Manuale d’uso per capire e progettare l’interaction design oggi. Martina Maitan IUAV Università di Venezia, Laurea magistrale in Design, comunicazioni visive e multimediali Gillian Crampton Smith con Philip Tabor
Ho consegnato questo documento per l’appello d’esame del 11 Febbraio 2011 del corso Interaction Design Theory (Teorie dell’interazione) tenuto da Gillian Crampton Smith con Philip Tabor alla Facoltà di Design e Arti, Università Iuav di Venezia. Per tutte le sequenze di parole che ho copiato da altri fonti, ho: a) riprodotte in corsivo, inoltre b) messo virgolette di citazione al loro inizio e fine, inoltre c) indicato, per ogni sequenza, il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Per tutte le immagini che ho copiato da altri fonti, ho indicato: a) l’autore e/o proprietario, inoltre b) il numero della pagina o lo URL del sito web della fonte originale. Dichiaro che tutte le altre sequenze e immagini di questo documento sono state scritte o create esclusivamente da me.
Martina Maitan, 11 Febbraio 2011
ACT! THEN THINK Manuale d’uso per capire e progettare l’interaction design oggi. Martina Maitan IUAV Università di Venezia, Laurea magistrale in Design, comunicazioni visive e multimediali Gillian Crampton Smith con Philip Tabor
Indice
Introduzione
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1. Ambient computing e brainstorming Esempio: “Progetta un intelligent ambient”
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2. Affordance Esempio: “Cattiva/Buona affordance”
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3. Diagrammi e notazioni Esempio: “Progetta una macchina per il caffè”
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4. Modelli concettuali e metafore Esempio: “Una metafora sui tuoi risparmi”
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5. Database Esempio: “Un nuovo servizio di navigazione”
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6. Un occhio all’utente Esempio : “Intervista”
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7. Produzione di prototipi
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Conclusione
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Bibliografia e sitografia
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Introduzione “Act! Then think” è un piccolo testo dedicato a chi, come me, da poco si è avventurato nella dimensione ancora nuova dell’interaction design. Attraverso esempi e semplici spiegazioni questo volume viene presentato come un manuale d’istruzioni per capire il design, e di come possa essere paragonato a un macchina esteticamente molto elementare ma con regole e leggi di funzionamento ben precise. L’interaction design ha origini inaspettatamente molto antiche, gli indiani d’America utilizzavano segnali di fumo per comunicare fra tribù e molti anni dopo vedremo Samuel Morse progettare il primo telegrafo a impulsi elettromagnetici per permettere la trasmissione di messaggi a lunga distanza. Durante i primi anni’90 la forte esplosione della tecnologia informatica si è diffusa in tutti i settori d’interesse contagiando moltissime cose che ci circondano. I nostri oggetti d’uso quotidiano hanno cambiato aspetto e perfezionato le loro funzioni, obbligandoci nell’imparare necessariamente questo nuovo linguaggio. Ora, milioni di persone, attraverso l’invio di messaggi email, l’utilizzo di telefoni cellulari, ascoltando musica o comprando un bene di consumo sono i protagonisti inconsapevoli di questa nuova pratica che è, appunto, l’interaction design. Ma la sua origine non è dovuta solo a uno sviluppo evolutivo ingegneristico ma nasce anche come un’arte che prende origine da diverse discipline più recenti: il product design, il design della comunicazione, la psicologia, l’ergonomia cognitiva e 2
l’architettura; un buon designer deve sapere trarre ispirazione da tutti questi campi d’interesse per la produzione in un ottimo elaborato di design in generale. Come abbiamo visto il principio base che regola ogni interazione è sicuramente quello della relazione: una relazione esiste tra individuo e dispositivo (ad esempio l’uso dell’agenda elettronica), tra due o più individui attraverso un dispositivo (l’uso del telefono cellulare), e anche tra l’individuo e la ricerca di informazioni tramite un dispositivo adatto. L’obbiettivo del designer è quello di progettare o perfezionare oggetti esistenti sapendo che il comportamento dell’oggetto influisce sul comportamento di chi lo utilizza e nell’ambiente nel quale è inserito. Con queste semplici premesse di carattere storico e sociologico, vogliamo cominciare a vedere realmente di cosa è composto l’interaction design e di com’è altrettanto semplice la sua creazione, ricordandoci sempre cosa Don Normann ci dice: -“L’interaction designer rende visibile l’invisibile!” (1)
