La fotografia s'industria - Photography meets industry | 2013-2014

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LA FOTO LA FOTO GRAFIA GRAFIA S’INDUSTRIA S’INDUSTRIA PHOTO PHOTO GRAPHY GRAPHY MEETS MEETS INDUSTRY INDUSTRY

2013–20142013–2014



LA FOTO GRAFIA S’INDUSTRIA PHOTO GRAPHY MEETS INDUSTRY

2013–2014


Mostra / exhibition

catalogo / catalogue

finalisti concorso gd4photoart / gd4photoart coMpetition finalists

la fotografia s’industria / photography Meets industry

MAST. ViA SperAnzA, 42 BOLOGnA 3 OTTOBre 2015 – 10 GennAiO 2016 OcTOBer 3, 2015 – JAnuAry 10, 2016

curatore Mostra / exhibition curator urS STAheL identità visiva / visual identity TASSinAri/VeTTA allestiMento / scenography urS STAheL produzione della Mostra / exhibition production urS STAheL Con / with MArc rOiG BLeSA, rOGier DeLfOS, rAphAëL DALLApOrTA, MADhuBAn MiTrA, MAnAS BhATTAchAryA, ÓScAr MOnzÓn realizzazione della Mostra / exhibition set-up urS STAheL Con / with MichAeL LiO, herBerT WeBer e Con / And with MAuriziO MArineLLi

© gli artisti per le opere / the artists for the works © gli autori per i testi / the authors for the texts © 2015 by fondazione Mast, bologna e / and Mondadori electa spa, Milano tutti i diritti riservati / all rights reserved

a cura di / edited by urS STAheL testi / texts iSABeLLA SeràGnOLi, urS STAheL, LArS WiLLuMeiT, frAnciS hODGSOn, DeVikA DAuLeT-SinGh, JOAn fOnTcuBerTA traduzioni / translations nTL design TASSinAri/VeTTA coordinaMento editoriale / editorial coordination GiOVAnnA creSpi redazione / editing feDericA TOMMASi

l’editore ringrazia fondazione Mast per aver fornito il Materiali iconografici di questo voluMe autorizzandone la pubblicazione / the publisher would like to thank Mast foudation for supplying the illustrations and authorizing their publication

il concorso gd4photoart è proMosso dalla fondazione Mast. la Mostra delle opere dei finalisti fa parte della biennale 2015 di foto/industria proMossa, organizzata e prodotta dalla fondazione Mast / the gd4photoart contest is proMoted by the Mast foundation. the exhibition of the works of the finalists is part of the 2015 foto/industria biennial proMoted, organized and produced by the Mast foundation.


LA FOTO GRAFIA S’INDUSTRIA PHOTO GRAPHY MEETS INDUSTRY

2013–2014



SOMMARIO CONTENTS

–6

–57

isabella seràgnoli

Óscar Monzón

–11

–82

urs stahel

giuria Jury

–17

–84

gd4photoart

Marc roig blesa

–31

raphaël dallaporta

–39

Madhuban Mitra & Manas bhattacharya

partecipanti participants

–89

vincitori precedenti past winners

–90

biografie biographies


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dita pepe, lea crespi, rob honstra nel 2007 sono stati i finalisti e anche i vincitori della prima edizione del concorso che si proponeva con l’intenzione sia di sostenere i giovani artisti, sia di iniziare attraverso la promozione e l’acquisizione delle opere dei partecipanti una collezione di fotografie sul lavoro destinate a occupare le pareti di uno spazio espositivo all’interno del centro polifunzionale in costruzione accanto alla fabbrica g.d. a quell’epoca molteplici erano i progetti che si pensava di realizzare assieme al curatore urs stahel. la raccolta di cui gli era stata affidata la curatela, assumendo la vocazione culturale di documentare il mondo del lavoro dal novecento alla contemporaneità, ha iniziato ad arricchirsi da un lato di immagini di grandi nomi che avevano ripreso momenti fondamentali della evoluzione del sistema produttivo e dall’altro di fotografi con importante esperienza documentaria. accanto ai giovani si affiancavano maestri dell’immagine e il “corpus” cresceva… parallelamente si continuava a essere “attivatori” di nuovi artisti affinché potessero aprire ed esprimere il loro occhio sul mondo del lavoro. olivia gay, che con le immagini delle merlettaie di calais si è aggiudicata la seconda edizione, andrea stultiens con il suo lavoro in uganda e txema salvans che fotografa i luoghi attorno alle fabbriche, vincitori ex aequo della terza edizione, hanno aperto il concorso a una visione più internazionale che ritroviamo nelle immagini dei quattro finalisti dell’ultima produzione concorsuale. la fondazione Mast da due anni opera sul territorio con un’ampia prospettiva culturale per mobilitare l’atten-


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zione collettiva a una migliore qualità di welfare e di servizi per le imprese e la comunità. con questo obiettivo ha posto l’enfasi sulla dimensione documentaria e artistica della fotografia che racconta il “lavorare” nelle sue molteplici espressioni. per la prima volta dalla sua apertura la photogallery del Mast dedica i suoi spazi per allestire una esposizione che valorizzi, racconti, renda fruibile e accessibile per il pubblico lo sguardo delle nuove generazioni di artisti verso il mondo del lavoro e li celebra, durante la biennale di fotografia industriale 015, in una rassegna articolata e vasta che narra la loro creatività, con workshop, incontri e sound artist che fanno da sottofondo alle mostre. è necessaria una reinterpretazione della fotografia industriale? interrogarsi sul suo futuro è anche uno dei nostri obiettivi.

isabella seràgnoli


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in 2007, dita pepe, lea crespi, and rob honstra were the finalists and winners of the first edition of the competition that presented itself with the aim not only of supporting young artists, but also, by promoting and buying the works of competing participants, of starting a collection of photographs based on labour that would be set up on the walls of an exhibition space inside a new multifunction centre under construction alongside the g.d plant. at the time, a large number of projects were considered with the curator, urs stahel. the collection assigned to his curatorship had the cultural vocation to document the working world from 1900 through to the present day. it was gradually expanded and enhanced with works by big names who had captured fundamental moments in the evolution of industrial production, as well as by artists with wide experience in documentary photography. alongside the young photographers were some of the century’s masters and the “corpus” of the collection continued to grow… at the same time, the foundation proceeded in “activating” new artists, encouraging them to expand and express their views on the working world. the winner of the second edition was olivia gay, with her photos of the lace-makers of calais. andrea stultiens with his work on uganda, and txema salvans, who shot photos of areas around industrial plants, shared first place for the third edition opening up the competition towards a more international vision, which we rediscover in the images by the four finalists of the latest award production. for the past two years, the Mast foundation has been


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operating on the territory with a wide cultural programme to mobilise the public’s attention on improved quality in welfare and services for local industry and the community. with this objective, it has placed a strong focus on the documentary and artistic aspect of photography that narrates the multiple facets of labour. for the first time since its inauguration, the Mast photogallery has decided to open its spaces for an exhibition that promotes, narrates, and makes accessible to the public, an insight into the new generation of photographers and their view on the working world. this will be celebrated during the industrial photography biennial 2015, in a vast and eclectic exhibition that will showcase the artists’ creativity with workshops, meetings and background music created by sound artists. is a new interpretation of industrial photography necessary? one of our objectives is to inquire into its future.

