DAGLI ANGELI AI NEURONI. L’ARTE E LA NUOVA SCIENZA DEI SOGNI

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DAGLI ANGELI AI NEURONI L’ARTE E LA NUOVA SCIENZA DEI SOGNI

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Ci rendiamo conto che questo libro mette in discussione i paradigmi che molti lettori hanno fatto propri. La nostra speranza sincera è che il matrimonio fra arte e scienza che noi appoggiamo sia chiaro, accettabile e persino illuminante per coloro che leggeranno il nostro testo e che apprezzeranno la scienza e le immagini che lo illustrano. Il tema fondamentale del nostro libro non è nient’altro che il problema del rapporto mente-cervello, la cui soluzione potrà portare all’unificazione delle due culture.

DAGLI ANGELI AI NEURONI. L’ARTE E LA NUOVA SCIENZA DEI SOGNI

Per secoli i sogni hanno affascinato gli artisti e sfidato i filosofi. Avvalendosi delle più recenti scoperte della ricerca neurologica, questa nuova affascinante teoria scientifica analizza l’arte del sognare e il sogno nell’arte occcidentale dal periodo classico all’età contemporanea.

Mattioli 1885

Hobson, Wohl

J. Allan Hobson, Hellmut Wohl

J. Allan Hobson, Hellmut Wohl

Allan Hobson e Hellmut Wohl si incontrano nel 1997 a una conferenza sui sogni presso l’Università di Boston. Per molti anni, prima di quel fortunato incontro, Allan Hobson, Professore di Psichiatria alla Harvard Medical School, aveva raccolto immagini d’arte che rappresentavano il sonno e i sogni, con l’intenzione di scrivere un libro. Ma era conscio dei suoi limiti in materia di storia dell’arte e così aveva accantonato il progetto. In Hellmut Wohl, Professore di Storia dell’Arte alla Boston University che aveva già preso in esame l’arte onirica, ha finalmente trovato il partner ideale per realizzare il suo progetto. Questo testo, riccamente illustrato e frutto delle loro riflessioni sull’autocreatività del cervello umano, affianca la storia dell’arte occidentale alle nuove sorprendenti scoperte della scienza nell’interpretazione dello straordinario mondo interiore del cervello. Il sogno è visto come un processo autocreativo che rivela il nostro profondo talento naturale nel visualizzare emozioni: siamo tutti artisti quando i nostri cervelli sognano.

E X P L O R A

Mattioli 1885

H. Wohl è Professore di Storia dell’Arte alla Boston University. J. A. Hobson è Professore di Psichiatria alla Harvard Medical School.

ISBN 978-88-89397-56-5

Immagine di copertina: Giotto, Il sogno di Gioacchino, 1305 circa (affresco), Cappella degli Scrovegni, Padova. Copia omaggio per i Signori Medici - Vendita vietata Esente da bolla di accompagnamento Art. 4 Comma 6 DPR627 - 78


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DAGLI ANGELI AI NEURONI l’arte e la nuova scienza dei sogni

J. Allan Hobson, Hellmut Wohl Con un contributo di Mario Tiengo

Mattioli 1885


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Titolo originale: From Angels to Neurones Art and the New Science of Dreaming Autori: J. Allan Hobson Hellmut Wohl Traduzione: Sebastiano Pezzani Progetto grafico: Paolo Cioni

Isbn 978-88-89397-56-x 2007, Mattioli 1885 spa www.mattioli1885.com © J. A. Hobson, H. Wohl

Questo libro non può essere riprodotto, interamente o in parte, incluse le illustrazioni, in alcuna forma senza il permesso scritto dell’editore e degli autori.


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j. allan hobson, hellmut wohl > dagli angeli ai neuroni


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Alle nostre mogli: Lia Silvestri Hobson e Alice Sedgwick Wohl


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Sezione coronale del tronco encefalico pontino, nel disegno di John Woolsey tratto da una illustrazione dell’Atlante del tronco encefalico del gatto di Alvin Berman. Il controllo degli stati consci della veglia e del sogno viene effettuato da cellule nervose (neuroni)

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situate nel tronco encefalico. Il tronco encefalico mette in collegamento il midollo spinale e la parte superiore del cervello, dove ha sede la nostra consapevolezza del mondo esterno (veglia) e del mondo generato al nostro interno (sogno). Al fine di studiare con precisione il tronco

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encefalico, gli scienziati fanno affidamento su mappe dettagliate, come quella prodotta da Alvin Berman. Di giorno, John Woolsey, al tempo studente d’arte a Madison, Wisconsin, lavorava come assistente ricercatore per Berman. Di notte, Woolsey proiettava i lucidi del cervello su tele non

patinate e utilizzava un aerografo con vernice acrilica per produrre delle immagini colorate come quella mostrata in questa sede. Il giovane Woolsey non poteva sapere che la sua creazione artistica rappresentasse il fondamento strutturale della coscienza onirica.


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Prefazione

Come per una casualità da sogno, Allan Hobson e Hellmut Wohl si incontrarono a un pranzo ufficiale organizzato dalla Università di Boston nel 1997 per celebrare una conferenza di due giorni sui sogni, presso cui erano stati entrambi invitati a tenere un discorso. Non passò molto prima che i due decidessero di scrivere un libro insieme. Ma la preparazione di quel libro richiese molto tempo. E quell’incontro, in parte frutto del caso, si rivelò molto significativo per entrambi. Per molti anni, prima di quell’incontro, Allan Hobson aveva raccolto immagini d’arte che rappresentavano il sonno e i sogni, con l’intenzione di scrivere un libro. Si era addirittura spinto fino a produrre una proposta complessa intitolata Sleeping Beauty, comprensiva del suo saggio su William Blake e Henry Füssli intitolato Strange Bedfellows. Ma era conscio dei suoi limiti in materia di storia dell’arte e così il progetto venne accantonato. Ed ecco che entrò in scena Hellmut

Wohl, storico dell’arte che, in ragione dei suoi interessi per il Rinascimento e l’arte moderna, aveva già preso in esame l’arte onirica. Il suo approccio analitico formalistico all’arte e il suo innato istinto da ingegnere facevano di lui il partner ideale per Allan Hobson, uno psichiatra/neurofisiologo che aveva sempre avuto una passione per la storia dell’arte. Hellmut Wohl capì subito i problemi insiti nella teoria freudiana dei sogni e nello studio psicanalitico dell’arte, rendendosi anche conto dell’importanza della neurofisiologia per la comprensione dell’autocreatività del cervello umano. La nostra è stata, dall’inizio alla fine, una collaborazione vera e reciprocamente soddisfacente. Fin dal principio, abbiamo concordato di concentrare la nostra attenzione sulle opere d’arte, compresi i film, fino e non oltre la scoperta del sonno REM avvenuta nel 1953. Nonostante negli ultimi cinquant’anni DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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si sia manifestata una notevole produzione di arte onirica in molte forme, l’inclusione di quel materiale non avrebbe fornito un contributo significativo al nostro obiettivo di dimostrare la concordanza tra arte e scienza. La preparazione di questo libro è stata notevolmente agevolata dal nostro soggiorno di un mese presso il Centro Studi Rockfeller di Bellagio, all’inizio dell’autunno del 2000. Condividendo ufficio e computer e lavorando tutto il giorno, compresi i fine settimana, siamo riusciti a ultimare una prima stesura del manoscritto. Le nostre consorti sono state delle pazienti alleate in questo importante processo. Siamo grati alla Fondazione Rockfeller per averci concesso questa preziosa opportunità. Il perfezionamento del testo negli anni successivi è stato possibile grazie all’aiuto di Caroline Jones, di diversi revisori rimasti anonimi e di editor come Eve Sinaiko (alla Abrams) e Nancy Grubb (a Princeton). Siamo felici che Paolo e Federico Cioni della Mattioli 1885 abbiano scelto di pubblicare il libro. Per noi, realizzarne le possibilità visuali nella loro pienezza è un sogno che si avvera. È particolarmente appropriato che il libro, già pubblicato nella versione inglese, sia oggi disponibile anche in italiano, perché Allan Hobson ha deciso di trascorrere metà del suo

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tempo a Messina, in Sicilia, e Hellmut Wohl svolge ogni anno delle ricerche a Villa I Tatti, Centro dell’Università di Harvard per gli Studi sul Rinascimento Italiano che ha sede a Firenze. Le nostre rispettive università ci hanno appoggiato e diverse agente esterno, compresi il National Institute of Health e la Fondazione MacArthur, hanno sostenuto la ricerca di cui vi forniamo i risultati in questa sede. È nostro desiderio segnalare con gratitudine l’assistenza tecnica di Nick Tranquillo e di Robert Gifford (a Boston), Luca Di Perri e Caterina (a Messina) e Natalie Cerioli (a Parma). Ci rendiamo conto che questo libro mette in discussione i paradigmi che molti lettori hanno fatto propri. La nostra speranza sincera è che il matrimonio fra arte e scienza che noi appoggiamo sia chiaro, accettabile e persino illuminante per coloro che leggeranno il nostro testo e che apprezzeranno la scienza e le immagini che lo illustrano. Il tema fondamentale del nostro libro è il problema del rapporto mente/cervello, la cui soluzione potrà portare all’unificazione delle due culture. J. Allan Hobson Hellmut Wohl


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Indice

Capitolo 1 Mere creazioni del cervello Aspetti formali dello stato onirico e dell’immaginario dell’arte

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Capitolo 2 L’uomo comune diventa artista La mente autocreativa nel sonno onirico

34-63

Capitolo 3 Più leggeri dell’aria Divinità alate, angeli, e altri agenti onirici incorporei

64-83

Capitolo 4 Di cosa sono fatti i sogni La realtà fisica del sonno e dei sogni

84-111

Capitolo 5 La mente in bilico Razionalismo contro Romanticismo

112-135

Capitolo 6 Lo spazio interiore Scienza del cervello, attività onirica e arte moderna

136-163

Capitolo 7 Sognare a tempo di danza Sonno e sogni nella fotografia e nel cinema moderni

164-191

Capitolo 8 L’arte di sognare Creatività e stato onirico

192-211

Bibliografia

212-216

Appendice

Il neurone: la scoperta, l’esplorazione, le speranze

218-225

di Mario Tiengo DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Capitolo 1 | Mere creazioni del cervello

Hieronymus Bosch, (dettaglio), pannello di destra del Trittico delle delizie, 1503-1504, Museo del Prado, Madrid.

Nel mezzo della visione allucinatoria che Bosch ha dell’inferno sta l’immagine dell’Uovo-uomo, per la quale il disegno

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dell’Uomo-albero (a pagina 20) è uno studio preparatorio.


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Mere creazioni del cervello Aspetti formali dello stato onirico e dell’immaginario dell’arte

Quei sogni che si insinuano nella notte silenziosa, E che con forme ingannevoli illudono le nostre menti, Non ce li manda Giove dai cieli, Né possono sorgere dalle residenze degli inferi; Bensì non sono altro che prodotti del cervello, E stolti son coloro che invano consultano gli interpreti.

Jonathan Swift, On Dreams (1727)

L’angelo dei cristiani è solo l’ultima di una lunga serie di agenzie effimere a cui venga affidata la responsabilità di spiegare le meravigliose visioni notturne rappresentate dai nostri sogni. Gli angeli sono i discendenti degli dei alati pagani, portatori delle “forme ingannevoli” di Swift. Nel corso degli ultimi due millenni, molti sognatori e pensatori occidentali hanno attribuito le esperienze oniriche a dei messaggeri alati provenienti dall’aldilà, non essendo a conoscenza dei meccanismi di auto-creazione insiti nelle loro teste. Ora, all’alba del terzo millennio del calendario cristiano, ci stiamo rendendo conto che il sogno è uno stato di coscienza le cui caratteristiche uniche e la cui stessa esistenza sono generate da trasformazioni fisiche e chimiche nel cervello che la neuroscienza moderna ha iniziato a mettere in chiaro. Pur non essendo affatto giunto a completamento, questo passaggio paradigmatico –

dallo spirituale angelo al fisico neurone quale principale artefice del sogno – ha implicazioni di vasta portata per l’umanità in generale, e per le teorie sulla produzione e sulla fruizione dell’arte in particolare. Il passaggio paradigmatico dall’Angelo al Neurone, che noi svilupperemo in questo libro, venne concepito un secolo fa da Sigmund Freud. L’influenza di Freud sul nostro modo di pensare a proposito della produzione e della fruizione dell’arte è stato profondo. Secondo Freud, dobbiamo la nostra sensibilizzazione all’impatto di molte forze biografiche individuali e culturali collettive che contribuiscono a dare forma alle opere d’arte e a determinarne il contenuto. Ma, dal momento che la teoria estetica di Freud fu formulata in assenza di specifici dettagli neurofisiologici, essa non solo ha bisogno di rettifiche bensì persino di essere riformulata. Freud era convinto che l’adulto desideri DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Paul Delvaux, L’École des Savants, 1958, Museo Liechtenstein, Vienna. Delvaux, al pari di altri surrealisti, era interessato non all’indagine scientifica

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o all’interpretazione psicanalitica dei sogni, bensì ai sogni in quanto fonte di ispirazione artistica. Nel quadro di Delvaux, uno psicanalista intervista una paziente

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(sulla destra) e un neurobiologo esamina un cervello (a sinistra). Nessuno dei due osserva lo scenario onirico che mette insieme uno spazio aperto deserto con treni e

lampioni stradali al centro. Siamo d’accordo con Delvaux e in questo capitolo cerchiamo di spiegare il nostro approccio alla forma del sogno.


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inconsciamente fare ritorno al mondo perduto dell’infanzia. Il sogno è uno dei modi in cui si esprime questo desiderio, l’arte è un altro. Secondo Freud, gli artisti possiedono il dono esclusivo di restare in contatto con le prime esperienze della loro vita e di manifestarle attraverso il proprio lavoro; e l’ispirazione creativa dipende dalla capacità dell’artista di distillare le immagini, le emozioni e le aspirazioni perdute della propria infanzia. Noi riteniamo che le idee di Freud abbiano inconsapevolmente perpetuato gli aspetti dell’agenzia angelica, come la preordinazione, la profezia e l’interpretazione, che invece avrebbero dovuto rimpiazzare. Inoltre, crediamo che la psicoanalisi di Freud, che riguarda i prodotti della mente – tra cui le opere d’arte, in quanto compromessi tra impulsi biologicamente imperativi e proibizioni socialmente condizionate – sia socialmente discutibile. In maniera simile a quella in cui lo scolasticismo medievale ha portato a secoli di esegesi testuale e decodificazione di simboli, la moderna psicanalisi ha vincolato grandi segmenti del pensiero accademico e popolare a uno sforzo volto a ridurre la creatività a una prova di un conflitto psicopatologico. In questo libro suggeriremo come il sistema autoattivante e caoticamente aperto del cervello sognante fornisca la base per mettere insieme arte e scienza attraverso una sintesi nuova ed emancipante. Pertanto, uno dei nostri obiettivi sarà indicare che la neurofisiologia del sogno è in grado di offrire nuove intuizioni sulla creatività e sul processo creativo, accettando il vincolo dell’imprevedibilità. La nostra posizione e la sua critica nei confronti della psicanalisi può essere illustrata dal quadro di Paul Delvaux, L’École des Savants. Delvaux e i Surrealisti puntavano a esplorare l’imprevedibilità creativa della mente sognante in quanto fonte di ispirazione artistica, e a descriverla, come ha fatto DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Delvaux nel paesaggio onirico che sta al centro del suo dipinto, e di cui sia lo psicanalista che parla con la persona che sta sognando davanti a lui, sulla destra, sia il neurobiologo* che esamina un cervello senza vita, sul lato sinistro, sono inconsapevoli. Universalità del Sogno Siccome sognare è un’azione intrinsecamente creativa, si può affermare che ogni uomo è un artista quando sogna. Descriveremo come certe immagini mentali visive, di una chiarezza sensazionale, si formino spontaneamente nel cervello durante il sonno, come emozioni che vanno dall’euforia estatica al panico più terribile vengano generate simultaneamente e come immagini e sensazioni visuali nel sogno si integrino senza sforzo e senza soluzione di continuità. Al centro del nostro modello sta la generazione interiore di oggetti percepiti ed emozioni. Nel formulare la nostra nuova teoria, cercheremo di trascendere l’agente esterno, o paradigma angelico, e di gettare un’ombra di dubbio sul vincolo dell’interpretabilità, in quanto basato sull’idea erronea del cervello come sistema chiuso. Allo stesso tempo, suggeriremo che tutta l’arte effettiva e affettiva è onirica in quanto ha a che fare con l’integrazione continua di oggetto percepito ed emozione. La teoria “cerebrale” dei sogni che svilupperemo in questo libro è fondata su un’analisi formale del sogno come processo creativo. In quanto tale, la scienza “cerebrale” dei sogni fornisce uno strumento per esaminare l’immaginazione alla radici. Considerando il sogno come un tentativo del cervello/mente di creare piuttosto che di nascondere un significato, come pensava Freud, la nuova teoria affranca sia lo storico dell’arte che il sognatore dal far-

