure si congiungono. Ad esempio in un quadro (Tabula rasa) l’assenza è l’attesa di una verità non ancora compresa: la tela è preparata con un fondo molto scuro ed è diligentemente quadrettata, ma resta nuda intorno e anche dentro la piccola figura. In un altro invece (Amata solitudine) anche il vuoto è colore, riempie il quadro, è uno spazio di fiducia, un abbandono felice. Ogni dipinto contiene gli altri, anche quelli che verranno.

Deadline | I guess I’m not, 2017, olio su tela, cm 28x32

Tabula rasa, 2015, olio su tela, cm 100x140

Deadline | I’m not very hungry, 2017, olio su tela, cm 28x32


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Matteo Lucca Matteo Lucca, nasce a Forlì nel 1980. Si laurea all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2007. Inizia la sua carriera artistica alla fine degli anni ’90 e partecipa a eventi artistici, mostre collettive e personali ricevendo il riscontro positivo della critica. Prende parte alla 47° edizione del “Premio Campigna” di Santa Sofia (FC) e alla mostra “Gemine Muse” a Forlì. È, inoltre, presente con le sue opere ad ArtVerona, Artefiera di Bologna e alla Biennale di Roncaglia. Partecipa alla mostra internazionale di scultura “Open12”, a cura di Massimo Pulini a Venezia. Nel 2004 vince il primo premio del concorso indetto dall’Ausl di Ferrara (dal titolo “La vita intesa come rinascita”) per la realizzazione di un monumento in bronzo presso l’ospedale di Bondeno (FE). Nel 2007 realizza un gruppo di sculture dedicato ai donatori di sangue commissionato dall’Avis comunale di Forlì e collocato presso l’Ospedale Morgagni-Pierantoni della stessa città. Il suo lavoro artistico si esprime attraverso l’utilizzo di diversi materiali (metalli, gesso, tessuti, argilla) e approcci (tradizionali e performativi). Negli ultimi anni ha concentrato le sue ricerche sul pane, realizzando sculture, performance ed installazioni in diversi contesti espositivi, in spazi urbani e naturali. Ha iniziato di recente a dedicarsi alla conduzione di workshop in ambito sociale, come quelli guidati, nel 2019, al Dynamo Camp di Limestre (PT) e al carcere maschile di Lecce. In principio era il sacro. Poi, si è rivestito di forma umana, incarnata nel pane. Un percorso dalla spiritualità alla materia che si fa prototipo della creazione e si ricongiunge con l’archetipo della madre. E allo scandalo dell’azione dei giusti nella storia. Il mio lavoro sulle figure di pane ha fatto

A silent dialogue, pane, 2019, dimensioni reali

Un grazie speciale a Laura Bertozzi 348

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Where the donkey eats becomes gold, pane, live perfomance a Manifatture Sottosasso, Pietramora (Ra), 2017

di queste tappe il suo lievito e si presenta a “Selvatico” con una polisemia arricchita. Tutto è cominciato da una meditazione del buddismo tibetano sul superamento dell’ego tramite l’offerta di sé, che si è tradotto in un’eucaristia di corpi di pane serviti come pietanza. Di qui, l’esperienza sacrale ha inglobato la dimensione umana. Il dono supremo di sé non può prescindere da uno sguardo implacabile sui propri limiti e conflitti: di qui tutto il bagaglio di un’intimità sofferta, visibile nelle crepe, nelle bruciature e nel doppio volto delle statue. Dalla bassezza allo splendore, perché è l’offerta della propria umanità a illuminarne la sacralità. Questo dualismo vive nel dialogo tra il pane, che si racconta attraverso la forma, e la forma, che si manifesta nella semantica millenaria di cui il pane è portatore. Dall’orizzonte intimo di offerta del sé, il processo è sfociato a contemplare la complessità dell’umano, osservato nell’atto di farsi corpo. Ed ecco che scaturisce l’indagine sul processo creativo in sé, dove l’azione dell’artista si limita a porre le condizioni di esistenza dell’opera. Tutto il resto va da sé, nel ventre materno del forno, dove la scintilla di vita germoglia e porta alla luce la rivelazione di un incontro inatteso. L’esito di questo percorso torna così a congiungersi alla “madre” e i fili si riannodano intorno al primigenio corpo femminile che è pane e dimora di ogni creatura. I palmi protesi delle figure di pane sono ideali porte di accesso alla casa del corpo: la continuità tra questa pluralità di ispirazioni e l’accoglienza salvifica di Luigi Varoli e dei cotignolesi, durante le persecuzioni razziali, è arrivata senza forzature. “Azzimo 41” condensa tutto questo: la forza di un gesto di nutrimento che lascia un segno indelebile.

Il tempo delle mani, Frames video, In collaborazione con Paola Ponti e Spazio Iris, con: Michela Turrini, Anna Clara Conti, Monica Tamburini, Valentina Amadei, Mariasole Brusa, Tatiana Zapata, Eleonora Vacca, 2019

Azzimo 41, pane azzimo, calchi in gesso, dimensioni reali, 2019

Azzimo 41 Calco in gesso, 2019


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Paolo Maggis (Milano, 1978), artista formatosi all’Accademia di Belle Arti di Brera, vive e lavora tra Milano e Barcellona. Ha esposto in importanti spazi museali, tra cui Palazzo Forti a Verona, Palazzo Collicola a Spoleto, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino, Fondazione Cini a Venezia, Klinger Forum a Lipsia, Osthaus Museum a Hagen e Serrone di Villa Reale di Monza. Il mio lavoro si situa nell’ambito della ricerca gestuale-astratta che utilizza la realtà come fonte sorgiva per potersi sviluppare. L’opera é il risultato del tentativo della materia pittorica di liberarsi dai limiti imposti della forma del soggetto statico, congelato e mortificato nell’istante, così da sottrarre alla realtà le sue sembianze per poi ritrasmetterle secondo forme nuove. Ogni pennellata, ogni colore gioca un ruolo determinante per la costruzione dell’opera. La comunicazione avviene a livello epidermico prima ancora che concettuale.
L’esito crudo, duro a volte al limite della violenza é il risultante di un processo che fa dell’energia e dell’intenzione il punto cardine dell’espressione. Ho bisogno che la pittura rimetta insieme tutti gli aspetti del sentire umano. Così da poter essere tutto riversato nell’azione presente. Ho bisogno che l’opera sia nell’istante presente coagulo della complessità e del tempo in stretta relazione con la vita pulsante.

H1716, 2017, olio su tela, 195x147 cm

H1733, 2017, olio su tela, 195x147 cm

H1805, 2018, olio su tela, 92x83 cm

H1747, 2017, olio su tela, 180x160 cm V1801, 2018, olio su tela, 39x47 cm

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Giulia Manfredi Giulia Manfredi è nata a Castelfranco Emilia nel 1984, si è laureata in pittura a Bologna all’Accademia di Belle Arti nel 2008 con una tesi sui nuovi mezzi comunicativi e la tecnologia satellitare. Ha vissuto a Berlino dal 2006 al 2014 dove ha frequentato corsi all’UDK (università delle arti) in comunicazione visiva e belle arti con Hito Steyerl. Ha esposto in numerose città e sedi sia in Italia che in Europa, tra cui, la Biennale del Mediterraneo ad Ancona (2013), il MIC di Faenza(2015), il Fuorisalone di Milano presso Ventura Centrale (2018). Nel 2017 vince al Grande Museo del Duomo di Milano la quinta edizione del Premio Cramum per giovani artisti. Attualmente vive e lavora a Roma. La mia ricerca nasce da una riflessione sul rapporto natura/cultura in legame ad una personale esigenza di ordinare e ripulire ciò che percepisco come non controllabile e caotico in natura. Uno dei materiali che mi ha consentito di dare forma a questa duplicità è la resina, sostanza chimica in cui immergo elementi botanici. Il calore violento generato dalla catalisi di questo materiale provoca la comparsa di strutture e reazioni che risultano completamente incontrollabili e casuali; l’elemento naturale sprigiona la residua umidità in un processo chimico legato in maniera simbolica all’alchimia e alla magia. La sospensione momentanea del mio agire in quanto artista e fautore dell’opera è seguito da un’azione di pulizia e rifinitura della forma geometrica utilizzata come recipiente per la colatura della resina. Questa azione rappresenta un tentativo di dare una forma tangibile e regolare a dinamiche che sfuggono al controllo umano e alla nostra comprensione limitata della complessità delle leggi naturali; nella teoria del caos

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questi avvenimenti non prevedibili vengono definiti come sistemi dinamici caotici, svincolati dalle leggi deterministiche della natura. L’estrapolazione dell’elemento naturale dal suo ambiente naturale e la conseguente immersione nella resina rappresentano inoltre un atto di musealizzazione, processo che ha un duplice esito: da un lato causa il decesso definitivo dell’elemento biologico, estraendolo dal suo ambiente naturale e spezzando definitivamnete il ciclo naturale di morte, disgregazione e rinascita, dall’altro, lo immortala indefinitamente in un attimo perpetuo. Un altro tratto distintivo della mia ricerca è l’interesse per l’origine tellurica delle cose. Nel tentativo di creare un varco escatologico con il sottosuolo porto luce e trasparenza in una dimensione che per sua natura è occultata all’occhio umano. I titoli delle mie opere sono spesso il risultato di un approccio pseudoscientifico a temi mitologici o alchemici, da cui estrapolo e reinterpreto simboli universali presenti in leggende e miti di paesi lontani tra loro sia geograficamente che culturalmente. Uno di questi simboli ricorrenti è sicuramente l’albero, il quale rappresenta, nel suo aspetto spesso nanizzato, sia una natura fortemente alterata e manipolata dall’essere umano, che l’origine mitologica comune di culture apparentemente distanti. Tutto il mio lavoro è pervaso dal concetto di ciclicità sia che questa venga interrotta come nelle resine sia che essa venga rappresentata nella sua fluida continuità come nelle opere video presenti in mostra. L’elemento naturale, ricoperto e in parte occultato da una struttura di cristalli di sale, viene ciclicamente immerso nell’acqua, grazie a questa azione si svela la struttura interiore dei soggetti.

Orfeo, 2017, resina, fiore di yucca, 19x150x10 cm

Solve et coagula, 2017, cristalli di sale, bonsai ed edera fossilizzata, 120x150x30 cm

Vitriol, 2018, cristalli di sale, resina, bonsai, 20x15x140 cm

Black tide, 2019, video, dimensioni variabili

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Still remains, 2019, video, dimensioni variabili


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Ilaria Margutti (Modena 1971), vive e lavora a Sansepolcro, dove svolge l’attività artistica e quella di docente di Storia dell’Arte. Nel 1997 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ha collaborato con diverse gallerie private, in Italia e all’estero. Dal 2007 inserisce il ricamo nelle sue tele, linguaggio in cui sente meglio rappresentata la propria poetica. Nel 2008 le sue opere sono finaliste in tre premi internazionali: Arte Laguna, Arte Mondadori e premio Embroideres’ Guild di Birmingham. Nel 2010 è in Costa d’Avorio per il progetto di residenza artistica De L’Esprit e de L’Eau sostenuto dall’Ambasciata Italiana. Dal 2011 al 2015, ha seguito progetti per la diffusione dell’arte contemporanea presso il Museo Civico di Sansepolcro e dal 2013 a oggi, assieme a Laura Caruso, cura il recupero dello spazio CasermArcheologica, dedicato alla sperimentazione artistica contemporanea a Sansepolcro. www.ilariamargutti.com ilaria.margutti@gmail.com Esercizi di vastità Il filo ha una sua forza invisibile, silenziosa e imperturbabile dietro la quale si nasconde la narrazione e il mito delle nostre origini. Nel ricamare ho avuto modo di avvicinarmi profondamente ai significati di parole quali attesa, cura, rito, ritmo, respiro, ascolto, guarigione. Con il filo ho ricamato ferite, tracciato volti, ho tessuto storie e trasformazioni, il filo è il segno che mi lega alla mia natura di donna e di artista. È un viaggio interiore, è un diario intimo in cui ricamo il tempo dell’attesa, il dialogo infinito con la vita, alla ricerca di una continua metamorfosi, lungo il rito perenne del dipanare la tela. Con questa serie di opere ho cercato di portare alla luce il disegno di una mappa interiore, il paesaggio che ogni giorno tracciamo e creiamo con il nostro divenire, nei luoghi della solitudine e dell’attesa. Sono donne che non si misurano più all’interno dei confini del proprio corpo, ma si estendono fuori dei limiti loro concessi, quasi a scomparire,

Estrema Fioritura IV, 2018, ricamo a mano e merletto su tela, 120x70 cm 354

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Estrema Fioritura, III, 2018, ricamo a mano e merletto su tela, 120x70 cm

Esercizi di Vastità V, 2019, ricamo su tela e merletto, 100x120 cm

fuori dalle maglie strette di ruoli riconoscibili, mettendosi in dialogo con ciò che punge, ferisce e che preme, per superare un confine predeterminato, ampliandosi verso un territorio da tracciare, solcare ed esplorare. Un’ingresso dentro la profondità della vita, dietro ogni piega del corpo, dentro a ogni segno solcato dal tempo, abbandonando a se stessa quell’inquietudine fisica solo dopo averla attraversata. Il corpo-contenitore è lo strumento, il dispositivo, l’esperienza, grazie al quale possiamo espandere la nostra vita. Le opere che comprendono gli Esercizi di vastità, vogliono riflettere su quanto questa discesa nella profondità, seppur dolorosa, coincida con la nostra estensione, laddove il corpo non può più ricoprire ciò che ha di più profondo, è la vita personale vissuta profondamente, che si allarga fino a una realtà che la trascende (Anaïs Nin). Esercizi di vastità è il tempo della disciplina, della solitudine, del tirare i fili, tessere codici in dialogo con le forme che la Natura ci suggerisce, sono allenamenti alla concentrazione, allo sguardo, all’ascolto e alla narrazione che tramanda, creando le mappe della nostra estensione possibile. Il filo avvicina l’essere umano all’infinito, non solo per la sua forma, ma per il suo essere dentro la vita, dentro le trame che vestiamo di storie, solcando la tela di nuovi segni e significati, attraverso quel rito antico che si rinnova in una liberazione: L’ago diventa la spada per ricucire il mondo, metafora di una lunga guarigione solcata dai segni indelebili dei nostri passaggi. Esercizi di vastità si fa quasi preghiera, un mantra, che si fa canto muto. Ricamare è una disciplina dell’anima, è la ricerca ossessiva del segno più vicino alla forma che indossiamo. Siamo soli per uno scopo preciso: affinché possiamo udire la flebile voce della coscienza i cui sussurri sono soffocati dalla pazza folla…Occorre una capacità eroica per trasformare la solitudine in forza personale – (James Hillman). Come scrive Anaïs, sono i miei mille anni di condizione femminile che sto registrando, mille donne.

