Tennis World Ita - numero 23

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Febbraio - numro 23

TENNIS WORLD Scrivi Grand Slam, Leggi Fab Four

Roger Federer Murray e il Destino di un'Era Leggendaria Sorpresa Nishikori? Gli apparenti scivoloni di inizio stagione Fallimento America Due Falsi Miti su Nadal da Sfatare



Murray e il Destino di un'Era Leggendaria by Marco Di Nardo

"Essere arrivato in finale qui quattro volte è molto difficile. Averlo fatto nell'era di Federer, Nadal e Djokovic mi rende orgoglioso".

"Essere arrivato in finale qui quattro volte è molto difficile. Averlo fatto nell'era di Federer, Nadal e Djokovic mi rende orgoglioso". Sono state queste le parole di Andy Murray dopo il successo nella semifinale dell'Australian Open 2015, ottenuto contro Tomas Berdych. Con quella vittoria lo scozzese ha infatti raggiunto la sua quarta finale all'Australian Open, anche se, purtroppo per lui, è poi arrivata la quarta sconfitta contro Novak Djokovic. Ad oggi i successi Slam di Murray restano quindi solo due, nonostante le otte finali giocate in carriera. Sembra essere proprio questo il destino di Andy Murray, giocatore che in altre epoche avrebbe forse dominato, o comunque sarebbe stato protagonista assoluto, e che invece in un periodo leggendario per

Djokovic hanno già conquistato quasi 40 Slam messi insieme, non riesce nemmeno ad essere uno dei primi 3 giocatori al mondo con continuità. E poi resta il problema delle occasioni non sfruttate, con quelle sei finali Major perse contro solo due vittorie, che non possono lasciarlo completamente soddisfatto di quanto fatto fino a questo momento. Eppure otto finali Slam in altri periodi (ricordando sempre che Murray ha ancora tanto tempo per raggiungerne altre), sarebbero un risultato eccezionale. Giocatori come Thomas Muster, Marcelo Rios, Carlos Moya, Yevgeny Kafelnikov, Patrick Rafter, Marat Safin, Gustavo Kuerten, Lleyton Hewitt, Juan Carlos Ferrero e Andy Roddick, tutti arrivati al numero 1 del mondo tra il 1996 e il 2003, non hanno nemmeno avvicinato questo


Fino alla finale dell'Australian Open, era stato un avvio di stagione incredibile per Murray, che nelle esibizioni di gennaio era rimasto imbattuto: prima l'affermazione al Mubadala World Tennis Championship (già vinto dal britannico nella prima edizione del 2009), battendo Feliciano Lopez e dominando Rafa Nadal (6-2 6-0), prima di approfittare del forfait di Djokovic in finale; poi le tre vittorie su tre in singolare nel round robin della Hopman Cup. Anche il cammino in Australia era stato perfetto prima dell'ultimo atto, con appena due set persi, entrambi al tie-break, il secondo del match degli ottavi contro Dimitrov, e il primo della semifinale contro Berdych. Poi, come detto, l'ennesima finale persa contro Djokovic, che ormai sembra essere consuetudine.

Eppure Murray non è in senso assoluto un perdente nelle finali, tutt'altro. La sua percentuale di vittoria generale all'ultimo atto dei tornei del circuito maggiore è del 67.39%, con 31 vittorie e 15 sconfitte, che è già di per sé positiva. Se però in questa percentuale andassimo ad escludere le finali nei Major, salirebbe al 76.31%, con 29 vittorie e 9 sconfitte, e sarebbe la terza in assoluto nell'Era Open tra i giocatori che ne hanno giocate almeno 20. Emblematica è la sua capacità di vincere le finali dei Masters 1000. Dal 2008 al 2011 Murray aveva vinto 8 delle prime 9 finali raggiunte in questi tornei, e nonostante le due sconfitte del 2012, la sua percentuale resta comunque ottima, con un 75% frutto di 9 successi su 12 finali nei Masters 1000. Quello delle finali è quindi chiaro che sia un problema che resta incluso nel discorso dei tornei del Grande Slam. Ma si sa, nei Major in finale arrivano sempre i migliori, e infatti Murray in queste partite ha sempre incontrato uno tra Federer (3 volte sempre perdendo) e Djokovic (5 volte vincendone 2). Contro Nadal, pur non avendo mai perso in finale Slam, ha spesso ceduto nelle semifinali che non gli hanno permesso di incrementare ulteriormente il numero di presentazioni all'atto decisivo. Non c'è dubbio quindi sul fatto che il periodo tennistico nel quale si scrive la propria carriera, sia decisivo nell'influenza che si può dare a questo sport. Murray, con due Slam vinti, l'oro olimpico del 2012 e tanti altri successi, purtroppo è capitato nel periodo in cui è più difficile diventare il migliore, e non è mai


E' un grande campione, ma forse non sarĂ mai ricordato come uno dei migliori di sempre. riuscito a prendersi la prima posizione in classifica, non andando nemmno vicino a raggiungere questo traguardo, nonostante sia stato al numero 2 del ranking Atp in periodi differenti. E' un grande campione, ma forse non sarĂ mai ricordato come uno dei migliori di sempre.



Il 2015 per Andy Murray: cambiare per ripartire by Giovanni LaRosa

Il 2015 potrebbe essere un anno chiave nel circuito ATP.

Il 2015 potrebbe essere un anno chiave nel circuito ATP. L'era dei fab four sembra, ormai, sul viale del tramonto o, forse, si tratta semplicemente di un termine divenuto improprio che poco si addice al contesto attuale. Sì, Djokovic e Federer restano i due punti di riferimento assoluti (e il loro 2014 ne rappresenta la prova lampante). Lo stesso Nadal, che pur ha avuto tanti alti e bassi dovuti ai vari problemi fisici, non sembra dare alcuna preoccupazione riguardo alla possibilità di un rientro ad altissimo livello. Tuttavia, con tanti nuovi tennisti che sempre più prepotentemente si affacciano negli atti finali dei palcoscenici più importanti, bisogna capire quale sia la situazione attuale. E, nello specifico, chi sembra trovarsi in una posizione scomoda è Andy Murray. Il fratello “povero” dei fab four pare, infatti, vivere in una fase di limbo nella quale non riesce a compiere quell'ultimo passo tale da trasformarlo in un campione a 360°. Ma qual è la condizione attuale del tennista scozzese? E, soprattutto, in uno scenario che sembra essere in continua evoluzione, quale ruolo è destinato a recitare Murray in questo 2015?

Il discorso è, in realtà, particolarmente intricato. Un po' come la psiche del tennista scozzese, che forse continua a portarsi dietro i problemi che lo hanno ostacolato sin dai primi anni di carriera. L'evoluzione di Murray come tennista sembrava aver finalmente trovato una risoluzione definitiva con l'ingaggio di Ivan Lendl. Scegliere una leggenda del tennis mondiale come allenatore (facendola peraltro diventare quasi una moda) si era rivelata una mossa vincente per il 27enne di Dunblane. L'oro olimpico a Londra e i due titoli Slam conquistati (Us Open 2012 e Wimbledon 2013) hanno rappresentato, infatti, soltanto un'inevitabile conseguenza al pregevole lavoro portato avanti da Lendl. La vera svolta è stata quella di riuscire a dare a Murray un maggiore senso di maturità e di consapevolezza di se stesso in campo, condita da una costanza di rendimento rivelatasi fondamentale nel percorso del tennista scozzese. L'infortunio alla schiena, la pausa conseguente all'operazione chirurgica e la rottura della partnership con Lendl nel marzo dello scorso anno hanno, tuttavia, riportato Andy nel caos più assoluto. La soluzione Murray sembra averla trovata in Amelie Mauresmo. Una scelta sorprendente e, per certi versi, discutibile. Perché è vero che Amelie è campionessa dal talento cristallino e giocatrice decisamente spettacolare.


È altrettanto evidente, però, che la transalpina non rappresenti la scelta più adeguata in termini di stabilità psicologica, trattandosi di una tennista che nel corso della sua carriera ha avuto grossi problemi di gestione della pressione e delle aspettative e che, proprio in virtù di questo limite, ha raccolto in carriera molto meno di quanto avrebbe meritato. Una scelta, insomma, anacronistica che, infatti, ha suscitato le critiche di molti (in realtà, anche tanto inutile chiacchericcio da parte dei soliti detrattori). Non ultimi Dani Vallverdu e Jez Green, rispettivamente assistant coach e fitness trainer di Murray, con i quali lo scozzese ha deciso di interrompere la collaborazione lo scorso novembre, proprio a causa delle ormai inconciliabili divergenze d'opinione.

E, andando ad analizzare il percorso del duo MurrayMauresmo, appare evidente come la situazione desti qualche dubbio. Perché, sostanzialmente, si tratta di un percorso altalenante, fatto di troppi alti e bassi. Dando il beneficio del dubbio sulla performance sottotono a Wimbledon, la seconda parte di stagione dello scozzese è stata appena sufficiente: male sul cemento outdoor americano, con un quarto a Flushing Meadows perso con Djokovic come best result, bene nel finale di stagione con tre titoli (dettati, però, dall'essere spalle al muro nella corsa alle Finals), malissimo a Londra dove, oltre all'eliminazione nel round robin, Murray ha subito un'imbarazzante lezione di tennis, ai limiti dell'umiliazione, da Roger Federer. Certo, in molti potrebbero obiettare che lo scozzese ha sofferto costantemente di quei famosi problemi alla schiena che, dopo l'intervento del 2013, si sono rivelati difficili da superare. Ed è, in parte, forse vero che la componente fisica ha giocato un ruolo importante. Tuttavia, la sensazione è che lo scozzese abbia patito una leggera regressione a livello tecnicotattico, ritornando a quell'approccio estremamente difensivista che, nel suo caso, si è rivelato altamente controproducente. La difficoltà di questa situazione si palesa ancora più in maniera evidente pensando alla folta schiera di nuove leve che ormai si fanno sempre più prepotentemente strada nel circuito maschile. Wawrinka e Cilic sono riusciti a portare a casa due titoli dello Slam, rompendo un taboo più che decennale (era dal 2004 che i fab four conquistavano almeno 3 Majors su 4).


È un percorso difficile, che richiede tanto tempo e lavoro sul campo, e forse ancora più lavoro off-court, ma è probabilmente l'unica strada percorribile per riportare Murray tra i veri protagonisti del circuito A ciò si aggiungano i vari Nishikori, Raonic, Dimitrov, tutta gente in grado di scendere in campo senza alcun timore reverenziale e con la consapevolezza di avere i mezzi necessari per raggiungere traguardi importanti. E, se da un lato ci sono queste certezze, giocatori che, con maggiore o minore continuità, recitano ruoli da protagonisti nei tornei che contano, dall'altro lato ecco emergere tante nuove stelle, potenziali top player, predestinati con un grande futuro, che rendono il quadro ancora più complesso. I vari Kyrgios, Thiem, Vesely, Coric, Zverev, sono tutti giocatori dal potenziale enorme che, nel giro di qualche anno, potrebbero ritrovarsi già al vertice. E, quindi, cosa farne di Murray? A cosa può aspirare il tennista scozzese? La sensazione è che il 27enne di Dunblane si affacci ad un anno chiave per la sua carriera. Un anno in cui, nonostante i vari “se” i vari “ma”, ci sia ancora la possibilità di lasciare un marchio importante nel circuito. Per fare ciò, però, è fondamentale lavorare su alcuni aspetti del proprio gioco e, soprattutto, sulla gestione a livello psicologico. Perché, sebbene manchi il bagaglio tecnico di un Dimitrov o di un Thiem, ciò che allo scozzese non manca è la tenacia e la determinazione. La rabbia e la fame di successo devono rappresentare le basi dalle quali partire nel lavoro con Amelie Mauresmo. Migliorare la parte atletica (nella quale potenzialmente Murray può eccellere) tornare a mettere con più frequenza i piedi dentro la linea di fondo, cercare di più il vincente e abbandonare l'approccio difensivista. Queste rappresentano soltanto alcune delle piccole modifiche da apportare.



Pronti...Slam..via ! by Alex Bisi

Finalmente si ricomincia, il nuovo anno porta subito un torneo importante, ovvero lo Slam australiano

Finalmente si ricomincia, il nuovo anno porta subito un torneo importante, ovvero lo Slam australiano, che lo scorso anno ha visto l’affermazione di una delle rivelazioni 2014 ovvero Stan Wawrinka. Storicamente, si sa , il difficile è riconfermarsi, tanto più che la concorrenza è più agguerrita che mai. Stanimal ha disputato un’ottima stagione, nonostante un periodo di crisi abbastanza lungo, dovuto anche ad una condizione fisica non ottimale, ma ha concluso alla grande issandosi a trascinatore della Svizzera nella conquista della finale di Davis, vediamo se riuscirà a rivivere due settimane di grazia come lo scorso anno. I più accreditati alla vittoria finale son i soliti sospetti Djokovic e Federer. Il serbo si è sempre trovato a suo agio su questi campi tanto da aggiudicarsi il titolo per quattro volte di cui ben tre consecutivamente. Un anno di collaborazione con Becker ha sicuramente mostrato modifiche nel suo gioco, modifiche che son diventate più evidenti soprattutto nella seconda parte della stagione 2014. Nonostante il tedesco fosse stato chiamato alla corte del serbo per fornire principalmente un aiuto mentale nella gestione chiave di alcuni fasi dei match, si è visto un Djokovic maggiormente predisposto a cercare la rete,

più a suo agio nel gioco di volo. Non è ovviamente diventato un giocatore da serve&volley ma ha capito di dover introdurre e migliorare questa variante per resistere alla concorrenza. Federer, ha rischiato di vedere sfumare la Davis per un infortunio alla schiena, ma ha stretto i denti ed ha giocato una finale da grande campione qual è. Dopo un 2013 disastroso, con il fisico integro ha dimostrato di poter offrire ancora molto a questo sport, e la collaborazione con il suo idolo di gioventù Edberg, è stata decisamente proficua. Non è riuscito nell’impresa di rivincere Wimbledon ma ha insidiato fino alla fine la posizione numero uno al serbo, e solo il problema alla schiena lo ha costretto a rinunciare all’ennesima finale al Master di fine anno. Edberg non ha portato modifiche sostanziali al gioco dello svizzero ma lo ha certamente spinto a giocare nuovamente più vicino alla rete, e spesso il fenomeno di Basilea è stato ingiocabile per i suoi avversari. Chi sta peggio, dei soliti noti, probabilmente è Rafa Nadal, che ha vissuto un 2013 disastroso sul piano fisico,ma che gli ha comunque permesso di vincere l’ennesimo titolo parigino. Lo spagnolo deve recuperare condizione, perché gli infortuni a detta dei comunicati sembrano esser recuperati perfettamente, l’unica cosa che gli manca è il ritmo partita. Personalmente sono sicuro che sarà pronto per la partenza del torneo e non fermerà


I tifosi di Dimitrov sperano che il 2015 sia definitivamente l’anno della maturità per il bulgaro.