dello della psicobiografia. Anche questa inversione di enfasi è temporale. Il sogno è più che un ripasso mentale del passato. È anche un modo per precorrere il futuro: non una profezia che compie un particolare destino, bensì un’esortazione a riconoscere e a esprimere la nostra creatività intrinseca. Secondo la nostra teoria, il sogno è altrettanto trasparente, ricco e fondamentalmente impossibile da analizzare quanto lo sono le opere d’arte. Speriamo di riuscire a dimostrare che si può imparare molto di più sia dai sogni che dall’arte considerandoli fonti di ispirazione e di illuminazione piuttosto che crittogrammi dietro cui si celano spinte istintive proibite. La nostra discussione sarà incentrata sulle opere d’arte che sono state ispirate dai sogni oppure su quelle che hanno preso forma da un’analisi visiva dei processi caratteristici del sogno. La nostra posizione riflette quella di Paul Klee, espressa in una lezione sulle origini e il processo della creazione artistica tenuta nel 1924: Gli artisti che davvero dispongano di una vocazione sono quelli che viaggiano, spingendosi bene all’interno di quella caverna segreta in cui l’organo centrale di tutto il movimento temporale e spaziale – potremmo definirlo mente o cuore della creazione – fa sì che tutto succeda. Qualunque cosa emerga da tale attività, e chiamatela pure come volete, sogno, idee, fantasia, andrebbe presa sul serio se si combina con gli elementi pittorici e se assume una forma. A quel punto le curiosità diventano realtà, realtà dell’arte che aggiungono qualcosa in più a quello che la vita normalmente avrebbe. Perché, a quel punto, noi non disponiamo più di cose viste e riprodotte con una esibizione più o meno intensa di temperamento, bensì abbiamo delle esperienze visionarie rese visibili.

* Il neurobiologo è il Professor Lindenbrock, ispirato o copiato da un’incisione di Edouard Rion che illustra l’edizione Hertzel, pubblicata nel 1864, di Voyage au centre de la terre di Jules Verne.

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René Magritte, Tempo trasfigurato, 1939, Chicago Art Institute. L’artista ha definito una

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metamorfosi l’immagine della locomotiva sospesa a mezz’aria e che esce da un camino alle 12:44. Invece di rappresentare il

ricordo di un sogno, il quadro di Magritte, come tutta la sua opera in genere, emula la cognizione e l’emozione

del sogno. Pertanto, è altrettanto disorientante, incongruo e paradossale quanto le immagini che vediamo nei sogni.

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La storia dell’arte ricostruita Lo studio dei sogni basato sulla neuroscienza ci fornisce un modello di riferimento per affrontare un viaggio illuminante attraverso la storia dell’arte e delle idee. Riconoscendo che molti artisti e pensatori hanno percepito delle verità sui sogni senza essere in grado di spiegarle, noi cercheremo di fare nuova luce sul nostro patrimonio artistico-storico, riesaminando opere d’arte selezionate con la lente della neuroscienza. Allo stesso tempo, suggeriremo come gli artisti che rappresentano il sonno e il sogno, direttamente oppure indirettamente, abbiano afferrato intuitivamente l’identità formale tra sogno e arte. In questo capitolo, ci sforzeremo di mettere in chiaro cosa intendiamo esattamente per identità formale. Cominceremo con una negazione. Non è un’identità sostanziale od ontologica quella che intendiamo. Non stiamo dicendo che il sogno e l’arte sono processi identici ma, piuttosto, che sono processi che presentano molti aspetti formali condivisi. Non stiamo dicendo che chiunque faccia dei sogni è un artista (né che ogni artista è un sognatore), ma che nel sogno, così come nella veglia, attraversiamo un passaggio di stato mentale con caratteristiche formali specificabili. Un’opera d’arte visiva può essere definita come un qualcosa in grado di evocare direttamente degli oggetti percepiti e dei sentimenti nell’osservatore, senza ricorrere alla mediazione del linguaggio. Mentre l’esperienza artistica è un attributo umano universale, il talento artistico è la capacità di dare forma all’esperienza in un modo che evochi gli oggetti percepiti visivamente e le relative emozioni nell’osservatore. Anche i sogni sono complessi di percezioni e di relative emozioni che nascono direttamente nella mente, senza la mediazione del linguaggio.

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Al pari delle opere d’arte, i sogni possono presentare un carattere narrativo o metaforico che dipende dal linguaggio, ma entrambi vengono vissuti soprattutto come visione ed emozione ed entrambi integrano visione ed emozione in maniere affascinanti, sorprendenti e cariche di significato. La rilevanza della forma onirica e del contenuto onirico per l’arte Siamo perfettamente consapevoli del carattere intrinsecamente narrativo dell’esperienza umana cosciente e del fatto che la ricerca del significato richieda inevitabilmente uno sforzo per tradurre percezione ed emozione nel linguaggio del pensiero. Altrettanto inevitabile è il ricorso, nella scienza dei sogni, al resoconto onirico, dato che, allo stato attuale della neurofisiologia, l’esperienza onirica non può essere valutata direttamente da nessun osservatore terzo. Ammettiamo inoltre il fatto che la storia dell’arte coinvolge inevitabilmente l’interpretazione dell’iconografia. A ogni buon conto, in questo approccio noi individuiamo molti pericoli e molte limitazioni. Non siamo gli unici, per esempio, a mettere in discussione l’interpretazione che Freud fornisce dei lupi in un disegno realizzato da un suo paziente che chiamava Uomo Lupo, quale rappresentazione simbolica della scena di un rapporto sessuale anale tra i genitori a cui il paziente aveva assistito. Desideriamo mettere in chiaro che, attraverso un approccio formale ai sogni e all’arte, non intendiamo spiegare – né motivare – il contenuto e i valori personali dei sogni o delle opere d’arte. È nostro obiettivo, invece, fornire un fondamento atto ad affrontare il contenuto mediante uno schema a base scientifica per la comprensione del processo onirico e, per estensione, di quello artistico. Per forma onirica noi intendiamo gli aspetti


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universali dei sogni, indipendentemente dal loro contenuto. Nello specifico: 1) oggetti percepiti generati all’interno, soprattutto visivi ma anche motori (simili ad allucinazioni) che sono 2) accettati come reali (come le delusioni), nonostante siano 3) decisamente bizzarri, discontinui e incongrui (come in caso di instabilità orientativa), caratteristiche tutte associate a 4) forti emozioni (soprattutto ansia e paura ma anche euforia e rabbia), gran parte delle quali vengono 5) del tutto dimenticate o, quanto meno, sono difficili da ricordare (come accade nei casi di amnesia), a meno che non si presti estrema attenzione al sogno, immediatamente dopo il risveglio. In breve, per formali noi intendiamo le caratteristiche mentali, visuali ed emozionali dell’esperienza cosciente di tutte le persone, in ogni cultura o periodo storico e a prescindere dal contenuto specifico. Le prove raccolte dalla neurofisiologia indicano a chiare lettere che la forma onirica è ontologicamente primaria rispetto al contenuto onirico e che qualsiasi approccio al contenuto onirico che ignori la forma onirica oppure che tenti di spiegare la forma onirica attraverso l’analisi del contenuto equivale a mettere il carro davanti ai buoi. Ma certo non tutti gli aspetti formali dell’attività onirica valgono per l’arte. La maggior parte delle opere d’arte non provocano in noi degli stati allucinatori né ci spingono a credere che siano vere. Allo stesso modo, anche se le opere d’arte possono essere cognitivamente bizzarre o fastidiose, esse sono pure in grado di evocare sensazioni di calma, pace e riflessione. Il motivo sta nel fatto che gli artisti operano mentre sono in stato di veglia e che noi, a nostra volta, osserviamo le loro opere in stato di veglia, uno stato di coscienza nel quale gli aspetti formali delle caratteristiche

oniriche vengono tenuti attivamente in sospeso. Quali che siano le emozioni evocate da un’opera d’arte, esse vanno integrate con il suo contenuto con una continuità tale da rendere il contenuto artistico plausibile e affascinante quanto i nostri sogni; e la capacità di un’opera d’arte di sedurre le percezioni degli osservatori viene ottimizzata dalla sua capacità di sedurre i sentimenti degli osservatori. Il significato dell’opera d’arte e dei sogni trae origine da questa integrazione di percezione ed emozione. Sia la percezione che l’emozione sono, ovviamente, collegate al contenuto e vengono facilitate più da determinati contenuti che da altri, come ci mostra con particolare chiarezza la forza duratura dell’opera di Hieronymus Bosch. Il paesaggio fantastico di Bosch: l’allucinazione come stato naturale della mente nei sogni e nell’arte Il dipinto di Bosch, tradizionalmente chiamato L’Uomo-albero, è uno studio del cosiddetto “Uomo-uovo” nel pannello dell’Inferno del Trittico delle delizie, ospitato al Prado. Il quadro è un vero e proprio manuale dei tratti formali distintivi dei sogni. La verosimiglianza visuale dell’albero umanoide, fisicamente impossibile, che occupa il centro del dipinto è incongruamente e, tuttavia, uniformemente, integrata all’interno di un paesaggio descritto in maniera realistica. È questa interpretazione del fantastico come se sgorgasse direttamente dal naturale – e come se a esso fosse inestricabilmente avvinto – a conferire all’immagine la sua plausibilità onirica. Alla luce del giorno – alla luce del risveglio – siamo certi di trovarci di fronte alla rappresentazione visuale di un oggetto interamente immaginario, mostruoso. Ma, ciononostante, Bosch ci convince della naturaDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Hieronymus Bosch, L’Uomo-albero, 1503 circa, Albertina, Vienna. Il disegno di Bosch, uno

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schizzo preparatorio per l’Uovo-uomo nel pannello dell’Inferno del Trittico delle delizie, ricorda un’immagine

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onirica, per la sua fluida instabilità e per l’aspetto credibile, normale, che assume una visione allucinatoria

apparentemente impossibile.


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lezza della sua visione e questa normalizzazione dell’immagine allucinatoria, proprio come la naturalizzazione del potere allucinatorio dei sogni, è cruciale per il suo successo. Piuttosto che sondare l’oggetto misterioso, alla ricerca della sua significatività allegorica, lo accettiamo in quanto prodotto naturale della mente che simula uno stato alterato di coscienza. In maniera simile, rifuggiamo la riduzione della fantasmagoria onirica a trasformazione simbolica di forze istintuali che potrebbero aver contribuito alla loro genesi. L’etichetta psichiatrica di allucinazione per descrivere la visione onirica potrebbe sembrare inappropriata in quanto tende a patologizzare uno stato che è al tempo stesso normale e naturale. Senza il sonno onirico, gli animali periscono. E quando il sonno onirico viene limitato, gli esseri umani non riescono ad apprendere compiti semplici. Pertanto, è necessario spiegare perché utilizziamo una parola che denota una psicosi – la forma più estrema di psicopatologia – per descrivere un processo essenziale per la salute. Così facendo, intendiamo affermare che gli artisti fantasmagorici come Bosch sono essenziali per la salute della società così come lo sono i sogni per la salute dell’individuo. A parer nostro, l’esperienza universale della visione onirica allucinatoria ci mostra che la psicosi è uno stato di mente naturale e, in alcune circostanze, persino normale. Nei nostri sogni, siamo in grado di generare dei paesaggi fantastici, anche se raramente questi raggiungono il carattere grottesco e comico dell’Uomo-albero di Bosch. Come cercheremo di far vedere nel prossimo capitolo, la capacità di avere delle allucinazioni visive pienamente formate, vivide, iper-reali (o surreali) durante il sonno è un talento naturale di ogni persona. Bosch ebbe la incredibile capacità di incorporare un processo del tutto naturale come quello nelle sue opere d’arte. Al fine di suffragare il nostro assunto

principale – cioè che L’Uomo-albero di Bosch è onirico per il modo in cui riesce a normalizzare o a naturalizzare la sua visione che sembrerebbe del tutto impossibile – vogliamo aggiungere due importanti avvertimenti: prima di tutto, l’avvertimento formale che il sogno e il dipinto di Bosch sono similmente – ma non identicamente – allucinatori; in secondo luogo, che i contenuti dei nostri sogni e del dipinto di Bosch potrebbero non essere neppure simili. I nostri sogni non prevedono necessariamente dei mostri o delle chimere mitologiche e neppure figure umane sezionate, con busti di forma ovale. I contenuti mentali, di qualsiasi forma siano, sono sempre locali, personali e topici. Il loro carattere metaforico è pertanto limitato. Ma i mezzi attraverso cui si esprimono sono universali. Al contrario, i nostri sogni consistono in una miscela uniforme di possibile (persino banale), altamente improbabile e francamente impossibile. E sono sempre in equilibrio precario, sull’orlo del disagio e dell’ansia che potrebbe trasferirsi nel terrore orribile e insopportabilmente doloroso degli incubi. I nostri corpi possono rivelare la loro intrinseca decadenza, per esempio quando nei nostri sogni da incubo ci cadono i denti, ci sentiamo paralizzati oppure le nostre membra vengono mutilate. E, cosa più importante di tutte per la teoria formalistica, i protagonisti dei nostri sogni spesso sono chimere, anche se non sempre di tipo mitologico. Vedere per credere: l’accettazione delirante del linguaggio figurato visivo Dire a un paziente psicopatico che la voce accusatoria che sente oppure che l’insetto fantastico che vede strisciare sulla parete della sua stanza non è affatto reale, bensì mero sintomo della sua patologia, è altrettanDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Peter e il suo gatto che dormono a casa. La bellezza fisica e le caratteristiche posizioni del sonno naturale sono state catturate per la prima volta dagli studi fotografici di

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Theodore Spagna. Avendo acquistato un apparecchio per fotogrammi a scatti, Spagna ritrasse le dinamiche del comportamento nel sonno e mostrò quello che lui chiamava hidden landscape

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(paesaggio nascosto) di sequenze naturali che erano programmate dai meccanismi cerebrali del ciclo NREM-REM. Tanto gli esseri umani quanto gli animali, loro compagni naturali di letto, tendono a

cambiare la propria posizione ogni volta che il cervello cambia il proprio stato.


