N°18 - luglio
Tennis World "E' nel momento delle decisioni che si plasma il tuo destino"
Andy Murray Destinato ad essere un campione
Viktor Troicki «Fossi state un top player tutto questo non sarebbe accaduto»
Tecnica Tennis Il ruolo del braccio non dominante
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Destinato ad essere un campione di David Cox
Intervista a Andy Murray
Per il pubblico sportivo inglese spesso lunatico, Wimbledon è sempre stato un torneo che definirebbe la carriera di Andy Murray, da quando ha fatto ingresso nella scena internazionale nel 2005 da wild card 18enne di enorme talento e applombe. “E’ un torneo incredibilmente difficile da vincere,” ha sempre ricordato Murray ai giornalisti. “Vincere un torneo dietro l’altro non riesce sempre, non importa che si tratti di un Grande Slam, su una superficie dove a volte un set si decide su una manciata di punti.”
All’inizio della sua carriera, Murray se l’è spesso presa per l’attenzione che circondava ogni sua mossa a Wimbledon. Mentre il suo gioco sembrava essere portato naturalmente per l’erba, ha preferito sia la superficie sia l’atmosfera degli US Open, il torneo che ha vinto da junior nel 2004. Due degli exploit che definiscono la carriera di Murray sono arrivati prima a New York, ha raggiunto la finale a Flushing Meadows al suo debutto nel Grande Slam nel 2008, prima di raggiungere un titolo major lungamente aspettato nel 2012.
Murray ha sempre saputo che nella mente di molti fan, per ricevere completamente il rispetto che la sua carriera merita, avrebbe dovuto vincere Wimbledon Comunque Murray ha sempre saputo che nella mente di molti fan, per ricevere completamente il rispetto che la sua carriera merita, avrebbe dovuto vincere Wimbledon e mettere fine alla lunga attesa che dura dal trionfo di Fred Perry nel 1936 nel singolare maschile. New York potrà anche aver catturato l’immaginazione di Murray quando era junior, ma come prima cosa è stato ispirato a raggiungere il suo sogno di diventare giocatore professionista guardando, con suo fratello Jamie, gli exploit del suo idolo Andre Agassi a Wimbledon nel 1992. Dodici anni dopo, entrambi i fratelli Murray possono sedersi e riflettere sul fatto che entrambi hanno i loro nomi sulla famosa parete d’onore. Andy è scoppiato in lacrime mentre guardava Jamie raggiungere il titolo nel doppio misto nel 2007 e l’intera nazione si è fermata quando Andy ha vinto un incontro serratissimo contro Novak Djokovic per conquistare il titolo in singolare, nel 2013. “E’ fantastico che entrambi siamo riusciti a scrivere il nostro nome sulla parete del All England Club,” ha detto Murray. “Non ce ne siamo resi del tutto conto e non ci abbiamo riflettuto fino alla stagione estiva sul sintetico australiano, all’inizio di quest’anno. Siamo dovuti andare in trasferta per un torneo il giorno prima della finale di Wimbledon, e poi abbiamo finito per ripercorrere insieme quanto successo fino alla fine della stagione con il suo partner di doppio John
La vittoria di Murray a Wimbledon gli ha finalmente valso un posto nell’affetto della nazione (Peers). Ma è fantastico. Siamo entrambi molto competitivi quindi ci sono sempre scherzi e battute.” La vittoria di Murray a Wimbledon gli ha finalmente valso un posto nell’affetto della nazione. Mentre i suoi rivali sono stati a lungo idolatrati nei loro rispettivi paesi quasi dall’inizio delle loro carriere, la popolarità di Murray è decollata solo recentemente in UK. Gli inglesi chiedono che i propri sportivi siano personalità televisive vivaci e grandi atleti, e l’atteggiamento angosciato in campo e i modi piatti durante le interviste non sempre sono andati d’accordo con gli spettatori. “Gli ultimi anni a Wimbledon sono stati tornei molto importanti nella mia carriera, e anche per
me come persona,” ha detto. “Quindi ovviamente li ripenso con affetto. Ho bellissimi ricordi del campo centrale. È un campo speciale per me.” Ma mentre l’approccio di Murray alle interviste non sempre trasmette il tipo entusiasmo immediato della folla del pubblico televisivo, mostra la volontà intensa di raggiungere la perfezione che l’ha portato all’apice del suo sport. Dopo la deludente sconfitta contro Grigor Dimitrov ai quarti di finale di Wimbledon, ponendo fine alla difesa del titolo in maniera piuttosto misera, avrebbe potuto cercare scuse. Invece la risposta è stata semplice, “Ho bisogno di lavorare più duramente.”
“Ho bisogno di andare via e fare molti miglioramenti nel mio gioco,” ha detto. “Ho perso un paio di partite negli ultimi slam, in cui ho perso e ho giocato male. Quindi ho bisogno di pensare a queste cose, quali sono gli aspetti che devo migliorare, ed essere più in forma fisicamente e lavorare ancora più duramente. Perché tutti stanno iniziando a migliorare. I ragazzi più giovani ora stanno iniziando ad essere più maturi e migliorano di continuo.” “Probabilmente è il tour più arduo in termini di competizione, per tutti è più difficile vincere tornei, non solo per i ragazzi più giovani, il chè è fantastico per i fan. Una delle ragioni principali per cui posso giocare nel modo in cui gioco è la
mia condizione fisica. Ho passato molto tempo in palestra per provare a mettermi nelle condizioni migliori possibili per vincere qualsiasi torneo.” Emilio Sanchez che ha allenato Murray per molti anni quando era adolescente, presso la sua accademia a Barcellona, ha sempre detto che Andy ha quelle qualità innate necessarie per essere un campione. “Era forte mentalmente,” ha detto. “Ha sempre avuto un’idea chiara e determinata di quello che voleva e quali passi sentiva sarebbero stati necessari per raggiungere i suoi obiettivi. Ed è sempre stato molto appassionato anche quando non lo mostrava. Ha sostituito le cose che all’inizio mancavano al suo gioco con quella passione. Ed è questo il motivo del perché abbia raggiunto il top a livello mondiale ed abbia vinto tornei dello Slam.” “Per esempio, giocava sempre in una piccola area del campo. È sempre stato un ottimo competitore, un buon ribattitore, ma non arrivava alla palla così bene con i giocatori spagnoli, così abbiamo lavorato molto sul suo lavoro di piedi. Con i ragazzi spagnoli, sembrava sempre che loro avessero molte più opzioni su dove colpire la palla e questo è per via del loro movimento. Andy ha iniziato a muoversi così bene sia che difendesse sia che attaccasse, era
Il suo appetito per il lavoro e la fiducia in sé stesso e nella sue capacità gli sono state instillate ad un’età molto giovane. sempre estremamente consistente. È anche diventato più forte fisicamente così da poter ribattere e farlo per molto tempo, così che l’altro giocatore si debba prendere più rischi e fare più errori.” Murray stesso dice che il suo appetito per il lavoro e la fiducia in sé stesso e nella sue capacità gli sono state instillate ad un’età molto giovane. “Sin da molto piccolo ho giocato molto contro giocatori che erano molto più grandi di me: questo è stato ottimo per la mia fiducia,” ha spiegato. “Quando sono arrivato a livelli più alti di competizione è stato più facile per me competere e giocare il mio tennis migliore.
Mi ha anche dato fiducia in me stesso, così quando giocavo, credevo di poter vincere. Vincendo tornei importanti, come l’Orange Bowl da junior (ha vinto il titolo U14 a soli 12 anni), ti da la fiducia che magari un giorno tu possa competere ai livelli più alti. Il momento chiave per me è stato vincere lo US Open da junior, da lì ho iniziato a pensare che magari potevo fare il passo per diventare un professionista. La chiave è non smettere mai di lavorare duro, si può sempre migliorare.”
Grigor Dimitrov di Marco Avena
Verrà ricordato come il miglior giocatore bulgaro nella storia del tennis.
Un piccolo primato Grigor Dimitrov l'ha già conquistato: verrà ricordato come il miglior giocatore bulgaro nella storia del tennis. Per la verità Dimitrov ci era riuscito ancor prima di raggiungere la semifinale a Wimbledon se si considera che il confronto era avvenuto con tre emeriti sconosciuti o poco più, visto che solo appassionati e addetti ai lavori possono fregiarsi dell'onore di conoscere Milen Velev, Radoslav Lukaev e Orlin Stanoytchev. Già, perché prima dell'arrivo nel circuito di “Grisha” erano stati loro gli unici uomini a difendere il tricolore bulgaro in tornei dello slam, seppur con scarsi risultati: il primo riuscì nel 1994 a vincere il primo e unico set della carriera in un torneo dello Slam agli Australian Open, mentre il secondo fece lo stesso aggiudicandoselo nel 2002 agli US Open. Dei tre quello che fece meglio fu Stanoytchev, altro modesto “mestierante” della racchetta che trascorse gran parte della carriera per lo più tra
Challenger e Futures raggiungendo come miglior posizione nel ranking la numero 154 e superando un solo turno in uno Slam, il primo al Roland Garros 2000, totalizzando 7 apparizioni - tra Melbourne, Parigi, Londra e New York - e 11 set giocati. Insomma, non è blasfemo dire che l'arrivo di Grigor Dimitrov sia praticamente coincisa con la nascita del tennis bulgaro, almeno di quello maschile. La sua è una figura importante per la Bulgaria, che potrebbe fare da traino per altri futuri talenti. Abbiamo volutamente sottolineato tennis maschile perché tra il 1982 e il 2007 tre sorelle che di cognome fanno Maleeva diedero lustro alla Bulgaria della racchetta: Manuela, Katerina e Magdalena in rigoroso ordine cronologico furono le tre giocatrici da cui Dimitrov in pratica ricevette il testimone: Grigor è simbolo di quel nuovo che avanza, è uno di quei giocatori che presto potrebbe salire sulla grande ribalta in pianta stabile, insieme con i Raonic, i Nishikori in campo maschile o le Halep e le Muguruza in campo femminile.
Cresciuto in un paese non facile, in un quartiere duro dove la faceva da padrona la povertà, Dimitrov ha dovuto affrontare non poche difficoltà per arrivare dov'è ora Il cambio generazionale è lì dietro l'angolo e il giocatore nativo di Haskovo non vuole mancare l'appuntamento. La sua è una filosofia fatta di sacrificio, fatica e sudore. Cresciuto in un paese non facile, in un quartiere duro dove la faceva da padrona la povertà, Dimitrov ha dovuto affrontare non poche difficoltà per arrivare dov'è ora. Tempo fa raccontandosi disse: “Quello che devi fare è piuttosto semplice, ma il punto è che lo devi fare costantemente, senza interrompere mai, ogni giorno e ogni settimana, viaggiando, preparando le valigie e spostandoti di continuo, un giorno in un posto e il giorno dopo in un altro. Tutto questo non è facile. Con il passare del tempo, però, ci fai l'abitudine.
Diventa qualcosa di più di un lavoro, diventa il tuo luogo sacro”. Lui in questo luogo mistico ci è entrato dalla porta principale, anche se per sua stessa ammissione il lavoro da fare per scalare le alte vette è ancora tanto. I non addetti ai lavori lo conoscono più per la sua relazione con Maria Sharapova che per le sue doti tennistiche. È vero, la coppia più glamour del circuito fa notizia, ma presto il gossip potrebbe lasciare spazio in pianta stabile alla cronaca sportiva. L'ultimo torneo di Wimbledon ci ha consegnato un giocatore maturo, in grado di potersi inserire in pianta stabile tra i vari Djokovic, Nadal e Federer. In un tennis sempre più omologato, il
Il papà Dimitar gli mise in mano la racchetta a 5 anni, lo scorso 7 luglio ha raggiunto la migliore posizione nel ranking ATP bulgaro ha alzato la testa tanto da guadagnarsi l'appellativo di “Piccolo Federer” per via di un'evidente somiglianza nel modo di stare in campo con lo svizzero e nella tecnica dei suoi colpi: sembra ieri che raggiungeva la sua prima finale in carriera (era il 6 gennaio 2013 e a Brisbane veniva sconfitto da Murray, ndr) e da allora di strada ne ha fatta tanta: quattro vittorie rispettivamente a Stoccolma, Acapulco, Bucarest e Queen's e tanta tanta stima nei suoi confronti.. Una carriera da predestinato? Sembrerebbe proprio di sì per colui che è stato numero 1 al mondo tra gli junior.
Il papà Dimitar gli mise in mano la racchetta a 5 anni, lo scorso 7 luglio ha raggiunto la migliore posizione nel ranking ATP (al momento in cui scriviamo è al 9° posto). Chi se lo sarebbe immaginato fino a poco tempo fa? Su una cosa oggi vogliamo sbilanciarci: siamo sicuri che questo tizio di nome Grigor Dimitrov non verrà ricordato solo per essere stato il miglior bulgaro nella storia del tennis maschile. Questione di tempo e siamo sicuri che lo ritroveremo con in mano un trofeo dello Slam...
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Viktor Troicki è rientrato sul circuito di Rossana Capobianco
«Fossi state un top player tutto questo non sarebbe accaduto»
Viktor è rientrato sul circuito. Sul rosso di Gstaad, dove gli hanno dato una wild card. Un brutto periodo si chiude, e a Wimbledon molto se n’è parlato fra gli amici del tennista serbo, felici di riaverlo fra loro e del tutto convinti della sua innocenza. Con i Championships, di fatto, la squalifica ricevuta per il più strambo caso di doping che si sia mai visto, si è esaurita, diciotto mesi che hanno lasciato in Troicki tanta rabbia e, per fortuna, anche tanta voglia di mettersi tutto alle spalle e tornare in campo. Lo ha fatto con un nuovo sponsor, Lotto Sport Italia, ma senza rinunciare a dire la sua su come siano andate le cose. Come in queste dichiarazioni che ci ha rilasciato in esclusiva.