Ipotesi del continuo, 2019, installazione, museo del Merletto di Valtopina

Antheros, 2019, ricamo e merletto su tela, 200x90 cm

Recto verso, 2014 matita e foglie 29x21cm


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Giacomo Modolo (1988), pittore, vive a Vicenza. Attualmente il suo lavoro è rappresentato da Crag Gallery di Torino. “Baso la mia ricerca pittorica sul concetto di memoria, i miei lavori sono come degli appunti diversi, assemblati e talvolta discordanti. Raccolgo ispirazione dai dettagli: sia fotografici, che scarti di materiali o semplici pagine di un diario. Mi piace raccogliere frammenti di memoria collettiva e mescolarli a quelli di un vissuto personale che, nella maggior parte dei casi, si traduce in ambientazioni e ritratti ispirati dalla realtà di Provincia. Non cerco soluzioni, ma l’armonia nella contraddizione e la permanete evoluzione pittorica”. Mostre personali: Project Room #1, a cura di Marco Petrocchi, Crag Gallery, Torino - 2018; Arte+Cinema: Taming Winter, con gli autori Andrea Arena e Nicola Imoli, Crag Gallery, Torino - 2018; Transiti ininterrotti, bipersonale con Zuzana Pernicova, a cura di Karin Reisovà, Centro di Cultura e Consolato Repubblica Ceca, Milano - 2017; Confini, Rassegna Ghisa Art Fusion, a cura di Metamorfosi Gallery, Spazio Shed, Schio (Vicenza) - 2015; Portraits from K.’s Diary, a cura di Elisabetta Chiono, Spazio Punto Ottico, Vicenza - 2015; Ricostruzioni, a cura di Elisabetta Chiono, Areacreativa42 / Casa Toesca, Rivarolo Canavese (Torino) - 2014 Mostre collettive e fiere d’arte (selezione): 2019: Combat Prize 2019, Museo Civico Giovanni Fattori -Ex granai di Villa Mimbelli, Livorno. 2018: Capri Summer, Epochè, Capri. 2017: Ada Zanon e i docenti dell’Accademia, Palazzo Miniscalchi Erizzo, Verona; SetUp Contemporary Art Fair, Bologna. 2016: ArtVerona 2016, Verona; Contemporary Zurich Art Fair 2016, Zurigo (CH); Narciso, Torino Castello - Reale Mutua, Torino; 1 x 1, CRAG Gallery, Torino; ArtPrague Fair, Kafka’s House, Praga (CZ); Palais Art Hotel Show (per ArtPrague Fair), Praga (CZ). 2015: ContraPose Show, Curator’s Voice Art Projects Gallery, Miami (US); Di Carta | Papermade, Biennale internazionale opere di carta, Palazzo Fogazzaro, Schio (Vicenza); Premium, Curator’s Voice Art Projects Gallery, Miami (US). 2014: Parsing Properties, Palazzo Pisani, Lonigo (Vicenza); Guer-

ra e Pace, Collettivo La Qasba, Polo B55, Vicenza. 2013: Schorndorf Kunstnacht, Kunstverein, Schorndorf (DE). Craft of Mind, Sanbapolis, Trento. 2012: Biennial of Drawing, Sofia Fine Arts Academy, Sofia (BG); IntuAzioni, per Art Night, Galleria Fluida, Venezia; Peli Superflui, per Art Night, Accademia di Belle Arti di Venezia, atelier Decorazione, Venezia. 2011: Il velo della sposa, Forte Marghera / padiglione 35, Mestre (Venezia); … et noli contristari, Piccola Galleria U.C.A.I., Brescia. 2010: Corpo EX/Posto, Accademia di Belle Arti di Venezia, Magazzini del Sale, Venezia; Corpo EX/Posto, Sofia Fine Arts Academy, Sofia (BG). 2009: Nuovi Orizzonti in Laguna, Centro Cultural Borges, Buenos Aires (AR). Premi: 2019: Finalista Menzione speciale Pittura Combat Prize 2019, Museo Civico Giovanni Fattori -Ex granai di Villa Mimbelli, Livorno; 2013: Finalista Carlo Bonatto Minella International Prize, con presidenza della giuria di Vittorio Sgarbi, Villa Vallero, Rivarolo Canavese (Torino). 2012: Finalista VII Edizione del Premio Internazionale Biennale d’incisione “Città di Monsummano Terme”, Monsummano Terme (Pistoia). Commissioni pubbliche: Realizzazione di un murale, commissionato dal Comune di Marano Vicentino (Vicenza), presso il Parco della Solidarietà di Marano, 2016. Residenze d’artista: Project Room presso Crag Gallery di Torino dal 7 gennaio al 7 febbraio; Residenza d’artista presso Casa Toesca di Rivarolo Canavese nei mesi di gennaio e febbraio 2016, a cura di Karin Reisovà per Areacreativa42. Contatti Web: www.cragallery.com, giecmodolo@gmail.com Green Cold River, 2019 Green Cold River è un’opera composta, installativa, aperta, che integra elementi e ne perde altri a seconda del luogo che la ospita. Così come il ricordo assume forme diverse ogni volta che lo si racconta, l’opera muta nel tempo. Sono le pagine personali di un diario che si esprime in frammenti di luoghi vissuti, dove si è consumata una storia. L’installazione lascia all’osservatore solo piccoli imput di lettura, non si svela e resta sospesa in un’atmosfera misteriosa, lagunare, fredda e crudele.

GCR tela, farfalla, proiettile, pastello, 11x13 cm

GCR 5 tecnica mista su tela, 40x30 cm

GCR 2 tecnica mista, collage, fotografia, olio, acrilico 21x29 cm

GCR 3 tecnica GCR 4 tecnica mista, collage, mista su tela, fotografia, acrilico 40x30 cm 21x29 cm

GCR 6 tecnica mista su tela, 40x30 cm

GCR 7 tecnica mista su tela, 40x30 cm

GCR 8 tecnica mista su tela e cotone, misure variabili

GCR 9 tecnica mista su carta, collages, acrilico, cotone 356

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Giorgia Moretti Nata a Cesena nel 1980. Vive a Bellaria. Diplomata in pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2004. Nel 2010 espone a Buenos Aires, per la mostra Vectores Invertidos curata dalla galleria Laguanacazul. Nel 2016 partecipa alla Biennale del Disegno di Rimini ed è intervistata da Flavia Lanza per il Wall street international magazine. Nel 2017 fonda il collettivo Symbióō, con il quale realizza installazioni per spettacoli performativi e nel 2018 viene proiettato, al Cinema Lumiére di Pisa, durante il festival Ronzii, il video della performance Un mondo oltre il mondo di Symbioo. Nel 2019 è selezionata dai curatori del concorso Artkeys ed espone al Castello Angioino Aragonese di Agropoli. Ultime esposizioni 2019: personale, Amabili vertebre, studio di incisione Guerri, Cesena; collettiva, Artkeys, Castello Angioino Aragonese, Agropoli; personale, NUN oceano primordiale, Sala Rubicone, Magazzini del sale, Cervia 2018: collettiva, Proiezione di Symbióō, Festival Ronzii, Cinema Lumiére, Pisa; collettiva, Inout Tuoni, Fuoriclasse quattromani, Conserveria Pastis, Torino; collettiva, Illustrare Panzini, Museo Casa Rossa di A. Panzini, Bellaria; personale, Symbióō, Calisto Cafè, Vailate, Cremona 2016: collettiva, AnARTomy, galleria Mirabilia, Reggio Emilia; collettiva, Biennale del Disegno, Museo della città, Rimini 2015: collettiva, GEA It’s a (wo)man’s world, MostraMI Factory/Fondazione Bracco, Milano; collettiva, Idrophilia/La zona abitabile, Casermarcheologica, Sansepolcro Atlante anatomico frammenti di corpi, di voli, di corse geografia di segni anime erranti riflesse sulla superficie evanescenti visioni notturne amabili ossa

Studio di lepre, 2019, penna su acetato, 29,7x42 cm

Studio di lepre e vertebre, 2019, acrilico su tessuto, 90x63x24 cm

Oscuro battesimo, 2019, acquaforte, 25x27 cm

Radiolare, 2019, acrilico su plastica, 70x50 cm

Studio di lepre, 2019, penna su acetato, 29,7x42 cm 358

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Elisa Muliere Elisa Muliere (Tortona, 1981) vive e lavora a Bologna. Artista multidisciplinare, la sua produzione spazia dal lavoro su tela e carta alla sperimentazione di altre forme di ricerca come installazioni, scultura e prodotti editoriali. Dal 2011 espone in diverse mostre personali e collettive, in Italia e all’estero. Tra queste: NOW NOW. Quando nasce un’opera d’arte (2019, progetto di Casa Testori a cura di D. Dall’Ombra, L. Fiore, G. Frangi, F. Radaelli, Meeting, Rimini)[C], Blossom (2019, a cura di V. Aretusi, V. Barbara, L. Capezzone, G. Oblo, Galleria Uovo alla Pop, Livorno)[P], Ensemble (2019, a cura di Supergiovane, spazio privato, Milano)[P], Il tempo sei tu che lo decidi (2018, a cura di A. Zannoni con A. Mariotti, D. Tozzi, Adiacenze, Bologna)[P], TWINS (2016, a cura di A. Mariotti e D. Tozzi, Musei Civici, Tortona)[P], Polar Privacy (2015, a cura di A. Mariotti e D. Tozzi – progetto Cubo Unipol “Macrocosmi”, Werkstattgalerie, Berlino)[P]. Il mio regno (Edizioni Sido, 2018) è il suo secondo libro d’artista; nel 2014 ha pubblicato Icaro deve cadere (GRRRz Comic Art Books), presentato in diversi spazi tra cui la VII Biennale dell’Illustrazione di Lisbona “ILUSTRARTE” come progetto finalista. Il mio Atlante regge astri, Terra, galassie con l’orecchio teso un piede saldo a terra - l’altro libero a tener tempo e controtempo.

Jellyfish Volcano, 2018, olio e vernice spray su tela, 275x300 cm

Metamorphosis I/II, 2019, semirefrattaria dipinta e tessuto, 16x40x9 e 9x35x9 cm

Nighttime thinking, 2019, olio su tela, 145x200 cm 360

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Blue Etudes, 2019, tecnica mista su carta, 30x21 cm circa

Four. Etudes for piano and pencil, 2019, pastello e matita su carta, 24x24 cm


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Nero/Alessandro Neretti (Faenza, 1980) Artista visivo, ricercatore, critico osservatore della condizione contemporanea conduce una personale indagine espressiva tesa a esplorare con occhio disincantato e impudente dinamiche e processi sociopolitici ed economici, concentrando particolare attenzione sulla sfera della realizzazione individuale e collettiva, del desiderio, del corpo, del simbolo. Estende un costante lavoro di auto-fiction alla ricerca ambientale, che si rivolge allo spazio del qui e dell’ora, comprendendo valori architettonici, culturali e naturali. I processi di autodefinizione e di rielaborazione del dato sensibile si intrecciano in immagini fortemente simboliche. Soggetti animali e mitologici, ma anche segni e codici, emergono da tecniche diverse (fotografia, ceramica, stampa, assemblaggio, video). L’objet trouvé entra in tale processo in forma di installazioni complesse, dove l’aggancio all’esistente presente avviene in chiave di post-realismo semantico. L’obiettivo finale è la provocazione, la resistenza, l’alternativa al collasso storico e culturale. Alcuni dei suoi progetti personali sono stati ospitati da: Museum Beelden aan Zee - L’Aia/Paesi Bassi, MAR - Museo d’Arte Della Città - Ravenna, PAC/Padiglione d’Arte Contemporanea - Milano.

Ha partecipato a mostre collettive, residenze d’artista e workshop in spazi come: Cinema Eden - Vallouris/Francia; Airbnb HQ - San Francisco/Stati Uniti d’America; Spaziu Kreattiv and Faculty of Media Knowledge and Science - Malta/Malta; International EgeArt Days Izmir/Turchia; FLICAM - Fuping/Cina, World Ceramic Biennale International Workshop, Icheon/Repubblica di Corea; MAC/Museo d’Arte Contemporanea - Lissone; Museo Civico - Bassano; Padiglione Spagna - Venezia; Aubin Gallery - Londra/Regno Unito; Kunstmuseum - Bornholms/Danimarca; Fondazione Benetton Studi e Ricerche - Treviso; F.R.A.C./Fondo Regionale d’Arte Contemporanea - Baronissi; Basilica Palladiana - Vicenza; Zichy Palace - Lodz/Polonia; Hagi Uragami Museum - Gifu/Giappone. Nel 2019 vince il Primo Premio al 26° Concorso di Ceramica Contemporanea, Museo di Grottaglie; nel 2013 vince il Primo Premio al 58° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea - sezione under 40, Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza; nel 2009 é il vincitore della sezione scultura al R.A.M. 08/09, Ravenna; nel 2008 vince il Bronze Award all’8° International Ceramics Competition di Mino, Museum of Modern Ceramic Art di Gifu/Giappone.

Planet Earth, vista del progetto presso Casabella laboratorio, Milano. Tre installazioni e un proiettore a parete con Ped/Planet Earth Disaster [#1], 2018; colore, musica di Andrea Nonni; 22’25”

Smoke late dirty business (a prequel), 2018, ferro, cartone, mattoni in terracotta, legno di abete, legno di pino, blocchi di cemento, Pierre de France di Serenissima, Mat di Cir, Abitare la Terra di Cerasarda, 293x271x172 cm, courtesy dell’artista, foto Andrea Piffari

Archivio. Una serie di immagini, scattate negli ultimi dieci anni in giro per il mondo, sono presentate come un background visivo composto di input ed esperienze che l’artista presenta per la prima volta al pubblico.

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Black river on Antarctic landscape (almost fake), 2018, legno di abete, Renoire di Cercom, 187x635x266 cm, courtesy dell’artista, foto Andrea Piffari Natura. Un anfiteatro che ospita una unica venatura di marmo lunga cinque metri. Come se ci trovassimo ad osservare dall’alto un enorme fiume nero che scorre tra i ghiacciai; illusi per un attimo di essere i protagonisti di questa rappresentazione, ci accorgiamo di essere una microscopica frazione temporale e fisica dell’evoluzione del pianeta terra.

Città. Materiali da edilizia accumulati; le stesse sostanze delle quali sono realizzate le nostre città, disposte in questo caso in maniera orizzontale, una stratificazione ritmata che in questo caso costruisce due scheletri, due memorie del recente passato collettivo.

People watching community, 2018, legno di abete, terracotta smaltata, 296x273x47 cm, courtesy dell’artista, foto Andrea Piffari Razza umana. Tutto racchiuso dentro una rete di comunicazione condivisa. Popolazioni omniconnesse in un sottile gioco di voyeurismo ove il bisogno di apparire per la soddisfazione del proprio ego sovrasta la reale pericolosità di non sapere da chi si é realmente osservati.