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da “La caffettiera del masochista” di Don Normann
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“Flyer Cafè” di Luca De Rosso www.lucaderosso.com/expo/flyer-cafe/
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Ambient computing L’intelligent ambient (traduzione letterale: “ambiente intelligente”), inteso come luogo e/o spazio pubblico o privato comprendente elementi elettronici sensibili e attivi alla presenza di persone. Essi sono nati come dispositivi atti ad agevolare ed anticipare le azioni compiute dall’individuo che occupa temporaneamente quello spazio; svolgono semplici comandi come accendere il gas o una luce fino ad azioni molto più complesse che devono fare riferimento a molti più fattori fisici ed emotivi; come ad esempio, l’armadio interattivo che conosce le abitudini del soggetto e si regola in base ai suoi gusti e alla temperature dell’ambiente esterno per la scelta dei capi da indossare. Con lo sviluppo tecnologico i dispositivi diventano sempre più piccoli, completamente connessi e integrati all’ambiente nel quale sono collocati, essi letteralmente “scompaiono” mostrando all’utente solo l’interfaccia.
Prof. William J. Mitchell
L’ambient computing crea da ambienti già esistenti, come il professore di architettura e Media Arti e Scienze del MIT William J. Mitchell scrive che nelle città il reale e il virtuale siano profondamente connessi cambiando la relazione che abbiamo con le città stesse, esse infatti, possono essere divise in tre tipologie: vi è la città visibile e tangibile dove fisicamente è possibile lo scambio di relazioni tra individui; abbiamo la dimensione della città parallela, come i social network online Twitter o le Web-radio community oppure attraverso dei dispositivi adibiti che creano delle speciali connessioni tra individui geograficamente distanti. L’ultimo esempio di città è quella che unisce sia le caratteristiche del mondo reale sia quelle del virtuale, essa mantiene la sua fattezza ed esistenza virtuale ma è strettamente collegata al suo riferimento reale. L’architetto giapponese Arata Isozaki, dal volume “Interaction design” di B. Moggridge, cita “-In tutta la società sono diffusi dispositivi elettronici di innumerevoli generi, trasformando profondamente il suo sistema. Televisione, video registrazione, dispositivi audio tascabili e schermi video giganti, computer compatti, attrezzature di gioco e personal computer, 6
L’architetto Arata Isozaki
hanno da tempo irreversibilmente modificato il nostro modo di vita. Le immagini prodotte da questi sistemi vengono visualizzati sullo schermo, ma sono completamente separate dalle cose reali, le stesse trasformate, modificate e qualitativamente cambiate, spesso in qualcosa di completamente diverso dall’origine. Tale processo può essere manipolato, creando delle convincenti impressioni di simulazione. Il contrasto di tali immagini simulate potrebbero confondere la distinzione tra reale e simulato. Le attività di percezione possono completamente invertirsi, producendo la sensazione che la realtà è solo una parte di un mondo di simulazione.” (2) Con questa citazione capiamo come come la linea tra reale e virtuale sia molto sottile, che in passato, gli utenti siano stati solamente che i destinatari passivi di questa esperienza di interazione. Ora invece, siamo tutti assolutamente protagonisti della nuova pratica tra utente e ambiente, una sorta di scambio consentito, nel quale uno è al servizio dell’altro, interagiscono insieme, uno all’interno dell’altro.
Esempio: “Disegna un ambiente interattivo” “Interaction design” di B. Moggridge, chapter 8, pag 517 (2)
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Per capire meglio cosa si intende per “ambiente interattivo” espongo qui l’esempio incentrato sullo svolgimento di una normalissima giornata a partire dalla sveglia mattutina fino alla fine della prima lezione del lunedì mattina nei locali dell’Università Iuav. L’esercizio da compiere è quello di immaginare che negli ambienti in cui si vive, si studia, si cammina contengano molteplici dispositivi di personalizzazione, agevolazione e anticipazione; disegnarli descrivendo come il nostro comportamento possa essere modificato essendo circondati da utilissimi elementi di intelligenza artificiale.
