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Andrea Manzitti
from Visit Italy
Artroom
ANDREA MANZITTI
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When did you start your pictorial journey? It is the result of a slow and gradual sedimentation. Little by little I realized that the passion for color, painting and art was growing more and more inside me, to the point of feeling the need to "regurgitate" all that sedimentation on a canvas. Although I had always frequented artists, art galleries and museums, it was no longer enough for me, I needed more. Everything was clearly revealed only five years ago, when, in front of a blank canvas, I experienced an adrenaline-pumping feeling of dismay and joy that are difficult to describe at the same time. From that moment on, everything was easier. In spite of my 74 years at the time, I immediately decided to enroll at the Brera Academy, suddenly finding myself in the midst of hundreds of twenty / twenty-five year olds taking the admission exam to Brera. I remember very well the last exam in Brera, with three professors in front of me who wanted to understand if I was there because I really wanted it or if I was just passing through. I was afraid they would say to me: “thank you for your presence, Mr. Manzitti, we are flattered, but give way to the young”. Instead they told me that in my exams they had found some interesting ideas. Now I'm in the second year of Brera, and I can't wait for it Quando hai iniziato il tuo percorso pittorico? È il risultato di una sedimentazione lenta e graduale. Poco alla volta mi sono reso conto che la passione per il colore, la pittura e l’arte stava crescendo sempre più dentro di me, al punto di sentire il bisogno di “rigurgitare” tutta quella sedimentazione su una tela. Sebbene avessi sempre frequentato artisti, gallerie d’arte e musei, non mi bastava più, avevo bisogno di altro. Tutto si palesò chiaramente solo cinque anni fa, quando, di fronte a una tela bianca, provai un’adrenalinica sensazione di sgomento e gioia contemporaneamente difficilmente descrivibili. Da quel momento in poi tutto è stato più semplice. In barba ai miei 74 anni di allora ho subito deciso di iscrivermi all’Accademia di Brera, ritrovandomi all’improvviso in mezzo a centinaia di ragazzi di venti/venticinque anni a fare l’esame d’ammissione a Brera. Ricordo benissimo l’ultimo esame a Brera, con davanti a me tre professori che volevano capire se fossi lì perché lo volevo veramente o se mi trovavo solo di passaggio. Avevo paura che mi dicessero: “grazie per la sua presenza signor Manzitti, siamo lusingati, ma lasci il posto ai giovani”. Invece mi hanno detto che nelle mie prove d’esame avevano trovato degli spunti interessanti. Adesso sono al secondo anno di Brera, e non
In occasione della mostra “Isole, mappe e portolani” di Andrea Manzitti svoltasi allo Spazio Scoglio di Quarto dal 4 al 25 maggio, pubblichiamo in esclusiva l’intervista all’artista di Giovanni Giommi durante la realizzazione del documentario Andrea Manzitti pittore (luglio 2020)
by Stefano De Angelis
vedo l’ora che si riinizi. Melotti diceva: “Cambiare per vivere, cambiare per sopravvivere”. Io ho cambiato per vivere. Sono arrivato a Milano quando avevo ventiquattro anni e non mi sono più mosso. Qui ho tutti i miei affetti, mia moglie, i miei figli e i miei nipoti, e adesso il colore, grazie al quale ho reinventato la mia esistenza. Ho fatto per più di cinquant’anni il broker riassicurativo. Un lavoro di numeri e di algoritmi, che non mi ha lasciato molto nel cuore. Nulla di paragonabile al semplice tirare una riga o sporcare con una spatola una tela bianca. Quando finisco un’opera mi sento appagato. L’arte ogni giorno è un passo avanti, fatto anche di errori. La cosa fondamentale è non avere paura di sbagliare, perché la macchia di colore che inavvertitamente ti si spande sulla tela può nascondere nuove possibilità.
Ci sono dei riferimenti artistici o culturali che ti hanno influenzato? I pittori che ho sempre amato sono Cézanne, Matisse, Bonnard. I miei tre riferimenti, anche se la pittura che sto facendo ben poco ha a che vedere con questi tre maestri indiscussi. Però il modo con cui questi tre pittori hanno trattato il colore mi ha sempre affascinato. Cézanne con la sua caparbietà di ripetere per dieci, venti, trenta volte la montagna di Sainte-Victoire, Bonnard con la luce e i tagli dei quadri intimistici, Matisse invece per il gioco dei colori, la leggerezza del tratto e del colore. Poi chiaramente ci sono molti altri artisti che ammiro, a partire da Rothko, per le vibrazioni che riesce a dare al colore e alle superfici.
