Tennis World Italia n. 55

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Inside Novak Djokovic – il fallimento di chi vince sempre L’invincibile Djokovic riscrive la storia e aggiorna i record. Ma, come Llewyn Davis, rincorre invano il sogno che forse non realizzerà mai: essere amato dalla gente "Forse l’avrete già sentita: se non è nuova e non invecchia mai, allora è una canzone folk”. Sono queste le parole con cui Llewyn Davis, protagonista del capolavoro Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen, commenta l'ultimo pezzo della sua performance al Gaslight Cafe, nella scena iniziale del film: che poi è anche, più o meno, la scena finale. La scorsa domenica, molti appassionati di tennis possono aver provato la stessa sensazione, sospesa tra la noia del già visto ed il fascino dello struggente, che si prova quando si ascolta una canzone folk. La noia è quella dell'abitudine: come tre anni fa, siamo di nuovo al punto in cui Novak Djokovic, incurante degli anni che passano e delle velleità della tanto acclamata next generation, fa il buono e il cattivo tempo nel circuito, massacrando qualunque avversario sui palcoscenici più importanti e non lasciando intravedere il minimo punto debole nella propria armatura. Il terzo Slam consecutivo del serbo, il secondo di fila senza perdere neanche un set dai quarti in poi, è però anche

innegabilmente avvolto in un'aura romantica e quasi decadentista: a 31 anni e mezzo, uno dei quattro grandi protagonisti dell'era forse più irripetibile della storia del tennis non vuole mollare, non accenna a passare il testimone e fa ancora di tutto per affermare di essere il migliore, pur non avendo più niente da dimostrare. O quasi. Ci sono infatti più parallelismi di quanto si possa pensare tra Novak Djokovic e Llewyn Davis, cantautore squattrinato della New York degli anni '60 in piena crisi esistenziale: il numero 1 del mondo come un irrealizzato musicante folk? Per certi versi è proprio così. Come Llewyin Davis ricerca un successo che non troverà mai (gli basterebbe in realtà un semplice contratto discografico), e mentre lo cerca non può far altro che suonare, così a Djokovic sembra sempre più precluso quello che forse rappresenta il suo sogno più grande: essere amato dalla gente. E così,


Masters 1000 e ATP Finals), il belgradese si è portato a quota 52 titoli, a +2 da Nadal e ad appena una lunghezza da Federer. Djokovic è anche il primo tennista della storia a completare per tre volte il “triplete”, ovvero a vincere tre Slam uno di seguito all’altro (Rod Laver e Federer si sono fermati a due), e se trionfasse al Roland Garros sarebbe il secondo (dopo Rod Laver) a vincere per due volte quattro Slam consecutivi. Le settimane da numero 1 del mondo risultano

mentre lo rincorre, Nole fa quello che sa fare meglio: vincere. Il che lo rende, se possibile, ancora più antipatico ai più: non è un caso che le poche manifestazioni di affetto popolare siano state rivolte al serbo dopo la sconfitta contro Wawrinka al Roland Garros 2015. Ma quando anche quel tabù è stato sfatato, l’avversione del grande pubblico è risorta, implacabile. Adesso che il tiranno è tornato, adesso che tutti, quando conta, si sottomettono alla legge di Djokovic, non bastano neanche i numeri del serbo: numeri a dir poco impressionanti. Con il settimo trionfo a Melbourne, Nole ha staccato Roy Emerson e Roger Federer nell’albo d’oro degli Australian Open; con il 15mo sigillo Slam, si è lasciato alle spalle l’idolo giovanile Pete Sampras e si è portato a due lunghezze da Nadal (si sarebbe potuto ritrovare a -4 se avesse perso la finale) e a -5 da Federer. Considerando i “tornei d’eccellenza” (Slam,

attualmente 236 (quinto all-time): considerando sia quanto Nadal dovrà difendere sulla terra (e quanto poco ha invece da difendere Nole), sia l’assenza di vere minacce di spodestamento, non è difficile pensare che Djokovic possa tranquillamente conservare il primato mondiale almeno fino a Wimbledon, il che gli consentirebbe di avvicinarsi notevolmente a Connors e Lendl, rispettivamente a quota 268 e 270 settimane da numero 1. Ma i numeri sono effimeri come le canzoni del nostro Llewyn Davis: impressionano per un attimo, poi fuggono via. Il celebre paradosso di David Foster Wallace, “Federer è il più forte di tutti i tempi e Nadal è più forte di Federer”, si è complicato per l’aggiunta di un terzo incomodo, forse più scomodo del secondo, perchè minaccia l’esistenza stessa di un simile paradosso. E allora, se anche la logica sembra finalmente assestarsi nell’eleggere la sovranità del serbo, bisogna di colpo trovare un modo per ristabilire lo status quo: da qui l’esigenza di scorciatoie alla Mouratouglou, aforismi del tipo “Djokovic è il più forte di sempre, Federer il più grande”, che sembrano servire più che altro a tranquillizzare le masse.


Già, le masse: le masse annoiate, impaurite, arrabbiate, che continuano a fischiare. Il nostro povero Nole / Llewyn perde quindi la testa: la scena in cui Davis offende senza riserve una povera donna che si sta esibendo sembra ricalcare il Djokovic che sfascia le racchette, che si lascia andare alle imprecazioni in serbo all’indirizzo del “tifoso” che gli urla sulla seconda, che perde in un secondo tutta quella calma che gli aveva fatto credere di potere, anche lui, usufruire di

po’ a malincuore e controvoglia, è lasciarsi trasportare dalla poesia del suo canto, è ascoltarlo rapiti quando sale sul palco: perchè non se ne può fare a meno. Gli occhi di Novak Djokovic che guarda famelico il proprio angolo dopo aver infilato l’ennesimo rovescio vincente della sua finale memorabile, a chiudere il game del 3-1 nel terzo set contro Nadal, sembrano quelli di Llewyn Davis che sussurra “au revoir” al taxi

Come Davis, anche Djokovic è stato picchiato: i fischi che sente ogni volta, il

che si allontana e svolta, sparendo dietro la curva: è lo sguardo di chi è dove vuole essere, lo sguardo di chi è finalmente in pace.

pubblico avverso di ogni stadio, a prescindere dall’avversario che ha davanti, devono essere pugni per il suo orgoglio e la sua voglia di primeggiare. Come Davis,

Continua così, Nole: continua a fare quello che sai fare meglio. E noi ascoltiamo la sua musica che è sempre nuova e non invecchia mai: perchè quando invecchierà, ci

anche Djokovic è un inguaribile antipatico: durante tutto il film dei Coen, è impossibile

mancherà.

parteggiare davvero per un personaggio così oscuro. E l’unica cosa che si riesce a fare, un

Andrea Aniello

un amore che invece gli è negato.





protagonista assoluto. Questo non significa che la prima posizione nel Ranking ATP di Djokovic sia dovuta

QUESTO NADAL GIOCA MENO DI DJOKOVIC, MA VINCE DI PIU' Non è facile valutare la competitività sul lungo periodo di campioni della racchetta come Rafael Nadal e Novak Djokovic, soprattutto in un momento in cui lo spagnolo non riesce a giocare con continuità a causa degli infortuni. In realtà, il giocatore maiorchino per tutto il corso della sua carriera ha dovuto combattere contro pause forzate dovute ai problemi fisici, e infatti sono state pochissime le stagioni in cui ha potuto giocare con regolarità da gennaio a novembre, ma in questa fase i problemi sembrano essere aumentati, e i forfait di Rafa quasi non fanno più notizia. Tuttavia, nonostante un numero di tornei giocati nettamente inferiore rispetto a quello di uno dei suoi principali rivali, ossia Novak Djokovic, il Nadal del 2018 e della primissima parte del 2019, è forse stato addirittura più vincente rispetto al serbo, che ha chiuso la scorsa annata al numero 1 della classifica mondiale, e sembra avviato verso un'altra stagione da