Argh! la sveglia è sempre terribile!
L’armadio interattivo, che conosce già la temperatura esterna e magari anche il nostro umore mattutino!
Andare in bagno e sfiorare i rubinetti con la giusta temperatura prestabilita (evita molti sprechi di acqua).
Sono in ritardo! L’orologio mi dice di quanto è il mio ritardo e quanto tempo ci metterò a raggiungere la mia meta.
C’è acqua alta! Che strada devo percorrere per raggiungere la mia meta senza bagnarmi i piedi?
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Brainstorming Il brainstorming è quel processo mentale-progettuale, fondato da Bill Moggridge e poi ridefinito e adottato come metodo di lavoro da IDEO, che sta alla base di qualsiasi progetto. Il metodo consiste nel generare un notevole numero di idee in modo veloce, istintivo e senza filtri rispetto a una tematica di ricerca. Il brainstorming ideale avviene quando si lavora e pensa in team (molte teste sono meglio di una), proprio perchè una nuova idea può facilmente crearne un’altra e così via e quindi, anche lo spazio in qui si lavora deve essere adatto nell’avere il problema sempre chiaro e visibile: sono necessari dei muri bianchi per attaccare lo strumento fondamentale che fissa le nostre idee che è il post-it colorato, fogli A3 e pennarelli. Potrebbe sembrare una cosa difficile anche se semplice nella forma, ma alle volte pensare sempre allo stesso “range-argomentativo” può rivelarsi improduttivo, allora il consiglio è quello di cambiare la “prospettiva” del lavoro; cioè non pensare più esattamente al soggetto della ricerca ma al suo opposto o a un argomento affine che inizialmente sembra non centrare nulla. Si sa che le idee migliori vengono da più lontano, proprio quando si sfiora l’inaspettato.
Lezione allo Iuav, Venezia
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Affordance
lo psicologo J.J. Gibson
Il concetto di “affordance” è stato introdotto la prima volta dallo psicologo J.J. Gibson nel 1977 interessato al modo con cui le persone vedono il mondo. Poi sviluppato da D.A. Normann che per “affordances” intende gli inviti che gli oggetti danno circa il loro corretto uso e ciò che nella progettazione il bravo designer deve saper combinare nel modo giusto per dare all’utente la possibilità di utilizzare un oggetto del tutto sconosciuto nella maniera corretta (ad esempio: una sedia autorizza e invita all’appoggiare un determinato peso e il materiale ci informa circa la sua trasportabilità). Affordance sono le caratteristiche fisiche visibili di un oggetto: la sua forma e composizione e come queste ci suggeriscano come noi possiamo interagire con esso. Ci sono cinque regole fondamentali, spiega Normann, che ci aiutano a capire come interfacciarci con l’oggetto che abbiamo davanti e rivolgiamo la nostra attenzione: la visibilità, cioè cosa posso vedere, toccare e sentire dell’oggetto; la caratteristica peculiare, cioè la scelta che l’oggetto implica di fare e solitamente corrisponde alla sua funzione (esempio per un rubinetto: caldo o freddo? Acceso o spento?); la mappatura, che risponde al dove l’oggetto sta (esempio: sopra o sotto?); il feedback, cioè cosa restituisce l’oggetto che mi dà la sicurezza del suo corretto funzionamento (esempio: suoni, luci, vibrazione, colore) e per ultimo l’errore di vincolo, cioè la costrizione che l’oggetto ci obbliga a fare, delle caratteristiche fisiche che la logica ci impedisce di cadere in errore (esempio: la presa tedesca di una spina, l’avvitamento di un tappo). Come Normann scrive nel suo libro “La caffettiera del masochista”,quest’ultima caratteristica comprende tre diverse categorie di vincoli, che possono essere fisici, semantici, culturali e logici. Cerchiamo di approfondirli. Il valore dei vincoli fisici si affida alle proprietà del mondo fisico senza aver bisogno di istruzioni per il loro uso. Essi sono più efficaci se sono facili da vedere e interpretare altrimenti, in caso contrario si cadrebbe
nell’errore e quindi nello svolgere un’azione sbagliata dopo averla tentata (error constraint). I vincoli semantici, continua Normann, sono quelli che si affidano al significato della situazione e alle sole azioni che essa comporta, mentre i vincoli culturali fanno capo a convenzioni universalmente affermate, ad esempio si sa che ciò che è scritto è fatto per essere letto. Nei vincoli logici, invece, interviene appunto la logica che permette di controllare la disposizione sensata tra i componenti dell’oggetto e le funzioni da questi controllate.