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to inutile quanto convincere noi stessi nel sogno che non siamo realmente svegli ma che stiamo semplicemente sperimentando i sintomi del sonno. Il delirio va a braccetto con l’allucinazione proprio perché non esiste una esperienza soggettiva più convincente di una vivida percezione. Noi crediamo davvero ai nostri sogni, non possiamo far altro che credere a ciò che vediamo e sentiamo. L’instabilità fluida dei sogni che dirige le nostre spaventose convinzioni viene simulata dall’incredibilità dell’equilibrismo dell’Uomoalbero di Bosch. Immaginate che i vostri piedi indossino delle scarpe simili a barche galleggianti sulla superficie dell’acqua. È possibile che noi abbiamo sognato di sfiorare l’acqua e di restare a galla e in piedi sulla superficie di laghetti, canali e fiumi onirici, ma mai in situazioni in cui ci sia stato chiesto di tenere in equilibrio sulle nostre teste un vassoio circolare contenente una profonda brocca dentro la quale è conficcata un’alta scala a pioli, a metà della quale sta un uomo che tira un cavo attaccato a un pennone che spunta dal nostro ventre a forma di uovo rotto. Su questa vertigine irreale veglia un saggio gufo appollaiato su un ramo che si eleva alla stessa altezza della scala, fin sopra la nostra testa, proprio come la nostra testa è sopra l’acqua. Questa animazione sospesa – un disequilibrio che sta per squilibrarsi – è, com’era prima, una descrizione visiva del processo di allucinazione-delirio che si appropria delle nostre menti-cervelli quando sogniamo. La tensione dinamica dell’Uomo-albero sembra esistere sull’orlo della catastrofe: sicuramente non ci si può aspettare che i fili sottilissimi che mettono in connessione la scala pericolosa, il pennone e la punta delle scarpebarche ai ginocchi dell’albero reggano; ma reggono e l’intera illusione viene sorretta nell’aria, come l’uomo che cammina sul filo in un circo.

Discontinuità e incongruità: le discrepanze della conoscenza onirica Il mostro fantastico di Bosch vive in un mondo normale in cui la vita scorre in maniera tranquilla; un espediente, quest’ultimo, che consente di incrementare ulteriormente la naturalizzazione dello stravagante. La forma convincente delle visioni fantasmagoriche di Bosch appartiene alla natura tanto quanto il paesaggio convenzionale, con i suoi alberi, uccelli, animali, con le guglie delle sue chiese che compongono lo schermo sul quale viene proiettata la sua bizzarra visione. Quando si è svegli, un albero è solo un albero. Dobbiamo strabuzzare gli occhi e lasciare che le nostre menti finiscano nella zona crepuscolare per poterlo vedere in quanto persona. Eppure, tutti gli alberi dispongono di tronchi (busti) e di radici (membra) che possono diventare le basi di una trasformazione antropomorfica. Nella generazione del sogno e nell’arte fantasmagorica, le regole associative che governano tali trasformazioni sono meno rigide, con il risultato che la continuità tra persone, tempi, luoghi e azioni si spezza e l’interezza contestuale delle scene oniriche si frammenta. Di rado la discontinuità e l’incongruità dei nostri sogni sono tanto inaspettate e fastidiose come nella pittura di Bosch. Ma sono sempre lì. Quando analizziamo i resoconti onirici dei nostri soggetti sperimentali dal principio alla fine, ce ne accorgiamo in ogni momento. Potrebbe trattarsi di qualcosa di microscopico – e insignificante – oppure di qualcosa di drammatico e manifesto. Stravaganza, discontinuità e incongruità stanno proprio al centro di quello che intendiamo quando diciamo “Ho fatto un sogno stranissimo”; e di quello che Bottom intende, quando dice in Sogno di una notte di mezza estate: Ho fatto un sogno che non c’è testa di scienziaDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Studi su soggetti addormentati in laboratorio. Dopo aver riscontrato i cambiamenti di postura negli studi fotografici effettuati sul sonno di

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soggetti dormienti nei loro letti di casa, abbiamo deciso di fotografarli in laboratorio. Abbiamo riscontrato che ogni cambiamento di postura corrispondeva ad un mutamento nello stato

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cerebrale del sonno. I cambiamenti di postura erano frequenti nell’addormentamento e nelle fasi NREM e REM del sonno, come dimostrato in questa immagine.


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to che possa dire che sogno era… Non c’è occhio d’uomo che abbia mai sentito, non c’è orecchio d’uomo che abbia mai visto, non c’è mano d’uomo che abbia mai assaggiato, non c’è lingua che abbia mai toccato e tanto meno cuore che abbia mai raccontato un sogno come il mio. In un certo senso, potremmo supporre che questa stranezza vada a braccetto con l’allucinazione e il delirio. Mentre questi due processi effettivamente operano insieme, la stravaganza onirica riflette molto più della capacità di avere delle visioni e di ritenere che siano reali. Anzi, essa pone un fardello ulteriore sulla consapevolezza auto-riflessiva del sognatore, proprio come la creatura fantastica di Bosch impone sulla nostra sospensione di convincimento una richiesta superiore rispetto, per esempio, alle descrizioni altrettanto convincenti che Pieter Brueghel fa della vita quotidiana fiamminga. In entrambi i casi, la simulazione della realtà naturale di questi quadri li rende abbaglianti; ma, nelle mani di Bosch, ci viene chiesto di fare un ulteriore passo. Leggendo il dipinto di Bosch dal basso in alto, prendete in considerazione gli esempi seguenti: - scarpe-barche: le scarpe dell’Uomo-albero sono delle barche. Essendo fatte di legno, sono verosimilmente in grado di galleggiare. Ma le barche non sono delle scarpe e non sono in grado di sostenere il peso dell’Uomo-albero né di mantenere la stabilità dell’elaborata struttura posizionata angosciosamente su di esse; - arti-rami: al tempo stesso, arti anteriori e arti posteriori, le gambe del tronco d’albero incrementano il nostro senso di stravaganza, riducendo il mostro di Bosch con la sua testa umana a qualcosa di più simile a una scimmia o addirittura, come nella Metamorfosi di Kafka, a uno scarafaggio gigante. A trasmettere l’allusione scimmie-

sca è il fatto che l’Uomo-albero, per così dire, cammina sulle nocche, e a sostenere l’evocazione di uno scarafaggio gigante è il busto a forma di uovo. La metamorfosi avanza ulteriormente grazie al fatto che i rami più piccoli degli arti del tronco effettivamente forano e trapassano il torso-ventre; - busto-tronco: il centro visivo del quadro e il vettore che tira all’indietro e verso il basso e che minaccia di distruggere questo delicato equilibrio è la pancia-culatta di questa creatura. Questo elemento anatomico incongruo è radicalmente discontinuo. L’enorme buco sul suo fianco rivela la sua funzione ingorda. L’alimentazione viene rappresentata in maniera diretta e trasparente attraverso il tavolo da banchetto, con i suoi minuscoli commensali, uomini davvero piccoli, all’interno del gigantesco Uomoalbero immaginario. Gli ometti sulla barca, nella brocca, e sulla scala svolgono il medesimo ruolo: riformulano e ancorano il fantastico nell’ambito dell’ordinario. Allo stesso tempo, trasmettono ironicamente il senso di incongruità generale perché, al pari degli uomini ciechi che descrivono l’elefante, nessuno di loro è in grado di percepire l’intero, grande disegno. Pertanto, essi sono destinati, come i Lillipuziani di Gulliver, a lottare in vano per imbrigliare forze che sono fuori della loro portata. I loro irrisori sforzi integrativi sono futili, dato che l’intero edificio dell’ambizione umana sta per crollare. La radice della stravaganza onirica è il disequilibrio cognitivo causato dalla instabilità orientativa. Tempi, luoghi, persone e azioni cambiano senza preavviso. In un dato momento, magari stiamo camminando – o correndo – in un paesaggio silvestre. Il momento successivo ci ritroviamo inspiegabilmente seduti a tavola, del tutto inconsapevoli della impossibilità – se non nella DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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immaginazione – di un tale cambiamento di scena. Non domandiamo a noi stessi, più di quanto lo domandiamo a Bosch, come sia potuto accadere tutto ciò. In questo libro, suggeriremo delle risposte a tale quesito. Una è che l’emozione fornisce l’integrazione che l’orientamento ha tradito. L’altra è che la memoria attiva, essenziale per l’orientamento, ha concesso un posto migliore – tanto nel cervello quanto nella mente – all’emozione. Bosch ha raccolto queste verità mezzo millennio prima che la neuroscienza le dimostrasse. Testa-vassoio-brocca-scala Per rendere credibile il busto della scimmia-scarafaggio, Bosch ha attaccato alla sua estremità frontale una testa sproporzionata, ancora una volta distruggendo il modello antropomorfico: L’Uomo-albero si è trasformato in Albero-uomo. La testa è troppo piccola e inadeguata a svolgere il suo normale compito: comprendere, integrare e ordinare. La testa-estremità, sembra dire Bosch, non può equilibrare la coda-estremità. La ragione non è in grado di gestire la parte vegetativa di noi perché i nostri appetiti sono troppo forti. Il sorriso sbarazzino sulla faccia è al tempo stesso provocatorio e schivo. Guardatemi, dice, non sono tanto ridicolo quanto meraviglioso? Nei sogni, lo stesso tipo di incapacità di gestire i nostri io vegetativi dipende da una diminuzione del potere della ragione, a causa del mal funzionamento della memoria attiva. E nei sogni, noi sperimentiamo delle chimere che sono del tutto impossibili, quanto lo sono i personaggi onirici che cambiano identità o assumono l’aspetto di diverse persone a noi conosciute o ignote. I nostri studi sui limiti di questo tipo di metamorfosi, tuttavia, dimostrano che nei sogni essa solitamente non si spinge oltre i confini quanto

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l’eccentrica rappresentazione della piantauomo concepita da Bosch. Per enfatizzare l’irrealizzabile ambizione dell’attività di equilibrio cerebrale, che rappresenta per noi umani la sfida principale, Bosch accumula il vassoio, la brocca e la scala a pioli sopra la testa dell’Uomo-albero. Se questi oggetti possono risultare sufficientemente pesanti per controbilanciare le viscere sporgenti dalla cavità anale del mostro, essi non rendono tuttavia i suoi appetiti meno turbolenti. Oggetti domestici (la brocca) e strumenti architettonici (la scala a pioli) sono certamente invenzioni mirabili, ma rischiano di rendere il processo integrativo più difficile, soprattutto se utilizzati per scopi perversi. La brocca sulla testa è da dieci a venti volte più grande della brocca nella pancia e il suo uso è più ambiguo. Essa contiene non birra rossa bensì altri uomini minuscoli, omuncoli che cercano nell’aria risposte indisponibili a quesiti imponderabili. Accecati dal nostro coinvolgimento nel topico, nel locale e nel triviale, aspiriamo a sollevarci e a guardarci intorno. Salendo su una scala, uno degli omuncoli di Bosch cerca, come facciamo noi, di fuggire dall’ignominia del sortilegio onirico. Utilizzando una scala psicologica, a volte riusciamo ad acquisire uno stato di veglia razionale sufficiente a sapere che stiamo sognando e a cercare di fare qualcosa in proposito, per divenire, come diciamo noi, lucidi, illuminati o penetranti. Tuttavia, la nostra lucidità onirica è posizionata in maniera alquanto instabile ed è connessa, attraverso un semplice filo simile a un nervo, a un pennone simile a un ago inserito nel nostro carapace spaccato. Da quassù non riusciamo neppure a vedere cosa succede dentro le nostre pance, ma forse siamo in grado di mandare un messaggio abbastanza forte da spostare leggermente l’equilibrio


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verso il piacere e lontano dall’ansia che sta dissolvendosi. Sembra che Bosch ci stia dicendo che abbiamo praticamente le stesse possibilità di salvarci dall’istinto schiavistico quante ne ha un sognatore di sapere cosa sta succedendo e cosa fare in proposito. La stravaganza dell’immagine ci fornisce l’unico indizio per sapere che siamo nella morsa della bestia rappresentata dal nostro stato cerebrale. La piccola parte del nostro cervello che è in grado di svegliarsi – e di restare vigile – è il nostro omuncolo, persino più piccolo del gufo che è in grado di vedere di notte e che rappresenta la saggezza. Ma, trovandosi sul punto più alto, sarà anche il primo a cadere quando le leggi della fisica (e il fato) faranno crollare l’edificio della fantasia con il suo equilibro impossibile. Emozione: la forza integrativa nel sogno e nell’arte onirica Incoerenti, incongrue e discontinue come possono essere il linguaggio immaginoso o quello onirico nell’arte, le parti spezzate vengono tenute insieme tanto dalla forza unificante delle emozioni quanto dalla fusione percettiva o dalla sintesi artistica. E le emozioni oniriche trainanti sono la paura e l’ansia. Gran parte dei sogni sono sgradevoli, in quanto permeati da un senso di premonizione che va dalla lieve inquietudine dovuta a una confusione orientativa al grave panico dovuto a dissoluzione e autodistruzione. I sogni possono anche essere estatici. La domanda che sorge è perché siamo in grado di vivere solo raramente impulsi positivi come gioia, euforia ed estasi, mentre quelli negativi come paura e ansia sono molto più frequenti? Questo ci dice forse qualcosa sulla nostra natura? Per i tardi medievalisti come Bosch, la risposta a tale quesito sarebbe dovuta essere sì. Nel contesto di una cristianità tradizionale, la vita era radicata nel peccato e la dan-

nazione aveva la sua inevitabile conseguenza. Gli esseri umani, pertanto, vivevano costantemente nel timore e nel terrore del proprio destino. Cadremo tutti, proprio come gli ingordi che governano il nostro stomaco o come il funambolo della corda che rappresenta la nostra ambizione. Si può dire che paura e ansia siano le emozioni primarie che, implicitamente tanto quanto esplicitamente, uniscono gli aspetti più disparati dell’Uomo-albero di Bosch. Quale ruolo svolgono, potremmo chiederci, nel processo volto a vincolare con successo l’attenzione dello spettatore al quadro? L’ansia nei sogni viene spesso associata alla sorpresa, perché la stravaganza di immagini successive riesce a cogliere la nostra attenzione in maniera continua. Nel quadro di Bosch, questa evocazione sequenziale dell’ansia viene stimolata dalla nostra percezione della stravaganza dei diversi dettagli dell’opera. È uno stato di inquietudine lieve e non fastidioso ed è, per così dire, ancorato al nostro divertimento di fronte all’inventiva giocosa dell’artista. L’umorismo è una reazione emotiva altrettanto comune nei nostri resoconti onirici, persino laddove è un’emozione rara all’interno del sogno stesso. Le assurde creazioni delle nostre menti oniriche ci lasciano una sensazione piacevole. Osservando il quadro di Bosch, abbiamo l’impressione che l’Uomo-albero sia tanto divertito quanto costernato nell’essere coinvolto nell’avvilente commedia dell’esistenza. L’ansia onirica è solo una reazione secondaria, come sosteneva il modello dei sogni di Freud, oppure è lo stampo principale del linguaggio immaginoso dei sogni? Abbiamo buone ragioni per ritenere che le emozioni oniriche possano ricoprire una parte importante nell’organizzazione del linguaggio immaginoso e del pensiero almeno quanto nel costituire le reazioni agli elementi dell’intreccio onirico. In altri termini, l’ansia onirica, come l’alluciDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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nazione onirica, il delirio onirico, e la stravaganza onirica sono tutte conseguenze naturali e, in misura significativa, indipendenti, dei processi biologici che guidano la mente-cervello nel sonno. Sono esistenziali e vincolanti come un uomo intrappolato nella forma di una pianta o come la forma di una pianta che cerchi di farsi uomo. L’amnesia onirica e il potere ipnotico dell’arte onirica Si stima con certezza che almeno il novantacinque per cento e, con ogni probabilità, più del novantanove per cento dei nostri sogni non possa essere ricordato. Alcuni individui sostengono di non ricordare di aver fatto un solo sogno in tutta la loro vita. Ciò significa, forse, che tali individui – o la gran parte di noi – non hanno immaginazione? Significa che esistono degli artisti che non sognano? O che esiste un’arte senza il sogno? Niente affatto. Al contrario, il sogno è il più estremo e il più istruttivo dei nostri stati autocreativi. Il fatto che non ricordiamo gran parte dei nostri sogni non significa che essi non ci siano stati. Diversi studi di laboratorio sul risveglio convalidano le ipotesi secondo cui noi sogniamo – con grande intensità – per almeno un’ora e mezza ogni notte e che forme meno intense di coscienza possono occupare più o meno altre tre ore. La scienza incontra le stesse difficoltà dell’arte quando deve studiare o rappresentare qualcosa che non c’è. Come si può superare il fatto che i sogni vengono dimenticati? Il nemico, ovviamente, è il sonno stesso. Per ricordare i sogni, dobbiamo svegliarci. E dobbiamo svegliarci in fretta e spontaneamente, possibilmente senza muoverci, se vogliamo catturare le nostre fugaci visioni oniriche. Può essere d’aiuto lavorare un po’ sulla raccolta dei sogni. Un buon inizio potrebbe essere tenere un diario. Come

