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APPROFONDIMENTO INSEGNANTI SCUOLA SECONDARIA PRIMO GRADO
GLI OGGETTI CHE SIAMO UNIFORM INTO THE WORK / OUT OF THE WORK
La scheda si rivolge a insegnanti e formatori di scuole secondarie di primo grado per fornire alcuni approfondimenti teorici a complemento del percorso Gli oggetti che siamo.
A partire da una selezione di opere della mostra Uniform Into the Work/Out of the Work, una serie di brevi attività per riflettere con gli studenti sul rapporto tra uniforme e identità individuale, sia nel contesto lavorativo che in quello sociale. Il percorso Gli oggetti che siamo, accompagnato dalla sezione Approfondimenti per insegnanti, si prefissa i seguenti obiettivi: • • • •
acquisire consapevolezza del potere espressivo e comunicativo delle immagini, attraverso la lettura degli elementi che le compongono; comprendere come poetiche e scelte artistiche rispondano a necessità estetiche e comunicative; riflettere sulla costruzione e sulla rappresentazione della propria identità; maturare una riflessione sul passato e sul presente, osservando i cambiamenti della società, delle mode e degli stili.
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In copertina: Paola Agosti, Giovane operaia ferraiola in cantiere, 1978 © Paola Agosti
> Globalizzazione > Identità > Lavoro > Moda > Ritratto > Società
Gli oggetti che siamo
Irving Penn, Pescivendolo, Londra, dalla serie Small Trades,1950 © Condé Nast, courtesy Pace Gallery, New York
Irving Penn, Macellai, Parigi, dalla serie Small Trades,1950 © Condé Nast, courtesy Pace Gallery, New York
Mestieri d’altri tempi
luce naturale. I soggetti ritratti sono lontani dal loro luogo di lavoro, ma mantengono i capi e gli strumenti del mestiere. Penn non è interessato al contesto in cui i personaggi operano, ma alle loro caratteristiche individuali e ai tratti tipici e distintivi della loro professione. Se a Parigi Penn nota una certa diffidenza nei soggetti da lui fotografati, scettici sul suo lavoro e attirati perlopiù dal compenso monetario, a Londra e New York i lavoratori mostrano orgoglio e compiacimento nell’essere ritratti.
L’americano Irving Penn (1917-2009), tra i più importanti fotografi di moda del Novecento, raggiunge la fama internazionale negli anni Cinquanta con noti servizi fotografici realizzati per la rivista Vogue. Dopo aver concluso il corso in Disegno Industriale presso la School of Industrial Art di Philadelphia, parte per il Messico per dedicarsi alla pittura, capendo presto che non è il suo linguaggio. Nel 1943 diventa assistente dell’art director di Vogue Alexander Liberman, che ne apprezza la creatività ideativa e compositiva e lo incoraggia a proseguire con la fotografia. Per più di sessant’anni collabora con la rivista, ritraendo personaggi importanti del mondo della cultura, della moda e dell’arte, tra cui Truman Capote, Marlene Dietrich, Yves Saint Laurent, Pablo Picasso e molti altri.
Le fotografie, che Penn accompagna da note in cui sono riportati il nome e la professione di ciascun soggetto, ci mostrano spesso piccole professioni già destinate a scomparire negli anni Cinquanta, tra cui gli spazzacamini londinesi e alcuni operai specializzati newyorchesi. Tra i ritratti troviamo quello di un pescivendolo, con il grembiule sporco e il pesce pulito in mano, e di una coppia di macellai dove il giovane, con la mano appoggiata sugli attrezzi legati alla cinta, sembra rimarcare l’amore per il proprio lavoro e per il sapere ereditato dall’esperienza dei più anziani.
La serie Small Trades nasce con l’intenzione di documentare e creare un ritratto del mondo del lavoro di metà Novecento. La serie è composta da oltre 200 immagini scattate nel 1950 e 1951 tra Parigi, Londra e New York. Negli stessi anni Penn pubblica una selezione di queste fotografie sulle pagine di Vogue. L’artista manda i suoi assistenti nelle botteghe e nei mercati alla ricerca di soggetti da fotografare, promettendo un pagamento in cambio del loro ritratto. Le persone invitate nel suo studio sono artigiani, commercianti e lavoratori che posano davanti a un telo chiaro illuminato da
La stessa cura che l’autore riporta nelle riprese fotografiche di moda, la ritroviamo in questo omaggio alle piccole professioni. In Small Trades tutti gli elementi concorrono a raccontare l’identità delle persone ritratte: non solo comprendiamo di cosa si occupano, ma ne percepiamo i pensieri e le emozioni. 3
Gli oggetti che siamo
domande per gli studenti Qual è la differenza tra gli abiti da lavoro e quelli che si indossano tutti i giorni? Esiste un legame tra la moda e gli abiti da lavoro? Conosci alcuni abiti o materiali che sono passati dall’ambito lavorativo a quello della moda?