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Mattia Noal (*1984) 2012 Diploma di Laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Verona; 2007 Diploma di Laurea di Discipline dell’Arte della Musica e dello Spettacolo (DAMS) presso l’Università degli Studi di Padova. Vive e lavora a Francoforte sul Meno. Attraverso il mio lavoro fornisco una possibile chiave interpretativa dell’attuale statuto ontologico dell’immagine pittorica in relazione ad altre esperienze di natura eterogenea, interessandomi in particolar modo al binomio pittura/mondo virtuale (mondo – contenitore di eventi) rappresentato nei videogames. I lavori presentati a Selvatico [14] fanno parte della serie “Drop”, un termine inglese utilizzato nell’ambito dei videogames per indicare gli oggetti trovati in una sessione di gioco.

Ohne Titel (White Tetrahedron), 2019, acrilico su tela, 40x50 cm

Ohne Titel (Black Tetrahedron), 2019, acrilico su tela, 40x50 cm

Ohne Titel (Aloe), 2019, acrilico su tela, 40x50 cm

Ohne Titel (Paper plane), 2019, acrilico su tela, 40x50 cm

Ohne Titel (RGB’s Cube), 2019, acrilico su tela, 40x50 cm

Aloe 1 (Studio su carta), 2018, acrilico e grafite su carta, 20x20 cm 364

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Alice Padovani Nata a Modena, dove vive e lavora, nel 1979. Laureata in Filosofia e in Arti Visive all’Università di Bologna, dalla metà degli anni ‘90 al 2012 si forma e lavora come attrice e regista nell’ambito del teatro contemporaneo. Parallelamente, preferendo l’utilizzo del disegno, dell’installazione e della performance, sviluppa il proprio percorso di artista visiva. Le sue opere sono state esposte in mostre personali, collettive e fiere d’arte a carattere nazionale e internazionale ricevendo numerosi premi e riconoscimenti. Il lavoro di Alice Padovani è un diario visivo fondato su archetipi di meraviglia e repulsione. Immergendo lo sguardo nell’ossessione della perdita, della mancanza, della morte, la memoria diventa il punto di origine da cui osservare l’esistenza. Fondendo la spontaneità dell’impulso creativo, al rigore del metodo scientifico, nelle sue opere (installazioni, assemblaggi e performance) Padovani propone frammenti di una natura decontestualizzata e crea collezioni che sono, al contempo, cumuli e tracce: nature morte in cui fragilità e solidità giocano con la loro stessa materia e dove il tempo sembra aver perduto il proprio diritto di corruzione. Elementi vegetali e animali dialogano assieme ad altri ‘objets trouvés’ nel tentativo di instaurare un equilibrio tra vita e morte, tra l’effimero del corpo organico e la solidità della forma inorganica. “La natura rappresenta per me il regno della molteplicità, del sensibile e della contraddizione perché in grado di suscitare sentimenti di gioia e disperazione, di dolore e di piacere. È vita e morte che si rincorrono in modo perpetuo del tutto fine a sé stesso, e ritrovandomi perfettamente nelle parole di Tolstoj, “già lo conosco, non cerco di sciogliere il nodo, ma mi accontento di questa oscillazione.” Essa è l’immagine più primitiva e

realistica che possiamo avere di noi stessi, ma il suo mistero e le infinite combinazioni provocano un certo grado di smarrimento. È un autoritratto che talvolta fatichiamo a riconoscere perché racchiude infinito ed effimero nello stesso momento e nello stesso luogo; è un caos meravigliosamente organizzato che disorienta e commuove quanto guardare verso le profondità dell’universo. La natura è un’entità che frequento quotidianamente e in questo senso “riclassificarla” in maniera tutt’altro che scientifica ma seguendo il filo dell’emotività, creando assemblaggi, installazioni e momenti performativi, mi da la sensazione transitoria di poter controllare una piccola porzione di tempo e di vita. L’uomo resta convinto per lo più che la natura non faccia nulla invano e questa legge dell’economia domina il suo pensiero in modo assoluto. Tuttavia, sembra esistere tra gli esseri viventi in generale, una tendenza a produrre disegni e colori e forme astratte decorative che nulla hanno a che fare con il noto “criterio di utilità”. Una farfalla o uno scarabeo, privi di discernimento, non hanno il potere di porre ostacoli a questo sviluppo di forze che produce naturalmente la bellezza. Questi colori e queste geometrie appaiono come archetipi naturali, strutture senza apparente scopo, analoghe solo ai corpi perfetti che Platone nel Timeo, considera come gli unici degni di un architetto divino. Questa grande bellezza, scolpita nel corpo dell’insetto, immutato da migliaia di secoli, contiene tutte le soluzioni sperimentate dall’evoluzione. Gli insetti, diversamente dall’uomo la cui “imperfezione” è alla base della sua costante mutazione, sono già degli esseri perfetti, e forse anche per questo motivo muovono una certa curiosità. Essi inoltre, che da sempre suscitano sentimenti contrastanti che oscillano dalla paura alla meraviglia, sembrano essere i testimoni perfetti per veicolare una autentica curiosità nei confronti di ciò che è considerato diverso.” Rebuild nature: Victoria amazonica 2019 penna su carta cm 150x150

Cocoons 2019 tecnica mista, bozzoli di coleottero stabilizzati, foglia d’oro, stelo in ferro saldato cm 110x65x65

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Ali di formica e due piume gialle 2018 assemblaggio in teca entomologica: ali di formica, piume, spilli cm 39x39x5

Solid 2019 installazione site specific presso Fondazione Vittorio Leonesio, gesso e inclusioni di materia organica, dimensioni ambientali

Senza nome non esisti. Esercizio per la sparizione di uomini, piante e animali 2019 serie Classificazione immateriale assemblaggio su sfera di corda: 2700 spilli entomologici, 2700 cartellini per la classificazione, un coleottero nascosto cm 55x55x55 ph Serena Biagini


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Luca Piovaccari Cesena 1965. 1996 Galleria Medusa personale, presentazione di M. Meneguzzo, Cesena. 1997 Premio Trevi Flash Art Museum | Aperto Italia Trevi Flash Art Museum | Realismo Italiano, Collezioni Nordstern, Colonia | Biennale del Mediterraneo, Alta marea, spazio Adriano Olivetti, Ivrea. 2000 Formae, Istituto di Cultura Italiana, Berlino. 2001 Il nuovo paesaggio in Italia a cura di M. G. Torri Spazio Electra, Parigi | Sui Generis PAC, Milano | 8 artisti, 8 critici, 8 stanze presentato da S. Ghinassi a cura di D. Auregli e P. Weiermair, Villa delle Rose, Bologna. | 2002 Outdoor - Italian artists in Germany, a cura di L. Scacco, Kunst und Kulturverein, Aschersleben. 2003 Alto impatto ambientale a cura di M. Paderni, Chiostri di S. Domenico, Reggio Emilia. 2005 The garden personale, presentazione di L. Beatrice, Della Pina Pietrasanta | Premio Cairo, Palazzo della Permanente, Milano| XIV Quadriennale d’ Arte ANTEPRIMA, Palazzo della Promotrice Torino | 55° Premio Michetti, Francavilla al Mare | Più opere al Mar di Ravenna, Le nuove acquisizioni del Museo a cura di C. Spadoni | Open space, a cura di A. Zanchetta e L. Facco, Centro Candiani, Mestre| 2009 Plenitudini a cura di A. Zanchetta, Galleria d’Arte Moderna di San Marino. 2010 Still a live,a cura di U. Pastorino e G. Maraniello, Fondazione A. Pomodoro, Milano. 2011 Mentali fragili equilibri, galleria Romberg a cura di G. Marziani| La costante cosmologica a cura di G. Marziani, Fondazione Rocco Guglielmo, Catanzaro. 2012 E bianca- Selvatico, a cura di M. Fabbri, Lugo. 2014 Una testa che guarda- Selvatico, a cura di M. Fabbri, Museo Civico S. Rocco Fusignano. 2015 Close – UP - Il primo piano sulla pittura Italiana, a cura di G. Marziani, Palazzo Collicola Spoleto | Disseminazioni, a cura di G. Gianuizzi, Casabianca, Zola Predosa (Bo) | Fragilitas Mortalis Renato Serra, a cura di M. Zattini, bipersonale con F. Guerri, Maison de l’Union Européenne Lussemburgo | In principio è la terra a cura di M: Galbiati e K. McManus, Forte di Gavi Libarna. 2017 Rivoluzioni, personale Palazzo Ducale di Massa a cura di D. Lucchesi presentazione di A. Zanchetta| La stagione del disincanto personale a cura di G. Papi, Museo Far, Rimini | Five years galleria Montoro 12, Roma | Mias Mid-career Italian artists a

Frammento, 2019, tecnica mista su carta, 27x17 cm 368

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Ascolta il tuo respiro, 2016, pellicola fotografica, 153x103 cm

cura di R. Brunelli, galleria Giampiero Biasutti, Torino | 2018 Ascolta il tuo respiro personale a cura di A. Zanchetta al MAC di Lissone| Fragile levità, personale, Festival Art Stays, Ptuj Slovenia | Omaggio a Stojan Kerbler a cura di Dusan Fiser, galleria Mesta di Ptuj | Ixion, le nuove acquisizioni del Museo, a cura di A. Zanchetta MAC Lissone | Visibile Invisibile Desiderio e Passione Biennale del Disegno di Rimini, a cura di M. Pulini | Vie Periferiche a cura di R. Bertozzi, bipersonale con V. Turroni, Cristallino Cesena | Ultimi paesaggi a cura di F. Bertoni al centro Doc, Imola. 2019 Assonances, a cura di G. Sarti Alliance Française, Bologna | Nulla che non sia ovunque, personale a cura di M. Becci, Tomav Moresco! Variazioni sulla natura, personale a cura di F. Bertoni, museo Civico G. Ugonia, Brisighella | B-Archive Biennale del Disegno, a cura di A. Bigi Iotti e F. Pozzi, Ala Nuova Museo della Città Rimini | Visionari e apocalittici, a cura di C. Spadoni, Magazzini del Sale Cervia | Opus incertum, a cura di R. Bertozzi, Cristallino Cesena. Dei dipinti, ma spesso anche delle fotografie mi interessano i bordi: è li che si posa lo sguardo. Sono quelle zone marginali fuori dal punto focale dell’immagine che a volte nascondono particolari interessanti. Nei lavori spesso i perimetri sono rovinati o mancanti, come se i vuoti dovessero stimolare una ricostruzione mentale dell’immagine che fisicamente non esiste! Opere che cercano nell’immediato uno spiazzamento di senso e vorrebbero sollecitare certe zone intellettive intorpidite dal flusso mediatico creando un inciampo. Con l’errore instaurare quella condizione di mistero che può portare verso costruzioni emotive inaspettate. A volte sono paesaggi dilatati in cui perdersi o frammenti astratti da cui riemergere con una diversa coscienza. Se per abitudine sorvoliamo gli interrogativi sull’invisibile delle cose comuni, questi sono lavori su cui non vale la pena di posare lo sguardo. In realtà c’è una sola paura: quella di lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto lontano da ogni certezza possibile… H. Hesse

Ritrovare lo sguardo, 2015-’19, stampe fotografiche, 250x158 cm

Corpo, 2014-’19, fotografia, anilina e gommalacca su carta arcoprint avorio, ogni elemento 30x20 cm


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Federica Poletti Nata a Modena nel Novembre 1980. Laurea in arti visive presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2005. Ho preso parte a numerose mostre collettive e personali in gallerie private ed eventi pubblici.Tra il 2016 e il 2018 sono co-fondatrice di StudioMina dove ho avuto l’opportunità di lavorare con vari artisti e di confrontarmi con loro, allestire mostre che raccontassero la mia visione del contemporaneo e fare divulgazione culturale. Ora vivo e lavoro a Modena. “I protagonisti delle opere di Federica Poletti abitano un mondo piatto fatto di poche tinte piatte colori desaturati, talvolta arricchiti dalla presenza di pochi toni ricchi tendenti a enfatizzare l’ansia aggressiva ma allo stesso tempo poetica dei soggetti. Queste figure sono cariche di energia empatica capace di abbattere il muro della bidimensionalità della pittura, creando un messaggio profondo e angosciante, come un pugno nello stomaco alla realtà che si nasconde sotto la superficie, il suo vero volto.” L’archetipo femminile della donna velata negli anni ha affascinato intere culture e popolazioni. L’occidente lega al simbolo del velo una certa pudicizia e una sottomissione alla casta patriarcale. L’oriente trova nel velo un surrogato estetico e visibile della protezione di un’anima e di un corpo al limite della deità, che non lascia spazio alla caducità dello spirito.Le mie figure sono tutte donne. La femminilità vissuta come sottrazione. Come distanza emotiva. In una società dove il corpo della donna non trova un peso specifico è importante l’assenza. E allo stesso tempo le mie figure si isolano, per scelta. Tentano una fuga goffa e senza slancio. Immobili, coperte di pochi inutili ornamenti non trovano una reale distanza ma certamente possono, sotto quei veli, attutire i rumori, eliminare la vista, la distrazione dei sensi e ritrovare il ritmo del proprio respiro. Fantasmi.