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abbiamo appreso noi stessi, un taccuino sul comodino, insieme a un po’ di auto-ipnosi, è in grado di innalzare sensibilmente la capacità di ricordare i sogni. La chiave per avere successo è di riuscire, quando si va a letto, a notare le proprietà, simili a quelle proposte da Bosch, della coscienza onirica, mentre il sogno è in corso. Tale identificazione servirà a innescare il risveglio e la memoria del sogno. Una volta effettuato tale passo, noi non solo esercitiamo una sorta di ipnosi su noi stessi – sensibilizzando la nostra consapevolezza nei confronti degli aspetti stravaganti, iperassociativi e visivamente metaforici della coscienza – ma dissociamo anche una parte ridotta delle nostre menti osservazionali, in maniera da cogliere una vaga percezione di quello che sta succedendo. Compiendo questo passo, diventiamo noi stessi degli artisti onirici. Guardandoci alle spalle, riusciamo a vedere fuori dal nostro complesso macchinario cerebrale. Fuggiamo dalla risolutezza della nostra testa-brocca e diamo una timida occhiata ai nostri ego incredibili. Una volta che iniziamo a scorgere i nostri sogni, ci accorgiamo che sono sovraccarichi di dettagli immaginativi, come succede nell’opera di Bosch. Forse, scopriremo addirittura che ci risulta impossibile registrare in parole tutto ciò che vediamo e sperimentiamo: le parole non sono il modo migliore per rappresentare le sensazioni, specialmente sensazioni visuali-motorie, che caratterizzano i sogni; inoltre, c’è semplicemente troppo materiale. La bizzarra complessità dei sogni ha bisogno di un numero di parole superiore a quanto uno stato normale di coscienza possa raccogliere. Un’alternativa possibile sta nel disegnare, abbozzare, o dipingere i nostri sogni. Mentre viveva a Parigi negli anni ’30, l’artista surrealista americano Man Ray tenne un diario onirico sotto forma di disegni realizzati con un pennino a inchiostro, attraverso i quali


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Man Ray, Sogno, 1937, collezione privata. Questo disegno proviene

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da un quaderno di appunti che Man Ray teneva sul comodino e sul quale, a ogni suo

risveglio, annotava immediatamente i sogni che ricordava, disegnandoli. “In questi

disegni”, disse, “sono le mie mani a sognare.”

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registrava le proprie fantasie oniriche, senza nessun freno. Molti di quei disegni, compreso il disegno intitolato Rêve (Sogno) che mostra una locomotiva circondata da una cortina di fumo fluttuante che sfreccia verso il suolo sopra una serie di grattacieli, furono pubblicati nel 1937 nell’opera Les mains libres, accompagnati da alcune poesie dell’amico di Man Ray, Paul Eluard. Il titolo del libro – Mani libere – fu suggerito dalla frase dell’autore, “in questi disegni, le mie mani sognano”. Inoltre, l’artista spiegò che Sul comodino, tengo sempre un taccuino e una penna con l’inchiostro. Al mattino, quando mi sveglio, se ho sognato, la prima cosa che faccio è abbozzare il mio sogno. Chiaramente, Man Ray non era consapevole del fatto che noi tutti sogniamo diverse volte ogni notte della nostra vita. Se lo avesse saputo, non avrebbe detto “se ho sognato”, bensì “se mi ricordo ciò che ho sognato”. Non sappiamo se, al pari di Man Ray, l’autore e pittore surrealista Alberto Savinio abbia tenuto un diario giornaliero. Siccome è possibile, il quadro di Savinio Il marinaio è un’immagine significativa ed evocativa di un resoconto onirico. Il marinaio viene scosso sulle onde del sonno e la sua nave onirica è disorientata, per quanto concerne tempo e spazio. Non ha grande importanza il fatto che una mano schematizzata e separata dal corpo stia registrando il suo sogno oppure lo stia programmando. La moderna scienza onirica è tanto interessata al modo in cui i sogni si formano quanto a quello in cui la forma dei sogni può venire registrata e misurata. La cosa più interessante nel quadro di Savinio è che vi è rappresentata una scrittura automatica, il metodo di creazione artistica (o anti-artistica) che, nei primi anni ’20, André Breton e Philippe Soupoult

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preannunciarono come il cuore del progetto surrealista. Un moderno artista onirico: Il Macchinista Persino per gli individui privi di talento artistico o di educazione all’arte, un quadro onirico vale almeno mille parole oniriche. Calza a pennello il caso del sognatore che venne chiamato Il Macchinista quando la sua straordinaria rivista onirica fu introdotta ne La macchina dei sogni. Per chiudere il cerchio che va dall’artista all’uomo comune e dall’uomo comune all’artista, daremo un’altra occhiata al suo lavoro. Rispetto a Bosch, i disegni onirici del Macchinista sono scarsamente sofisticati e tecnicamente crudi; ma proprio perché sono così incontrollati e così evidentemente genuini, questi schizzi conferiscono al nostro trattamento più speculativo dell’arte onirica erudita una base molto solida per mostrare l’attività onirica di una persona normale. Il Macchinista era un esperto osservatore di insetti. Di giorno, faceva l’entomologo alla Smithsonian Institution di Washington e fu in quella città che, durante l’estate del 1939, compose il magnifico registro dei suoi sogni. Per pura combinazione, era anche smisuratamente interessato ai treni e, proprio perché molti dei suoi sogni riflettevano questo suo interesse, venne chiamato Il Macchinista ne La macchina dei sogni. Nell’arco di cento notti consecutive, lavorando da solo a casa, tenne un diario sistematico delle esperienze che gli si erano impresse nella memoria, dopo 256 risvegli spontanei. Come succede spesso in casi simili, la sua capacità di ricordare crebbe rapidamente e, nel corso delle prime due settimane del suo esperimento, le sue descrizioni e i suoi disegni si fecero più lunghi e più dettagliati. Grazie a questa straordinaria massa di


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Disegni/estratti del diario del Macchinista – Golf (sopra) e Passeggiata vicino ai binari (a sinistra). Nell’estate del 1939, un entomologo della Smithsonian Institution registrò 256 sogni fatti in 100 notti consecutive. Siccome egli descrisse i suoi sogni in maniera leggibile e dettagliata, e siccome ne illustrò parecchi, noi abbiamo attinto abbondantemente al suo diario per stabilire la natura peculiare del sogno e per illustrare i fenomeni onirici che siamo riusciti a studiare in maniera sistematica. Siccome questo sognatore amava i treni, lo abbiamo soprannominato Il Macchinista.

informazioni, siamo in grado confermare la presenza di tutte le caratteristiche formali dell’attività onirica di cui abbiamo discusso in riferimento all’Uomo-albero di Bosch, a eccezione del fatto che queste vengono trattate in maniera più diretta e, di conseguenza, meno metaforica. Per esempio, mentre le

visioni oniriche del Macchinista erano chiare e dettagliate, e talmente convincenti che lui non dubitò mai di essere sveglio quando le ebbe, in genere non furono per niente fantastiche e mai mostruose. Oltre ai treni, i disegni rappresentarono case, automobili, persone, mobili, ascensori e – ovviamente – DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Accensione neuronale pontina.

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(Sopra) Potenziali di azione per un unico neurone gigante pontino, registrati attraverso un

insetti. Tuttavia, mentre questo argomento fu sempre comune, esso venne sperimentato dal sognatore nello stesso contesto stravagante che il dipinto di Bosch cattura così bene. Nella rivista del Macchinista, come nei resoconti onirici di laboratorio, incongruità e discontinuità, che sono l’essenza della stravaganza onirica, erano individuabili praticamente in ciascuna frase di ogni resoconto onirico più lungo di dieci righe (o di cinquanta parole). Questo fatto prova, al di là di qualsiasi dubbio, come i risvegli che hanno fornito questi dati di esperienze mentali fossero associati alla fase del sonno chiamata REM, di cui noi descriveremo le caratteristi-

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microelettrodo. (Sotto) Impulsi, innescati per accensione di una unità, utilizzati nell’analisi

computerizzata dell’attività di una unità.

che nel capitolo 2. E anche molti dei disegni riflettevano tali caratteristiche. Pertanto, vediamo dei camion in mezzo a giardini fioriti (incongruità) e cavalletti ferroviari sospesi a mezz’aria (discontinuità) che, al pari dell’Uomo-albero di Bosch, fluttuano incongruamente in un laghetto. A completare queste caratteristiche oniriche difettose contribuiscono la qualità immaginativa, quella inventiva, quella creativa e quella scherzosa che, a quanto pare, rappresentano la ricompensa artistica per l’abbandono della logica e della coerenza di uno stato di veglia. E qui il nostro Macchinista si avvicina molto al suo famoso predecessore quando questo confronto è stretta-


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mente formale e non è un commento sulla qualità dei disegni. Nel suo sogno del Tappeto volante, osservato a pagina 80, il Macchinista sfida la legge della fisica e l’immagine del suo io onirico, che resiste strenuamente, trasmette lo stesso insieme di sorpresa, euforia e paura ispirato dall’improbabilità altalenante della costruzione della testa-brocca. La vita onirica può essere pericolosa. Nel suo resoconto di accompagnamento, il Macchinista cerca di condurre il suo hovercraft a un approdo sicuro e giunge persino a convocare un cospiratore con una scala a pioli che lo aiuti a scendere da quella rischiosa postazione. I sognatori che con successo hanno provato su se stessi dei trucchetti di memoria – riottenendo così una consapevolezza autoriflessiva (o lucidità) – attraverso attività che sfidano la morte, come il volo, riescono a controllare la propria paura (dopo tutto, è solo un sogno) e, di conseguenza, a ottenere la nonchalance del funambolo di Bosch. Ma le costruzioni oniriche più creative e più emotivamente significative del Macchinista sono la Bicicletta per due (con un solo guidatore) e il Desk Top Computer (concepito un quarto di secolo prima che il personal computer venisse inventato), entrambi a pagina 199. Da zoologo comparativo specializzato nella classificazione degli insetti, il nostro artista onirico dilettante incontrò il problema del rapido recupero delle migliaia di note appuntate su foglietti 5x7, di cui aveva riempito i sei cassetti laterali della sua scrivania in quercia Grand Rapids. Gli fu d’aiuto averle catalogate in ordine alfabetico ma, comunque, doveva pur sempre aprire i cassetti e frugare nei bigliettini quando gliene serviva uno in particolare. Mentre Alan

Turing sviluppava il principio del computer digitale, il Macchinista stava sognando la macchina delle informazioni che si vede a pagina 199. Spingendo la giusta bandierina sulla sua scrivania onirica, il cassetto con le note che descrivevano gli insetti, il nome della cui specie iniziava con una data lettera, si apriva con uno scatto. Da scapolo i cui sogni spesso rappresentavano la madre, il padre, le due sorelle e il nipote – ma mai un’innamorata – il disegno del sogno della Bicicletta per due visto a pagina 199 è un trasparente autoritratto del desiderio che descrive il solitario entomologo pedalare sul sellino anteriore della bicicletta mentre quello posteriore resta vuoto. Quali che siano le psicodinamiche che stanno dietro a questo disegno, l’immagine è formalmente stravagante e persino esotica. Se è convincente quanto lo è l’Uomo-albero di Bosch, è altrettanto improbabile. Immaginate la pesantezza superiore provocata dal connettore a catena delle due biciclette oniriche. E cosa mantiene in corsa la seconda bicicletta? Perché l’intera struttura non cade, come anche la scala che fuoriesce dalla brocca sulla testa dell’Uomo-albero? La sospensione di incredulità a cui siamo tutti inclini nei sogni è tanto chiara nei disegni onirici del Macchinista quanto lo sono le immagini di Hieronymus Bosch, che ci allettano con il loro potere ipnotico. Quali sono i meccanismi cerebrali intrinseci che rendono possibile questa gradevole assunzione di controllo da parte della nostra mente? Nel prossimo capitolo, rivolgeremo la nostra attenzione alla neurobiologia del sonno REM per ottenere le possibili risposte.

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Capitolo 2 | L’uomo comune diventa artista

Cellula gigante di una formazione reticolare pontina (Macchia di Nissl). In questa rappresentazione artistica realizzata da uno scienziato si può vedere il corpo cellulare di uno dei neuroni del tronco encefalico che si è

dimostrato attivo nel sonno REM. Dato che la tintura a base di anilina tinge fortemente il materiale nucleare, questo neurone sembra in tutto e per tutto un occhio ma, per quanto grande rispetto ad altri neuroni, questa cellula è di dimensioni realmente

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microscopiche (50-75 micron di diametro). La ricerca scientifica ha rivelato che neuroni come questo possono partecipare alla generazione dei movimenti oculari e alla loro armonizzazione con i cambiamenti di posizione della testa, del collo e del

tronco. Inoltre, essi possono mediare il riflesso sussultorio e le onde PGO del sonno REM. Pertanto, vengono annoverati fra i tanti architetti neuronali delle esperienze mentali come i sogni.


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L’uomo comune diventa artista La mente autocreativa nel sonno onirico

Le caratteristiche del sonno favorevoli ai sogni comprendono, prima di tutto, la predominanza del controllo automatico su quello volontario, nella macchina cerebrale. Wilhelm Wundt, Grundlagen der Physiologischen Psychologie (1874)

Mentre siamo svegli, i nostri cervelli e le nostre menti sono imbrigliati in compiti pedestri ma essenziali. Diversi processi cerebrali ben coordinati, che la moderna ricerca sul sonno ha iniziato a identificare e a misurare, garantiscono una elaborazione efficiente ed efficace delle informazioni al servizio di tali compiti. Essi sono: - attivazione; - input-output (controllo); - modulazione chimica. Per attivazione (A) si intende il livello di capacità di elaborazione del cervello; per controllo di input-output (I) si intende la fonte delle informazioni elaborate; per modulazione (M) si intende il destino delle informazioni elaborate che dipendono dalla chimica cerebrale. Una proiezione tridimensionale mostra come questi processi

interagiscano per generare un ciclo sonnoveglia. Per aiutare il lettore a comprendere i processi di attivazione e neuromodulazione e la loro rilevanza per la produzione di immagini nel sogno e nell’arte, sarà utile osservare i quadri che sembrano illustrarci direttamente come mai li prendiamo come termini di riferimento. Più tardi, in questo capitolo, torneremo al processo del controllo di input-output. La nascita del mondo del surrealista spagnolo Juan Miró illustra l’attivazione, focalizzandosi sul livello compositivo elementare della formazione delle immagini. Io e il mio villaggio, del pittore russo Marc Chagall, ispirato al cubismo, illustra il ruolo della neuromodulazione nella riorganizzazione delle regole dell’ordine spazio-temporale attraverso una sovrapposizione caotica, immaginosa, di scene dell’infanzia dell’artista. DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Juan Miró, La nascita del mondo, 1925, Museo d’Arte Moderna, New York.

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Questo dipinto mostra un mondo embrionale di energia libera in grado di creare il proprio ordine di

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configurazioni nuove e imprevedibili. Questo processo artistico può essere messo in

collegamento con il processo di attivazione neuronale nel cervello sognante.