Esempio: “Cattiva/Buona affordance” La ricerca che ho intrapreso è stata fatta per mostrare come in alcuni oggetti quotidiani da me analizzati siano il perfetto esempio di buona o cattiva affordance. L’annaffiatoio, la forbice e l’imbuto sono oggetti che immediatamente danno le informazioni necessari per essere usati correttamente: l’acqua esce inclinando leggermente l’annaffiatoio, i buchi circolari della forbici indicano l’esatta impugnatura e la parte larga dell’imbuto ci dice dove il liquido dev’essere versato e da dove esce. Il cavatappi, invece, presenta delle forme molto meno chiare circa il corretto svolgimento dello stappare una bottiglia (a cosa servono le parti mobili? In che modo la vite gira?); non si sa da che parte girare il rubinetto per fare uscire l’acqua calda o fredda, con la Usb Key è facile cadere nell’errore di infilarla dalla parte sbagliata della porta del pc, visto che non ci sono indicazioni su quale sia la sua parte superiore o inferiore e, per noi veneziani, il nuovo sistema di obliterazione dei traghetti e autobus è decisamente un passo indietro rispetto alle normali obliteratrici che stampavano data e orario su un pezzetto di carta.
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Esempio di storyboard
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Diagrammi e notazioni
“Semiologia della grafica” di J. Bertin
dati dati
dati
dati
diagramma di Venn
Un elaborato nella sua fase di progettazione non è mai chiaro, lo si rende tale attraverso elementi universali che chiariscono com’è fatto il progetto, cosa si deve o non si deve fare. Essi danno la possibilità di evidenziare le scelte e le conseguenze delle azioni, il loro contesto d’uso, la qualità dell’esperienza fatta e una cronologia di azioni. Jacques Bertin è stato un cartografo e teorico francese, conosciuto per il suo libro “Semiologie Graphique” (Semiologia della Grafica), edito nel 1967,dove egli illustra il suo enorme lavoro, basato sulla sua esperienza di geografo, rappresentando il primo e più ampio intento di fornire una base teorica alle informazioni di visualizzazione. Normann ci spiega molto bene il principio di mapping con la seguente definizione: “Il mapping è un termine tecnico per indicare la relazione fra due cose, in questo caso fra i comandi e il loro azionamento e i risultati che ne derivano dal mondo esterno”. Le annotazioni in una mappa stradale indicano dove potersi fermare per fare una sosta, su una planimetria indicano lo spessore dei muri e i materiali utilizzati per costruirli, e così via, la mappa della metropolitana indica la distanza (fittizia) tra una fermata e l’altra. Ci sono vari modi di rappresentazione, ognuno dev’essere adatto al progetto che si vuole portare avanti, ognuna ha la sua particolarità: il racconto a parole, ideale per semplici lavori concettuali, può essere impreciso perchè sarà poi l’immaginazione dell’uditore a fare tutto il resto; l’interpretazione dell’idea che comprende gesti, parole, permette la simulazione fisica per intendere in maniera chiara l’interazione (scenette, brevi sketch); attraverso le immagini (fumetti, storyboards) è possibile dare delle informazioni aggiuntive, oltre che alle azioni e alle parole si possono aggiungere i pensieri che giustificano le azioni; la costruzione di diagrammi (immagini completamente astratte) secondo me è la giusta via per avere tutto chiaro in modo ordinato. Oltre che per spiegare una sequenzialità, i vari tipi di diagrammi illustrano informazioni di dati, ognuno con una funzione precisa, Dan Saffer ce li presenta in questo modo:
- il diagramma lineare, utilizzato per mostrare un’azione senza tempo; - il diagramma circolare, quando il processo si ripete in loop; - il diagramma a ragno, fa vedere le connessioni attraverso dei punti, il soggetto della ricerca è al centro e da lui s’irradiano le altre idee/dati che provengono da esso; - il diagramma di Venn utilizza dei cerchi sovrapponibili che mostrano le relazioni tra i dati.
