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APPROFONDIMENTO INSEGNANTI SCUOLA SECONDARIA SECONDO GRADO
SISTEMI DI VISIONE MAST.
La scheda si rivolge a insegnanti e formatori di scuole secondarie di secondo grado per fornire alcuni approfondimenti teorici a complemento del percorso Sistemi di visione.
A partire dall’identità del MAST e da un approfondimento sul mezzo fotografico, una serie di brevi attività per riflettere con gli studenti sulle nuove possibilità offerte dall’Industria 4.0 e sul rapporto tra fotografia e tecnologia. Il percorso Sistemi di visione, accompagnato dalla sezione Approfondimenti per insegnanti, si prefissa i seguenti obiettivi: • • •
creare consapevolezza sull’Industria 4.0 e sulle tecnologie messe in atto per creare nuovi modelli di business e di produttività; proporre un atteggiamento critico nei confronti delle forme di comunicazione visiva fotografica; rielaborare in modo creativo le tematiche affrontate, incrementando la capacità di relazione con altri ambiti disciplinari.
parole chiave
In copertina: Veduta esterna della Fondazione MAST
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Sistemi di visione
Tecnologia 4.0. Le nuove forme del lavoro
Procedimento di stampa 3D
La parola tecnologia deriva dal greco ed è composta da ‘tecno’, che indica arte e abilità, e ‘logia’, ossia discorso. Alla base della tecnica c’è dunque un sapere, che permette di costruire uno strumento in grado di fare qualcosa. Su questo principio legato al ‘saper fare’ si basa la relazione tra tecnologia e lavoro, elementi che insieme danno vita all’innovazione, ossia all’introduzione di sistemi nuovi che portano a un miglioramento qualitativo delle condizioni lavorative e dei processi di produzione, nonché a nuove prospettive legate al vivere quotidiano.
possibilità, proiettandosi oltre, verso il nuovo. L’innovazione tecnologica è influenzata dalla cultura e dalla società che la produce. Con il termine Industria 4.0 si intende la Quarta rivoluzione industriale, caratterizzata da una prevalente automazione dei processi produttivi di beni e servizi, che ha comportato trasformazioni importanti indotte dalla tecnologia. In questa nuova Era, la relazione tra uomini e macchine diventa quotidiana e sempre più stretta, sconfinando in spazi e tempi che vanno oltre quelli del lavoro e che condizionano anche la vita di tutti i giorni. Una rivoluzione che richiede sempre più competenze specifiche e interdisciplinari, in continuo divenire e aggiornamento, che cambiano anche la dimensione di accesso al mercato del lavoro.
Come avviene in natura, la tecnologia richiama un processo di trasformazione operato da un essere vivente per adattare l’ambiente alle proprie esigenze di sopravvivenza e dunque di mantenimento e crescita. Nella storia dell’uomo, le invenzioni più rivoluzionarie hanno sempre seguito la necessità di risolvere un problema e di colmare un’im3
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Intelligenza artificiale, The Next Rembrandt, 2016 CC BY 2.0
Nell’ultimo decennio si è verificata una transizione della fabbrica verso l’immaterialità dei software e la miniaturizzazione delle macchine. L’utilizzo sempre maggiore della robotica e di sofisticate applicazioni digitali di realtà aumentata consente la regolazione di processi di intervento anche a grande distanza creando nuovi scenari lavorativi.
modo di vivere le nostre abitudini, e l’approccio al lavoro e alle relazioni, è l’iperconnessione dei dispositivi. La presenza di smart objects, ‘oggetti intelligenti’, connessi alla rete, nei contesti di lavoro e negli spazi pubblici o domestici, ha determinato la crescita di nuovi settori di ricerca e di produzione, portando alla realizzazione di strumenti sempre più sofisticati, che hanno cambiato il modo di interagire e di vivere il proprio tempo. Internet of Things è il neologismo coniato per evidenziare questo aspetto crescente riferito all’estensione di Internet in relazione agli oggetti e agli ambienti. Gli oggetti di uso quotidiano acquisiscono un nuovo ruolo in relazione alla rete (es. smartphone, smartwatch capaci di registrare lo stato del nostro corpo, dispositivi di guida in grado di assisterci, ecc.), diventando elementi attivi capaci di condizionare le nostre scelte, comunicandoci informazioni specifiche attraverso sistemi di intelligenza artificiale. Tra le proprietà e le funzionalità più importanti di questi oggetti ci sono l’identificazione, la localizzazione, la connessione, la capacità di elaborare dati e di scambiarli con altri dispositivi, l’interazione con l’ambiente esterno.