Come nasce una tua opera e che cosa è per te l’ispirazione? La parte più difficile è trovare l’ispirazione. Può darsi benissimo che resti seduto a leggere il giornale o ad ascoltare la musica in silenzio, oppure che prenda subito un pennello e incominci a dito start again. Melotti used to say: “Change to live, change to survive”. I have changed to live. I arrived in Milan when I was twenty-four and have never moved. Here I have all my loved ones, my wife, my children and my grandchildren, and now the color, thanks to which I have reinvented my existence. I have been a reinsurance broker for more than fifty years. A work of numbers and algorithms, which did not leave much in my heart. Nothing comparable to simply drawing a line or smudging a white canvas with a spatula. When I finish a work, I feel satisfied. Art every day is a step forward, also made up of mistakes. The key thing is not to be afraid of making mistakes, because the splash of color that inadvertently spreads on the canvas can hide new possibilities.
Are there any artistic or cultural references that have influenced you? The painters I've always loved are Cézanne, Matisse, Bonnard. My three references, even if the painting I am doing has very little to do with these three undisputed masters. But the way in which these three painters have treated color has always fascinated me. Cézanne with his stubbornness to repeat the mountain of SainteVictoire ten, twenty, thirty times, Bonnard with the light and cuts of intimate paintings, Matisse instead for the play of colors, the lightness of the stroke and color. Then of course there are many other artists that I admire, starting with Rothko, for the vibrations he manages to give to color and surfaces.
How is your work born and what is inspiration for you? The hardest part is finding inspiration. It may very well be that he sits and reads the newspaper or listens to music in silence, or that he immediately picks up a brush and begins to paint. Other times 99
I realize that I just have to think, or that I have to let the painting just finished to rest, and then pick it up again, perhaps days or months later. A work is born when you least expect it. But when I have everything clear in my mind, then I know what I have to do: turn all the canvases I have in the studio against the wall, so as not to be distracted by the previous works and start painting. Art is pure creation, which must be faced with a clear mind, without visual conditioning.
Can you tell the moment of the creation of the work? For several years I have been considering the repetition of old maps, old portolans, old maps. It is an idea that came to me while traveling, especially when we went to the Svalbard Islands: I remember that when we landed it was late at night, but the light in those places in summer is perennial, and to see those expanses of ice and those islands between the clouds made me want to bring landscapes and sensations back to canvas. To paint I start with raw pumice powder, which I mix with color, mainly water tempera, which I then spatula on canvas or papers. Another important element in my art is the handmade cotton paper that I discovered in an old paper mill in Amalfi. I immediately fell in love with it. It is very beautiful from a tactile point of view and reacts very well to the materials I use: tempera paints, acrylics, oil and raw pumice paste. pingere. Altre volte mi accorgo che devo solo pensare, o che il quadro appena concluso devo lasciarlo riposare, per poi riprenderlo in mano, magari a distanza di giorni o mesi. Un’opera nasce quando meno te lo aspetti. Ma quando ho tutto chiaro nella mente, allora so cosa devo fare: girare tutte le tele che ho in studio contro la parete, per non essere distratto dai lavori precedenti e iniziare a dipingere. L’arte è creazione allo stato puro, che bisogna affrontare con la mente sgombra, senza condizionamenti visivi.
Puoi raccontare il momento della creazione dell’opera? Da diversi anni ho preso in considerazione la ripetizione delle vecchie carte geografiche, dei vecchi portolani, delle vecchie mappe. È un’idea che mi è venuta viaggiando, in particolare quando siamo andati alle Isole Svalbard: ricordo che quando siamo atterrati era notte fonda, ma la luce in quei posti d’estate è perenne, e vedere quelle distese di ghiacci e quelle isole tra le nuvole mi ha fatto venire la voglia di riportare su tela paesaggi e sensazioni. Per dipingere parto dalla polvere di pomice grezza, che la impasto con del colore, prevalentemente della tempera ad acqua che poi spatolo sulla tela o sulle carte. Un altro elemento importante nella mia arte è la carta di cotone fatta a mano che ho scoperto in una vecchia cartiera ad Amalfi. Me ne sono subito innamorato. È molto bella dal punto di vista tattile e reagisce molto bene ai materiali che uso: colori a tempera, acrilici, olio e pasta di pomice grezza.
Ile de Re II, 2020, tecnica mista su carta intelata, 70x100
Puoi spiegare il tuo rapporto con il colore? Difficile spiegarlo, ma la verità è che con i colori – per me accade con quelli ad olio perché adoro anche il solo semplice gesto fisico di aprire un tubetto, schiacciarlo e sentirne il profumo che esce si crea una relazione, una simbiosi quasi perversa, direi addirittura erotica. Il tutto connesso al materiale che si decide di usare per dipingere. Parlo della granulosità della tela o della porosità della carta quando vengono trattate con il colore, il modo in cui il colore asciuga e si trasforma. Sono tutte sensazioni uniche, che chi non le ha mai provato non può capirle fino in fondo. Anche lo stesso odore della trementina è inebriante, perchè porta in sé tutta una serie di emozioni e di ricordi.