Ghost, 2019, olio su tela, 50x70 cm

Ghost, 2019, olio su tela 50x70 cm

Ghost, 2019, olio su tela, 180x200 cm

I’m ghosting you, 2019, olio su tela, 100x120 cm

Rimasta nascosta, 2019, grafite su carta, 20x30 cm 370

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Chris Rocchegiani È nata nel 1977 a Jesi (Ancona), dove attualmente vive e lavora, felice di poter godere del distacco che regala una città di provincia. Si diploma in arti figurative all’Istituto Statale d’Arte di Jesi e consegue la laurea in Progettazione Grafica all’ISIA di Urbino. È artista, art director, insegnante di progettazione grafica presso la ACCA Academy e docente all’Università di Camerino - Dipartimento di Design e Architettura di Ascoli Piceno. È (spero) qualche cosa di più di ciò che definiscono le sole qualifiche. È Co-founder di CH RO MO insieme a Roberto Montani, un duo di ricerca sui linguaggi visivi del design e dell’arte; Co-founder di Pensiero Manifesto, un collettivo di creativi tra artisti, grafici e illustratori, (romantici idealisti) che utilizzano il manifesto di affissione quale strumento di pubblica utilità, coltivando pratiche di ascolto e restituzione alla collettività. Nell’ambito del design i suoi progetti sono stati premiati all’European Design Awards; all’Aiap Women Design dall’ADI – Associazione per il Disegno Industriale, accedendo alla short list per l’assegnazione del Compasso d’Oro; dalla Fondazione Cariplo – Milano, selezionata e premiata per Innovazione Culturale con il progetto Intellimotion. La pittura è il cuore della sua ricerca, il luogo e il linguaggio in cui il confronto avviene in profondità e senza mediazioni. La pittura è per lei una necessità. Tra le mostre più significative del suo percorso artistico 2019 Re-St (Residenza Studio), La Mole, Ancona; 2019 Diagrammi, Cripta747, Torino; 2018 Esercizi, Pinacoteca Civica, Jesi; 2017 Cuore part.2, La Mole, Ancona; 2016 VI Rassegna d’Arte Contemporanea, Ca’ dei Carraresi,

Deposizione. Sinistra 2019 olio su tela 180x150 cm

Deposizione. Destra 2019 olio su tela 180x150 cm

Diagramma 01 2019 olio e grafite su tela 110x100 cm

Treviso; 2015 Two Calls, Dolomiti Contemporanee, Casso; 2014 Interno senza niente, Teatro Gentile da Fabriano, Fabriano; 2013 La camera esterna, Nottenera Festival, Serra dè Conti; 2013 10.800s, Teatro dei filarmonici, Ascoli Piceno. Il mio Atlante, in continuo divenire, ricalcitrante ad ogni parvenza di ordinata conclusione, raccoglie i segni sconnessi degli sfinimenti e delle lotte. Con una sorta di sadico godimento, mi permette di richiamare le ferite, gli stordimenti, i segni di insostituibili presenze e dei vuoti, con le sue necessarie profonde vertigini. Non sono mai riuscita a far aderire la sua forma ad un contenitore: una scatola, un libro, un album, una mappa, ecc.. Non sono mai riuscita a dargli un titolo, a definirne un genere. Eppure non riesco a fare a meno di fotografare gli uccelli morti che trovo a terra. Non riesco a non raccogliere corpi di lucertole o insetti. Non riesco a fare a meno di fotografare persone, luoghi, cose che non voglio dimenticare. Non riesco a fare a meno di segnarmi tutto, infiniti elenchi di cose da portare, di cose da fare, appunti di parole che mi hanno aperto varchi o che mi hanno fatto precipitare. E nella ripetizione di tutto questo, in un tempo che non prende più significato nel suo essere presente o passato e che rimescola costantemente le carte, il mio Atlante ha preso corpo e coincide con la mia pittura. I suoi argini sono comuni a quelli di ogni cosa “manifesta”. Sta dentro a ciò che è visibile e a quello che non lo è. Tra la materia e l’immateriale. Tra la figura e l’astrazione. Ogni dipinto è idealmente una pagina dell’Atlante, un preciso piano tra gli estremi se la visione è chiara, o un velo quando non lo è, ma che ti permette di vedere attraverso.

Diagramma 02 2019 olio e grafite su tela 110x100 cm

Diagramma 03 2019 olio e grafite su tela 110x100 cm

Diagramma 04 2019 olio e grafite su tela 110x100 cm

Ceci n’est pas une pipe, 2018 grafite e china su carta, 30x41 cm 372

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Fabio Romano (Gela 1978). Vive e lavora a Bologna. Dopo gli studi di psicologia si iscrive e si diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove insegna. Dal 2007 ha partecipato a varie mostre in Italia e in Europa. Personali: 2017 | “Find the balance”, Luisa Catucci Gallery, Berlino, curatore C. Fileccia. 2016 | “Find the balance”, Galerie Nardone, Bruxelles; “Decostruzioni”, Die Mauer Artecontemporanea, Prato, curatore L. Sposato; “Off Course Young Contemporary ART FAIR”, Galerie Nardone, Bruxelles. 2015 | “Level 7”, BiBox Art Space, Biella, curatore I. Finiguerra; 2014 | “The invisible cities”, Zenone artecontemporanea, Reggio Emilia, curatore S. Simonini; “Fallout”, Museo Archeologico, Gela; 2012 | “Fallout”, Adiacenze, Bologna, curatore E. Bulzoni; Collettive: 2018 | “You Can Do It and You Must Do It”, Academy NowMAMbo, Villa delle Rose, Bologna, curatore L. Petrillo; “The Wunderkammer”, Galerie Nardone, Bruxelles, curatore A. Nardone; “Academy Now”, Villa Marullina, Casalecchio di Reno, curatore L. Petrillo; “SCOPE International Art Show ”, Webergasse, Basel. 2017 | “Grand Art Fair”, Luisa Catucci Gallery, Milano. 2016 | “Il velo di Maya”, Evolve studio legale, Bologna, curatore I. Finiguerra; “Autoselbstfahrer”, Rompone Kunstsalon, Köln; “Relazioni”, Art White Night, Adiacenze, Bologna, curatori A. Mariotti e D. Tozzi; “Setup Art Fair”, BiBox Art Space, Bologna; 2015 | “Academy Now”, Galleria Vannucci, Pistoia, curatore L. Petrillo; “Academy Now”, Spazio 9, Bologna, curatore L. Petrillo; “The Others”, BiBox Art Space, Torino; “Off Course contemporary art fair”, Academy Now, Bruxelles, curatore L. Petrillo; 2014 | “Academy Now”, Art Defender – Arte Fiera Off, Bologna, curatore L. Petrillo; 2013 | “Academy Now”, Hanmy Gallery, Londra, curatore L. Petrillo; “E quindi uscimmo a riveder le stelle. L’approdo”, Galleria S. Fedele, Milano, curatore I. Bignotti; “Art Code Factory”, S. Maria in Chiavica Church, Verona, curatore S. Belladelli; “Migration”, Officina delle Arti, Reggio Emilia, curatore A. Mariotti e D. Tozzi; 2012 | “Hic sunt leones”, Sala Museale Baraccano, Bologna, curatore G. Mundula e M. Giuffredi; “Contemporary party” Art Off, via De Musei, Bologna, curatore. S. Gavioli; 2011 | “Festival della creatività”, MIUR, Firenze; “Contemporary party” Art Off, Teatro Duse, Bologna; 2010 | “Ortofabbrica”, Fabbrica, Gambettola; “Relation Landscape”, Palazzo Re Enzo, Bologna; 2009 | “Open 12”, Isola di S. Servolo, curatore Massimo Pulini. www.fabioromano.org Note “… frammenti, cocci, piante, stoffe usurate … …un’oscillazione perpetua tra costruzione e distruzione, un processo continuo di trasformazione del paesaggio e della materia. L’intento è quello di bloccare immagini mentali e frammenti di vissuto, in un tempo indefinito, quasi sospeso. Un tentativo di stabilire un rapporto con il concetto di esperienza e memoria, attraverso la sublimazione di ricordi in luoghi che sono diventati contenitori di emozioni, di equilibrio e di dialogo.”

All’interno, 2019 cemento, calcestruzzo, legno, mattoni, tubi, vasca, bombola, sedia, scarpa, intonaco, forati, mattonelle, pigmenti, ossidi. Misure spazio. 374

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Andrea Salvatori Andrea Salvatori é nato il 3 Marzo 1975 a Faenza (Ra), Italia; si è diplomato all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza nel 1995, e in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2000. Ora lavora e vive a Solarolo, (Ra), Italia. Dal 1997 ha partecipato a numerose esposizioni sia personali che collettive; nel 2007 è secondo classificato alla 55 edizione del Premio Faenza, dove nell’ edizione successiva vince il primo premio alla 56 esima edizione. Nel 2010 secondo classificato al Sidney Myer Fund Australian Ceramic Award International, Shepparton Art Museum a Sidney Principali esposizioni personali 2019: Ikebana Rock’n’Roll, Andrea Salvatori e Giulio Turcato, The Pool NYC Gallery, Milano. New From Nowhere, Andrea Salvatori / Deepa Panchamia duo show, a cura di Valentina Buscicchio, Madeinbritaly Gallery, London. 2018: Viaggio nel Contemporaneo, a cura di Vittorio Amedeo Sacco, Villa Casati Stampa di Soncino, Muggiò, (MB). 2018: Premio Internazionale di Scultura Edgardo Mannucci, Centro Culturale San Francesco, Arcevia (Ancona). 2017: Otium cum Dignitate, Andrea Salvatori, scultore, a cura di Guido Cabib, Museo Civico Gaetano Filangieri, Napoli. 2016: OOPS!… I Did It again, a cura di Viola Emaldi e Marco Venturi, Madeinbritaly Gallery, London; White & Witty, a cura di Madeinbritaly Gallery e Viola Emaldi, Boutique Dodo, London; Finzioni/Funzioni, a cura di Irene Biolchini e Marisa Zattini, Galleria Comunale d’ Arte, Faenza, Ravenna. 2015: Gli specchi dovrebbero pensare più a lungo prima di riflettere, a cura di Sabrina Samorì e Silvia Battistini, Museo Civico d’ Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini, Bologna; Metaceramico, a cura di Chiara Fuschini, Galleria Ninapi, Ravenna; Allievo e Maestri, a cura di ThePoolNYC Gallery, Palazzo Sassoli de’Bianchi, Bologna. 2013: Uncanny Fairy Tales, a cura di Elena Magini, F-AIR Florence Artist in Residence, Firenze; Magnitudo, a cura di Alberto Zanchetta, Museo di Lissone, Lissone, Milano. Principali esposizioni collettive 2019: Homo Faber, crafting a more human future, Michele De Lucchi, DStefano Boeri, India Mahdavi, JuOpere in senso orario: Sulla mensola: Sweet balance, 2013, ceramica e porcellana, 13x13x28 cm Sul basamento: La vita è dura (autoritratto di Anna Bertozzi e dell’Artista ), 2017, Ceramica e roccia, 33x33x65 cm,

33x33x68 cm A terra: Futurista Stone, 2013, ceramica e libro, 33x48x32 cm. Foto: Anna Bertozzi 376

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TuttiTappi #Big Size, 2012, ceramica e porcellana, 50x50x192 cm. Foto: Anna Bertozzi

dith Clark, Jean Blanchard, Stefano Micelli, Fondazione Giorgio Cini, San Giorgio Maggiore, Venezia; About a vase, a cura di Matteo Zauli, opera site specific, Montelupo Fiorentino, (Firenze). 2018: Biennale de la Céramique d’Ardenne, a cura di Ana-Belén Montero, Centre Culturel Andenne, Belgio; Divagazioni, a cura di Gian Enzo Sperone, Galleria Gian Enzo Sperone, Chasa dal Guvernatur, Sent, Switzerland; Kéramos: tukaj in zdaj / Kéramos: qui e adesso, a cura di Tatjana Sirk, Galleria Civica Pirano, Slovenuja. 2017: Costante Colore, Galleria ThePoolNYC Gallery, Milano; Il volto che cambia, a cura di Fabio Carnaghi, MIDeC, Museo Internazionale Design Ceramico, Laveno Mombello, (Va); Le Zoo de Madame Y, Galerie Benhadj&DJilali, Berlino; Vitel Tonné, a cura di ThePoolNYC Gallery, Palazzo Cesari-Marchesi, Venezia; In the Earth Time, a cura di Irene Biolchini, Italian Guest Pavillion, Gyeonggi Ceramic Biennale, Gyeonggi, Korea; Meraviglie, L’arte contemporanea in ceramica, a cura di Irene Finiguerra, Palazzo Gromo Losa, Biella. 2016: Artieri Fantastici, a cura di Enzo Biffi Gentili, complesso monumentale di San Francesco, Cuneo; Terra !, a cura di Luca Bochicchio e Olga Gambari, Civico Museo Manlio Trucco, Albissola Superiore, Savona e Palazzo Botton, Castellamonte, Torino. 2015: Palazzo con vista, a cura di ThePoolNYC Gallery, Palazzo Cesari Marchesi, Venezia; Thesaurus, a cura di Fabio Carnaghi, Terme Romane, Como. 2014: XXIII° Biennale Internationale Creation Contemporaine et Ceramique, a cura di Céline Graziani, Vallauris, France;The Hidden Show, a cura di ThePoolNYC Gallery, New York; 2013: Arte Ceramica oggi in Italia, a cura di / curate by Jean Blanchaert, e / and Viola Emaldi, Villa Necchi Campiglio, Milano. 2012: XXXII Biennale Roncaglia Passato Prossimo, a cura di Elisabetta Modena, Marco Scotti, Ilaria Bignotti e / and Valentina Rossi; Rocca Estense, San Felice Sul Panaro, Modena, Tu Sei Un Nome Che Respira E Muove, a cura di Dacia Manto, Museo della Città, Rimini. “M’illumino d’immenso.” (G.Garibaldi)

Sul basamento: Peloso, 2019, ceramica, 28x28x25 cm, (in collaborazione con WASP 3D Print) Sul tavolino: Untitled 2019, ceramica, 38x46x40, (in collaborazione con WASP 3D Print) A terra: TuttiTappi, 2015, porcellana e ceramica, 26x26x28. Foto: Anna Bertozzi

TuttiTappi (foto di insieme), 2012, ceramica e porcellana, variabili dai 10 ai 45 cm. Foto: Anna Bertozzi M’illumino d’ immenso, 2016 collage, matita e pennarelli, 12,8x9 cm


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Giovanna Sarti Giovanna Sarti, Artista - Curatrice nata a Cervia vive e lavora tra Berlino e Cervia. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, ha concluso i suoi studi con un Master in pittura con Per Kirkeby presso la Städelschüle di Francoforte sul Meno. Ha esposto in diversi spazi pubblici e privati internazionali tra questi: Opus Incertum 2019 Cristallino Cesena - Assonances Drawing Storage 2019, Alliance Française Bologna (curatrice/in mostra) - Phototropia I-II 2018, Maison de Heidelberg Goethe Institut Montpellier - Der Herr im Damensattel 2018, Kunstverein F. Montez e.V., Frankfurt am Main - Microscopiche 1 solo 2018, Studio Guerri Cesena - Quelque chose comme le dessin 2017 su invito di Gino Gianuizzi, Galerie L’Entrepôt Monaco Montecarlo - Berlin Berlin 2017, Babette Contemporary Art Space, Berlino, Drawings From Lightning 2017 su invito di Laura Santamaria, Gallery Madeinbritaly, London - Die Essenz entsteht im Verschwinden solo 2016, Kunstverein Heilbronn, cat. ed. Snoeck - Be Abstract 2015, Kunstverein Schwäbisch Hall - Consistency A Public Poster Project 2015, Verein zur Förderung von Kunst und Kultur am Rosa-Luxemburg-Platz Berlino (curatrice/in mostra) - Aporie solo 2014, Kunsthalle Lingen - On Permanence and Change 2014, Thomas Erben Gallery, New York - Biennale del Disegno Rimini 2014, Cantiere Disegno Museo della Città Rimini - Fernweh 2013 Kunstverein Arnsberg - Painting Forever 2013 su invito di Eva Scharrer Deutsche Bank KunstHalle, Berlino. Nel periodo in cui lavorava stabilmente in Italia ha partecipato a diverse mostre di fotografia tra le quali Segni di Luce 1993, Manica Lunga Biblioteca Classense, Ravenna (3° volume Ed. Longo) - Guido Guidi, Rimini Nord 1992, Galleria dell‘Immagine di Palazzo Gambalunga Musei Comunali, Rimini. Curatela: 2019/2022 Note di sguardi Cervia.Bologna.Berlino in collab. con Eva Scharrer e Gino Gianuizzi; 2012 Drawing Storage http://drawingstorage.tumblr.com/ archivio di disegni in corso; 2005/2010 progetto editoriale Blatt Spezial; 2000/2005 spazio espositivo Garage30 - Francoforte sul Meno, www.garage30.org.