Esempio: “Una originale macchina per il caffè” start NO
la macchina è in funzione? SI inserisco la moneta
NO
ho abbastanza denaro? SI scelgo la quantità di zucchero scelgo la bevanda che desidero aspetto la preparazione
NO
è pronto? sento il suono del bip? SI prelevo la mia bevanda
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Nell’esempio che segue vediamo come effettuare la compilazione un diagramma per stati di transizione sulla sequenza di azioni che bisogna compiere per avere un caffè da un distributore di bevande automatico. Il diagramma che va dall’alto verso il basso dà l’idea del flusso di attività compiute, dalla prima all’ultima e ne permette la visione logica dell’insieme oppure ne fa emergere i difetti, ed inoltre è una rappresentazione veloce che aiuta nel chiarimento quando si devono inserire azioni supplementari.
Modelli concettuali e metafore Un modello concettuale è una struttura che consente all’utente di capire il comportamento del sistema interattivo facendo leva sul modello mentale del sistema, estremamente personale, dell’utente basato ovviamente sull’esperienza e sulle cose già viste. Il funzionamento delle cose viene suggerito dalla loro struttura visibile, dagli inviti (le affordance) e dai suoi vincoli d’uso. Sono due le regole da rispettare per il successo del funzionamento, una sarà merito della bravura del progettista, quello di saper costruire un’immagine di corretto funzionamento del sistema che faccia intuire un modello mentale semplice nella mente dell’utente. Il secondo passo per la riuscita del compito è quello di fornire un buon modello concettuale anche se un oggetto è completamente sconosciuto e non si ha nessuna esperienza nell’usarlo, il modello di sistema semplice dovrebbe far capire immediatamente le funzioni da svolgere senza cadere in errore oppure l’operare meccanicamente fino a che non ci si imbatte in un problema di mancato funzionamento, che causa poi, frustrazione per non sapere risolvere il dilemma e successivo abbandono del compito. MODELLO PROGETTUALE
MODELLO PROGETTUALE
PROGETTISTA
UTENTE
SISTEMA MODELLO PROGETTUALE
Esempio di modello progettuale, Don Normann
”Il modello progettuale è il modello del progettista, il modello dell’utente, invece, è il modello mentale sviluppato attraverso l’interazione con il sistema, l’immagine è il risultato dalla struttura fisica che è stata costruita (con documentazioni, etichette e istruzioni). Il progettista dovrebbe riuscire a trasmettere la stessa sua immagine di sistema all’utente senza però che quest’ultimo abbia le sue stesse conoscenze, e se l’immagine del sistema non rende chiaro e coerente il modello progettuale, l’utente finirà per formarsi un modello mentale sbagliato”. (cit. “La caffettiera del masochista”di Don Normann, pag. 35) Per avere una cosa fatta bisogna prima sapere cosa si vuole realizzare e la struttura dell’azione che porta al successo dell’azione. Noi, sappiamo come l’azione ha in sé due aspetti principali dei quali tenere conto:
l’esecuzione e la valutazione. La caratteristica principale dell‘esecuzione è l’intenzione che culmina con il raggiungimento dello scopo (la finalità), lo un’intenzione di agire in modo da realizzare stesso scopo, tradotto in intenzione, a sua volta si compone di una speuno scopo cifica conseguenza di singole azioni. Le azioni fanno da collegamento tra ciò che vorremmo vedere compiuto e ciò che effettivamente viene svolto attraverso le varie azioni fisiche. (Esempio fatto da D. Normann: voglio avere più luce - muovo il braccio verso l’interruttore - accendo la luce). L’altro aspetto principale, la valutazione dell’azione comprende i tre stati il mondo sopra descritti: l’intenzione, la sequenza d’azione e l’esecuzione, e riflette sulla quantità di sforzo necessario per valutare lo stato fisico del sistema Stadi di esecuzione, di Don iniziale e determinare fino a che punto corrisponda alle aspettative nella Normann sua fase finale. In poche parole si valuta se e in che modo l’azione si è svolta. scopi
scopi
valutazione delle interptretazioni in confronto alle aspettative precedenti
interpretazione della percezione secondo le nostre aspettative
Normann circoscrive queste due complesse definizioni, esecuzione e valutazione, in semplici figure cicliche che chiama “Stadi di esecuzione” e “Stadi di valutazione”.