Andy Murray è un incognita, ha recuperato condizione ma non sembra più il giocatore del 2013. La collaborazione con la Mauresmo non sembra proficua e almeno alla partenza lo scozzese è decisamente un passo indietro ai nomi elencati poco fa. Il 2014 però ha portato anche tante novità, giovani che hanno dimostrato il loro valore e che hanno tanta fame e voglia di continuare a stupire in questa stagione, su tutti Nishikori, Raonic e Dimitrov. Il giapponese ha vinto 3 tornei nel 2014 ,ha disputato una finale Master1000 e la finale Slam agli UsOpen e si è qualificato al suo primo Master. Ha un gioco che lo porta a spremere molto il fisico, ma è solido in tutti i fondamentali e soprattutto sul veloce è un avversario decisamente ostico. Il veloce è sicuramente il terreno preferito di Raonic, che ha affinato grazie alla cura Lijubicic e Piatti tutti i colpi del repertorio togliendosi di dosso l’etichetta di giocatore solo servizio, non disdegna di venire a rete anche se lo schema di gioco preferito è servizio dritto. I tifosi di Dimitrov sperano che il 2015 sia definitivamente l’anno della maturità per il bulgaro, che ha vinto 3 tornei nel 2014, ma ha ancora dimostrato lacune in alcuni momenti chiavi dei match più difficili, soprattutto contro i primi della classe, ed è questo che ci si aspetta da lui, in quanto a tecnica ed estro è sicuramente più attrezzato rispetto agli altri due giovani di belle speranze. Il vincitore degli UsOpen Cilic sembra non parteciperà per via di un infortunio,poi ci sarà da tener d’occhio le mine vaganti Dolgopolov, Kyrgios e chissà cosa portanno fare i nomi caldi del finale di stagione scorsa Coric e Goffin. Sperando ci sia un po’ di gloria anche per i nostri portacolori non ci resta che sedersi e Pronti.. Slam..VIA!!!


Gli apparenti scivoloni di inizio stagione by Giorgio Giannaccini

Molto clamore hanno suscitato le improvvise disfatte subite dai beniamini del tennis mondiale.

Molto clamore hanno suscitato le - apparentemente – improvvise disfatte subite dai beniamini del tennis mondiale: ovvero quelle di Rafael Nadal e Novak Djokovic. Il primo è stato sconfitto da un carneade del tennis moderno, ovvero Michael Berrer, numero n.127 del mondo (ma in passato capace di toccare la 42esima posizione mondiale e di conquistare di finali a livello ATP) per 1-6 6-3 6-4, il secondo è stato sconfitto in un match aspramente combattuto con il redivivo Ivo Karlovic che, sebbene la posizione n.129, ha mostrato un gioco degno dei tempi migliori, grande solidità anche con la seconda di servizio – praticamente una prima di servizio in più rispetto agli avversari -, serve and volley, e continui back di rovescio. Queste sconfitte, che rasentano il clamore della vox populi

tennistica, non ci devono in realtà sorprendere per diversi fattori. La prima – andando per ordine e parlando di Nadal – è la condizione fisica: lo spagnolo ha praticamente ripreso a giocare adesso, dopo aver dato forfait nell'ultima parte di stagione e saltando addirittura il Masters di fine anno, sacrificio che si fa solo in caso di estrema emergenza fisica. Tra l'altro, nel precedente torneo a Abu Dhabi – in verità un torneo-esibizione -, lo stesso Nadal era stato travolto dallo scozzese Andy Murray, facendoci capire come la sua riabilitazione all'agonismo ufficiale fosse solo in fase iniziale. Era dunque logico attenderci un verdetto simile per il torneo successivo di Dubai, certo forse non contro il n.127 del mondo, ma sicuramente era pronosticabile una disfatta del genere contro un top 50. Del suo, però, ce ne ha messo molto anche il teutonico Berrer, autore di una grandissima partita, devastante il suo dritto mancino, sostanziosa la sua prima di servizio (con il 76% di prime in campo) che ha fruttato diversi punti direttamente dal servizio. Il match di Djokovic è invece un po' diverso, perché parliamo di una partita persa al terzo set fino all'ultimo punto e con due tie-break


giocati: 6-7 (2) 7-6 (6) 6-4 lo score finale. Djokovic ha sostanzialmente perso l'incontro per un netto calo mentale, che difficilmente sarebbe accaduto nel pieno della stagione tennistica ma che la desuetudine nel giocare partite ufficiali – ricordiamo, siamo a inizio a stagione! - ha fatto sì che succedesse. In modo molto scherzoso potremmo dire “meglio adesso che dopo”! Ma d'altra parte i tornei di inizio stagione servono proprio a far fuoriuscire queste difficoltà iniziali, poiché è meglio sviscerare prima queste problematiche agonistiche che non ai primi turni degli Australian Open (e che dunque possono essere fatali per la conquista del titolo). Dobbiamo anche considerare – fuoriuscendo per un secondo dalla specificità del caso

del singolo giocatore – problematiche più comuni: ad esempio, carichi di lavoro meno pesanti in allenamento, che possono causare un “timing” sulla palla ancora non perfetto, andando così a ledere fortemente sull'efficacia dei colpi da fondo campo. Lapalissiano il caso di Nadal, troppe le stecche e la Anche il serbo ha però – nella sua comunque migliore condizione fisica – qualche problema di timing, che rimane però molto più leggero e meno evidente rispetto a Nadal (ma come spiegato, questi sono i mali inevitabili che si pagano ad inizio stagione). Sommato poi che ogni giocatore, vedendo dall'altra parte della rete una leggenda del tennis, e quindi giocando alla morte, tocca per questi motivi livelli tennistici normalmente a lui sconosciuti, ecco allora che l'impronosticabile esito può in qualche modo prendere forma. Del resto, tralasciando queste due sconfitte, abbiamo visto altri grandi tennisti in difficoltà: Roger Federer ha sudato non dico sette camice ma almeno sei per battere l'australiano John Millman, n.153 del mondo, col punteggio di 4-6 6-4 6-3, recuperando da 1-3 nel secondo set. Ovviamente, come ci ha abituati soprattutto in questi ultimi, il suo tennis è cresciuto partita dopo partita, arrivando in finale e battendo in uno splendido incontro il canadese Milos Raonic per 6-4 6-7 (2) 6-4. Conquistando così la vittoria numero 1000 in carriera e l'83esimo titolo di una carriera da


E si notava chiaramente come Wawrinka si fosse appesantito più del solito. Ma il lavoro ripaga, e lo svizzero n.2 in patria, si è presentato a Chennai per non deludere e per difendere il titolo dell'anno prima che ha brillantemente difeso nel migliore dei modi. vero monumento del tennis. Anche l'altro svizzero, Stanislas Wawrinka, che ha avuto curiosamente lo stesso happy ending, conquistando il torneo di Chennai, battendo in finale per 6-4 6-3 il qualificato Bedene, ha avuto le sue difficoltà iniziali. Non tanto nel torneo, dove addirittura non ha concesso un set agli avversari – dobbiamo però ricordare che Wawrinka era la testa di serie n.1 – ma nel torneoesibizione di Abu Dhabi. Non tanto nel torneo, dove addirittura non ha concesso un set agli avversari – dobbiamo però ricordare che Wawrinka era la testa di serie n.1 – ma nel torneo-esibizione di Abu Dhabi. Difatti, proprio ad Abu Dhabi, aveva perso la finale per il terzo posto contro uno scarico Nadal, e pure abbastanza nettamente per 7-6 (1) 6-3.



Scrivi Grand Slam, leggi Fab Four by Alessandro Varassi

Dal 2008 ad oggi, solo in tre Slam su ventotto ha vinto un giocatore fuori dai Fantastici Quattro

Quando scatta una nuova stagione tennistica, si è soliti dare uno sguardo al passato, per cercare di prevedere, nei limiti del possibile, quello che ci aspetta nell’anno a venire. Le statistiche, seppur freddi numeri, possono aiutare a capire l’era che stiamo vivendo. Prendiamo l’albo d’oro dei quattro tornei dello Slam (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e Us Open), e concentriamoci sui vincitori dal 2008 ad oggi. Su 28 eventi major, solo in 3 occasioni ad alzare il trofeo è stato un giocatore diverso dai quattro soliti noti (Federer, Nadal, Djokovic o Murray); ben 2 di questi 3 li abbiamo vissuti nella stagione 2014, con i trionfi di Wawrinka a Melbourne e di Cilic a New York. A completare il tris, lo storico trionfo di Juan

Martin Del Potro agli Us Open 2009, in cinque set contro Roger Federer. Fino al successo statunitense di Murray nel 2012, proprio l’argentino era stato l’unico a riuscire, 1 volta su 19 tentativi, a rompere il regime di Federer, Nadal e Djokovic: più che di fab four, era lecito parlare di fab three. Confermatosi poi anche a Wimbledon nel 2013, Murray rientra a pieno titolo nella rosa dei 4 che partono decisamente con i favori del pronostico alla vigilia di qualsiasi torneo dello Slam, avendo vinto negli ultimi 6 anni rispettivamente 11 (Nadal), 7 (Djokovic), 5 (Federer) e 2 titoli (lo scozzese). Solo le briciole per gli altri, dunque. Ma come sarebbe la vita del mondo del tennis senza i Fab Four?


Lo sport non è quasi mai una equazione matematica esatta, quindi non necessariamente la mancata vittoria di uno dei primi 4 del ranking coincide con il successo del quinto o del sesto. Ci avviamo a questo scenario nella realtà? E’ una domanda che molti si sono fatti e si fanno anche oggi, ma non c’è una vera e propria risposta. L’avvio del 2015 è stato decisamente imprevedibile, con le sconfitte di Djokovic per mano di Karlovic e di Nadal contro Berrer, entrambe a Doha; ma da qui a mettere in dubbio il loro dominio nel mondo ATP ce ne passa. Le edizioni 2014 di Australian Open e soprattutto Us Open sono state eventi eccezionali, ma non c’è stata una vera e propria scomparsa dei fantastici quattro. A Melbourne, Stan Wawrinka ha battuto prima Djokovic e poi Nadal, avendo pieno merito per il trionfo, senza dover ringraziare nessuno se non sé stesso per il successo. Più rocambolesco, se così possiamo dire, il successo del croato Marin Cilic, che ha battuto Roger Federer in semifinale, e Kei Nishikori, altra rivelazione, se ha senso chiamarlo così, del torneo, capace di battere Novak Djokovic

nell’atto precedente la finale; a completare il tutto, l’assenza di Rafa Nadal e di Andy Murray, alle prese con problemi fisici. 2 fab four su 4 assenti dunque, ma gli altri 2 hanno lottato fino alla semifinali, venendo poi sconfitti. Lo sport non è quasi mai una equazione matematica esatta, quindi non necessariamente la mancata vittoria di uno dei primi 4 del ranking coincide con il successo del quinto o del sesto. Chiedere a David Ferrer, Tomas Berdych o anche Jo Wilfried Tsonga, che hanno avuto anche esperienze di finali Slam, venendo sempre stoppati. Nelle occasioni in cui non hanno trionfato i soliti noti, non hanno raggiunto neanche la finale. Bisogna essere sì al punto giusto, ma anche al momento giusto, come Wawrinka o Cilic. Senza i Fab Four aumenterebbe l’incertezza sul vincitore dei tornei maggiori, ma siamo sicuri aumenterebbe anche lo spettacolo?


Roger Federer by Chiara Gambuzza

Quasi tutto è stato scritto su Roger Federer....

Quasi tutto è stato scritto su Roger Federer: si è parlato della sua adolescenza, non facile, in cui a farla da padrone sono stati nervosismi e sbalzi di umore che si riflettevano poi in campo, e si è scritto anche del percorso che lo ha poi portato ad essere un campione che, ancora oggi a 33 anni, lascia tifosi e non, appassionati e non, a bocca aperta grazie allle sue innumerevoli perle. Arduo quindi trovare qualcosa di lui che ancora non si sappia, ma andando indietro nel tempo, siamo riuciti a trovare qualcosa di lui che, magari, sfugge: 1. A 16 anni, per divertirsi durante un allenamento, lanciò la sua racchetta contro una tenda del centro federale, tagliandola. Fu punito: dovette alzarsi, per una settimana all'alba, pulire i bagni e mettere in

ordine tutti i campi. 2. Nell'estate del 2001 fece da "Taxista" all' amico Michael Lammer: quest'ultimo non poteva guidare per via di uno strappo ai legamenti della gamba, così Roger lo aspettava, ogni giorno, fuori dalla scuola che frequentava e insieme andavano a fare fisioterapia. 3. Quando Federer venne a scoprire, nel 2002, che il suo ex allenatore Peter Carter era morto, si trovava a Toronto. Perse in singolare e anche in doppio giocando con il lutto al braccio e trattenendo a fatica le lacrime a ogni cambio campo. Si ritirò poi da Cincinnati e Washington per essere presente al funerale.


10. Ad appena 6 anni, durante una lezione a scuola, si voltò verso il suo compagno di banco chiedendogli un parere sulla sua firma scritta su un foglio di carta.Tutti scoppiarono a ridere chiedendosi: ' Ma perchè stai esercitandoti nello scrivere una firma?' e lui rispose: ' Magari un giorno, quando diventerò un tennista, potrebbe servirmi." 4. Dopo aver vinto Wimbledon per la prima volta, trascorse le vacanze in Italia: arrivò in Sardegna insieme a Mirka e sdraiato sulla sabbia continuava a ripetersi "Sei un campione di Wimbledon" 5. Con i primi soldi vinti, giocando a tennis, si fece un "regalo" particolare: comprò una tinta sui toni del biondo platino e una volta diventato biondo andò a casa dalla mamma Lynette che, vedendolo così conciato, cominciò ad urlare. 6. Durante la finale di Roma 2006, Roger si arrabbiò con Toni Nadal e addirittura si rivolse a lui, tra un punto e l'altro, chiedendogli in maniera polemica " Tutto ok, Toni?". La ragione del litigio era il continuo coaching fatto da Toni a Rafa. 7. Fino all'età di 14 è stato vegetariano: la sua alimentazione non era proprio quella di uno sportivo. Mangiava solo latte e cereali, pasta e pizza. 8. Ama giocare alla Playstation e ama i giochi che riguardano il tennis. La particolarità è che non usa il suo personaggio ma spesso opta per Gael Monfils e..Rafa Nadal 9. Il numero più elevato di errori non forzati commessi in un match è "82", "record" stabilito contro Horna, al Roland Garros nel 2003.



Due Falsi Miti su Nadal da Sfatare by Valerio Carriero

Sono tanti i luoghi comuni su Rafael Nadal.