Accadde, a Montecarlo, nel 2013, che il serbo si rifiutò di fare un test antidoping a causa di un malessere e della paura degli aghi in generale, che secondo quanto affermato, quel giorno avrebbero peggiorato le sue condizioni. Viktor chiese di rimandare al giorno dopo e la dottoressa Elena Gorodilova, incaricata del controllo, disse di sì. Questo secondo Troicki, che però firmò un documento che credeva fosse una notifica di quanto richiesto e invece non era altro che un modo di scaricare la responsabilità solo su se stesso. L’ITF lo ha sospeso per 18 mesi dando fiducia alla dottoressa che affermò di non avere dato il proprio consenso. Da quel momento tra l’incaricata e il giocatore serbo è stata guerra aperta. «Se fossi stato un top player questa storia non sarebbe mai accaduta. Per me è pazzesco che lei sia ancora al suo posto. L’ho incontrata solo il giorno dell’appello e le bugie che ha detto su di me e il mio allenatore mi hanno davvero ferito, colpito. Sarà difficile per me dimenticare questa storia. So che ha dovuto farlo per preservare il proprio lavoro, ma credo sarebbe comunque
Rientrato a Gstaad Viktor Troicki è pronto a buttarsi alle spalle il periodo più nero, ma non senza togliersi qualche sassolino dalle scarpe (da tennis)
stato meglio per tutti se avesse detto la verità». Viktor è rientrato a Gstaad, dove ha ricevuto una wild card dagli organizzatori e le motivazioni del serbo sono alle stelle. Quando si è rivolto al CAS di Losanna ha ottenuto uno sconto di sei mesi, per la considerazione delle responsabilità oggettive di ITF e WADA (società incaricata per i controlli anti-doping). «Sto bene e mi sento perfettamente in forma, forse non mi sono mai sentito meglio. Sono davvero motivato a ricominciare. Dopo Gstaad andrò a Kitzbuehel, dopodiché mi sposterò in Italia per giocare qualche challenger: San Marino, Cordenons, Genova. Poi vedremo a che punto sarò e deciderò la programmazione per il resto della stagione». Il suo team non cambierà, si ricomincerà da dove si è finito: «Il mio allenatore Jack Reader sarà con me. Con lui anche Milos Jelisavcic, il mio preparatore atletico. È stato davvero fantastico che abbiano aspettato e continuato a starmi vicino. Lavoreremo dal primo giorno di Gstaad insieme. Sono molto grato a loro. Un anno fuori è davvero tanto, forse ci vorrà qualche torneo o qualche mese. Non ho avuto la possibilità di confrontarmi con i giocatori di alto livello, quindi sarà molto difficile. Dovrò lottare di più e provare a giocare il mio miglior tennis». Gli obiettivi del serbo però sono chiarissimi: «Essere un giocatore migliore rispetto a quello che ero.
Non c’è stato solo Djokovic a supportarlo durante questo anno davvero difficile Alla fine dell’anno spero di tornare tra i primi 100, non sarà facile ma è l’unica cosa che posso fare visto che non avrò la possibilità di giocare i grandi tornei. Il prossimo anno poi voglio ritornare a pieno ritmo nel tour e migliorarmi sempre di più». Non c’è stato solo Djokovic a supportarlo durante questo anno davvero difficile: «Ho incontrato diversi giocatori in alcuni tornei e a Montecarlo dove mi alleno. Ogni giocatore è stato davvero gentile con me, alcuni hanno compreso la situazione e sono stati assolutamente solidali, altri hanno mandato sms e hanno seguito il caso da molto vicino, quindi sì, ho ricevuto parecchio supporto».
Forse Viktor avrebbe dovuto comunque fare quel controllo, niente sarebbe accaduto; ma le intenzioni non erano cattive e si è trattato di un’evidente ingenuità. Scattati l’inchiesta e il processo, la situazione si è maledettamente complicata... Ma ora Viktor ha pagato, è stato fuori un anno, e sarà difficile rientrare. Le motivazioni di adesso però potrebbero dare al serbo quel qualcosa in più che forse precedentemente non aveva ancora messo in campo.
Petra Kvitova di Fabrizio Fidecaro
La rinascita a Wimbledon. Improvvisa e abbagliante, come un lampo dopo un lungo periodo di oscurità.
La rinascita a Wimbledon. Improvvisa e abbagliante, come un lampo dopo un lungo periodo di oscurità. E dire che alla fine del 2011 Petra Kvitova era ritenuta pressoché all’unanimità la candidata più autorevole al ruolo di numero uno del mondo. Aveva concluso la stagione al secondo posto del ranking, alle spalle di Caroline Wozniacki, soltanto per gli astrusi calcoli del computer Wta, ma si era dimostrata senza dubbio la migliore, con i successi a Wimbledon, al Masters e in Fed Cup, oltre che a Parigi indoor, Madrid e Linz.
Campionessa interrotta Qualcosa, però, non è girato nel verso giusto se nelle due stagioni seguenti la mancina di Bilovec è sì rimasta stabilmente fra le top ten, ma non ha più superato le semifinali nei Major, aggiudicandosi giusto un paio di tornei all’anno (più una nuova Fed Cup nel 2012, ma con un ruolo più defilato rispetto a quello da mattatrice di dodici mesi prima). Il 2014, poi, stava andando persino peggio. Alla vigilia di Wimbledon Petra era classificata appena al sedicesimo posto della Road to Singapore.
Un bilancio, seppure soltanto parziale, a dir poco deficitario per una con le sue doti Un bilancio, seppure soltanto parziale, a dir poco deficitario per una con le sue doti, tra uscite premature negli Slam (clamorosa quella all’esordio in Australia con la thailandese Kumkhum; in fondo accettabile lo stop di misura al terzo round del Roland Garros con la Kuznetsova), nessuna finale raggiunta e come highlight stagionali le semifinali a Sydney e Madrid e i quarti a Doha, Miami e Eastbourne. Poi ecco Wimbledon, e il ritorno a quei livelli di esplosività che avevano fatto intravedere in lei l’unica possibile degna rivale della miglior Serena Williams. Non che Petra non avesse più mostrato le sue qualità dal 2011, questo no. Ma la continuità, anche all’interno di un singolo match, non c’era più stata, e le battute d’arresto da sorprendenti si erano fatte pian piano prevedibili, o addirittura scontate, di fronte ad avversarie meno potenti ma più mobili e scaltre di lei. L’erba rigenerante E allora che cosa è cambiato a Londra, al di là del fatto che l’erba sembra fatta apposta per esaltare il suo gioco? A prima vista ben poco, almeno a quanto sostiene lei: «La preparazione fisica e mentale? È stata molto simile a tre anni fa. Ho bisogno di essere al 100 per cento perché so che sarà dura. E lo sapevo anche nel 2011, quindi non ci sono differenze».
Petra sembra aver realizzato che il suo momento è finalmente arrivato: non quello di un exploit singolo, ma di un possibile dominio a più ampio raggio E anche il piatto preparatole ogni sera per scaramanzia dal suo incordatore, a base di riso e ananas, è rimasto il medesimo. A ben guardare, però, le differenze ci sono, eccome. E non riguardano soltanto l’automobile guidata («Nel 2011 avevo una Skoda, ora una BMW») o i chili in eccesso smaltiti per l’occasione, che le hanno subito restituito quella lucidità indispensabile per affrontare i momenti caldi del match, quando i punti diventano decisivi e la stanchezza comincia a farsi sentire. No, Petra sembra aver realizzato che il suo momento è finalmente arrivato: non quello di un exploit singolo, ma di un possibile dominio a più ampio raggio. D’altronde, fuoriclasse come Pete Sampras, Novak Djokovic e la stessa Serena
Williams si aggiudicarono giovanissimi il loro primo Major ma, dopo una fase costellata di alti e bassi, impiegarono tre anni o giù di lì per mettere in cascina il secondo e, solo da quello, spiccare il volo verso le più alte quote del tennis. «Non so se fossi troppo giovane quando ho vinto il mio primo Slam», ha detto Petra, «ma sono certamente fiera di quel successo. Spero, comunque, che adesso il mio tempo sia venuto. Farò tutto quello che posso perché sia così». Il primo Slam fa male Sostenere la pressione creatasi intorno a lei dopo il primo centro a Church Road è stato tutt’altro che semplice. «Ero dappertutto», ha ricordato, «sui giornali, in tv, ovunque. Non ero
preparata a una situazione del genere, non sapevo come gestirla, perché non avevo idea di come ci si sentisse. Pensavo di dover vincere ogni match che giocavo solo per il fatto che ero una campionessa Slam e tutti si attendevano di me solo il meglio. Non è così che funziona. Ora ho imparato tanto, senz’altro. Spero che l’esperienza passata possa aiutarmi». Di aiuto le è stato già Michael Safar, psicologo dello sport che si occupa di lei dal 2010, ma che solo a partire dall’ultimo Roland Garros ha cominciato a seguirla di persona in occasione dei grandi eventi. «Credo che insieme abbiamo svolto un ottimo lavoro», ha ammesso lei.
«A volte mi sono sentita un po’ giù per via delle forti aspettative della gente nei miei confronti. Lui mi ha dato una grossa mano per gestire la pressione e restare concentrata in ogni momento del match». Psicologo da viaggio In passato Safar aveva provato a insegnarle come mascherare le sue emozioni durante gli incontri per non agevolare le avversarie. Petra è sempre stata un libro aperto, sul volto le si leggono facilmente i dubbi e le insicurezze da cui spesso è pervasa. Lo psicologo aveva cercato di renderla, per quanto possibile, imperscrutabile, ma la ragazza non ha un carattere fermo e deciso come la Sharapova e, per seguire le indicazioni, sciupava così tante energie che il suo tennis finiva per soffrirne. Finalmente la svolta? Così Safar ha rinunciato all’idea, cercando semplicemente di renderla più tranquilla, con specifici esercizi di rilassamento e una preparazione mentale mirata. I risultati si sono potuti ammirare in tutto il loro splendore a Wimbledon, dove Petra – tornata single di recente dopo la liaison con lo “sciupatenniste” Radek Stepanek – ha dominato il torneo, rischiando solo nel terzo turno con una ritrovata
Da Petra ci si può attendere tutto e il contrario di tutto. Magari il secondo trofeo di Wimbledon le regalerà finalmente l’equilibrio di cui ha bisogno, portandola a esprimere in pieno le sue potenzialità: saranno dolori per tutte. Nessuna esclusa. Venus Williams, ma spazzando via tutte le altre avversarie, a partire dalla finalista Eugenie Bouchard, cui ha concesso appena tre game. Sarà la svolta della sua carriera? Può darsi. La Kvitova è una tennista imprevedibile e non stupirebbe né vederla finalmente in cima al mondo della racchetta né trovarla di nuovo ai margini della top ten. I prossimi US Open costituiranno un banco di prova importante in questo senso. A New York Petra non è mai andata oltre gli ottavi, dimostrando scarso feeling con il cemento di Flushing Meadows. Una stranezza, visto che nei tornei di preparazione ha spesso fatto bene, come due anni fa, quando vinse sia Montreal sia New Haven.
La scuola ceca di Diego Barbiani
La vittoria di Petra Kvitova, il grande torneo di Lucie Safarova e Barbora Zahlavova Strycova, la sorpresa Tereza Smitkova, una semifinalista anche nel torneo junior, Marketa Vondrousova. Wimbledon ha restituito agli appassionati una scuola, quella ceca, che per anni è stata fucina di grandissimi talenti. Nel femminile, dopo Martina Navratilova (diventata americana a 18 anni, e dal 2008 di nuovo in possesso di un passaporto ceco), Hana Mandlikova e Jana Novotna c'è stato un lungo periodo di transizione. Ripartire non è mai facile, e a complicare le cose è intervenuta – mai riscontrata in passato – una carenza di ricambi
all'altezza ma anche di vere e proprie leader che guidassero un movimento nuovo, fresco e che spingesse il tennis in un paese colpito duramente dall'addio di Ivan Lendl e dal caso di doping (nandrolone) che nel 1998 infangò il periodo più roseo della carriera di Petr Korda. In quell’anno si concludeva anche l'avventura agonistica di Jana Novotna. Tra le donne si è aperto un vuoto pesante, misurabile in un decennio, senza protagoniste di vertice. In tante si sono avvicendate dando sprazzi di bel gioco. Il tennis femminile però è uno sport particolare: vive di regole sue, basate sull'emotività e la freddezza di gestire situazioni
critiche. Per qualche ragione le ceche non hanno mostrato costanza. Belle da vedere ma impossibili da tifare, questo motto sembrava rappresentarle tutte quante. Nicole Vaidisova era data come possibile speranza per un ritorno ad alti livelli di tutto il movimento, lei che ad appena 15 anni aveva già ottenuto un titolo ITF e stava per entrare tra le prime cento del mondo. Fu una mezza meteora, talmente precoce che ad appena 21 anni lasciò perdere a causa delle tante sconfitte patite e dei continui problemi fisici. Fu proprio in quell'anno, era il 2010, che si affacciò con “violenza” nel circuito Petra Kvitova. Mancina, come Navratilova e Novotna, si fece conoscere
per un gioco d'attacco spregiudicato, promosso da “fondamentali” fra i più incisivi nel moderno circuito femminile. Un anno dopo arrivò anche il primo titolo Slam, direttamente sui campi della Storia, a Wimbledon. Petra disse di aver sognato la vittoria nei Championships durante il precedente Roland Garros: lei che alzava la Coppa, l’avversaria (Maria Sharapova) e il punteggio (63 64). Non fu l’inizio di una carriera “a cinque stelle”. Petra subì la crisi di rigetto che coglie molte giovani vincitrici e pur rimanendo aggrappata alla top ten non raccolse immediatamente le vittorie che il titolo Slam sembrava presagire. Mostrò, invece, qualità da leader nella squadra di Fed Cup che spinse ad amalgamarsi fino a dare vita a uno dei team più forti degli ultimi dieci anni. Resta, Petra, il miglior investimento per il tennis della Repubblica Ceca. Era amata dal pubblico di casa, ora lo sarà ancora di più. Batterla, nel biennio 2010-2012, voleva dire superare i propri limiti, soprattutto se ciò avveniva sul veloce dove Petra giunse a collezionare, in quei mesi, ben 11 vittorie consecutive. Intanto, sulla spinta di Petra, la squadra di Fed Cup prendeva forma anche grazie all’amicizia fra le componenti, in particolare quella fra Kvitova e Safarova, che questa edizione di
Nel breve volgere di un anno, la Repubblica Ceca ha riguadagnato la seconda posizione per numero di presenze nella classifica WTA, con otto tenniste. Appena un anno fa ne aveva cinque. Wimbledon ha proposto l’una contro l’altra in semifinale. La crescita di Lucie, troppo spesso caduta vittima delle sue emozioni più che delle avversarie, trovava la sua giornata magica quando conquistò nel 2012 il punto decisivo per la vittoria della Repubblica Ceca nella finale contro la Serbia. Da lì, anche se piuttosto in sordina, Lucie ha realizzato piazzamenti sempre più interessanti, compreso un ottavo a Parigi dove ha anche colto lo scalpo di Ana Ivanovic, fino alla straordinaria semifinale ottenuta a Wimbledon, la prima della sua carriera all'età di 27 anni. Dal gruppo ha tratto benefici anche Barbora Zahlavova Strycova, conosciuta ai più per il
casp di doping che le costò sei mesi di squalifica ad inizio 2013. Nell'ultimo mese ha fatto parlare per la finale a Birmingham e poi per un quarto di finale a Wimbledon guadagnato con prestazioni super come quella su Na Li, replicata poi contro Wozniacki. A completare il quadro la giovane Smitkova, issatasi al primo Slam fino agli ottavi di finale. Si allena al centro tecnico nazionale di Prostejov, cuore pulsante del tennis in Repubblica Ceca dove si ritrovano tutti i migliori giocatori, da Berdych agli juniores, fra i quali emergono nomi interessanti soprattutto in campo femminile, come Marketa Vondrousova e Marie Bouzkova.