isabella serĂ gnoli



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GD4PHOTOART 2013–2014 urs stahel

gd4photoart è una selezione biennale di giovani fotografi che ha lo scopo di documentare e sostenere l’attività di ricerca sull’immagine dell’industria, la trasformazione che essa induce nella società e nel territorio, il ruolo del lavoro per lo sviluppo economico e produttivo. indetto nel 2007, a partire dal 2013 il concorso è entrato a far parte di un progetto più ampio che si sviluppa all’interno di Mast (Manifattura di arti, sperimentazione e tecnologia), il complesso innovativo adiacente alla storica fabbrica di g.d e alla sede centrale del gruppo coesia a bologna che offre vari servizi ai collaboratori e alla comunità. le attività di Mast sono coordinate da un

ente non profit, la fondazione Mast che dal 2013 promuove il concorso assieme a g.d. dal 2007 a oggi, gd4photoart ha contribuito alla creazione di una raccolta fotografica di artisti contemporanei che rientrano in una collezione più articolata e storica di immagini sull’industria e sul lavoro. tutte le attività legate alla collezione hanno ora sede nello spazio dedicato a questo tema nella gallery del Mast, dove vengono organizzate mostre nel corso dell’anno. nell’ambito di tale specifico e originale progetto, il concorso rappresenta un’occasione per sostenere i giovani fotografi che intendono confrontarsi con l’odierna realtà sociale. in questo contesto, la

fondazione Mast promuove inoltre foto/industria, la prima biennale al mondo di fotografia industriale, sotto la direzione artistica di françois hébel. da venti, trent’anni, l’industria europea è chiamata ad affrontare una fase di profondo cambiamento che non interessa solo le imprese, ma la società nel suo complesso e noi tutti, ogni singolo individuo. la produzione viene esternalizzata, gli impianti dislocati in paesi lontani, esponendo la società al rischio di perdere in tal modo anche il know how maturato nel corso dei secoli e le strutture collettive e decisionali tipiche delle nostre realtà lavorative. attraverso il confronto con i lavori fotografici sul mondo


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del lavoro, la fondazione Mast – con la sua photo gallery, la collezione fotografica, il concorso gd4photoart e la biennale foto/ industria – mira a promuovere una maggiore comprensione delle realtà sociali ed economiche, a dare forza all’innovazione e a sostenere il senso di responsabilità individuale e collettivo. le modalità di partecipazione al concorso prevedono che i fotografi, di età non superiore a quarant'anni, vengano proposti da segnalatori internazionali del settore. i candidati vengono invitati a partecipare presentando un progetto e il proprio portfolio. la giuria seleziona quattro finalisti, ognuno dei quali riceve una borsa di studio per realizzare il programma di lavoro previsto. prima dell'inaugurazione della mostra, la giuria si riunisce nuovamente per valutare le opere e decretare il vincitore del concorso, che riceve un ulteriore premio. per la shortlist della quarta edizione di gd4photoart sono stati selezionati: Marc roig blesa, raphaël dallaporta, Madhuban Mitra e Manas bhattacharya, Óscar Monzón. il vincitore verrà nominato in occasione della biennale foto/industria 2015. la giuria dell’edizione 2013-14 di gd4photoart è formata da: isabella seràgnoli (presidente di g.d e della fondazione Mast), quentin bajac (MoMa - the Museum

of Modern art, new york), giovanna calvenzi (giornalista, periodici san paolo, Milano), giuseppe ciorra (Maxxi architettura), daniela facchinato (fotografa), laura gasparini (fototeca panizzi, reggio emilia), françois hébel (direttore artistico di foto/industria), Michael hoppen (gallerista, Michael hoppen gallery, londra), piero orlandi (istituto per i beni culturali della regione emilia-romagna), urs stahel (curatore della collezione fotografica della fondazione Mast), roberta valtorta (Museo di fotografia contemporanea di cinisello balsamo, Milano). gd4photoart is a biennial selection of young photographers that aims to document and support image research activities related to industry, the transformations it can effect on society and on the environment and the role of human labour in economic and productive development. created in 2007, since 2013 the gd4photoart competition has become part of a far greater project which is being developed within the context of Mast (arts, experience and technology), the innovative multifunction complex adjacent to the historic g.d plant and the headquarters of the coesia group in bologna that offers a range of services to company employees and

to the local community. the activities promoted by Mast are coordinated by a non-profit institution, the Mast foundation, which has been organising the competition together with g.d starting from 2013. since 2007, the gd4photoart contest has contributed towards creating a photography collection of young contemporary artists which is part of a more complex and historicallybased collection of images on industry and labour. all activities connected with the collection are now headquartered in a space dedicated to this topic within the Mast gallery, where exhibitions are set up throughout the year. within this specific and original project, the competition encourages young photographers who wish to explore modern society. in this context, Mast foundation also promotes foto/industria, the first biennial in the world dedicated to industrial photography, under the artistic direction of françois hébel. in the last two or three decades, industry in europe has undergone a huge change. it has taken hold of companies, society as a whole and every individual. production plants are being moved to far away countries, meaning that we run the risk of also losing the expertise and community and decisionmaking structures that our


13 societies have developed over centuries. the Mast foundation – with its photo gallery, the photo collection, the gd4photoart contest and the foto/industria biennial – wishes, by way of confrontation with photographs of the world of work, to promote the understanding of collective and economic systems, the power of innovation and a sense of individual and social responsibility. the competition procedures require that the photographers, under forty years of age, are proposed by international experts in the field. candidates are invited to participate by presenting a project and their portfolio. the jury selects four photographers for the shortlist, who receive a grant to carry out the plan they have submitted. before the opening of the exhibition the jury convenes again to evaluate the works and appoint the winner, who receives a further prize. the artists shortlisted for the fourth edition of the competition are: Marc roig blesa, raphaël dallaporta, Madhuban Mitra & Manas bhattacharya, and Óscar Monzón. the winner will be nominated on the occasion of the 2015 foto/industria biennial. the jury of the 2013-2014 gd4photoart award consists of: isabella seràgnoli (president of g.d and of the Mast foundation),

quentin bajac (MoMa - the Museum of Modern art, new york), giovanna calvenzi (Journalist, periodici san paolo, Milan), giuseppe ciorra (Maxxi architecture), daniela facchinato (photographer), laura gasparini (panizzi photographic library, reggio emilia), françois hébel (artistic director, foto/industria), Michael hoppen (gallery owner, Michael hoppen gallery, london), piero orlandi (institute for cultural heritage of the emilia romagna region), urs stahel (curator, Mast foundation photo collection), roberta valtorta (contemporary photography Museum, cinisello balsamo, Milan).