attività didattica Ricerca o scatta tre fotografie per rappresentare tre mestieri che rischiano di scomparire in futuro.
consigli di lettura ‘Dove stanno andando a finire i lavori normali?’, articolo di Annamaria Testa, Internazionale 11/07/2016 clicca qui per leggere l’articolo su Internazionale
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Gli oggetti che siamo
Chiti nata a Dürrenäsch, Svizzera nel 1986
Marie-Laure nata a Schaffhausen, Svizzera nel 1976
Barbara Davatz, dalla serie Le apparenze non contano. Ritratti dal mondo globalizzato della moda, 2007 © Barbara Davatz
Identità nell’epoca della moda a basso prezzo
abiti prodotti dall’azienda per cui lavorano, che permette ai propri dipendenti di indossare come uniforme i capi venduti in negozio. I vestiti del tempo libero diventano gli abiti da lavoro, annullando in questo modo il confine tra contesto professionale e sfera privata.
La fotografa svizzera Barbara Davatz (1944) cresce negli Stati Uniti fino al 1963, quando decide di tornare in Svizzera per proseguire la sua formazione. La sua carriera fotografica è segnata da un forte interesse per il ritratto, che la porta a dedicare più di quarant’anni di ricerca artistica allo studio dei suoi soggetti.
Davatz ritrae i protagonisti dei suoi scatti fuori dal loro contesto quotidiano, in uno studio fotografico, escludendo ogni tipo di elemento esterno. I soggetti sono fotografati e illuminati frontalmente per valorizzare al massimo la posa, il corpo e l’espressione del volto. Ogni ritratto è accompagnato da alcune informazioni personali del soggetto come il nome, la data e il luogo di nascita.
Con il titolo della serie Le apparenze non contano. Ritratti dal mondo globalizzato della moda, l’artista fa riferimento allo slogan stampato sui sacchetti per gli acquisti di H&M, nota catena di moda a buon prezzo. Davatz utilizza questo titolo con ironia, evidenziando come un’azienda che produce abiti a livello globale cerchi, attraverso il marketing, di comunicare autenticità, attenzione ai singoli clienti e alle loro personalità. La serie è composta da 81 fotografie di giovani assistenti alle vendite di H&M, fotografati mentre indossano
Il lavoro vuole essere una riflessione sul livellamento delle differenze culturali attraverso il linguaggio globale della moda, che avvicina e uniforma superando i confini geografici, ma anche sull’aspetto dell’identità nazionale, sempre più multiculturale. L’intreccio di questi livelli è valorizzato dall’utilizzo del colore che evidenzia le differenze somatiche tra i soggetti e l’uniformità dei capi da loro indossati.
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Gli oggetti che siamo
domande per gli studenti Quanto la moda ci permette di esprimere la nostra identità? Seguire le mode ci permette di esprimere il nostro gusto o sentiamo di essere limitati nella scelta di ciò che indossiamo? Quanto pensi sia importante assomigliare, nel modo di vestire e nello stile, ai propri amici e coetanei? Perché?
attività didattica Visita il sito https://dressthechange.org e approfondisci il significato del termine ‘fast fashion’ e le conseguenze della moda a basso prezzo.
consigli di visione The life cycle of a t-shirt, video di Angel Chang, TED-ed, 2017, 6’ clicca qui per guardare il video su YouTube
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Gli oggetti che siamo
Oliver Sieber, Keiko, dalla serie J_Subs Osaka, 2006 © Oliver Sieber
Alla ricerca di identità, stili e culture
aspetto tipico di molte culture alternative.
Il fotografo tedesco Oliver Sieber (1966) utilizza il ritratto per esplorare il mondo delle subculture e dei giovani che ne fanno parte, accomunati dalla voglia di distinguersi dalla massa e dalle norme socialmente accettate, attraverso stili e linguaggi alternativi che condividono con il proprio gruppo. Questo lavoro di documentazione, iniziato nel 1999, porta il fotografo in ambienti underground e feste clandestine tra Los Angeles, Toronto, Tokyo, Osaka, New York e Berlino.
I soggetti fotografati da Sieber sono principalmente musicisti e giovani che partecipano a concerti e feste tra Tokyo e Osaka. Tutte le fotografie sono scattate in un set improvvisato nei diversi locali da loro frequentati. Lo sfondo neutro e l’inquadratura che ci mostra solo le spalle e il volto dei soggetti contribuiscono a esaltarne la fisionomia e lo stile. Gli abiti, gli accessori, il trucco e le acconciature scelte dai giovani ritratti rappresentano allo stesso tempo un linguaggio di comunicazione individuale e l’appartenenza a un gruppo.