Analisi di una (prossima) rifondazione di Daniele Azzolini
Gli anni che annunciano il cambiamento sono fondati su note contrapposte
Gli anni che annunciano il cambiamento sono fondati su note contrapposte, il crescendo esalta l’imprevedibilità prima di dar vita a un’aria orecchiabile adagiandosi sulle righe di un pentagramma più tradizionale. I Beatles le immaginarono sorgenti da un’orchestra che procedeva senza spartito. Non contenti le riprodussero al contrario. A day in the life, un giorno nella vita, era quello il brano. Un giorno, o un anno, il concetto non cambia. Ciò che sta scuotendo il tennis, avvolto dal refrain ancora prodigioso di una vecchia guardia che vale moltissimo, somiglia al fragore di strumenti in apparente disaccordo tra loro. L’attenzione è rivolta ora al motivo che prenderà forma dal trambusto. Sarà quella la colonna sonora dei prossimi anni.
Quanto è lontano l’approdo? Tutto considerato (erba, infortuni e giramento di coach), i Championships di metà stagione sono venuti a dirci che la rifondazione è in divenire, che poco a poco sta assumendo connotati e configurazioni definitive, ma anche che l’approdo finale è lontano e ancora avvolto nelle nebbie. Forse più vicina nel tennis femminile, meno in quello maschile, ma è logico così. Se tutto fosse riconducibile a una griglia in grado di assegnare alle attuali “nuove forze” in campo le percentuali relative non soltanto all’ingresso da qui a due-quattro anni nei primi dieci del tennis (per alcuni già avvenuto), ma anche alla permanenza più o meno consolidata nel Club dei Più Forti, il tennis (maschile, femminile) ritengo si disporrebbe come nella tabella pubblicata a parte. Non credo di essere così lontano dal quadro definitivo che i prossimi 24 mesi andranno formando. Da qui al 2016 (con l’uscita definitiva di Federer dopo i Giochi di Rio) vedo una Top Ten maschile composta da Nadal, Djokovic e Murray, forse Wawrinka e Del Potro, con
l’aggiunta di cinque (o sette) dei primi nove nomi proposti nello schema. Spingersi oltre è un azzardo. Un quadro completo lo avremo solo quando si potrà monitorare sul circuito la consistenza degli attuali juniores (Rublev, Zverev, Kozlov) e di chi come Quinzi e Rubin (il vincitore della prova juniores sull’erba) è alle prese con gli impegni iniziali nel girone dei Futures. Spazi più ristretti per le seconde file Non concedo grandi spazi di manovra alle attuali seconde file, da Ferrer a Berdych, da Gasquet a Tsonga e Monfils. Vinceranno ancora qualche titolo, ma a grandi linee penso abbiano
dato quello che dovevano dare. Il loro compito sta ormai per esaurirsi. Metto un punto interrogativo sui nomi di Del Potro e Wawrinka, sul primo perché andrà rivisto al ritorno nel circuito, sullo svizzero perché il balzo compiuto nello stile di gioco (i colpi da fondo, al momento, sono tra i più fulminanti) e anche nella tenuta mentale, lo hanno collocato in una dimensione diversa. Stanislas, nonostate i 29 anni, è ancora, relativamente, una forza fresca di questo tennis. Sta a lui trovare di volta in volta le motivazioni e lo stato di forma che gli consentano di appaiare i più forti o, come si è visto a Melbourne e MonteCarlo, di collocarsi addirittura al di sopra di loro. Il rinnovamento in due fasi A occhio e croce il rinnovamento procederà in due fasi. Da qui a due anni l’assalto alle seconde linee, poi alle prime, se nel frattempo non avranno provveduto esse stesse a farsi da parte. E qui si aprono ulteriori scenari. Se i Fab Four, bene o male, hanno marcato una forte presenza anche in questa stagione, qualche scricchiolio si avverte anche nel loro Club di First Class. Nadal è uscito dal Roland Garros stremato, e non ha dato ancora la sensazione di essersi ripreso. Anche lui dovrà imparare a gestire fisico e sforzi...
Non è più un ragazzino. Djokovic, per quanto possa sembrare imbattibile, è atteso dalla paternità, e ha già fatto capire che in un prossimo futuro le sue priorità potrebbero non essere le stesse di oggi. Per non dire di Murray, apparso in questi mesi talmente sotto tono da riaprire buona parte di quei dubbi che i mesi trascorsi al fianco di Lendl avevano cancellato a suon di vittorie. Su tutti, quello di un carattere non proprio da combattente. Più instabile il fronte femminile, dove l’assalto alle prime posizioni è già cominciato. Qui i dubbi investono direttamente la leadership. Gossip a parte, la Serena degli Slam 2014 è talmente lontana dalla giocatrice che ha dominato come ha voluto la classifica femminile (è ancora in testa, ed è incredibile, dopo le prestazioni da incubo che ne hanno punteggiato la stagione) da rendere evidente come i suoi problemi non siano tanto di natura tennistica, quanto personale e forse sentimentale, e per quelli la cura non è facile da individuare, né è
possibile sapere quanto tempo sarà necessario per risanare il suo morale ridotto a pezzettini. Se Kvitova fa sul serio... Mi chiedo piuttosto quanto potranno ancora dare (e resistere così in alto) la cinese Na Li, le serbe Jankovic e Ivanovic, la polacca Radwanska, la tedesca Kerber. Mi sembra meritino le stesse perplessità dei Ferrer e dei Berdych in campo maschile. Non la Kvitova, e non solo per la vittoria a Wimbledon. È dimagrita, intanto, dunque sembra aver finalmente imboccato la strada di una solida professionalità. Se non tornerà sui suoi passi,
con i colpi che si ritrova (per potenza i più vicini a quelli della Williams), non si vede come possa uscire dal Club, nel quale ha resistito in tempi ben più infausti di questo. Diverso il discorso per Maria Sharapova, una delle migliori combattenti che si siano mai viste in campo femminile. L’operazione alla spalla, quattro anni fa, ha cambiato i destini del suo gioco, il movimento meno rapido dei colpi l’ha tagliata fuori dai tornei sull’erba ma le ha consegnato la terra rossa. Curiosa inversione di rotta, di cui però la bionda siberiana ha subito approfittato. Ha coraggio da vendere, Maria, è intelligente, di
Vika Azarenka… Diamole tempo per recuperare, ma è ancora giovane e già esperta, libera finalmente dalla vita strampalata al fianco di Redfoo fibra forte, e ha le armi per restare aggrappata al vertice per più di qualche anno. Infine, Vika Azarenka… Diamole tempo per recuperare, ma è ancora giovane e già esperta, libera finalmente dalla vita strampalata al fianco di Redfoo. I colpi in spinta sono di ottima sostanza, non appena si sarà rimessa in carreggiata sarà difficile non assegnarle un ruolo fra le prime dieci. In attesa di Taylor Il Club delle Prime Donne ha già accolto Simona Halep e Genie Bouchard. Si potrà discutere sui successivi quattro nomi della mia lista, ma credo che ognuna delle tenniste citate vanti ottimi motivi per non contraddirmi. La giovane Bencic, ancora così lontana dalle prime dieci, ha classe illimitata e colpi già robusti. Concordano con me tutti i tecnici del tennis. Stephens e Muguruza hanno la solidità che serve, anche se l’americana deve imparare a vincere (non c’è ancora riuscita, finora), una lacuna non facilmente colmabile. Come dice Panatta, «Vincere è un altro sport». Taylor Townsend ha colpi da top ten e dimensioni di gioco sconosciute alle altre. Candidatura a rischio, si dirà. Ed è giusto. Se non dimagrisce, non aumenta le doti di resistenza e corsa, il traguardo le sarà impossibile. Ma se esiste una tennista sulla quale valga la pena lavorare, questa è lei, e
Le prime conseguenze del rinnovamento le vedremo nei Masters di fine anno sono convinto che troverĂ presto il coach, lo staff, e i consigli che le permetteranno di esprimere tutto il suo potenziale. Le prime conseguenze del rinnovamento le vedremo nei Masters di fine anno. Gulbis, Raonic, Nishikori e Dimitrov spingono per entrare. Dovessero farcela sarebbero quattro novitĂ sugli otto in campo. E a Singapore tutto fa pensare che saranno in tre a condividere “la prima voltaâ€?, Halep, Cibulkova e Bouchard. Ma i conti si faranno ovviamente agli Us Open.
La terza età di Martina Hingis di Laura Saggio
“Ho ancora voglia di tennis”. Queste le parole della ex numero 1 del mondo che, dopo il titolo di Miami vinto lo scorso marzo in coppia con la tedesca Sabine Lisicki (per 4-6, 6-4) sulle russe Makarova e Vesnina, ritrova la giusta carica agonistica e motivazione per riprendere la racchetta in mano, come ai 'vecchi tempi'. La Hingis, che si era ritirata dal professionismo nel 2007, aveva già provato lo scorso anno il rientro (con scarsa fortuna) in doppio al fianco della slovacca Daniela Hantuchova. Dopo un anno di riflessione la svizzera ci riprova, annunciando senza titubanze la sua separazione professionale da Sabine Lisicki, un atto dovuto a firma del suo novo inizio come giocatrice: “la separazione è stata presa di comune accordo. Ho ancora voglia di giocare. Posso ancora farlo e voglio concentrarmi sul mio tennis”. La determinazione della Hingis è ben nota all'interno del circuito WTA e, tutte, anche le più giovani, dovranno farci i conti.
L'età poi tutto sommato non è poi così vincolante, tra le donne non sono poche le carte d'identità che registrano un +30. L'esperienza della 'terza età' sembra avere in certi casi (Serena Williams su tutte) ancora la meglio sulla freschezza atletica delle tenniste in erba, e la campionessa svizzera, a 33 anni, sembra più che mai intenzionata a ri-provarci, non escludendo un suo rientro anche nel singolo: “il singolo? passo passo poi si vedrà”. Certo con un paio di processi in corso, una preparazione interrotta, una vita privata non propriamente stabile, non sarà facile tornare la bambina prodigio che tutto il mondo ha applaudito. Ma Martina la stoffa dell'agonista ce l'ha nel sangue e le sfide sono il suo pane quotidiano. Vedremo quali altri traguardi l'ex numero uno al mondo taglierà, per ora, prepara la strada a suon di dichiarazioni per le bimbe prodigio di oggi, che magari inciampano!
Intervista a Nick Bollettieri di Gianluca Atlante
Dodici suoi allievi in vetta alla classifica mondiale
Non può essere un caso. Dodici suoi allievi in vetta alla classifica mondiale. Agassi, Becker, Courier, Rios e Sampras tra gli uomini, Capriati, Hingis, Jankovic, Seles, Venus e Serena Williams, tra le donne. Lui, Nicholas James “Nick” Bollettieri, non è nemmeno figlio di un destino. Il suo è stato sempre un guardare avanti. Più lontano di altri. Fedele a un copione per nulla prestabilito, e soprattutto a un credo, quello tennistico, che ha sempre trovato nella cultura del lavoro il proprio comun denominatore. Wimbledon e una giornata di pioggia della prima settimana, è stata l'occasione per marcarlo stretto a ridosso della
palazzina delle televisioni. «Ho un impegno con la Bbc, poi sarò da voi». E infatti arriva, preciso e disponibile, come sempre. La sua ultima intervista prima di entrare nella immortalità della Hall o Fame la concede a noi di Matchpoint... Non male, in fondo. Siamo in un periodo di transizione, così sembra... Qual è il suo punto di vista, e il suo stato d’animo? Andremo verso un periodo più grigio? «Il tennis di oggi è brillante come quello di ieri. No, non c'è da preoccuparsi. Anche dopo il tramonto di Sampras e Agassi pensavano a un
momento di transizione, anche di crisi se vogliamo. E, invece, avete visto tutti cosa è successo». Questo vuol dire che le rivalità saranno sempre il pane quotidiano di questo sport? «Senza ombra di dubbio. Intanto, non mi sembra che i quattro più forti, Djokovic, Nadal, Federer e Murray, siano tramontati. Credo che di loro ne sentiremo ancora parlare, e a lungo. Poi ci sono i vari Dimitrov, Raonic, lo stesso Tomic, che fareste un errore a ignorare, e Nishikori, che stanno arrivando.
Rappresentano, oggi, il nuovo che avanza e che, a mio avviso, è molto più vicino ai primi di quanto si possa pensare». Bollettieri su chi scommetterebbe fra questi? «Su tutti, faccio il nome di Kei Nishikori. Ha le qualità per emergere a grandi livelli e lo ha già dimostrato. Sa difendere, sa attaccare, mi sembra un giocatore completo e con grossi margini di miglioramento». Una cosa è certa: il tennis di oggi, è sempre più muscolare. «E questo è esatto, poco da aggiungere in proposito. Eppure, attenzione... Non basta soltanto quello. Non basta tirare forte per vincere le partite, e per arrivare in fondo ai tornei. Oggi la palla viaggia molto veloce, questo è vero, ma c'è dell'altro oltre alla potenza, ci deve essere per forza dell'altro, altrimenti non si arriva da nessuna parte. Non mi sembra che Djokovic, Nadal, Federer e Murray, tirino soltanto forte...». Qual è, per Nick Bollettieri, il giocatore più forte in questo momento? «Non ce n'è uno, ma quattro, La riposta arriva dai major, dalle prove dello Slam.