La stampante 3D è tra gli strumenti che più rappresentano l’Industria 4.0. Partendo da un modello 3D digitale, realizzato attraverso un software di modellazione, la stampante è in grado di realizzare oggetti tridimensionali stampando strato dopo strato (per produzione additiva) sezioni trasversali del protòtipo. I materiali utilizzati per la stampa si fondono, si sintetizzano o si ammorbidiscono con il calore, dando corpo all’oggetto. La velocità di realizzazione e il costo contenuto per la produzione del protòtipo hanno permesso di accelerare processi di sperimentazione di nuovi materiali o di componenti e di immetterli più velocemente sul mercato, favorendo in questo modo il processo di innovazione. Il settore di utilizzo delle stampanti 3D è molto vario e va dalla realizzazione di protòtipi, alla colata di materiali per la costruzione architettonica e produzione di elementi di tecnica aerospaziale o sanitaria, fino ad ambiti legati all’educazione e all’intrattenimento.
Grazie a un database contenente tutti i dipinti di Rembrandt, Microsoft è riuscita ad addestrare un’intelligenza artificiale capace di creare, mantenendo lo stesso segno e stile pittorico, un dipinto che l’artista non ha mai rea-
Un altro aspetto che sempre più concorre a modificare il 4
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lizzato. Con l’aiuto di una stampante 3D è stato possibile riprodurre le campiture di colore e la traccia delle pennellate, le stesse che caratterizzano i dipinti di Rembrandt.
funzionamento. Il ruolo dell’uomo sarà sempre più quello di rielaborare in maniera creativa le risposte delle macchine e dei sistemi di intelligenza artificiale, per migliorare l’efficienza, la produttività e la qualità dei prodotti. Lo sviluppo crescente della tecnologia a livello industriale e non solo, ha portato alla creazione di nuovi settori professionali. Nel nuovo paradigma lavorativo diventa quindi fondamentale formare lavoratori che siano aggiornati sulle nuove direzioni aperte dalla tecnologia, così da preparare futuri professionisti e cittadini più consapevoli. La creatività sarà sempre più trasversale in tutti i ruoli di un’azienda e consentirà di ridefinire i sistemi in uso.
Gli ambiti di applicazione di queste nuove tecnologie possono essere molto diversi, dai processi produttivi industriali, alla logistica e infomobilità, all’assistenza remota e tutela ambientale fino al tempo libero. Lo sviluppo di intelligenze artificiali ha portato a una relazione più stretta tra uomo e macchina, a uno scambio quotidiano in cui l’intelligenza artificiale impara a riconoscere le preferenze e lo stato del singolo, arrivando ad anticipare o suggerire possibili soluzioni tramite processi di risposta molto simili a quelli cognitivi dell’uomo.
La Quarta rivoluzione industriale, grazie alla diffusione crescente dell’iperconnessione digitale alla rete, ha portato a un accorciamento delle distanze del mondo, ridisegnando tempi di intervento, di produzione e modificando il funzionamento delle economie, oltre che il modo di comunicare. Bologna, insieme a Milano, è tra le città più high tech del Paese. Il Gruppo Coesia, che comprende 21 aziende presenti in 35 paesi, con oltre 9.000 collaboratori, di cui fa parte la G.D di Bologna, è basato sull’innovazione e sostiene lo sviluppo di abilità e competenze capaci di creare nuovi processi di crescita, non solo nell’ambito tecnologico, ma anche in quello di ideazione, progettazione e formazione scolastica.
Un’altra tecnologia legata sia all’ambito lavorativo che a quello creativo e ricreativo è la realtà aumentata. L’utilizzo di tecnologie immersive di questo tipo consente di vivere situazioni di percezione sensoriale inedite, simulando o arricchendo la realtà con informazioni aggiuntive in tempo reale che possono condizionare il nostro modo di vedere e vivere le cose. Alcune previsioni ipotizzano che le macchine si innoveranno al punto da sostituirsi a profili professionali che potrebbero scomparire a favore di altri che avranno il compito di gestirle e di leggerne i dati, elaborando nuove soluzioni di
Innovazione tecnologica in uno stabilimento G.D
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domande per gli studenti Come cambieranno, secondo te, il lavoro e il tempo libero nell’Era dell’Industria 4.0? In che modo le tecnologie dell’Industria 4.0 possono integrarsi e migliorare il lavoro artigianale?