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Al pari della pozzanghera ipotetica in cui è sorta la vita nel momento in cui tutto ha avuto origine, La nascita del mondo di Miró è un mondo embrionale fatto di energia libera in grado di creare il proprio ordine. Questa energia innata è l’essenza dell’attivazione. Essa è propria di ogni cellula dell’organismo e la sua regolamentazione è responsabilità specifica del cervello. È facile comprendere come questa pulsione quotidiana dell’attivazione cerebrale mantenga il corpo in armonia con il flusso e il riflusso dell’energia proveniente dal sole. Ma certe pulsioni dell’attivazione cerebrale caratterizzano anche il sonno, facendo sì che la mente ricombini i suoi elementi primordiali in configurazioni nuove e imprevedibili. Alcuni scienziati pensano che questo tipo di attivazione cerebrale contribuisca a mantenerci in armonia con noi stessi – con le nostre storie biologiche, psicologiche e sociali e con i nostri destini. Un modello che ci aiuta a comprendere il processo cerebrale chiamato modulazione è il registratore. Un altro è il quadro fiabesco di Marc Chagall Io e il mio villaggio. Infatti, ci basta solo pensare a una fiaba in quanto tale per afferrare il punto. Nelle favole, i normali schemi di tempo, luogo e persino le persone sono modificati in maniera tale che possano succedere – ed effettivamente succedono – cose impossibili o, quanto meno, altamente improbabili. Il fantastico e il magico rimpiazzano la realtà per far sì che le caratteristiche fondamentali del comportamento umano, dell’emozione umana e dei destini umani possano essere create. Il lavoro di Chagall illustra questo passaggio di schemi con grande chiarezza. Nell’opera Io e il mio villaggio, le distinzioni di sfondo e primo piano si perdono esattamente come avviene nella mente del sognatore in conseguenza al meccanismo di demodulazione nei sogni da sonno REM. Il paesaggio interno della memoria spazio-temporale

di Chagall evoca un senso di unità funzionale tra i mondi umano, vegetale e animale del villaggio. Il naso umano e il grugno della bestia si avvicinano l’un l’altro nel centro della composizione. Più sotto, viene offerto un ramoscello come gesto nuziale e in altri punti si sviluppa il tema dell’agricoltura. Una mucca viene munta (dentro la sua stessa testa), e più sopra a sinistra un uomo con una roncola e una donna lavorano in un campo. L’inversione simmetrica della coppia nel campo e i passaggi repentini di scala dai profili umani e animali alle figure miniaturizzate all’interno e tra di loro creano lo stesso tipo di sensazione estetica ed emozionale creata dalle dislocazioni e dalle incongruità nei sogni. L’effetto finale è trascinarci in un mondo le cui incongruità e discontinuità sono, proprio come succede nei sogni, altamente coinvolgenti e fortemente toccanti. È questo lo schema onirico che nel sonno viene indotto dalla modulazione chimica del cervello. I processi di attivazione e neuromodulazione attraverso cui il cervello-mente diviene autocreativo nel corso del sonno sono universali, fortemente preventivi e specificabili al livello biologico profondo delle cellule cerebrali (neuroni) e delle molecole chimiche (neurotrasmettitori) che i neuroni utilizzano per scambiarsi dei segnali. È importante sottolineare come questi fenomeni siano stati molto chiaramente identificati nello studio del sonno dei gatti e non degli uomini. Ma i gatti, come gran parte dei mammiferi, condividono i nostri stessi modelli di sonno: lo stato di veglia prima cede il posto a uno stato di incoscienza da sonno e poi si trasforma nuovamente, per garantire un’attività onirica intensa, vivida e stravagante. Queste scoperte profonde e preziose furono raggiunte attraverso studi animali dopo il riconoscimento dei gravi limiti delle tecniche utilizzate nello studio della neurobiologia del sonno umano nei primi anni ’60. Di recente, DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Marc Chagall, Io e il mio villaggio, 1911, The Museum of Modern Art, New York.

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Chagall ha cancellato le distinzioni tra primo piano e sfondo, scala, ubicazione e direzione (la mucca che viene munta

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dentro la sua stessa testa sul margine superiore sinistro, l’inversione simmetrica della coppia sul margine superiore

destro), come avviene nei sogni, a causa delle modulazioni del cervello nel sonno.


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a complemento di tali scoperte, c’è stato lo sviluppo di nuove tecniche di neuro-imaging, tecniche che consentono agli scienziati di definire meglio il processo di attivazione attraverso la individuazione di differenze regionali. L’attivazione e la disattivazione cerebrale, che sono state inizialmente ritenute globali sulla base degli studi EEG condotti sull’uomo e che in seguito hanno dimostrato di essere differenziate in studi condotti sugli animali, si sono ora dimostrate differenziate anche negli uomini. Una recente ricerca sul neuro-imaging ha dimostrato come il cervello che sogna evidenzi una maggiore attivazione delle aree cerebrali che presiedono alle emozioni e una generazione delle immagini visive complesse, e una minore attivazione delle aree cerebrali che presiedono a memoria, consapevolezza auto-riflessiva e pensiero comandato. Le implicazioni di queste scoperte per la teoria del sogno sono lampanti. Cercheremo di estenderle a una nuova teoria della produzione e dell’esperienza dell’arte. Come detto al capitolo 1, noi non implichiamo che l’arte venga creata in uno stato onirico oppure che l’arte sia necessariamente simile al sogno. Quello che intendiamo dire è che il cervello-mente umano è intrinsecamente autocreativo e che i processi attraverso i quali si garantisce l’attività onirica sono attinenti alla nostra comprensione generale dell’arte e, più in particolare, dell’arte onirica. Mentre tali processi sono chiaramente riconoscibili durante il sonno, essi sono più o meno operativi e più o meno facilmente attivati anche nello stato di veglia. La scoperta dell’attività onirica nel sonno REM Il fatto che l’attivazione cerebrale sia una determinante critica del livello di esperienza conscia fu sollevato a livello scientifico attra-

verso gli studi condotti da Giuseppe Moruzzi e Horace Magoun sul finire degli anni ’40. Utilizzando l’elettroencefalografo (o EEG) come indice, fu possibile dimostrare che si sarebbe potuta indurre, a livello sperimentale, l’attivazione associata a uno stato di veglia stimolando elettricamente il relativamente primitivo tronco encefalico, una struttura profonda che mette in connessione la corda dorsale con le sedi cerebrali superiori dell’emozione e della conoscenza. Queste regioni cerebrali superiori comprendono i lobi limbici (sedi delle emozioni) e la corteccia cerebrale (il centro della percezione e della conoscenza) che noi diamo per scontato siano necessari per la produzione e la gradevole fruizione dell’arte. Perché si abbiano entrambe le cose, bisogna attivare un interruttore posto nel nostro tronco encefalico. Fin qui, nessun problema, anche se ciò è solo indirettamente rilevante per la teoria dei sogni. Direttamente rilevante per l’attività onirica fu la scoperta fatta da Eugene Aserinsky e Nathaniel Kleitman nel 1953: gli stessi tracciati EEG di attivazione cerebrale globale associati a uno stato di veglia potevano verificarsi spontaneamente a intervalli di novanta sino a cento minuti nel sonno. Associato a tali prove oggettive dell’attivazione cerebrale nel sonno era il movimento oculare. Gli occhi, pur sotto le palpebre chiuse, guizzavano avanti e indietro, in alto e in basso, e addirittura compivano movimenti circolari. La conseguenza inconfondibile e paradossale era che una parte del cervello stava destandosi, a differenza del resto, compreso il corpo. Gli scienziati a quel punto fecero una cosa ovvia. Quando vedevano le prove all’EEG dell’attivazione cerebrale e dei movimenti oculari rapidi, svegliavano i loro soggetti. E, quando lo facevano, chiedevano loro di descrivere le immagini e le trame con tutte le proprietà formali del sogno che abbiamo descritto al capitolo 1 e che vengono illustraDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Peter dorme in laboratorio. Per determinare la relazione che intercorre tra i cambiamenti di postura riscontrati negli studi

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effettuati su soggetti addormentati, abbiamo ripreso Peter (col suo gatto a pagina 22) mentre dormiva nel laboratorio. Peter non ha dormito

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molto bene e i suoi frequenti cambiamenti di postura lo dimostrano. Nel corso di una notte di sonno profondo, i soggetti si rigirano nel letto dalle 8

alle 12 volte. In questa figura si raggiungono le 30 posture, indice di grave insonnia.


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te dall’Uomo-albero di Hieronymus Bosch e dai disegni onirici di Man Ray e del Macchinista. Siccome i movimenti oculari erano improvvisi e veloci e siccome continuavano per periodi compresi fra i cinque e i cinquanta minuti, Aserinsky e i suoi colleghi chiamarono questa fase del sonno REM (acronimo di Rapid Eye Movement, ovvero movimento oculare rapido) e suggerirono la teoria radicale secondo cui esso costituiva la base psicologica dell’attività onirica umana. Come si poteva comprendere la paradossale coesistenza di attivazione cerebrale e sonno? E perché, quando si attiva quell’interruttore posto nel nostro tronco encefalico, non ci svegliamo? Sono tre le risposte a tale quesito: (1) Le sensazioni esterne vengono attivamente bloccate all’esterno e i comandi motori generati internamente vengono bloccati all’interno. (2) La costituzione chimica del cervello è alterata dall’inattivazione selettiva dei neuroni del tronco encefalico che trasmettono al cervello vigile i suoi poteri di attenzione, logica e memoria. È questo che intendiamo per neuromodulazione. I sistemi neuromodulatori inattivati nel corso del sonno REM sono quelli che secernono norepinefrina e serotonina. Questi neuroni vengono definiti aminergici perché la norepinefrina e la serotonina sono delle ammine biogeniche. (3) A questo punto, determinate parti del cervello vengono iperattivate. Tra queste, i centri delle emozioni posti nei lobi limbici e nelle aree della corteccia cerebrale coinvolte nell’integrazione di emozione e percezione. Al contrario, altre parti vengono disattivate, in particolare le zone della corteccia frontale che, è noto, sono essenziali per la memoria, il giudizio critico, e il pensiero comandato. È questo che intendiamo per attivazione e disattivazione regionale. Insieme a questa attivazione globale si regiDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Modello AIM del controllo degli stati consci. Un modello tridimensionale descrive graficamente il valore di A (che sta per

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Attivazione) rispetto ai valori di I (fonte di Input) e di M (Modulazione), al fine di indicare un punto nello spazio tridimensionale dello stato. Nel tempo (la

stra un innalzamento, fino a livelli di veglia, di neuromodulatori, quali acetilcolina e dopamina. Oggi sappiamo che, per poter avere uno stato di coscienza vigile, con la sua capacità di raccogliere, valutare e agire su dati esterni, dobbiamo attivare il cervello, compresa la corteccia frontale, aprire le porte della sensazione e del movimento, e sottoporre a perfusione con le specifiche molecole chimiche il cervello attivato. Se desideriamo addormentarci – persino mentre leggiamo un libro o ascoltiamo una lezione che non riusciamo ad afferrare – dobbiamo disattivare il cervello, compresa la corteccia frontale. Dobbiamo iniziare a chiudere le porte della sensazione e del movimento. E dobbiamo sottrarre al cervello inconscio i modulatori dell’attenzione e della memoria. In tal modo, possiamo escludere, ignorare e dimenticare il mondo esterno. Per poter orientare le nostre menti verso la capacità straordinaria di generare percezioni interne (allucinazioni) di una realtà convin-

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4a dimensione), i punti AIM si spostano dal dominio della veglia (A alta, I bassa, M alta), attraverso il dominio del sonno NREM, fino al dominio del sonno

REM (A alta, I alta, M bassa), compiendo una traiettoria ellittica che si ripete quattro volte a notte.

cente (delirio) e per fornire a tali forme oniriche qualità contestuali peculiari (stravaganza), senza però ricordarle (amnesia), dobbiamo attivare le parti del cervello che percepiscono immagini complesse e collegarle all’emozione e, inoltre, dobbiamo escludere le parti che ci consentono di valutare, modificare e richiamare alla memoria tali scenari esotici. È questa la definizione neurobiologica dello stato cerebrale che fa da substrato ideale al sogno. Avanti i neuroni! I nostri io microscopici Come ogni altra parte del corpo, anche il cervello consta di cellule. Ma le cellule nervose, o neuroni, che costituiscono il nostro cervello sono le uniche in grado di acquisire, trasferire e immagazzinare le informazioni. Questi importanti processi vengono ottenuti attraverso dei perfezionamenti strutturali: (1) L’acquisizione di informazioni dipende dalla risposta dinamica della membrana che circonda ogni cellula e viene modificata in


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Ramon y Cajal, Rigenerazione del midollo spinale. Il neurobiologo spagnolo Santiago Ramon y Cajal si aggiudicò il Premio Nobel per aver scoperto che ciascuna cellula cerebrale (o neurone) rappresentava

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un’unità discreta. I suoi studi al microscopio erano illustrati da disegni (invece che da fotografie) perché era convinto che quella forma più attiva di registrazione delle strutture cerebrali avrebbe consentito una comprensione intuitiva

superiore della funzione cerebrale. Lo scienziato e i suoi studenti utilizzarono penne a inchiostro di china e pennelli di setole di cammello per rappresentare i processi nervosi (nero) e i contenuti cellulari (semitoni di grigio). In questo dipinto, egli

mostra la ricrescita delle cellule dopo la disgregazione sperimentale delle connessioni. La freccia di Cajal indicante l’estremità della testa dell’animale è un tratto distintivo del lavoro svolto nel suo istituto di Madrid.

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modo tale da poter convertire fedelmente le informazioni esterne, come la luce e il colore nella retina dell’occhio nei suoi particolari codici. (2) Il trasferimento delle informazioni trasdotte dipende dalla capacità di ogni singolo neurone di codificare i dati esterni in una sequenza di segnali elettrici discreti, chiamati potenziali di azione che, da quel momento in poi, costituiscono il linguaggio del cervello. L’energia luminosa non va mai oltre la retina e l’energia sonora non va mai oltre il timpano. (3) Lo stoccaggio di questo linguaggio codificato a livello dei neuroni è tuttora avvolto nel mistero, ma è chiaro che esso coinvolge la capacità del cervello di modificare la sua struttura chimica interna in maniera tale da tenere un rendiconto della sua esperienza che, a sua volta, potrà influire sulla sua responsività futura. L’arte della scienza cerebrale Prima di inoltrarci nell’esposizione scientifica della nostra storia, desideriamo sottolineare alcuni aspetti estetici della neurobiologia. La risposta estetica dei neurobiologi alla struttura e al funzionamento del cervello è una componente della loro passione e della loro motivazione verso lo studio della fisiologia del cervello. Si sente usare la parola “bello” da parte di coloro che ne esplorano la squisita struttura (i neuroanatomisti), i segnali elettrici (i neurofisiologi), la reazione alle droghe (i neurofarmacologi) e l’attività organizzativa che sfocia nel comportamento (i neuroetologi) e nella consapevolezza (i neuropsicologi). Gran parte dei neuroscienziati moderni utilizza diversi tipi di approccio e scorge la bellezza a qualsiasi livello di analisi. Il cervello è un’opera d’arte naturale ed è di una bellezza tale che risulta inconcepibile l’assenza, tra le sue facoltà, di una risposta esteti-

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ca nei suoi confronti e della capacità di creare interpretazioni meravigliose della sua stessa esperienza sotto forma di sogni e opere d’arte. L’esplorazione di tali interpretazioni, che dipendono dalla capacità del cervello di sognare, è al centro di questo libro. Nostro obiettivo è descrivere, dal principio alla fine, i processi attraverso cui strutture minuscole come i neuroni presiedono a creazioni tanto elaborate come sogni, opere d’arte e immagini di angeli. Affrontando quest’arduo compito, è facile comprendere perché mai tanti nostri predecessori abbiano attribuito l’istigazione onirica ai messaggeri alati degli dei. Interazione neuronale e proprietà emergenti È forse vero che i neuroni sono piccoli, però sono numerosi, 100 miliardi, si stima attualmente. Ciò significa che in ciascuno dei nostri cervelli vi sono più elementi discreti di quanti esseri umani vi siano sulla Terra. Ma la collettività dei neuroni è organizzata decisamente meglio della società globale perché i neuroni parlano lo stesso linguaggio elettrochimico di base: essi sono intrinsecamente interconnessi e sono governati da una gerarchia centrale illuminata. Il fatto che ciascun neurone possa parlare velocemente (fino a 60 messaggi al secondo) e a un numero così elevato di vicini (fino a un massimo di 10.000) alla volta potrebbe far pensare a una formula perfetta per il caos e, in un certo senso, le cose stanno proprio così. Ma, nel caso del cervello, il caos è essenziale per due degli attributi più preziosi: l’auto-organizzazione e la creatività. Al fine di comprendere come operi il cervello, prima di tutto dobbiamo afferrare alcuni principi organizzativi che ci porteranno dalle singole cellule e molecole a stati armoniosamente regolati come la veglia, il sonno e il sogno. In seguito, lasceremo libero il sistema e osserveremo che cosa è in grado di pro-


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Eros dormiente, copia romana dell’originale greco, III secolo a.C., Galleria degli Uffizi, Firenze. Durante il periodo ellenistico, Eros, il dio dell’amore, spesso rappresentato sotto forma di un cupido alato e dormiente, era considerato

Theodore Spagna, Il sonno di un neonato. La capacità di riconoscere le fasi NREM e REM nei cambiamenti posturali inizia nel periodo più ricco di REM dello sviluppo postatale. I neonati dormono il doppio rispetto agli adulti (16 contro 8 ore) e il tempo che dedicano al sonno REM è sempre

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il portatore dei sogni. In questa rappresentazione, Eros destra tiene nella mano destra due capsule di semi di papavero, l’oppio utilizzato per preparare i sonniferi e per indurre i sogni.

doppio rispetto a quello degli adulti (45% contro 20%). Ciò significa che, dopo la nascita, quando il cervello si sviluppa rapidamente, il neonato trascorre tanto tempo nel sonno REM (8 ore) quanto in stato di veglia! Ne consegue l’ipotesi che il sonno REM sostenga lo sviluppo cerebrale.