Sono tanti i luoghi comuni su Rafael Nadal. Inutile scendere nei dettagli delle diatribe e discussioni da bar tra sostenitori di altri protagonisti del circuito, altrettanto inutile disquisire della tipologia di gioco del maiorchino che divide gli appassionati praticamente in due schieramenti. Ma questo articolo si propone di smentire essenzialmente due tesi: “Nadal non è longevo” e “Nadal non è versatile”. Per farlo, saranno presi in esame gli Slam e il suo recordman attuale, naturalmente Roger Federer. LONGEVITA’ Tanto scetticismo sin dai primi anni di carriera dello spagnolo, questo ragazzino esplosivo in canotta e pinocchietti. Un selvaggio, un diavolo su ogni palla capace di far perdere la pazienza a chiunque. Il suo gioco è troppo dispendioso per reggere a lungo”, affermazione vera a metà: Rafa è probabilmente il tennista più infortunato di sempre, innegabile. Ma se fosse proprio questa sua propensione agli infortuni, e di conseguenza a lunghe pause forzate per preservarsi, a mantenerlo tra i fab4 ancora a quasi 29 anni? Torniamo agli Slam: quando c’è Nadal in un torneo 3 su 5, spuntarla è sempre dura.

Specialmente quando il Major in questione si chiama Roland Garros. Rafa ha costruito il suo regno sul rosso, primati difficilmente eguagliabili. Sono 9 le Coppe dei Moschettieri per ora nella sua bacheca, ossia un dominio quasi ininterrotto dalla sua prima gioia Slam nel 2005 a quella dello scorso anno su Djokovic. L’unico capace di interrompere la pazzesca striscia, è stato Robin Soderling nel 2009, sconfitta preludio del forfait a Wimbledon e di un Nadal irriconoscibile nella seconda metà della stagione. Poco male, perché anche in quella brutta annata il mancino il suo l’aveva fatto con il primo, e per ora unico, sigillo a Melbourne con le epiche imprese con Verdasco e Federer in semi e in finale. Per questo motivo Rafa può vantare una striscia, tuttora aperta, a dir poco clamorosa: 10 anni consecutivi (2005-2014) con almeno uno Slam vinto. Prendendo come punto di riferimento Federer, è un record che assume ancor più importanza: Roger ha vinto almeno un Major per “soli” 7 anni di fila, andando a segno nuovamente nel 2012 dopo due anni di digiuno, per la sua ottava stagione con uno Slam in cassaforte. Non male dunque per Nadal, spesso sminuito in termini di longevità considerando grossolanamente la sua età e paragonandolo a Roger, con lo svizzero ancora competitivo a 33 anni, ma senza tener presente l’esplosione del maiorchino sul circuito maggiore quando era appena maggiorenne.


Chissà se la soglia dei 17 Slam non possa essere raggiunta o migliorata in un futuro non troppo lontano. VERSATILITA’ Superfici non così diverse tra loro e sempre più omogenee, dato abbastanza veritiero. Non può comunque sottolinearsi la crescita di Nadal su ogni superficie: da semplice terraiolo o poco più, a tennista sempre più competitivo su terreni di gioco differenti. Le prime finali Slam fuori dal rosso arrivano paradossalmente sull’erba di Wimbledon e sono tre consecutive, mentre la prima sul cemento solamente nel 2009 ma da quell’Australian Open Rafa sarà sempre più presente negli atti conclusivi dei Major sul cemento. Risultati che gli permettono di firmare un nuovo primato: l’unico nella storia ad aver raggiunto almeno due finali in 8 diversi anni solari. Ricapitolando, due nel 2006, 2007 e 2008 (Roland Garros e Wimbledon), addirittura tre nel 2010 e 2011 (Roland Garros, Wimbledon e Us Open),

due nel 2012 (Australian Open e Roland Garros) nel 2013 (Roland Garros e Us Open), e 2014 (Australian Open e Roland Garros). Ancora una volta, persino Federer è decisamente staccato: “solamente” 6 gli anni di fila per lo svizzero (dal 2004 al 2009), capace comunque di conquistarne 10 di fila da Wimbledon 2005 agli Us Open del 2007. Dati che dunque smentiscono luoghi comuni affibbiati in modo troppo frettoloso e superficiale su Nadal. E chissà se la soglia dei 17 Slam non possa essere raggiunta o migliorata in un futuro non troppo lontano.


Quanto vale Dimitrov? by Alex Bisi

Il tennista dalle occasioni sprecate

Andy Murray ha appena messo a segno il punto che gli apre le porte degli ottavi di finale degli Australian Open, a farne le spese è il talento bulgaro Grigor Dimitrov dopo 4 intensi set giocati ad un ottimo livello da parte di entrambi. Nonostante l’ottima prestazione, e un Murray davvero in ottima forma, a detta di molti è stata l’ennesima occasione sprecata da Dimitrov per far il definitivo salto di qualità che tutti si attendono. Entrato nel circuito dei professionisti nel 2008, è stato etichettato come “baby Federer”, nomea che ha più volte rifiutato per rivendicare, giustamente, una propria identità tennistica. Dimitrov proprio come Federer non è un giocatore che ama gli scambi prolungati, ha un gioco molto offensivo e si trova a suo agio nei pressi della rete, e gli somiglia anche nelle movenze,se aggiungiamo che gioca con una ProStaff l’accostamento risulta quasi naturale.

Nonostante il talento non manchi però sembra che non riesca a far il definitivo salto di qualità per diventare un vero top player. Negli ultimi anni, la maturità tennistica si è spostata in avanti, difficile veder un giocatore che a 18 anni vince Wimbledon, come fece Becker, o che partendo dalle qualificazioni arriva in semifinale come McEnroe. Federer ha vinto il suo primo Slam a 22 anni, Djokovic a 21,NAdal a 19, Murray a 25, mentre Dimitrov ha la semifinale di Wimbledon lo scorso anno come miglior risultato. La costanza di rendimento è una delle lacune da colmare, per poter entrare tra i top player. Nei tornei “minori”, un giocatore del suo bagaglio tennistico non può uscire prematuramente, i primi della classe arrivano almeno ai quarti in ogni torneo a cui prendono parte, cosa che fanno i due giovani suoi diretti antagonisti, e meno quotati, Raonic e Nishikori. Aspetto fondamentale da migliorare è la tenuta mentale per reggere i match più duri ed evitare, come spesso gli capita, di andare fuori giri effettuando scelte sbagliate. Contro Murray al quarto set era avanti 5-2 poi ha spento l’interruttore e lo scozzese più navigato ha chiuso il match girando la partita a suo favore.


La gestione di queste partite, sarà fondamentale per la crescita futura.

Ovviamente non stiamo dicendo non vincerà mai uno slam, l’età e il talento son dalla sua, ma è importante notare come il bulgaro a 23 anni non abbia ancora dimostrato di poter essere una vera alternativa al dominio dei fabfour, come molti si aspettano, ottenendo solamente tre vittorie (due con Murray e una con Djokovic). La scelta dell’allenatore potrebbe essere una variabile importante, giocatori del calibro di Djokovic e Federer, hanno assunto due ex vincitori di Slam come Becker ed Edberg per continuare a migliorare e ne hanno tratto entrambi enormi benefici. Federer è tornato , dopo un anno nero, ad esser il giocatore che tutti conosciamo, mentre Becker ha aiutato il serbo a migliorare la tenuta mentale che spesso aveva negato alcune vittorie al numero uno al mondo. Wawrinka è cresciuto molto con Norman, tanto da vincere gli Australian Open e anche Murray , nel periodo in cui era allenato da Lendl ha avuto la stagione migliore. Lo scorso anno è stata la stagione migliore a livello, da verificare se riuscirà a confermare i progressi o se resterà un giocatore “incompiuto”.


Robin Soderling, l'uomo delle imprese by Federico Mariani

Robin Soderling si è dimostrato essere l’uomo delle imprese eccezionali facendo cadere a Parigi prima Nadal e poi Federer.

Era il 31 maggio del 2009 e sotto il cielo grigio ed inquieto di Parigi Robin Soderling disegnava l’impresa del millennio tennistico regalandosi un posto nella storia. A colpi di randello, il giocatore svedese ha bastonato Rafa Nadal sul Philippe Chatrier. Quel Nadal che sulla terra è inavvicinabile, su quella del Roland Garros pressoché invincibile. Prima di quel 31 maggio, Nadal non aveva mai incontrato la sconfitta nei campionati di Francia vincendo quattro edizioni di fila per un totale di 31 match vinti. Dopo quel 31 maggio, Nadal continua la sua marcia da immortale con altre cinque coppe dei Moschettieri incastonate nella sua fantascientifica bacheca con altre 35 vittorie in altrettanti incontri. I numeri sono equi e spesso valgono più di mille parole: l’irreale 66-1 dà la perfetta dimensione di cosa ha fatto (e sta facendo) Nadal a Parigi e, di riflesso, di cosa abbia significato la vittoria di Soderling quel giorno di maggio. L’antefatto che, se possibile, aumenta la portata dell’impresa dello svedese, risale a pochi giorni prima della sfida parigina: i due, infatti, si affrontarono agli Internazionali di Roma, risultato? Vinse Nadal naturalmente, concedendo un solo gioco.

Trovare una spiegazione razionale a quei quattro set quasi tutti dominati dal tennista di Tibro è compito arduo. Ed infatti la spiegazione non va cercata nel campo della razionalità. Nadal non poteva perdere, aveva troppo margine sul suo terreno preferito per permettere una cosa simile, eppure in un pomeriggio fatato è accaduto l’impossibile. Soderling ha giocato l’incontro con un piglio diverso, i suoi colpi erano animati dalla violenza di sempre ma con un’efficacia del tutto inedita. Si è capito da subito che stesse nella classica “giornata di grazia” ma era altrettanto chiaro che non potesse sostenere per tre ore una prestazione del genere. E invece la marea non si è fermata e, vincente dopo vincente, ha travolto un Nadal che paradossalmente ha ben poco da recriminarsi. Quello del trentenne svedese, tuttavia, non è stato il classico exploit. Seguito da un preparato coach come Magnus Norman, ha dato seguito a quanto di buono fatto quel giorno raggiungendo la quarta posizione mondiale e mettendo in cascina ben dieci titoli Atp con a disposizione mezzi tecnici tutt’altro che fenomenali. Il suo rapporto magico col Roland Garros non si è interrotto nel 2009, anzi, l’anno seguente Soderling è stato in grado di compiere un’altra impresa eccezionale. Giunto ai quarti di finale, infatti, ha battuto in quattro set Roger Federer interrompendo le 23 semifinali Slam consecutive dello svizzero,


stoppando forse il suo record più difficile da avvicinare. Anche in questo caso le premesse non erano certo confortanti per Robin che in precedenza aveva perso dodici sfide su dodici con lo svizzero. In due anni lo svedese ha compiuto qualcosa che va ben oltre lo straordinario. Ha fatto la storia recitando il ruolo di antagonista dell’eroe. Del resto, quello del cattivo è un compito che gli si addice a sentire i colleghi. Due imprese quasi impossibili in due anni, conquistate con la tenacia e l’arroganza prima che col tennis. Due leggende brutalizzate con una violenza spaventosa. Due capitoli forse troppo spesso sottovalutati. Ora purtroppo non ci sono più imprese da tentare, cime da scalare e record da infrangere. Robin Soderling non gioca un incontro ufficiale dal 17 giugno del 2011 quando distrusse David Ferrer

nella finale di Bastad. Da lì in poi inizia per lui un calvario che tutt’ora non ha trovato soluzione: prima la mononucleosi, un male vigliacco che ti priva di forza ed energia; poi, a complicare la situazione e ritardare più e più volte il rientro è subentrata una fatica post-virale, vale a dire uno stato di affaticamento cronico dovuto ad un difetto di globuli rossi. In condizioni del genere, è chiaro come sia proibitivo svolgere continuativamente attività fisica, figurarsi reggere i ritmi di un tennista professionista. Ad agosto le candeline da spegnere sulla torta saranno già 31 e, nonostante non abbia ancora gettato ufficialmente la spugna, ad oggi le chance di rivedere le sportellate di dritto e rovescio di Soderling sono minime. Vederlo all’opera non era certo un’esperienza mistica, il suo tennis non era uno spettacolo delizioso, anzi era rude, indelicato, quasi grezzo nei movimenti. Robin, per usare un eufemismo, non era per nulla amato da colleghi ed appassionati, ma in campo sapeva accendersi: aveva un aspetto da killer ed un atteggiamento da duro a cui poco importa chi c’è dall’altra parte della rete, e questo sicuramente era la sua fonte di forza. Senza la sfrontatezza, se vogliamo in alcuni casi l’irrazionalità, non si compiono imprese del genere. Uno come Soderling passa poche volte e, oggi più che mai, al tennis manca maledettamente tanto.



Sorpresa Nishikori? No, campione annunciato! by Giorgio Giannaccini

L'incredibile exploit compiuto dal nipponico Kei Nishikori - e collimato addirittura con la finale di uno Slam.

L'incredibile exploit compiuto dal nipponico Kei Nishikori - e collimato addirittura con la finale di uno Slam – ha colto di sorpresa l'intero mondo del tennis che, all'improvviso, ha visto nascere un potenziale campione dalle prospettive future davvero molto interessanti. Agli Us Open Kei Nishikori ha fatto qualcosa di difficilissimo: battere sua maestà Novak Djokovic, e in più facendolo con le sue stesse armi, ovvero in una sanguinosa battaglia tutta da fondo campo che ha visto incredibilmente – ma anche meritatamente trionfare il giapponese per 6-1 1-6 7-5 6-3. La finale è stata poi amara per Kei – apparso stanco e non all'altezza del match precedente – , nella quale si è visto sconfitto con un triplice 6-3 da parte del croato Marin Cilic che, a sua volta, aveva conquistato

anch'egli la prima finale in un Major. Ma la sua stagione parla comunque chiaro: due titoli vinti per Nishikori, uno a Memphis contro Ivo Karlovic, l'altro a Barcellona contro Santiago Giraldo, e top 10 raggiunta, e migliorata fino ad arrivare ad un sorprendente quinto posto nel ranking mondiale. In più la qualificazione al Masters di fine anno, con un buonissimo risultato quale la semifinale ottenuta e persa contro Novak Djokovic. E sebbene il serbo abbia affrontata un avversario in non perfette condizione fisiche come il giapponese, egli ha dovuto comunque faticare per avere la meglio sull'avversario, battuto solo al terzo set, questo a dimostrare come Nishikori si sia venduto cara la pelle e stia diventando ormai un giocatore ostico ai maggiori tennisti del mondo.


