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ANDO GILARDI FOTOSTORIE D’ARCHIVIO
Ando Gilardi è oggi considerato un importante riferimento nell’ambiente fotografico.
La grande curiosità verso il mondo e la storia delle immagini lo ha portato a dedicare gran parte della sua vita a scriverne e raccontarne in modo originale, ironico e a volte irriverente. Le sue fotografie sono importanti documenti che raccontano la storia dell’Italia del Novecento, il mondo del lavoro e quello delle persone. Gilardi non è solo un fotografo, ma anche un attento collezionista di immagini: la sua passione iconografica lo spinge a raccoglierne moltissime, di differenti tecniche ed epoche storiche, oggi conservate a Milano per mezzo della loro riproduzione, nella Fototeca Gilardi. Nel suo lavoro hanno grande importanza la riflessione sull’immagine in relazione alle tecniche di produzione e il modo di avvicinare i più giovani alla fotografia, per far scoprire loro le tante possibilità espressive, narrative e di lettura del mondo che questo linguaggio può offrire.
parole chiave Trasporti. La bicicletta draisina, con propulsione a spinta, senza pedali né freni. Prodotti Liebig: gli alleati fedeli della massaia. Cromolitografia, figurina Liebig della serie “Come viaggiavano i nostri nonni”, n. 4, Italia 1935
> Matrice > Originale > Riproducibilità > Tecnologia
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conoscere Esistono più immagini di elefanti che elefanti Prima della parola scritta, l’immagine disegnata, incisa o dipinta, è l’iniziale forma in cui la realtà è tradotta su un supporto materiale, che riflette il sentire e il modo di vedere di chi traccia quei segni, ma anche quello di una cultura e di un tempo. Queste figurazioni intendono comunicare sensazioni, emozioni e desideri. Le pitture rupestri del Paleolitico superiore imitano il reale e cercano di superarlo, caricandosi di un valore magico e rituale nel quale la natura torna, in una forma diversa, soggettivata, insieme ai processi che permettono all’uomo di controllarla e indirizzarla verso i propri bisogni o desideri.
Perché l’uomo del Paleolitico sente il bisogno di tradurre la realtà con le immagini? Forse perché il linguaggio non è più sufficiente a renderne l’idea e, dunque, sceglie di dare forma a un rituale, traducendo il proprio sentire con una scrittura figurativa che restituisce, nell’immediato, quello che la parola non può esaurire. L’immagine diventa ciò che rappresenta, rimane sulla pietra, e, nel suo essere, attiva un processo di trasformazione del reale. La grotta diventa il corpo della figurazione, un nuovo paesaggio animato, che appare ogni volta in cui la pietra è illuminata dal fuoco delle torce e dalla presenza di chi, guardando quei segni, attribuisce loro un significato.
Pittura rupestre risalente al Paleolitico superiore, bisonte, grotte di Altamira, Spagna Da WikiCommons 3
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conoscere I soggetti disegnati incarnano certi tipi di animali e, al tempo stesso, sono altro, imitano la realtà creandone una nuova. Queste rappresentazioni, nonostante siano così lontane nel tempo, ancora oggi emozionano, perché in quelle forme essenziali si percepisce un nuovo inizio, quello della civiltà, della cultura dell’immagine e del suo potere.
di lavorazione dei pigmenti (polveri fini di composti organici o inorganici) per la distribuzione del colore, tramite fluidi e leganti. L’immagine è sempre il risultato di una cultura e di un tempo storico preciso, ma anche di una tecnica con cui la si traduce. La visione di queste prime grandi pitture rupestri, così come quella degli affreschi realizzati all’interno di chiese o palazzi, implica necessariamente un viaggio verso le immagini, nei luoghi che le contengono e le definiscono. È l’uomo che va verso le raffigurazioni per vederle e goderne e non il contrario. Il processo opposto avviene con l’evoluzione tecnica che determina l’incremento della produzione e, di conseguenza, di diffusione delle immagini.