Grazie a una borsa di studio ottenuta nel 2006, Sieber viaggia in Giappone dove realizza la serie J_Subs, il cui titolo fa riferimento al nome U.K. Subs, una delle prime punk band nate nel Regno Unito negli anni Settanta. I giovani giapponesi fotografati da Sieber si ispirano anche ad altri movimenti alternativi britannici, in particolare allo stile Teds, nato negli anni Cinquanta, che a sua volta riprende la figura del dandy di inizio Novecento. L’artista è particolarmente interessato al complesso sistema di rimandi storici, stilistici e culturali che viaggiano nel mondo globalizzato, trasformandosi e riadattandosi,
Per i protagonisti dei ritratti di Sieber, seguire una moda coincide con l’espressione della propria identità più profonda e comunica la scelta di allontanarsi da uno stile di vita convenzionale. Gli abiti diventano uno strumento per comunicare le proprie idee, aspettative e talvolta appartenenza di genere, questioni particolarmente sentite da adolescenti e giovani adulti. Allo stesso tempo le fotografie della serie J_Subs riflettono sull’omologazione che la moda può provocare: se da un lato seguire uno stile comune permette di esprimere la propria individualità, dall’altro raggruppa e uniforma personalità diverse. 7
Gli oggetti che siamo
domande per gli studenti Perché secondo te il soggetto non guarda verso l’obiettivo della macchina fotografica? Si può definire ‘uniforme’ ciò che indossiamo durante il nostro tempo libero? Quali sono gli elementi che rendono riconoscibile uno stile?
attività didattica Scegli una subcultura di tuo interesse e ricerca quali sono gli elementi che maggiormente la definiscono. Ti proponiamo alcuni stili tra cui scegliere, ma puoi ricercarne altri. Esempi: Punk, Mods, Hippie, Emo, Harajuku, Preppy, Biker
consigli di visione A Message To You Rudy, brano di The Specials, 1979, 2’47’’ clicca qui per vedere il video su YouTube
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Gli oggetti che siamo
André Gelpke, dalla serie In Germany, 1980 - 2010 © André Gelpke
Stati di appartenenza
posa composta delle persone mostrano i desideri della società in una forma di ordinata apparenza. L’immagine è realizzata in modo da non mostrare i volti dei soggetti ritratti: l’attenzione è concentrata sugli abiti, i gesti e le pose.
Il fotografo tedesco André Gelpke (1947) studia con Otto Steinert, protagonista della scena fotografica d’avanguardia tedesca del Secondo dopoguerra, presso la Folwang School di Essen, dal 1969 al 1974. Il suo interesse per la rappresentazione della società lo porta a realizzare importanti lavori di fotogiornalismo e al co-fondare l’agenzia fotografica Visum nel 1975 a Essen.
Nella seconda fotografia della stessa serie, vediamo un gruppo di giovani culturisti durante un concorso. L’elemento di appartenenza comune è, in questo caso, il corpo nudo e statuario, pronto a essere valutato dalla giuria. La nudità dei giovani diventa una sorta di uniforme comune.
Tra il 1980 e il 2010 Gelpke realizza un’ampia serie fotografica intitolata In Germany, nella quale traccia un attento ritratto della società tedesca. In questo lavoro Gelpke, con scatti realizzati durante occasioni sociali, feste, balli e vernissage, mette in evidenza le ambiguità dei comportamenti e dei rapporti umani.
In entrambe le immagini l’appartenenza di gruppo è mostrata in forme diverse, nella prima tramite gli abiti eleganti, le acconciature curate e le pose, nella seconda attraverso i corpi in mostra e le espressioni compiaciute. Con le sue fotografie, Gelpke racconta l’identità tedesca in modo non convenzionale, mostrando gli abiti, le pose e il linguaggio del corpo dei suoi personaggi, che manifestano così la loro appartenenza a un contesto sociale preciso.