Kei ha sorpreso tutti, e visto il suo stato di forma ma anche la superficie - pare allora logico designarlo come uno dei probabili outsider che possano – perché no – conquistare gli imminenti Australian Open. D'altronde – specialmente per noi italiani – questa suo exploit improvviso ci era già stato preannunciato dal match a Wimbledon contro il nostro Simone Bolelli. Un Bolelli ritrovato – come non succedeva da qualche anno – stava gestendo e dominando una partita tiratissima contro il nipponico, e conduceva per due set a uno. Nishikori, a dire la verità, non stava giocando per nulla male, ma il bolognese era in formissima; è anche inutile ricordare che il potenziale dell'azzurro – fino a qui largamente incompiuto – è di primo livello, se non da top 10. La battuta, il dritto e la furia di Bolelli sembravano incontenibili anche per lo “Speedy Gonzales” asiatico, ma così non fu. Il quarto set fu lottatissimo, ma la maggior attitudine nel giocare match a grandi livelli si fa sentire, e Nishikori la spunta 7-6 al tie break. Il quinto set è un'altra battaglia e alla fine il break decisivo è del nipponico, che la spunta così, non senza grande paura, al quinto set per 6-4. Levata questa piccola premonizione - che ci fa capire

soprattutto il livello elevato di agonismo e freddezza mentale toccati dal giapponese -, ai più appare come una crescita sia esponenziale ma anche – lo dicevamo prima – improvvisa del tennista asiatico. Non è così! Qualche anno prima, era il febbraio del 2008, e Kei aveva appena diciotto anni, egli si rese protagonista di una grandissima impresa compiuta nel torneo di Delray Beach in Florida. Partendo dalle qualificazioni, entrò nel main draw principale del torneo, da qui inanellò successi sempre più sorprendenti che non potevano essere spiegati dalla sua classifica, visto che non era nemmeno fra i primi 200 giocatori al mondo. Ma l'apogeo tennistico fu raggiunto nelle semifinali giocate contro il bombardiere statunitense Sam Querrey. La partita fu davvero incredibile, emozionante, e incerta.

Il giapponesino qui annulla la bellezza di quattro match point e alla fine vola in finale, dove ad aspettarlo c'era nientepopodimeno che James Blake, tra i primi dieci giocatori del ranking mondiale da anni. La finale, contrariamente alle aspettative e al divario fra i due giocatori, è suntuosa. Nishikori mostra di avere le ali al posto dei piedi, è velocissimo in campo, e nel cambio di direzione si rivela poi un autentico fenomeno. La battuta, certo – parliamo di un ragazzo di appena 1.78 –, non era il massimo, ma il rovescio era fantastico e il dritto faceva molto male. “Il dritto fa più male di quello di Chang” ripeteva strabiliato Federico Ferrero durante la telecronaca dell'incontro sul canale di Eurosport.


La favola di Nishikori è cominciata così, in quell'11 febbraio del 2008, e con un Blake che forse si domandava come avesse fatto a perdere da un mocciosetto del genere. E il ragazzo mostrava anche una forza mentale propria solo dei campioni, sotto 3-6 nel primo set contro uno spregiudicato Blake, lo rimontava, prima di prepotenza infliggendogli un duro 6-1 nel secondo set, e poi con un matematico 6-4 nel terzo e decisivo set. Mostrando colpi e capacità di lettura del gioco altrui davvero clamorosi: annoveriamo una finta di dritto a sventaglio con conseguente chop lungo e incrociato - quasi un'umiliazione da incassare per l'avversario - e anche un clamoroso serve and volley vincente con la seconda di servizio su break point! Capacità di capire e mettere in difficoltà l'avversario davvero rare in un tennista, unite ad una tenacia da mettere paura e da insegnare anche ai più navigati tennisti.


Ivan Dodig e Marcelo Melo by David Cox

Dicono che gli opposti spesso si attraggono

Dicono che gli opposti spesso si attraggono quando si tratta di coppie e doppi, per molti versi Ivan Dodig e Marcelo Melo non potrebbero essere più diversi. In campo, Dodig – nessuna andatura penzolante con i suoi 183 cm – sembra quasi un nanerottolo di fianco alla gigantesca sagoma di Melo (203cm). E non è solo apparenza fisica, anche i loro stili variano considerevolmente. Mentre Melo si muove in maniera piuttosto fiacca, facendo affidamento sui suoi riflessi eccellenti e intuito a rete, Dodig è un giocatore esplosivo, su tutti i fronti, che si lancia in risposte e colpi rasoterra, spesso rimandendo con entrambi i piedi piantati a terra. Insieme formano una combinazione formidabile, raggiungendo la finale di Wimbledon nel 2013.

La scorsa stagione hanno quasi agguantato il titolo più importante della loro carriera, arrivando fino alla finale delle ATP World Tour Finals di fine stagione, con solo i fratelli Brayan capaci di fermarli. “E’ stato uno dei momenti più bella della mia carriera di doppio,” riflette Dodig. “Un’esperienza davvero, davvero bella per noi. Nel 2013 siamo riusciti ad arrivare alle semi-finali di Londra, poi la finale l’anno scorso, speriamo di poter arrivare fino in fondo quest’anno.” Giocare su palcoscenici così importanti è speciale soprattutto per il 30enne Dodig che ha passato molti anni lottando tra le asperità del tennis prima di arrivare finalmente nel circuito principale a metà dei suoi 20 anni.


La calma di Melo si è rivelata la combinazione perfetta per l’intensità fiera di Dodig Con un po’ di supporto finanziario, Dodig ha fatto quello che serve per far quadrare i conti, viaggiando negli avamposti dei circuiti futures e challenger, dormendo regolarmente sotto i ponti e nella sua macchina durante i tornei. Ricorda un torneo in Italia dove non era in grado di permettersi il prezzo dell’hotel, quindi ha scavalcato un muro e ha dormito sugli sdrai della piscina di una villa locale, svicolando via giusto prima di essere scoperto dagli residenti. “E’ un ragazzo speciale,” dice il connazionale Goran Ivanisevic. “Il modo in cui ha raggiunto tutto e tutto da solo senza nessuno che l’abbia davvero aiutato, è incredibile. Non ha mai avuto i soldi necessari e quello che ha fatto è fantastico. Penso che sia là da dove arriva il suo gran cuore in campo, non si è mai arreso e ha provato a giocare il suo tennis migliore in ogni singola partita.”

Dodig spiega che sopravviveva con solo del pane ai tornei, tutt’altra cosa rispetto ai lussuriosi buffet e budget generosi per i giocatori ad eventi come i Grand Slam e le Tour Finals. Una volta, è andato avanti per quattro giorni senza cibo, ed è pure stato capace di arrivare alla finale di doppio prima di quasi svenire in campo per i crampi di fame. Melo osserva con un sorriso ironico mentre ascolta i racconti di Dodig. Figlio di una famiglia benestante nella città cosmopolita di Belo Horizonte, ha avuto uno sponsor privato fin da giovane e non si è mai trovato in ristrettezze economiche. Ma la calma di Melo si è rivelata la combinazione perfetta per l’intensità fiera di Dodig nonostante abbia avuto diversi infortuni, la coppia si è dimostrata una forza in diversi eventi importanti del 2014.


“Ci sono sempre alti e bassi, ma per me, dopo tutto quello che ho passato nella mia carriera, questi sono momenti fantastici” “Siamo riusciti a raggiungere due finali delle Master series, una contro i Bryan a Monte Carlo e un’altra a Toronto,” racconta Melo. “Avremmo potuto fare meglio agli Slam, ma Ivan è rimasto fuori per tre mesi, quindi è stato difficile per noi. Ma siamo riusciti a racimolare più punti che potevamo nella seconda metà dell’anno. Siamo arrivati anche alla finale di Tokyo. Quindi avevamo un buon numero di tornei, ma sfortunatamente non siamo stati capaci di andare oltre e vincere un titolo.” “Ci sono sempre alti e bassi, ma per me, dopo tutto quello che ho passato nella mia carriera, questi sono momenti fantastici,” dice Dodig. “Giocare contro tutti questi top players e questi tornei importanti, a volte penso a tutti i momenti duri che ho dovuto superare per arrivare fino a qui e sembra quasi difficile crederci.”

Il tennis rimane ancora uno sport popolare in Brasile grazie all’eredità di Gustavo Kuerten, ma è nulla in confronto alla Croazia dove la sua popolarità è ai massimi storici dopo il trionfo di Marin Cilic agli US Open. Ai tornei Dodig si ritrova assediato da giornalisti dopo le sue partite e pensa che ci siano molti altri successi in arrivo. “Il 2014 è stato davvero un anno incredibile per il mio paese, specialmente con quello che è riuscito a fare Marin. Noi abbiamo giocato bene e in Borna Coric abbiamo il giocatore migliore in arrivo dai junior, è nella top 100, ha avuto un anno strepitoso, battendo Rafael Nadal a Basilea. Ci sono un paio di ragazze nel WTA Tour che stanno costantemente giocando un buon tennis e diverse nuove leve in arrivo che faranno grandi cose – Ana Koniuh, Donna Vekic e Ajla Tomljanovic. Ci sono molti giocatori giovani croati in procinto di sbocciare. Non vedo l’ora.”



Campioni senza la Laurea by Lorenzo Pulcioni

I più grandi giocatori che non hanno mai vinto uno Slam Marcelo Rios Una tecnica prodigiosa e una capacità impressionante di realizzare scatti estremamente difficili non sono stati sufficienti a controbilanciare i suoi limiti fisici. Diciotto titoli tra cui la triade sulla terra Montecarlo, Amburgo, Roma e la doppietta Indian Wells-Miami nel 1998, il suo grande anno, che lo ha portato alla prima posizione nel ranking per due brevi periodi per un totale di sei settimane. In finale agli Open d'Australia, sempre nel 1998, fu sconfitto da Petr Korda. È l'unico numero uno che non mai alzato un trofeo dello Slam nà la Masters Cup. I tornei del Grande Slam sono il territorio dei grandi campioni. Ma di tanto in tanto, c'è un vincitore che non per forza rimane nell'olimpo. Qualche esempio? Thomas Johansson, Brian Teacher, Mark Edmondson, Albert Costa tanto per citarne alcuni. Marin Cilic ha dalla sua tutto il tempo per dimostrare che l'exploit agli ultimi Us Open non è stato sporadico e casuale. Rovesciando il discorso viene da pensare a tutti quei grandi a cui è mancata questa ciliegina sulla torta della loro carriera. E viene quasi naturale chiedersi perché Andres Gimeno ha vinto un Roland Garros e non Tony Roche? Perché Andres Gomez sì e Raul Ramirez no? E più di recente, perché Gaston Gaudio e non Guillermo Coria? Abbiamo provato a stilare una Top 10 dei migliori giocatori che non hanno mai vinto un Torneo del Grande Slam. Con tre semplici regole: abbiamo escluso i giocatori nati prima del 1960, quelli ancora in attività e ci siamo limitati a dieci nomi, escludendo gente come Mario Ancic, Thomas Enqvist, Guy Forget, Mark Philippoussis e Greg Rusedski che avrebbero, forse, meritato di essere nella lista.

David Nalbandian Un giocatore di lusso con uno dei migliori rovesci a due mani al pari di Agassi e Djokovic. Nel suo periodo migliore (2007) con i Masters Series di Madrid e Parigi in bacheca sembrava invincibile. Da rimarcare il livello dei suoi avversari dell'epoca: Nadal, Federer, Djokovic, Berdych, Del Potro e Ferrer. Peccato che il tennis pare non fosse la sua unica priorità: tra i barbecue in salsa argentina con gli amici e i rally, altra sua grande passione. Quattro volte in semifinale negli Slam e finalista nel 2002 a Wimbledon sconfitto da Hewitt.


Guillermo Coria Il Mago era veloce, sapiente, un vero maestro. Peccato per il suo punto debole: la stabilità emotiva che ha causato il suo declino iniziato già nel 2005, quando aveva solo 23 anni. Nove titoli in totale, principalmente sulla terra, con i gioielli di Montecarlo e Amburgo. Numero tre nel 2004, ha subito una delle sconfitte più difficili da digerire che si ricordino negli ultimi tempi. La finale del Roland Garros 2004 (proprio il suo anno migliore) contro Gaudio, con il quale inaugurò una dura rivalità proprio a partire da quel match. Alex Corretja Senza avere alcun colpo particolarmente potente, a parte un buon dritto, mostrava una grande

intelligenza in campo, determinazione e coraggio che ne hanno fatto un rivale temibile per molti. In grado di rimontare qualsiasi match, come la finale del Masters Cup con Moya nel 1998 che resta il suo titolo più importante tra i 17 che ha vinto (tra cui Roma e Indian Wells). Numero due della classifica, ha alzato anche l'insalatiera della Coppa Davis nel 2000, due volte finalista al Roland Garros sconfitto da Moya e Kuerten. Nikolay Davydenko Un metronomo dal gioco da fondo campo, arrivava su tutte le palle imponendo un ritmo opprimente e brutale. Il suo record di vittorie è nel complesso piuttosto basso, inferiore al 60%. Ha vinto 21 titoli, tra cui il Masters Cup 2009 e il Masters 1000 di Parigi nel 2006, Miami nel 2008 e Shanghai nel 2009. E' stato terzo nel ranking, ma non amava i tornei lunghi e spesso negli Slam è uscito nei primi turni. Quattro volte in semifinale: due negli US Open (entrambe perse per Federer) e due al Roland Garros (perse ancora da Federer e da Puerta). Tim Henman Sembrava il predestinato successore di Fred Perry. Inglese purosangue di Oxford, bisnonno, bisnonna, nonno, nonna e mamma hanno giocato a Wimbledon. Serv and volley la sua legge, l'erba la sua superficie preferita, ma paradossalmente i suoi undici titoli, tra cui il Masters Series di Parigi, sono venuti tutti sul duro e sul sintetico.


Numero quattro del ranking, per quattro volte ha raggiunto le semifinali a Wimbledon perdendo contro Sampras (due volte), Ivanisevic e Hewitt. Semifinalista al Roland Garros contro Coria e agli US Open sconfitto da Federer. Miloslav Mecir Il grande gatto: giocatore di classe e di tocco, di grande agilità a dispetto dei suoi 190 cm con una grande capacità di coprire tutto il campo. Undici titoli su tutte le superfici: terra, erba, duro, sintetico, indoor e all'aperto. Prima medaglia d'oro in singolare delle Olimpiadi moderne, nel 1988 a Seoul. Vanta altri titoli prestigiosi come Indian Wells e Key Biscayne. Salito fino al numero quattro della classifica ATP ha mancato la vittoria di un torneo del Grande Slam per due volte, entrambe contro Lendl agli US Open e in Australia.

Senza dubbio vincerebbe la Top Ten della sfortuna. Tre anni fa la sua ultima vittoria a Bastad poi il ritiro forzato a causa della mononucleosi che lo ha contagiato quando era quinto nella classifica ATP. Ha vinto dieci titoli ed è arrivato due volte in finale al Roland Garros (2009 e 2010). E' l'unico tennista ad aver sconfitto Nadal all'Open di Francia. Henri Leconte Talento straordinario non sorretto dal fisico troppo spesso vittima di infortuni. La costante ricerca del colpo più spettacolare lo portava spesso a sbagliare e perdere partite già vinte. Top Ten mondiale nel 1985, anno in cui raggiunge i quarti al Roland Garros e a Wimbledon. Finalista al Roland Garros nel 1998, vince la Coppa Davis nel 1991 battendo

Robin Soderling Per lui abbiamo fatto un'eccezione al limite del regolamento. Formalmente non si è ancora ritirato, anche se ormai è proiettato nella veste di direttore del Torneo di Stoccolma.

gli Stati Uniti con Guy Forget, ma il vero capolavoro lo fa nel 1992 quando arriva in semifinale beneficiando di una wild card dopo essere sprofondato al numero 200 della classifica. Todd Martin La sfortuna di essere capitato nel periodo d'oro del tennis americano con rivali del calibro di Sampras, Agassi e Courier, ma anche qualche rimpianto come nella semifinale di Wimbledon del 1996 quando perde da MaliVai Washington dopo essere stato in vantaggio 5-1 nel quinto set. Servizio e gioco a rete erano i suoi punti di forza, non amava gli scambi da fondo e infatti prediligeva cemento ed erba.