Come affronti la superficie bianca? Quando ti trovi di fronte alla tela immacolata, quello è il momento della verità, di pura vertigine. Ti accorgi di essere solo e che nessuno può aiutarti. Qualsiasi cosa tu abbia in mano che possa lasciare un segno, poco importa. Sei di fronte all’ignoto, e ne sei cosciente. Sai solamente che nel momento in cui tu appoggerai la matita, il pennello o la spatola sulla tela hai già fatto un enorme passo avanti, ma soprattutto ti sei già compromesso, perché di lì poi inizia l’avventura. Ma non devi aver paura. L’arte, come insegna Paul Klee, è improvvisazione e l’errore dev’essere vissuto in modo costruttivo. Questo è il bello del “dramma” di trovarsi di fronte a una tela bianca. Non ci sono margini di errore perché non esiste il concetto di errore. Can you explain your relationship with color? Difficult to explain, but the truth is that with colors - for me it happens with oil colors because I love even the simple physical gesture of opening a tube, squeezing it and smelling the scent that comes out - a relationship is created, an almost perverse symbiosis, I would even say erotic. All connected to the material that you decide to use to paint. I'm talking about the graininess of the canvas or the porosity of the paper when treated with color, how the color dries and transforms. They are all unique sensations, which those who have never tried them cannot fully understand them. Even the smell of turpentine itself is intoxicating, because it carries within it a whole series of emotions and memories.
How do you cope with the white surface? When you find yourself in front of the immaculate canvas, that is the moment of truth, of pure vertigo. You realize that you are alone and that no one can help you. Whatever you have in your hand that can leave a mark, it doesn't matter. You are facing the unknown, and you are aware of it. You only know that by the time you place your pencil, brush or palette knife on the canvas you have already taken a huge step forward, but above all you have already compromised yourself, because then the adventure begins. But you don't have to be afraid. Art, as Paul Klee teaches, is improvisation and the error must be lived in a constructive way. This is the beauty of the "drama" of being in front of a blank canvas. There is no margin for error because there is no concept of error. 101
What relationship do you have with the finished work of art? When I finish a painting I don't want to see it anymore, because I don't want the next painting to affect me. That's why when I paint I want the paintings to be all turned towards the walls. Not to be conditioned by it. I do not disavow it, for God's sake, on the contrary ... But as soon as I have finished a painting, it is now part of my past, and should not affect my present. I rarely take a painting after some time to retouch it, I'm always a little afraid because I'm afraid of ruining it. I prefer that the painting, once finished, remains there with its strengths and weaknesses. The real question that is never easy to answer is “When is a painting finished?”: For me when it speaks to you and transmits something to you. Until then, you still have to work on it.
Can you tell me about the physical and mental effort when you make a work? These are sensations that are difficult to explain in words. The painting begins with a blank canvas and with the first stroke of color or palette knife. After that it is a continuous crescendo, a continuous mental, concentration, and physical effort. When you are slowly absorbed by the execution of a painting, you only know that you have to go as far as your mind and body allow, because it is like entering a trans state, impossible to manage rationally. When this happens it means that you have reached an unrepeatable moment, you are physically tried but happy, because you have done something that you really did not think you could get to do. So yes, you feel satisfied and satisfied. n Che rapporto hai con l’opera d’arte finita? Quando finisco un quadro non lo voglio più vedere, perché non voglio che mi condizioni il quadro successivo. È per quello che quando dipingo voglio che i quadri siano tutti girati verso le pareti. Per non esserne condizionato. Non lo disconosco, per carità di Dio, anzi... Ma non appena ho finito un quadro, fa ormai parte del mio passato, e non deve condizionare il mio presente. Raramente prendo un quadro a distanza di tempo per ritoccarlo, ho sempre un po’ di timore perché ho paura di rovinarlo. Preferisco che il quadro, una volta terminato, rimanga lì con i suoi pregi e i suoi difetti. La domanda vera alla quale non è mai facile rispondere è “Quando è finito un quadro?”: per me quando ti parla e ti trasmette qualcosa. Fino a quel momento ci devi ancora lavorare.
Mi racconti lo sforzo fisico e mentale di quando realizzi un’opera? Sono sensazioni difficilmente spiegabili a parole. Il quadro inizia con una tela bianca e con il primo tratto di colore o di spatola. Dopodiché è un continuo crescendo, un continuo sforzo mentale, di concentrazione, e fisico. Quando vieni lentamente assorbito dall’esecuzione di un quadro, sai solo che devi andare avanti fino a quanto mente e fisico te lo permettono, perché è come entrare in uno stato di trans, impossibile da gestire razionalmente. Quando questo succede significa che hai raggiunto un momento irripetibile, sei provato fisicamente ma felice, perché hai fatto qualcosa che in realtà non pensavi di poter arrivare a fare. Allora sì che ti senti soddisfatto e appagato. n102