attività didattica Descrivi come potrebbe essere utilizzato uno smart object per migliorare le tue giornate a scuola. Realizza il tuo progetto utilizzando diverse tecniche (es.: disegno, collage, fotomontaggio digitale, tavoletta grafica ecc...)
consigli di visione Matrix, film di Andy e Larry Wachowski, 1999, 136’ Her, film di Spike Jones, 2014, 126’
Bibliografia Chesta, Riccardo Emilio; Lusitani, Alessandro; Zanot, Francesco; Zucca, Andrea, Laboratorio 4.0. Produzione, luoghi di lavoro e sapere umano al tempo della quarta rivoluzione industriale, Feltrinelli, Milano, 2018 Musiani, Elena, Il modello industriale bolognese: una metamorfosi dalla tradizione agricola all’industria meccanica, in Campigotto, Antonio; Martorelli, Roberto, La ruota e l’incudine. La memoria dell’Industria Meccanica bolognese in Certosa, Minerva, Bologna, 2016 6
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Sistemi di visione. Dalla camera ottica alla materia del Sole
Athanasius Kircher, Camera Obscura, 1646 Public Domain
e paesaggi dal vero utilizzando la camera oscura, una scatola chiusa con applicata una lente regolabile in corrispondenza di un foro. Sulla parete interna, viene a proiettarsi l’immagine capovolta della realtà, che può essere ricalcata su un foglio sottile di carta, sovrapposto in corrispondenza, dando in questo modo la possibilità di riprodurre in maniera molto precisa il dato reale. È lo stesso Leonardo a ipotizzare l’analogia tra il sistema stenopeico della camera ottica e quello dell’occhio umano. Nel 1553 Giovanni Battista della Porta dimostra l’utilità dell’uso della camera oscura da parte dell’artista, per la resa fedele di ciò che intende rappresentare. Cominciano così a essere costruite numerose camere oscure a grandezza d’uomo, che riflettono un approccio di osservazione e rappresentazione della realtà. Questa evoluzione tecnica porterà in seguito alla diffusione di camere ottiche portatili, largamente utilizzate nel Seicento e nel Settecento per la resa dei paesaggi da diversi pittori tra cui Johannes
Prima dell’invenzione della fotografia che, dagli inizi dell’Ottocento, permette di fissare chimicamente l’immagine del reale, si diffonde sempre più una visione pre-fotografica, determinata dall’utilizzo di tecnologie, come la camera ottica, che condizionano il modo di vedere e di restituire l’immagine della realtà. Già nel IV secolo a.C. Aristotele sembra parlare del principio stenopeico, rifacendosi alla possibilità di conservare la configurazione del Sole e della Luna, guardati attraverso un foro. Nell’XI secolo d.C. lo scienziato arabo Alhazen descrive la camera oscura utilizzata per osservare le eclissi del Sole: l’immagine esterna passando con la luce attraverso un foro, proietta, all’interno di una scatola chiusa, la prospettiva rovesciata della realtà sulla parete opposta. Leonardo da Vinci nel 1515, all’interno del Codice Atlantico, presenta un procedimento per disegnare edifici 7
Sistemi di visione Vermeer in Olanda, e Canaletto e Francesco Guardi in Italia. Il desiderio di catturare e fissare l’immagine della realtà direttamente su un supporto spinge ricercatori e scienziati a sperimentare nuove tecnologie e tecniche fotografiche per raggiungere questo obiettivo.
con tempi di posa notevolmente ridotti, da diverse ore a quindici/trenta minuti. L’invenzione è presentata e resa pubblica dallo scienziato François Arago, il 7 gennaio del 1839 all’Accademia delle Scienze di Parigi. Il successo del dagherrotipo è immediato, anche a livello di mercato. Iniziano a essere prodotti e venduti numerosi apparecchi fotografici, il cui costo elevato li rende oggetti esclusivi riservati ai ceti più abbienti, ma il peso della strumentazione, che raggiunge i 50 kg, ne rende difficile l’utilizzo.