Fallimento Americano by Sergio Scalzi

Da McEnroe a Donal Young: storia del fallimento americano

Settembre 2003. Andy Roddick serve per il match agli US Open contro Juan Carlos Ferrero. Ace sul match point e trionfo sull’Arthur Ashe. E’ qui che la pellicola a colori del tennis maschile americano inizia a sbiadire. Sul servizio schiaccia sassi dell’appena ventunenne statunitense si spengono le speranze non solo del “Mosquito”, sconfitto nettamente per 6-3 7-6 6-3, ma anche quelle di un intero movimento che faceva della disciplina tennistica uno dei suoi vanti. L’USTA (United States Tennis Association) si era illusa di aver finalmente trovato in Roddick il successore di una serie di generazioni di fenomeni: personalità influenti non solo dentro, ma anche fuori dal campo di gioco, esempi e punti di

riferimento per il nuovo che avanza, detentori di titoli e record tutt’ora inavvicinabili. Da Jimmy Connors, che ancora oggi guarda tutti dall’alto per numero di partite vinte (1253) a John McEnroe, tre volte vincitore a Wimbledon, eterno rivale Bjorn Borg, fino ad arrivare al binomio Sampras-Agassi, campioni indiscussi durante gli anni ’90. Purtroppo il giovane Andy si è imbattuto nell’uragano Federer, che gli ha soffiato il titolo di “stella nascente” soprattutto dopo averlo schiacciato nella finale di Wimbledon nel 2004, facendo piombare il tennis americano nel baratro della mediocrità. Addossarne a Roddick tutte le responsabilità sarebbe egoistico: le cause sono più profonde, e vanno ricercate nel contesto sociale.


Le aspettative di guadagno per un giocatore di football americano o di basket sono di decine di milioni di dollari annui, un tennista invece è costretto a sborsare tra i 150 e i 200 mila dollari all’anno per essere competitivo Lo sport è un’attività ricreativa, per questo i giovani, in genere, quando vi si avvicinano, scelgono ciò che più amano fare. In America non è sempre così. Un figlio “sportivo” presuppone costi e sacrifici, e difficilmente il denaro è investito in un’attività non redditizia. Lo stesso vale per il tennis: le aspettative di guadagno per un giocatore di football americano o di basket sono di decine di milioni di dollari annui, un tennista invece è costretto a sborsare tra i 150 e i 200 mila dollari all’anno per essere competitivo nel circuito. La scelta per un genitore è facile: touchdown o pick & roll. l tennis in America è ormai uno sport per ricchi, un diletto per pochi, che, finanziati anche dalla USTA, possono crogiolarsi e far del tennis nient’altro che un “hobby domenicale” e non una meta da

raggiungere e per cui combattere. Molto critico, a questo proposito, è stato Nick Bollettieri, allenatore italo-americano da sempre a contatto con leggende del tennis USA: "Senza atleti affamati sarà dura, "Non credo ci sarà un'altra età dell'oro come nel trentennio apertosi negli anni Settanta". Istruttivo, al contrario, è stato l’insegnamento di papà Richard Williams alle sorelle Venus e Serena che, come ha dichiarato in varie interviste, organizzava partite con ragazzi o ragazze che odiavano le sue figlie, e faceva questo di proposito per abituare Serena e Venus a giocare sempre sotto pressione, sin da piccole. Eppure qualche nome interessante il tennis americano era riuscito a sfornarlo: Donald Young, erede di McEnroe per sua stessa ammissione, crollato nel ranking ATP 2012 fino alla 190esima


Il tennis che conta ormai non parla più americano

posizione ed ora risalito ad una misera 63esima posizione, troppo poco per esaudire il pronostico del buon vecchio John. Alla lista delle eterne promesse non mantenute si aggiungono anche Ryan Harrison, Sam Querrey e Tim Smyczek, salvando John Isner, per gli evidenti limiti fisici e Mardy Fish, ex numero 1 d’America, ora costretto a combattere con problemi al cuore. Il tennis che conta ormai non parla più americano, ma una via d’uscita c’è e va percorsa: la Federazione dovrà concentrarsi sul lavoro dei giocatori, più mentale che tecnico, senza farli adagiare sulle possibilità loro offerte, in quanto la crescita che ha avuto il tennis a livello mondiale è esponenziale e rischia di rendere in bianco e nero una pellicola già più che scolorita.



Intervista a Caroline Wozniacki by David Cox

La Regina del Ritorno

“Oramai ho provato parecchie volte alle persone che si sbagliavano,” dice Caroline Wozniacki, con qualche segno di stanchezza. “Quando ero più giovane mi dicevano che non sarei riuscita ad arrivare tra le top 100, top 50, top 30. E ogni volta ho dimostrato che si sbagliavano. È una bella sensazione.” La Wozniacki al momento si trova all’8avo posto del ranking mondiale e continua a salire, è ancora un po’ indietro rispetto alla prima posizione che ha conservato per 67 settimane, ma la sua resurrezione delle ultime sei settimane è stata una delle più belle storie del 2014. Dopo che il suo ruolo di forza nel tennis femminile era stato dato ampiamente per finito, il dolore per essere stata lasciata dal fidanzato Rory McIlroy l’ha portata alla sua forma migliore dei quasi ultimi tre anni, visto che ha raggiunto la finale degli US Open per la seconda volta nella sua carriera, portando a casa vittorie contro Maria Sharapova e Sara Errani. “Sono molto fiera di come ho gestito tutto l’annno scorso, di come ho reagito,” continua la Wozniacki.

“Ho provato a me stessa di essere una persona forte e che posso continuare a migliorare il mio gioco. Ho imparato tantissimo negli ultimi dodici mesi.” La Wozniacki preferisce non andare nello specifico per quel che riguarda la rottura della sua relazione con McIlroy, ma sicuramente c’è stata una forza che è tornata al suo tennis nella seconda metà del 2014, quel tipo di forza che l’ha portata molte volte sul punto di vincere in diverse partite serrata durante la sua ascesa ai vertici del tennis femminile. Comunque non vuole associare completamente il suo revival a McIlroy. “Penso anche di essere una giocatrice più esperta adesso,” dice. “Mi piacerebbe pensare che sono una giocatrice migliore rispetto a cinque anni fa. Devi esserlo. Il gioco va avanti. Molti giovani giocatrici iniziano a farsi strada e iniziano a conoscere te e il tuo gioco quindi bisogna sempre essere preparati ad adattarsi e ad andare avanti. Servizi più potenti, risposte più potenti. E io mi sono decisamente evoluta. Sono migliorata nelle situazioni importanti della partita e so come voglio giocare.” Per molti anni, la Wozniacki ha faticato con la sua incapacità di trovare il giusto equilibrio tra il suo gioco naturalmente difensivo, e il bisogno di attaccare, specialmente contro il gioco delle grandi ribattitrici negli ultimi turni dei major.


È strano pensare che la Wozniacki sia ormai nel circuito WTA da nove anni La Wozniacki sembrava oscillare tra due poli, era quella che vuole disperatamente lasciare andare i freni e scatenarsi e allo stesso tempo quella incapace di andare oltre la sua zona di comfort quando le cose si fanno difficili. Durante la stagione sul sintetico, la scorsa estate la Wozniacki è tornata a fare quello che sa fare meglio – un tennis coraggioso, ma quando ne aveva bisogno, c’era un incredibile cambio di ritmo soprattutto per il suo dritto, uno dei colpi che sono migliorati di più nel gioco femminile. È strano pensare che la Wozniacki sia ormai nel circuito WTA da nove anni, un dato impressionante per una giocatrice che comunque ha ancora solo 24 anni. Ricorda ancora la sua partita di debutto a Cincinnati nel 2005. “E’ incredibile, mi fa sentire molto, molto vecchia,” dice con malinconia. “Ma me la ricordo come se fosse ieri. Giocavo contro Patty Schnyder e lei era la numero 10 del mondo, la N°1 del tabellone e sono stata sconfitta 6-3, 6-0. Non mi piaceva il suo servizio mancino in kick. Ricordo di essere uscita dal campo pensando, “Sai che c’è? Benvenuta nel Tour WTA, non sarà facile.” Ma eccoci qua nove anni più tardi, è stato un viaggio divertente.” Comprensibilmente per una giocatrice che vince le sue partite in battaglie all’ultimo colpo, la Wozniacki da il merito della sua capacità di rimanere al massimo della concentrazione per quel che riguarda il fitness.


“E’ la differenza più grande tra qualcuno che riesce a giocare a lungo e chi smette presto. È la parte principale del gioco. Se sei in forma puoi giocare ad alti livelli. Una volta che si subiscono gli infortuni persistenti, è quello che davvero ti trattiene.” La Wozniacki l’ha imparato guardando la sua migliore amica Serena Williams, ora con 18 titoli Grande Slam e ancora tranquillamente ai massimi livelli mondiali a 33 anni. 12 anni dopo il “Serena Slam” quando la Williams deteneva tutti e quattro i titoli del Grande Slam dopo aver fatto suo l’Australian Open del 2003, la Wozniacki ammette durante gran parte del tour ha continuamente la sensazione che le partite della Williams siano molto “nella” sua racchetta.

“Quando Serena è nel suo gioco, non c’è molto che si possa fare,” ride la Wozniacki. “Questo è il motivo per cui ha vinto così tanti titoli. Non si vincono 18 Grandi Slam a meno che tu non sia eccezionale in quello che fai.” Avendo passato così tanto tempo ad allenarsi con la Williams negli ultimi due anni, la Wozniacki ha guadagnato una rara percezione di quanto l’americana sia apparentemente riuscita a invertire il corso del tempo, semplicemente migliorando con gli anni, piuttosto che scomparire. “Adesso ha così tanta esperienza che penso renda le cose ancora più difficili per noi,” dice la Wozniacki. “Negli anni può non aver fatto sempre le scelte giuste ma ora può contare su moltissima esperienza passata. E per quel che riguarda Serena, non si tratta solo di talento. Il talento non può battere tutto. Lei è una che lavora sodo e ci mette tutto quello che serve quando c'è bisogno, può tirare fuori un grande servizio, usare la sua potenza per spingerci fuori dal campo e poter prendere l’iniziativa.” La Wozniacki conosce i punti forti della Williams più di chiunque altro in questo momento dopo aver perso contro l’americana quattro volte in tre mesi nel 2014, di cui quelle più fastidiose alla finale degli US Open e quella nelle semifinali del WTA Championships. Tale era la forma della Wozniacki a Flushing Meadows, che contro chiunque tranne la Williams, avrebbe potuto avere una possibilità di portare a termine un Grande Slam.


“A dire il vero non presto molta attenzione al ranking. Gioco e basta. Alla fine del giorno, se ho giocato bene, la classifica sarà là. Sento come se il mio corpo fosse nel posto dove vorrebbe essere e la mia testa è dove vorrebbe essere. Ed è questo ciò che conta.” Ma curiosamente le due rimangono ottime amiche diversamente da Laura Robson ed Eugenie Bouchard, la cui amicizia si è rotta una volta che la Bouchard è arrivata ai piani alti. “Siamo molto brave a separare privato da competizione”, spiega la Wozniacki. "Siamo entrambe competitive quindi tutte e due facciamo di tutto per vincere la partita. L’amicizia è solo il contorno quando sei in campo. È come essere sul ring di un incontro di boxe, c’è solo un vincitore. Ma dopo siamo di nuovo amiche. Il tennis è solo un gioco. Fuori dal campo ci teniamo molto l’una all’altra.” Le critiche alla Wozniacki l’hanno accusata di molte cose in passato – di essere troppo gentile, troppo noiosa, troppo attaccata ai suoi modi. Forse è un po’ più che ingiusto verso la danese

che negli ultimi mesi si è mostrata molto volenterosa di provare nuove cose – correndo con un impressionante tempo di 3:26:33 alla maratona di New York a novembre e poi partecipando alla IPTL per gli UAE Royals insieme a Novak Djokovic e Goran Ivanisevic. L’ultima esperienza le ha dato qualche idea su come il tour WTA potrebbe smuovere un po’ le cose. “Penso che potrebbe essere divertente se sul net di servizio si continuasse a giocare,” dice. “Potrebbe essere interessante. Bisogna essere pronti a tutto e potrebbe aiutare a mantenere la velocità del gioco. Quando c’è un net, serve qualche secondo per prendere un’altra palla e servire di nuovo. Ho avuto partite in cui ho colpito 3 o 4 net di seguito. Questo non succederebbe. Bisogna essere sull’attenti. Penso che sarebbe fantastico per il pubblico.”