Per evitare problemi nel mancato svolgimento di una di queste azioni devo assolutamente sempre avere la visibilità sullo stato, cioè cosa sta facendo il sistema e in che tempi (esempio la barra di avanzamento o caricamento il mondo nel nostro sistema operativo); un buon sistema concettuale/diagramma Stadi di valutazione di Don di flusso che mostra le azioni in causa-effetto; una buona mappatura del Normann sistema cioè avere la consapevolezza della relazione tra i comandi, il loro azionamento e i risultati che ne derivano e devo avere un feedback che mi certifica il risultato delle mie azioni. percezione dello stato del mondo
La Metafora
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L’utilizzo di una figura retorica utilizzata in ambito letterario come la metafora rende bene l’idea di come essa possa essere considerata nella progettazione di un manufatto di design come un modello concettuale alternativo. Semplicemente spiega il non conosciuto con termini e figure familiari
all’utente. Il migliore esempio per rendere l’idea lo possiamo fare con l’invenzione del Desktop del sistema operativo Macintosh, dal volume “Design Interaction” di Bill Moggridge che ci racconta come Tim Mott ha avuto l’idea di trasformare la facciata della macchina in un sistema che lavori come “un ufficio”, nel quale si possono archiviare i documenti in cartelle e gettarli nel cestino. Poi con la collaborazione nello sviluppo del desktop con Bill Atkinson si inclusero anche le finestre di dialogo, il menu a discesa e il mouse a un tasto.
Esempio: “Una metafora sui tuoi risparmi ” Per comprendere meglio l’idea di metafora usata per spiegare la complessità di un sistema, vediamo come l’esempio sotto stante mostri come la ciclicità di un elemento casalingo come il frigorifero (un oggetto con una funzione conosciuta da tutti), il riempimento di alimenti e la consumazione di questi ultimi sia un chiaro esempio di rappresentazione di un continuo meccanismo di causa-effetto di un piccolo sistema finanziario privato.
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Database Un database è un sistema complesso di numerosi dati che fornisce punti di vista diversi per soddisfare le varie esigenze e informazioni dinamiche di interazione multi-sensoriale. Per comporre un dataset è necessario e molto utile porsi alcune domande: che cosa vuole sapere l’utente? Per quale motivo? Che informazioni è possibile apprendere e in che modo possono essere strutturate? Oltre agli esempi presentati qui sopra, vediamo delle strutture di raccolta dati più comunemente visti; come le carte geografiche cartacee, le mappe con riconoscimento “posizionale” (esempio per Google Maps), quelle topografiche, le strutture ad albero e le timeline. Prendiamo ad esempio delle bellissime e piacevoli strutture fatte con delle tecniche dinamiche presenti sul web, si può scegliere se cercare un dato particolare, nascondere un dettaglio che non interessa e avere un filtraggio dinamico delle informazioni di modo da personalizzarselo.