esclusivamente ai problemi fisici di Nadal. Novak ha giocato una seconda parte di 2018 incredibile, portando a casa 2 titoli Slam (Wimbledon e U.S. Open) e altrettanti nei Masters 1000 (Cincinnati e Shanghai), per poi conquistare anche l'Australian Open 2019, dominando proprio contro Rafa nella finalissima. Tuttavia, l'attuale divario che separa il giocatore serbo dai suoi rivali, è ampliato dal fatto che molti di questi non riescono ad esprimersi con continuità: oltre a Nadal, anche Roger Federer ha ormai una programmazione che gli impone di giocare solo quando il suo fisico glielo permette, senza rischiare di affaticarsi eccessivamente. Nel caso di Rafa, basta un dato per far capire quanto i problemi fisici lo abbiano limitato tra il 2018 e il primo mese del 2019. Degli ultimi 14 tornei sul cemento a cui si era iscritto, il giocatore di Manacor ne ha giocati solo 4, ritirandosi durante un match in 2 di questi (Australian Open e U.S. Open 2018). Nadal ha sostanzialmente dato forfait in 10 tornei sul cemento a partire dal 2018 (Brisbane 2018, Acapulco 2018, Indian Wells 2018, Miami 2018, Cincinnati 2018, Pechino 2018, Shanghai 2018, Parigi 2018, ATP Finals 2018, Brisbane 2019). Negli unici tornei che ha portato a termine, ossia il Masters 1000 di Toronto dello scorso anno e l'Australian Open 2019, ha conquistato almeno la finale, riuscendo anche a vincere



in Canada. Se l'analisi viene estesa all'ultima parte del 2017, c'è anche il forfait prima di

Numero di giochi persi nei primi tre turni dei tornei dello Slam (da Wimbledon 2018): 92 in

giocare il match dei quarti di finale a ParigiBercy contro Filip Krajinovic, e il ritiro dopo

9 partite

aver giocato il primo incontro del round robin alle ATP Finals. In pratica, Rafa ha portato a

Novak Djokovic

termine 2 degli ultimi 16 tornei sul cemento

Partite vinte/perse: 63/13

che avrebbe dovuto giocare.

Percentuale di successo: 82.9% Tornei giocati: 18

Nonostante tutti questi dati possano far pensare che Nadal stia attraversando un

Titoli vinti: 5 Finali disputate: 8

periodo molto difficile, ce ne sono altri che invece fanno capire quale sia la qualitĂ del suo tennis in questo periodo. Andiamo quindi ad analizzare i numeri di Rafa da gennaio 2018 a gennaio 2019 (considerando come ultimo torneo l'Australian Open 2019), e a

Titoli nei Masters 1000: 2 Titoli nei tornei dello Slam: 3 Finali nei tornei dello Slam: 3 Semifinali nei tornei dello Slam: 3 Quarti di finale nei tornei dello Slam: 4 Numero di giochi persi nei primi tre turni dei

confrontarli con i numeri di Djokovic nello stesso periodo.

tornei dello Slam: 165 in 15 partite Media giochi persi a partita nei primi tre turni dei tornei dello Slam: 11 Partite vinte/perse (da Wimbledon 2018):

Rafael Nadal Partite vinte/perse: 51/5 Percentuale di successo: 91.1% Tornei giocati: 10 Titoli vinti: 5 Finali disputate: 6 Titoli nei Masters 1000: 3 Titoli nei tornei dello Slam: 1 Finali nei tornei dello Slam: 2 Semifinali nei tornei dello Slam: 4 Quarti di finale nei tornei dello Slam: 5 Numero di giochi persi nei primi tre turni dei tornei dello Slam: 137 in 15 partite Media giochi persi a partita nei primi tre turni dei tornei dello Slam: 9,13 Partite vinte/perse (da Wimbledon 2018): 21/3 Percentuale di successo (da Wimbledon 2018): 87.5%


45/4 Percentuale di successo (da Wimbledon

turni dei tornei dello Slam, ossia in quei turni in cui incide meno la condizione fisica e

2018): 91.8% Numero di giochi persi nei primi tre turni dei

maggiormente la qualità tecnica: il giocatore iberico perde mediamente quasi due giochi

tornei dello Slam (da Wimbledon 2018): 93 in 9 partite

in meno rispetto a Novak in questi incontri. Anche prendendo in considerazione il periodo che va da Wimbledon 2018

Come si può notare, in quasi tutte le

all'Australian Open 2019, ossia quello in cui Djokovic ha vinto di più (e in cui Nadal ha

statistiche prese in considerazione Nadal è avanti rispetto a Djokovic. Giocando 8 tornei

giocato pochissimo), le statistiche del serbo sono solo di poco migliori rispetto a quelle

in meno, lo spagnolo ha vinto lo stesso numero di titoli del serbo, e già questo fa capire quale sia la capacità di Rafa di sfruttare le occasioni in cui riesce a competere. Un dato che si riflette ovviamente anche sulla percentuale di partite vinte (in cui

del rivale: 91.8% di partite vinte contro l'87.5%; Nadal resta addirittura avanti dal punto di vista della facilità di imporsi nei primi tre turni degli Slam (92 giochi persi contro 93, in 9 partite). Per quanto riguarda le statistiche da Wimbledon 2018 in avanti,

Nadal ha quasi il 10% di vantaggio su Djokovic). Senza storia anche il dato che riguarda la media di giochi persi a partita nei primi tre

bisogna anche tenere in considerazione che si tratta della parte di stagione più favorevole a Djokovic, e meno congeniale a Nadal, comprendendo tutti i tornei sul cemento e anche il periodo sul cemento indoor di fine anno, mentre non ci sono tornei sulla terra rossa. In conclusione, Djokovic merita senza dubbio la prima posizione mondiale, per la continuità di risultati che ha avuto in particolare a partire da Wimbledon 2018. Ma questo Nadal, che è riuscito a chiudere il 2018 al numero 2 della classifica mondiale avendo giocato appena 9 tornei in totale, è probabilmente più vincente del suo antagonista, quando è nelle condizioni di scendere in campo.

Marco Di Nardo


NOEMI OSAKA, UN HAFU DAI MILLE COLORI “La bellezza salverà il mondo”. Lo sosteneva Fiodor Dostoevskij nel suo “L'Idiota”, massimo capolavoro della letteratura russa. La frase è stata sdoganata nel mondo del tennis grazie a Janko Tipsarevic, che se l'è tatuata su un braccio. Però non ripetetela ad Ariana Miyamoto, splendida modella giapponese di papà afroamericano. Nel 2015 fu eletta Miss Giappone e rappresentò il Paese a Miss Universo, peraltro piazzandosi in ottava posizione. Fu oggetto di moltissime critiche perché non rappresentava la tipica “bellezza” giapponese. Fedele a una tradizione che va avanti da secoli, il Giappone è uno dei paesi con il minore tasso di contaminazione razziale. I meticci sono ancora pochissimi e vengono definiti “hafu”, dal termine inglese “half”. Un modo per inquadrarli e sottolineare la loro diversità. La Miyamoto ha dovuto combattere con il malcontento dell'opinione pubblica e nemmeno la sua scintillante bellezza è servita ad averla vinta. Laddove neanche Dostoevskij è servito, tuttavia, può riuscire il tennis. L'artefice del miracolo è la nuova numero 1 del tennis mondiale. Vincendo l'Australian Open, Naomi Osaka ha intascato il secondo Slam consecutivo e si è consacrata come star planetaria a dispetto di un atteggiamento



un po' naif, di chi starebbe volentieri lontano dalla luce dei riflettori. Ad appena 21 anni di età, invece, dovrà imparare a conviverci. Ma non è soltanto una questione legata al tennis. Stuart Duguid, il suo agente per conto del colosso IMG, ritiene che Naomi abbia una grande carriera davanti e, soprattutto, possa essere un'apripista per i meticci giapponesi. “Può essere un esempio, non solo per lo sport, ma anche per la società. Naomi può essere un'ambasciatrice per far accettare gli hafu nella cultura giapponese”. La sua storia ha già gli ingredienti giusti per scriverci lo sceneggiato di un film. Mamma Tanaki (giapponese) e papà Francois (haitiano cresciuto negli Stati Uniti) si sono conosciuti a Sapporo, città nota per aver ospitato le Olimpiadi Invernali del 1972. Lei proveniva dalla piccola città di Nemuro e i suoi genitori l'avevano spedita a Sapporo per frequentare il liceo, mentre lui era uno studente universitario. Per anni, la loro relazione è rimasta segreta perché la famiglia di Tanaki non avrebbe mai accettato che frequentasse uno straniero, a maggior ragione se nero. Quando uscirono allo scoperto, lei fu accusata di aver disonorato la famiglia e la coppia fuggì a Osaka, dove Naomi è nata il 16 ottobre 1997. La frattura divenne ancora più profonda quando si trasferirono a Long Island, negli Stati Uniti, laddove risiedevano i genitori di lui. Un bel giorno, papà Francois accese la TV e vide Serena e Venus Williams vincere il doppio al Roland Garros: affascinato dalla loro storia, stabilì che anche le sue figlie avrebbero intrapreso quel percorso.