Joseph Nicéphore Niepce, ricercatore e inventore francese, dopo aver compiuto numerosi esperimenti con diverse sostanze per verificarne la sensibilità alla luce, è il primo che riesce a bloccare fotograficamente l’immagine della realtà nel 1826, utilizzando una macchina fotografica con una lastra fotosensibile di metallo preparata con il bitume di Giudea. La sua fotografia della veduta dalla finestra di Le Gras, realizzata dopo diverse ore di esposizione alla luce, è la prima immagine del reale prodotta senza l’intervento mimetico dell’uomo. Niepce chiama questo procedimento ‘eliografia’, letteralmente ‘scrittura del sole’. Negli stessi anni Louis-Jacques-Mandé Daguerre, pittore talentuoso e inventore del diorama, un teatro con grandi scenografie dipinte mobili, che creavano effetti illusionistici, cerca di conoscere i metodi utilizzati da Niepce. Nel giro di poco tempo Daguerre riesce a perfezionare il procedimento ideato da Niepce inventando il dagherrotipo. Questo nuovo processo fotografico prevede l’utilizzo di una piccola lastra di rame placcata d’argento chimicamente puro, esposta ai vapori di iodio e di mercurio, che consente una resa più nitida e fedele della realtà,
Negli stessi anni in cui Daguerre cerca di perfezionare il processo fotografico scoperto da Niepce, l’inglese William Henry Fox Talbot, matematico e filologo, arriva a un’invenzione analoga. Nel 1833 Talbot, durante una passeggiata lungo il Lago di Como, realizza dei disegni con l’aiuto della camera oscura e riflette su come poter fissare direttamente l’immagine del reale sulla carta. Nel 1834 prepara alcune carte immergendole in una soluzione di cloruro di sodio (sale da cucina) e di nitrato d’argento. Grazie a questo procedimento, Talbot riesce a ottenere immagini fotografiche a contatto, disponendo semplicemente alcuni oggetti (fiori, foglie, piume, merletti) sulla superficie del foglio fotosensibile ed esponendola alla luce, senza l’utilizzo di uno strumento ottico. Si accorge che le parti del foglio direttamente colpite dalla luce anneriscono mentre quelle non esposte rimangono bianche. Scopre in questo modo il principio del negativo e del positivo.
Louis-Jacques-Mandé Daguerre, Veduta del Boulevard du Temple a Parigi, 1838 Public Domain
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Nadar, L’Arco di Trionfo e i grandi boulevards di Parigi visti dal pallone, 1868 Public Domain
È però l’astronomo e scienziato John F. W. Herschel a risolvere completamente il problema del fissaggio delle immagini fotografiche con l’utilizzo dell’iposolfito di sodio, che scioglie i sali d’argento sulla superficie del supporto fotosensibile. Nel 1840 Talbot perfeziona la sua scoperta inventando il calotipo, negativo su carta sensibilizzata con una soluzione di ioduro d’argento, un composto molto sensibile alla luce. Sarà Talbot nel 1844 a pubblicare il primo libro fotografico, intitolato Pencil of nature, con 24 calotipi ritraenti architetture, nature morte e opere d’arte, soggetti considerati ideali perché immobili, visti i lunghi tempi di esposizione necessari per impressionare le immagini. Con la sua pubblicazione si inaugura una prima considerazione estetica del linguaggio fotografico, inteso come strumento di narrazione e non più solo come tecnica di riproduzione del reale, un cambiamento di approccio fondamentale che apre lo spazio a nuove forme di racconto.
più sensibili alla luce, che permettono di fotografare con tempi al di sotto del minuto.
Oltre a Niepce, che realizza la prima fotografia, a Daguerre che perfeziona il processo tecnico, e a Talbot che ottiene il primo negativo fotografico, rendendo di fatto la fotografia riproducibile in copie, va ricordato anche Hippolyte Bayard, inventore francese che riesce a ottenere, nel 1839, i primi positivi diretti su carta. Il 18 ottobre del 1840 Bayard realizza una fotografia di denuncia, come atto simbolico di accusa verso il governo francese, che non gli riconosce, a differenza di Daguerre, un corrispettivo economico per le sue invenzioni fotografiche. La lunga narrazione scritta che accompagna il suo autoritratto in veste d’annegato, la rende la prima immagine di satira fotografica della storia.