Emmo’s streak by Roberto Marchesani

La storia di Roy Emerson agli Australian Championships

La storia di Roy Emerson agli Australian Championships, il più grande campione – in termini di risultati – che lo Slam australiano abbia mai conosciuto. Con i suoi 6 titoli in singolare Emerson detiene il record di successi per gli attuali Australian Open. E’ giusto rimarcare il fatto che la striscia vincente di Emerson è stata fatta nell’epoca della divisione quando dilettanti e professionisti non giocavano insieme, ma in due circuiti completamente differenti. I dilettanti (tra cui Emerson) che rappresentavano gran parte del movimento tennistico mondiale, competevano nel circuito tradizionale con tutti i tornei classici compresi i 4 tornei del Grande Slam. I professionisti invece venivano “prelevati” dal circuito dilettanti – e per questo solitamente erano sempre o quasi i migliori giocatori del mondo – e “assoldati” in circuito parallelo fatto di tornei dal draw più ristretto, da mega tour che avevano lo scopo di intrattenere il pubblico ma vissuti dai giocatori stessi con lo stesso spirito agonistico che caratterizzava il tour parallelo dei dilettanti. Questa divisione che durò quasi 50 anni – fino al 1968

quando l’Era Open sancì la riunificazione – ovviamente non poteva che impoverire a vicenda i due circuiti paralleli. Perciò è logico e assolutamente veritiero che uno Slam vinto nell’era della divisione non possa valere uno vinto nell’Era Open, ma questo non può nemmeno screditare i successi ottenuti da tutti quei giocatori che si sono imposti nei tornei in giro per il mondo. Per cui i successi di Emerson, anche se ottenuti in un’epoca oggettivamente più “semplice” in quanto la competizione era ridotta, restano un record allo stesso tempo oggettivo per quanto riguarda la storia del torneo. E tali vanno considerati. Nessuno ha eguagliato i 6 trionfi di Emmo – come veniva simpaticamente soprannominato il campione di Blackbutt, località del Queensland. Ken Rosewall, Andre Agassi, Roger Federer e Novak Djokovic sono arrivati a quota 4 successi. Pensate a Rosewall che non ha potuto giocare il torneo per 11 anni – dal 1957 al 1967 – proprio perché passato professionista. Presumibilmente avrebbe vinto almeno un paio di edizioni se non qualcuna di più. Però al netto dei conti, il record resta quello di Roy Emerson. Nessuno si è aggiudicato 5 edizioni dei Campionati internazionali d’Australia oltre a lui. Il più indiziato a farlo è l’attuale n.1 del mondo che in Australia ha gi vinto 4 volte e, oltre a trovarsi perfettamente a


suo agio sui campi di Melbourne Park, ha dalla sua anche il tempo, visto che ha solo 28 anni da compiere a maggio. In onore del record-men andiamo a rivisitare la sua serie di successi, che in Australia è arrivata a 27 partite consecutive senza sconfitte. Anche questo è un primato per il torneo. 1961 Il primo titolo arriva nel 1961. Si gioca sui campi in erba del Koyoong Stadium a Melbourne, attuale sede del Kooyong Classic. Emerson sorvola i primi turni con facilità : Alan Hicks (6-1 6-1 6-2), Bert Kearney (6-1 6-2 9-7) e John Pearce (6-1 6-2 6-3) vengono regolati in tre set. Nelle semifinali la testa di serie n.8 Fred Stolle cede 8-6 6-2 7-5 e in finale si prospetta quello che diventerà un classico del biennio 1961-’62 : la sfida con Rod Laver che è già un predestinato. Il primo set è un saggio delle qualità che poi porteranno il razzo di Rockhampton a realizzare due volte il Grande Slam nei successivi 8 anni. Laver si impone con il punteggio di 6-1. E’ una partita che sembra non avere storia, d’altronde Roy è considerato un ottimo doppista ma non si pensa che possa avere una carriera ad alti livelli in

singolare. Contro il predestinato è già tanto una sconfitta onorevole. E invece il miracolo, in quella che diventa la sua più grande partita fino ad allora, nonché una delle più grandi sorprese della stagione australiana. Emerson vince i successivi 3 set (approfitta anche, a dire il vero, di un infortunio al polso di Laver che si trascinava da giorni) con il punteggio di 6-3 7-5 6-4. Laver, da gran signore, non darà colpa della sua sconfitta al problema del polso anche se rimarca il fatto che il non aver avuto molti allenamenti nei giorni precedenti un po’ lo ha penalizzato 1963 Dopo la sconfitta in finale patita nel 1962, nella rivincita di Laver (che questa volta lo batte

nonostante un perentorio 6-0 subito da Emmo nel secondo set) inizia nel 1963 il regno australiano di Roy che durerà per 5 anni ininterrotti. Laver non si presenta a difendere il titolo perché da quell’anno passa professionista. Emerson è chiaramente la testa di serie n.1. Sarà il titolo più facile per l’australiano che domina quasi di default tutti i malcapitati avversari Gli unici patemi saranno con Bob Hewitt che in semifinale lo costringe a battagliare fino al quarto set, risolto dopo 16 giochi. In finale Ken Fletcher, compagno di infanzia nelle scuole di Harry Hopman, è disintegrato, capace di fare solo 7 giochi in 3 set. E’ il 2° Australian Championships, il 1° dei 5 consecutivi.


1964 Altra passeggiata di salute o quasi l’anno dopo, stavolta davvero non perde set. Batte in sequenza Dick Crealy, Bowman, Tony Roche, Martin Mulligan e in finale il povero Fred Stolle che continua imperterrito a perdere Slam (e ne perderà ancora tanti… diventando il primo uomo della storia a uscire sconfitto nelle prime 5 finali Slam giocate). Ma c’è un però. Alla vigilia tutti vogliono una sfida il n.1 e John Newcombe in semifinale. Newcombe è un giovanissimo di soli 20 anni che già fa parlare di se per classe e personalità da vendere, ma manca l’appuntamento del torneo e degli appassionati perdendo un turno prima, nei quarti di finale, contro Martin Mulligan in una bellissima sfida terminata 86 al quinto dopo un

altro long set nel 4° parziale. Peccato davvero, perché Newcombe avrebbe avuto gioco e stoffa per far penare Emerson in semifinale e chissà, forse cambiare la storia del record. 1965 Emerson è sempre di più il dilettante più forte del mondo. All’apice della sua carriera, reduce da un anno fantastico – e ne farà altre di stagioni super – domina omogeneamente tutto il circuito, sapendo adattarsi senza grossi patemi sia all’erba che alla terra battuta. Nel 1965 è chiaramente ancora la prima testa di serie sui campi di Melbourne. La supersfida che tutti volevano verificare l’anno precedente si presenta puntuale l’anno successivo. Questa volta Newcombe rispetta il pronostico e si presenta allo scontro in semifinale, ma sarà una mattanza. L’allievo non è ancora pronto per superare il maestro e beccherà un rapido 3 set a zero facendo solo 10 giochi. (7-5 6-4 6-1). La finale è da ricordare per il dramma del povero Stolle, un dramma che davvero per poco non si è ripetuto più o meno 10 lustri dopo, in un altro continente (Stati Uniti) e ad un altro giocatore (un britannico di nome Andy). Stolle sta vincendo la finale contro Emerson, è sopra 9-7 6-2 e finalmente è ad un passo dal laurearsi campione Slam dopo 4 finali e 4 sconfitte. Il dramma consiste nella rimonta di Emerson che strappa il trofeo all’avversario vincendo 7-9 2-6 6-4 7-5 6-1 e lasciando il povero Fred con il 5° piatto su 5 finali in carriera.


E’ una sconfitta che fa malissimo per Stolle. Mezzo secolo dopo (più o meno) Murray si trova nella stessa situazione, nel 2012 quando è in vantaggio 2 set a zero nella sua 5° finale di Slam dopo aver perso le precedenti 4, ma come per Stolle viene rimontato dal suo avversario Novak Djokovic e trascinato al quinto set. Per fortuna Murray vincerà il 5° set a differenza di Stolle. Per fortuna perché secondo me se avesse perso quella finale, Murray con molta probabilità non avrebbe più vinto uno Slam. Stolle comunque si rifarà al Roland Garros 5 mesi dopo, conquistando finalmente il 1° Slam alla sua 6° finale. Emerson invece, con il successo del 1965, si porta a casa il suo 4° alloro australiano (il 3° consecutivo).

Melbourne ma Sydney. Si gioca infatti nel leggendario White City Stadium – dove quasi 12 anni dopo, nel dicembre del 1977, perderemo una amarissima ma bellissima finale di Coppa Davis contro gli australiani, caratterizzata dal memorabile Alexander-Panatta nel quarto rubber della sfida (Adriano perderà per un soffio dopo esser stato a due punti dal successo). Emerson ha già vinto il torneo a Melbourne, a Brisbane e ad Adelaide ma mai a Sydney dove ha perso la mitica finale del 1962. Colma la lacuna nel 1966 sfiorando l’eliminazione nei quarti di finale (Bowrey è battuto in una sfida di 64 game, chiusa in rimonta da uno svantaggio di due set a uno con il punteggio di 9-7 4-6 4-6 7-5 9-7). In finale è stupenda la sfida con Ashe, peccato

1966 Il 1966 è caratterizzato da due fattori pricincipali : l’inizio della rivalità con Arthur Ashe e il drammatico quarto di finale con Bill Bowrey. E’ un anno importante per il torneo che vede un draw più internazionale, più di prestigio e questo non può far che bene all’interesse del pubblico, dell’organizzazione stessa e della città, che non è

per una bruttissima chiusura – doppio fallo sul match point per l’americano addirittura per un fallo di piede! “E’ una schifezza che la partita si sia chiusa cosi” dirà Emerson. Il pubblico australiano, forse il più bello e corretto del globo, si chiude in un silenzio surreale per poi timidamente applaudire la vittoria del proprio giocatore. Questa è anche grande dimostrazione di correttezza e sportività. Il punteggio finale : 6-4 6-8 6-2 6-3. Emerson diventa il primo uomo a vincere 4 titoli consecutivi nel campionato di casa. Alcuni lo descrivono come il più grande successo della sua carriera, superiore perfino a quello di Wimbledon.


Nel 1968 – nell’ultima edizione non Open del torneo – Emerson decide di non difendere il suo titolo. 1967 L’ultima vittoria è un anti-climax dell’anno precedente, con la stessa finale ma con un esito senza storia, Ashe è battuto nettamente, 6-4 6-1 6-4. La vera partita clou è quella con Roche in semifinale, dove i due rivali giocano un paio di set fantomatici, di 28 game ciascuno nel terzo e quarto set, vinti uno per ciascuno. Nel quinto set è la forza di Emerson a chiudere la contesa con un perentorio 6-2 dopo 4 ore di gioco. Un'altra battaglia, quasi fotocopia dell’anno precedente, vede lo stesso Emerson vincere contro Bowrey dopo 3 ore e mezza e un ultimo set (il quarto) chiuso 16-14 durato oltre 90 minuti. Roy vince il suo 5° titolo consecutivo, il 6° in totale, l’ultimo della sua carriera.

1968 Nel 1968 – nell’ultima edizione non Open del torneo – Emerson decide di non difendere il suo titolo. Si ripresenterà nel 1969, quando vince un turno – il 27° consecutivo nel torneo – e poi perde da Rod Laver, al rientro nel circuito degli Slam, con un onorevolissimo 6-2 6-4 3-6 9-7.



9 cose che ci piacerebbe vedere nel 2015 by Alessandro Varassi Come i colleghi de L’Equipe, anche TennisWorld prova a indicare 9 cose che ci piacerebbe vedere nel mondo del tennis in questa nuova stagione Roger Federer che torna al numero 1 del mondo Inutile elencare tutti i record dello svizzero. Da poco ha raggiunto le 1.000 vittorie in carriera nel circuito ATP, l’ennesimo ritorno in vetta al ranking, condito magari da un altro Slam per arricchire la già abbondante bacheca, sarebbe una ciliegina non da poco sulla torta, e se lo augurano tutti gli appassionati.

Fognini e Pennetta in top 10 La coppia più bella del tennis (se la battono con Masha e Dimitrov, ma essendo italiani tifiamo per i nostri) sono più o meno vicini all’agognato traguardo. Per Flavia, che difende la pesantissima cambiale di Indian Wells e quella non leggera di Melbourne, l’obiettivo sembrerebbe alla portata, nonostante l’avvio; discorso diverso per Fabio, che dalla seconda metà del 2014 sembra faticare, più di testa che di fisico. Anche per lui, come per la bella Flavia, le possibilità ci sono tutte. Un torneo di Roma sempre più bello La prestigiosa cornice del Foro Italico, che dovrebbe essere in lotta con Madrid per il titolo di mini-slam (sarà davvero così?), è reduce da edizioni caratterizzate da un grande successo di pubblico, ma le strutture necessitano ancora di un salto di qualità. Difficile risolvere tutto in una volta, ma ci auguriamo che da quest’anno si facciano ulteriori passi in avanti in questo senso. Lo merita il movimento tennistico italico, e il pubblico che da sempre più fiducia agli organizzatori.

La consacrazione delle giovani star Coric, Kyrgios, Kokkinakis, Goffin. I nomi nuovi del tennis mondiale, che già hanno dato segnali nel 2014, devono confermarsi. Il 2015 dovrà dirci se possono essere veramente loro gli eredi dei Fab Four, e ci mettiamo anche il nostro Gianluigi Quinzi, ancora alla ricerca di una sua identità nel circuito maggiore. L’erba degna di tale nome Nel post Roland Garros, storicamente è il periodo del grass. Che da quest’anno avrà una settimana in più, e nuovi tornei. Quel che manca, ormai da anni, è un’erba degna di tale nome, dove la pallina impazzisca e faccia divertire gli appassionati, rispolverando quegli specialisti più in difficoltà sulle altre superfici.


Capire chi sarà la vera erede di Serena Williams In un 2014 avaro di successi rispetto alle stagioni precedenti, si sono alternate varie tenniste nei tornei principali, solitamente feudo di Serenona. Quello che ci aspettiamo dal 2015, è di capire chi sarà, quando la Williams dirà basta, la regina del circuito, quella tennista che ad occhi chiusi puoi indicare come favorita nei major, e quasi sempre ti farà avere ragione. Sharapova, Halep, Radwanska, Azarenka, sono solo alcuni dei nomi che ci sentiamo di candidare. Gettare le basi per un nuovo torneo ATP in Italia Vedi il punto su Roma ha tanta passione, ma servirebbe un altro torneo, di rango inferiore (500 o 250), a Milano, o al Sud (Napoli, Palermo?) per portare il grande tennis nella penisola, non solo nella Capitale. Se ne parla da anni, perso anche il torneo femminile siciliano magari è il caso di provare a organizzarne uno maschile, come era fino a qualche anno fa.

Il grande tennis in chiaro in TV Ottima l’offerta di Supertennis, ma gli Slam in chiaro sono ancora utopia, ad eccezione della parziale copertura del Roland Garros da parte della Rai (finale Sharapova-Halep interrotta nel terzo set per lasciare spazio ai play off di serie C, do you remember?). Eurosport fa la parte del leone, e Sky (comunque la migliore per le telecronache) conserva lo splendido Wimbledon multicanale oltre ai Masters 1000. Vedere i principali tornei in chiaro, senza dover pagare, sarebbe il regalo più bello per gli appassionati italici della racchetta. E’ possibile?

Niente più casi di incontri truccati Polemiche e indagini, alcune in partenza, altre in corso, altre ancora in dirittura d’arrivo. Soluzioni per salvaguardare in primis gli appassionati? Pene più severe, e prize money nei tornei minori più alti. ATP e ITF si stanno muovendo in questo senso. Nel 2015 dovremmo saperne qualcosa di più, nella direzione migliore.


5 motivi dell’anno passato e 5 possibilità per l’anno futuro by Roberto Marchesani

Il tennis è vita. Vive di cambiamenti, di mutazioni, di possibilità.

Il tennis è vita. Vive di cambiamenti, di mutazioni, di possibilità. Ogni anno che volge al termine presenta novità e conferme, lo stesso anno che si era aperto con possibilità e speranze. Punto per punto, i maggiori motivi del 2014 e le possibilità del 2015. 2014 1. L’esplosione di Goffin Se il 2014 è passato alla storia recente del tennis per aver portato due nuovi campioni Slam alla ribalta, ci sono tanti altri motivi d’interesse, ingiustamente sottovalutati, che meritano di essere riscoperti, valutati e analizzati. Uno di questi è sicuramente l’esplosione di un giovane talento, quello di David Goffin, classe 1990, che affrontava la stagione come n.110 del mondo. Era sempre stato considerato un talento da seguire con attenzione, dotato di un fisico minuto, relativamente piccolo in confronto agli attuali standard del circuito, ma con una grande velocità di gambe, un estremo senso del foot-work e con una tecnica cristallina.