Studio preparatorio per Interdipendenze - creazione distruzione, 2019, tela tinta con indaco naturale e ipoclorito di sodio, 35x28 cm 378

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Studio preparatorio per Interdipendenze superfici e profondità, 2019, tela tinta con indaco naturale, poveri di ferro, pigmenti e acrilico, 36x29,5 cm

Studio preparatorio per Lieve profonda mutazione, 2019, tela tinta con indaco naturale, poveri di ferro, polveri di rame e acrilico, 36x29,3 cm

Alcune riflessioni sul mio lavoro. Un aspetto fondamentale sul quale sono focalizzata è la rarefazione della materia, della realtà anche in un nuovo caos, una trasformazione. La materia è molto importante per me, non in quanto materiale, ma nella sua potenzialità di non più materia; non mi interessa mostrare le qualità della materia, i suoi valori espressivi nei quali si identificava l’Informale. Uso la materia, e mi muovo lentamente attraverso il suo logorio, il suo consumo, verso il suo opposto. Una smaterializzazione non da intendere, anche se inscindibile forse, come spiritualizzazione, come fine di essa, ma da sentire come fine di uno stato, deterioramento di esso e porsi in questa soglia che guarda a quello che è il dopo. Necessariamente devo partire dalla materia per sperimentare questo stato di limbo perenne che si ritrova nei miei lavori, al quale tendo. Una dimensione anche psicologica dell’indecisione, della non chiarezza dell’indefinito: dimensione nella quale mi ritrovo spesso. Uso le polveri di metallo, come residui di altro, forme della realtà che più non esistono in un determinato stato, come la ruggine, restanti materiali, particelle che su tutto si posano ed entrano in noi. Da diversi anni è presente nel mio lavoro il colore indaco come pigmento e negli ultimi due anni anche l’indaco come tintura, è un colore naturale che trasmette profondità e luce particolari e lascia trasparire la gamma di toni che comprende, trasporta con sé la storia dell’uomo dato che è stato usato sin dall’epoca del Neolitico e la cui estensione simbolica mi interessa. In questa serie di opere, alcune delle quali sono qui esposte, il mio interevento parte dalla tintura ad indaco naturale delle tele sulle quali poi andrò ad intervenire con polveri di ferro o rame, con la candeggina o con pigmenti irridescenti. Il tema è quello del rapporto interdipendente tra superficie e profondità.

Tutto ciò che è nelle mie mani e ancora non so, 2019, inchiostri su Steinpapier, 20x20 cm

Studio preparatorio per Indaco essenziale, 2019, tela tinta con indaco naturale, 59x32 cm

Studio preparatorio per Interdipendenze superfici e profondità, 2019, tela tinta con indaco naturale, poveri di ferro e acrilico, 36x29,3 cm

Studio preparatorio per Interdipendenze - superfici e profondità, 2019, tela tinta con indaco naturale, poveri di ferro, polveri di rame, pigmenti e acrilico, 35x28 cm


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Thomas Scalco Thomas Scalco è nato a Vicenza, dove vive e lavora, nel 1987. Dopo la maturità artistica, ha frequentato il corso di primo livello in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, diplomandosi nel 2011 e in seguito il corso di specializzazione in Pittura e arti visive nella stessa Accademia, concluso nel 2014. È stato finalista al Premio Lissone (2014), menzionato dalla giuria del Premio Ora (2015), vincitore del primo premio Under30 ad Arteam Cup (2015), del primo premio per la pittura al premio Lynx (2016), invitato al 57° Premio Bugatti-Segantini (2017), finalista al Premio Arti Visive San Fedele (2017), finalista al premio Arteam Cup 2018 (con l’acquisizione della propria opera da parte della Fondazione Dino Zoli di Forlì, sede della mostra). È stato selezionato per il premio Level 0 da parte della G.A.M. di Verona ad Art Verona (2018) ed è stato vincitore del premio come miglior artista Under35 a Setup Art Fair (2019). Pittura come osservazione, come mezzo per fare esperienza del fenomenico, per appropriarsi delle superfici e delle forme, una pratica di appropriazione metaforica, che ha luogo su di una superficie minima, epidermica, lo spazio magico in cui avviene l’apparizione. È il continuo ripetersi di questo fenomeno ad affascinarci, a legarci ad esso.

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Origine, 2019, tecnica mista su tela, provvisoria, 110x125 cm

Origine, 2019, mista su tela, Provvisoria 50x55cm

Origine, 2019, tecnica mista su tela, Provvisoria, 50x55 cm

Origine, 2019, tecnica mista su tavola, 19,2x22,5 cm

Origine, 2019, tecnica mista su tavola, 20,8x22,5 cm

Origine, 2019 tecnica mista su tavola, 22x21,5 cm

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Un titolo, Atlante dei margini delle superfici e dei frammenti, che pare allusivo della nostra impossibilità di abbracciare la totalità dell’esistente, ed al contempo, e forse proprio per questo, ci ricorda i nostri continui tentativi di oltrepassare i limiti fisici che ci caratterizzano. Nel percorso che ho intrapreso, ogni opera nasce dall’esperienza, da uno stimolo che sfocia poi in una raccoglimento, il cui sviluppo è nel tempo dell’esecuzione. Il filo conduttore è una riflessione sui rapporti, sulle relazioni tra le parti e il tutto, fra il mondo che ci circonda e la nostra interiorità. Un’Immagine che si fa portavoce di un’intera esperienza, in cui stimoli e ricordi dalle provenienze più varie (paesaggistici, minerali, atmosferici, organici e via dicendo) coesistono in un’unica apparizione, mettendo in luce le proprie affinità, facendocene percepire l’origine comune, al di là delle apparenze. Nelle opere scultoree avviene lo stesso ma variando il procedimento: In questo caso l’apparizione, non richiamata dalla sola pittura, nasce da un intervento diretto sul supporto, il foglio di carta, che sollevandosi dal piano bidimensionale acquisisce presenza e volume. Simili a idoli o antichi reperti litici, tali opere condensano nella loro ambiguità di fondo, nel loro fingersi altro da sé ingannandoci circa la loro fragilità, l’intima essenza del reale.

Origine, 2019, tecnica mista su tela, Provvisoria (2) 50x55 cm,

Origine, 2019 tecnica mista su tela, 50x55 cm Provvisoria

Origine, 2019, tecnica mista su tavola, 20,8x22,3 cm

Senza titolo, 2018 olio e acrilico su carta, 21x33x6 cm

Senza titolo, 2018 olio e acrilico su carta, 21x30 cm

Segni, 2019, penna su carta, 20x20 cm


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Giorgia Severi Giorgia Severi nasce nel 1984 a Ravenna. Ha studiato restauro del mosaico e successivamente all’accademia di belle arti nella sua città di nascita. Inizia a viaggiare molto giovane per ricerca artistica sul paesaggio, residenze e progetti che la portano presto a lavorare e vivere all’estero come all’Università di Jaipur e in Australia. Il suo campo base è sempre e comunque l’Italia dove ha il suo atelier. Appassionata di paesaggio, botanica, erboristeria ed agricoltura, Giorgia Severi pratica anche e sperimenta tecniche paesaggistiche ed agricole nel proprio appezzamento di terra in Emilia Romagna. Collabora con diversi artisti per progetti e residenze nel mondo. Nel 2015 partecipa alla Biennale di Venezia con il padiglione ufficiale Country, collaterale di quello australiano, dedicato al proprio progetto in collaborazione con diversi artisti Aborigeni. Il suo lavoro si concentra sull’archiviazione di paesaggi naturali ed antropici/culturali che vanno scomparendo o modificandosi molto velocemente per come li conosciamo ora, cause cambiamenti climatici, evoluzione geologica e violenta antropizzazione. Artista multimediale lavora con installazioni di grandi disegni/frottage, calchi su carta o cellulosa di porzioni di paesaggio che muta riconsegnandolo in frammenti, performance e video, fotografia, installazioni sonore e scultura. Giorgia Severi in Italia è rappresentata dalla galleria Studio La Città di Verona. www.giorgiaseveri.com

Once there was the Ocean – Mt. Zeil, West MacDonnell Range, 2016 frottage – grafite e pigmenti su carta, polittico 150x600 cm Courtesy dell’artista e Galleria Studio la Città photo @Michele Alberto Sereni

Can’t see the forest for the trees, 2019 stampa pigmentata su plexiglass 40x60x5 cm, Courtesy dell’artista

Sandstone #3, 2019 Graffite, gessi, pastelli a cera su carta, 65x40 cm, Courtesy dell’artista, foto @Gianluca Colagrossi

A landscape into the landscape, 2018, pastelli a cera su carta, 22x16 cm 382

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Milena Sgambato Milena Sgambato vive e lavora a Milano. Nel 2008 consegue il Diploma Accademico in Pittura presso all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Dal 2011 al 2019 le sue opere sono state esposte in molti Musei e Gallerie d’arte Contemporanea: E23 Gallery (Napoli), Art’s events (Torrecuso – Benevento), Costantini art Gallery (Milano), Ufofabrik (Moena – Trento), Circoloquadro (Milano), Spazio Oberdan (Milano), Gare 82 Gallery (Brescia), Torre di Markellos, Aegina Grecia. Nel 2019 relaizza un’opera pubblica per il comune di Milano. Dal 2018 una sua opera è esposta in permanenza presso il Museo di Arte Contemporanea dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. Nel 2013 le sue opere sono state esposte al Museo di Arte Contemporanea “Arcos” di Benevento. Nel 2011 è stata una delle artiste della 54a Biennale di Venezia (Regione Campania) per il Padiglione Italia. Mi affascinano le tematiche che riguardano l’identità, la personalità, il cambiamento e tutto quello che va a modulare l’aspetto emotivo dell’essere umano. La mia ricerca tenta di portare alla luce un mondo interiore spesso celato attraverso la rappresentazione di personaggi solitari, immersi nei loro pensieri, che sembrano vivere in una dimensione sognante e privata. Solitudini indotte da un’era dove il vivere in simbiosi con la tecnologia porta ad immergersi in realtà virtuali e mondi paralleli. Nelle mie opere Il dialogo con il passato è una presenza costante che esprimo attraverso elementi simbolici e un colore evocativo che ritorna prepotente a raccontarci qualcosa che ci appartiene.

Electric dreams, 2019, acrilico su tela, 95x121 cm 384

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By this river, 2019, acrilico su tela, 30x30 cm

Doride, 2018, acrilico su tela, 85x125

Zefiro, 2018, acrilico su tela, 75x70 cm

Goodbye Lucie, 2015, matita su carta


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Manuela Vallicelli Sono nata nel 1971 ad Ancona. Dal 1972 al 1983 ho vissuto all’estero. Dopo il Liceo Artistico mi sono diplomata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Dal 2003 al 2010 ho vissuto a Milano dove ho iniziato la mia attività espositiva partecipando, in Italia e all’estero, a diverse esposizioni collettive e personali e fra queste: 2004, Polaroid in via di sviluppo, murale per la collezione permanente d’arte contemporanea del Museo d’arte Paolo Pini MAPP di Milano; Arte dal vivo performance presso il MAPP, Milano; 2005, progetto Blog on Arthur Rimbaud, mostra itinerante realizzata al Castello di Rivara di Torino, alla 291 Gallery di Londra e alla New York Univertity; Il luogo zero dello scambio, mostra satellite di MiArt, Museo d’arte Paolo Pini, Milano; Psicol’Abile, presso il MAPP, Milano; 2006 Album dei Ricordi, Galleria Pittura Italiana, Milano; Take Five, Galleria Obraz, Milano; 2007, Lo stato dell’Arte 2007, Galleria Obraz, Milano; 2008, World’s Artists, Galleria Artemisia, Nizza e Montecarlo; 2009, Incontri con l’artista, presso la Fondazione Bevilaqua La Masa, Palazzetto Tito, Venezia; 9° Premio Nazionale d’Arte Città di Novara, Salone Arengo del Broletto, Novara; Spaesaggi, Galleria Svettini Nuovo Spazio, Milano; 2010, ICCIE fiera internazionale d’arte di Pechino; Manuela Vallicelli, Galleria 9 Colonne, Fondazione D’Ars, Milano; 2011, Il respiro della Terra, FuCina Art Gallery, Pechino; Interminati spazi sovrumani silenzi, Galleria Ninapì, Ravenna; Manuela Vallicelli Galleria Il Coccio, Ravenna; Finalisti del Premio Marina di Ravenna, Galleria FaroArte, Marina di Ravenna; vinco ex-aequo la 55.ma edizione del Premio Marina di Ravenna, mostra presso il MAR, Museo d’Arte di Ravenna; 2013, Masotti, Vallicelli, Zauli, Galleria Il Coccio, Ravenna; 2014 Al tuo Perpetuo Canto, arte contemporanea, Villa Turconi a Lanzo d’Intelvi, Como; 2015 Manuela Vallicelli opere 2007-2011, Galleria d’arte Il Coccio, Ravenna.

O tópos méllon anamníseis 2019 pigmenti in polvere su tela 140x260 cm (particolare) 386

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Katádisi 2019 pigmenti in polvere su tela 140x140 cm

Video Arte: 2015, LSG Transmission, video tributo per l’artista Luca Scacchi Gracco, Milano; 2016, trailer per l’evento Finis Mundi per il Museo Labirinto della Masone dell’editore Franco Maria Ricci, Fontanellato (Parma); 2017, video clip Lulù per il gruppo musicale Cacao, Ravenna; 2018, Diario di un Cavaliere” Video Contest myRavenna Be Inspired, Ufficio del Turismo Ravenna; 2019, Costruttori del Passato Ravenna, anteprima video per RavennaMosaico 2019 Biennale del Mosaico Contemporaneo, Ravenna. Il soggetto della mia ricerca pittorica è la natura sia organica che inorganica. In questo tema rientra l’uomo e l’universo in cui vive. Il mondo organico che emerge però, trovandosi in un punto di intersezione, è svincolato dal confine dell’orizzonte. È una natura composta da sezioni, nella roccia e nell’acqua, da micro particelle e da voragini, il microcosmo e il macrocosmo uniti attraverso un punto di vista, una percezione visiva resa da una lente d’ingrandimento o da un allontanamento verticale verso grandi altezze. In queste dimensioni dipingo con i colori della Terra l’organicità della vita, dove il mondo animale, minerale e vegetale si intersecano. Utilizzo un mio alfabeto e una frequenza dal suono senza tempo per scandire i movimenti geologici. Nei miei lavori si esce dalla temporalità contingente del presente e si entra in una dimensione atemporale. Un paesaggio fatto d’infinito attuale in una massa terrestre in continua evoluzione dove controllo le forme e niente è lasciato al caso. La mia potrebbe essere definita una pittura di soglia, mi pongo in mezzo fra realismo e astrattismo. Le immagini nascono per effetto di una generazione spontanea e una respirazione consapevole in seguito a un dialogo fra il mio mondo interiore e la natura esterna, è un incontro fra l’inorganico e l’organico, fra il pensiero e la natura.