MARC ROIG BLESA


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MARC ROIG BLESA lars willuMeit

sin dai suoi albori, la fotografia, oltre che nell’arte e nella scienza, ha svolto un ruolo di primo piano nelle battaglie socio-politiche, documentando circostanze ed eventi. nella sua accezione umanista, la fotografia ha spesso avuto la forza di imporre la riforma sociale dall’alto, per mano di un attore privilegiato come il fotografo lewis hine, anziché dal basso, come risultato di resistenza e rivolta. comunque sia, le ultime ricerche sui movimenti di fotografia operaia, un capitolo esplorato solo di recente nella storia della fotografia, hanno chiaramente dimostrato che all’inizio del xx secolo esistevano già prassi alter-

native e subalterne in ambito non solo europeo. il tema della fotografia in relazione al lavoro, alla sua visibilità/invisibilità e all’urgenza di trovare forme contemporanee di attivismo visivo in epoca postfordista è centrale nella prassi artistica di werker Magazine, un collettivo composto dagli artisti Marc roig blesa e rogier delfos (in olandese werker significa lavoratore). la loro radicale pratica fotografica, basata su l’autorappresentazione, la pubblicazione in proprio e la critica dell’immagine, si ispira, senza alcuna coloritura nostalgica, ai movimenti internazionali di fotografia operaia degli anni venti e trenta del novecento. werker Magazine sviluppa ed

esplora strategie di interazione e collaborazione volte a creare e a diffondere prassi collettive autonome di autorappresentazione in vari paesi (attualmente è in preparazione una serie di workshop in spagna, francia e Marocco), rivolta a diversi network istituzionali e a tutti i livelli sociali. il progetto Werker 10 - Community Darkroom è formulato per adattarsi alle specificità del contesto sociale e linguistico in cui si concretizza e si articola in tre parti: 1) 10 Minutes photography course, 2) library, 3) the eye of the worker (corso di fotografia in 10 minuti, biblioteca, l’occhio/l’obiettivo fotografico del lavoratore). il progetto crea una


Marc roig blesa situazione nella quale lo spazio espositivo, da luogo di contemplazione, si trasforma in uno spazio pedagogico in cui viene a comporsi una sorta di costellazione collaborativa che permette allo spettatore, solitamente passivo nel white cube della galleria d’arte, di assumere un ruolo attivo nei processi di produzione dell’immagine, oltre che nel re-editing e nell’analisi critica degli scatti quale forma di apprendimento collettivo. in questo caso il tema del workshop è la nozione di “lavoro invisibile” nel senso che, prima del workshop, esso funge da principio guida per i partecipanti al fine di creare le proprie fotografie di “lavori invisibili”, come potrebbero essere i lavori domestici, un lavoro informale, un'attività di volontariato, di cura o di riproduzione. Ma fungerà anche da strumento di pensiero per il processo collettivo di editing e di impaginazione durante il workshop. since its early days, photography has been used not only in art and science but also enlisted in socio-political struggles in order to document circumstances and events. this photography with a humanist slant often had the impetus of bringing social reform from above, by privileged actors such as the photographer lewis hine,

19 rather than resistance and revolt from below. however recent research into worker photography movements, an until recently hidden chapter in the history of photography, has demonstrated clearly for the early twentieth century that alternative subaltern photographic practices existed widely across europe and beyond. the theme of photography in relation to labour and visibility/invisibility and on how to find contemporary forms of visual activism in the post-fordist era is at the centre of the artistic practice of werker Magazine, an art collective consisting of Marc roig blesa and rogier delfos (with werker referring to worker in dutch). their radical praxis of photography based on self-representation, self-publishing and image critique is inspired, though not nostalgically, by the international worker photography movements of the 1920s and 30s. werker Magazine develops and explores strategies of interaction and collaboration that enable and empower collective practices of self-representation within different geographies (it is currently preparing workshops in spain, france and Morocco), institutional networks and social strata. the project Werker 10 Community Darkroom has a three part structure that

adapts to the specifics of the local language and historical context: 1) 10 Minute photography course 2) library 3) the eye of the worker. the project creates a situation in which the exhibition space becomes an educational area rather than a contemplative one. here a form of collaborative constellation is created in which the passive viewer of the white cube gallery space takes an active role not only in processes of image production but also in re-editing and critiquing snapshots as a form of collective learning. in this instantiation the theme for the workshop is the notion of “invisible work” in that, ahead of the workshop, it serves as a guiding principle for the participants in order to create their own photographs of “invisible work” activities such as domestic work, informal work, voluntary work, care work and reproductive work. but it will also be a thinking tool for the collective editing and layout process during the workshop.



MARC ROIG BLESA


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MARC ROIG BLESA lars willuMeit

sin dai suoi albori, la fotografia, oltre che nell’arte e nella scienza, ha svolto un ruolo di primo piano nelle battaglie socio-politiche, documentando circostanze ed eventi. nella sua accezione umanista, la fotografia ha spesso avuto la forza di imporre la riforma sociale dall’alto, per mano di un attore privilegiato come il fotografo lewis hine, anziché dal basso, come risultato di resistenza e rivolta. comunque sia, le ultime ricerche sui movimenti di fotografia operaia, un capitolo esplorato solo di recente nella storia della fotografia, hanno chiaramente dimostrato che all’inizio del xx secolo esistevano già prassi alter-

native e subalterne in ambito non solo europeo. il tema della fotografia in relazione al lavoro, alla sua visibilità/invisibilità e all’urgenza di trovare forme contemporanee di attivismo visivo in epoca postfordista è centrale nella prassi artistica di werker Magazine, un collettivo composto dagli artisti Marc roig blesa e rogier delfos (in olandese werker significa lavoratore). la loro radicale pratica fotografica, basata su l’autorappresentazione, la pubblicazione in proprio e la critica dell’immagine, si ispira, senza alcuna coloritura nostalgica, ai movimenti internazionali di fotografia operaia degli anni venti e trenta del novecento. werker Magazine sviluppa ed

esplora strategie di interazione e collaborazione volte a creare e a diffondere prassi collettive autonome di autorappresentazione in vari paesi (attualmente è in preparazione una serie di workshop in spagna, francia e Marocco), rivolta a diversi network istituzionali e a tutti i livelli sociali. il progetto Werker 10 - Community Darkroom è formulato per adattarsi alle specificità del contesto sociale e linguistico in cui si concretizza e si articola in tre parti: 1) 10 Minutes photography course, 2) library, 3) the eye of the worker (corso di fotografia in 10 minuti, biblioteca, l’occhio/l’obiettivo fotografico del lavoratore). il progetto crea una


Marc roig blesa situazione nella quale lo spazio espositivo, da luogo di contemplazione, si trasforma in uno spazio pedagogico in cui viene a comporsi una sorta di costellazione collaborativa che permette allo spettatore, solitamente passivo nel white cube della galleria d’arte, di assumere un ruolo attivo nei processi di produzione dell’immagine, oltre che nel re-editing e nell’analisi critica degli scatti quale forma di apprendimento collettivo. in questo caso il tema del workshop è la nozione di “lavoro invisibile” nel senso che, prima del workshop, esso funge da principio guida per i partecipanti al fine di creare le proprie fotografie di “lavori invisibili”, come potrebbero essere i lavori domestici, un lavoro informale, un'attività di volontariato, di cura o di riproduzione. Ma fungerà anche da strumento di pensiero per il processo collettivo di editing e di impaginazione durante il workshop. since its early days, photography has been used not only in art and science but also enlisted in socio-political struggles in order to document circumstances and events. this photography with a humanist slant often had the impetus of bringing social reform from above, by privileged actors such as the photographer lewis hine,