Da allora, la vita di Naomi e della sorella Mari è stata interamente santificata al tennis. Nel 2006 si spostarono in Florida, lo stato più “tennistico” della nazione per inseguire il loro sogno. Lui non aveva background tennistico, quindi le allenava sui campi pubblici di Pembroke Pines con l'ausilio di materiale didattico. Piano piano, il talento di Naomi emerse. Tuttavia, la USTA era restia a investire su quella ragazza. In fondo, era una delle tante. Quando aveva 13 anni, il padre stabilì che le figlie avrebbero rappresentato il Giappone. All'epoca fu una scelta dettata dall'interesse, oggi può essere il grimaldello giusto per scardinare antiche tradizioni della cultura giapponese. Pur continuando a vivere negli Stati Uniti, Naomi si è progressivamente avvicinata al suo Paese natale. Ha anche conosciuto i nonni materni, che piano piano hanno iniziato ad accettarla e a volerle bene.


“Non mi sento necessariamente americana – ha detto in tempi non sospetti – non so come ci si senta ad essere americana”. Sta imparando a esprimersi in giapponese e non è un percorso semplice, mentre rappresentare gli Stati Uniti le avrebbe reso la vita più facile, anche perché c'è grande tolleranza per le minoranze etniche. La stessa USTA ha lanciato programmi per supportare neri, asiatici e ispanici. Tutto questo, ormai, non riguarda più Naomi. Grazie (anche) al suo passaporto, lo scorso anno ha firmato importanti accordi di sponsorizzazione: Forbes le ha attribuito guadagni per 33 milioni di dollari, seconda tennista più ricca alle spalle di un certo Roger Federer. Soltanto dodici mesi fa era poco più che sconosciuta, ma i suoi risultati (prima dell'Australian Open aveva vinto a

Indian Wells e allo Us Open, al termine di una finale thriller contro Serena Williams) l'hanno resa uno dei personaggi più popolari del Paese. C'era Kei Nishikori, ma i giapponesi non gradiscono la sua americanizzazione (d'altra parte risiede in Florida da 15 anni). Al contrario, apprezzano il progressivo ritorno alle origini di Naomi, così come i suoi delicati rituali come l'inchino alle avversarie, antica tradizione giapponese. Apprezzano che si stia impegnando a imparare il giapponese e i suoi modi di fare così delicati, da cartone animato. Il caso di Naomi Osaka è paradigmatico: si è costruita il suo personaggio con gli atteggiamenti da “antipersonaggio”. “In un giorno normale, non pronuncerei più di dieci frasi” ha detto dopo il successo a Melbourne. In Giappone c'è un'abitudine: se un atleta vince, è



considerato giapponese. Se perde, è un “hafu”. Con i suoi successi, Naomi Osaka sta sdoganando l'immagine dei meticci. I giapponesi le vogliono bene perché è impossibile dimenticare i suoi risultati e il suo tennis dirompente, così diverso dal suo carattere. Con la racchetta in mano non conosce la timidezza, non si tira mai indietro ed è in grado di tirare forte come Serena Williams, pur muovendosi meglio. A Melbourne ha schivato le difficoltà di avversarie complicate come Hsieh e Sevastova, salvo poi dare il meglio di sé contro Svitolina, Pliskova e Kvitova in finale. Avanti 7-5, 5-3 e 40-0 nel match clou, ha avuto venti minuti di umana debolezza e ha consentito alla ceca di tornare in partita. Ha riordinato le idee in tempo e si è consacrata. Da tempo, il tennis femminile cercava una giocatrice che cambiasse la narrativa del circuito: finalmente è arrivata. Il suo nome è Naomi Osaka. Che sia un hafu, in fondo, è soltanto un caso. Riccardo Bisti


ZVEREV: DA PROMESSA A CAMPIONE E PROSSIMO NUMERO 1 Nel tennis attuale, sembra esserci una sola certezza: fino a quando Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic non si ritireranno, non ci saranno altri giocatori in grado di occupare la prima posizione del Ranking ATP. Eppure c'è un giocatore che già da un paio di stagioni riesce a mettere costantemente in difficoltà i primi della classe, e che sembra essere il più probabile successore dei tre giocatori citati in precedenza. Alexander Zverev, tra i giovani tennisti, è senza dubbio quello che possiede le qualità fisiche, tecniche e mentali (anche se su quest'ultimo aspetto è leggermente indietro rispetto agli altri) per diventare il prossimo protagonista del tennis mondiale. Nel 2017, il giovane giocatore tedesco si era già messo in mostra attraverso i due prestigiosi successi nei Masters 1000 di Roma (battendo Djokovic in finale) e di Montreal (superando Federer all'ultimo atto). Aveva chiuso la stagione con 5 titoli in totale, e dopo essere arrivato al best ranking di numero 3, aveva terminato l'anno al numero 4. Eppure, negli Slam 'Sasha' restava un giocatore incapace di sfruttare le proprie potenzialità, a causa di una condizione fisica non ancora perfetta e di alcuni cali di concentrazione piuttosto evidenti: al terzo turno dell'Australian Open aveva condotto per 2 set a 1 contro Nadal, ma aveva poi raccolto solo 5 giochi negli ultimi due parziali; negli ottavi di finale di Wimbledon (miglior risultato Slam in stagione) era stato ancora

avanti per 2 set a 1 contro Milos Raonic, prima di perdere il quinto set per 6-1. Le sconfitte al primo turno del Roland Garros, e al secondo turno degli U.S. Open, completavano il quadro di un giocatore molto competitivo nei tornei sulla corta distanza, ma inconsistente negli incontri al meglio dei 5 set. La colpa di questa differenza di rendimento tra i tornei Major e gli altri eventi, sembrava essere collegata principalmente all'immaturità di un tennista ancora molto acerbo (aveva appena 20 anni). Nella breve collaborazione con l'ex tennista Juan Carlos Ferrero, era stato accusato dallo spagnolo di essere poco costante e di presentarsi spesso con ritardo agli allenamenti. I fatti sembravano dare ragione a Ferrero: oltre ai risultati negativi negli Slam, Zverev era comunque poco continuo in generale dal punto di vista dei risultati: 5 titoli nel 2017, ma anche 5 sconfitte al primo turno, ed oltre


alle due vittorie nei Masters 1000, nessuna semifinale negli altri sette eventi della stessa categoria. La sconfitta all'Australian Open 2018 contro Hyeon Chung, ancora al terzo turno e nuovamente dopo essere stato avanti per 2 set a 1, aveva ufficializzato la crisi di Zverev. Con tantissimi punti da difendere a partire dalla primavera sulla terra rossa, la situazione sembrava essere molto difficile per il tedesco, e l'ennesima sconfitta arrivata al primo turno del Masters 1000 di Indian Wells, non poteva aiutarlo. Ma è proprio in quel momento che Sasha ha dimostrato di essere un campione. Dal torneo successivo, non ha più pensato alle difficoltà incontrate nel recente passato, ed è riuscito ad inanellare una serie di risultati incredibili, con una continuità mai avuta in precedenza: finale a Miami, semifinale a Monte-Carlo, vittoria a Monaco, titolo vinto a Madrid senza mai perdere la battuta e senza cedere alcun