Nel 1854 André-Adolphe-Eugène Disderi brevetta la carte de visite, tecnica che consente la ripresa simultanea, con un’unica macchina fotografica costituita da quattro obiettivi, di otto immagini sulla stessa lastra, di formato di 8,5 cm x 6 cm, permettendo in questo modo la realizzazione di ritratti in serie. Il nome rimanda alle piccole dimensioni dei biglietti da visita. Una volta sviluppate, le fotografie sono incollate su piccoli cartoncini e spesso spedite come cartoline personali. Un’invenzione che porta ad un abbattimento dei costi e alla diffusione della fotografia come fenomeno di massa, sempre più alla moda e alla portata di tutti, con la conseguente apertura di numerosi atelier fotografici in tutto il mondo.
Per aumentare la luminosità, nei primi studi di ritrattistica, sono utilizzati specchi per riflettere la luce, permettendo così di accorciare i tempi di posa. Diventa necessario trovare nuovi accorgimenti tecnici capaci di superare certi limiti, andando incontro alle richieste di un nuovo mercato crescente. A partire dal 1840 cominciano a essere prodotti obiettivi sempre più luminosi e lastre
Dalla fotografia come prima traccia del reale (Niepce), si passa a una ricerca più attenta all’elemento estetico e narrativo (Talbot), fino ad arrivare alla diffusione di ritratti che diventano sempre più un fenomeno di massa (Disderi), testimonianza di un diverso modo di pensare e comunicare anche l’immagine di sé.
Nel 1851 una nuova stagione fotografica ha inizio con la scoperta, da parte dell’inglese Frederick Scott Archer, di un metodo che consente di sensibilizzare le lastre di vetro, con sali d’argento mescolati insieme al collodio e allo ioduro di potassio. Nel giro di poco tempo questo nuovo metodo prende il posto del dagherrotipo e del calotipo, rimanendo in auge fino al 1880. Le fotografie realizzate con questo preparato permettono di avere un alto grado di definizione, pari a quello del dagherrotipo, ma con tempi di esposizione molto ridotti. Le fotografie dell’Ottocento sono in gran parte stampate a contatto, ossia sovrapponendo il negativo sviluppato al supporto fotosensibile (positivo) da impressionare, per questa ragione le immagini hanno la stessa dimensione dei negativi.
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Eadweard Muybridge, Cavallo che salta, 1878 Public Domain
Nel 1860 Nadar apre il suo studio fotografico in una strada alla moda di Parigi: Boulevard des Capucins. Grande sperimentatore, Nadar è tra i primi a fotografare utilizzando la luce artificiale, che gli permette di raccontare i sotterranei di Parigi, dalle fogne alle catacombe. Nel 1858, dall’alto di un pallone areostatico, Nadar realizza la prima fotografia aerea, si tratta del villaggio di Petit Bicetre, alle porte di Parigi.
Questa invenzione tecnica anticipa il nascente linguaggio cinematografico, ossia quello della fotografia in movimento. Verso la fine dell’Ottocento le lastre al collodio sono sostituite da quelle alla gelatina, che permettono di mantenere la sensibilità a distanza di mesi, consentendo lo sviluppo dell’immagine anche dopo lungo tempo. Questa innovazione permette di non doversi più portare dietro una camera oscura (solitamente allestita all’interno di un carro) per lo sviluppo. I volumi delle macchine fotografiche cominciano a ridursi notevolmente, al punto da diventare portatili. La riduzione delle dimensioni dello strumento fotografico condiziona il modo di vedere e di pensare l’immagine. La macchina che acquisisce maggiore fama è la Kodak, costruita e ideata dall’americano George Eastman e commercializzata nel 1888; una camera con obiettivo a fuoco fisso, un otturatore cilindrico, e una pellicola interna di carta ricoperta da una gelatina sensibile alla luce. La macchina ha un formato talmente ridotto da poter essere portata in mano. L’apparecchio è venduto già carico e nel prezzo è incluso anche lo sviluppo delle immagini. Il motto dell’azienda, che porta ad una grande popolarità del prodotto è: ‘Voi premete il bottone, noi faremo il resto’.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento si diffonde la cronofotografia, che consente di bloccare movimenti molto rapidi, non percepibili dall’occhio umano. Questa nuova invenzione permette di scoprire prospettive totalmente inedite delle fasi di movimento del corpo umano e di quello animale. Il fotografo britannico Eadweard Muybridge dispone su una pista dodici macchine fotografiche, ciascuna con un otturatore molto veloce, collegate a fili metallici e a interruttori elettrici, per documentare le fasi di galoppo di un cavallo. L’animale in corsa, rompendo i fili, fa scattare gli otturatori, che impressionano i negativi fotografici. Le fotografie sono le prime a mostrare le fasi di galoppo di un cavallo, mettendo in luce, diversamente da come si credeva, come in un preciso momento le zampe dell’animale in corsa fossero tutte sollevate da terra. I risultati del lavoro di Muybridge, raccolti e pubblicati nel 1887 in una serie di undici volumi dal titolo Animal Locomotion, diventano la traccia concreta di una nuova narrazione possibile grazie all’evoluzione tecnologica.