19 rather than resistance and revolt from below. however recent research into worker photography movements, an until recently hidden chapter in the history of photography, has demonstrated clearly for the early twentieth century that alternative subaltern photographic practices existed widely across europe and beyond. the theme of photography in relation to labour and visibility/invisibility and on how to find contemporary forms of visual activism in the post-fordist era is at the centre of the artistic practice of werker Magazine, an art collective consisting of Marc roig blesa and rogier delfos (with werker referring to worker in dutch). their radical praxis of photography based on self-representation, self-publishing and image critique is inspired, though not nostalgically, by the international worker photography movements of the 1920s and 30s. werker Magazine develops and explores strategies of interaction and collaboration that enable and empower collective practices of self-representation within different geographies (it is currently preparing workshops in spain, france and Morocco), institutional networks and social strata. the project Werker 10 Community Darkroom has a three part structure that

adapts to the specifics of the local language and historical context: 1) 10 Minute photography course 2) library 3) the eye of the worker. the project creates a situation in which the exhibition space becomes an educational area rather than a contemplative one. here a form of collaborative constellation is created in which the passive viewer of the white cube gallery space takes an active role not only in processes of image production but also in re-editing and critiquing snapshots as a form of collective learning. in this instantiation the theme for the workshop is the notion of “invisible work” in that, ahead of the workshop, it serves as a guiding principle for the participants in order to create their own photographs of “invisible work” activities such as domestic work, informal work, voluntary work, care work and reproductive work. but it will also be a thinking tool for the collective editing and layout process during the workshop.


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corso di fotografia in 10 Minuti, werker Magazine, 2014-15, 10 serigrafie 10 Minute photography course, werker Magazine, 2014-15, 10 screenprints


Marc roig blesa

corso di fotografia in 10 Minuti, werker Magazine, 2014-15, 10 serigrafie 10 Minute photography course, werker Magazine, 2014-15, 10 screenprints

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RAPHAëL DALLAPORTA


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RAPHAëL DALLAPORTA francis hodgson

raphaël dallaporta ha inizialmente attratto la mia attenzione con una serie di foto di mine antiuomo. fotografate con disinvoltura come fossero prodotti commerciali, le immagini erano accompagnate da testi sobri che collocavano questi raccapriccianti strumenti all’interno dei confini del regno commerciale. le mine erano economiche, efficaci e di tanti tipi diversi per soddisfare i bisogni dei clienti. dallaporta aveva prodotto un nuovo tipo di accusa a catalogo e nel farlo aveva fissato le linee principali del suo percorso: trovare indizi in elementi piccoli o relativamente piccoli delle attività industriali specializzate e su larga scala che contraddistinguono la nostra epoca.

lentamente dallaporta ha ampliato il proprio raggio di azione. ha rivolto il proprio sguardo verso l’archeologia, usando droni telecomandati che di solito vengono adoperati per la guerra. ha mostrato alcuni dei tanti tipi di conoscenza impiegati nella costruzione delle ferrovie. adesso, in un progetto che è cominciato come una commissione da parte del cnes, il centro nazionale di studi spaziali francese, ha realizzato una serie di immagini su symphony, il programma satellitare franco-tedesco. avviato poco dopo la seconda guerra mondiale e sviluppato agli inizi degli anni sessanta del novecento, il programma symphony è stato

un modo per le due nazioni ex avversarie di guardare avanti insieme con determinazione nello spirito del trattato di roma. symphony era un sistema di comunicazioni satellitari, il primo in europa. ha considerevole rilevanza di per sé, essendo antesignano del gps e di altri sistemi, precursore della rivoluzione nelle comunicazioni mobili, antenato del razzo ariane… Ma per dallaporta, symphony ha anche valore metaforico: se le due nazioni riuscivano a sviluppare un sistema di comunicazioni, allora al tempo stesso stavano senz’altro sviluppando una reale comunicazione fra di loro. Ma le peculiarità della storia di symphony catturano l’attenzione di dallaporta.


raphaël dallaporta customers’ needs. dallaporta had produced a new kind of indictment by catalogue, and in so doing he had established the main lines of his interest: finding evidence in small or relatively small units of the large-scale and specialized industrial activities that mark our time. gradually his range expanded. he turned his eye to archaeology, using remotecontrolled drones more usually used for warfare. he showed some of the many kinds of knowledge deployed in the construction of a railway. now, in a project that started as a commission from the cnes, the french space studies centre, he has made a series on the symphony project, the joint francogerman satellite programme. dating from soon after the second war (development was active since the early 1960s), the symphony programme was a way for the two former rival nations to look determinedly forward together in the spirit of the treaty of rome. symphony raphaël dallaporta first came was a communications satellite system, the first one to my notice with a series in europe. it has considerof pictures of antipersonnel able importance of its own: mines. coolly photographed the forerunner of gps and in the style of commercial other systems, precursor of product-shots, they were the mobile communications accompanied by quiet texts revolution, ancestor that placed these horrific of the ariane space instruments wholly within the commercial realm. Mines launcher... for dallaporta it has metaphorical weight, were cheap, effective, and too: if the two nations could had plenty of variety to suit symphony è stato un matrimonio fra gruppi industriali giganteschi e anche se i satelliti non hanno mai trasferito traffico commerciale, i vantaggi per le società partecipanti sono stati enormi. le immagini che dallaporta propone delle antenne satellitari rimaste sono frazionate. sottolineano come il tempo abbia cominciato a smantellare il ricordo che abbiamo di questi enormi progetti, progetti controversi eppure benefici, animati da senso civico e vantaggiosi per i privati. in due di esse, dallaporta rinviene prove d’archivio di quelle prime fasi che sono ormai lontane anni luce, storia antica. symphony continua a vivere nei piccoli sistemi di comunicazione nelle tasche di tutti noi: la tecnologia è diventata normale. sembra democratica. Ma non è sempre stato ovvio che dovesse essere così. e potrebbe sempre saltare fuori alla fine che non è così.

33 develop a comms system then they were surely developing actual communication between themselves at the same time. but the particularities of the symphony story catch dallaporta’s attention. it was a marriage of giant industrial corporations, and although the satellites were never to carry commercial traffic, the benefits to the participant companies were enormous. dallaporta’s views of the remaining satellite antennae are fractured. they underline how time has begun to dismantle our memory of these giant projects, controversial yet beneficial, public-spirited and privately advantageous. between two of them, he recovers archival evidence of the early work going on: a lifetime away by now, ancient history. symphony lives on in the little communications systems in the pockets of all of us: technology has become normal. it seems democratic. but it wasn’t always obvious that it was to be so. it may yet turn out not to be so in the end.


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raphaĂŤl dallaporta

reliques avant-gardes, 2014, installazione fotografica prodotta in collaborazione con observatoire de l’espace du cnes reliques avant-gardes, 2014, photographic installation produced in collaboration with the observatoire de l’espace du cnes

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raphaĂŤl dallaporta

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MADHUBAN MITRA & MANAS BHATTACHARYA