Nadal ha dimostrato di essere il più forte sulla terra, ma sull'erba e sul cemento, può incontrare difficoltà come è accaduto qui a Wimbledon. Djokovic è altamente competitivo e Federer non tramonterà mai. La sua classe, lo porterà a vincere ancora tanto. Murray è un ottimo giocatore, saprà tornare a vincere anche lui». La riprova arrivata dal fatto che, negli ultimi dieci anni, eccezion fatta per Del Potro all'Open degli Stati Uniti nel 2008 e per Stanislas Wawrinka, nel gennaio scorso, agli Australian Open, le prove dello Slam le hanno vinte solo i “Fab Four”. C'è un perché a tutto questo? «Nei tornei che contano, come quelli dello Slam, loro riescono a fare la differenza, sempre e comunque. Hanno carisma, qualità, sanno come gestire i momenti importanti. E riescono ad arrivare in fondo, sempre. Non è un caso che, Nadal e Federer, insieme, abbiano vinto 31 Slam».
Tra le donne, invece, sembra esserci più equilibrio. Adesso, per esempio, è il momento della Halep e della Bouchard. «Sì, tutto vero, ma quando Serena ha voglia di giocare e sta bene, la differenza la fa sempre lei. La stessa Sharapova ha dimostrato, proprio al Roland Garros, di poter dare ancora molto. Le altre arriveranno, ma è un po' il discorso fatto per i maschi. Quelle che sono lì in cima, non ci sono per caso, hanno qualcosa in più, soprattutto quando conta averlo. Per carità, ci sono delle ottime giocatrice che stanno venendo fuori, ma quando arriva il momento di fare la differenza, Serena e la Sharapova, sanno cosa devono fare».
In sostanza, il tennis sta cambiando? «Non potrebbe essere altrimenti. Come i tempi, anche il tennis si adegua. Attenzione, però, ci tengo a ribadire che non sarà solo ed esclusivamente muscolare. I nuovi di cui abbiamo parlaro, Dimitrov e Nishikori su tutti, hanno qualità tecniche da vendere e tirano meno forte di Raonic».
Alla scoperta di Kyrgios di Diego Barbiani
Campo Centrale di Wimbledon, Nick Kyrgios ha il match point contro Rafael Nadal
Campo Centrale di Wimbledon, Nick Kyrgios ha il match point contro Rafael Nadal. Ace. Una pallina scagliata con la velocità di una meteora che lo spagnolo può solo guardare. Anzi, più che una meteora, una vera e propria stella cometa che vuole indicarci la via, la sua via... Così ha inizio la favola del giovane australiano, che al secondo appuntamento a Wimbledon ha colto la vittoria più importante della sua carriera, ancora agli inizi, contro uno dei più forti giocatori dell'ultimo decennio. Da quel momento il nome di Kyrgios rimbalza in ogni angolo del pianeta, sebbene tra gli addetti ai lavori c'era chi da almeno un anno e mezzo
era pronto a puntare forte su questo giocatore che pare abbia tutto per sfondare: dal servizio micidiale al dritto che è già devastante, fino al rovescio su cui ancora deve lavorare perché rischia di perdere il “timing” sulla palla, ma quando viene colpita bene assume traiettorie molto pericolose. La sua impresa contro Nadal ha fatto registrare anche il ritorno alla vittoria di un teenager contro il n.1 del mondo. Non accadeva dal 2005, quando un Nadal ancora diciannovenne superò al Roland Garros Roger Federer in semifinale.
Nick Kyrgios ha 19 anni e uno sguardo da uomo. Ha il fisico che serve, gambe lunghe al punto da farlo apparire più alto dei suoi 193 centimetri. È agile, un ballerino. Lo spagnolo vittima della legge del contrappasso, annientato in quattro set (proprio come fece in quella circostanza contro l'elvetico) e sommerso da una valanga di colpi vincenti, scatenati da un ragazzo che con questo exploit ha cancellato anche la vittoria incredibile di qualche giorno prima contro Richard Gasquet, quando ha recuperato due set di ritardo e nel quinto ha annullato nove match point. Una croce, una giada e una racchetta. Tre ciondoli che rimbalzano sul collo bruno, annodandosi fra loro sui movimenti del servizio. Simbologia senza particolari misteri. Fede e fortuna al servizio del tennis... Annotazioni minime su un ragazzo che non ha ancora una storia da raccontare, ma un grande futuro da conquistare. Nick Kyrgios ha 19 anni e uno sguardo da uomo. Ha il fisico che serve, gambe lunghe al punto da farlo apparire più alto dei suoi 193 centimetri. È agile, un ballerino. «Mi piace che la gente si diverta, con me. Non riesco a pensare solo alla vittoria, spero di valere il prezzo del biglietto». Nobili parole. Nick, dicono i campioni australiani che conquistarono il mondo, sarà numero uno. Da Wimbledon lo pensano in tanti. Meglio andarci piano... Negli ultimi anni si sono spesi fiumi d'inchiostro per incensare prima quel giocatore, poi quell'altro. La prudenza non è mai troppa e in Australia dovrebbero saperne qualcosa, vista la sofferenza nel
ripercorrere la gloria che ha attraversato il Paese per decenni interi del secolo scorso. Bernard Tomic è stato quasi dimenticato, abbandonato ai suoi atteggiamenti irriverenti e alle bizze di suo padre. Ora però questo Kyrgios, nato a Canberra da padre greco e madre malesiana, fa sognare. Perché sarà difficile tenerlo a bada. «Quel ragazzo ha due palle enormi», disse con una soave espressione Radek Stepanek dopo il Roland Garros 2013. Allenamenti al College Ha frequentato il college australiano di Radford fino all'ottavo anno, poi per proseguire gli allenamenti si è spostato alla Daralman College
di Canberra. Se ha scelto il tennis, però, il merito è di mamma Norlalia che all'età di sette anni gli mise tra le mani la prima racchetta. Il tennis non era la sua vera passione. Nick amava il basket, fin da piccolo innamorato dei Boston Celtic, tanto che anche ora mentre gira per i tornei di tennis indossa pantaloncini tipici dei cestisti, legati alla vita con un filo e molto larghi attorno al quadricipite. Poi però è stato costretto a scegliere tra i due sport e la convinzione di avere più chance con la racchetta lo ha condotto al tennis. Aveva già quattordici anni quando decise di occuparsi a tempo pieno di tennis e in breve i passi compiuti sono stati eccezionali. Anzitutto, aiutato anche da un carisma enorme, ha subito avuto come obiettivo quello di diventare n.1 del mondo. Non aveva paura di nulla e con tanto lavoro fisico si è rimesso in forma perdendo i chili in eccesso e cominciando una scalata esponenziale. A diciassette anni era n.1 del mondo tra gli junior, ora sfida i maestri del tennis odierno e già riesce a creare loro considerevoli problemi. Non è un personaggio con il sorriso stampato sulle labbra, ma non per questo può essere dipinto come antipatico. Quando Roger Federer lo ha invitato in Svizzera per una settimana di allenamenti insieme, appena dopo essere diventato padre di Leo
Nick spesso nomina il suo connazionale Thanasi Kokkinakis: i due sono grandi amici e Lenny, era estremamente felice. Inoltre, Nick spesso nomina il suo connazionale Thanasi Kokkinakis. Anche lui di origine greca, anche lui grande appassionato di basket, anche lui con una (possibile) grande carriera davanti, «forse è anche più talentoso di me» ha addirittura detto Nick. I due sono grandi amici, si conoscono da tantissimi anni e si allenano spesso insieme. All'Australian Open Kyrgios era sugli spalti a tifare per Kokkinakis durante il suo match d'esordio nel torneo contro Igor Sijsling. I due si divertono insieme, ma dimostrano anche di avere grandi valori umani. Si fanno forza a vicenda per non sentire la pressione di un popolo, quello australiano, che vive di sport ed avverte le grandi difficoltà che
attraversando il movimento tennistico. L’amico Thanasi I loro risultati a livello junior poi non fanno altro che aumentare le attese, con una finale all'Australian Open giocata l'uno contro l'altro e un titolo di Wimbledon vinto in coppia. Con Hewitt che non potrà rimanere ancora a lungo e un Tomic con tante ombre e poche luci è facile guardare a loro due. «Thanasi? Mi manca molto», ha detto Kyrgios a Wimbledon in riferimento al suo compagno che ha preferito tornare a casa dopo il Challenger di Nottingham per completare gli studi. Infine, durante il Major londinese, per aiutare la raccolta fondi dedicata all'associazione che
Il suo cammino si è interrotto contro Milos Raonic confermando la legge che il “killer” di Nadal debba uscire al turno successivo porta il nome della sfortunata Elena Baltacha versava 5 pound per ogni ace servito. Il suo cammino si è interrotto contro Milos Raonic confermando la legge che il “killer” di Nadal debba uscire al turno successivo. È accaduto con Lukas Rosol e Steve Darcis (senza dimenticare Dustin Brown ad Halle), ma Kyrgios è diverso. Non una meteora ma una stella cometa, che ci vuole indicare quale sia la strada, la sua strada..
Alexander Zverev, è nata una stella? di Alessandro Varassi
L’ATP 500 di Amburgo lancia sotto i riflettori il 17enne tedesco
La Germania, fresca vincitrice dei recenti Mondiali di Calcio, può continuare a sorridere nel mondo dello sport. Quella capacità di pianificare e coltivare i propri talenti, che i mass media sottolineano all’infinito come origine dei trionfi della nazionale teutonica in Brasile, può applicarsi anche al tennis, stando a quello che sta mostrando un giovanissimi 17enne. Parliamo di Alexander Zverev, classe 1997, che nel torneo della propria città, Amburgo, è stato il primo minorenne dopo 10 anni a battere un top 20, Youzhny. Nonché il più giovane vincitore di sempre di un match di main draw in un ATP 500 (istituiti dal 2009, a dirla tutta). Del giovane fratello di Misha Zverev (tennista decisamente altalenante, con un best ranking alla posizione 45 del mondo e qualche risultato qua e là nei Masters 1000) si parla bene già da un po’. Ma è nell’ATP 500 di Amburgo di questa stagione che compie un’autentica impresa: da wild card, il tedesco si spinge fino alle
semifinali, cedendo solo a David Ferrer. Sotto i suoi colpi cadono tra gli altri il ricordato Youzhny, Giraldo e Kamke: un risultato stratosferico per il 17enne, che arriva alla posizione numero 161 del ranking ATP. Il 2014 per lui era iniziato quasi 700 gradini indietro (numero 808), ed è ancora più incredibile lo sprint avuto dalla fine di Giugno, quando era appena numero 665. La vittoria nel ricco Challenger di Braunschweig, battendo tra gli altri Joao Souza, Andrey Golubev e Paul Henri Mathieu, è stato l’inizio di una scalata impensabile, completata poi ad Amburgo. Nel mezzo, una sconfitta a Stoccarda contro Lukas Rosolo, maturata in due tiratissimi tie break (persi a 7 e a 9). Che Zverev puntasse al grande risultato, indipendentemente dalla giovanissima età, lo si capiva comunque dalla sua programmazione: nel 2014 infatti ha praticamente lasciato perdere i tornei Futures, tentando le qualificazioni nei principali tornei Challenger e ATP 250. Le cose, come era preventivabile, non sono andate immediatamente bene: fino a fine marzo infatti il tedesco non è riuscito a disputare match nei
main draw, incontrando spesso sconfitte con avversari non certo di primissima fascia. Fino a Braunschweig, erano appena 7 i match nei tabelloni principali, frutto di wild card come Caltanissetta e Monaco di Baviera. Ma l’esperienza maturata, e la programmazione, ha pagato alla lunga, consentendo al giovane teutonico di farsi finalmente conoscere dal grande pubblico, non solo dagli appassionati del tennis giovanile. Un po’ di Italia nel suo curriculum: lo scorso anno infatti Zverev si è imposto al Bonfiglio, storico torneo giovanile di Milano. La finale fu un match durissimo, durato la bellezza di 3 ore e 23 minuti, necessari al tedesco per imporsi per
7-6 5-7 7-5 sul servo Laslo Djere. Alexander riesce a vincere gli Internazionli d’Italia Juniores a 16 anni e 36 giorni, facendo meglio di Gianluigi Quinzi, l’anno prima vincitore a 16 anni e 117 giorni. Tra l’altro, è stato il primo a vincere il torneo come wild card degli organizzatori. A fare la differenza, nel suo gioco, sembra poter essere la velocità di gambe, e la capacità di cambiare ritmo a proprio piacimento, riuscendo a trovare lo spiraglio per aprire il campo dell’avversario, punendolo con lungolinea imprendibili; il dritto può essere considerato la sua arma migliore, capace di far male all’avversario grazie ad un buon movimento. C’è da lavorare ancora, e non può essere altrimenti data l’età, sul rovescio bimane. In ultimo, il servizio sembra poter essere per lui un’ottima arma, fluido e efficace, cosa non banale se paragonata allo stato dei giovani italiani. I prossimi impegni ci diranno di più sulla sua tenuta mentale, specie in impegni lontano dalla “sua” Germania. Tutti gli avversari lo aspetteranno al varco, l’effetto sorpresa potrebbe essere svanito: il talento innato è indiscusso, ma come dimostra la storia recente del tennis non basta solo quello per emergere ed affermarsi definitivamente in questo sport.