Nel 1891 inizia a diffondersi l’utilizzo della pellicola trasparente su supporto chiaro di celluloide. Le prime macchine fotografiche della Kodak sono inizialmente sprovviste di mirino. Tra il 1890 e il 1900 è introdotto il mirino 10
Sistemi di visione con la medesima lunghezza focale della lente dell’obiettivo, che consente di vedere la stessa immagine inquadrata dall’ottica; questa innovazione tecnica comporta un nuovo modo di guardare per fotografare, e quindi un approccio diverso nel vedere per cercare l’immagine.
In questi anni sono molti i fotografi che cercano di realizzare immagini che ricordano, negli effetti e nella resa, dipinti o disegni. L’intervento di modifica dell’immagine per l’ottenimento di effetti estetici che ricordano quelli della pittura, apre una prospettiva di concezione della fotografia ancora molto attuale. Oggi l’utilizzo di software per il ritocco o la post produzione digitale della fotografia deriva proprio da questo tipo di approccio e di concezione dell’immagine.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento comincia a diffondersi la pellicola fotografica a rullo, che consente di ricaricare la macchina molto più velocemente, aspetto che condiziona il modo di fotografare e di organizzare il lavoro del fotografo. Grazie a queste nuove innovazioni tecniche nasce, sempre alla fine dell’Ottocento, il fotogiornalismo, con la conseguente diffusione di riviste illustrate in tutto il mondo.
Alfred Stieglitz, fotografo americano fondatore del movimento Photo Secession inaugurato nel 1902, e della rivista trimestrale Camera Work, definisce importanti linee estetiche e di ricerca fotografica a livello mondiale, che portano ad una riflessione sulla fotografia come linguaggio artistico e sulla tecnica come strumento per dare forma all’opera. L’esperienza di apertura verso le ricerche dell’avanguardia europea consente di portare in America importanti riflessioni sulle possibilità del linguaggio fotografico, anche da un punto di vista tecnico. Sulla linea delle fotografie a contatto realizzate da Talbot agli inizi dell’Ottocento, Christian Schad, artista del gruppo Dada di Zurigo, realizza delle fotografie off-camera, senza l’utilizzo dello strumento fotografico, disponendo sul foglio fotosensibile pezzi di carta e ritagli di giornale o manifesti, creando così composizioni materiche e testuali con un forte grado di astrazione. Intorno al 1921 l’americano Man Ray e l’ungherese Moholy-Nagy co-
Un’altra invenzione fondamentale, che inaugura un nuovo ambito di produzione e fruizione dell’immagine fotografica, è quella del Cinématographe di Louis e Auguste Lumière. Il 28 dicembre del 1895 i due fratelli presentano una serie di brevi filmati al Grand Café di Parigi: un treno che arriva in stazione, operai in uscita dalla fabbrica, un battello che rientra in porto. Nasce così il cinema e con questo una nuova prospettiva di visione e di fruizione dell’immagine. Negli stessi anni si apre un importante dibattito sul ruolo artistico della fotografia quando, nel 1893 il Photo Club di Parigi annuncia la prima esposizione di arte fotografica. László Moholy-Nagy, Fotogramma, 1924 ca. CC0 1.0
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Leica I, 1927 CC BY-SA 4.0
minciano a sperimentare nuove tecniche off-camera, le rayografie e i fotogrammi, con cui ottengono nuovi effetti visuali. La ripresa di una tecnica ottocentesca (off-camera) assume in questo caso un differente grado di resa, che intende essere, più che una traccia concreta del reale, come nel caso delle immagini a contatto di Talbot, quasi un’evocazione di presenza. L’errore, la ricerca dell’effetto legato all’intervento del caso, diventano importanti elementi del processo di creazione dell’immagine, che superano l’aspetto tecnico. La fotografia è vista dagli artisti delle avanguardie come uno strumento per allargare i limiti della visione. La diffusione del collage e del fotomontaggio, utilizzato in larga parte dagli artisti del movimento dadaista e surrealista, diventa un modo per annullare il processo tecnico di ripresa a favore di uno immaginativo e narrativo, in cui la costruzione dell’immagine segue un principio di architettura visuale.