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MADHUBAN MITRA & MANAS BHATTACHARYA devika daulet-singh

le macchine fotocopiatrici xerox arrivarono in india all’inizio degli anni settanta. da allora, per generazioni di studenti la “fotocopia” rappresentò un foglio di carta ambitissimo. nell’india dell’era pre-digitale, era un modo economico e sostanzialmente unico che permetteva di accedere ai libri disponibili nelle biblioteche, per essere consultati quando necessario. lavorare con una fotocopiatrice era, e lo è ancora, una piccola attività artigianale diffusa in tutto il paese. l’onnipresente fotocopia, combinazione delle due parole “foto” e “copia”, non lasciava dubbi sulle sue intenzioni. quasi sempre violava i diritti della proprietà intellettuale dell’autore – scarsa, o

nessuna importanza, veniva infatti data all’indicazione del copyright riportata nel libro. nei campus universitari notoriamente si consumavano in fotocopia montagne di libri e appunti delle lezioni. i due artisti, Madhuban Mitra e Manas bhattacharya appartengono alla generazione per la quale la fotocopia era qualcosa di più di una riproduzione di un pezzo di carta – era l’accesso alla conoscenza a poco prezzo. il loro primigenio interesse per il problema dell’obsolescenza, con particolare riferimento alla produzione industriale di apparecchi fotografici, si è esteso anche ai modelli ormai superati delle fotocopiatrici importate in india. le loro fotografie

danno vita a una relazione tra la fotocopia e l’immagine fotografica a due livelli. entrambe sono il prodotto di macchine meccaniche che utilizzano la luce e, al tempo stesso, entrambe sono delle riproduzioni. le differenze sono insite nella loro conformazione – la fotocopia non ambisce a durare, diversamente da quanto accade per la fotografia e non può mai essere intesa come una vera immagine. per sua stessa natura, la fotocopia è confinata in una zona grigia e gode della compagnia dei suoi lettori per un periodo di tempo limitato. con un approccio quasi documentaristico, Mitra e bhattacharya creano una serie di fotografie che


Madhuban Mitra & Manas bhattacharya descrivono l’esperienza dentro e intorno alle piccole copisterie. attraverso foto singole, dittici e trittici, gli angusti e squallidi negozietti sembrano veri teatri di monotonia. in queste fotografie mute, si riesce a sentire il rumore incessante della macchina che lavora a pieno ritmo mentre l’addetto si è ormai perfezionato nell’arte di fare fotocopie con velocità e precisione militaresca. per dare un tocco di ironia a queste scene così noiose e ripetitive, gli artisti a volte creano un Doppelgänger (sosia) accentuandone così la banalità esistenziale. vi è poi un altro gruppo di fotografie in cui la fotocopia e l’immagine fotografica si mescolano divenendo una cosa sola. nel corso delle loro visite alle copisterie, gli artisti hanno raccolto le riproduzioni riuscite male e scartate, per poi fotografarle di nuovo, ingrandirle e presentarle come immagini. non deve stupire che questi artefatti riflettano sulla fotografia e ne riguardino la natura stessa. xerox machines arrived in india in early 1970s. for generations of students thereafter, the “photocopy” was a coveted piece of paper. in pre-digital india, it was an economical and more often than not, the only way to access reference books

available in libraries. running a xerox machine was and still is a cottage industry across india. an amalgamation of two words – “photo” and “copy”, the ubiquitous photocopy left nothing in doubt about its intention. it almost always infringed on the intellectual rights of authors – scant attention, if any, was paid to the copyright notice inscribed inside books. college campuses were notorious consumers of photocopied books and class notes. the artist couple, Madhuban Mitra and Manas bhattacharya belong to a generation for whom the photocopy was more than a reproduction of a piece of paper – it was access to knowledge at a very small price. their previous interest in obsolescence, in particular of the camera making industry, is extended to the obsolete models of xerox machines imported to india. their photographs imagine a relationship between the photocopy and the photographic image on two levels. both are produced from mechanical machines using light and both are reproductions. the differences lie in their constitution – the photocopy doesn’t desire permanence like the photographic image, nor can it be a true likeness. it resides in a penumbral space of its own making and keeps its reader

41 company for a finite period of time. using a quasi-documentary approach, Mitra and bhattacharya create an ensemble of photographs that describe the experience inside and around xerox shops. using single photographs, diptychs and triptychs, the cramped and dingy xerox shops come alive as theatres of monotony. in these mute photographs, one can hear the drone of the machine working at its own rhythm while its operator has perfected the art of making photocopies with military precision and speed. to inject humour into the mundane scenes, the artists sometimes create a Doppelgänger to accentuate their banal existence. there is another set of photographs where the relationship between the photocopy and the photographic image merge and become one. in the course of visiting xerox shops, the artists collected rejected photocopies, which were re-photographed, enlarged and presented as photographic images. it’s no surprise these artifacts reflect on photography and are about photography.


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senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15 untitled, froM the series copy shop, 2014-15


Madhuban Mitra & Manas bhattacharya

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la sera della festa nazionale holi, il cosiddetto festival dei colori, i negozi riMangono coMunque aperti e coMe in ogni altro giorno la gente ha bisogno di fare fotocopie. l’unica traccia del festival si rivela nella Macchia color Magenta sulla Mano del ragazzo. on the evening of holi, the festival of colours, a national holiday, the shops are open for business, and people need copies Made like every other day. the only trace of the festival lurks in a Magenta stain in the boy’s hand.

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15, serie di tre fotografie (trittico) untitled, froM the series copy shop, 2014-15, set of 3 photographs (triptych)


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si può fotocopiare un libro di poche pagine Mentre ci si fa tagliare i capelli. nelle priMe ore della sera, dietro la copisteria, si possono anche coMprare verdure e ortaggi freschi. stare vicino all’università significa che c’è abbastanza lavoro per tutti; si vengono così a creare delle MicrocoMunità di lavoratori iMprontate a una grande cordialità. you can photocopy a sliM book while getting a haircut. a little earlier in the evening, behind the xerox shop, you can buy fresh vegetables too. being in the vicinity of a university Means there is enough business for everyone, and the workers forM a Micro coMMunity with Much bonhoMie.

il negozio, coMe si legge sul cartello esposto con i prezzi, si chiaMa shish Mahal, letteralMente palazzo degli specchi, coMe il faMoso padiglione fatto costruire dall’iMperatore Moghul shah Jahan. the shop, as its price list tells us, is called shish Mahal, literally glass palace, after the faMous chaMber built by the Mughal eMperor shah Jahan.

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15 untitled, froM the series copy shop, 2014-15


Madhuban Mitra & Manas bhattacharya

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15, serie di due fotografie (dittico) untitled, froM the series copy shop, 2014-15, set of 2 photographs (diptych)

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quando si avvicina la stagione degli esaMi all’università, il lavoro va avanti fin dopo la Mezzanotte. possono accadere cose strane intorno all’ora delle streghe in un’attività che ha a che vedere con la replicazione. as the university exaMination season approaches, work continues past Midnight. in a business of replication, strange things Might happen around the witching hour.

arMate di taglierine e spillatrici di livello non certo professionale, le piccole copisterie consegnano in pochi Minuti fotocopie rilegate con la spirale o seMpliceMente spillate a Mano, pronte per l’uso coMe surrogato del libro “originale”. shops that do brisk business have basic cutting and punching Machines, and deliver spiralbound or rough hand-bound photocopied voluMes ready to use off the counter as replaceMent for the “original” book.

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15 untitled, froM the series copy shop, 2014-15


Madhuban Mitra & Manas bhattacharya

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15, serie di due fotografie (dittico) untitled, froM the series copy shop, 2014-15, set of 2 photographs (diptych)

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in un caMpo di attività caratterizzato da una dura coMpetizione, è iMportante offrire servizi suppleMentari. così arrivano anche i poeti, di quelli che scrivono ancora con carta e penna e fanno battere al coMputer i loro Manoscritti. quando si lavora in una stanzetta di poco più di un Metro quadro, ricorrendo a una panca sul Marciapiede si evita il sovraffollaMento all’interno. in a business with stiff coMpetition, offering several allied services helps. even poets coMe, those who still write with pen and paper, to get their Manuscripts typed. when operating out of a four feet square box, place a bench on the paveMent to prevent crowding inside.