Da questa prima forma di scrittura, il disegno e la pittura si evolvono nel corso dei millenni, nello stile e nella tecnica, riflettendo così non solo la storia dell’uomo, ma anche quella della tecnologia. Dalla pietra come supporto, si passa ad altre superfici: legno, argilla, carta, tela, vetro, metallo, fino ai tessuti, cui corrispondono altrettante tecniche
Orzo. Pagina intera da “Dei discorsi nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della Materia Medicinale”, a cura del medico e fitologo Pietro Andrea Mattioli (Siena 1501 - Trento 1578). Illustrazioni di Giorgio Liberale da Udine e Wolfgang Meyerpeck, da una edizione stampata Venezia da Marco Ginammi, xilografia, 1645
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Cereali. Tavola raffigurante le spighe di cereali commestibili a confronto: frumento, segale, spelta, farro in diverse varietà. Incisione su metallo, Italia 1900 circa
Come scrive il filosofo Walter Benjamin, il valore unico dell’opera d’arte trova un suo fondamento nel rituale, nell’ambito del quale ha avuto il suo primo e originario valore d’uso. Le opere d’arte più antiche nascono in relazione a un rito, prima magico e poi religioso. Gli animali disegnati sulle pareti della caverna nell’età della pietra diventano quindi strumenti magici di connessione. L’unicità di queste tracce, l’aura dell’opera, come la definisce Benjamin, ne accresce il potere evocativo, legato al hic et nunc (il “qui e ora”), all’esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova, che può venir meno nell’epoca della riproducibilità tecnica. Il concetto di aura si lega quindi a una dimensione spazio-temporale precisa, in relazione alla quale si colloca lo spettatore.
Lo sviluppo della tecnologia crea una nuova domanda e, di conseguenza, nuovi bisogni. Secondo il sociologo Marshall McLuhan, l’artista è il solo che riesca a sfuggire alla violenza della tecnologia. Il medium (“il mezzo”) plasma l’azione dell’uomo e, al tempo stesso, ne è una sua estensione, condiziona l’agire e la percezione della realtà diventando il messaggio. L’uomo è quindi costantemente modificato dall’uso della tecnologia che produce. La stampa è tra le prime e più antiche tecniche di diffusione delle immagini e dei testi scritti. Anche questa ha subìto nel tempo un’evoluzione che ha portato alla realizzazione di altre matrici, con cui produrre le copie, sempre più dettagliate e ricche, nonché resistenti. L’evoluzione tecnologica ha permesso, parallelamente alla possibilità di lavorare nuovi materiali, di perfezionare e accrescere il numero delle copie prodotte e, quindi, la diffusione delle opere.
Gli antichi greci conoscevano procedimenti per la riproduzione tecnica delle opere, come la fusione e il conio per la produzione di monete. Tutti gli altri manufatti erano unici e tecnicamente non riproducibili.
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conoscere Ma è solo con l’invenzione della fotografia agli inizi dell’Ottocento che si entra di fatto nell’Era della diffusione globale dell’immagine. Anche la parola fotografia deriva dal greco: phos (luce) e - grafia (scrittura), letteralmente scrittura di luce. Come scrive Benjamin, l’effetto shock della fotografia è la resa fedele del reale. La prospettiva riprodotta, per la prima volta nella storia, non è più il risultato di un processo imitativo manuale, ma di uno ottico, tecnologico e chimico, che permette l’impressione della traccia del reale in automatico su una superficie fotosensibile.
seph N. Niépce ed esposte all’interno di una camera ottica, alle piccole lastre di rame placcate d’argento sensibili alla luce di Louis Daguerre, fino ai calotipi su carta di Henry Fox Talbot e ai positivi diretti di Hippolyte Bayard, nel giro di pochi anni la fotografia muta notevolmente, passando da monotipica (immagini uniche) a riproducibile in serie, con l’invenzione del negativo. I tempi di posa si riducono enormemente, dalle ore di esposizione delle prime eliografie impresse da Niépce, ai 15 minuti di posa con il daguerrotipo, fino ad arrivare a tempi di scatto velocissimi, sotto al secondo, già nella seconda metà dell’Ottocento, con la cronofotografia. Cambiano le tecnologie, le tecniche e i supporti, ma quello che non muta nel tempo è la natura dell’immagine fotografica, che rimane e sarà sempre una scrittura di luce.
Anche per la fotografia le tecniche e i supporti evolvono e cambiano nel corso del tempo. Dalle lastre di stagno sensibilizzate con il bitume di Giudea da Jo-
Figli di agricoltori. Bambini in posa con grandi grappoli di uva da tavola, dopo la vendemmia. Fotografia ricordo di anonimo, Italia 1920 – 1930
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conoscere Manifesto pubblicitario per l’uva da tavola prodotta da Fratelli Perino Torino. Illustrazione di Gian Rosa, Italia, fotolitografia, Torino 1951
Con la fotografia le prospettive del mondo iniziano a essere condivise e diffuse. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento cresce il numero di atelier fotografici nelle città, per la stampa e la vendita di apparecchi. La fotografia diventa sempre più alla portata delle persone, sia da un punto di vista economico che tecnico e, di conseguenza, aumenta la produzione stessa di immagini.
può cambiare il senso di ciò che l’immagine mostra. Fino agli anni Settanta del Novecento la fotografia è di tipo analogico, ovvero mantiene una matrice, il negativo fotosensibile, con cui è possibile stampare un numero molto alto di positivi. Grazie all’ingrandimento, il negativo permette di ottenere dimensioni notevolmente maggiori rispetto alla matrice originaria impressa.