Intervista a Rosewall di Federico Coppini
Wimbledon Park, ore 10 del mattino di mercoledì 25 giugno. L'erba dell'All England Club è ancora verde. Il taxi che ci accompagna dal Gate 14 alla “Tennis Gallery” porta incontro alla storia. Quella tramandata dai nostri padri e da una televisione in bianco e nero che di immagini ne offriva poche, ma di qualità. Tragitto breve e intenso. Il black cab veste a meraviglia i panni della macchina del tempo e la mente di chi non ha vissuto quell'epoca in prima persona, ma ha studiato e si è documentato, si ferma, quasi a voler omaggiare il mito, e rileggere quelle pagine di Storia, tra le rughe del distinto signore in giacca e cravatta
rigorosamente di Wimbledon, che ci attende. «Good morning mister Rosewall». Ci guarda e sorride. Ha il suo libro in mano, nemmeno fosse quella racchetta che sapeva usare a meraviglia: “The Muscles”, il titolo della sua autobiografia scritta da Richard Naughton. Lo guardiamo ammirati e riflettiamo. Su cosa, innanzitutto, quest'uomo sia riuscito a fare. Andando, per esempio, in finale a Wimbledon nel 1954, sconfitto da Drobny e di nuovo vent'anni dopo, a quarant'anni, nel 1974, superato da un giovanissimo Jimmy Connors. Vincendo, per esempio, nel 1956 l'Open degli Stati Uniti, battendo in finale Lew Hoad
e ripetendosi, quattordici anni dopo nel 1970 contro Tony Roche. Imprese che hanno fatto epoca e storia e che, ripensando soprattutto ai 45 tornei dello Slam che il signor Kennett Robert Rosewall, non ha potuto giocare per il suo passaggio al professionismo, hanno un significato decisamente più profondo e una valenza superiore. «Lei è stato il più grande», gli diciamo d’improvviso, un po’ per sorprenderlo, un po’ perché a uomini del genere non si può che volere un gran bene... «Venite qui», risponde calmo, «vi spiego io chi è stato in realtà il più grande», la risposta repentina della leggenda di Sydney. «Il più grande è stato Pancho Gonzales», taglia
corto Rosewall. «Quando eravamo professionisti, abbiamo giocato contro almeno settanta volte e sono riuscito a batterlo solo in otto occasioni. Lui è stato un grandissimo». La copia del libro, con tanto di dedica, vale più di qualsiasi altra emozione. Come giocare, a distanza di vent'anni dalla prima, un'altra finale a Wimbledon. «Persi in tre set da Jimmy Connors ma, e voi ora non ci crederete, quella è stata la mia partita più bella ai Championships. Avevo quarant'anni e stavo disputando la mia quarta finale di Wimbledon». Ecco, appunto... Nel '50, la prima, persa contro Drobny, sei anni dopo, la seconda, quando venne sconfitto da Hoad. Poi nel '70, quando fu John Newcombe a negargli la gioia dell'unico Slam che manca alla sua bacheca e, come detto, nel '74, con un giovanissimo Jimmy Connors a sbarragli la strada. «Non ho mai vinto da queste parti, ma ho ricordi bellissimi. Ho giocato quattro finali, ho lasciato il segno ugualmente. La gente mi vuole bene, il Club mi invita ogni anno, mi sento a casa». La gente si ferma, lo riconosce. E lui, dietro un piccolo tavolo, sorride alla vista dei passanti. «Prego, accomodatevi», quasi a voler raccontare la sua storia dall'alto del suo metro e settanta. Fatta di tanti, tantissimi aneddoti.
«Il più grande è stato Pancho Gonzales»
Come quando, ma questa è storia recente, andando nella vecchia casa di John Newcombe a Sydney per giocare con sua moglie, Angelika Pfannenburg, tennista tedesca, si accorge che la rete, in alcuni punti, è rotta. Il giorno dopo il buon Ken Rosewall, si presenta a casa Newcombe con dei vecchi lacci di scarpe e si mette a rattoppare la rete. Storie di un tennis che fu, di un campione di ogni epoca, di chi ha saputo, con quel suo rovescio, ridisegnare a meraviglia le linee di ogni rettangolo di gioco. Dall'erba alla terra e viceversa. Roma e gli Internazionali d'Italia, due anni fa, gli hanno lasciato in dono una racchetta d'oro e un po' di paura per un piccolo malanno passeggero.
Eugenie Bouchard e Simona Halep a caccia della corona di Alessandro Varassi La canadese e la rumena, tanto diverse tra di loro, pronte a sfruttare lo stallo delle big WTA: è aperta la corsa al titolo di regina WTA?
Il circuito femminile si trova in un’epoca di transizione. L’età che sembra farsi sentire per Serena Williams, negli ultimi anni dominatrice incontrastata, gli alti e bassi di sua grazia Maria Sharapova, i problemi fisici di Vika Azarenka, sembrano spalancare le luci della ribalta alle giovani leve, che si candidano a pieno titolo come possibili nuove regine WTA. Australian Open, Roland Garros e Wimbledon ci hanno fin qui regalato l’esplosione di Eugenie Bouchard, senza sottovalutare la finalista di Parigi, la rumena Simona Halep: le due tenniste negli ultimi 12 mesi hanno avuto una progressione nei risultati e nel ranking inarrestabile, proiettandosi nei piani alti delle classifiche, con ottimi risultati nei major. Alle loro spalle, alte giovani come Garbine Muguruza, Belinda Bencic, Donna Vekic (chiedere a Sara Errani) si preparano ad emularle, anche se manca ancora qualcosa per l’esplosione definitiva.
Simona Halep e Eugenie Bouchard, distanziate di 2 anni e mezzo di età (22 contro quasi 20), appartengono alla stessa generazione; da un punto di vista del marketing, la canadese vince a mani basse. Da più parti indicata come la vera erede di Maria Sharapova per bellezza e capacità di attrarre interesse, Eugenie Bocuhard vanta la semifinale in tutti gli Slam fin qui disputati nel 2014 (e la finale a Wimbledon, caduta sotto i colpi di Petra Kvitova). Non c’è quindi problema di superficie che tenga per la bella canadese, che può vantare già un forte stuolo di fans sia sui social media che sui campi (la Genie Army, divenuta famosa a Melbourne lo scorso gennaio). Simona Halep ha iniziato l’anno al numero 11, e dopo le finali di Madrid e Parigi è salita sul gradino più basso del podio WTA, al numero 3. E’ stata la giocatrice maggiormente migliorata nel 2013, facendo passare finalmente in secondo piano la notizia che la rese celebre: l’intervento chirurgico per ridurre il seno. La rumena appare decisamente calma in campo, senza urli eccessivi, merce rara in questo periodo nella WTA.
Halep: una persona descritta da chi la conosce bene come decisamente umile, gran lavoratrice Una persona descritta da chi la conosce bene come decisamente umile, gran lavoratrice, che vive ancora nel suo paese di nascita, Constanta, ed è diventata molto famosa in tutta la Romania, patria in passato di diversi grandi tennisti. Più personaggio, come dicevamo in apertura, la Bouchard, figlia di un banchiere, che guarda già al futuro, non solo tennistico. Ha fatto rumore la sua intervista in cui annunciava la “fine” dell’amicizia con Laura Robson, “in quanto in questo ambiente è impossibile avere veri e propri amici tra le persone con cui sei in competizione”. Ed anche nelle conferenze stampa della canadese, l’argomento tennis passa spesso in secondo piano rispetto al gossip
(nota la sua passione per Justin Bieber, cantante pop molto conosciuto tra i ragazzini) e ai suoi interessi. Finora i match tra le due sono in parità: Halep vittoriosa a Indian Wells, Bouchard che si è vendicata a Wimbledon, nel match forse più importante. Due facce di una stessa medaglia: le giovani leve sono pronte a sopravanzare le più titolate avversarie nella corsa al titolo di regina WTA: vincerà l’estetica (non solo tennistica) o la sostanza?
Il primo match non si scorda mai di Alex bisi
Correva l’anno 1993, alcuni miei amici incontrati la mattina al bar,mi dicono di guardare la Rai nel pomeriggio, perché saranno a Bologna a vederla finale del campionato di basket. Io non ho mai seguito molto il basket, ma quel giorno succede qualcosa, con la canotta numero cinque della Virtus Bologna gioca un serbo, un certo Danilovic, che catalizza la mia attenzione. Ha un carisma e un talento incredibili, non so ancora tutte le regole ma so che quello che fa quel giocatore mi affascina a tal punto,che a fine partita cerco una vecchia palla in garage e vado al campo a provare questo sport. Il basket diventa il mio sport, per 15 anni, a livello ovviamente non da serie A, lo pratico con
la dedizione di un professionista, fino a che mi sposo, arriva il primo figlio e gli impegni degli allenamenti 3 sere a settimana diventano eccessivi, per cui giunge il momento del ritiro. Ho sempre fatto sport, devo trovare qualcosa da fare, e con un padre tennista provo il tennis. In 33 anni non ho mai giocato, ma come primo impatto non mi dispiace, poi un bel giorno succede di nuovo… In tv vedo un match di Djokovic, un altro serbo..e ora il tennis è diventato il mio sport principale, non posso farne a meno. Durante il giorno, mentre lavoro , penso a come migliorare i miei colpi, mi documento e leggo tutto quello che trovo per sopperire la sete di conoscenza di questo sport. Certo, Nole non è Federer, ma il colpo di fulmine scatta non decisamente con il più bello.. Dopo un anno di lezioni e partite con amici, arriva finalmente il primo banco di prova, il torneo sociale del club. Son sempre stato un agonista e non vedo l’ora di partecipare. La formula è semplice,per evitare match infiniti, visto che si è divisi per livelli, si gioca un’ora e
Il primo match è come la prima volta, per un motivo o per l’altro non si scorda mai mezzo, e chi porta a casa più games passa il turno. Io sono tranquillo, mi son preparato bene e non vedo l’ora di giocare, ho 33 anni, non posso aver paura di un esordio in un torneo per dilettanti… Conosco il mio avversario il giorno del torneo, un uomo vicino ai 50 ritornato a giocare da poco. Ho un chiaro piano d’azione, lo devo far muovere, non sembra in grado di reggere molti spostamenti, gioca come sai e vedrai che la porti a casa. Il match però è un’altra cosa dagli allenamenti e nonostante mi sia preparato bene, il braccio non fa quello che voglio, ho un blocco,non mi muovo bene sui piedi,non cerco bene la palla, e così il
mio avversario deve solo ributtare le palle dalla mia parte perché prima o poi farò un errore. Il risultato è che faccio tutti i punti io..anche quelli del mio avversario,anzi ne faccio, da generoso quale sono, più per lui che per me,così senza particolari fatiche vince il match. Il primo match è come la prima volta, per un motivo o per l’altro non si scorda mai, spesso non va come te l’aspettavi, ma almeno hai rotto il ghiaccio ed ora non vedi l’ora di rifarlo convinto che sicuramente la prossima volta andrà meglio.
Coach vintage sì o no? di Valerio Carriero
I promossi, i bocciati e i rimandati
Una ventata d’aria vintage si è abbattuta nei box dei migliori tennisti. Qualche chilo in più in alcuni casi, qualche capello in meno in altri, ma sono sempre loro, leggende di questo sport che solamente qualche decennio fa calcavano i campi più importanti del Tour lasciando un segno indelebile. Un esperimento lanciato da Andy Murray, che negli ultimi minuti del 2011 annunciò Ivan Lendl come nuovo coach. Una collaborazione lunga e redditizia, che ha portato lo scozzese a sbloccarsi negli Slam e ad entrare nella storia con il trionfo a Wimbledon. Un connubio che ha spinto altri big a provarci, con diversi risultati.
Tracciamo un bilancio di questa prima parte di stagione. Iniziamo da Novak Djokovic, che ha affiancato allo storico Marian Vajda a sorpresa Boris Becker. “Bum Bum” ha confessato di essere stato contattato subito dopo la perdita del nr.1 nel ranking, in autunno del 2013. La collaborazione inizia dunque nel 2014, ma i risultati non arrivano. La volèe che condanna il serbo sul match point ai quarti di Melbourne contro Wawrinka sembra uno scherzo di cattivo gusto, con uno come Becker nell’angolo. Si parla di contrasti tra Vajda e Boris, ma Nole insiste: “I frutti si vedranno col tempo, mi aiuta molto dal
punto di vista mentale”. Nonostante ciò, lascia qualche perplessità la finale del Roland Garros persa malamente da Nadal dopo un ottimo primo set, e il Career Slam che sfugge ancora. Basta però qualche settimana per zittire tutti: una meravigliosa finale a Wimbledon permette al serbo in un colpo solo di bissare il titolo del 2011 e riprendersi l’agognato nr.1. Un successo, appunto, mentale in un torneo che l’ha visto più volte barcollare ma rimanere in piedi per ultimo. Boris Becker, dopo un avvio tribolato: promosso. C’è poi il binomio Roger Federer-Stefan Edberg, quello che più ha scaldato il cuore dei
nostalgici e degli esteti. L’unione è stata ufficializzata negli ultimi giorni del 2013, e in questo caso i benefici sono risultati immediati. In qualche mese lo svizzero fa meglio dell’intera stagione precedente (nonostante fosse difficile far peggio), conquistando una semifinale Slam, vincendo un 500 con una splendida vittoria su Djokovic e tornando competitivo contro i top 10. Qualche difficoltà sulla stagione su terra, in parte giustificate dalla nascita di Leo e Lenny, poi il capolavoro a Wimbledon. Poco importa l’esito della finale, Roger ci ha messo il cuore e sciorinato nel suo torneo un repertorio eccezionale, scendendo più volte a rete in questa edizione che in tutte le precedenti apparizioni. L’effetto Edberg è chiaramente tangibile, per l’anagrafe non può far assolutamente nulla: promosso. Fa ancora meglio Magnus Norman con Stanislas Wawrinka: il miracolo agli Australian Open, poi confermato con il successo anche nel primo 1000 a Montecarlo. Lo svizzero (ora) nr.2 è quasi certo di partecipare al Master per il secondo anno consecutivo. Anche per Norman, già fondamentale nell’exploit di Soderling, non ci sono dubbi: promosso.
Scendendo ancora di qualche gradino, troviamo Kei Nishikori. Anche il giapponese decide di affiancare al suo coach di sempre Dante Bottini l’ex nr.2 al mondo Michael Chang. Entrambi brevilinei, rapidi da fondo e intelligenti in campo: collaborazione che porta il giapponese per la prima volta in top10 (con la chance di tornarci a breve, data l’assenza prolungata di Del Potro), in una finale 1000 (dominata a Madrid per un set e mezzo contro Nadal, prima dei problemi alla schiena) e in piena corsa per il Master di fine anno. Michael Chang: promosso.
C’è gloria anche per due croati come Ivan Ljubicic e Goran Ivanisevic. Il primo ha rimpiazzato Galo Blanco nel box di Milos Raonic e il salto di qualità è stato immediato: il canadese è ad un passo dalla top5, vanta un quarto di finale a Parigi e una semi a Wimbledon, ma soprattutto un atteggiamento più offensivo e non solo con il servizio. Colpo che Ivanisevic sembra aver trasmesso al suo nuovo allievo, Marin Cilic: con tanta voglia di rivalsa dopo la sospensione per doping, il croato è rientrato ampiamente nella top20 e ha solamente 45 punti da difendere sino al 2015. Margini di risalita, quindi, enormi e raggiungibili a suon di ace. Ivan Ljubicic e Goran Ivanisevic: promossi. Solo gioie? No, in alcuni casi qualche perplessità rimane. Concediamo il beneficio del dubbio ad Amelie Mauresmo con Andy Murray (in poco meno di un mese non poteva trasformare un tennista alle prese con i postumi di un rientro difficoltoso e in confusione: rimandata) e per Kim Clijsters che segue part time Yanina Wickmayer (che sembra essersi definitivamente persa: rimandata), ma il duo Richard Gasquet-Sergi Bruguera ha confermato lo scetticismo avuto sin dai primi momenti.