set (non era mai successo in un torneo sulla terra rossa), e finale a Roma arrivando ad un passo dal successo contro Nadal (Alexander era avanti 3-1 nel set decisivo). A fine maggio, poco prima dell'inizio del Roland Garros, Zverev era il numero 1 della Race. A Parigi, il tedesco ha anche conquistato il primo quarto di finale in carriera in uno Slam, seppur non dimostrando di aver risolto totalmente i problemi in questi tornei: tre partite consecutive vinte al quinto set, hanno infatti messo in mostra un miglioramento dal punto di vista atletico, ma una volta arrivato al match contro Dominc Thiem, Zverev non aveva più le energie per poter competere, ed è stato travolto dall'autriaco in 3 facili set. Nella seconda parte di stagione, sono arrivati altri risultati importanti e soprattutto con continuità, che hanno confermato i miglioramenti dal punto di vista della concentrazione, fino alla ciliegina sulla torta della vittoria alle ATP Finals, battendo in


finale Djokovic. Zverev ha quindi chiuso il 2018 vincendo meno titoli rispetto all'anno precedente (4 contro 5), ma riuscendo ad essere molto più continuo in tutti i tornei: in 7 degli ultimi 8 Masters 1000 ha raggiunto almeno i quarti di finale, con 1 titolo, 2 finali e 2 semifinali. Per quanto riguarda gli head-to-head contro due dei migliori giocatori di questa epoca, Alexander è in parità: 3-3 contro Federer, e 2-2 contro Djokovic, a dimostrazione del fatto che non soffra le grandi sfide. Nei confronti diretti in finale, è addirittura avanti per 2-0 su Djokovic, mentre è ancora in parità (1-1) con Federer. Al momento, a Zverev manca quindi solo un grande risultato in uno Slam, ma non sembrano esserci dubbi sul fatto che anche nel 2019 possa essere il principale rivale dei Big-3, e che il futuro sia dalla sua parte per raggiungere obiettivi ancora più importanti. Marco Di Nardo



IL NUOVO IMPERO

campionessa. Quello che, sostanzialmente,

DI NAOMI OSAKA

vent’anni hanno provato – ora l’una, ora

è mancato a tutte le giocatrici che negli ultimi l’altra – a imbastire con scarsissimi successi una rivalità con Serena Williams.

«Naomi Osaka ha battuto Serena Williams, il suo idolo. Ora potrebbe succederle», firmato

L’americana le ha divorate una dopo l’altra,

il “Time”. In copertina. Non si tratta di fare

distruggendole con la potenza di fuoco dei

facili sensazionalismi, di cavalcare l’onda

colpi e, quando questa veniva a mancare

lunga – anzi, lunghissima – dei clamorosi di

ostacolata da una condizione fisica non

questa ragazza che, appena ventunenne, ha

esattamente al top, le ha fagocitate ancor

vinto due Slam in fila.

prima di scendere in campo. Nessuna ha mai

Naomi Osaka non solo è il domani del

avuto abbastanza pelo sullo stomaco per

disperato tennis femminile – questo è fin

dividere il palcoscenico con Serenona,

troppo chiaro oggi e banale – ma potrebbe

schiacciate da una presenza scenica senza

diventare una leggenda, un’icona, una donna

uguali. Non Maria Sharapova, divorata

dei record. Naomi, mamma giapponese e

regolarmente da quando si concesse il lusso

papà haitiano, ha tutto per dominare:

di battere Serena in un’ormai preistorica

potenza, brillantezza, gioventù e, varie

finale a Wimbledon. Non Petra Kvitova, che

spanne sopra al resto delle skill nel

avrebbe pure i colpi per battagliare ma non la

curriculum, ha la personalità della

continuità necessaria a inaugurare una


“saga”. Non Angelique Kerber, che sì l’ha

contorno di folla indemoniata.

battuta in due finali Slam ma che più di un tot non può fare. Non Simona Halep, per l’amor

A Melbourne la giapponese è riuscita

del cielo, non scherziamo. E non certo

nell’unica impresa più difficile di vincere:

l’amica Caroline Wozniacki.

rifarlo. Subito. Perché un conto è l’exploit, un

Una rivalità, quella tra Serena e Naomi, che

altro è confermarsi portando sulla giacca i

a ogni modo non si esisterà, ma solo per

galloni del favorito, avendo gli occhi

motivi di carta d’identità. In un circuito

addosso, alimentando da sé delle grandi

governato dall’anarchia e livellato verso il

aspettative.

basso, una come Osaka può avere la strada spianata per dominare.

Nel match di terzo turno contro Su-Wei Hsieh, Osaka era in totale balia di

Non è tanto quanto ha vinto – che resta

un’avversaria velenosa che la stava

comunque clamoroso perché due Slam in fila

ingabbiando: la giocatrice taiwanese aveva

non si vedevano da una vita – è il come ha

incartato la palla a Osaka, l’aveva

vinto a impressionare. A New York Osaka ha

addomesticata, addormentata e disarmato i

saputo gestire una delle partite più surreali

cavalli della giapponese. Era avanti 7-5 4-1 e

della storia rendendosi protagonista, suo

aveva tre palle break consecutive che

malgrado, di una sorta di vittoria mutilata,

l’avrebbero portata a servire sul 5-1. Niente

silenziata dalle polemiche tra Serena

da fare: Osaka ha rimesso insieme i pezzi di

Williams e il giudice di sedia, con un

un puzzle sparso alla rinfusa sul tappeto e ha


dominato la seconda parte dell’incontro

il finale più giusto. A due anni

vincendo undici degli ultimi dodici game.

dall’aggressione subita dalla quale Kvitova ha rischiato di dare un doloroso

Se al terzo turno la giapponese ha dovuto

addio al tennis, la ceca, vincendo la finale

praticamente perdere per riuscire poi a

di Melbourne, sarebbe tornata a trionfare

vincere, in finale contro Petra Kvitova non

in uno Slam e, soprattutto, le avrebbe

le è bastato vincere una volta, ha dovuto

consentito di diventare per la prima volta

farlo due volte. Di episodi-drama il tennis

numero uno del mondo.

femminile si nutre, ma un set perso come

La storia, però, non sempre è giusta o

ha fatto Osaka vedendosi cancellati tre

romantica. Il destino ha messo la penna in

match point consecutivi in una finale Slam

mano a Naomi Osaka e il primo capitolo –

con l’altra che infila cinque game

scritto a cavallo tra Flushing Meadows e

consecutivi è roba che avrebbe steso un

Melbourne Park – è stato steso. Sarà una

cavallo.

storia di dominio, di forza, di un regno appena nato che sembra già l’impero

E anche in questo caso non c’è stato nulla

romano.

da fare: ha vinto ancora Osaka, impedendo una pagina di storia che tutti avrebbero voluto scrivere e che, forse, era

Federico Mariani



contro Emilio Nava.

Barnstaple, in Gran

L'americano di origine

Bretagna. Sarà un processo lungo, arriveranno le

messicana ha un fisico più formato del suo ed è

sconfitte, ma sarà importante maneggiare con

DI CAMPIONE

destinato – sicuramente – a una bella carriera. “Ho patito

cura lo scorrere degli eventi. Per adesso si può gioire per

Hanno detto che ha la testa

grande pressione sin dai primi turni – ha detto Musetti

la bella storia di un ragazzo normale, nato in mezzo alle

– ma ho fatto tesoro dell'esperienza di New York.

cave di marmo di Carrara. Non a caso, papà Francesco

Così ho saputo gestire la pressione e le sensazioni di una finale”. Qualità importanti, di cui avrà ancora più bisogno in futuro. I numeri dicono che Musetti è l'undicesimo italiano a vincere uno Slam giovanile, donne comprese. E la storia insegna che la transizione verso il professionismo non è così facile, e nemmeno scontata.

lavora nel settore. È un discreto giocatore di club ed è stato lui a trasmettere la passione al figlio. I primi colpi li ha tirati contro il muro, nello scantinato della nonna. Ben presto, il tennis è diventato più che una passione. La svolta è arrivata qualche anno dopo, quando ha conosciuto Simone Tartarini, spezzino, classe 1968. Un ottimo maestro di circolo, ma senza particolari ambizioni internazionali.