filtro informazioni trraverso il colore e la dimensione dei dati www.smartmoney.com/mapof-the-market/
zoom sul dato in dettaglio www.sfmoma.org/projects/ artscope/index.html
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Esempio: “Un nuovo servizio di navigazione” Per mettere in pratica le regole e i modi di archiviazione e presentazione dei vari database, l’esercizio che viene proposto è quello di creare un sistema statico e uno dinamico avendo a disposizione una quantità di dati da visualizzare ben precisa e modificabile a seconda dell’esigenza dell’utente; tutto ciò utilizzando le informazioni fornite dal sistema di navigazione veneziano Actv. tabella statica
visualizzazione dinamica
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visualizzazione dinamica
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Un occhio all’utente L’utente è il destinatario numero uno del nostro progetto e ciò che un designer deve progettare non è che un soddisfare il bisogno o una sua mancanza. Prima di tutto alla base c’è una ricerca. Questa volta la ricerca sarà rivolta al capire esattamente di cosa l’utente necessità e cosa invece già possiede. Dan Saffer ha raccolto tre metodi principali per svolgere un rapporto che abbia dei risultati utilizzabili: - l’osservazione di cosa la persona in oggetto sta facendo, senza essere visti, con un occhio esterno alla cosa per non influenzare la sua routine; - tramite un intervista si vedono le risposte del soggetto a domande specifiche; - la tecnica dell’ “unfocus group” (ideata da IDEO) consiste nell’unire un gruppo di utenti selezionati che hanno degli interessi in comune, per parlare e discutere di un determinato prodotto; - i “role plying” invece sono dei giochi di ruolo inseriti in situazioni e ambienti diversi che fanno emergere le emozioni e le attitudini del soggetto; - “Intervista estrema” (metodo IDEO) consiste nel mettere in gioco un soggetto che assolutamente non possiede l’oggetto che invece il designer deve progettare, in questo modo emergono problematiche ed esigenze inaspettate! - per capire se un particolare soggetto è ordinato fisicamente e mentalmente o usa un particolare sistema di catalogazione, si cerca di fare un analisi dei suoi affetti personali come l’interno della sua borsa, del desktop, ecc..
Personas Per “personas” (in latino “persona” = personaggio in una commedia, in inglese “persona” = immagine pubblica di una persona, una sorta di “maschera” opposta alla sua realtà interiore) definiamo la creazione di un “archetipo” di utente, un personaggio fittizio basato sulle caratteristiche di più persone reali; la s’inventa per riuscire a soddisfare esigenze particolari
di utenti ben precisi, come una casalinga, un pensionato, un neonato... Essa ha un volto, un nome, un’età, una professione e delle caratteristiche comportamentali e abitudinarie precise, date da un “campione” di tutti i dati delle persone che sono state intervistate e catalogate.
Esempio: “Intervista” Nell’esempio che segue possiamo leggere degli estratti di un intervista fatta a un giornalista che per lavoro deve compiere molti viaggi all’estero. Un designer deve soffermarsi sulle risposte che danno informazioni rispetto la ricerca che sta facendo (in questo caso la progettazione di un nuovo dispositivo di scrittura veloce e archiviazione dati), ma stando comunque attento alla particolarità estetiche e abitudinarie dell’individuo che ha davanti. Mi piace conoscere le persone che mi circondano, solitamente ci sono sempre delle storie, trascorsi e passati interessanti da scoprire.
Mi è capitato di incontrare uomini e donne, ascoltarli parlare e poi precipitarmi a scrivere, prendere appunti per fissare le caratteristiche del nuovo personaggio ispirato.
Sono molto affascinato dall’atmosfera che circonda il mio lavoro e che soprattutto caratterizzava il mio lavoro in passato.
E se ci fosse un qualcosa pieno di carattere come la mia vecchia moleskine e la mia penna connessi insieme? Vorrei un dispositivo dove posso scrivere, schizzare, prendere appunti come facevo una volta.
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Mi piacerebbe avere un dispositivo unico con cui scrivere, parlare a casa con i parenti, utilizzabile in ogni momento e con facilità, capace di adattarsi alle situazioni.
Che sogno sarebbe scrivere su un foglio simile alla “carta” ma che i dati venissero registrati digitalmente. Insomma una tecnologia più umana e affascinante!