Questo tipo di macchina di piccolo formato, molto maneggevole e precisa nella resa dell’immagine, è quella preferita dai fotoreporter. Con la diffusione e il perfezionamento del flash, a partire dal 1925, la fotografia può essere realizzata in ogni luogo, anche in assenza di luce. A partire dalla metà dell’Ottocento si cerca di riprodurre anche il colore in fotografia. Fino a quando non è possibile farlo chimicamente, la restituzione dei colori è affidata ad abili artigiani che dipingono a mano i positivi in bianco e nero. Tra i più importanti processi relativi alla fotografia a colori vi è quello del perfezionamento della pellicola ricoperta con tre strati di emulsione. Nel 1935 è messa in commercio la pellicola Kodachrome, per apparecchi da cinepresa e fotografici, e successivamente nel 1941 la pellicola Kodacolor, che consente il trasferimento dei colori in positivo. Dalla fotografia a colori si passa, nel giro di pochi anni, alla fotografia istantanea. Nel 1947 Edwin H. Land idea il procedimento della Polaroid che permette di avere in pochi istanti un positivo su carta. Dalla diretta materializzazione dell’immagine dell’istantanea, senza il processo di sviluppo in camera oscura, si passa in poco più di trent’anni alla fotografia digitale.
Negli stessi anni l’evoluzione tecnologica porta all’introduzione sul mercato di apparecchi fotografici sempre più piccoli e completi. La Leica, progettata alla vigilia della Prima guerra mondiale da Oskar Barnack, tecnico operatore presso lo stabilimento ottico di E. Leitz a Wetzlar, in Germania, è tra i primi apparecchi fotografici di piccolo formato a utilizzare una pellicola da 35 mm, con la possibilità di impressionare fino a 36 negativi in rapida successione. Tra i primi perfezionamenti tecnici rivoluzionari c’è quello di rendere gli obiettivi intercambiabili, dando in questo modo al fotografo la possibilità di scegliere il tipo di ottica a seconda delle situazioni, innovazione che inciderà molto anche sulla struttura narrativa del lavoro fotografico. Un ulteriore perfezionamento è l’apparecchio reflex monobiettivo con mirino all’altezza dell’occhio, capace di restituire la stessa immagine inquadrata dall’obiettivo.
L’origine della fotografia digitale risale alle prime missioni spaziali in cui le immagini sono trasmesse tramite satellite. Le prime fotografie della Terra vista dalla Luna risalgono al 23 agosto del 1966, realizzate dalla sonda Lunar Orbiter della NASA, per la mappatura del suolo lunare e la valutazione dei punti più adatti per l’allunaggio delle successive missioni Apollo. Queste immagini fotografiche analogiche, archiviate su nastri magnetici, sono inviate dal satellite alla base centrale via radio, tramite un sistema di sviluppo automatizzato, integrato all’appa12
Sistemi di visione recchio istallato sulla sonda. La fotografia scattata dalla sonda, con apparecchiature della Kodak, mostra per la prima volta la Terra, da una prospettiva non umana ma meccanica ed è la prima immagine in cui è contenuta tutta la storia dell’uomo. Tre anni dopo con la Missione Apollo 1, il 20 luglio del 1969, l’astronauta Neil Armstrong scatta la prima foto dell’uomo sulla Luna, con una fotocamera Hasselblad, documentando così la passeggiata sul suolo lunare.
digitali consentono di visionare direttamente lo scatto su monitor, eliminando la fase concreta di sviluppo e di attesa dell’immagine. Lo strumento fotografico è sempre più un vettore di connessione con il web, dalle reflex alle compatte, fino ai telefoni cellulari con fotocamere integrate, ampiamente utilizzati per la produzione e la condivisione immediata delle immagini online. La fotografia diventa sempre più immateriale, concepita come un qualcosa che rimane sulla rete, priva di una sua fisicità. La diffusione di nuovi strumenti fotografici, come i droni, ha aperto prospettive inedite che stanno condizionando il modo di guardare il mondo e di raccontarlo. L’evoluzione tecnologica ha portato all’eliminazione della presenza del fotografo: con diverse tecnologie oggi è possibile scattare fotografie, o realizzare filmati, rimanendo a grande distanza dall’oggetto. Questo aspetto ha comportato un cambio di paradigma in cui la presenza fisica del fotografo non è più fondamentale e la strumentazione fotografica è sempre più ibrida e meno riconoscibile nell’immediato.