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15, serie di tre fotografie (trittico) untitled, froM the series copy shop, 2014-15, set of 3 photographs (triptych)


Madhuban Mitra & Manas bhattacharya

una copisteria del circondario con uno scarso voluMe di affari può sdoppiarsi dedicandosi anche alla vendita di bevande. a neighbourhood shop with a sMall voluMe of photocopying work, doubles up as a beverage seller.

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15 untitled, froM the series copy shop, 2014-15

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stretta nella Morsa fra una gioielleria e un’agenzia turistica di orientaMento religioso, in una serata di scarso MoviMento. Molte copisterie oggi sono dotate di coMputer e possono offrire servizi alternativi rispetto a quello principale delle fotocopie. se non si fa così, è difficile essere coMpetitivi. non Mancano però il liMone e gli aMuleti per scongiurare il Malocchio e attirare la buona fortuna. squashed between a Jewellery shop and a slightly religious tour operator, it is an evening of few custoMers. Most shops today have coMputers allowing a diversification of the core photocopying business. those that don’t, find it hard to coMpete. but, there’s the leMon and chillies charM to ward off the evil eye and bring good luck.

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15 untitled, froM the series copy shop, 2014-15


Madhuban Mitra & Manas bhattacharya

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15, serie di due fotografie (dittico) untitled, froM the series copy shop, 2014-15, set of 2 photographs (diptych)

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Madhuban Mitra & Manas bhattacharya

nascosta sotto uno dei cavalcavia più trafficati di calcutta, c’è una sorta di città in Miniatura con centinaia di copisterie aMMassate una sull’altra. è un Mondo in cui non penetra la luce del giorno, i neon non si spengono Mai e le Macchine fervono per tutta la notte. in un’attività che vive perlopiù di riproduzioni in bianco e nero, queste aziende Minuscole sono un tripudio di colori. tucked under one of calcutta’s busiest flyovers, is a Miniature city with a hundred photocopy shops huddled together. it is a world where daylight does not penetrate, the fluorescent tubes are never switched off and the Machines huM through the night. in a business whose revenues coMe priMarily froM black and white reproductions, these Micro-factories are a riot of colour.

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15 untitled, froM the series copy shop, 2014-15

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il libro che viene fotocopiato è il vedantasara, un testo fondaMentale di filosofia induista del xv secolo, che tratta di realtà e coscienza. the book being xeroxed is vedantasara, a seMinal 15th century text of hindu philosophy dealing with notions of reality and consciousness.


Madhuban Mitra & Manas bhattacharya

senza titolo, dalla serie copy shop, 2014-15, parte di una serie di 15 fotografie untitled, froM the series copy shop, 2014-15, part of a set of 15 photographs

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ÓSCAR MONzÓN


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ÓSCAR MONzÓN Joan fontcuberta

Óscar Monzón ha conquistato la ribalta internazionale con il progetto karma, nel quale lanciava sguardi da paparazzo e da pubblicitario sulla cultura dell’automobile. la sua proposta enfatizzava il sortilegio di una tecnologia che agiva simultaneamente come oggetto di desiderio, feticcio e simbolo di potere, ma anche come contenitore di identità e di esperienza. in Maya, Monzón prosegue la sua personale sociologia visiva, occupandosi ancora di pubblicità e identità come scenari fittizi deformanti la nostra esperienza vitale. Ma in questo caso Monzón sposta i suoi riferimenti critici verso scenografie proprie del cinema di fantascienza: la fantascienza che immagina

mondi distopici di moltitudini solitarie e sottomesse al controllo di occhi che tutto vedono. transeunti, che sembrano automi incapsulati nel tempo, rispondono uno dopo l’altro all’appello dei richiami commerciali; gli annunci pubblicitari sono gli altoparlanti di un consumismo che formatta attitudini e comportamenti e, tra le righe, disseminano le patologie della mitologia capitalista: mercantilismo, alienazione e disumanità. il pensatore francese Michel serres scrive con cinismo che dobbiamo amare la pubblicità, malgrado «diffonda falsità, esageri, riempia lo spazio di clamori mediocri e brutte immagini, faccia passare cose abomi-

nevoli per ambrosia divina, si moltiplichi secondo le stesse leggi di un’epidemia, intossichi e menta sempre». sì, dobbiamo amarla, perché la pubblicità è una promessa di felicità, come la religione o la politica, ma a differenza di queste non nasconde il suo intento di persuasione e mostra le sue carte. sono queste carte svelate e soprattutto i loro effetti manifesti, il punto dove Maya mette il dito nella piaga. guardando al contesto delle proposte fotografiche, qui non c’è volontà di fare da specchio, ma di essere radiografia e bisturi. a partire da scenari urbani del tutto reali, Monzón estrae tensione e inquietudine modellando una nuova versione della street


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Óscar MonzÓn photography che si andrebbe a collocare agli antipodi del documentarismo selvaggio di un garry winogrand, ma anche che trascende le forme teatralizzate di un philiplorca di corcia o di un Jeff wall. la vertigine e l’incubo tingono questo viaggio introspettivo sul “lato oscuro” della realtà rilucente delle apparenze. uno scenario fatto di atmosfere dense e luci drammatiche contorna le istantanee di “un mondo felice”, ma di felicità disumanizzata, che Monzón ci mostra fusa nell’apocalissi. Óscar Monzón came into the international limelight with his project karma, in which he turned his gaze to automobile culture with the eyes of a paparazzo and an advertising agent. his works emphasized the spell cast by a form of technology that acted as an object of desire, a fetish, a symbol of power, and at the same time a container for identity and experience. in Maya, Monzón continues to pursue his own visual sociology, once again exploring advertising and identity as artificial backdrops that distort our life experience. but in this case, Monzón shifts his critical references towards scenes typical of film and science fiction: that science fiction that dreams up dystopian worlds populated

by lonely multitudes under the control of all-seeing eyes. transient beings, almost like androids frozen in time, one by one, they heed the call of commercial enticements: advertisements are the loudspeakers of consumerism, which shapes attitudes and behaviours, and between the lines they spread the diseases of capitalist mythology: mercantilism, alienation and inhumanity. the french thinker Michel serres cynically writes that we must love advertising, even though it «spreads falsehoods, exaggerates, fills up space with a mediocre din and ugly images, passes off abominable things for the nectar of the gods, multiplies the same way an epidemic does, intoxicates, and always lies». yes, we must love it, because advertising is a promise of happiness, like religion or politics; the difference is that it does not hide its intent to persuade, putting its cards on the table. the cards it reveals, and above all their evident effects, are the point at which Maya pours salt on the wound. if we examine the context of the photographic works, we find no will to act as a mirror, but rather as an x-ray and a scalpel. starting with entirely real urban scenes, Monzón draws out tension and unease, shaping a new version of street photography that goes to the opposite extreme

of the untamed documentarism of garry winogrand, but that also transcends the theatricalized forms of philip-lorca di corcia or Jeff wall. vertigo and nightmares imbue this introspective journey into the “dark side” of the shining world of appearances. a scene formed by dense atmospheres and dramatic lights frames these snapshots of a “happy world” where happiness is dehumanized and, as Monzón shows us, is one with the apocalypse.