Produzione di prototipi La creazione concreta di un prototipo è la parte finale di un progetto, che ha prima soddisfatto tutte le fasi precedentemente descritte in ogni capitolo, serve per vedere in maniera concreta l’idea sviluppata e sicuramente aiutare il cliente che ha difficoltà nel focalizzare il progetto finchè non lo vedrà fisicamente. La cosa più importante è che il prototipo comunica “questo è quello che dovrà essere”, e si propone di dipanare tutti i dubbi sulla caratteristiche del prodotto finale o servizio. Esistono tre tipi di prototipo: quello su carta, che è veloce per dimostrare subito la propria idea e l’utilizzo di più fogli (uno storyboard) dà l’idea di un’azione continuativa; il prototipo digitale ha una funzionalità limitata, gli utenti possono “cliccare” attraverso l’immagine a video e la cosa è facilmente distribuibile via web per essere testato dai vari utenti. Il prototipo fisico, invece, è un prodotto “Quick&Dirty” (veloce e grezzo) perfettamente capibile se inserito in un contesto e scenario, infatti gli spazi fisici possono materialmente ricreare ciò che gli utenti possono aspettarsi. Il prototipo può essere fatto anche direttamente con gli stessi materiale dei quali sarà fatto l’originale, così il compratore/cliente conoscerà già il prezzo nella produzione del manufatto. In “Interaction Design”, Moggridge ci presenta un ulteriore metodo di suddivisione fatto da Marion Buchenau e Jane Fulton Suri, in “Experience Prototyping” inserito in “Proceedings of Designing Interactive Systems” (NY: ACM press, 2000), dove dividono le tecniche di prototipo in tre categorie: la prima è che la realizzazione del prototipo ci aiuta per capire il suo contesto d’uso con l’utente, ci aiuta ad esplorare e valutare ogni idea di design se sia fattibile o meno e ci aiuta a comunicare chiaramente le suddette ad un pubblico o cliente. Semplici regole che in poche parole possiamo riassumere affermando che il prototipo è fatto per: esplorare (il ruolo dell’oggetto nel quotidiano, l’esperienza nel suo uso, e le azioni per il quale è stato pensato); testare
(essere provato per certificare eventuali anomalie) e dimostrare (una dimostrazione virtuale per provare il funzionamento dell’oggetto come software).
composizione dello storyboard
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creazione del prototipo “Quick&Dirty� (con cartone, fogli, scotch e pennarelli)
Conclusioni Gli accorgimenti sono finiti, basta regole e imposizioni! Design vuol dire fantasia, creatività, innovazione e sicuramente buon senso! Applichiamo le letture fatte attraverso questo semplice manuale per acquisire un iter progettuale competente e all’avanguardia, non solo nel campo dell’interaction design ma nel progettare qualsiasi cosa. L’interazione tra dispositivi a livello interattivo può toccare i più diversi campi non solo scientifici e tecnologici ma anche artistici e culturali. Oltre che l’invenzione o perfezione di dispositivi mobili esistenti atti all’agevolazione delle nostre attività quotidiane, l’interaction design può benissimo essere presente nelle nostre vite come installazioni museali, protagonista di performance di danza e teatro, installazione d’arti contemporanee, e così via.. non ce ne accorgiamo, ma lentamente ci stiamo circondando di oggetti, sensazioni e ambienti che ci forniscono di una risposta appropriata a domande che ci stiamo abituando a non porci nemmeno più, tanto la comodità e la piccola rivoluzione delle nostre vite all’avanzare dell’interaction design.
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Bibliografia Bill Moggridge, “Designing interactions”, Cambridge MA: MIT Press, 2006 Donald A. Norman, “La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani”, Firenze: Giunti, 2009 Dan Saffer, “Design dell’interazione. Creare applicazioni intelligenti e dispositivi ingegnosi con l’interaction design”, Milano: Pearson Education, 2009 Steve Krug, “Don’t make me think. Un approcio di buon senso all’usabilità web”, Milano: Tecniche Nuove, 2006
Sitografia protagonisti: www.lucaderosso.com/expo/flyer-cafe http://en.wikipedia.org/wiki/James_J._Gibson http://web.media.mit.edu/~wjm/ per la ricerca dei diagrammi: www.modelmakertools.com/modelmaker per la ricerca dei database: www.disaster-timeline.com/docs/DTL07-Apr15-revised-secure.pdf www.smartmoney.com/map-of-the-market/ www.studioazzurro.com
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Colophon Titoli capitoli: Tinos, 36 pt e Tinos, 18 pt Testo principale: Tinos, 12 pt Didascalie: Tinos 10, 8 pt Software: Adobe Photoshop CS4 Adobe InDesign CS4, Adobe Illustrator CS4 Carta copertina: Patinata opaca Symbol, 150 gr Carta interna: Patinata opaca, 100 gr
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