Kataprásino Ikópedo 2018 pigmenti in polvere su tela 140x140 cm

Apiroelákhistos 2018 pigmenti in polvere su tela 140x140 cm

2019, pigmenti in polvere su cartoncino, 50x50 cm


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Silvia Vendramel (Treviso, 1972), si diploma presso la Villa Arson di Nizza nel 1996, dal ’97 al 2003 vive a Madrid per poi trasferirsi in Toscana, attualmente vive e lavora a Nizza. Alcune esperienze artistiche sono state la residenza presso il centro EstNordEst in Québec, Canada nel 2005, il Premio NY assegnatole nel 2007 e alcune commissioni realizzate in spazi pubblici e privati ad Hong Kong e Shanghai. Alcune tra le ultime mostre sono state: Premio Lissone 2018, MAC, Museo d’arte contemporanea, Lissone, (Premio Stima); Slittamenti e margini, Galleria Passaggi Arte Contemporanea, Pisa 2018; La dea ignota, concept Gasparelli Arte Contemporanea, Fano, 2018; AAVV Del tempo lineare e del tempo ciclico, a cura di C. Camoni, CAP, Carrara, 2018; One shot, con G. Caravaggio e A. Gianfreda, Villa Contemporanea, Monza, 2017; Lunedi o martedi, residenza con B. Meoni, GAFFdabasso, Milano, 2018; Petit salon, a cura di Fabio Carnaghi, Mars, Milano,2017; Al tempo stesso, Galleria Tekè Tabularasa, Carrara, 2017; Fragile come una scultura solido come un quadro, a cura di Alberto Zanchetta, Villa Contemporanea, Monza, 2016; L’attenzione è tessuto novissimo, a cura di Ilaria Mariotti, Villa Pacchiani, S.Croce sull’Arno (PI), 2016; Neve. Sole. Ti seguo tempo, museo MAGra (PR), 2016; Paper Weight, residenza Dolomiti Contemporanee, Ex Cartiera di Vas (BL), 2015. Paesaggio, è un ponte, un luogo di transito. Riflessi e piccolissimi antri si fanno attraversare come luoghi che nel viaggio scorrono via, in quei luoghi c’è chi agisce e si arrabatta e c’è chi, ormai sospeso nel tempo, é presenza, sorniona e immobile.

Paesaggio, 2019, bronzo, reperti di fusione, pietra e legno, dimensioni ambientali, foto Nicola Belluzzi

PPP #23, 2016, matita su carta, cm 13x20 388

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Luca Zarattini Comacchio, 1984 Si Laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2009. Legato soprattutto al fare artistico, fa della pittura il proprio mezzo principale di espressione e comunicazione. Inesauribilmente curioso, si esprime anche attraverso scultura, installazione, musica. Pittura è stratificazione. Disegno è sedimentazione. Così ho sempre creduto. Sono le 17, oggi è il 3 settembre, martedì. Sono seduto alla scrivania del mio studio. Fuori, la luce rende la metà superiore della facciata della chiesa incandescente. Penso. Davanti a me i miei ultimi dipinti: una natura morta con piante grasse e due lottatori su un tavolo. C’è anche la figura di un cavallo. Queste immagini mi hanno inseguito per tanto tempo! Quello che faccio è frammentare mondi, per poi ricomporli sotto forma di mondi altri. Carte preparate, dipinte e disegnate divengono brandello, sedimento­che incollo sulla tela che poi dipingo. Scompongo, ricompongo. Penso. Tento un nuovo modo di vedere le cose. Una certa dose di casualità è necessaria. È la pittura stessa a parlarmi, indicandomi nuove strade possibili e percorribili. Resto in ascolto. Come un musicista nel cuore di una jam session notturna. Trans. Nell’arte, nuovi modi di vedere significano nuovi modi di sentire, così ha detto David Hockney. Fuori, la chiesa è ora completamente illuminata da una luce artificiale. Penso che nello spazio finito della tela i termini siano ora invertiti. La Pittura diviene sedimentazione, il disegno stratificazione.

Untitled, 2019, tecnica mista su tavola, 70x150 cm (trittico)

La mela di Odessa, 2019, tecnica mista su tela, 150x200 cm

Stanze (Omaggio a Luciano Berio), 2019, tecnica mista su tela, 150x200 cm

Ritratto di mia madre, 2012, carbone su carta da spolvero, 40x29,5 cm 390

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Le precedenti tredici edizioni di Selvatico

1. Sezione fotografia Archives 28 gennaio 12 febbraio 2006 a cura di Massimiliano Fabbri e Paolo Trioschi testi in catalogo di Massimo Pulini e Sabrina Foschini Centro Culturale Il Granaio Fusignano Alex Majoli Palazzo Sforza Cotignola Michele Buda, Daniele Casadio, Guido Guidi, Ettore Malanca

2. Sezione scultura Orangotangotango una mostra animista 8 – 23 aprile 2006 a cura di Massimiliano Fabbri Testi in catalogo di Giovanni Scardovi, Loretta Zaganelli, Cristiano Cavina • Palazzo Sforza Cotignola Francesco Bocchini, Andrea Salvatori, Raniero Bittante • Palazzo Tarlazzi Cotignola Verter Turroni, Erich Turroni, Mattia Vernocchi 392

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eventi speciali Laboratori Scuola Arti e Mestieri Cotignola • mercoledì 12 e giovedì 20 aprile Mattia Vernocchi e Luca Salmistraro ceramica • mercoledì 19 aprile Verter e Erich Turroni vetroresina Visita guidata alla mostra con Massimiliano Fabbri • venerdì 21 aprile ore 21 Performance In Urbe Cesare Baracca • domenica 23 aprile ore 20.30 cortile Palazzo Tarlazzi

3. Sezione disegno Pensiero stupendo 16 dicembre 2006 7 gennaio 2007 a cura di Massimiliano Fabbri e Paolo Trioschi, con la Collaborazione di Gianluca Costantini Testi in catalogo di Loretta Zaganelli, Elettra Stamboulis, Massimiliano Fabbri • Fusignano Il Granaio David Vecchiato • Cotignola Palazzo Sforza Inguine: |||||O, Blu, Allegra Corbo, Gianluca Costantini, Pablo Echaurren, Ericailcane, Angelo Mennillo, Paper Resistance, Emiliano Properzi, Ubq.It, Ilaria Ciardi, Sabrina Foschini, Andrea Ghetti, Nero, Massimo Modula, Cinzia

Ortali, Massimo Ottoni, Giulia Ricci Museo Varoli (Palazzo Sforza 1° Piano) Claudio Ballestracci, Davide Reviati Sala Archeologica (Palazzo Sforza 1° Piano) Lucia Nanni Casa Magnani Mara Cerri Scuola Arti e mestieri Heriz

4. Sezione pittura/fotografia Luoghipersonecose 25 marzo – 15 aprile 2007 a cura di Massimiliano Fabbri e Paolo Trioschi, Testi in catalogo di Aldo Savini, Gian Ruggero Manzoni, Sabrina Foschini, Marinella Bonaffini • Luoghi – Cotignola, Palazzo Sforza Franco Pozzi, Giovanni Lombardini, Federico Guerri, Vittorio D’augusta, Silvano D’ambrosio, Nedo Merendi, Lucia Baldini, Cesare Baracca, Gloria Salvatori, Luca Piovaccari • Persone Lugo, Pescherie della Rocca Andrea Saltini, Roberto Coda Zabetta, Nicola Samorì, Stefania Vecchi, Massimo Pulini, Massimiliano Fabbri, Mauro Santini, Angela Maltoni, Fabiana Guerrini, Piero Dosi


• Cose Fusignano, Museo Civico S.Rocco Chiara Pergola, Jairo Valdati, Paolo Buzzi, Patrizia Piccino, Francesco Manenti, Francesco Izzo, Mauro Bendandi, Giovanni Zaffagnini, Cesare Fabbri, Andrea Guastavino, Alberto Zamboni, Benedetto Di Francesco, Fabio Bardelli Al catalogo è allegato un CD realizzato in collaborazione con Lugocontemporanea e Strade Blu Percorsi nel folk contemporaneo che vede la partecipazione di: Antonio Gramentieri (chitarra), John De Leo (voce), Francobeat (elettronica), Simone Pelliconi (computer), in cui i suoni dei tre musicisti si incontrano con le parole di: Gian Ruggero Manzoni, Sabrina Foschini, Marinella Bonaffini eventi A cura dell’associazione culturale Primola • Sabato 31 Marzo ore 21.30 Cotignola Teatro Binario Proiezione del film Flòr Da Baixa soggetto, regia, fotografia, suono, montaggio e produzione: Mauro Santini. • Mercoledì 4 Aprile ritrovo ore 20.30 Cotignola Palazzo Sforza, visita guidata alla mostra con Massimiliano Fabbri • Domenica 15 Aprile ore 21.30 Cotignola Teatro Binario Concerto Luoghipersonecose Luoghi: Antonio Gramentieri + Gian Ruggero Manzoni Persone: John De Leo + Sabrina Foschini Cose: Francobeat + Marinella Bonaffini + Marco Rebeschi Luoghi+Persone+Cose: Simone Pelliconi

5. Corale, due muse allo specchio 22 dicembre 2007 6 gennaio 2008 a cura di Sabrina Foschini e Massimiliano Fabbri

Palazzo Sforza Cotignola Simone Bergantini, Gilberto Giovagnoli, Matteo Guidi + Andrés Galeano, Beatrice Pasquali, Simone Pellegrini, Anton Roca, Diego Zuelli

Meris Cenni, Ana Hillar, Silvia De Martin, Franco Stanghellini, Alberto Biagetti, Valerio Vasi, Tania Flamigni, Fiorenza Pancino, Amanda Chiarucci, Simone Pelliconi

eventi collaterali A cura dell’associazione culturale Primola • sabato 29 dicembre 2007 ore 17.00 Cotignola Palazzo Sforza, Visita guidata alla mostra con Sabrina Foschini • ore 21.30 Cotignola Teatro Binario Stazione Fs Fluxus di Franco Pozzi La memoria del latte di Lucia Baldini Entrambi i video vedono la collaborazione di Daniele Casadio alla fotografia, Federico Settembrini al montaggio e Simone Pelliconi alle musiche A seguire Simone Pelliconi, (computer) Concerto “In C” di Terry Riley, nella “Versione per dieci clavicembali ben stemperati & beatz” accompagnata da un montaggio video del regista Mauro Santini

eventi collaterali In collaborazione con Associazione Culturale Primola, Associazione Culturale Artincanti, Strade Blu Percorsi nel folk contemporaneo > Sabato 22 marzo ore 21.30 Auditorium Arcangelo Corelli, Fusignano Concerto Nidi: Comaneci Campi di battaglia: Sea Of Cortez Preghiere e sortilegi: Aidoru > Martedì 25 Marzo Ore 20.30 Palazzo Sforza, Cotignola Visita Guidata > Giovedì 27 marzo ore 21.30 Teatro Binario Cotignola Video Nidi: Francesco Borghesi, Lorenzo Casali, Silvia Camporesi Campi di battaglia: Roberto Paci Dalò Preghiere e sortilegi: Sara Guberti, Franco Stanghellini, Silvia De Martin, Monica Petracci, Chiara Lecca > Venerdì 4 Aprile Ore 21.30 Pescherie Della Rocca Lugo Poesia Nidi: Francesca Serragnoli Campi di battaglia: Giovanni Nadiani con Marco Mingarelli (Marimba) e Linde Nadiani (Violino) Preghiere e sortilegi: Vanessa Sorrentino con Francesco Guerri (Violoncello) > Sabato 5 Aprile Ore 16.00 Palazzo Sforza, Cotignola Visita guidata il percorso prevede tre tappe in successione con il critico Alessandro Giovanardi attraverso le sezioni della mostra di Cotignola, Lugo e Fusignano

6. Nidi, campi di battaglia preghiere e sortilegi 15 marzo – 6 aprile 2008 a cura di Massimiliano Fabbri con la collaborazione di Paolo Trioschi e Daniele Serafini, testi in catalogo di Massimiliano Fabbri e Alessandro Giovanardi • Cotignola, Palazzo Sforza: Nidi Maurizio Battaglia, Nadia Trotta, Carlo Cavina, Enzo Castagno, Dacia Manto, Marco De Luca, Silvia Camporesi, Francesco Borghesi, Lorenzo Casali, Oscar Dominguez, Luigi Berardi • Lugo, Pescherie della Rocca: Campi di battaglia Giovanni Blanco, Lorenzo Di Lucido, Laura Baldassari, Monica Pratelli, Mirko Fabbri, Roberto Paci Dalò • Fusignano, Museo Civico S.Rocco: Preghiere e Sortilegi Vanni Spazzoli, Chiara Lecca, Sara Guberti, Loretta Zaganelli, Stefano Mina,

7. Sezione disegno Out of the map segnare intorno 11 ottobre 2 novembre 2008 a cura di Massimiliano Fabbri con la collaborazione di Viola Giacometti atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 393


Testi in catalogo di Massimiliano Fabbri e Viola Giacometti Palazzo Sforza Barbara Ruzziconi, Rita Ravaioli, Samanta Bodard, Babiscia, Georgia Galanti, Anna Visani, Debora Branchi, Clio, Domenico Grenci, Pietro Meletti Museo Varoli Filippo Farneti Sala Archeologica Andrea Tampieri Casa Varoli Massimo Brancaleoni, Luca Rotondi Casa Vassura Gian Ruggero Manzoni, Kry, Michele Ferri, Angelo Monne Chiesa del Suffragio Pietro Lenzini, Pier Giovanni Bubani Scuola Arti e Mestieri Mattia Battistini Casa Magnani Marilena Benini calendario eventi In collaborazione con Associazione culturale Primola > sabato 11 ottobre Cotignola, varie sedi Pomelo, una mostra da indossare > sabato 25 ottobre ore 21.00 Teatro Binario Concerto (con azione pittorica) di Baiafonda Massimo Modula (voce-chitarra-disegno), Dedo Bracconi (sassofono-percussioni), Giacomo De Paoli (percussioni), Ivan Macrelli (chitarra-percussioni varie), Nicolo Fiori (basso acustico) > sabato 25 e mercoledì 29 ottobre Palazzo Sforza Visita guidata alla mostra con Massimiliano Fabbri