LORENZO MUSETTI, UN PROGETTO

di un 26enne. Complimento mica male, per un ragazzo che compirà 17 anni il prossimo 3 marzo. È l'augurio migliore per Lorenzo Musetti, scintillante vincitore dell'Australian Open Junior. Bisogna andarci piano, quando si parla di titoli giovanili. Eppure c'è troppa fame di un campione Made in Italy, specie se maschietto. Per questo, giornali e TV non resistono. Da quando è giunto in finale allo Us Open (persa con qualche rimpianto), l'interesse attorno a Lorenzo è cresciuto a dismisura. Lo ha riconosciuto il diretto interessato dopo la finale thriller di Melbourne, in cui ha avuto bisogno di 26 punti nel super tie-break, con tanto di matchpoint annullati da una parte e dall'altra,

Il recente caso di Gianluigi Quinzi è una scottatura ancora recente, fresca, difficile da dimenticare. Per questo, chi segue Musetti dovrà essere bravo a gestirlo e proteggerlo in una fase molto delicata, che peraltro inizierà tra pochi giorni: a febbraio, infatti, effettuerà l'esordio nel circuito “pro” al torneo ITF di

Quando ha capito di avere l'oro tra le mani, tuttavia, lo ha saputo maneggiare alla perfezione. Tra i due si è creato un feeling eccezionale, al punto che Musetti non ha avuto dubbi nel seguirlo quando Tartarini si è spostato dal Circolo



Tennis Spezia allo Junior Tennis San Benedetto, qualche chilometro più un là. Un circolo a gestione familiare, laddove Lorenzo ha trovato l'ambiente giusto per crescere in santa pace. Ma i suoi risultati non sono passati inosservati: si è accorto di lui Patrick Mouratoglou, che lo ha inserito nella “Champ Seed Foundation”, fondazione

Per intenderci, ne fanno parte anche Stefanos Tsitsipas e Cori Gauff. E poi è arrivata la FIT, che gli ha messo a disposizione strutture (Tirrenia è a un tiro di schioppo da casa sua) e sostegno logistico e organizzativo. In particolare, è stato importante il lavoro con il preparatore atletico Roberto Petrignani durante

il fratello maggiore di quello del 2018. Si è irrobustito fisicamente, sta gettando le basi per quello che sarà il tennista del futuro. Sul piano tecnico è un giocatore in via di sviluppo, ed è una bella notizia. In particolare, può migliorare dal lato del rovescio.

che dà una mano alle giovani promesse.

il periodo di offseason. Secondo Simone Tartarini, il Musetti del 2019 sembra

un po' troppo difensivo con lo slice” ha ammesso dopo il successo a Melbourne. Il

“A volte può essere un ottimo colpo, a volte sono


servizio ha già superato il muro dei 200 km/h e il dritto è un colpo che fa male. Il tocco di palla è notevole. Insomma, un bel progetto di campione, con la mentalità giusta. Dopo il successo, ha incrociato Novak Djokovic che si allenava in vista della finale contro Rafael Nadal. Gli ha fatto i complimenti per la forza mentale. “Ho

perché l'albo d'oro del torneo giovanile di Melbourne è un calderone con nomi di vario genere.

imparato da te” gli ha risposto Lorenzo. Non bisogna montarsi la testa,

marmo che ha reso quell'angolo di terra famoso in tutto il mondo. Insistono

A futuri numeri 1 come Edberg e Roddick, si affiancano diversi giocatori che non sono mai neanche entrati tra i top-100. Però Lorenzo Musetti viene da Carrara: luogo di gente testarda, dura come il

a testa bassa, fino a quando non hanno raggiunto i loro obiettivi. Lorenzo è esattamente così.

Riccardo Bisti


Melbourne è tornata a giocare un torneo del Grande Slam, sia pure nelle qualificazioni, a sei anni dall'ultima volta. E poco importa se ha perso 6-2 6-2 contro la possente Caroline Dolehide: ad essere pignoli, il risultato è stato condizionato da un infortunio alla schiena che ne aveva limitato la preparazione invernale. Anche nella sconfitta, la canadese ha mostrato sprazzi del tennis che nel 2011

REBECCA MARINO HA RICOSTRUITO IL SUO SOGNO Quando ha tirato un ace nel primo punto della partita, Rebecca Marino ha agitato il pugno. La voce flautata è rimasta la stessa di sempre, ma quel pugnetto è il simbolo di una serenità ritrovata dopo aver smesso di giocare a 22 anni, vittima di una depressione causata dalle cattiverie che scrivevano di lei. La canadese dalle lontane origini siciliane ha subito quello che viene definito “cyberbullismo” e nel 2013 aveva appeso la racchetta al chiodo. Si era allontanata da tutto e da tutti, cercando di ricostruire se stessa lontano dal tennis. Aveva ripreso a studiare, si era data al canottaggio, ma una vocina interiore la incitava a non mollare. E così, un paio d'anni fa, la scelta di riprovarci. È andata bene, visto che a

l'aveva portata al numero 38 WTA. L'anno prima aveva sfidato Venus Williams sul centrale dello Us Open. Perse, ma giocò talmente bene da far dire alla Venere Nera: “Oggi ho scoperto cosa significa giocare contro me stessa”. Rebecca non era un baby-prodigio, non era programmata per diventare una campionessa. Pensava di andare all'università, ma i suoi successi sul campo la spinsero nel tennis che conta, più in alto di quanto pensava. Più in alto di quanto



fosse pronta a gestire. “Non me l'aspettavo, mi sentivo come se mi avessero catapultato dentro una macchina che viaggiava forte, e non capivo come funzionasse”. Già nel 2012 si era presa sette mesi di pausa, poi nel 2013 ha annunciato il ritiro. Nella videoconferenza in cui dava l'annuncio, rivelò di essere in piena lotta con la depressione. Pochi giorni prima, in una cruda intervista con il New York Times, aveva confessato di aver subito abusi virtuali sui social network. Erano soprattutto scommettitori delusi, qualcuno le aveva addirittura augurato la morte. Molti hanno attribuito a queste ragioni il suo ritiro precoce. Oggi, con la maturità dei 28 anni, non pensa che sia necessariamente così. “Se mi guardo indietro, non penso che fosse per forza depressione – racconta oggi – ero consumata. Avevo troppe aspettative, in parte costruite da me e in parte dagli altri. Non ero in grado di sopportarle. Quando sono state troppe, sono stata pervasa da un gigantesco esaurimento”. Sebbene il caso della Marino sia stato il più clamoroso, visto che è rimasta cinque anni senza giocare, non è stata l'unica ad abbandonare il tennis a causa di un esaurimento nervoso. Ashleigh Barty punta dritta alle top-10 e ha giocato uno splendido Australian Open, ma si era fermata per un paio d'anni, peraltro cambiando sport (era diventata un'ottima giocatrice di cricket). “Allontanarmi dal tennis mi ha restituito la felicità e mi ha permesso di godermi la vita”

dice la ragazza nata a Vancouver il 16 dicembre 1990. La sua storia ha avuto una certa risonanza in Canada, peraltro con qualche effetto collaterale. Il nome di Rebecca Marino era diventato una pietra di paragone per tutti gli atleti alle prese con la depressione. “Non ero preparata a certi accostamenti, e ancora oggi devo farci i conti – racconta – io sono molto riservata, dunque capita che molte persone vengono da me a raccontarmi tutto quello che hanno vissuto e come le ho influenzate. A volte è complicato, perché non so cosa dire. È bello essere stata un esempio positivo, ma a volte può essere travolgente perché non sono professionalmente preparata ad aiutare le persone”. Dopo il ritiro, per un'estate intera ha lavorato nell'azienda di famiglia, un ditta di


non mi guardavano più per il mio passato nel tennis, ma ero diventata una studentessaatleta come loro”. La vita di Rebecca ha avuto una scossa nel febbraio 2017, quando a papà Joe è stato diagnosticato un tumore alla prostata. “Quando ha terminato il ciclo di chemioterapia, ho fatto un passo indietro e ho cercato di capire cosa fosse davvero importante nella mia vita – ricorda la

costruzioni. Un impiego umile, che le ha restituito una giusta prospettiva sul mondo reale. Perché quello del tennis d'elite, si sa, non è il mondo reale. L'anno dopo ha iniziato a insegnare tennis e si è iscritta all'Università della British Columbia, nella facoltà di letteratura. Si è appassionata alle opere di epoca vittoriana che raccontavano la progressiva industrializzazione della società. Nel suo secondo anno, l'allenatore della squadra di canottaggio Craig Pund le ha chiesto di unirsi al team, conoscendo il suo passato nello sport e la lunga storia sportiva della sua famiglia: George Hungerford, zio di Rebecca, è stato medaglia d'oro ai Giochi Olimpici di Tokyo 1964. L'esperienza con i remi le ha fatto bene, restituendole un sano senso di competizione. “Avere uno sbocco competitivo in uno sport collettivo è stato molto divertente. Mi ha fatto sentire parte della comunità universitaria. I miei compagni