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Óscar MonzÓn

Maya 001: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 001: untitled, 2014, froM the series Maya


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Maya 002: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 002: untitled, 2014, froM the series Maya


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Óscar MonzÓn

Maya 003: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 003: untitled, 2014, froM the series Maya


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Maya 004: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 004: untitled, 2014, froM the series Maya


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Óscar MonzÓn

Maya 005: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 005: untitled, 2014, froM the series Maya


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Maya 006: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 006: untitled, 2014, froM the series Maya


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Óscar MonzÓn

Maya 007: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 007: untitled, 2014, froM the series Maya


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Maya 008: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 008: untitled, 2014, froM the series Maya


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Maya 010: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 010: untitled, 2014, froM the series Maya


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Óscar MonzÓn

Maya 011: senza titolo, 2015, dalla serie Maya Maya 011: untitled, 2015, froM the series Maya


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Maya 012: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 012: untitled, 2014, froM the series Maya


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Óscar MonzÓn

Maya 013: senza titolo, 2015, dalla serie Maya Maya 013: untitled, 2015, froM the series Maya


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Maya 014: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 014: untitled, 2014, froM the series Maya


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Óscar MonzÓn

Maya 015: senza titolo, 2014, dalla serie Maya Maya 015: untitled, 2014, froM the series Maya


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Maya 016: senza titolo, 2015, dalla serie Maya Maya 016: untitled, 2015, froM the series Maya


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Maya 017: senza titolo, 2015, dalla serie Maya Maya 017: untitled, 2015, froM the series Maya


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Óscar MonzÓn

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In ogni concorso, la necessità di individuare una ristretta rosa di finalisti, costringe a un processo di selezione che lascia inevitabilmente un senso di rammarico nei confronti di quanti rimangono esclusi. L’alto livello artistico delle opere prese in esame è frutto del lavoro attento di una rosa di selezionatori proposti dalla giuria, esperti di fotografia a livello internazionale e provenienti da diversi paesi. Ogni selezionatore ha proposto due fotografi che si sono distinti per l’eccellente qualità del loro lavoro. Non potendo, per motivi di spazio, darne ampia testimonianza, si è ritenuto tuttavia necessario proporre una panoramica di tutti i portfolio pervenuti.

The need to restrict the number of finalists in every competition requires a selection process that leaves a sense of regret for those who have been excluded. The high level of candidates was attained thanks to a panel of expert selectors, who were in turn chosen by the jury. Each selector chose two photographers of distinction but space restrictions make it impossible to fully display the work of all those selected. It was therefore decided to present an overview of the proposed portfolios.


La giuria della quarta edizione del Concorso 2013-2014 è composta da The Jury of the fourth edition 2013-2014 is made up of the following members


Isabella Seràgnoli

François Hébel

Presidente di G.D e della Fondazione MAST President of G.D and of the MAST Foundation

Art Director e curatore Art director and curator

Michael Hoppen MoMA - The Museum of Modern Art, New York

Gallerista, Michael Hoppen Gallery, Londra Gallery owner, Michael Hoppen Gallery, London

Giovanna Calvenzi

Piero Orlandi

Giornalista, Periodici San Paolo, Milano Journalist, Periodici San Paolo, Milan

Istituto per i Beni culturali della Regione Emilia-Romagna Institute for Cultural Heritage of the Emilia Romagna Region

Giuseppe Ciorra

Urs Stahel

Maxxi Architettura Maxxi Architecture

Collezione fotografica Fondazione Mast Mast Foundation photography collection

Quentin Bajac

Daniela Facchinato Fotografa Photographer

Laura Gasparini Fototeca Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia Panizzi Photographic Library, Reggio Emilia

Roberta Valtorta Museo di Fotografia contemporanea, Cinisello Balsamo (Milano) Contemporary Photography Museum, Cinisello Balsamo (Milano)


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PARTECIPANTI PARTICIPANTS 2013–2014

anatoliy babiychuk

bruno bresani

carla bobadilla

aletheia casey

Julie boserup

aleJandro chaskielberg


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wei chen

noĂŠMi goudal

rowan conroy

siMon gush

the cool couple (siMone santilli e niccolò benetton)

Margret hoppe

arnold corey

volkan kiziltunç

bieke depoorter

leo klenin


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george kourtidis

pedro Motta

anouk kruithof

sohei nishino

drhuv Malhotra

Musa nxuMalo

fernando Montiel klint

tiM parchikov

geir Moseid

kosMas pavlidis


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keiko sasaoka

tuca vieira

han zeng

Mirko sMerdel

JoĂŤl tettaManti

pĂŠtur thoMsen

kereM uzel



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VINCITORI PRECEDENTI PAST WINNERS 2007–2012

lea crespi, 2007–2008

olivia gay, 2009–2010

rob hornstra, 2007–2008

txeMa salvans, 2011–2012

dita pepe, 2007–2008

andrea stultiens, 2011–2012


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BIOGRAFIE BIOGRAPHIES


91 Marc roig blesa Marc roig blesa (1981) vive e lavora tra amsterdam e barcellona. si è laureato alla gerrit rietveld academie di amsterdam dopo aver ottenuto il diploma con menzione speciale all’école nationale supérieure de la photographie di arles (francia, 2005). dal 2010 al 2013 roig blesa ha beneficiato di due borse di studio messe a disposizione dal Mondriaan fonds di amsterdam e destinate alla formazione di giovani artisti. la sua opera è stata presentata a livello internazionale in centri d’arte, musei e gallerie. negli ultimi anni il suo lavoro si è sviluppato intorno al «werker Magazine», una rivista che si occupa di fotografia e mondo del lavoro. «questa iniziativa», spiega Marc roig blesa, «prende le mosse dal worker photography Movement, un gruppo di associazioni di fotografi dilettanti che apparve in germania negli anni venti, sulla scia delle prime esperienze di fotografia socialista in unione sovietica e che in seguito si estese nel resto d’europa, negli stati uniti e in giappone. lungi dal proporre un approccio retorico all’opera di questi fotografi, Werker si concentra sulle loro metodologie di lavoro, basate su l’auto-rappresentazione, l’auto-pubblicazione, l’analisi

dell’immagine e i processi di apprendimento collettivo. quali forme assume il lavoro nelle società post-fordiste? quali rappresentazioni del lavoro si stanno producendo oggi? è possibile attivare pratiche collettive di autorappresentazione? a quale fine e per quale pubblico? ogni numero della rivista è prodotto e distribuito in contesti sempre diversi e di volta in volta esplora strategie di interazione con particolari platee». Marc roig blesa (1981) lives and works in amsterdam and barcelona. he graduated from the gerrit rietveld academie in amsterdam (the netherlands, 2009) after obtaining a Master degree with committee praise at the école nationale supérieure de la photographie in arles (france, 2005). between 2010 and 2013 roig blesa has been honored with two young artist development grants from the Mondriaan fonds in the netherlands. roig blesa’s work has been presented internationally in art centres, museums and art galleries. in the last few years, his work deals with «werker Magazine», a publication about photography and labour. Marc roig blesa points out: «its starting point is the worker photography Movement, a group of associations of

amateur photographers that appeared in germany in the 1920s, following the steps of the first socialist photography experiences in the ussr which extended into the rest of europe, the united states, and Japan. far from having a rhetorical approach to the work of these photographers, Werker takes an interest in their working methodologies, based on self-representation, self-publishing, image analysis, and collective learning processes. what forms does work take in post-fordist societies? what representations of work are being produced today? is it possible to activate collective practices of self-representation? to what end and for which audiences? each issue of the publication is produced and distributed in a different context exploring strategies of interaction with specific audiences».