Selvatico spore 1 A nera. Una lezione di tenebra 12 dicembre 2010 23 gennaio 2011 A cura di Massimiliano Fabbri Testi in catalogo di Massimiliano Fabbri, Sabrina Foschini, Alessandro Giovanardi, Roberta Bertozzi, Maria Rita Bentini, Eleonora Frattarolo, Serena Simoni, Pier Marco Turchetti, Elettra Stamboulis, Cristina Ventrucci 394

| selvatico [quattordici]

1 > Bagnacavallo [Museo Civico delle Cappuccine] Ombre e fantasmi Mirko Baricchi, Massimiliano Fabbri, Mara Cerri + Magda Guidi, Stefano Ricci, Anke Feuchtenberger, Erich Turroni, Lorenzo di Lucido, Stefano Mina, Laura Baldassari, Gianluca Costantini, Orthographe 2 > Cotignola [Casa e Museo Civico Luigi Varoli] Maschere. Specchi. Immagini Dacia Manto, Franco Pozzi, Nicola Samorì, Cristiano Carloni-Stefano Franceschetti, Daniele Casadio, Alex Majoli 3 > Lugo [Pescherie della Rocca] Mappe e labirinti Carlo Sabiucciu, Mirco Tarsi, Federico Guerri, Simone Pellegrini, Francesco Bocchini, Mattia Vernocchi, David Loom 4 > Fusignano [Museo Civico San Rocco] Cenere. Polvere. Frammenti Massimo Pulini, Nero, Giovanni Blanco, Silvano D’Ambrosio, Graziano Spinosi, Cesare Baracca, Raniero Bittante, Claudio Ballestracci, Monica Pratelli, Maurizio Battaglia Appuntamenti Sabato 15 gennaio 2011 • A nera. Una lezione di tenebra Visita guidata alle quattro sezioni della mostra con Massimiliano Fabbri. Ritrovo ore 15 Bagnacavallo • Caravaggio. Nero d’avorio (monologo in sei stanze) di e con Massimo Pulini Ore 21, Auditorium Arcangelo Corelli Fusignano Sabato 22 gennaio • Guardare la tenebra, ascoltare il nero Ore 15 inizio, ore 18 conclusione dei lavori Teatro Binario Cotignola Un convegno scandito dagli interventi di Sabrina Foschini, Eleonora Frattarolo, Serena Simoni, Alessandro Giovanardi, Roberta Bertozzi, Maria Rita Bentini, Pier Marco Turchetti, Elettra Stamboulis • ¡Thump Flash! fiat ars - pereat mundus Ore 19.30, Convento San Francesco Bagnacavallo. Durata: 30 minuti Installazione performativa a cura di Orthographe in collaborazione con Cesare Fabbri (Osservatorio

Fotografico) e Lord Europa Ideazione e regia: Alessandro Panzavolta, consulente alla fotografia: Cesare Fabbri, dispositivi: Marco Amadori, riprese video: Emiliano Biondelli, Daniele Pezzi

Selvatico spore 2 e bianca. una parola diversa per dire latte 10 dicembre 2012 – 20 gennaio 2013 a cura di Massimiliano Fabbri Testi in catalogo di: Massimiliano Fabbri, Eloisa Gennaro, Massimo Pulini, Eleonora Frattarolo, Ranieri Frattarolo, Francesco Caggio, Alessandro Giovanardi, Sabrina Foschini, Daniele Serafini, Stefano Mazzotti, Elettra Stamboulis, Marco Bertozzi, Roberta Bertozzi, Daniele Torcellini, Gian Ruggero Manzoni, Pier Marco Turchetti, Serena Simoni, Maria Rita Bentini 1 > Bagnacavallo [Museo Civico delle Cappuccine] Sogni e memorie. Immagini da un mondo perduto Michelangelo Setola, Patrizia Piccino, Gloria Salvatori, Mauro Santini, Alberto Zamboni, Jacopo Casadei, Domenico Grenci, Enrico Azzolini, Ettore Frani 2 > Fusignano [Museo Civico San Rocco e Chiesa del Pio Suffragio] Geometrie e altre microscopiche meraviglie della natura e crescita Giovanni Lombardini, Alberto Biagetti, Sabrina Foschini, Ketty Tagliatti, Andrea Kotliarsky, Fiorenza Pancino, Cinzia Ortali, Silvia Chiarini, Giulia Ricci, Caco3, Ana Hillar, Oscar Dominguez 3 > Alfonsine [Museo Della Battaglia Del Senio] Innesti. O dei meccanismi evolutivi degli oggetti Silvia Zagni, Giorgia Severi, Paolo Buzzi, Giuliano Guatta


4 > Cotignola [Museo Civico Luigi Varoli] Archeologie. ossa e conchiglie, fossili e impronte Sergio Policicchio, Giancarlo Scagnolari, Giovanni Ruggiero Verter Turroni, Chiara Lecca, Andrea Guastavino, Lucia Baldini, Silvia De Martin, Franco Stanghellini 5 > Lugo [Pescherie della Rocca e Torre del Soccorso] Esplorazioni e avventure. Vuoti scenari, avamposti artici e deserti Michele Buda, Luca Piovaccari, Silvia Camporesi, Ettore Malanca, Laura Correale Santa Croce, Valentina Perazzini, Giovanna Caimmi, Giovanni Lanzoni 6 > Massa Lombarda [Museo Civico Carlo Venturini e Centro giovani Jyl] Regni bambini Benedetto Di Francesco, Vittorio D’augusta, Andrea Ghetti, Virginia Mori, Octavia Monaco, Fabiana Guerrini, Pomelo, Andrea Salvatori Appuntamenti > Sabato 8 dicembre ore 20.30 Circolo Arci Brainstorm Fusignano Cena e Festa a cura di Associazione Selvatica Dj set Tagadà boys La festa è resa possibile grazie al ricavato di un’asta domestica organizzata nel 2011 a Traversara di Bagnacavallo, in parte devoluto al progetto espositivo > Venerdì 14 dicembre ore 21 Sala del Carmine Massa Lombarda • concerti di Roberto Paci Dalò clarinetto basso, Francesco Guerri violoncello, Antonio Gramentieri chitarra elettrica, Matteo Scaioli sintetizzatori, tamburi giapponesi, Fabio Mina flauti, elettronica • video di 
 Raniero Bittante Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua porta, 2012, 5’8’’; David Loom Thin Ceiling, 2010, 10’; Giulia Ricci Order/Disruption no.1, 2011, 13’42’’; Silvia Camporesi Secondo vento, 2010, 3’54’’ + Sifr. La distanza canonica, 2010, 4’30’’; Mauro Santini Da lontano, 2002, 7’; Roberto Paci Dalò EMN40, 2002, 9’; Carloni-Franceschetti Urbino memoriale,1996, 12’; Mara Cerri Magda Guidi Via Curiel 8, 2011, 10’; Virginia Mori Il gioco del silenzio, 2009, 5’; Dacia Manto Omphalina, 2008, 8’58’’ + Ariel, 2007, 6’31’’; Lucia Baldini La memoria del latte, 2008, 4’36’’;

> Martedì 18 dicembre dalle 20 alle 23 Convento di San Francesco Bagnacavallo • Riccardo Baruzzi Tavolo lungo Seduta-incontro per uno spettatore • Roberto Paci Dalò Atlas of Emotion Stream Film in loop 15’30’’ • Carloni-Franceschetti Servi muti nel silenzio Installazione • Orthographe Volti Azione per camera ottica • Matteo Visconti Salita al bosco Installazione > Sabato 29 dicembre Visita guidata alle mostre con Massimiliano Fabbri. Ritrovo ore 9.30 presso Museo Civico delle Cappuccine Bagnacavallo. A seguire: ore 10.30 Fusignano, ore 11.30 Alfonsine, ore 15 Cotignola, ore 16 Lugo, ore 17 Massa Lombarda > Martedì 8 gennaio Cinema Gulliver Alfonsine • Giuliano Guatta La battaglia del Segno Il fiume come metafora del segno. L’armatura, l’arma, l’obbiettivo. Il disegno come metafora del combattimento. Dalle 17 alle 19.30 laboratorio di ginnica del segno per 15 bambini dai 7 ai 12 anni Dalle 20 alle 21 azione aperta al pubblico • ore 21 proiezione di La Jetée di Chris Marker, 1963, 28’ + M is for Man Music Mozart di Peter Greenaway, 1991, 29’ + Film di Alan Schneider e Samuel Beckett,1964, 17’ > Giovedì 10 gennaio ore 21 Sala Baracca della Rocca Estense Lugo Sabrina Foschini Voce del verbo poesia Antonio Gramentieri solo chitarra elettrica Tra le parole e i suoni un intervallo dedicato al cibo con un assaggio preparato dal cuoco Alessandro Miroballo > Venerdì 11 gennaio dalle 17 alle 18.30 Scuola Arti e Mestieri Cotignola Alessandro Miroballo Tra bianco e nero Disegno di cioccolato con il cuoco Laboratorio per 25 bambini dai 5 ai 10 anni > Sabato 12 gennaio ore 16 Teatro Binario Cotignola Convegno con interventi di Eloisa Gennaro, Massimo Pulini, Eleonora Frattarolo, Ranieri Frattarolo, Alessandro Giovanardi, Sabrina Foschini, Daniele Serafini, Stefano Mazzotti, Elettra Stamboulis, Marco Bertozzi, Roberta Bertozzi, Daniele Torcellini, Gian Ruggero Manzoni, Pier Marco Turchetti, Serena Simoni, Maria Rita Bentini > Domenica 13 gennaio Visita guidata alle sei sezioni della mostra con Massimiliano Fabbri + Bianco variabile pranzo con il cuoco Alessandro Miroballo ore 9.30 partenza dal Museo Civico delle

Cappuccine di Bagnacavallo ore 12.30 pranzo alla Scuola Arti e Mestieri di Cotignola ore 18.30 rientro a Bagnacavallo

Selvatico 3 Una testa che guarda 8 novembre 2014 15 febbraio 2015 • 8 e 9 novembre 2014, Conselice, luoghi vari Allargare lo sguardo: paesaggio di campagna con muro e ritratto Invasione di street art a cura del Collettivo Fx e Associazione culturale Whats • 30 novenbre 2014 – 25 gennaio 2015 Bagnacavallo, Fusignano e Cotignola Il buco dentro agli occhi o il punto dietro la testa a cura di Massimiliano Fabbri Ventotto artisti contemporanei e tre musei, su e intorno al volto, tra disegno e pittura. Bagnacavallo Museo Civico delle Cappuccine Rocco Lombardi, Denis Riva, Giuliano Guatta, Antonella Piroli, Silvia Argiolas, Rudy Cremonini, Matteo Fato, Francesco Bocchini, Nicola Samorì, Franco Pozzi Fusignano Museo Civico San Rocco Massimo Pulini, Domenico Grenci, Erich Turroni, Luca Piovaccari, Verter Turroni, Vittorio D’Augusta, Eldi Veizaj, Silvia Idili, Simone Luschi, Erika Latini Cotignola Museo Civico Luigi Varoli Luca Coser, Lorenzo Di Lucido, Giovanni Blanco, Massimiliano Fabbri, Jacopo Casadei, Martina Roberts, Filippo Tappi, Olivia Marani • 6 dicembre 2014 – 18 gennaio 2015 Fusignano, Il Granaio Tra occhio e mano atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 395


Mostra delle scuole di Arti e Mestieri di Fusignano, Bagnacavallo, Massa Lombarda, Alfonsine e Cotignola, e dalle sezioni didattiche dei musei MAR Ravenna e MIC Faenza Alfonsine, Museo della Battaglia del Senio Elzbieta e i suoi compagni Ritratti e autoritratti delle bambine e dei bambini del mondo nelle opere della collezione PInAC • 8 dicembre 2014 - 6 gennaio 2015 Lugo, Pescherie della Rocca Cacciatori di teste Da alcune importanti collezioni private presenti sul territorio lughese, una grande quadreria che abbraccia il novecento romagnolo, da Varoli a oggi. A cura di Massimiliano Fabbri, con la collaborazione di Daniele Serafini, Aldo Savini e dei collezionisti privati del territorio Valerio Adami, Marco Astorri, Giulio Avveduti, Lucia Baldini, Paolo Barbieri, Mercede Barisani, Giuseppe Bartoli, Cesare Baracca, Riccardo Baruzzi, Vittoriana Benini, Luigi Bergamini, Massimo Brancaleoni, Violetta Branzanti, Remo Brindisi, Ezio Camorani, Giovanni Cappelli, Sauro Cardinali, Roberto Casadio, Felice Casorati, Bruno Ceccobelli, Sandro Chia, Carlo Cicognani, Primo Costa, Dioscoride, Piero Dosi, Massimiliano Fabbri, Tano Festa, Umberto Folli, Giovanni Frangi, Mimmo Germanà, Andrea Ghetti, Gaetano Giangrandi, Alberto Giunchi, Virgilio Guidi, Francesco Izzo, Maurizio Lanzillotta, Bengt Lindstrom, Anna Liverani Barberini, Arialdo Magnani, Piero Manai, Gian Ruggero Manzoni, Anacleto Margotti, Pierina Martelli, Pasquale Martini, Giuseppe Mazzotti, Giorgio Merli, Enzo Morelli, Mattia Moreni, Claudio Neri, Ettore Panighi, Domenico Panighi, 396

| selvatico [quattordici]

Velda Ponti, Franco Pozzi, Esodo Pratelli, Arturo Prins, Massimo Pulini, Giovanni Romagnoli, Giulio Ruffini, Nicola Samorì, Germano Sartelli, Giannetto Savini, Roberto Sella, Olga Settembrini, Vanni Spazzoli, Lorenzo Tornabuoni, Ermanno Toschi, Luigi Varoli, Francesco Verlicchi, Federico Zanzi, Giuseppina Zardi • 23 gennaio – 15 febbraio 2015 Massa Lombarda Chiesa del Carmine Lo scudo di Perseo Fotografia contemporanea a cura di Michele Buda e Daniele Casadio Museo civico Carlo Venturini Arianna Arcara, Michele Buda, Daniele Casadio, Marcello Galvani, Alex Majoli, Gabriele Micalizzi, Bärbel Reinhard, Andy Rocchelli, Alessandro Sala, Luca Santese, Marco Signorini, Marco Vincenzi, Marco Zanella video a cura di Massimiliano Fabbri David Loom, Carloni-Franceschetti, Mauro Santini, Fabrizio Zanuccoli, Claudia Castellucci e Filippo Tappi Centro Culturale Venturini Un volto in forma di rosa Un ritratto di Pier Paolo Pasolini fatto attraverso il suo stesso volto. A cura di Andrea Bruni in collaborazione con Cineteca di Bologna Programma e appuntamenti • Giovedì 11 dicembre Visita guidata e apertura serale delle mostre ore 20.30 Bagnacavallo, ore 21.30 Fusignano, ore 22.30 Cotignola • Sabato 27 dicembre Visita guidata alle tre sedi della mostra ore 15.30 Bagnacavallo, ore 16.30 Fusignano, ore 17.30 Cotignola • Sabato 3 gennaio Visita guidata (speciale) alle tre sedi della mostra ore 15.30 Bagnacavallo, ore 16.30 Fusignano, ore 17.30 Cotignola Tre volti dipinti, due dalla mostra e uno dalle collezioni, scelti e raccontati dai Direttori dei Musei e Assessori alla Cultura, da bibliotecari e presidenti di associazioni culturali del territorio • Domenica 11 gennaio Bagnara di Romagna, Rocca Sforzesca Storie del volto dipinto