canadese, oggi n. 212 WTA – non volevo vivere di rimpianti, e ho pensato che il tennis fosse l'unica cosa della mia vita che avrebbe meritato un ripensamento”. C'era poi il desiderio di dare una gioia al padre, consentendogli di vederla giocare ancora una volta. Rebecca ha ragionato a lungo sull'idea di tornare, poi il click definitivo è arrivato quando ha fatto da sparring partner al torneo ITF di Vancouver, sua città natale, nell'agosto 2017. Il suo livello era all'altezza. Da lì, la decisione: poco prima che iniziasse il semestre, ha mollato tutto e si è trasferita a Montreal per iniziare una vera e propria preparazione presso il Centro Tecnico di Tennis Canada. Avrebbe voluto riprendere già nel 2017, ma le norme antidoping prevedono un preavviso di tre mesi prima di riprendere l'attività, quindi ha dovuto aspettare il 2018. È ripartita da alcuni piccoli eventi in Turchia, vincendo le prime 19 partite. Il resto della stagione le ha dato belle soddisfazioni, fino a ritrovare il tabellone principale di alcuni tornei WTA e poter giocare le qualificazioni a Melbourne. Adesso


punta a giocare il più a lungo possibile, anche perché vive con maggiore serenità. Di tanto in tanto torna a Vancouver per staccarsi dalla bolla del tennis, che spesso può essere opprimente.

Per scrivere il lieto fine, adesso c'è bisogno di qualche bel successo sul campo, magari ritornando tra le top-100 e avvicinarsi al best ranking ottenuto quando aveva 20 anni.

“I miei amici non conoscono il tennis, quindi a loro non interessa se vinco o perdo – racconta – sono preoccupati di come sto, se mi sto divertendo. La mia organizzazione di vita è molto diversa rispetto al passato, ci sono tante cose extra-tennis che occupano la mia mente. In passato, la mia identità era legata

“Ma non vivrò più i dolori del passato: adesso so chi sono e so cosa devo fare”.

esclusivamente al tennis. Adesso mi sento più completa ed equilibrata”.

Guardare le cose da una giusta prospettiva, in fondo, è il successo più bello. Riccardo Bisti



EPICONDILITE/ EPITROCLEITE (GOMITO DEL TENNISTA) EPIDEMIOLOGIA Definiscono due patologie che interessano il gomito nella sua porzione laterale (epicondilite) e nella porzione mediale (epitrocleite). I termini “epicondilite/epitrocleite” non sono sempre appropriati e in letteratura vengono utilizzati talvolta in modo improprio. Il suffisso “-ite” presuppone infatti una componente primaria infiammatoria, che non è necessariamente presente. Il termine “epicondilosi” implica invece dei cambiamenti strutturali degenerativi nel tendine, in seguito ad insulti ripetuti nel tempo. Una denominazione più generica e corretta, e che riflette la condizione clinica, è quella di tendinopatia laterale/mediale del gomito o di epicondilalgia/epitroclealgia. Il gomito del tennista (epicondilalgia) è una patologia molto comune, sia tra gli atleti, di qualsiasi livello (in particolare i più colpiti sono i non professionisti, probabilmente a causa di una tecnica e preparazione atletica non eccellenti), sia tra alcune categorie professionali che richiedono movimenti ripetuti di estensione e supinazione dell’avambraccio (idraulici, imbianchini, carpentieri, orologiai, dattilografi, musicisti, utilizzatori di computer e mouse, casalinghe). La sua incidenza è in continuo aumento a causa dell’incremento del numero di

praticanti attività sportive che includono in particolare movimenti dell’arto superiore sopra la spalla (overhead sports), tra i quali si annoverano gli sport con la racchetta (tennis, badminton, paddle), pallavolo, pallamano, pallanuoto, lancio del giavellotto, arrampicata libera, baseball, body building, golf e molti altri. Nel tennis il passaggio dal rovescio ad una mano a quello a due mani, ha ridotto l’incidenza della patologia in questo sport. La prevalenza nella popolazione generale è di circa l’1-3% e l’età di insorgenza tipica è tra i 30 e i 64 anni, con un picco tra i 45 e i 54. La differenza di incidenza nei due sessi è poco significativa. Tra i fattori di rischio, oltre ad una tecnica carente ed una preparazione fisica non


radiale dell’avambraccio, senza coinvolgere polso e mano, esacerbandosi quando si compiono movimenti di estensione e/o supinazione; nell’epitroclealgia il dolore è invece in sede mediale. Nei casi di cronicizzazione della patologia, si potrà manifestare con impotenza funzionale ed una progressiva ipostenia dell’avambraccio, con difficoltà nelle attività lavorative, sportive e nelle comuni attività quotidiane (girare una chiave, versarsi da bere, utilizzare una forchetta, stringere una mano, etc.). Particolare attenzione dovrà essere fatta nella diagnosi differenziale con patologie di origine cervicale, con sinoviti

adeguata (dal 30 al 50% dei tennisti amatoriali andrà incontro ad una epicondilopatia durante il corso della propria carriera sportiva), si ricorda un’attrezzatura inadeguata (utensili, strumenti di lavoro, o nel caso del tennis, rigidità e peso del telaio della racchetta, corde insufficienti, manico di dimensioni non corrette, etc.), movimenti ripetuti e ripetitivi dell’avambraccio, senescenza fisiologica dei tendini dopo i 30-40 anni, con un’ipovascolarizzazione tendinea pre-inserzionale, ed anche il fumo di sigaretta.

MANIFESTAZIONI CLINICHE E DIAGNOSI DIFFERENZIALI Il sintomo principale di queste patologie è certamente il dolore, che nel caso della epicondilalgia è presente nell’area laterale del gomito, e si può irradiare lungo il bordo

dell’articolazione radio-omerale, borsiti radioomerali, osteocondriti dissecanti del capitello o della testa radiale, instabilità postero laterale del gomito, con possibile intrappolamento o irritazione del nervo interosseo posteriore o di altri nervi, fratture da avulsione dell’epicondilo mediale o apofisiti. Nell’epicondilopatia è solitamente chiamato in causa il muscolo estensore radiale breve del carpo nella sua porzione osteo-tendinea (entesi) o nel corpo del tendine, ma può essere coinvolto anche l’estensore comune delle dita o l’estensore ulnare del capo. Nelle epitroclealgie si distinguono invece due tipologie di pazienti: una parte presenta un dolore associato con un’attività eccessiva dei flessori del polso, che coinvolge anche il m. pronatore rotondo (l’equivalente mediale dell’epicondilopatia laterale), tipica dei golfisti, da cui il nome “gomito del golfista”,


ma presente anche nei tennisti che utilizzano in modo esasperato il topspin nel colpo del dritto; ovvero una parte che presenterà un dolore associato ad un’eccessiva e ripetuta attività di lancio dell’arto superiore (l’atto del lanciare, come per esempio nei giocatori di baseball, provoca uno stress in valgo del gomito, che è contenuto in prima istanza dal legamento collaterale mediale, e secondariamente dalla stabilità dell’articolazione radio-capitellare, e saranno questi due elementi anatomici ad essere coinvolti in questo caso). L’insorgere del dolore è spesso insidioso, ma

La diagnosi è prevalentemente clinica e può essere già raggiunta con un adeguato esame obiettivo che comprenda in prima istanza l’osservazione dell’arto, l’esecuzione di movimenti attivi e passivi di flessione ed estensione del gomito, di prono-supinazione dell’avambraccio, di flessione del polso (con avambraccio in pronazione) e di estensione del polso, valutando l’eventuale insorgenza di algie. Devono essere altresì testati alcuni movimenti in controresistenza, in particolare l’estensione del polso e della terza metacarpofalangea. Valutare la dolorabilità alla digitopressione dell’epicondilo e/o

può essere talora acuto in seguito ad un traumatismo, o ad un aumento nei carichi di lavoro, o ad un cambiamento nell’attrezzatura utilizzata per lo sport o il

dell’epitroclea, e dei muscoli prossimali dell’avambraccio.

lavoro.