Il loro supporto può comunque rivelarsi fondamentale dal punto di vista motivazionale o per qualche consiglio tattico Il transalpino, che con gli anni ha arretrato la posizione in campo, con un ex tennista che faceva della regolarità la sua arma principale… Certo, per Gasquet stagione difficile anche per via dei problemi fisici, ma per Bruguera non vi sono dubbi: bocciato. Non va meglio ad un suo connazionale, quel JoWilfried Tsonga ormai irriconoscibile e sempre più lontano dai primi 10. L’ex nr.1 francese si affida a Nicolas Escudè e Thierry Ascione, ma l’auspicata rinascita non si verifica: bocciati. Ci ha provato anche Martina Hingis, affiancandosi a Sabine Lisicki. Pochi o inesistenti piazzamenti per la teutonica, la quale ha però il merito di aver riacceso in lei la voglia
di competere in doppio dopo la vittoria a Miami. E’ il principale motivo della loro separazione, e francamente Sabine ci perde poco: bocciata. Un bilancio comunque più positivo che negativo. Ovviamente, aggiungere qualcosa in più al bagaglio tecnico di tennisti formati dopo anni e anni di carriera ad altissimi livelli, è difficilmente ipotizzabile. Il loro supporto può comunque rivelarsi fondamentale dal punto di vista motivazionale o per qualche consiglio tattico, e non è assolutamente da sottovalutare.
Wimbledon-sur-Seine di Laura Saggio
L'erba britannica a Parigi
Difficile immaginare un campo in erba vera, irregolare, ricavata da un giardino tagliato finemente tra i 5 e i 7 mm di altezza, di altri tempi... fuori dai confini britannici. Eppure, all'ambasciata britannica, nella regione della terra rossa Ile-de-France (precisamente al numero 35 di rue du Faubourg-Saint Honoré), eccolo: bellissimo (come te lo aspetti) e molto inglese, ovviamente. Un campo diverso da tutti gli altri campi di tennis, che ha visto nel corso della sua storia ambasciatori, impiegati, politici e imprenditori, calpestare il proprio green. Ma non solo. Un po' di gloria, infatti, l'ha avuta anche lui, quando diversi Top Players, dopo il Roland Garros, lo 'affittavano' per preparare la stagione sull'erba. “La prima a utilizzare il terreno fu la giapponese Kimiko Date nel 1996” confessa Ben Newick, da trenta anni in carica come maggiordomo all'ambasciata. Ovviamente a beneficiare di questo scrigno d'erba nel cuore della Francia sono stati, e sono tutt'ora,
soprattutto i tennisti di casa: Mary Pierce, Gil Simon, Richard Gasquet, Gael Monfils, e, su tutti, fu Amelie Mauresmo che preparò il suo Wimbledon 2006 proprio qui. Ma le avventure tennistiche più esilaranti il campo le ha ospitate durante il famoso torneo diplomatico che veniva ogni anno puntualmente organizzato, definito Wimbledon -sur-Seine. Immersi in un colorato quadro bucolico tra roseti e gerani, i 40 dipendenti dell'ambasciata che si iscrivevano al torneo, si davano battaglia tra una pausa pranzo e una pausa caffè. E sembra che a uscirne quasi sempre vincitore (4 successi) era un certo Eric Celerier, economista con un buon rovescio ad una mano: “Al mio primo successo, mi ero ritrovato in finale con l'Ambasciatore, giocavamo davanti a tutti i consiglieri...mi dicevo che non avrebbe apprezzato se avessi perso di proposito”. Attualmente il blasonato torneo è sospeso, ma il campo in erba francese continua la sua attività ospitando eventi speciali. L'ultimo è stato un entusiasmante scontro anglo-francese tra Henri Laconte e Tim Henman, un set secco vinto da Tim (che di Wimbledon ne sa qualcosa) che a fine match ha dichiarato: “E' l'erba degli anni
La storia di questo prezioso campo-giardino, che iniziò la sua doppia attività alla fine degli anni '60, quando il suo terreno era ancora concavo e mancante di rete e righe '80, più rapida di quella di oggi e piena di falsi rimbalzi. Il campo non è straordinario, ma è comunque incredibile avere un campo in erba in un'ambasciata a Parigi”. E già, proprio così, incredibile. Chissà, forse è la stessa cosa che pensò anche David Cameron quando, giunto per la prima volta a Parigi nelle vesti di Primo Ministro britannico nel 2010, fu accolto dall'atletico Nicolas Sarkozy con una racchetta in mano. Fu sicuramente un diplomatico inusuale benvenuto che si svolse a 200 metri dall'Eliseo, sul famigerato campo verde, con un segretissimo match tra Capi di Stato.
Questa la storia (fino ad oggi) alquanto bizzarra di questo prezioso campo-giardino, che iniziò la sua doppia attività alla fine degli anni '60, quando il suo terreno era ancora concavo e mancante di rete e righe. La ricostruzione definitiva del giardino, adatto ad accogliere il campo da tennis, avvenne nel 1992. Anno in cui l'erba parigina ebbe un altro momento di gloria inatteso: l'inaugurazione ufficiale durante una visita di Stato della regina Elisabetta. Chissà quanti altri incredibili 'colpi' e segreti di Stato Wimbledon -sur- Seine ospiterà sul suo green: l'unico (fuori) campo di battaglie diplomatiche a suon di 15!
Il tennis in tribuna di Fabrizio Fidecaro
Boris Becker e Stefan Edberg, uno contro l’altro nella finale di Wimbledon. No, non sono momenti di gloria risalenti a un quarto di secolo fa, o almeno non solo. In questo caso il riferimento è all’edizione più recente dei Championships, dove la sfida ha avuto luogo davvero: la sola differenza con il triennio 198890 è che non si è svolta in campo, ma sulle tribune. L’uno nel ruolo di allenatore di Novak Djokovic, l’altro nello staff tecnico di Roger Federer. Già, quello dei “supercoach” è un fenomeno dilagante, l’ultima tendenza nel mondo del tennis. A dare il via al trend è stato Andy Murray, che, con al fianco Ivan Lendl, ha conquistato – nell’ordine – la medaglia d’oro olimpica a Londra, si è sbloccato negli Slam, vincendo gli US Open, e poi è giunto all’apoteosi trionfando a Wimbledon settantasette anni dopo l’ultimo britannico, Fred Perry. Questa fortunatissima partnership, ormai conclusa,
dev’essere stata d’ispirazione ad altri due dei cosiddetti Fab Four, se è vero che Djokovic ha deciso di affidarsi a Becker e Federer a Edberg. E così il teatro del confronto si è allargato agli spalti ed è divenuto possibile rivivere duelli che si credeva appartenessero ormai al passato, senz’altro in grado di aggiungere una buona dose di fascino ai match in sé. “Chi si somiglia si piglia”, ricorda la saggezza popolare, ed è facile riconoscere forti affinità tra Roger e Stefan, due gentlemen della racchetta nonché splendidi modelli stilistici. A prima vista sembrerebbero più marcate le differenze tra Nole e Bum Bum, ma il connubio, dopo un avvio incerto, ha preso a funzionare, se è vero che ha appena riportato il serbo sul trono di Church Road e in vetta al ranking mondiale. Peraltro anche la collaborazione dell’elvetico con lo svedese, suo beniamino d’infanzia, procede a gonfie vele, con Fed-Ex che sta vivendo una seconda giovinezza e, dopo gli affanni della stagione scorsa, è tornato a impensierire e, talvolta, a battere i migliori. Insomma, l’idea di affiancare un campione del passato a un top player di oggi sta rivelandosi
vincente. Non è un caso che Kei Nishikori abbia ingaggiato Michael Chang e Marin Cilic si sia accordato con Goran Ivanisevic. Anche grazie all’aiuto del buon Michelino, il giapponese ha fatto finalmente breccia fra i top ten, mentre la partnership tutta croata ha riportato il 25enne nato a Medjugorie fra i primi venti dopo la squalifica per la positività a un test antidoping. Insomma, gli allenatori non rappresentano più figure di contorno, ma sono assurti al ruolo di veri e propri protagonisti. Avere di fianco un fuoriclasse carismatico e poter beneficiare del suo sostegno tecnico e psicologico sta diventando un vero “must”, e parte integrante dello show.
Mai i coach avevano goduto di una tale esposizione mediatica, e così anche i più nostalgici fra i tifosi sono accontentati. Non tutti, però, si sono adeguati a questa sorta di nuova moda. L’appena detronizzato Rafa Nadal, per esempio, non ha mai pensato di rimpiazzare con chicchessia suo zio Toni, che lo segue fin da quando era un bambino. E poi c’è chi il trend lo ha lanciato, ossia Murray, che ha optato per una nuova via, se vogliamo più rivoluzionaria. Dopo l’abbandono di Lendl, infatti, Andy è rimasto per qualche tempo da solo, decidendo infine di dare fiducia sì a un altro grande nome di qualche tempo fa (seppur ben più recente rispetto agli altri), ma di sesso femminile, Amelie Mauresmo. La scelta operata dal talento di Dunblane ha suscitato parecchie polemiche: tra i suoi colleghi c’è stato chi ha affermato di non capirla, adducendo come principale motivazione il diverso livello del tennis rosa e, dunque, la possibile minor comprensione di certi meccanismi da parte dell’ex numero uno Wta. In fondo, però, per Andy l’importante è l’approvazione di mamma Judy, e quella è arrivata in toto. La partnership, in verità, non è cominciata con il piede giusto, vista la pesante sconfitta patita dal detentore del titolo nei quarti di Wimbledon con Grigor Dimitrov, ma il tempo per smentire gli
Va detto che alcuni coach riescono comunque ad acquisire forte popolarità anche senza essere stati dei big in gioventù Va detto che alcuni coach riescono comunque ad acquisire forte popolarità anche senza essere stati dei big in gioventù. È il caso del fresco Hall of Famer Nick Bollettieri, le cui orme, in un certo senso, sono seguite oggi da Patrick Mouratoglou. Il 44enne transalpino di origini greche, è spesso ricercato dalle telecamere nel corso degli incontri della sua allieva più illustre, Serena Williams (che continuerà a seguire, ha fatto sapere, anche dopo la “crisi”). Nelle stagioni scorse Mouratoglou ha rigenerato la carriera della pantera di Compton, portandola nuovamente a dominare la scena. Negli ultimi tempi, però, il rapporto sembrerebbe essersi incrinato e ciò ha inciso in modo negativo sul rendimento della statunitense.
Non resta che attendere per vedere se Serena si riprenderà per l’ennesima volta, se Andy e Amelie ingraneranno la marcia giusta, se RogerStefan e Nole-Boris continueranno a mietere successi, e così via. Ogni campione con al fianco il rispettivo “supercoach”, in un’appassionante sfida che va oltre il rettangolo di gioco.
Tennis in numeri di Roberto Marchesani
1 - le finali di Slam di Eugenie Bouchard, 20enne canadese, raggiunta a Wimbledon quest’anno solo alla sua 3° finale generale della carriera. Perderà dalla Kvitova, al suo 2° successo a Wimbledon - i successi italiani nella storia del tennis ottenuti nel tempio del tennis, Wimbledon. Sono Sara Errani e Roberta Vinci a firmare il primo trionfo azzurro a SW19, vincendo il doppio femminile. Con il risultato, realizzano anche il primo “Career Grand Slam” della storia del tennis italiano. - i successi di Lleyton Hewitt a Newport, dopo 2
finali perse. L’australiano conquista il titolo nella Hall of Fame Tennis Championships per la prima volta (6-3 6-7 7-6 a Karlovic in finale). Per la prima volta anche la doppietta singolo e doppio nello stesso evento, cosa mai accadutagli prima. 2 - i titoli vinti a Wimbledon da Novak Djokovic (2011,’14). Curiosamente sono anche gli unici suoi due titoli conquistati sull’erba, superficie nella quale Nole vanta anche una finale al Queen’s e una ad Halle, ma senza successo. Nel 2008 perse in Inghilterra da Nadal, nel 2009 da
Haas in Germania. - i titoli vinti da Roberto Bautista Agut nelle ultime 4 settimane (a St.Hertogenbosch e Stoccarda), gli unici suoi 2 titoli in carriera. Lo spagnolo batte Lukas Rosol 6-3 4-6 6-2 nella finale di Stoccarda. 3 - le sconfitte a cavallo tra giugno e luglio per Feliciano Lopez, che chiude con un notevole bilancio la sua stagione sull’erba, con una vittoria (a Eastbourne), una finale (al Queen’s) e un ottavo di finale a Wimbledon, perso con Wawrinka. La terza sconfitta – dopo quelle con Dimitrov e poi con il campione dell’Australian Open ai Championships – arriva con Lukas Rosol, nei QF a Stoccarda. - i giocatori che nel 2014 hanno vinto il loro primo titolo in carriera : Pablo Cuevas (a Bastad), Roberto Bautista Agut (a St.Hertogenbosch) e Federico Delbonis (a San Paolo). - le finali a Wimbledon di Novak Djokovic : due vinte (2011,’14) e una persa (2013 con Murray) - gli anni consecutivi nel quale Novak Djokovic è testa di serie n°1 ai Championships (2012,’13,’14). - gli anni consecutivi in cui Rafael Nadal perde con un giocatore classificato oltre la 100° posizione mondiale nel torneo di Wimbledon. Lo spagnolo – in una incredibile successione – registra la sconfitta con il n°100 del mondo
Lukas Rosol nel 2012 (2° turno), con il n°135 Steve Darcis nel 2013 (1° turno) e con il n°144 del mondo Nick Kyrgios nel 2014 (nel 4° turno). 4 - i set-point sprecati da Grigor Dimitrov nel quarto set della semifinale di Wimbledon che potevano mandare al quinto set la sfida con Novak Djokovic. Dimitrov – alla sua prima semifinale Slam – perderà 6-4 3-6 7-6 7-6. - le rimonte portate a termine, in maniera vincente, da Fabio Fognini quando si è trovato sotto di due set a zero. A Wimbledon, nel 1° turno, recupera lo svantaggio contro Alex Kuznetsov (2-6 1-6 6-4 6-1 9-7).