Goffin esplode definitivamente in estate dopo 6 mesi di qualificazioni atp e tornei challenger. La svolta avviene nel torneo di Wimbledon dove il sorteggio lo pone di fronte a Andy Murray. Una sfortuna che diventa fortuna perché affrontare il campione in carica ti permette di giocare sul campo centrale nell’incontro inaugurale del torneo. Goffin fa bella figura, perdendo con onore 6-1 6-4 7-5. Non può immaginare che da li in poi vincerà qualcosa come 43 delle successive 45 partite che gioca. A luglio vince 3 Challenger consecutivi e al primo atp a cui si iscrive (Kitzbuhel) fa subito centro portando la sua serie a quota 20 successi consecutivi. La classifica non gli impedisce di evitare le qualifiche a Winston Salem, che supera brillantemente spingendosi fino ai QF dove perde con Janowicz dopo 25 successi di fila. Il 3° turno degli US Open (perso con Dimitrov) fa da preludio per un'altra serie di 16 successi incluso un altro atp vinto a Metz, un altro Challenger e una prestigiosa finale raggiunta a Basilea. D iversi gli avversari battuti, tra cui Tsonga e Raonic. Nella finale di Basilea non può nulla contro Federer, ma questo splendido scampolo di stagione gli permette di chiudere al n.22 del mondo.


2. I flop di Murray e Del Potro Il 2014 doveva essere l’anno di Murray e Del Potro, ma entrambi hanno mancato l’appuntamento per motivi diversi anche se dalla matrice sostanzialmente comune. Dopo un brillante 2013 – Murray per aver vinto finalmente Wimbledon, Del Potro per aver recitato un ruolo da assoluto protagonista in gran parte della stagione – ci si aspettava che i due agganciassero Djokovic e Nadal per una lotta costante al vertice delle classifiche. Invece non è successo, vediamo perché. Murray si è operato alla schiena nel settembre 2013 e dopo una normale riabilitazione rientra in campo a gennaio. E’ assolutamente normale aspettarsi un avvio difficile, magari seguito da una progressiva crescita. Lo scozzese torna a far vedere la miglior versione di se stesso nel quarto di finale al Foro Italico, quando è protagonista di una bella lotta con Nadal, persa solo 7-5 al terzo. Quello che poteva far presagire ad un pieno recupero è solo il prolungarsi di una mediocrità generale considerato il talento del britannico.

Una semifinale a Parigi ma quasi anonima, un bruttissimo Wimbledon dove fa una magra figura con Dimitrov, un discreto US Open ma senza incidere, una cattiva estate americana. La ripresa è in autunno quando vince 3 tornei e si qualifica in extremis per le Finals di Londra, ma nel Masters si squaglia sul più bello. Perde da Nishikori e viene umiliato da Federer. Un discorso diverso va fatto per Del Potro : se è vero che anche Murray ha un infortunio nel suo arco per giustificare una stagione deludente, è anche vero che il suo è sicuramente più leggero e soprattutto precedente alla stagione 2014. Del Potro è costretto a fermarsi a febbraio e operarsi ad un polso sinistro quasi distrutto, dai tendini gravemente lesionati.

Come ha fatto a giocare con tali problemi tutto il 2013 è quasi un mistero. 3. La rinascita di Federer Qualcuno dirà “ma sempre lui?”. Si. Abbiate pazienza se il mondo del tennis gira intorno a questo svizzerotto da almeno un paio di lustri. Non è colpa di nessuno, se non del talento stratosferico che quest’uomo ha avuto in dono da madre natura e di cui ha avuto l’intelligente idea di coltivarlo, mettersi al servizio di una passione senza confini. Dopo un 2013 terribile (possiamo dirlo senza esagerazioni) Federer non ha mollato. I problemi alla schiena e le insicurezze sono state messe al bando con imbarazzante tranquillità.


Ma non c’è niente di cui sorprendersi. Se quest’uomo sta bene fisicamente, parla semplicemente un'altra lingua rispetto a tutti gli altri. E cosi, complice anche un fondamentale cambio di racchetta, è tornato prepotentemente in corsa, sfiorando addirittura il ritorno al n.1 del mondo sul finire di anno. Una stagione straordinaria per un 33enne : 73 partite vinte in 85 giocate sono tantissima roba. Non ha avuto l’acuto Slam, ma chisseneimporta alla fine. Un torneo di Wimbledon solo sfiorato per colpa di un fenomeno (Nole), altre due semifinali Slam perse contro due giocatori praticamente imbattibili quel giorno (Nadal in Australia e Cilic a New York), una finale al Masters (non disputata per infortunio), la storica Coppa Davis per la propria nazione, due grandi tornei portati a casa come Cincinnati e Shanghai (in Asia tra l’altro non aveva mai vinto da quando il torneo è Masters 1000), altri 3 tornei (Dubai soprattutto, Halle e Basilea) e una serie consistente di finali (a partire da Brisbane, passando per Indian Wells e Monte-Carlo). Difficile credere che possa togliersi dalle scatole a breve termine. I detrattori si mettano l’anima in pace.

4. Fogna up and down Per quanto riguarda il nostro n.1 un anno complessivamente buono, figlio di quello precedente, appena migliore (il 2013) ma non troppo. Soprattutto una stagione da up and down. Io però credo sia sbagliato pretendere da Fognini una regolarità che difficilmente potrà avere. La mia impressione è che si chieda troppo. Un livello che Fognini non è semplicemente in grado di sostenere. Fabio è un grandissimo talento – per chi vi scrive il migliore italiano dai tempi di Panatta – ma ai suoi innumerevoli pregi presenta anche diversi limiti che difficilmente lo porteranno ad essere un Top10 stabile (o anche di passaggio). E non è neanche una questione di testa, non solo almeno.

Prendiamo ad esempio il servizio : Fabio non possiede una prima tale da poter ambire ad essere un primissimo della classe. Soprattutto sui campi rapidi è una lotta impari con i fenomeni del gioco. Il discorso cambia quando ci si sposta sulla terra rossa, dove il miglior Fabio ha dimostrato di essere potenzialmente tra i migliori in assoluto. Certo, un po’ di applicazione mentale in più servirebbe… ma anche su questo Fabio ci sta lavorando. Il 2014 rimane un anno positivo, a tratti entusiasmante. Pensate ai primi 2 mesi della stagione, ottimo Australian Open e una serie di forza in Sudamerica. Il buco che non si può accettare, considerando il grande potenziale di Fognini è quel doppio primo turno tra Madrid e Roma.


Quei risultati, attaccandoci quel maledetto ottavo di finale a Monte-Carlo con Tsonga, gli sono costati la possibilità di entrare nei 10. In quel momento l’occasione era possibile, se non addirittura probabile. Qualche grossa sorpresa in positivo può regalarcela. 5. Wawrinka e Cilic al battesimo Il 2014 non può che essere l’anno di Stan the Man. Vince l’Australian Open e già questo basterebbe, poi ci mette Monte-Carlo e la Coppa Davis, tutto in 12 mesi. Lasciamo perdere i buchi paurosi di rendimento nel mezzo (che potrebbe essere anche figlio di un assestamento, lo capiremo l’anno prossimo), ma gli acuti sono stati straordinari.

E se avesse battuto Nishikori agli US Open, non so come sarebbe andata a finire la vicenda a New York. Comunque solo ipotesi. L’altro grande battesimo è sicuramente Marin Cilic, anche lui nuovo Grand Slam Champion vincendo proprio il torneo di Flushing Meadows. I mesi successivi hanno sinceramente deluso. Il rischio che possa esser stato solo un magnifico exploit da parte di un buon giocatore, resta molto alto. Wawrinka – anche se 3 anni più anziano – mi sembra più Top player di Cilic, più affidabile e già autore di molte prove memorabili contro i big. 2015 1. Un 18° per Roger Uno dei tanti motivi di interesse di quest’anno è vedere se Federer riuscirà a portare a casa il diciottesimo Slam. Sembrava già tutto apparecchiato lo scorso settembre, dopo la vittoria di Nishikori su Djokovic. Federer a quel punto aveva da battere Cilic e poi proprio Nishikori. Non poteva perdere, hanno pensato più o meno tutti. Invece marziano Cilic che probabilmente non si vedrà mai più, ha giocato un brutto scherzaccio a Mister Roger. L’obiettivo di Federer è restare più a lungo nel tour, ma inutile girarci attorno. Il sogno è il 18°. La storia del tennis si è fatta in quei tornei e si continuerà a farla li. Federer non può non essere convinto di poter vincere ancora un Major.


Il palcoscenico più accessibile resta quello più prestigioso di Wimbledon. Nel tempio Federer ha un feeling che oserei definire naturale. Gli altri 3 Slam sono molto più difficili, per una serie di motivi che comprendono quelli ambientali, climatici e via dicendo. In Australia Roger non fallisce l’accesso alle semifinali da un decennio e a Melbourne Park ha una connessione onirica simile a quella che c’è a Wimbledon. Azzarderei a dire che la seconda migliore chance c’è l’ha in Australia. Certo, anche a Flushing Meadows può benissimo dire la sua. Molto meno probabile una vittoria al Roland Garros. Troppo dispendiosa nel fisico e nella mente. Una cosa è certa : il 18° è difficile ma ancora possibile. 2. L’anno buono del Samurai Dopo un 2014 splendido, personalmente mi aspetto una definitiva conferma per Kei Nishikori. Ricordiamo che il suo spettacolare ruolino di marcia – che senza una sfiga immonda gli avrebbe consegnato anche il primo Masters 1000 della sua carriera – è stato gravemente danneggiato dagli infortuni che gli hanno tolto completamente un

quarto di stagione (compresi i due 1000 americani e parte del primo quarto di anno). Senza di questo sarebbe stato nettamente il quarto giocatore del mondo e questo la dice molto lunga nonostante dei limiti evidentissimi del suo gioco, che sono il servizio – scarso complessivamente – e una certa fragilità fisica che gli impedisce di poter giocare tornei duri in continuità e/o confermare relative prestazioni se provate fisicamente. Tutto questo vuol dire che alcuni settori del suo comparto tecnico (e ci infilo dentro dritto, rovescio, capacità di anticipo, footwork) sono assolutamente straordinari. E tali sono. E’ stato l’unico capace di prendere a randellate Djokovic per un set al Masters di Londra, nel Masters più a senso unico mai giocato nella storia del tennis.

Io spero solo che fisicamente resti sano. Che Dio gli lasci la possibilità di esprimersi, poi il giudizio universale che lo castighi o che lo promuova poco importa. 3. Il possibile impero di Nole E passa un altro anno e stringi stringi il giocatore della stagione (e pure per distacco) resta Novak Djokovic. E sono 4 anni consecutivi in cui è eletto dall’ITF Player of the Year, in pratica dal 2011, stagione spartiacque in cui è definitivamente esploso. Le sembianze di un dominio o di un regno ormai sono concrete. E sinceramente non vedo chi possa impensierire il trono del serbo nei prossimi anni a venire.


La possibilità di estendere la sua egemonia per almeno 5-6 anni c’è tutta. Solo nel 2013 è “riuscito” a farsi spodestare dal primo posto in classifica mondiale, un mezzo miracolo di Nadal. Parlo di miracolo perché con il passare del tempo è sempre più nitido il pensiero che superare quel Djokovic da quel Nadal è stato solo un miracolo dello spagnolo. Basti pensare alla semifinale del Roland Garros e alla finale degli US Open. Irripetibili o quasi. Il 2015 vedrà ancora Nole provare ad essere il giocatore ormai di riferimento del circuito. Per me è assai probabile, come è probabile che vinca subito gli Australian Open, suo terreno di caccia preferito. Mai dire mai, certo.

4. Giovani, jamme’ E ora che i giovani, ma giovani eh, si facciano seriamente avanti. E non parlo dei “relativi giovani” come Raonic e Dimitrov, ma di una fascia che deve assolutamente venire fuori, quella che va dalla classe 1996 in giù. I principali protagonisti della stagione sono stati Kyrgios e Coric. In questo senso avrei premiato più Kyrgios come Star of Tomorrow, per l’impresa a Wimbledon contro Nadal, ma l’atp ha scelto di eleggere proprio Coric, che pure ha battuto Nadal anche se in un contesto molto meno importante come quello di Basilea. C’è bisogno di un cambio generazionale, o almeno nei presupposti perché sembra che una intera generazione – quella che va dai ‘90 ai ‘94 – abbia fatto un buco nell’acqua. L’augurio è che qualcosa di consistente si muova in questo senso. 5. Rafa e il rosso Un ultimo grandissimo motivo d’interesse nel 2015 è vedere se Nadal riuscirà ancora una volta a dominare la stagione sul rosso. Sono ormai 10 anni che lo spagnolo è puntuale come un orologio svizzero. A dire il vero nel 2014 qualche scricchiolio c’è stato ma poi vai a stringere e troviamo nel suo carnet Madrid e Roland Garros più una finale a Roma. A farla da padrone è ancora lui. Vediamo quest’anno, certo è che prima o poi in qualche modo questa egemonia dovrà pur finire.


Il più grande avversario di Nadal è semplicemente se stesso. Rafa affronterà la campagna 2015 con 29 anni sulle spalle e un logorio fisico non indifferente. Se riesce a presentarsi al meglio a Parigi per me lui è sempre il favorito. Djokovic per batterlo al Roland Garros deve fare sempre una super prestazione e soprattutto sperare in una giornata umida, nuvolosa, altrimenti Rafa nun se batte. Con il rimbalzo basso il favorito è Nole, in tutte le altre condizioni si deve puntare Nadal. Onestamente non vedo altri possibili challenger per lo spagnolo su questa superficie. Forse un Nishikori ispirato e pochi altri. Il più grande avversario di Nadal è semplicemente se stesso.


Tenniste e relazioni by Giovanni LaRosa

Quando una rottura può salvare la carriera

Il tennis, si sa, è uno sport complicato, dove non basta avere delle ottime qualità tecniche e una solida preparazione fisica ma nel quale spesso, invece, a giocare un ruolo fondamentale è l'aspetto psicologico. Questo elemento diventa ancor più predominante nel circuito femminile, dove molti match spesso seguono andamenti illogici e dove spesso la carriera di tante giocatrici viene vincolata dall'aspetto mentale. Un'incognita che, tuttavia, non è stata spesso analizzata e che, in realtà, sembrerebbbe invece rappresentare più di un fattore casuale è data dal rapporto tra relazioni sentimentali e rendimento in campo.

Nello specifico, facendo riferimento soltanto agli ultimi anni, basta dare un'occhiata veloce per rendersi conto di come le tenniste fatichino a gestire la pressione mediatica conseguente alla nascita di una relazione con un collega. Un esempio? Partiamo da quello che forse rappresenta uno dei casi più clamorosi nel circuito femminile: Nicole Vaidisova. Giovane emergente, una predestinata, nel 2007 a soli 18 anni la tennista ceca vantava già due semifinali a livello Slam e altri due quarti di finale, 6 titoli WTA vinti, un best ranking di numero 7 del mondo (raggiunto nel maggio del 2007) ed era stabilmente nella top ten. Cosa è successo poi?