“grip test” (il paziente solleva le braccia, e mantenendo i gomiti estesi e il palmo della

DIAGNOSI

Utile considerare l’eventuale positività del

mano verso il pavimento, stringe con più forza possibile due dita dell’esaminatore; il


test si considera positivo se insorge dolore o se vi è una marcata riduzione della forza). Consigliati i test neurodinamici dell’arto superiore (o test di provocazione neurale) e l’esame del rachide cervico-dorsale e dei tessuti molli periscapolari, con la ricerca di trigger points attivi o di modifiche del tono muscolare. Una ecografia del gomito si può rivelare utile nel determinare il grado di danneggiamento dei tendini, con un reperto tipico di aree focali ipoecogene di tendinosi, o di lacerazioni parziali, o per valutare la presenza di una borsite associata. La radiografia del gomito può essere richiesta per escludere una osteocondrite dissecante (più tipica negli adolescenti), una frattura da avulsione o una apofisite epicondilare mediale (“little league elbow”, chiamata così giacché tipica dei giovanissimi giocatori di baseball). La risonanza magnetica non è considerata un esame di routine. TRATTAMENTO I percorsi terapeutici sono molti e vari, ma l’efficacia è sicuramente maggiore ove si combinino diverse strategie riabilitative. Il riposo funzionale, la modifica delle attività sportive o lavorative e degli attrezzi utilizzati, oltre ad una riduzione dell’intensità dei carichi, sono i primi passi da compiere nel percorso terapeutico. Nella fase acuta i semplici principi di PRICEMM (protection, rest, ice, compression, elevation, medication and passive modalities) non sono sufficienti a

controllare il dolore ed il processo reattivo infiammatorio locale; in questo stadio i farmaci di scelta sono i FANS e gli analgesici a lunga durata d’azione, nonostante non vi siano prove certe che essi svolgano un effetto specifico sul miglioramento del processo di guarigione tendineo. L’infiltrazione peritendinea di corticosteroidi si è rilevata molto efficace nel controllo della patologia, soprattutto nel breve periodo, anche se i tassi di ricorrenza rimangono elevati. L’infiltrazione di PRP (Platelet Rich Plasma) ha prodotto risultati contrastanti e non vi è accordo in letteratura sui benefici di un suo utilizzo. Le terapie fisiche più utilizzate sono l’elettroterapia antalgica (TENS), il laser e gli ultrasuoni, con evidenze discordanti sulla loro reale utilità. Altre opzioni terapeutiche a disposizione sono: le onde d’urto focali, ovvero onde di pressione (acustiche, di natura meccanica) prodotte da appositi generatori, in grado di propagarsi nei tessuti, in sequenza rapida e ripetuta, con proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie. Le microlacerazioni e le microemorragie indotte dal trattamento a livello muscolotendineo sembrerebbero favorire il processo di rimodellamento della fase cronica recidivante della malattia, senza peraltro esercitare significativi effetti dannosi, quando somministrate con un dosaggio adeguato e sotto manu medica. L’elettrolisi percutanea tendinea, ovvero


l’applicazione di una corrente galvanica attraverso un ago da agopuntura per accedere al tessuto danneggiato, provocando un’ulteriore risposta infiammatoria necessaria per avviare il processo di riparazione, senza danneggiare il tessuto sano. Utile è il trattamento dei trigger points attivi, mediante digito pressione ischemizzante, dry needling (stimolazione diretta con aghi da

dell’elasticità e della resistenza. È altresì consigliato l’utilizzo di un tutore di neutralizzazione, in particolare durante l’attività fisica/lavorativa, da applicare a circa 10 cm dal gomito, con una pressione di circa 50N, in modo tale da ridurre la quantità di tensione intrinseca da contrazione muscolare, oppure modificare e dirigere i sovraccarichi di forza potenzialmente lesivi verso tessuti meno sensibili.

intraepidermica, intradermica superficiale e profonda).

Nei casi più gravi, ove i trattamenti conservativi non abbiano avuto successo, in ultima istanza può essere preso in considerazione il trattamento chirurgico.

Nella fase subacuta, una volta raggiunto il controllo del dolore, la letteratura è concorde nel ritenere fondamentale per il processo riparativo un protocollo riabilitativo completo

CONSIDERAZIONI PERSONALI In letteratura sono descritti più di 40 differenti metodi di trattamento per l’epicondilite, anche se i risultati presentati dai vari autori

con la supervisione del fisioterapista. Gli obiettivi essenziali sono quelli della

sono spesso discordanti ed incompleti. La mancanza di reali linee guida giustifica quindi

riabilitazione muscolo-tendinea in generale e cioè il miglioramento della forza,

la personalizzazione della terapia, sia sulla base delle caratteristiche del quadro clinico e

agopuntura) o mesoterapia (tecnica di somministrazione di farmaci per via


delle esigenze funzionali del paziente, sia in relazione alla scuola di pensiero da cui proviene il medico fisiatra, oltre che alla sua esperienza personale. Resta cosĂŹ indispensabile affidarsi ad un medico di fiducia, che conosca bene la patologia e sia in grado di cucire una terapia su misura per il proprio paziente. Daniele Castelli


BEVANDA CALDA O FREDDA, COSA BERE DURANTE E DOPO L’ALLENAMENTO?

potrebbe in realtà aiutare a rinfrescarvi – ecco perché. COME UNA BEVANDA CALDA VI AIUTA A RINFRESCARVI Ecco cosa succede quando si consuma una bevanda calda in un giorno altrettanto caldo:

Raffreddarsi dopo l’allenamento, soprattutto in estate, è una parte importante del recupero. Qual è il modo migliore per rinfrescarsi? Preferite bevande ghiacciate o molto calde? Consumare bevande calde quando le temperature sono alte aiuta davvero a rinfrescarsi, anche durante o dopo l’attività

fisica? E’ tardo pomeriggio, dovete ancora allenarvi e avete davvero voglia di una bella tazza di tè o di caffè. Ma è piena estate, meglio optare per una bevanda fresca? O no? Una bevanda calda

- La temperatura corporea inizialmente sale, perché state aggiungendo calore al vostro corpo - I ricettori di bocca, gola e esofago mandano un segnale al cervello per aumentare la sudorazione - L’aumento della sudorazione è essenziale per abbassare la temperatura corporea

Se è vero che un’elevata sudorazione può risultare personalmente spiacevole, il sudore ha i suoi benefici, primo tra tutti quello di abbassare la temperatura corporea quando evapora dalla pelle. Nota bene:


Perché l’effetto rinfrescante sia efficace, è necessario trovarsi in un ambiente in cui il

E cosa succede se invece scegliete una bevanda fredda?

sudore può effettivamente evaporare. Quindi, in condizioni climatiche calde e

EFFETTI DELL’ACQUA FREDDA SUL

umide, dove l’evaporazione del sudore è limitata, meglio preferire bevande fredde?

CORPO DURANTE E DOPO L’ATTIVITÀ FISICA

Non è semplice come sembra. Vediamo

Bere acqua fredda o bevande ghiacciate

come le bevande influenzano la temperatura corporea post-allenamento in diverse

dopo un allenamento può causare uno shock agli organi e non aiutare il naturale processo

condizioni climatiche.

di raffreddamento del corpo. Cosa succede quando assumete una

RINFRESCARSI DURANTE L’ATTIVITÀ FISICA Una ricerca ha messo a confronto la temperatura corporea post-allenamento in

bevanda fredda durante l’allenamento? - Durante l’attività fisica, il calore del corpo si sposta verso la superficie, mentre l’interno, al contrario, si raffredda.

persone che avevano assunto bevande calde o fredde durante l’attività fisica, mostrando che consumare una bevanda a 50˚C – le bevande calde da asporto sono generalmente ancora più calde – riduce la quantità totale di calore presente nel corpo più di una bevanda fredda.