5 - i tornei differenti vinti da Lleyton Hewitt sull’erba : Wimbledon, Queen’s, St.Hertogenbosch, Halle e ora anche Newport. Sono 8 i titoli complessivi su questa superficie. - i set della favolosa finale di Wimbledon 2014 tra Novak Djokovic e Roger Federer, una delle più belle finali mai giocate nella storia del torneo. Djokovic vincerà 6-7 6-4 7-6 5-7 6-4 dopo un match thrilling nel quale lo svizzero annulla 3 set-point nel primo parziale e un match-point nel quarto, recuperando da 2-5. Nel quinto Federer ha una palla-break sul 3-3 per staccarsi, prima di compiere altri due miracoli sul 3-4 ed allungare la partita. Ma sul 4-4 il serbo compie l’allungo decisivo.
- le semifinali consecutive di Novak Djokovic a Wimbledon (6 in totale). Dopo quella del 2007 persa con Nadal, sono arrivate in successione la sconfitta con Berdych nel 2010, la vittoria con Tsonga nel 2011, la sconfitta con Federer nel 2012, la vittoria con Del Potro nel 2013 e la vittoria con Dimitrov nel 2014. 6 - gli spagnoli vittoriosi nella storia del torneo di Stoccarda : Bautista Agut è il 6° ad accedere in questa lista dopo la vittoria di quest’anno. Succede a Nadal (2005,’07), Ferrer (2006), Montanes (2010) e Ferrero (2011).
7 - le sconfitte di Fabio Fognini negli ultimi 2 mesi, in appena 13 partite giocate. Dopo la finale di Monaco di Baviera (inclusa) l’italiano ha messo insieme tre primi turni (a Madrid, Roma e Amburgo) e due 3° turni (al Roland Garros e Wimbledon), oltre alla fallimentare semifinale di Stoccarda. 8 - le finali perse nell’ultimo anno e mezzo da David Ferrer, sulle 9 disputate. Il pessimo bilancio (1-8, pari al 11% di realizzazione) parte dal torneo di Acapulco 2013. Da allora lo spagnolo fu sempre sconfitto in 7 finali (Acapulco, Miami, Estoril, Roland Garros, Stoccolma, Valencia e Bercy 2013), vincendo solo la finale di Buenos Aires quest’anno con Fabio Fognini. - le finali Slam perse da Roger Federer in carriera : 2 a Wimbledon (2008 con Nadal e 2014 con Djokovic), 1 all’Open degli Stati Uniti (2009 con Del Potro), 1 all’Open d’Australia (2009 con Nadal) e 4 al Roland Garros (2006,’07,’08,’11 con Nadal).
9 - le finali a Wimbledon di Roger Federer (2003,’04,’05,’06,’07,’08,’09,’12,’14). Con la 9° ottenuta quest’anno diventa il primo e unico giocatore della storia del tennis a giocare 9 finali nel torneo più prestigioso del mondo, superando il primato di William Renshaw e Arthur Gore, fermi a quota 8. - i match point annullati da Nick Kyrgios a Richard Gasquet nel 3° turno di Wimbledon. E’ la terza volta che un giocatore vince un match in un torneo del Grande Slam annullando 9 matchpoint, dopo Vincent Spadea al Roland Garros 2004 e Christophe Roger-Vasellin al Roland Garros 1982. - gli anni passati dall’ultima volta che un teenager battesse il n°1 del mondo in un torneo dello Slam. Nick Kyrgios – 19enne – ha fatto fuori Nadal nell’ultima edizione di Wimbledon. Nove anni prima (2005) proprio il 19enne Nadal era stato l’ultimo in grado di realizzare l’impresa, sbattendo fuori nelle semifinali del
Roland Garros il n°1 del mondo Roger Federer. 10 - gli anni passati dall’ultima volta che un 17enne batteva un Top20. Zverev ad Amburgo ha fatto fuori il n°19 del mondo Mikhail Youzhny, nel 2° turno. 10 anni fa, nel 2004, Richard Gasquet batteva il n°11 Nicolas Massu all’Open di Portogallo nel 1° turno. 13 - le sconfitte consecutive nel 1° turno di uno Slam di Paolo Lorenzi : a Wimbledon sul campo n°1 cede al 7 volte campione Roger Federer.
14 - le finali del Grande Slam raggiunte da Novak Djokovic in carriera (3 a Wimbledon, 4 all’Open d’Australia, 5 all’Open degli Stati Uniti e 2 al Roland Garros) 18 - le sconfitte RECORD consecutive in un 1° turno Slam da parte di un singolo giocatore : è Filippo Volandri a fissare questo nuovo record negativo con l’ennesima sconfitta nel torneo di Wimbledon.
25 - le finali del Grande Slam raggiunte da Roger Federer in carriera (9 a Wimbledon, 6 all’Open degli Stati Uniti, 5 al Roland Garros e 5 all’Open d’Australia) 91 - gli anni passati per ritrovare un canadese in semifinale Slam. Milos Raonic – raggiungendo la sua prima semifinale a Wimbledon – succede a Johnston, che era approdato in semifinale agli US Championships nel lontanissimo 1923.
Non sottovalutare il cuore di un campione di Alex Bisi
Era il 1994, quando un grande coach di basket Nba, appena vinto il titolo con la sua squadra disse:”don’t ever understimate the heart of a champion”. Lui si riferiva ai suoi giocatori, ed in particolare al suo giocatore simbolo Hakeem “The Dream” Olajuwon. Personalmente penso sia una delle più belle frasi, legate a personaggi sportivi, e penso che si possa benissimo rapportare alla recente finale di Wimbledon, ed accostarla ad entrambi i protagonisti. In quello che, da tutti è definito il suo regno, il campione svizzero ha scritto un’altra pagina della sua immensa leggenda, c’erano molte perplessità sul fatto che potesse arrivare nuovamente in fondo, ad un appuntamento slam. King Roger l’ha fatto ed ha tenuto testa per 5 tesissimi set a Novak Djokovic.
La tenuta fisica era la grande incognita alla vigilia della finale, con l’ago della bilancia che pendeva a favore del serbo. Roger si porta in vantaggio vincendo al tie-break un primo set dove entrambi i giocatori sembrano decisamente tesi. Nole pareggia i conti giocando un ottimo secondo set e nel tie-break del terzo si porta in vantaggio. Djoker sembra tornato il solito automa,non sbaglia nulla e gioca alla grande, ma quando sembra in totale controllo della finale, sul 5-2 qualcosa si intromette nel perfetto ingranaggio. King Roger quando sembra alle corde, tira fuori una prestazione da campione qual è,vincendo il quarto set 7-5. A questo punto l’ago della bilancia pende decisamente a favore dello svizzero, con Djokovic sul punto di vedersi nuovamente sfuggire un appuntamento slam. Ma, come dicevamo, “non sottovalutare il cuore di un campione”, e anche Nole lo è e nel quinto decisivo set gioca alla grande vincendo il suo secondo Wimbledon.
Djokovic con la vittoria ha scacciato diversi fantasmi che lo assillavano,recuperando concentrazione sangue freddo nel momento più difficile della partita Il post partita è ricco di lacrime, del vincitore, visibilmente commosso nel dedicare la vittoria al suo team, alla sua futura moglie e al suo futuro erede, ma anche da parte di Federer, che si vede sfuggire l’ottavo Wimbledon della sua sfolgorante carriera. Alla fine ha vinto chi ha avuto i nervi più saldi, perché il gioco espresso dai due finalisti è stato di altissimo livello soprattutto nel terzo e quarto parziale di giococon diverse buone sortite a rete anche del campione serbo, che durante il torneo non era stato così convincente come il suo avversario.
Un tetto per Parigi di Laura Saggio
A Parigi serve un tetto ad ogni costo. Nel 2018 il Roland Garros -forse- finalmente vincerà la sua partita contro la pioggia
Anche l'ultima edizione dello Slam parigino si è conclusa in pieno rispetto dei tempi dettati dalla regina Pioggia, che ancora una volta ha fatto il bello e il brutto gioco a suo piacimento. E, per l'ennesima volta, il mondo del tennis ha scatenato la sua ira contro la terra bagnata dal cielo. Giocatori, TV, organizzatori del torneo, spettatori paganti, tutti sconfitti dall'incognita “meteo-variabile”. Soluzione? Progettare un tetto per Parigi. Anche perché se un certo Signor Federer durante il torneo dichiara:“in certi casi bisogna dimenticare la qualità del gioco e sperare di vincere la partita con i mezzi a disposizione”, non si può proprio più aspettare. Urge progettare un impianto all'altezza un Grand Slam. Così, il Roland Garros, dovrà necessariamente rimboccarsi le maniche e
prendere esempio dai cugini Australian Open (che dal prossimo anno sarà il primo Slam con ben tre campi coperti) e Wimbledon, che nel 2009 ha risolto la variabile pioggia investendo (e molto) in un impianto all'avanguardia: un tetto che tutela lo stato vitale dell'erba. Certo a Wimbledon, a distanza di anni, stanno ancora lavorando per ammortizzare i costi, ma la scelta si è dimostrata necessaria, tanto che nel 2019 dovrebbe essere pronto un altro tetto sul Campo 1. Restano gli US Open, o meglio restavano. La scorsa estate infatti, dopo anni di edizioni in balia del meteo, è stata varata la decisione di costruire un tetto. Gli ingegneri, supportati da sistemi tecnologici all'avanguardia, si sono messi all'opera per trovare una rapida soluzione al problema dell'Arthur Ashe Stadium (lo stadio tennistico più grande del mondo), costruito su una vecchia discarica e perciò incapace di sostenere ulteriore peso. Così, ecco la soluzione: un tetto a forma di ombrello (che rende bene l'idea) coprirà il Campo Centrale, senza aumentarne il peso.
L'intero progetto costerà ben 340 milioni di euro
Quindi torniamo in Francia. Lo Slam più piccolo di tutti, appena 8,5 ettari, deve vincere anche lui necessariamente la partita pioggia, e non solo. L'attuale impianto non è soddisfacente, la mancanza di spazio lo rende angusto per giocatori, spettatori, sponsor e giornalisti. Per questo è stato intrapreso il progetto di modernizzazione che consisterebbe: - nella costruzione di un tetto retrattile sul Philippe Chatrier; - nell'ampliamento degli spazi dedicati ai giocatori, giornalisti e sponsor; - nella costruzione di un nuovo impianto da 5.000 posti, in sostituzione dell'attuale Campo 1. La particolarità del progetto sarà l'estensione
(in ettari) dell'impianto. Infatti, sebbene nel corso dell'anno l'impianto continuerà ad essere di 8,6 ettari, nelle tre settimane di torneo diventerà di 11,16. Il focus dello sviluppo sarà incentrato sull'aspetto paesaggistico che avrà il compito di far rilassare il pubblico e regolare al meglio il flusso di persone. Inoltre, verranno costruiti sette nuovi campi, di cui uno con tribune per 2.200 spettatori, e un nuovo Roland Garros Village. L'intero progetto costerà ben 340 milioni di euro ma, come ha dichiarato Glbert Ysern: “anche se ci indebiteremo come non è mai mai successo in passato, ma era l'unica cosa da fare. Lo status di Slam non è in pericolo, ma dobbiamo invogliare i giocatori a venire”.
Poesia di Andrea Guarracino
Già il giorno prima del suo corso di tennis Carletto non stava più letteralmente nella pelle al solo pensiero di poter ritornare a calcare i campi del suo sport preferito e poter incontrare ancora il maestro e i suoi compagni di gioco. Così cominciava ad assillare la sua povera mamma di domande con il suo linguaggio dall’incedere diversamente agile: “ Ma-mamma, do-domani piove? Ma-mamma, ti ri-ricordi che do-domani devi ac-compagnarmi al tennis? Mamamma, ti sei ricordata di la-lavarmi il completino da te-tennis? Ma-mamma, quando mi compri la ra-racchetta nu-nuova?” La sua mamma non sapeva se essere contenta o
disperata per l’incredibile passione per il tennis che si era completamente impossessata della mente del suo figliuolo. Anche durante il viaggio in macchina verso il circolo Carletto, ormai in crisi di astinenza da tennis a livelli siderali, continuava ad assillarla dicendo: “ ma-mamma, ac-celera che si-siamo in ritardo… ma-mamma attenta a quella ma-macchina che facciamo il bobotto…. ma-mama supera quella lu-lumaca…. ma-mamma gi-gira a de-stra che fa-facciamo pri-prima “. La sua ansia incontrollabile si spegneva solo davanti al cancello del circolo quando poteva scorgere i suoi compagni di corso sul campo di
Per lui Carletto aveva simultaneamente tutte le qualità che avrebbe sempre desiderato trovare in ogni suo allievo gioco. In quel momento il suo viso si illuminava di gioia e per tutti era come se il sole fosse improvvisamente comparso sul campo rompendo il muro delle nuvole. I suoi compagni gli volevano tutti un bene incredibile per la passione, la gioia e il rispetto per gli altri che trasudavano da ogni suo gesto. Ma quello che lo amava più di tutti era il suo maestro. Per lui Carletto aveva simultaneamente tutte le qualità che avrebbe sempre desiderato trovare in ogni suo allievo: un’infinita passione per il tennis, una grande educazione e un enorme rispetto per i suoi avversari e per il suo maestro, un grande impegno costante nel tempo, la continua ricerca di migliorarsi senza perdere mai il senso del divertimento e soprattutto la capacità di non farsi scoraggiare dagli errori e di mantenere sempre la gioia dentro di se. Carletto ogni volta che riusciva a fare un bel colpo si girava subito verso il suo maestro e facendogli l’occhiolino gli diceva sempre: “ Bella ma-maestro”. Il maestro gli rispondeva ogni volta : “ Grande Carletto” e mentre proferiva queste parole era pervaso da un senso di infinita leggerezza che gli rendeva ogni lezione simile a una poesia. Dedicato a Carlo il mio allievo con la sindrome di down e a tutti i tennisti diversamente abili che praticano con gioia ogni giorno il nostro meraviglioso sport.
Il tennis allena la vita di Stefano Massari (mental coach)
Mi trovo a La Spezia ed è sabato pomeriggio, è luglio e fa caldo. Per le strade quasi nessuno, forse per via dello scirocco che ingrigisce il cielo e avvolge tutto impastando le cose, avviluppandole le une alle altre fino a renderle quasi indistinguibili. Ho appena finito una riunione con alcuni colleghi e cammino verso la stazione. Ad ogni passo la camicia mi si attacca un po' di più alla pelle. Sento il peso del cellulare nella tasca dei jeans e mi viene in mente che questa mattina Luca ha fatto l'esame di maturità. Luca è un tennista, classifica 2.5, con cui lavoro da anno. Un ragazzo con un'intelligenza viva e un desiderio di dare e ricevere amore grande quanto la sua impulsività, commovente quanto la sua trasparenza.