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durre per quanto attiene a paesaggi fantastici e intuizioni oniriche. Il percorso che ogni cervello umano affronta nella propria formazione è un buon modo per cominciare. Ogni neurone viene al mondo dotato del proprio piano d’azione genomico completo. Il trucco sta nel selezionare il gioco e nell’insegnare a tutti i giocatori come muoversi. Per quanto ne sappiamo, manca un coach, un capo-architetto, e manca un ordine del giorno. In breve, nella testa non ci sono gli angeli. Anziché essere istruiti da angeli, i neuroni che alimentano la coscienza inventano degli angeli che ne spieghino l’esistenza stessa. Le informazioni genetiche, per quanto vaste – e ricche al di là dell’immaginazione – non sono in grado di spiegare molto più di un abbozzo grezzo della posizione di ciascun neurone all’interno del cervello, la sua capacità di trasmettere segnali, la sua recettività e la sua identità chimica. Il sistema primordiale rappresentato dal feto-embrione umano manifesta con precocità sorprendente (dopo quindici-venti settimane) irritabilità (reattività agli stimoli) e attività spontanea (movimento non stimolato). Inoltre, queste proprietà vengono organizzate e appaiono con tale regolarità ritmica che noi possiamo tranquillamente definirle comportamenti. Alla ventisettesima settimana, il comportamento fetale è dominato da uno stato organizzativo ricorrente che è stato identificato a livello sperimentale come il primordio del sonno REM. Ciò non significa che il feto stia sognando ma significa che la neurobiologia del REM emerge molto presto nello sviluppo umano e questo implica che essa svolga un ruolo attivo e autocreativo nelle prime fasi del nostro sviluppo cerebrale. Sappiamo tuttora pochissimo dei meccanismi dettagliati dei processi REM. Però sappiamo che essi ci portano nel mondo con una capacità crescente di entrare in uno stato auto-determinato e auto-organizzato chia-

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mato sonno REM, che rimane con noi per tutta la durata delle nostre vite, svolgendo un ruolo sempre meno prominente nel nostro incessante sviluppo fisico e mentale. Nel primo anno di vita, trascorriamo otto ore al giorno nello stato di REM. Questo numero cala di quattro volte quando si è sufficientemente maturi per andare all’università e, in seguito, si abbasserà lentamente, di pari passo con il lungo corso degenerativo del cervello. Questa storia suggerisce una serie di importanti insegnamenti. Innanzi tutto che il cervello si crea da solo – in maniera meravigliosa, come abbiamo avuto modo di sottolineare – e che continua a ricrearsi fintanto che viviamo. Finché possiamo nutrirci, sostenerci e approfittare di questi processi innati, possiamo presumere di essere presenti alla creazione. Una delle funzioni assicurate da questo processo autocreativo è la creatività stessa. Nei nostri sogni e nella nostra arte, celebriamo questi meccanismi biologici in attesa che la scienza del cervello ci dica di più sul loro funzionamento. Morte cerebrale e arte onirica Anche dopo la morte di alcune parti del cervello, che noi potremmo intuitivamente pensare siano essenziali alla creazione artistica, il cervello resta autocreativo e persino artisticamente competente, come dimostra chiaramente il curioso caso di Willem de Kooning. Durante gli anni ’80, dopo che il morbo di Alzheimer aveva iniziato a privarlo della capacità di avere uno stato di coscienza vigile orientato, auto-riflessivo e comandato, l’artista fu in grado di produrre quadri astratti coloratissimi. Del tutto privo di memoria (come succede in un sogno) e guidato da automatismi motori spontanei e altamente sviluppati (come nell’attività onirica), l’artista decorticato creò composizioni chiare, serene, equilibrate. Quello che intendiamo sostenere è che de


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Willem de Kooning, Senza Titolo XIII, The Cleveland Museum of Art, Fondazione Leonard Hanna, Jr. Fund.

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Dopo aver contratto il morbo d’Alzheimer negli anni ’80, privo della memoria e guidato, come nei sogni, da automatismi

motori, de Kooning riuscì ancora a creare delle opere chiare, equilibrate e serene, in contrasto con i suoi dipinti stridenti,

turbolenti, stratificati del periodo precedente la malattia.

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Kooning ha avuto bisogno dei suoi lobi frontali solo per imparare a dipingere e per scegliere cosa dipingere. Una volta imparato, quella capacità è stata relegata al suo cervello subcorticale, dove l’attività motoria automatica e le immagini visuali dell’arte vengono integrate con l’emozione, proprio come avviene nei sogni. Parlando delle opere di de Kooning degli anni ’80, Oliver Sachs osservò che la preservazione del sentimento estetico e artistico è un tratto fondamentale persino nelle fasi avanzate del morbo di Alzheimer, al punto che alcune persone che pure avevano perso la facoltà della parola sono state in grado di creare dei quadri notevoli. Non intendiamo sottintendere che il ruolo dell’intelletto corticale non contribuisca alla creazione dell’arte. Quello che ci mostra il caso di de Kooning è che le parti del cervello coinvolte nell’attività onirica del sonno REM possono continuare ad agire nell’artista anche dopo la scomparsa delle parti che si sono distaccate. Di conseguenza, si potrebbe asserire che il cervello sognante subcorticale è cruciale anche per il successo di opere elaborate e iconograficamente complesse come L’Uomo-albero di Hieronymus Bosch. Il cervello sognante e il processo creativo nell’arte Dopo che la scienza dei sogni ebbe dimostrato come l’attivazione cerebrale si verificasse tanto nella veglia quanto nel sonno REM e come l’attivazione cerebrale potesse essere innescata a livello sperimentale attraverso una stimolazione elettrica del tronco encefalico, fu naturale chiedersi se per caso la stessa attivazione cerebrale da sonno REM non derivasse dal tronco encefalico. Gli esperimenti di Michel Jouvet condotti a Lione indicarono che in effetti le cose stavano proprio così e che l’attivazione cerebrale del sonno dipendeva più o meno dalle stesse aree

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della cosiddetta formazione reticolare essenziali per lo stato di veglia. Il lavoro seminale di Jouvet aggiunse altri due processi all’attivazione cerebrale: controllo di input-output e neuromodulazione chimica. Dato che si trattava anche in questo caso di funzioni del tronco encefalico, fu possibile iniziare a strutturare una teoria onirica fondata sul cervello in termini di fisiologia del tronco encefalico e a costruire un modello neurobiologico del cervello pensante. In generale, si riteneva che l’attività onirica fosse favorita qualora il cervello venisse attivato internamente (qualora i suoi neuroni fossero stati innescati più vigorosamente) restando però scollegato (cioè i suoi neuroni, una volta attivati, dovevano essere in grado di generare le loro stesse informazioni ma non di ricevere informazioni o di trasmettere informazioni al mondo esterno), e qualora i neuroni fossero chimicamente alterati (nel caso in cui fossero spinti a elaborare delle informazioni generate al loro interno, in una maniera particolare). Questa è la struttura di base del modello AIM e dell’ipotesi di attivazione-sintesi che descriveremo in dettaglio addentrandoci in questo capitolo e che utilizzeremo come ipotesi-guida della nostra discussione sull’arte onirica nel resto del libro. Prima di farlo, tuttavia, è necessario spiegare alcuni dei sistemi neuronali specializzati che organizzano il nostro cervello in maniera tale da rendere possibili il sogno e l’autocreatività. Neuromodulazione clinica Nei primi anni ’60, tre importanti progressi scientifici contribuirono a migliorare la conoscenza di noi stessi. Il primo fu la scoperta di Jouvet secondo cui il meccanismo di attivazione del sonno REM era nel tronco encefalico pontino. Ciò implicava la necessaria presenza di un interruttore neuronale che si accendeva e spegneva nel corso del sonno


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Cellule PGO. Mentre giacciamo sui nostri letti, in preda al sonno, i nostri occhi si muovono a destra e a sinistra, i nostri cervelli elaborano i segnali relativi al movimento. Questo è drammaticamente vero per quanto riguarda il nucleo talamico di trasmissione (chiamato corpo

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genicolato laterale) e la corteccia posterolaterale dove si pensa abbia luogo la percezione visiva. Questa cellula peribrachiale di un gatto innesca una scarica (tracciato superiore) prima delle onde più ampie (dalla stessa parte) e più piccole (dalla parte opposta) nel talamo visivo (tracciati inferiori). Si può notare che

per produrre l’affidabile alternanza periodica di REM e NREM (non-REM). Ma com’era costruito l’interruttore neuronale? Come faceva ad accendersi e spegnersi? Qual era il suo schema elettrico? Le risposte a queste domande condussero ad altre due scoperte. Utilizzando metodi anatomici in grado di determinare l’aroma chimico dei neuroni, rendendoli fluorescenti mediante colorazioni, gli scienziati svedesi Kjell Fuxe e Anica

le scariche di questo neurone singolo peribrachiale (tracciato verde) precedono ciascun movimento oculare (tracciato azzurro) e le onde PGO nei corpi genicolati (tracciato arancione). Si noti, inoltre, che la dimensione dell’onda PGO nei due genicolati è diversa: l’onda genicolata dalla stessa

parte del cervello, in quanto cellula di innesco peribrachiale, e la parte da cui si muovono gli occhi sono sempre più ampie dell’onda genicolata dalla parte opposta. È probabile che la visualizzazione interna dei sogni dipenda da tale auto-stimolazione.

Dahlstrom scoprirono che anche molti dei sistemi interni di controllo chimico erano situati nel tronco encefalico. Ovviamente, ogni neurone utilizza sostanze chimiche per comunicare con i propri colleghi, ma i neuroni del tronco encefalico erano unici in molti modi, il più importante dei quali è il fatto che il tipo di sostanza chimica utilizzata non rappresenta informazioni specifiche sul mondo esterno e non detta una reazione motoria. Al contrario, le loro sostanze DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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chimiche, nella fattispecie norepinefrina, serotonina, acetilcolina e dopamina, dicono alle cellule cosa fare con tali segnali, tra cui anche se ricordarli o meno. Grazie a questa capacità di alterare il sistema di elaborazione delle informazioni cerebrali, i neuroni del tronco encefalico furono chiamati modulatori e la loro funzione modulata chimicamente fu definita neuromodulazione. Da cui l’espressione neuromodulazione chimica. Il modo più semplice per comprendere come si comporta la neuromodulazione è pensare ad uno strumento elettronico che pur potendo sia registrare sia produrre dei suoni, non riesce a fare entrambe le cose contemporaneamente. Il cervello può fare entrambe le cose o una sola delle due o nessuna delle due, a seconda del livello e della qualità della neuromodulazione. Che queste cellule chimiche neuromodulatorie siano attive o meno (e quanto lo siano) fa un’enorme differenza per la funzione cerebrale. Michel Jouvet approfittò subito di questa scoperta e si diede da fare per capire il modo in cui le cellule neuromodulatorie influenzano veglia, sonno e sogno, somministrando farmaci identici a quelli oggi ampiamente utilizzati in psichiatria per innalzare o abbassare i livelli di attivazione e disattivazione cerebrale. Gli effetti furono molto intensi ma di difficile interpretazione. Entrare in contatto con i neuroni Al fine di chiarire la situazione, era importante riuscire a registrare direttamente dai neuroni neuromodulatori. Ma come si poteva fare? Benché spedissero i loro modulatori chimici a tutte le parti del cervello, i corpi cellulari restavano in profondità, all’interno del tronco encefalico, lontano dalla superficie del cervello. Inoltre, erano piccolissimi e poco numerosi rispetto ai vicini neuronali impegnati nell’attività più tradizionale di

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attivazione del cervello e della elaborazione dei segnali di input-output. Questo problema venne risolto grazie a due neurobiologi, David Hubel e Edward Evarts. Dato che entrambi desideravano svelare il mistero del sonno registrando dalle cellule nervose individuali, svilupparono un sistema di registrazione a micro-elettrodi mobili che fa apparire l’insieme vassoio-brocca-scala di Bosch una specie di giocattolo infantile. Il giocattolo di Hubel-Evarts scendeva in profondità nel cervello ma solo quando a deciderlo era uno scienziato che a quel punto era in grado di campionare le proprietà dei segnali elettrici dei neuroni individuali e di registrarle su nastro per poter poi effettuare un’analisi quantitativa. Dato che il tronco encefalico stesso è insensibile, fu possibile introdurvi queste sonde nel corso di normali stati di veglia e sonno. Inizialmente, questo sistema venne utilizzato per valutare i livelli di attivazione e inattivazione delle popolazioni di neuroni impegnate nella visione e nel movimento; in seguito, esso venne applicato alle cellule cerebrali impegnate nell’integrazione associativa. Con grande sorpresa di tutti, fu presto chiaro che, nonostante il livello netto di attivazione di tutti questi sistemi calasse del 20%-50% quando gli animali si addormentavano, tuttavia non smettevano di funzionare. Inoltre, quasi tutti riprendevano i propri livelli di veglia quando gli animali entravano nella fase REM, anche se gli animali non si svegliavano. Analizzando l’attività dei soli neuroni, non si riuscirebbe a distinguere tra veglia e sogno. Pertanto, o subentra qualcos’altro – per esempio, un angelo che dice “non siete svegli, è solo un sogno” – oppure i modelli di attivazione neuronale della veglia e del sonno subiscono un’alterazione fisica di altro tipo. A questo punto, è probabile che abbiate capito che quest’altra alterazione fisica altro non è che la neuromodulazione chimica.


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La nascita della teoria onirica neuronale Ma per i neuroni c’era un altro problema da risolvere: come creare percezioni interne di una realtà che fosse convincente e come bloccare delle reali reazioni motorie nei loro confronti. Senza questi due meccanismi, non saremmo in grado di sognare. Invece di sognare, ci sveglieremmo. Ben presto, la tecnica dei micro-elettrodi mobili, insieme a qualche altro trucco neurobiologico, consentì agli scienziati del sonno di far vedere che si otteneva il blocco motorio inibendo attiva-

Il Cervello di Dreamstage. Al di fuori della camera in cui giaceva il dormiente di Dreamstage, posizionammo un cervello umano in modo tale che i

visitatori comprendessero che la moderna scienza del sonno aveva iniziato a consolidare un fondamento fisico interno per il sonno e l’attività onirica. Il cervello umano contiene 100

mente i neuroni del comando motorio nel midollo spinale, inviando segnali chimici dal tronco encefalico. Ciò lasciava i sistemi motori della parte superiore del cervello liberi di indulgere in qualsiasi movimento irreale scegliessero. I loro comandi venivano semplicemente ignorati perché il sognatore era paralizzato. La visione onirica è più complicata e più sorprendente. A quanto pare, succede che i neuroni della parte superiore del cervello, che generano immagini mentali complesse nello stato di veglia, non solo vengono innescati nel sonno REM, ma vengono inoltre guidati da

miliardi di cellule individuali (o neuroni), ciascuna delle quali comunica grosso modo con 10.000 altre cellule a un tasso di 2-60 messaggi al secondo. Una stima

ragionevole della capacità di elaborazione delle informazioni è di 1027 bit al secondo.