- Ingerire bevande o alimenti troppo freddi causa il restringimento dei vasi sanguigni e del flusso stesso del sangue. Il corpo quindi ritiene il calore, facendovi sentire più accaldati. Quindi, quale bevanda scegliere a seconda della temperatura esterna?


sì > preferite bevande a temperatura ambiente no > scegliete una bevanda calda per aumentare la percentuale di sudorazione e rinfrescarvi 2. AVETE A DISPOSIZIONE GHIACCIO E ACQUA FREDDA? Versate acqua fredda sulla testa e sulle spalle Arrotolate intorno al collo o ai polsi un asciugamano bagnato con acqua fredda Passate un cubetto di ghiaccio sulla parte interna dei polsi

Queste semplici linee guida vi aiuteranno a scegliere la bevanda giusta quando ci si allena nei giorni caldi. Ricorda: Che siano bevande calde o fredde – l’importante è rimanere idratati. Fate attenzione a questi segnali di disidratazione e scoprite qual è il vostro fabbisogno giornaliero di liquidi, oltre a scegliere le bevande più sane per mantenere un livello di idratazione adeguato. CONSIGLI PER RIMANERE FRESCHI QUANDO SI FA ATTIVITÀ FISICA IN TEMPERATURE ELEVATE 1. IL TEMPO È CALDO E UMIDO?

CONCLUSIONE Assumere bevande calde per rinfrescarsi è una pratica in uso da secoli in diverse comunità; infatti, i maggiori consumatori di tè a livello mondiale si trovano in paesi con clima caldo. La scienza stessa ha dimostrato che funziona. Quindi se state per uscire a fare una corsa o un allenamento in una giornata calda e secca, scegliete una bevanda calda per aiutare a rinfrescarvi. Solo, preparatevi a sudare!



12 CONSIGLI PER EVITARE IL DOLORE AL FIANCO DURANTE LA CORSA Sia che si tratti di un allenamento di tennis molto intensivo o di una partita o di una sessione di fitness, gli sportivi dedicano tempo ed energia nella preparazione: concedersi un adeguato riposo, rispettare la fase di scarico a poche settimane dalla gara, garantire il pieno di riserve di glicogeno inclusi i rituali di pasta party della notte prima e una colazione da digerire facilmente il giorno della gara. Senza trascurare ovviamente l’attrezzatura per affrontare tutte le intemperie, che si tratti di pioggia, vento o afa. In questo modo niente dovrebbe andare storto. Dovrebbe, infatti. Se non fosse che dopo 30-45 minuti dall'inizio arriva lui, il dolore al fianco: iniziato l'allenamento troppo intensamente, respiro irregolare, colazione troppo abbondante? E mentre tutti questi pensieri affiorano nella mente, il dolore continua pungente e rallenta il ritmo. Per questo problema abbiamo dei consigli preziosi non solo su come prepararsi al meglio contro il dolore al fianco per evitare che si manifesti ma anche su come affrontarlo nel caso si presentasse all’improvviso.

COME NASCE: Ancora oggi ci sono diverse teorie su come e quando si verifica il dolore al fianco durante un allenamento. Tra le diverse spiegazioni ci sono una scarsa circolazione sanguigna a livello del diaframma, con conseguente comparsa di crampi ai muscoli addominali, e irritazione del peritoneo. Il diaframma gioca un ruolo cruciale durante la respirazione. A causa dei diversi shock che il corpo subisce per i movimenti dell'allenamento tutti gli organi interni si muovono in continuazione così come il diaframma quando respiriamo. Questo può creare tensione e crampi. Nervosismo, respiro irregolare, problemi posturali, partenza troppo veloce, muscoli addominali deboli, stomaco pieno o uno stile di movimento scorretto possono provocare il dolore al fianco. Benché questo dolore non sia pericoloso è comunque doloroso e può costringere ad abbandonare l'allenamento a metà strada. COME PREVENIRLO: 1. COLAZIONE Leggera, a basso contenuto di fibre o grassi. 2. COLAZIONE (BIS) Da fare 2 o 3 ore prima dell'allenamento. Un piccolo snack poco prima della gara, una banana per esempio, va bene.


3. RISCALDAMENTO È indispensabile per preparare i muscoli e favorire una buona respirazione. 4. RITMO LENTO MA COSTANTE Meglio iniziare lentamente e aumentare dopo il ritmo. Il dolore è un segnale che indica che il corpo è sotto pressione. 5. FOCUS SULLA PARTE SUPERIORE DEL CORPO Il dolore si verifica soprattutto negli sport che coinvolgono la parte superiore del corpo come corsa, nuoto, tennis. Un busto forte riduce i movimenti rotatori e supporta gli organi interni diminuendo il verificarsi dei crampi. Un torace forte diminuisce il rischio di infortuni e inoltre migliora anche la performance.. 6. ADDOMINALI FORTI Muscoli obliqui degli addominali ben allenati prevengono il dolore al fianco. Sono sufficienti dai 5 ai 10 minuti al giorno di allenamento di questa parte. 7. CONTROLLO DEL RESPIRO Con l’aumento della velocità, il corpo ha bisogno di più ossigeno e il ritmo del respiro è cruciale. Se la preparazione è stata fatta rispettando le regole ma il dolore si presenta lo stesso, ecco alcuni consigli per un dolore al fianco acuto: 8. RESPIRARE!


Respirare adeguatamente aiuta a rilassare il diaframma e i muscoli respiratori. Due passi per l’inspirazione e il terzo per l’espirazione: in questo modo migliora la profondità del respiro e il rilassamento dei muscoli. 9. USARE LE MANI Premere con le mani sulla parte dolorante e rilasciare nella fase di espirazione, sempre respirando profondamente. 10. RALLENTARE Rallentare o fare una pausa camminando può attenuare il dolore. 11. FERMARSI UN ATTIMO E FARE STRETCHING La tensione può essere alleviata se si fanno alcuni esercizi di stretching. È sufficiente piegare il busto sul fianco e allungarsi piano piano ad ogni espirazione. 12. FERMARSI E PIEGARE IL BUSTO IN AVANTI Per rilassare il diaframma e l’addome, si possono mettere le braccia sopra la testa mentre si inspira e piegare il busto in avanti nella fase di espirazione, rilasciando le braccia. La buona notizia: la corsa è il modo migliore per prevenire il dolore al fianco. Migliore è la resistenza, minore sarà la probabilità che appaia il dolore al fianco.



7 ALIMENTI DA EVITARE ASSOLUTAMENTE PRIMA DI ALLENARSI La maggior parte dei tennisti sa benissimo che prima di un lungo ed intenso allenamento è necessario avere delle buone scorte di glicogeno. Quali sono gli snack giusti per fornire al corpo l’energia? Eccone 7 da evitare: 1. LEGUMI I legumi, per esempio lenticchie o fagioli, sono una fonte importante di fibre ma prima di un allenamento si devono evitare perché potrebbero causare disturbi gastrointestinali o addirittura diarrea durante gli allenamenti. 2. ZUCCHERO BIANCO I cibi zuccherati e calorici possono rovinare la performance perché abbassano i livelli di zucchero nel sangue rapidamente (ipoglicemia) creando stanchezza, perdita di energia e mal di testa. Prima di una gara o allenamento meglio mangiare della quinoa o dell’avena. 3. CIBI GRASSI Anche se il grasso è un macronutriente che deve essere parte della dieta, appesantisce lo stomaco e non si digerisce facilmente. Per questo gli alimenti grassi prima di un allenamento sono vietati, in particolare quelli con grassi saturi come formaggi, pancetta o hamburger. 4. BARRETTE PROTEICHE

Vengono vendute come ideali per il fitness ma la verità è che contengono tantissimi zuccheri raffinati. Invece che comprarle al supermercato, le barrette si possono anche fare in casa e sono perfette per aumentare le riserve di glicogeno prima dell'allenamento. 5. LATTOSIO Non tutti riescono a digerire bene una tazza di latte o lo yogurt prima dell’allenamento a


causa del lattosio che contengono. 6. CIBI SPEZIATI Sebbene le spezie siano ideali per slanciare il metabolismo, possono altrettanto causare acidità di stomaco o disturbi gastrointestinali. 7. BEVANDE ENERGETICHE Così come le barrette fitness, le bevande energetiche sono spesso ricche di zuccheri.

Meglio bere acqua o bevande isotoniche, se si deve giocare a tennis per più di un’ora, e meglio se preparate in casa.





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