Decido di chiamarlo. Prima ancora di dirmi ciao cerca di spiegarmi come mai non mi aveva ancora telefonato e non capisco bene cosa mi dica. Parla di qualcosa che ha a che fare con la scomparsa o la rottura di un cellulare. Poi, come se continuasse a parlare dello stesso argomento, mi dice che l'esame è andato bene e visto che mi conosce mi dice già quello che vorrei sapere, vale a dire cosa significa bene. Significa che, mentre la sera prima se la stava facendo sotto, questa mattina si è alzato pensando all'esame in un altro modo. Ho pensato, mi dice, che un giorno come questo nella vita non mi capiterà più e allora ho deciso di vivermelo per la sua unicità. Per ricordarlo tutta la vita non come un incubo, ma come un giorno intenso e bello. Questo pensiero, va avanti Luca, ha cambiato tutto. Mi ha permesso di sedermi davanti alla commissione d’esame con uno spirito diverso e di dare il meglio di me. Sono riuscito a dire tutto quello che sapevo e quando non sapevo qualcosa sono riuscito a non perdermi nel silenzio. Non faccio in tempo a intervenire nella conversazione che subito
Considerare le gare, e dunque le sfide, come un momento di gratificazione, di divertimento, di crescita aggiunge di aver anche aiutato una compagna di scuola, trasferendole la propria filosofia. Sono contento di me, mi dice, e qualunque voto prenderò non avrò rimpianti. Finalmente fa una pausa, forse per respirare, e allora riesco a fargli presente che oggi mi ha detto la cosa più importante da quando lavoriamo insieme. Perché è riuscito a portare nella vita una competenza che sta da tempo allenando sul campo da tennis. Vale a dire considerare le gare, e dunque le sfide, come un momento di gratificazione, di divertimento, di crescita e lo ha fatto attraverso la ricerca del senso delle cose, della vita. Per uno come lui e come tanti agonisti con cui lavoro, spostare l’attenzione dal risultato alla prestazione è un passo molto difficile. Ma quando ci riescono, vale a dire quando riescono a concentrarsi non sulla vittoria o sulla sconfitta, ma su ciò che più dà loro gratificazione e piacere dunque il gesto tecnico o atletico o i valori che riescono ad esprimere con la loro presenza in campo, ecco che cambia il modo di vivere la partita e di conseguenza una parte significativa della loro vita. Ma gestire lo stress non è facile; perché viviamo, tutti, nella cultura del risultato. Ma quando ci riescono, vale a dire quando riescono a concentrarsi non sulla vittoria o sulla sconfitta, ma su ciò che più dà loro gratificazione e piacere dunque il gesto tecnico o atletico o i valori che riescono ad esprimere con la loro
Prima di entrare in galleria guardo in alto verso le nuvole grigie e pesanti e chissà perché mi aspetto di vedere un piccolo frammento di cielo. presenza in campo, ecco che cambia il modo di vivere la partita e di conseguenza una parte significativa della loro vita. Ma gestire lo stress non è facile; perché viviamo, tutti, nella cultura del risultato. Quando, da ragazzo, tornavo a casa da scuola, mia madre non mi chiedeva cosa avessi imparato, che cosa mi fosse piaciuto delle lezioni o dell’interrogazione o del compito in classe, ma semplicemente mi domandava quale voto avessi preso. Non sostengo, sia chiaro, che i risultati non contino. Sostengo però che pensare solo al risultato ci porti a concentrarci su ciò che non dipende interamente da noi e per questo generi ansia. Mentre concentrarci su quello che desideriamo fare per raggiungere il risultato ci porta a considerare azioni e gesti che dipendono
da noi e molto spesso ci danno gioia in sé e per sé. Inutile notare che, tra le altre cose, questo secondo atteggiamento ci aiuta a raggiungere risultati positivi molto più del primo. Mentre Luca ed io ci salutiamo e ci diamo appuntamento alla prossima settimana, penso che il pensiero di Luca a proposito dell'esame e della sua unicità, in vero, valga per ogni giorno della sua e della mia vita e della vita di tutti e che se riuscissimo a vivere ogni istante con questa consapevolezza vivremmo meglio. Però non faccio in tempo a dirglielo e forse neanche desidero farlo. Perché credo che quel pensiero sia già dentro di lui, magari non ancora così chiaro, magari non ancora trasformato in parole e che le parole che troverà lui per dirmelo saranno migliori delle mie.
Come ri-focalizzare l’attenzione e l’importanza dell’immaginazione di Laura Saggio
Aspetti psicologici nel tennis
Focalizzare è l’attività cognitiva che compie l’atleta ogni volta che si prepara a dar luogo all’azione. Dunque la focalizzazione precede la prestazione. Ciò significa che prima di ogni azione il giocatore dovrebbe trovare la massima attenzione attraverso esercizi mentali (più o meno automatici) di focalizzazione. Per riuscire in questo, è indispensabile prima del match mantenere il pensiero sul momento attuale (il focus corretto deve essere “Adesso!”), e durante la partita mantenere l’attenzione sulla prestazione (es: “punto dopo punto” e non “oggi non riesco a servire bene!”). A volte restringere il focus attentivo a favore di una prestazione ottimale diventa difficile. Lo stress o l’ansia da prestazione possono essere due fattori 'distraenti' determinanti che alterano il focus attentivo, così come le interruzioni o le pause previste durante l’intero arco del match. In queste circostanze diventa necessario compiere una ri-focalizzazione attentiva.
Errori, decisioni avverse, distrazioni esterne, un game di break, sono tutte varianti da dominare e gestire. La ri-focalizzazione è più efficace quando l’atleta dispone di un metodo pianificato e consolidato. La tecnica dell’“interruttore”, per esempio, è un’azione-routine che può essere ampliata o ridotta secondo la lunghezza della pausa. Molti giocatori di tennis usano questa tecnica, ognuno a suo modo. Alcuni, dopo aver perso un punto, prima della successiva risposta al servizio battono il palmo della mano sulla coscia. Questo gesto energico innesca il meccanismo dell’interruttore. La routine di base che determina la tecnica dell’“interruttore” è la seguente: 1. Eliminare la reazione: i successi vanno riconosciuti. Gli errori, i dubbi e le recriminazioni devono essere identificati e rimossi per ri-focalizzare l’attenzione sulla prossima azione. 2. Recuperare: regolare la respirazione con tecniche di rilassamento che consentono di risparmiare energia e allentare la tensione.
3. Rivedere: concentrarsi sull’azione da compiere immediatamente dopo. Riflettere sul piano di gioco. 4. Visualizzare: immaginare l’azione successiva. 5. Utilizzare dei segnali nel corso dell’azione: prepararsi, per esempio, ad essere pronti e reattivi durante l’attesa al servizio dell’avversario, focalizzando l'attenzione sul suo lancio palla. 6. Tenere a mente i dispositivi di innesco: elaborare parole o immagini che evocano un’azione desiderata. Veniamo ora all’immaginazione (allenamento
1 Nell’apprendimento di un atto motorioideomotorio): strumento cognitivo indispensabile per lo sviluppo delle abilità attentive e la loro ri-focalizzazione. Per avere una buona prestazione l’atleta non può prescindere dall’attivazione di un’efficace immaginazione, fondamentale nella riproduzione di situazioni da gara, specialmente nei periodi in cui il giocatore deve limitare l’esercitazione reale per infortunio o scarsità di tempo. Le attività motorie immaginate producono nei muscoli coinvolti impercettibili stimolazioni nervose, che interessano anche il livello circolatorio e respiratorio, simili a quelle che avvengono realmente durante l’azione di gioco. Attraverso la visualizzazione vengono anticipati i movimenti da compiere e in questo modo l’atleta migliora la sua abilità di dirigere e mantenere l’attenzione focalizzata su attività scelte dalla sua mente. Riassumendo possiamo dire che la visualizzazione si dimostra di grande utilità: 1 * Nell’apprendimento di un atto motorio 2 * Nella preparazione alla gara, per l’elaborazione di strategie, tattiche, risposte ad eventi inaspettati.
Il ruolo del braccio non dominante nel Tennis di Amanda Gesualdi
Diritto In fase di preparazione accompagna il braccioracchetta in apertura fino all’affiancamento delle spalle, successivamente si pone in bilanciamento indicando la palla in arrivo. Durante la fase di attacco palla, l’input del movimento in avanzamento viene dato dal braccio non dominante iniziando un movimento di allontanamento del gomito in perfetta simmetria col braccio-racchetta in avanzamento. Alla fine del colpo il braccio non dominante porterà il braccio-racchetta in fase di attesa. Nell’esecuzione tecnica di un colpo, il braccio non dominante, ovvero quello che non utilizziamo per tenere la racchetta e colpire la palla, svolge un ruolo determinante in ogni colpo, in quanto la sua azione permette al giocatore di ottimizzare le spinte e l’equilibrio durante l’impatto. Nelle Scuole Tennis dove si lavora poco sulle sensazioni, sulle percezioni, sulle capacità coordinative, si notano atleti induriti, con movimenti esecutivi meccanici e robotici. Questi atleti hanno poca consapevolezza del loro corpo e di come sfruttare pienamente tutte le sue risorse, ed un occhio attento alla fluidità del movimento, noterà in questi giocatori uno scarso utilizzo del braccio non dominante. Qui di seguito accennerò brevemente all’utilizzo appropriato del braccio non dominante durante l’esecuzione dei colpi fondamentali (diritto, rovescio, servizio), tenendo presente che la descrizione è in termini generici, ma caso per caso ci possono essere differenze rilevanti.
Rovescio Nella fase di preparazione entrambi gli arti superiori lavorano in sinergia, il braccio non dominante si comporta come se stesse preparando un diritto mancino. Nella fase di caricamento (caratterizzata dalla discesa della testa-racchetta al di sotto del livello della mano dominante) il braccio non dominante spinge la racchetta verso il basso in modo da caricare il colpo prima dell’impatto. Nella fase di impatto chiusura mantiene una posizione di contrapposizione quasi allontanamento rispetto al braccio-racchetta; questa azione conclusiva
permette di trovare equilibrio, forza e precisione. Rovescio bimane Nella fase di preparazione entrambi gli arti superiori lavorano in sinergia. Nella fase di caricamento il braccio non dominante spinge la racchetta verso il basso in modo da caricare il colpo prima dell’impatto. Nell’impatto e finale si ritrova il lavoro di sinergia di entrambi gli arti con differenziazione tra colpo in controllo dove il braccio non dominante svolge azione di sostegno, e colpo in spinta dove l’azione è appunto di spinta. In generale la mano sinistra (per un atleta destrorso) presenta una presa eastern di diritto, mentre la mano destra può avere una presa che
spazia da una eastern di diritto fino ad una western di rovescio. La differenza di impugnature, determinerà delle differenze significative anche nel ruolo del braccio non dominante. Servizio Accompagnamento della palla verso l’alto in sincronia con l’asse-spalle e portando la spalla non dominante in una posizione alta rispetto alla spalla dominante (verticaliz- zazione). L’input alla fase di attacco palla viene dato dal braccio non dominante che sfruttando l’energia della forza di gravità svolge un’azione forte verso il basso in modo da ribaltare l’asse-spalle e trovare la massima spinta verso l’impatto.
L’azione di rotazione del busto-spalle o di ribaltamento cambierà a seconda se si eseguirà un servizio slice (molta rotazione busto-spalle) o un servizio in top spin (molta azione di ribaltamento) e di conseguenza cambierà anche l’azione del braccio n.d. Come allenare la parte n.d. Tralasciando per un momento il rovescio bimane, dove il ruolo del braccio non dominante è decisamente più scontato, negli altri colpi è necessario fare un lavoro costante affinché l’atleta lo integri nel suo schema corporeo e lo utilizzi al fine di rendere l’azione tecnica più fluida ed efficace.
** Lavorare con la videoanalisi, evitando però di imporre in modo stereotipato la tecnica esecutiva ideale, ma lasciando molto spazio alla naturalezza del gesto. Dopo aver dato le necessarie spiegazioni al nostro atleta, su come sia appropriato utilizzare il braccio non dominante da un punto di vista biomeccanico, la videoanalisi servirà soltanto per fargli prendere coscienza delle differenze tra ciò che fa e ciò che crede di fare. ** Lavorare sulle sensazioni, dove l’atleta porta l’attenzione, non solo in termini di pensiero e immaginazione, ma soprattutto a livello di percezione, sull’arto n.d., sentendo come si muove, in che modo interviene e interagisce con il resto del corpo. Questi allenamenti andranno svolti inizialmente a velocità bassa per poi incrementare i ritmi fino ad arrivare al match. In ogni caso i lavori in tecnica andrebbero svolti a velocità molto basse e spesso anche a campo ridotto, al fine di lavorare sulla massima sensibilità in fase di esecuzione. ** Allenarsi attraverso la visualizzazione, sia in campo che in fase meditativa. In campo si può indurre l’atleta ad immaginare il proprio arto di un colore (l’azzurro in questo caso è quello più indicato) e di mantenere l’attenzione sul braccio e sul colore per diversi minuti durante lavori specifici.
Si possono fare molte serie, fino a portare il lavoro ad una durata totale di massimo un’ora; questa tipologia di allenamento migliora tantissimo anche la concentrazione e l’attenzione. Lo stesso allenamento può esser proposto durante sedute di meditazione, dove l’atleta dopo aver raggiunto una profonda fase di rilassamento si immagina giocare percependo in modo particolare l’azione del braccio n.d. ** Per completare l’allenamento tecnico dei precedenti punti, dovrebbe essere svolto anche un importantissimo lavoro sul piano psicologico, che in questo articolo mi limiterò ad accennare visto l’ampiezza e la portata dell’argomento. La parte destra del corpo è connessa all’emisfero cerebrale sinistro e la parte sinistra all’emisfero
destro. Questo significa che l’energia del nostro corpo fisico risente delle diverse competenze ed energie sul piano psichico. Sappiamo che l’emisfero sinistro è più logico, razionale, maschile, ecc.; e che quello destro è più intuitivo, sintetico, femminile, ecc. Sul piano psicologico e inconscio tutto ciò porta l’atleta ad avere un buon “rapporto” o meno con la parte non dominante e relativi adattamenti o compensazioni; starà al Coach portare alla consapevolezza del suo atleta la relazione psicofisica che ha con se stesso e con tutto ciò che è fuori da sé.