Nella prima fotografia, Gelpke immortala una scena di ballo, nella quale vediamo al centro due coppie in abiti eleganti che danzano. In questo caso gli abiti formali e la
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Gli oggetti che siamo
domande per gli studenti Perché, nella prima immagine, il fotografo ha deciso di escludere i volti dei soggetti ritratti? Quali aspetti delle persone emergono in queste fotografie? In che modo gli abiti esprimono l’appartenenza a un contesto sociale?
attività didattica Ricerca su Internet tre fotografie che raccontano i protagonisti della tua attualità. Scrivi per ciascuna di queste una breve descrizione che motivi la tua scelta.
consigli di visione Il talento di Mr. Ripley, film di Anthony Minghella, 1999, 139’
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Gli oggetti che siamo
Walead Beshty, dalla serie Ritratti industriali, 2008, courtesy of the artist and Regen Projects, Los Angeles © Walead Beshty
Uno sguardo sul mondo dell’arte
taglio, con il soggetto ripreso al centro, a figura intera, ritratto nel suo ambiente di lavoro o di appartenenza. Nelle didascalie delle immagini è riportato il ruolo professionale dei soggetti ritratti e ne sono esclusi i dati anagrafici, come se l’identità personale di ciascuno di loro coincidesse unicamente con quella legata all’ambito lavorativo.
L’artista e curatore inglese Walead Beshty (1976) si trasferisce in America a metà degli anni Novanta per studiare arte. Dopo aver conseguito la laurea a Yale, inizia a insegnare in California in diverse università. Beshty è un artista eclettico che lavora con differenti linguaggi: pittura, scultura, fotografia, video e installazioni, che gli permettono di entrare in contatto, nel corso degli anni, con numerosi professionisti del mondo dell’arte.
Con questo progetto, l’artista ritrae il complesso sistema di ruoli che determina la produzione, diffusione e vendita dell’arte, fotografando artisti, curatori, galleristi e collezionisti. Allo stesso tempo racconta l’esistenza di una fitta rete di professioni fondamentali, spesso invisibili, che definiscono la struttura di questo sistema, come artigiani, allestitori, architetti, tecnici, tirocinanti.
Per raccontare questi incontri, nel 2008 inizia l’ambizioso progetto fotografico Ritratti industriali, una serie in continuo divenire (ad oggi conta circa 1.500 scatti), che si propone contemporaneamente come ritratto del sistema dell’arte e autoritratto del ruolo dell’artista. Beshty mostra qualcosa di sé, attraverso le persone con cui lavora quotidianamente e gli ambienti nei quali opera. Il titolo Ritratti industriali mette in evidenza un processo fotografico seriale e standardizzato, come in una catena di montaggio. Beshty realizza tutti gli scatti con una macchina fotografica analogica da 35 mm. Le fotografie, a colori o in bianco e nero, mantengono tutte lo stesso
Ritratti industriali rende visibili le contraddizioni del mondo dell’arte che spesso si immagina libero da uniformi e dettami sociali. Con la sua operazione artistica, Beshty nega la ricerca di anti-uniformità e unicità, mettendo in secondo piano l’identità individuale dei soggetti, facendoli apparire come parte di un sistema omologato, definito da professioni, contesti e abiti che manifestano un’appartenenza precisa.
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Gli oggetti che siamo
domande per gli studenti Perché Beshty ha deciso di ritrarre sia le persone che i luoghi del mondo dell’arte? Quali ‘uniformi’ potrebbero indossare gli artisti?
attività didattica Quali sono i mestieri legati al mondo dell’arte? Quali compiti devono svolgere queste figure? Fai una breve ricerca.
consigli di lettura L’arte. Conversazioni con mia madre, libro di Juanjo Saéz, Salani Editore, 2007
Bibliografia Beshty, Walead, Industrial Portraits, Volume One 2008-2012, JRP | Ringier, 2017 Krauss, Rosalind, Teoria e storia della fotografia, Bruno Mondadori, Milano, 2006 Heckert, Virginia; Lacoste, Anne, Irving Penn: Small Trades, Getty Publications, 2009 Newhall, Beaumont, Storia della fotografia, Einaudi, Trento, 2006 Stahel, Urs, Abiti da lavoro, costumi, uniformi. Da abbigliamento funzionale a simbolico, da tute casual a capi di riferimento per la moda, MAST, 2020 Sitografia Barbara Davatz: As Time Goes By [Link] Oliver Sieber: Untitled (Spiky), Osaka, 2006 [Link] Oliver Sieber [Link] André Gelpke, IN GERMANY 1980 – 2010 [Link] Walead Beshty: Picture Industry [Link] 12
Gli oggetti che siamo
domande generali per gli studenti
Walead Beshty, dalla serie Ritratti industriali, 2008, courtesy of the artist and Regen Projects, Los Angeles © Walead Beshty
Che cosa è un’uniforme? In quali ambiti si utilizza? Esiste una differenza tra divisa e uniforme? Quali possono essere le funzioni dell’uniforme, oltre al riconoscimento di un ruolo? Quali possono essere i vantaggi e gli svantaggi dell’utilizzo di un’uniforme sul lavoro? Attraverso il ritratto, che cosa si può raccontare dell’identità e della storia di una persona? Che ruolo hanno la posa e lo sguardo in un ritratto fotografico?
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