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stimoli interni che si sviluppano nei centri del movimento oculare, o intorno a essi, del tronco encefalico. Secondo la teoria che è stata avanzata, il sistema di comando del movimento oculare trasmette delle informazioni sensoriali sulle sue intenzioni ai centri della visione che, a loro volta, possono generare immagini in risposta a esse: “Muovo gli occhi, di conseguenza ci vedo.” Recenti studi sul linguaggio immaginoso

John Aster Fitzgerald, Sogno dell’artista, 1857, collezione privata, Gran Bretagna. L’artista che sogna viene assalito dalle allucinazioni

– indotte dalla droga – di elfi stravaganti e spiritelli maligni che ricordano i mostri metamorfici del Sogno di Raffaello a opera di Marcantonio Raimondi (vedi pagina

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cerebrale nell’uomo indicano regioni interessanti per questa ipotesi della creazione di immagini visuali e per l’integrazione di tali immagini con emozione e memoria. Dal momento che queste regioni presentano un elevato livello di elaborazione delle informazioni e dato che si trovano in prossimità dei centri di mediazione delle emozioni, una implicazione è che la visione onirica non venga ottenuta da minuscoli frammenti di

98). L’artista all’interno del quadro è lo stesso Fitzgerald, il pittore vittoriano specializzato in fate, e la meravigliosa fatina che fa da modella per il dipinto con il quale

è alle prese nel sogno è l’eroina del balletto romantico La Sylfide.


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informazioni, come succede nella veglia quando scomponiamo dettagli del mondo visivo per poi ricombinarli nel cervello. Forse è per questo che il linguaggio immaginoso cerebrale non è caleidoscopico. Piuttosto, nella sua complessa intensità, è iper-reale e persino surreale. È probabile che ulteriori studi neurobiologici su questo sistema ci possano aiutare a rispondere al famoso quesito di Leonardo da Vinci: “Perché la visione che l’occhio ha di un oggetto è più certa nei sogni che nell’immaginazione di una persona sveglia?” L’espressione originale era “più certa”, ossia “più reale”, “più vivida”. Per Leonardo, la percezione visiva era il fondamento della conoscenza. Ma, come ha sottolineato lo storico dell’arte Henri Zerner, la percezione da sola non rappresenta l’interezza della visione. “La visione” comprende anche la forza dell’immaginazione che dà forma visiva alle fantasie e ai concetti della mente. Era attraverso il potere visualizzante della mente che Leonardo intendeva dare alla rappresentazione del mondo, che fosse reale o meno, l’intensità dei sogni. Esistono prove sperimentali che indicano una causa della iper-chiarezza dei sogni nel fatto che il generatore di immagini interne non solo è più attivo rispetto alla veglia ma che esso è persino più attivo del generatore di immagini esterne nello stato di veglia. Abbiamo due buone ragioni per ritenere che il generatore di immagini esterne abbia la precedenza e la priorità rispetto al generatore di immagini interne nel normale stato di veglia. La prima ragione è che da svegli noi vediamo il mondo decisamente bene e la seconda è che di norma non abbiamo delle allucinazioni in quello stato. Infatti, mentre ci risulta facile richiamare delle immagini visive senza chiudere gli occhi quando siamo svegli, si tratta pur sempre di copie sbiadite delle vere immagini dei nostri sogni allucinati. Per ottimizza-

re tali esperienze visionarie interne – che siano meditative, ipnotiche oppure oniriche – è fondamentale ridurre l’attenzione verso la percezione esterna e, al contrario, concentrarla sulla percezione interna. Il cervello fa questo per noi attraverso il controllo di inputoutput, un meccanismo che è fortemente e chiaramente attivo soprattutto nel sogno da sonno REM. L’angelo dei sogni e i vincoli neuronali sugli artisti onirici Dobbiamo molta della nostra conoscenza relativa alla generazione di stimoli interni a Michel Jouvet, il quale fece un’altra scoperta di fondamentale importanza nei suoi primi studi condotti su animali. Utilizzando soltanto il metodo relativamente poco sensibile della elettroencefalografia, Jouvet scoprì che, posizionando degli elettrodi in profondità nei centri di segnalazione del cervello (piuttosto che sullo scalpo o sulla superficie cerebrale), era in grado di individuare dei segnali generati internamente, che lui definì onde PGO in quando nascevano nei ponti (P) per poi irradiarsi al corpo genicolato del talamo (G) e, per finire, alla corteccia occipitale (O). Oggi conosciamo i meccanismi chimici di tale sistema ma, prima di passare a descriverli in dettaglio, sarà bene fare alcune considerazioni generali. La prima è che le onde PGO del sonno REM assomigliano a quelle osservate nei cervelli affetti da epilessia. Pertanto, esse sono chiaramente dei segnali di attivazione interna forte ed esclusiva. Quando le onde PGO vengono emesse, il cervello viene cooptato. Esso viene parassitato e viene invaso da segnali alieni provenienti dal profondo. Quando stiamo sognando, in pratica veniamo rapiti – come Fedor Dostoevskij negli spasimi della sua epilessia del lobo temporale – e, in tal modo, veniamo spinti a elaborare trame oniDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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I disegni dei neuroni di Freud. Per illustrare il suo Progetto di una psicologia scientifica, Freud fece degli schizzi di neuroni: cellule individuali complete, con tanto di

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dendriti e neuriti, straordinariamente simili a dei moderni preparati di Golgi; i suoi circuiti sono però progettati in maniera fantasiosa per illustrare il suo concetto di “percorso laterale” dell’inconscio.

riche pazzesche e spaventose, come quelle che si tradussero in Delitto e castigo e ne I fratelli Karamazov. Inoltre, mentre durante lo stato di veglia si possono favorire le onde PGO attraverso stimoli forti e nuovi, esse vengono rapidamente soppresse dalla ripetizione degli stessi stimoli. Questi due punti possono combinarsi nel concetto secondo cui le onde PGO riflettono l’attività di un sistema fortemente inibito nella veglia ma molto più indiscriminatamente attivato nel corso del sonno REM. Non sorprende il fatto che nei nostri sogni noi perdiamo completamente il controllo. Se volessimo attivare questo sistema PGO sui visitatori di una galleria d’arte o di un tea-

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Secondo Freud, gli impulsi nervosi che non erano accettabili per la coscienza venivano dirottati su percorsi laterali dai quali essi producevano nevrosi e sogni. Pertanto le teorie superate di Freud a

proposito del sistema nervoso influirono negativamente sulla sua teoria dei sogni.

tro, il miglior modo di farlo sarebbe attraverso la creazione di un’immagine (o una sequenza di immagini) internamente incoerente ma emotivamente intensa che attiverebbe i neuroni, suscitando sorpresa e agitazione; ciò produrrebbe uno sforzo attivo che verrebbe ulteriormente ostacolato da una ricchezza di dettagli stravaganti nell’immagine, da una sovrapposizione freneticamente incoerente di immagini banali, oppure da una sequenza incoerente e discontinua di tali immagini. Cercheremo di dimostrare che ciò è esattamente quello che fa l’arte onirica. Inoltre, suggeriremo che persino l’arte che non abbia apparentemente niente a che fare con i sogni


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è comunque in grado di innescare reazioni di intensa sorpresa. A questo punto, potremmo chiederci come faccia il cervello a passare dal suo modello fotogiornalistico diurno al suo ruolo drammaturgico notturno. La risposta, ancora incompleta e tuttavia interessante, è che il cervello cambia mentalità cambiando la propria composizione chimica. Abbiamo già notato che le funzioni fotogiornalistiche della veglia, per esempio la capacità di osservare, descrivere, rappresentare e analizzare eventi perfino mentre vengono realizzati, dipende dall’attivazione del cervello, dall’apertura delle sue porte sensoriali e motorie e – cosa fondamentale – dall’approvvigionamento del cervello con i giusti modulatori chimici, in maniera tale che la trama si mantenga lineare e logica. Quando la disponibilità dei due modulatori aminergici (la norepinefrina e la serotonina) cala drasticamente – a causa dell’inibizione attiva dei neuroni del tronco encefalico che li producono e li trasferiscono ad altri neuroni – non siamo più in grado di svolgere i nostri ruoli osservativi, giornalistici e comportamentali. Quando ci addormentiamo e il livello di attivazione cala, le porte motorie e sensoriali si chiudono all’unisono con la progressiva cessazione dell’attività di segnalazione da parte di due gruppi di cellule: il locus coeruleus (che produce la norepinefrina) e il nucleo del rafe (che produce la serotonina). Questi due gruppi di cellule sono adattissimi a creare le condizioni cliniche ideali per la veglia. Oltre al loro posizionamento strategico nella transizione fra la parte superiore del cervello (in cui risiede lo stato di coscienza) e il midollo spinale (che ne raccoglie e legge i messaggi), queste minuscole cellule sono imbottite di sostanze chimiche eccitanti. E si può contare su di loro per poterne effettuare un rifornimento adeguato, visto che condividono la proprietà del rilascio automatico e

spontaneo con le cellule che regolano il ritmo cardiaco. Invece di attivarsi solo quando ne ricevono il comando (come le cellule da loro modulate, che elaborano le informazioni), si innescano a meno che non venga loro comandato di non farlo. Esse ragionano con la propria testa, per così dire, e, grazie a esse, anche noi lo facciamo. Dato che potrebbe essere difficile stabilire quanta libertà mentale derivi da tale automaticità, torneremo su questo punto nelle nostre discussioni seguenti a proposito della creatività. Per il momento, la cosa principale da sottolineare è che, per quanto concerne la forza della coscienza (compresa l’autocoscienza), il criticismo (compreso l’autocriticismo), e l’analisi (compresa l’autoanalisi), dobbiamo essere grati a un numero sorprendentemente limitato di minuscoli neuroni presenti nei nostri tronchi encefalici. Questi neuroni sono i sostenitori, i benefattori – gli angeli, se preferite – della cognizione dello stato di veglia. Sono i mecenati dell’arte, nel senso che il produrre delle opere d’arte o il valutarne il merito estetico dipende dal fatto che queste cellule cerebrali, simili a cellule cardiache, facciano il loro lavoro da schiave. Gli orologi neuronali che scandiscono il tempo dei nostri cervelli La ragione per cui molta gente smette di lavorare di notte è perché il cervello opera in maniera diversa di notte rispetto al proprio sistema diurno. La tendenza a stare svegli di giorno e a dormire di notte è dovuta a un orologio posizionato in una parte del cervello chiamata ipotalamo, un regolatore del ritmo in un senso molto diverso. Il tempo (o ritmo) di questo orologio neuronale è di circa 24 ore, un intervallo temporale geneticamente codificato nel DNA dei neuroni ipotalamici. L’esatto momento della loro attivazione quotidiana è stabilito dalla luce, così come lo è lo DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Disegni di un camion e della dogana dal diario dei sogni del Macchinista. La stravaganza dei sogni è ritratta in questi disegni tratti dal diario dei sogni del Macchinista. Il camion

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in un giardino e gli uffici doganali con le rampe esterne sono esempi classici dell’incongruità della trama dei sogni. Questi sforzi artistici amatoriali trasmettono gli stessi aspetti del

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formalismo dei sogni che si possono notare nell’opera più sofisticata di artisti come Paul Delvaux (vedi il ponte ferroviario al centro del dipinto di Delvaux intitolato L’École des savants a pagina 14 e la

rosa nella veduta urbana del dipinto di René Magritte, Il Vaso di Pandora, a pagina 158).


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stato di veglia; e, quando essi sono attivi, lo sono anche le cellule chimiche pacemaker neuromodulatrici del tronco encefalico. Alla comparsa del sonno notturno, dopo l’interruzione delle funzioni di veglia del cervello e dopo la chiusura dei portali cerebrali, le cellule neuromodulatrici continuano ad alimentare e a scandire una serie sorprendentemente meravigliosa e drammatica di trasformazioni. Ne deriva che il pacemaker ipotalamico di 24 ore interagisce con i neuroni neuromodulatori del tronco encefalico. Dopo la comparsa del sonno, il sistema del tronco encefalico è soggetto a un’inibizione sempre più intensa che, dopo un ritardo di 30 minuti nei gatti e di 90 minuti negli esseri umani, interrompe del tutto i modulatori aminergici dello stato di veglia. Allo stesso tempo, i neuroni contenenti acetilcolina tornano a essere attivi, forse a causa della perdita di contenimento inibitorio da parte dei neuroni aminergici. A causa di questa intensa e diretta correlazione con il sonno REM, l’acetilcolina è quanto di più vicino ci possa essere a ciò che chiameremmo angelo onirico del sonno o, quanto meno, alla voce che ne annuncia la venuta. Anche la dopamina, che viene secreta a livelli altrettanto elevati in tutti gli stati cerebrali, può essere d’aiuto. La funzione dell’acetilcolina nel cervello comprende la responsabilità diretta di un’attivazione generalizzata, e questo ci aiuta a spiegare l’attivazione cerebrale del sonno REM che prepara la scena per l’attività onirica. Anche l’acetilcolina sembra intimamente coinvolta nel più specifico tra tutti i segnali REM, l’insieme delle onde PGO, che attivano dei sistemi specifici dell’immagine visiva emotiva e dei generatori associativi secondo una modalità pseudo-sensoriale. Infatti, l’attivazione non inibita e non bilanciata dei segnali di sistema dell’acetilcolina (sistemi colinergici) contribuisce alle funzioni mentali che vengono otti-

mizzate nel sogno. Si tratta delle percezioni allucinatorie visuali e motorie, delle emozioni dell’ansia, dell’euforia e della rabbia, e della combinazione iperassociativa di tali elementi all’interno di uno scenario fantastico. Le funzioni dello stato di veglia che vengono a risultare difettose nel sogno, per esempio il malfunzionamento della coscienza autoriflessiva, l’accettazione delirante di eventi improbabili e impossibili, la perdita di stabilità relativa a tempo, spazio e persone e – soprattutto – della forza del pensiero, potrebbero dipendere dalla perdita di norepinefrina e/o di serotonina. Interazione reciproca e sogno La domanda, a questo punto, è se l’ottimizzazione dell’acetilcolina e la deficienza della norepinefrina/serotonina siano in connessione reciproca. E le funzioni mentali che ne risultano alterate sono altrettanto reciproche? La risposta a queste domande è sì. Quando la sottrazione dal cervello in stato di veglia delle sue fondamentali sostanze chimiche di controllo – norepinefrina e serotonina – fu riconosciuta a metà degli anni ’70, i neurofisiologi diedero per scontato che la sua inibizione avrebbe probabilmente provocato il rilascio dinamico di un altro sistema neuromodulatore. Il sistema colinergico rappresentava per molte ragioni un candidato ideale. Ora quella candidatura è stata provata da una serie ampiamente ripetuta di esperimenti che hanno consentito agli scienziati di tenere il sonno REM sotto controllo chimico. Si stanno tuttora conducendo esperimenti sui farmaci che mettono l’acetilcolina naturale in condizione di innescare il sonno REM immediatamente da uno stato di veglia e di produrre un’ottimizzazione del REM e/o delle onde PGO per giorni o perfino per settimane. Si tratta di esperimenti importanti non solo per la chimica del sogno ma anche DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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alla luce di uno sforzo più ampio, volto a comprendere come il sonno REM possa promuovere funzioni tra loro molto diverse, come la temperatura corporea e il controllo calorico, il consolidamento della memoria e la regolazione dell’umore. Per una esposizione dettagliata di tali esperimenti, si consiglia la consultazione dei libri di Allan Hobson, Dreaming as Delirium (1999), The Dream Drug Store (2001) e Out of Its Mind: Psychiatry in Crisis (2001). Tutti questi esperimenti furono ispirati dal modello di interazione reciproca sul controllo del sonno REM proposto da Allan Hobson e Robert McCarley nel 1975. Dato che quel modello è anche la base della teoria dei sogni chiamata teoria dell’attivazione-sintesi, la riassumeremo in questa sede. Per un corretto espletamento delle funzioni cognitive critiche dello stato di veglia, è necessario che la corteccia, il talamo e i sistemi limbici della parte superiore del cervello siano continuamente modulati dalla norepinefrina e dalla serotonina. Risveglio, attenzione, analisi critica e pensiero comandato dipendono dalla continua disponibilità nei circuiti cerebrali superiori, soprattutto quelli dei lobi frontali, di queste sostanze chimiche modulatrici. Dato che i neuroni del tronco encefalico che forniscono tali sostanze sono delle cellule pacemaker, la loro attivazione è regolare e affidabile, a meno che essi siano stati inibiti, come succede alla comparsa del sonno, dai neuroni che innescano il sonno e che sono posizionati nell’ipotalamo. Quando è attivo, il sistema colinergico funziona in cooperazione con essi ma viene frenato dall’inibizione delle sue stesse fonti neuronali, soprattutto la serotonina. Al calare dell’inibizione dei sistemi colinergici da parte di serotonina e norepinefrina, nel corso del sonno NREM, i neuroni colinergici sono sempre più eccitabili. Man mano che aumenta la velocità con la quale vengono libe-