Con la possibilità di stampare le fotografie sui giornali, agli inizi del Novecento, la diffusione dell’immagine del reale diventa letteralmente globale. Si definisce un credo: se è stato fotografato, esiste. Ma è davvero così? Questo porta a riflettere sulle possibilità creative e comunicative del mezzo e sulla natura potenzialmente infedele dell’immagine fotografica. I fotografi e gli artisti intuiscono molto presto che la fotografia è solo una mezza verità, alla quale si possono aggiungere altre informazioni: di tipo grafico visuale, scritte direttamente sull’immagine tramite interventi su negativo o positivo, ma anche testuale. Una didascalia in relazione alla fotografia
Tra gli autori che più hanno riflettuto sul livello polisemantico dell’immagine e sulle possibilità espressive e narrative della fotografia e del mezzo fotografico, c’è Ando Gilardi (1921-2012), fotografo, grande sperimentatore e studioso impegnato che a questi temi ha dedicato tutta la vita. Nei suoi scritti Gilardi sottolinea come il negativo, oltre a essere un mezzo semplice e veloce di riproduzione del reale, permette di trasportare l’immagine stessa da un luogo a un altro, determinando, a partire dal Novecento, la crescita esponenziale non solo della produzione di immagini, ma anche del loro consumo. Per l’immagine fotografica, molto più che per quella dipinta, dise7
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conoscere prevalere della supermatrice fotografica su ogni altra, la trasmissione dei messaggi visivi attraverso i canali del nuovo mezzo, diventi continua e il consumo delle immagini si trasformi in consumismo. Le immagini sono infatti il primo prodotto diffuso su larga scala dalla nuova civiltà industriale.
gnata o stampata vale, secondo l’autore, la legge da lui chiamata di Newhall, in virtù della quale vedere la fotografia significa vedere realmente la cosa davanti a sé: non l’imitazione del reale, ma la sua riproduzione, la traccia effettiva della sua presenza. Per lui la storia della fotografia è prima di tutto la storia di una matrice, che chiama supermatrice, nella quale confluiscono tutte le possibilità grafiche di quelle manuali precedenti (xilografia, calcografia, litografia) per la fabbricazione delle immagini di consumo. In base a questo principio, ogni nuovo mezzo di produzione delle immagini non solo aumenta la qualità delle stesse, in termini di informazioni ed effetti, ma rende il processo più conveniente perché dispone di tutta l’eredità delle precedenti tecniche di stampa. Lo stesso è avvenuto con il passaggio dall’analogico al digitale. Gilardi evidenzia come, con il definitivo
Anche per la fotografia, la carta è inizialmente la condizione essenziale per l’immagine di esistere, il supporto attraverso il quale si garantisce una sua diffusione. Questo aspetto muta con l’invenzione e lo sviluppo del digitale negli anni Ottanta e Novanta del Novecento. Si assiste allora alla smaterializzazione della matrice: il negativo scompare a favore di un file immateriale composto da una sequenza numerica binaria di 0 e di 1. Rispetto al negativo analogico, il file digitale consente di ottenere un numero pratica-
Ando Gilardi. Mondine delle noci, al lavoro sulla pulitura dal mallo. «La monda delle noci è la principale occupazione dell’entroterra napoletano: dopo quello delle mondatrici dell’uva da tavola, anche questo delle mondanoci è un lavoro assai poco conosciuto…». Testo e immagini da: “La Monda delle Noci”, fotoinchiesta per il periodico “Lavoro”, realizzata in Italia a Qualiano (Napoli), 3 ottobre 1954 8
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conoscere Ando Gilardi. Giovanissima raccoglitrice di olive in Calabria, pur continuando il suo lavoro di raccolta chinata a terra, alza lo sguardo verso il fotografo. Fotografia tratta da “Inchiesta tra gli ulivi” fototesto pubblicato in tre puntate a partire dall’1 dicembre 1957, sul periodico “Lavoro”, contestualmente all’indagine condotta da una commissione sindacale per verificare le condizioni di vita e di lavoro delle 400.000 raccoglitrici di olive nel Mezzogiorno. Italia, Catanzaro, novembre 1957
mente infinito di repliche della fotografia realizzata. Questo porta a un forte aumento nella produzione di immagini che si incrementa in maniera esponenziale con l’invenzione del Web e, successivamente, dei social network. Lo scambio istantaneo di informazioni attraverso la rete permette una comunicazione inedita nella storia dell’uomo, nella quale l’immagine prevale sulla parola. Ogni giorno sono miliardi le fotografie realizzate, condivise e caricate in rete, che avvalorano la massima gilardiana secondo la quale “esistono più immagini di elefanti che elefanti”. Questo accumulo costante e crescente di informazioni porta a un consumo bulimico di immagini nel quale si perde la consapevolezza del loro significato e valore: l’eccedenza di informazione si trasforma in non informazione. Nell’Era digitale la possibilità di intervento e di modifica della fotografia, e con questo la sua diffusione, è sempre più alla portata di tutti. I produtto-
ri aumentano in proporzione all’incremento delle tecnologie immesse sul mercato. Questa moltiplicazione della copia ha raggiunto oggi il suo apice con la rete digitale globale, che mantiene e alimenta un processo apparentemente senza fine. Esisteranno dunque sempre più immagini di elefanti che elefanti. Studiare le immagini significa riflettere sul loro significato, in relazione al tempo nel quale sono state prodotte. Gli archivi sono i luoghi della memoria in cui conservare, custodire e tutelare queste tracce tecniche di tempo e di storia, necessarie per accrescere il patrimonio della conoscenza. La Fototeca Gilardi ne è un prezioso esempio.