raphaël dallaporta negli ultimi dieci anni, raphaël dallaporta (1980), che vive e lavora a parigi, ha intrapreso un percorso fotografico assai apprezzato a livello internazionale per lo sguardo puro e rigoroso e per l’imperturbabilità. i suoi progetti di lungo respiro, che affrontano un ampio spettro di tematiche legate all’agire


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umano, lo hanno portato a lavorare a stretto contatto con squadre di artificieri e sminatori (in antipersonnel), con giuristi (in esclavage domestique), con medici legali (in «fragile») e, più di recente, con archeologi (in ruins). l’orientamento della sua opera è stato finora quello di porre in secondo piano la qualità documentaria della fotografia in favore della sua forza simbolica. sin dal 2011, raphaël dallaporta mostra un profondo interesse per le attività dell’uomo nello spazio, allo scopo di analizzare il rapporto con il progresso e la memoria. l’artista incentra la propria ricerca sulle tracce che il programma spaziale symphonie ha lasciato sulla terra; ne sono un esempio le antenne satellitari e i sistemi per la telecomunicazione, parcellizzati e ricondotti a un’immagine unitaria, che dallaporta trasforma in simbolo della comunicazione ripetutamente interrotta tra gli esseri umani. over the past ten years, raphaël dallaporta (born 1980), who lives and works in paris, has taken a photographic path that has gained international attention thanks to precise perspective and single-minded approach. his long-term projects cover a wide range of human activities. he works in close

cooperation with military demining teams (in antipersonnel), lawyers (in esclavage domestique), medical lawyers (in fragile) or, most recently, archaeologists (in ruins). his entire oeuvre to date follows a single direction: it diminishes the documentary quality of photography in favour of symbolic power. since 2011 he has been very interested in human activities in space and aims to question the relationship with progress and memory. he has concentrated on the traces that the symphonie project have left on earth (e.g. reception antennae and satellite dishes), breaking the images up into many parts and putting them together again to form a complete picture. in doing so, raphaël dallaporta symbolises the fact that communication between humans is repeatedly broken.

Madhuban Mitra & Manas bhattacharya Madhuban Mitra (1972) e Manas bhattacharya (1977) risiedono a calcutta, in india, dove collaborano in vari ambiti artistici, come la fotografia, i video, l’animazione e la scrittura. Madhuban ha studiato letteratura inglese ottenendo un ph.d in studi culturali, Manas

invece ha studiato cinematografia dopo aver completato la laurea magistrale in letteratura comparata. tra le tante istituzioni, la loro opera è stata presentata alla biennale di fotografia di salonicco, in grecia; all’international photography festival di singapore; alla lalit kala akademi di nuova delhi e nelle chennai e Mumbai art room, in india. nel 2011 i due artisti hanno ricevuto in qualità di esordienti il premio indiano skoda breakthrough artist per la migliore mostra personale. «la diffusione di fotocopisterie con le loro macchine xerox è un fenomeno assolutamente unico in india», hanno spiegato Madhuban e Manas, descrivendo la loro opera in concorso. «in questi negozietti miseri e angusti, nascosti dietro a vicoli tortuosi, in seminterrati squallidi, la vita ruota intorno al rumore incessante della macchina fotocopiatrice. le copisterie rappresentano una micro economia in un settore sommerso e danno da vivere a migliaia di persone. la loro attività si svolge al di fuori di qualunque regolamentazione, ogni giorno decine di libri vengono fotocopiati integralmente in un solo negozio e questo fa sì che esse siano un anello indispensabile anche se invisibile nella catena dell’industria culturale».


93 Madhuban Mitra (1972) and Manas bhattacharya (1977) are based in kolkata, india, and work together across a range of media including photography, video, animation and text. Madhuban studied english literature and holds a ph.d in cultural studies and Manas studied cinematography after completing his M.a. in comparative literature. their work has been shown in the thessaloniki photobiennale, greece; singapore international photography festival; lalit kala akademi new delhi and chennai and Mumbai art room, india among others. the duo received the skoda breakthrough artist award for the best debut solo show in india in 2011. regarding their work for the competition they state: «the ubiquity of photocopy (xerox) shops is a unique phenomenon in india. housed in dingy, cramped rooms tucked away in alleys, backstreets and squalid basements, life in these shops revolves in a loop around the whir of the xerox machine. constituting a micro-economy within the informal sector, the photocopy centres provide a livelihood to thousands of people. operating outside legal parameters, dozens of books in their entirety are photocopied in the span of a day in a single shop, making them an indispensable, though invisible part of the knowledge industry».

Óscar MonzÓn Óscar Monzón (1981) risiede a Madrid dove nel 2003 ha fondato il collettivo blank paper dando vita da allora a diversi progetti. nel 2006 ha vinto una borsa di studio del Ministero della cultura spagnolo per il completamento del progetto las puertas de parís e nel 2011 è stato finalista del premio Descubrimientos de PHotoEspaña. dopo cinque anni di lavoro, ha terminato la serie fotografica karma, un’opera incentrata sulla relazione tra uomo e macchina per la quale nel 2013 ha ricevuto il premio della sezione first photobook di paris photo - aperture foundation. parlando della sua opera, l’artista dice: «il titolo Maya è un termine sanscrito che viene tradotto come illusione o irrealtà. quando guardiamo qualcosa attraverso l’obiettivo fotografico per poi tradurlo in immagine, vediamo che gli spazi possono acquisire il senso di una scrittura scenica, le persone possono apparire come performer e le situazioni trasformarsi in autentiche messe in scena. lasciandomi guidare da questa idea ho cominciato a lavorare scattando foto per strada, teso a ricercare l’influenza della finzione narrativa pubblicitaria sulla realtà. allo stesso tempo ho fotografato direttamente i cartelloni e i manifesti combinandoli poi con le foto

“reali” così da farli dialogare insieme … proprio come si fa giocando col boomerang». based in Madrid, Óscar Monzón (1981) founded the blank paper collective in 2003 and developed different projects since then. in 2006 he received a grant from the spanish Ministry of culture to conclude the project las puertas de parís and in 2011 he was finalist in PHotoEspaña´s Descubrimientos award. after five years of work, he completed the series karma, a work about the relationship between man and machine for which he received the first book award of paris photo - aperture foundation in 2013. he says about his work: «the title is Maya and it refers to the sanskrit term which is translated as illusion or unreality. i had this idea: when you look at something through a camera and then translate it into an image, spaces can become scenarios and people or situations can be seen as performers or staged moments. based on that i started to work taking street pictures and trying to find the influence of advertising fictions on reality. at the same time i took pictures directly from billboards and i put these together with the “real” pictures to allow a dialogue (…) like a boomerang game».




questo voluMe è stato staMpato per conto di Mondadori electa s.p.a. presso elcograf s.p.a., via Mondadori 15, verona, nell’anno 2015 this voluMe was printed by Mondadori electa s.p.a. at elcograf s.p.a., via Mondadori 15, verona, in 2015



€ 25 ISBN 978-88-918-0690-1


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