Le prime sperimentazioni per la realizzazione di una macchina fotografica digitale risalgono alla metà degli anni Settanta, e sono condotte dal ricercatore della Kodak Steve Sasson, il quale dà vita a una macchina capace di archiviare l’immagine non più su pellicola fotosensibile ma su una scheda di memoria interna. Il sensore della macchina in questo caso cattura la luce e, quindi, l’immagine, trasformandola in segnale elettrico, tradotto a sua volta in un codice binario. Il brevetto è depositato nel 1978 ma solo nel 1981 la prima fotocamera digitale è immessa sul mercato dalla Sony. La macchina utilizza un supporto floppy per l’archiviazione dei dati digitali e permette di scattare fotografie con una risoluzione di 570x490 pixel, un formato bassissimo paragonato a quello in uso oggi dalle fotocamere. La prima reazione dei fotografi professionisti fu la stessa che ebbero i pittori nell’Ottocento quando fu presentata l’invenzione della fotografia: si sentirono minacciati da uno strumento che diventava alla portata di tutti, in cui l’immagine, non più conservata su un supporto fotosensibile ma su una memoria interna, poteva essere modificata più facilmente attraverso software digitali, riducendo apparentemente le competenze e l’originalità del fotografo. Come l’istantanea, che traduce nell’immediato la stampa fotografica su carta, in maniera analoga le macchine
Sonda Lunar Orbiter, Vista della Terra dalla Luna, 1966 Public Domain, NASA
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Dalle prime fotografie dell’Ottocento, in cui erano necessarie ore o decine di minuti di esposizione alla luce per bloccare la traccia della realtà, l’evoluzione tecnologica dell’uomo ha portato alla creazione di satelliti in grado di restituire immagini fotografiche ad altissima risoluzione dell’intero globo terreste, in tutte le sue parti. Dalla mappatura dettagliata e completa del mondo, l’uomo è arrivato a fotografare la materia del sole e quindi della luce, alla base del linguaggio fotografico. La sonda Solar Orbiter, lanciata in orbita dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea) nel febbraio del 2020, ha raggiunto i 77 milioni di chilometri di distanza, dei 150 milioni che separano la Terra dal Sole, restituendo immagini inedite della superficie solare.
Grazie alla tecnologia, l’uomo ha portato il suo sguardo a milioni di chilometri di distanza da casa, ai confini della stella madre, arrivando a fotografare, senza essere presente, le sue eruzioni, e quindi l’origine stessa della vita. Quali altre prospettive si potranno ancora scoprire con la fotografia? Come cambierà e quale sarà il modo di raccontare con le immagini il nostro tempo?
Sonda Solar Orbiter, Superficie solare, 2020 Public Domain, ESA/ATG Medialab
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domande per gli studenti In che modo lo strumento fotografico può condizionare la ricerca e lo scatto di una fotografia? Come ti immagini la fotografia nel futuro? Come cambierà il modo di fotografare?
attività didattica Quale immagine fotografica ‘impossibile’ vorresti realizzare? Utilizzando la tecnica del collage o un programma di post-produzione, crea una fotografia che non potrebbe mai essere stata scattata. Esempio: Un selfie di Giulio Cesare accanto a Marilyn Monroe, su un monopattino elettrico.
consigli di visione Foto Storie di un istante, un film di Juliette Garcias (LaEffeTV), 6 episodi da 26’ clicca qui per guardare il video su YouTube
Bibliografia Benjamin, Walter, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Vicenza, 2006 Cray, Jonathan, Le tecniche dell’osservatore. Visione e modernità nel XIX secolo, Einaudi, Trento, 2018 Fontcuberta, Joan, La furia delle immagini. Nota sulla postfotografia, Einaudi, Torino, 2018 McLuhan, Marshall, Gli strumenti del comunicare, Mondadori, Milano, 2006 Newhall, Beaumont, Storia della fotografia, Einaudi, Trento, 2006 Quintavalle, Arturo Carlo, Il territorio della fotografia in Enciclopedia pratica per fotografare, Fabbri, Milano, 1979 Quintavalle, Arturo Carlo, Messa a fuoco, Feltrinelli, Milano, 1983 Ritchin, Fred, Dopo la fotografia, Einaudi, Vicenza, 2012 15