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fare Ando Gilardi ha dato vita a un vastissimo archivio, la Fototeca Gilardi, in cui è possibile fruire di migliaia di immagini organizzate in diverse categorie. Sono frutto di una lunga raccolta e di un interesse profondo verso ciò che le immagini, e le fotografie in particolare, possono rappresentare e comunicare alle persone.
1. Seleziona alcune immagini tratte dall’archivio di Ando Gilardi che ti proponiamo, attraverso il seguente link.
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Realizza una narrazione attraverso le immagini che hai scelto, creando una sequenza e aggiungendo per ognuna un testo che ne racconti la storia.
3. Scegli un titolo per il tuo racconto e presentalo ai tuoi compagni.
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fare esempio di laboratorio Ricordi dolci e salati
Io e Anna siamo cresciute insieme, come sorelle. Al mattino, tutti i giorni, percorrevamo la via lungo i campi per andare a scuola, rientravamo a casa nel pomeriggio e aiutavamo a preparare la cena. In casa non si parlava d’altro che di cibo, di quanto ce ne fosse rispetto a pochi anni prima, ma anche di piatti e ricette da preparare nei momenti di festa. I nostri genitori avevano vissuto la Seconda guerra mondiale, ci raccontavano spesso della fame patita per anni e usavano quel ricordo per insegnarci a non sprecare il cibo e a rispettare le persone che lo lavorano.
Anche noi, come i nostri genitori, siamo cresciute nei campi, con le mani impegnate sempre nel lavoro. Un giorno un ragazzo giovane, di un biondo delicato, con gli occhi chiari, ci scattò questa foto e ci promise che ce ne avrebbe spedite due copie, una per me l’altra per Anna, come ricordo. Conservo ancora questa immagine, insieme a poche altre fotografie. Il lavoro ci ha accompagnate in tutti i momenti della nostra vita. A volte il gioco si univa all’impegno: avevamo imparato a trasportare le zucche sulla testa per fare meno fatica. I ragazzi quando ci vedevano insieme ci chiamavano le “belle zucche”.
Le nostre madri, durante le feste di paese cucinavano insieme, anche loro si divertivano mentre preparavano le pietanze. Erano le prime ad alzarsi per iniziare a cucinare e le ultime a sedersi per mangiare. Dalla nostra cucina ogni tanto si sentivano le loro risate piene, il momento della preparazione era anche quello delle confidenze e dei pettegolezzi, era il loro spazio di libertà che tutti noi rispettavamo.
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fare Alla fine della giornata di lavoro nei campi, ci chiedevano aiuto per servire il pasto. I lavoratori si sedevano intorno a dei tavoli di legno. Noi aiutavamo a distribuire i piatti con il riso alla zucca, agli asparagi, alle patate, a seconda delle stagioni, insieme a pane, formaggio e vino. Poi si rimaneva in attesa del verdetto. Giovanni era sempre il più affamato, quello che, pur di assaggiare per primo, era disposto a scottarsi la lingua ogni volta. Era anche il primo ad applaudire noi e le nostre mamme, brindando al nostro lavoro in cucina e promettendoci ogni volta un gelato alla panna come regalo, anche d’inverno. Un giorno ce lo portò davvero: ricordo ancora il sapore dolce, il freddo sui denti, quel gusto di latte. Le locandine pubblicitarie di questo nuovo prodotto erano un po’ dappertutto in paese. Un giorno decisi di staccarne una e di conservarla, come una fotografia. Ce l’ho ancora oggi, dopo tanti anni. Mi ricorda di quel tempo semplice, un po’ dolce e un po’ salato.
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