Conferenza-lezione a più voci, intorno al ritratto e al volto nell’arte, con gli autori dei testi che compaiono nel catalogo di Selvatico Ore 16.30 – 19 Sabrina Foschini, Claudia Collina, Massimo Pulini, Alessandro Giovanardi, Vittorio D’Augusta, Diego Galizzi, Marco Servadei Morgagni, Massimiliano Fabbri, Andrea Bruni • Domenica 18 Gennaio Visita guidata alle tre sezioni della mostra con Massimiliano Fabbri Partenza da Bagnacavallo ore 15.30 con ritorno alle ore 18.30 circa. Gli spostamenti tra i tre musei saranno effettuati in pullman > Visite guidate alla quadreria con i curatori e i collezionisti • Venerdì 12 dicembre 2014 ore 17.30 con Massimiliano Fabbri • Venerdì 19 dicembre 2014 ore 17.30 con Daniele Serafini Domenica 4 gennaio 2015 ore 17 con Aldo Savini • 20 dicembre 2014, S. Agata sul Santerno, Teatro parrocchiale Io dove sono? Alla ricerca di sè Convegno con il pedagogista e formatore Francesco Caggio e la direttrice di PinAC Elena Pasetti

Mattia Moreni Nicola Samorì La disciplina della carne 4 dicembre 2015 24 gennaio 2016 Museo Civico Luigi Varoli Cotignola FAR Fabbrica Arte Rimini A cura di Massimiliano Fabbri e Massimo Pulini con la collaborazione di Annamaria Bernucci e Giovanni Barberini e un testo critico di Alberto Zanchetta Appuntamenti > Incontri con i collezionisti Scuola Arti e Mestieri Cotignola • Venerdì 18 dicembre 2015 ore 21 Mattia Moreni a Palazzo San Giacomo Un dialogo tra Giovanni Barberini e Roberto Pagnani a partire da letture di documenti inediti provenienti dalla collezione Ghigi Pagnani • Domenica 17 gennaio 2016 ore 18 Ossessione Moreni Le raccolte Penazzi e Righetti raccontate con le


parole dei collezionisti. Introduce Giovanni Barberini > Incontro con l’artista Nicola Samorì Scuola Arti e Mestieri Cotignola • Sabato 9 gennaio 2016 ore 19 Massimiliano Fabbri dialoga con Nicola Samorì intorno alle ragioni della mostra e alla sua pittura e scultura > Visite guidate alla mostra far Fabbrica Arte Rimini • Sabato 12 dicembre 2015 ore 17.30 Con Massimo Pulini, artista, storico dell’arte e Assessore al Comune di Rimini • Sabato 16 gennaio 2016 ore 17.30 Con Massimiliano Fabbri, artista, Museo Varoli Cotignola Museo Varoli Cotignola • Venerdì 18 dicembre 2015 ore 18.30 Con Massimiliano Fabbri • Domenica 17 gennaio 2016 ore 17 Con Massimo Pulini

Selvatico 12 Foresta. Pittura Natura Animale 6 settembre 16 dicembre 2017 A cura di Massimiliano Fabbri con Irene Biolchini, Lorenzo Di Lucido e Massimo Pulini > Forlì, Galleria Marcolini 6.9 - 8.10.2017 Lorenzo di Lucido, Alessandro Finocchiaro, Giulio Catelli, Annalisa Fulvi > Fusignano, Museo civico San Rocco 7.9 - 26. 11.2017 • Comune di Fusignano Cesare Baracca, Lucia Baldini Federica Giulianini, Martina Roberts • Museo civico San Rocco Luca de Angelis, Giulia Dall’Olio, Cesare Baracca, Lucia Baldini • Raccolta targhe devozionali Marina Girardi > Cotignola, Museo civico Luigi Varoli, 30.9 -26.11.2017 • Palazzo Pezzi

Marco Samorè, Silvia Chiarini, Giovanni Lanzoni, Giulio Zanet, Marco Salvetti, Jacopo Casadei, Antonio Bardino, Matteo Nuti Vera Portatadino, Giovanni Blanco, Domenico Grenci, Debora Romei, Marco Andrighetto, Denis Riva • Palazzo Sforza Rudy Cremonini, Alberto Zamboni • Casa Varoli Alessandro Saturno, Massimo Pulini, Vittorio D’Augusta > Faenza MIC Museo Internazionale delle Ceramiche 13.10 - 12.11.2017 Lorenza Boisi > Bagnacavallo Convento di San Francesco 14.10 - 26.11.2017 • Salette garzoniane Mirko Baricchi • Manica lunga Luca Coser, Lorenzo di Lucido • Primo piano Paola Angelini, Enrico Minguzzi, Elena Hamerski, Massimiliano Fabbri, Lorenza Boisi, Luca Caccioni • Sala delle capriate Veronica Azzinari > Rimini Ala nuova del Museo della Città 4.11 – 16.12.2017 Giovanni Frangi Appuntamenti Ramificare lo sguardo + foresta sonica Tre appuntamenti serali dentro alle mostre di Bagnacavallo, Fusignano e Cotignola che si dividono in due momenti: un dialogo tra alcuni degli artisti in mostra dentro alle rispettive sedi e, a seguire, un concerto che sovrappone suoni, echi, riverberi ed effetti alla foresta di segni, nature, alfabeti e immagini di Selvatico. • Sabato 11 novembre, Bagnacavallo [Ex convento di San Francesco] > Ore 18.30 Ramificare lo sguardo Incontro, dialogo e visita alla mostra > Ore 21.30 Foresta sonica Don Antonio + Gionata Costa + Cristian Naldi + Jacopo Casadei Quattro musicisti in solo, distribuiti negli spazi potenti del convento, per una visita serale alla mostra in cui i suoni si incontrano, innestano e sovrappongono al luogo, alle immagini e alle opere presenti. • Giovedì 16 novembre, Fusignano

[Museo civico San Rocco] > Ore 18.30 Ramificare lo sguardo Incontro e dialogo con gli artisti in mostra > Ore 21.30 Foresta sonica Laura Bisceglia Performance per cello elettrico, loop e “affetti” Visita guidata Una visita che svela e racconta la geografia di Selvatico, connettendo i luoghi, gli artisti e il disegno della mostra tutto, con una gita in pullman che collega paesi, sedi e musei coinvolti dal percorso espositivo (con Massimiliano Fabbri). • Domenica 19 novembre sedi varie > Ritrovo ore 9.45 presso Museo civico Luigi Varoli e partenza per l’ex Convento di San Francesco a Bagnacavallo; ore 11.30 circa ci si sposta al Museo civico San Rocco di Fusignano; ore 12.30 pranzo; ore 15 circa Museo della Città di Rimini e, ore 17, ultima tappa al Museo civico Luigi Varoli di Cotignola. (Spostamenti in pullman tra una sede e l’altra.) > ore 21.30 Teatro Binario Cotignola Radici Pierre Bastien, Ingresso gratuito con prenotazione consigliata • Giovedì 23 novembre, Cotignola [Museo civico Luigi Varoli] > Ore 18.30 Scuola Arti e Mestieri Ramificare lo sguardo Incontro e tavola rotonda con alcuni degli autori in mostra > Ore 21.30 Casa-Studio Luigi Varoli Foresta sonica, Duval Timothy Live a cura di Magma SELVATICO BAMBINI > visite guidate (una gita) • Domenica 12 novembre, Selvatico Tour In viaggio dentro al bosco di Selvatico[dodici]/foresta Pittura Natura Animale a cura di Scuola Arti e Mestieri e Associazione Selvatica Cotignola Una vista guidata per bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni con letture ad alta voce e laboratori di disegno e collage che si alternano, avvicendano e affiancano alle opere… alla scoperta degli spazi, degli artisti e delle mostre di Selvatico/Foresta. Programma della giornata: Ritrovo a Cotignola ore 9.45 alla Scuola Arte e Mestieri (via Cairoli 6) e partenza ore 10 per il MIC di Faenza. A seguire: ore 11 partenza per Fusignano Museo Civico S. Rocco; ore 13 pranzo al Ristorante. Ore 15 arrivo a Bagnacavallo al convento di S. Francesco, per spostarsi alle 16 al Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola dove si conclude il viaggio dentro a Selvatico/Foresta. Ore 17 ritrovo per i genitori alla Scuola Arte e Mestieri. Trasporto in pullman tra una sede e l’altra. > Laboratori, Disegnare con le orecchie (per vedere meglio) Sabato 4 novembre, Cotignola Dalle 10 alle 12 Laboratorio di pittura alla Scuola Arte e Mestieri di Cotignola con visita alle mostre e ai atlante dei margini, delle superfici e dei frammenti 397


boschi di Selvatico. Per bambini dai 3 ai 5 anni. Sabato 25 novembre, Cotignola Dalle 16 alle 18 laboratorio di pittura alla Scuola Arte e Mestieri, con visita alle mostre e ai boschi di Selvatico. Per bambini dai 6 ai 12 anni. I laboratori, le visite e le letture ad alta voce sono fatte da Pamela Casadio, Alice Iaquinta, Cecilia Pirazzini

Selvatico 13 Fantasia/Fantasma Pittura tra immaginazione e memoria 11 novembre 2018 31 gennaio 2019 A cura di Massimiliano Fabbri > Fusignano Museo civico San Rocco 11.11.2018 – 20.1.2019 Andrea Chiesi, Daniele Galliano Centro culturale Il Granaio Marta Sesana, Giuliano Sale > Cotignola Museo civico Luigi Varoli 25.11.2018 – 27.1.2019 • Palazzo Sforza Juan Carlos Ceci, Enrico Tealdi, Rosario Vicidomini, Sabrina Casadei, Beatrice Meoni, Julie Rebecca Poulain, Manuel Portioli, Riccardo Cavallini, Silvia Argiolas, Giovanni Manunta Pastorello, Agnese Guido, Andrea Fiorino • Spazio corso Sforza 27 Elisa Filomena, Azadeh Ardalan • Casa studio Luigi Varoli

Francesco Bocchini • Palazzo Pezzi Stefano W. Pasquini, Marco Bettio, Ettore Pinelli, Giorgio Pignotti, Francesco Cuna, Angelo Bellobono, Andrea Grotto, Barbara De Vivi, Benedetto Di Francesco, Giuliano Guatta, Paolo De Biasi, Luca Moscariello, Simone Luschi, Amandine Samyn, Giulio Saverio Rossi > Ravenna VIBRA Spazio contemporaneo di idee 8.12.2018 – 13.1.2019 Gio Pistone, Nicola Alessandrini Appuntamenti > Dicembre • Giovedì 20, ore 21 Museo civico Luigi Varoli Una visita guidata alle quattro sedi che compongono il percorso espositivo della mostra di Cotignola • Sabato 29, ore 15 Una visita guidata che collega le sezioni delle mostra di Fusignano e Cotignola con spostamenti tra una sede e l’altra in pullman (durata 3 ore circa, ritrovo ore 15 presso Museo Varoli). • Domenica 30 Selvatico Bambini Grand Tour Un viaggio dentro alle fantasie e ai fantasmi a cura della Scuola Arti e Mestieri: una vista guidata per bambini e ragazzi dai 6 ai 14 anni tra letture ad alta voce e laboratori di disegno che si alternano, avvicendano e affiancano alle opere, alla scoperta degli spazi, degli artisti e delle mostre di Selvatico (ritrovo a Cotignola ore 10.30; rientro ore 17 sempre all’Arti e Mestieri). > Gennaio • Sabato 5 gennaio, Cotignola dalle 16 alle 19 laboratorio di pittura alla Scuola Arti e Mestieri con visita alle mostre di Selvatico. Per bambini dai 4 ai 10 anni.

• Sabato 12 gennaio, ore 17 Teatro Binario Cotignola Storie dell’arte Un’opera amata scelta da ciascuno dei relatori dallo sterminato atlante della pittura di tutti i tempi, senza indicazioni di sorta se non quella di una certa risonanza con l’idea di fantasmi e fantasie che ha orientato la mappa di questa edizione di Selvatico; dieci relatori provenienti da ambiti e discipline diverse per il racconto di dieci differenti opere. Raffaella Zama – storica dell’arte, Claudio Musso – critico d’arte e curatore, Giovanni Blanco – artista, Giovanni Gardini – storico dell’arte, Jean Talon – scrittore, Consuelo Battiston – attrice, Irene Biolchini – critica d’arte e curatrice, Alessandro Giovanardi – storico dell’arte, Nicola Samorì – artista, Sabrina Foschini – poetessa • Domenica 13, ore 10 Visita guidata con pranzo in trattoria Ritrovo ore 9.45 presso Museo civico Luigi Varoli: la visita collega le sezioni di Ravenna, Fusignano e Cotignola con spostamenti tra una sede e l’altra in pullman (durata 8 ore circa, dalle 10 alle 18). • Sabato 19, ore 17 Museo civico San Rocco Una visita guidata alle due sedi in cui si divide e articola il percorso espositivo della sezione di Fusignano (durata 1 ora e 30 circa) • Sabato 19, ore 22 Auditorium Arcangelo Corelli Fusignano Mara Redeghieri in Recidiva In questo concerto, al canto di Mara Redeghieri (già voce degli Ustmamò) e ai suoni dei cinque musicisti che l’accompagnano, si affiancano i disegni live dei pittori Andrea Chiesi e Daniele Galliano. • Mercoledì 23 ore 21.30 Teatro Binario Cotignola Paolo Benvegnù Duo Una selezione di brani estratti dalla trilogia di dischi del cantautore Paolo Benvegnù Hermann, Heart Hotel, H3+ si incontra con una proiezione che unisce in unico flusso le immagini e le opere di tre edizioni di Selvatico: Una testa che guarda, Foresta, Fantasia/Fantasma. EAN Selvatico2019.pdf

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03/10/19

11:52



€ 20,00 ISBN 9788885449428


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