Nicole conosce Radek Stepanek, collega nel circuito, tennista tecnicamente molto dotato e giocatore di medio-alto livello. L'inizio della loro relazione rappresenterà il punto di partenza verso la fine della carriera della tennista ceca. Nel 2008 un solo quarto di finale a livello Slam. Nicole precipita in classifica, uscendo dalle top 40. Il 2009 è ancora più oscuro: mancano i risultati, il gioco scompare e con esso forse anche la voglia di scendere in campo. Chiude l'anno al numero 181 e si ritira nel marzo del 2010 per assenza di motivazioni. La relazione con Stepanek prosegue nel migliore dei modi, con tanto di matrimonio, sino al marzo del 2013, quando arriva la rottura ufficiale. Risultato?

Nicole torna a pensare al tennis e dopo poco più di un anno dalla separazione fa il suo rientro nel circuito ITF. Coincidenza? Forse. Allo stesso partito della Vaidisova sembra appartenere Ana Ivanovic la quale, per sua fortuna, è riuscita a limitare i danni grazie alla breve durata della sua relazione. È il 2008 inoltrato quando la tennista serba inizia a frequentare Fernando Verdasco. Lei viene dall'anno migliore della sua carriera, con il primo titolo Slam messo in cascina (Roland Garros 2008), la finale agli Australian Open e il raggiungimento del numero uno nel ranking mondiale. Lui è un buon giocatore, gradualmente in crescita, ma ancora incapace di veri e propri acuti. La loro relazione va avanti per circa 6-7 mesi e gli esiti sono paradossali. Sì, perché Verdasco ne trae il massimo, conquistando quella che, ad oggi, sarà la sua prima e unica semifinale Slam (Australian Open 2009) e raggiungendo il suo best ranking (nr. 9). Ana, invece, entrerà in una crisi mistica, non andando mai oltre gli ottavi a livello di Slam e chiudendo l'anno fuori dalle 20. Un periodo nero dal quale inizierà piano piano a risalire soltanto nel 2012, riprendendosi poi definitivamente nella stagione appena conclusa.


Esistono poi nel circuito WTA casi altrettanto interessanti nei quali la tennista, non essendo la “stella” all'interno della relazione, vive nell'ombra del proprio consorte. La lista sarebbe lunga, ma tre sono le storie più interessanti: Flavia Pennetta, Gisela Dulko e Lucie Safarova. Su Flavia Pennetta ci sarebbe molto da dire. Conosciuta ovunque, amata da tutti in Italia e all'estero, la numero uno del tennis tricolore si è fatta notare all'inizio come la fidanzata di Carlos Moya. Dei due, in questo caso, il pesce grosso era il tennista spagnolo e Flavia, seppur molto giovane ad inizio relazione, ha vissuto la prima parte della sua carriera oscurata dallo spettro del campione iberico. Insomma, una buona giocatrice con grosse potenzialità ma mai capace di esplodere

definitivamente. La rottura, burrascosa, arriva nel 2007, dopo il tradimento di Moya. Da lì, per Flavia è un percorso in costante crescita. Nel 2008 i primi quarti a livello Slam nella tanto amata New York (cui seguono altre tre apparizioni in quarti e una in semifinale nel 2013), nel 2009 l'ingresso nella top ten (prima giocatrice italiana nella storia) e, parallelamente, il numero uno del mondo in doppio con l'amica Gisela Dulko. La separazione da Moya ha, di fatto, rappresentato la svolta definitiva nella carriera di Flavia. Viene inevitabile chiedersi dove sarebbe oggi la brindisina se la relazione fosse proseguita. In realtà, un piccolo periodo di terrore Flavia lo ha fatto rivivere lo scorso anno, quando ha annunciato l'inizio della storia d'amore con il collega e numero uno azzurro, Fabio Fognini.


Perché paura? Perché dal momento dell'annuncio l'azzurra non ha ottenuto praticamente alcun risultato positivo nel circuito, annullando quanto di buono fatto vedere ad inizio anno. Fortunatamente, il trend negativo si è rotto, come per magia, nella “sua” New York, dove è arrivato l'ennesimo quarto di finale in singolare e una storica finale in doppio in coppia con Martina Hingis. Manteniamo, tuttavia, ancora qualche riserva in vista di questa stagione, sperando ovviamente di sbagliarci. Proprio il doppio è stato, invece, la chiave di volta nella carriera di Gisela Dulko, storica compagnia di Flavia.

Lei sì spesso conosciuta come la fidanzata di Fernando Gonzalez, campione cileno con un best ranking di nr. 5 al mondo, una finale a Melbourne e tanti risultati di alto livello. La separazione tra i due giunge nel 2008 e rappresenta l'inizio di una carriera da eccellente doppista per l'argentina. Nel 2009 Gisela “incontra” Flavia, con la quale vincerà gli Australian Open 2011, il WTA Tour Championships 2010, e raccoglierà altri 10 titoli (più una semifinale e quattro quarti a livello Slam). A chiudere questo trittico di tenniste vissute all'ombra del proprio compagno ci pensa Lucie Safarova, una che di anni nell'oscurità ne ha trascorsi davvero tanti. Una relazione con Tomas Berdych andata avanti dai tempi del liceo e conclusasi nel 2011. Un percorso, in realtà, molto complicato perché la tennista ceca vanta una delle personalità più complesse e fragili nel circuito femminile. Mancina, un potenziale enorme, Lucie inizierà, passo dopo passo, a mettere insieme i pezzi del suo tennis e, soprattutto, di se stessa. Un primo, timido, ingresso nelle top 20 come punto di partenza. I risultati che migliorano, la fiducia che aumenta, la consapevolezza di non essere più “la fidanzata di.Tomas Berdych” ma di essere “Lucie Safarova”, di avere finalmente un'identità. Il 2014 sarà per lei l'anno chiave: semifinale a Wimbledon, ottavi a Parigi e New York, e una maturazione a livello tattico e mentale che lascia presagire ulteriori passi in avanti.


Se, però, sinora abbiamo parlato di relazioni tra tennisti, esiste un caso che si discosta parzialmente dai parametri che abbiamo impostato. Si, perché l'oggetto finale di questa disamina è una storia che non ha come protagonisti due tennisti ma, in senso più largo, due sportivi: Caroline Wozniacki e Rory McIlroy. Il caso della giocatrice danese resta, probabilmente, emblematico. La loro relazione parte nel 2011 e sancisce l'inizio della discesa dell'allora numero uno mondiale. Caroline scompare, galleggia nella top ten ma fatica a cogliere risultati importanti. La situazione è anche frutto, in realtà, di uno stile di gioco estremamente difensivista e volto al recupero, che non sembra più sortire i risultati sperati.

La danese regredisce dal punto di vista tattico e, parzialmente, anche da quello fisico, suo vero e proprio punto di forza, ed entra in un baratro dal quale pare impossibile uscire. Ad aiutarla è proprio McIlroy che, dopo averle chiesto di sposarla, la lascia all'improvviso nel maggio dello scorso anno. Un momento di profonda disperazione per la danese, che palesa apertamente la sua sorpresa e il suo smarrimento rispetto a quanto accaduto. Una via d'uscita, invece, per la Caroline tennista che, settimana dopo settimana, non solo ritrova se stessa ma riesce anche a migliorarsi dal punto di vista tecnico. Atteggiamento più aggressivo in campo, piedi che con maggiore frequenza superano la linea di fondocampo, un gioco che adesso è propositivo e cerca addirittura il vincente, non limitandosi più a fare da tergicristallo. La svolta è quasi epocale e i risultati non tardano ad arrivare. A New York Caroline conquista la prima finale Slam a distanza di 5 anni dalla precedente apparizione. I casi sono, in realtà, molti di più e si potrebbe probabilmente scrivere un libro su un argomento di tale complessità. Sì, perché alla fine gestire parallelamente vita professionale e vita privata non è facile, così come non è facile comprendere quali siano le motivazioni alla base di questo processo. L'aspetto più interessante è però connesso alla possibilità che tutte queste storie siano legate tra di loro da un filo conduttore, da un'equazione che


Pare abbastanza evidente come l'incapacità di gestire la pressione e le aspettative sia uno degli elementi scatenanti alla base della fallibilità delle tenniste possa quasi matematicamente spiegare il perché di questo fenomeno. Difficile giungere ad una risposta univoca, anche perché esistono singoli episodi che contraddicono questo principio (il rendimento di Sharapova e Azarenka, ad esempio, sembra andare in controtendenza). Tuttavia, pare abbastanza evidente come l'incapacità di gestire la pressione e le aspettative sia uno degli elementi scatenanti alla base della fallibilità delle tenniste. Perché, in fin dei conti, in un contesto così fragile e labile, la psiche gioca sempre un ruolo chiave e l'avere accanto una persona che sia di successo può, alla fine, rivelarsi per molte troppo difficile da gestire.



IPTL, c'è da aver paura? by Adriano S.

Sponsor che abbandonano i tornei principali per andare a svernare in Asia

Sponsor che abbandonano i tornei principali per andare a svernare in Asia, fra spettatori virtuali. Giocatori che seguono i soldi e danno più importanza alle esibizioni rispetto ai tornei Atp minori. Non è il trailer di un nuovo film sulla fine del mondo ma ciò che potrebbe succedere fra non molto nel mondo del tennis. Anzi, sta già accadendo. Queste catastrofiche preoccupazioni sono state espresse dal vertice della FFT Ysern e non sono da sottovalutare. Basti pensare al caso Tsonga, inebriato dal denaro speziato del sudest asiatico. In lacrime solo 7 giorni prima, impossibilitato anche solo a giocare in doppio nella finale Davis, abile ed arruolato per l'IPTL.

E non importa se ha poi messo a rischio anche l'inizio della stagione ufficiale a seguire. E' il suo lavoro, è la sua vita, sono scelte. 3-4 settimane di stop anche per Marin Cilic, che in Asia era persino tornato a vincere. Se la Cornet dichiara di poter guadagnare più in due settimane di esibizione rispetto a qualche mese di circuito, poi però la voglia di accusare Tsonga ti passa in fretta. Lo stesso Federer dopo un primo veto ha accettato di esportare il suo brand anche in India. Nonostante a posteriori fosse ancora non al 100% con la schiena, lui che già si era scottato col tour sudamericano, ha comunque onorato l'impegno preso.


La verità è che con meno soldi in ballo potrebbero cadere tanti dei lati negativi esposti I lati positivi ci sono e sono anche importanti. Mai delle esibizioni avevano riunito per così tanti giorni tutti i big del tennis mondiale, con una competizione a 'franchigie' che imita in un certo senso quanto avviene in sport di squadra come calcio o basket. Aggiungiamoci che il tennis così non finisce mai, colmando anche il vuoto di dicembre. Il format è un qualcosa di soggettivo. Certe regole possono essere apprezzate rapportandole in quel contesto, come derise dai puristi. Fallo sul lancio sbagliato e sirena da hockey come timer mettono una certa ansia al servizio. Ti vien voglia di sbagliarlo e non volerne sapere più niente. Set da 5 game e shootout sono probabilmente necessarie per velocizzare i match.

Sono regole su cui anche Federer, che peraltro a gennaio ne testerà un'altra a Brisbane (partita con set da 4 games assieme a Hewitt) ha espresso dubbi. Le uniche norme su cui l'Atp sta ragionando su sono il killer point e il no let, che sono già state sperimentate anche a livello ufficiale fra doppio e circuito challenger. La verità è che con meno soldi in ballo potrebbero cadere tanti dei lati negativi esposti, ma i giocatori difficilmente si sposterebbero dall'altra parte del globo. E quindi? Come finirà? A tarallucci e vino probabilmente, o almeno auguriamocelo. A meno che l'entourage dell'IPTL non decida di esporsi non accontentandosi.


Il rischio della nascita di un vero e proprio circuito parallelo in questo caso c'è. Il rischio della nascita di un vero e proprio circuito parallelo in questo caso c'è, basti pensare che prossimo anno altre due città si aggiungeranno alla lista delle partecipanti. L'importante sarà per Atp e Wta cercare di sfruttare la crescita dell'International Premier League, mettendole il guinzaglio a tempo debito. Dall'altra parte sarà un bene accettare di crescere in modo controllato e non esagerare, per loro come per lo sport tennis.


Tollerare la frustrazione per vincere by Alberto Cei

Il tennis è uno sport in cui vince chi tollera meglio dell'avversario la frustrazione dell'errore.

Il tennis è uno sport in cui vince chi tollera meglio dell'avversario la frustrazione dell'errore. E' infatti un gioco in cui circa ogni 30 secondi viene assegnato un punto a uno dei due giocatori e ciò si ripete per almeno 100 volte e spesso anche di più. Pertanto ogni 30 secondi un tennista gioisce per il punto a suo favore mentre l'altro è frustrato per avere mandato fuori la risposta o per non avere saputo rispondere al colpo dell'avversario. Questa situazione si ripete per un lungo periodo di tempo, non meno di 90 minuti e spesso molto di più.

Questa situazione si ripete per un lungo periodo di tempo, non meno di 90 minuti e spesso molto di più. Si può vincere pur commettendo molti errori, alcuni forzati dall'avversario altri meno. Chi non impara a tollerare il fastidio provocato dall'errore è destinato a perdere la partita. La frustrazione nasce dal non avere messo dentro una palla nonostante le molte ore di allenamento ... che c'è di male nell'avere questo stato d'animo? Assolutamente nulla. Pertanto, non bisogna lottare contro questa emozione, bisogna avvertirla senza paura e giungere a tollerarla.


E' ovvio che nessuno è contento di sbagliare ... ma bisogna sapere che nel tennis si vince pur sbagliando E' ovvio che nessuno è contento di sbagliare ... ma bisogna sapere che nel tennis si vince pur sbagliando, non è uno sport di precisione, ma vince chi commette meno errori dell'avversario ... un bel respiro profondo e via giocare il prossimo punto fiduciosi nell'allenamento che si è condotto in precedenza. Non bisogna giocare il punto come se fosse l'ultimo, perché in tal modo la pressione agonistica aumenta e si giocherà con la paura di sbagliare (il braccino del tennista). Bisogna accettare di avere paura, tollerare i propri errori anche se è fastidioso, servirsi della mente per mostrare sul campo quei comportamenti che trasmettono a se stessi convinzione e mantengono l'avversario sotto pressione anche se è in vantaggio. Il tennis è un gioco veloce che si sorregge sulla forma fisica e mentale e sulla qualità di gioco del tennista ... ma è anche un gioco di pazienza in cui non si può pensare di avere vinto o perso dopo mezz'ora di gioco, sapendo che la partita sarà molto più lunga. Solo chi unisce queste abilità è destinato ad avere una carriera di successo. E' paziente solo chi dopo un errore non affretta il suo gioco per recuperare subito lo svantaggio o al contrario lo rallenta con l'intenzione di correre meno rischi.


Si mostrerà paziente invece chi accetta la frustrazione derivata dall'errore riportando immediatamente la mente su come giocare in modo efficace il punto successivo, basando questa convinzione su quanto imparato in allenamento e in partita. Il tennista è un uomo o donna d'azione che nelle pause tra i punti si trasforma per pochi attimi in un pensatore che deve risolvere il problema del gioco seguente.



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