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rati, tali neuroni gradualmente attivano la parte superiore del cervello e poi la stimolano attraverso il sistema delle PGO unito ai REM. Altri neuroni del tronco encefalico inibiscono attivamente il tono muscolare (rendendo impossibile il movimento del tronco e degli arti) e i messaggi sensoriali provenienti dall’ambiente (garantendo il proseguimento del sonno nonostante l’attivazione del cervello). Il risultato complessivo è un cervello (e una mente sognante) da sonno REM che viene attivato ma che è in grado di elaborare soltanto i dati che stanno entro i suoi stessi confini perché viene mantenuto al sicuro da informazioni esterne. Il corpo viene paralizzato in maniera attiva e non si può muovere neppure nel caso venissero emessi dei comandi motori. Inoltre, e per finire, il cervello attivato e chiuso non può elaborare i suoi dati interni nel solito modo, perché mancano le sostanze chimiche necessarie per quell’elaborazione accurata, lineare e associativa indispensabile all’attenzione, all’orientamento, al pensiero comandato e al giudizio critico. Sintesi di attivazione e psicanalisi Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta da quando Sigmund Freud, nel 1895, ideò il suo Progetto di una psicologia scientifica, per poi abbandonarlo per mancanza degli indispensabili dati neurofisiologici. Negli ultimi cinquant’anni, la neurofisiologia che non esisteva per Freud nel 1895 è ora disponibile e rende possibile soddisfare alcune delle richieste che stavano alla base della ambizioni di Freud. Il concetto pionieristico di Freud a proposito della natura dei sogni sta nella convinzione che essi vengono prodotti da una concatenazione di forze profonde, primitive, emotive e da una significativa integrazione associativa di quelle forze con le immagini visualizzate dalla mente e la memoria personale. Tuttavia, l’ipotesi della attivazione-sin-


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tesi si allontana dalla teoria di Freud in un aspetto fondamentale. Essa asserisce che il cervello sognante piuttosto che mascherare e celare un desiderio inaccettabile si sforza di creare una certa coerenza partendo da forze disparate che vengono rilasciate dal cervello nel corso del sonno REM e che i sogni sono solo ciò che appaiono: la sintesi autocreativa di emozione, istinto, immagini e memoria legati insieme secondo una modalità iperassociativa. Gli impulsi trainanti sono le attivazioni neuronali e non dei desideri inconsci e inoltre non si maschera o non si cela niente. Come vedremo più avanti in questo capitolo, si tratta di una caratteristica che condividono con le opere d’arte che descrivono i sogni o che, in vari contesti e forme, ne traggono ispirazione. Dreamstage: un ritratto sperimentale del cervello sognante Nel 1975, quando la teoria dell’attivazionesintesi stava iniziando a prendere forma, si presentò l’opportunità di progettare una mostra presso il Carpenter Center for the Visual Arts dell’Università di Harvard e tale mostra venne intitolata Dreamstage. La mostra esponeva processi artistici che stavano al cuore della teoria dell’attivazione-sintesi, all’interno di un laboratorio del sonno in tempo reale, on-line. Dreamstage rimase aperto per cinque settimane, nella primavera del 1977. Allestimmo un laboratorio del sonno all’interno del quale stava un dormiente, in quello che definimmo “spazio scuro”. Qui il visitatore avrebbe potuto osservare il dormiente e vedere le registrazioni dei dati del sonno relativi a cervello, muscoli, occhi, fisiologia cardiaca proiettate sulle pareti, attraverso raggi laser colorati che l’artista della comunicazione Paul Earls aveva programmato. Tali segnali, inoltre, generavano musica da sonno e da sogno attraverso un sintetizzatore.

Per sottolineare le dinamiche dei comportamenti nel sonno, proiettavamo per tutta la notte fotografie di dormienti scattate da Theodore Spagna sul soffitto bianco di quello spazio scuro. I cambiamenti periodici di posizione immortalati confermavano le transizioni osservate nel laboratorio del sonno della transizione da sonno REM a non-REM e viceversa. Inserimmo anche le immagini a colori su larga scala dell’artista svedese Ragnhild Reingardt, raffigurazioni dei neuroni ottenute fotografando immagini istologiche delle cellule del cervello colorate attraverso due metodi di contrasto: la tecnica della macchia d’argento (sviluppata sul finire del diciannovesimo secolo da Camillo Golgi), la quale restituiva immagini aracnoformi delle connessioni neuronali ramificate su campo color oro; e il metodo della tinta blu all’anilina ad assorbimento rapido (creato da KluverBarrera), che distingue tra i nuclei neuronali e le sostanze chimiche che stanno alla base dell’intero processo vitale darwiniano, compresa la nostra capacità di dormire e sognare. Attraverso queste immagini, fummo in grado di mostrare come il sonno e i sogni dipendano da un processo interno di attivazione cerebrale che coinvolge le cellule cerebrali. In quello che chiamammo “spazio chiaro” (per denotare le ore del giorno e uno stato di veglia consapevole), mostrammo immagini ottenute da scienziati che trasmettevano la loro risposta estetica alla funzione e alla struttura del cervello. Tra queste: disegni con inchiostro di china realizzati da Ramon y Cajal e dal suo studente Rafael Lorente de Nó (vedi pagine 43 e 204), alcuni dei quali hanno al centro le cellule del tronco encefalico coinvolte nella generazione del sonno REM e potenzialmente in grado di creare anche la convincente illusione del movimento nei sogni. Mostrammo anche dei disegni di Clinton Woolsey che ci aiutano a comprendere la percezione consapevole dei nostri DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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corpi mostrando l’allocazione sullo spazio cerebrale delle mappe della superficie corporea. Quando tali punti vengono messi in collegamento tracciando una linea, rivelano una caricatura del corpo come se fosse vista dal cervello, come si nota a pagina 100. A Bordeaux, nel 1982, sviluppammo i dati neurofisiologici e onirici utilizzando una proiezione di diapositive a dissolvenza incrociata. Pertanto, reintitolammo la mostra Dreamscreen (ndt. Schermo dei sogni). Questo passaggio implicò la conversione di centinaia di disegni di sogni e migliaia di immagini su pellicola di neuroni in azione in diapo-

Bordeaux – Dreamscreen. Le immagini oniriche anatomiche e fisiologiche di Dreamstage si convertirono al sistema di proiezione di diapositive per l’installazione di

Bordeaux intitolata Dreamscreen (1982). L’immagine di un dormiente vero (vedi pagina 164) veniva proiettata su uno schermo insieme al suo modello EEG. Oltre all’anatomia

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sitive 2x2 a colori. Per animare i disegni dei sogni realizzati dal Macchinista, utilizzammo delle diapositive all’interno delle quali il progresso del movimento del sogno potesse accumularsi mediante l’aggiunta di colore alle linee schizzate tramite cui il sognatore aveva annotato il movimento nel proprio diario. Per animare i dati dell’attività neuronale, attribuimmo dei codici sotto forma di colori alle sequenze, fino a un massimo di cinquanta diapositive dell’attività elettrica delle cellule nervose, delle onde EEG e dei movimenti oculari. L’effetto della visione delle sequenze mostrò in maniera chiara l’attivazione,

cerebrale e alla fisiologia, proiettammo anche delle diapositive degli studi mediante fotogrammi a scatti condotti da Spagna sul sonno umano e dei disegni dei sogni del Macchinista. I visitatori

avevano la possibilità di sentire le traduzioni francesi dei resoconti sui propri sogni stilati dal Macchinista, che erano sincronizzati con i suoi disegni.


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costantemente modulata, del cervello. Molte delle immagini scientifiche di questo libro furono ottenute per la mostra Dreamstage. Da dove vengono i sogni? Entrambe le mostre – sia Dreamstage, sia Dreamscreen – volevano lanciare il medesimo messaggio scientifico: l’attività del sogno si presenta nel sonno ogni volta che il cervello viene sufficientemente attivato, controllato e modulato. Le condizioni più propizie per il sogno sono, in ordine crescente: - la comparsa del sonno quando l’attivazione della veglia è residua, le porte inputoutput si chiudono rapidamente e la modulazione si attenua rapidamente; i sogni che avvengono alla comparsa del sonno solitamente sono evanescenti e brevi; - il sonno REM di notte fonda, quando l’attivazione è in crescita ma le porte sono ancora chiuse e la modulazione è minima; solitamente, i sogni che avvengono in quel momento sono brevi e spesso assomigliano a dei pensieri; - il sonno REM, quando il livello generale di attivazione è alto tanto quanto nella veglia, le porte input-output sono attivamente chiuse, la modulazione è radicalmente alterata e si generano degli stimoli interni; solitamente, i sogni che avvengono in quel momento sono elaborati e prolungati. Di tutti questi stati, il sonno REM fornisce le condizioni cerebrali più ideali per il sogno. L’attività del sogno viene considerata l’inevitabile accompagnamento mentale di una fisiologia cerebrale alterata. Non c’è più alcuna ragione per ritenere che i desideri inconsci, intesi secondo Freud, svolgano un ruolo stimolante nella onirogenesi. Ovviamente, una volta attivato in maniera

appropriata a livello fisiologico, il sogno può – e solitamente lo fa – generarsi su preoccupazioni attuali e passate, compresi desideri frustrati e conflitti, che vengono descritti secondo una esclusiva sceneggiatura. Ma la forza istintiva ed emotiva del sogno è più negativa che positiva. L’ansia e la paura, che sono così frequenti nei sogni, sono un riflesso primario dell’attivazione del sistema limbico che è parte integrante della fisiologia del sonno REM, piuttosto che una reazione secondaria a uno sforzo fallito di nascondere il peso inaccettabile di un desiderio inconscio. Perché i sogni sono così strani? Una della caratteristiche universali formali dei sogni che abbiamo sottolineato in questo capitolo è la loro stravaganza. La risposta alla domanda “perché mai i sogni sono così bizzarri” che ci viene fornita dalla neurofisiologia è ancora una volta molto diversa da quella della psicologia dinamica. Il cervello attivato, controllato e modulato genera una miscela intrinsecamente eterogenea di tumulti emotivi (ansia primaria). Le immagini sensoriali di persone, luoghi e azioni fanno del loro meglio per realizzare una sintesi di questi elementi discontinui e incongrui, in accordo con la convinzione delirante che la persona che sogna ha di essere sveglia. Ma, in assenza di segnali spazio-temporali esterni e con la memoria attiva che non riesce a mantenere nemmeno un insieme internamente coerente di parametri orientativi, il sognatore semi-delirante si muove velocemente da un luogo all’altro nel vano tentativo di attenuare la confusione generata dall’idea di perdere i biglietti aerei, i bagagli, gli appunti e i lucidi di una lezione che deve tenere. Nel bel mezzo di questa angoscia caotica, il sognatore incontra amici e conoscenze DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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che potrebbero essere delle semplici chimere. È possibile che i personaggi di questo sogno simile a un collage si producano in attività acrobatiche come il volo, che girino forsennatamente su se stessi, che facciano le piroette oppure che sfreccino su superfici d’acqua. Di quando in quando, al sogno si devono delle invenzioni davvero creative, anche se poco pratiche. La ragione di queste esternazioni di emozioni, di queste immagini oniriche, di questa esuberanza motoria e dell’integrazione iperassociativa del sogno è semplicemente l’attivazione cerebrale automatica off-line da parte del sistema colinergico incontrollato e disequilibrato. E la ragione del disorientamento, della mancanza di consapevolezza autoriflessiva e di una cattiva memoria nel corso del sogno e al termine del sogno dipende dalla sottrazione di norepinefrina e serotonina dal cervello. Oltre ai suoi effetti devastanti sull’integrazione neuronale e sulla direzione organizzativa, la demodulazione potrebbe anche contribuire a trasformazioni drammatiche dell’attivazione regionale. Pertanto, la disattivazione della corteccia frontale non fa che peggiorare le cose per la memoria attiva (di per sé scarsa), il pensiero controllato (già, di fatto, inesistente) e il giudizio critico (già pesantemente pregiudicato). La stravaganza dei sogni, come la visione dei sogni, è pertanto una conseguenza integrale primaria di una fisiologia cerebrale particolare e non una funzione di elaborati meccanismi attivi di mascheramento creati per proteggere l’ego indebolito da impulsi inaccettabili. I processi attraverso cui Freud identificò quello che definiva il lavoro onirico, come la formazione, il trasferimento e la condensazione dei simboli, sono certamente caratteristici della sintesi onirica; ma si tratta di strumenti cognitivi di routine impiegati dal cervello in tutti i suoi stati e

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non hanno necessariamente una funzione psicologica difensiva o trasformativa. Dove vanno i sogni? A meno che non ci si svegli e a patto che tale risveglio sia immediato e non venga disturbato da spostamenti di posizione, stiramenti e sbadigli, più o meno il novantacinque-novantanove per cento dei sogni di tutti gli esseri umani non viene ricordato. Il ricordo dei sogni che si riesce a conservare dipende dalla rapida rimodulazione del cervello attraverso la norepinefrina e la serotonina rilasciate dopo il risveglio. A quel punto, e solo a quel punto, è possibile richiamare alla memoria i dettagli. E comunque, persino allora, è probabile che non ci si ricordi più di niente, a meno che l’individuo non faccia degli sforzi particolari per catturare il ricordo sfuggente del sogno e per registrarlo in maniera permanente su una cassetta audio oppure su carta. Quando si utilizzano tali strumenti didattici, il livello del ricordo può aumentare in maniera significativa. Ciò sostiene ulteriormente il modello di attivazione-sintesi della perdita di memoria del sogno, in quanto processo passivo che procede, volente o nolente, a meno che non gli si opponga una resistenza attiva. La condizione più propizia per la raccolta dei sogni è il sonno REM, soprattutto nelle prime ore del mattino, quando il risveglio è più agevole e il ricordo permane più a lungo. Con l’assistenza di un partner di letto (in grado di osservare i REM e di percepire fisicamente i rapidi movimenti oculari), l’incidenza del ricordo di sogni lunghi, dettagliati e bizzarri il cui resoconto scritto sia compreso tra le 1500 e le 3000 parole aumenta da pressoché zero a novantacinque per cento, soprattutto se il risveglio coincide con una sequenza frenetica di REM. E


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più a lungo perdura il periodo REM, più lungo sarà il resoconto. L’inevitabile quesito finale non può essere che questo: cosa facciamo dei sogni quando riusciamo a ricordarli? Dato che molti dei significati personali dei sogni sono trasparenti, noi preferiamo un approccio fai-date, guardati-allo-specchio, nell’interpretazione dei sogni, come illustrato da Allan Hobson nel suo recente libro Thirteen Dreams That Freud Never Had. Qualunque cosa noi possiamo dire sul significato dei

sogni, la loro forma ci mette soggezione e ci affascina. Il punto che noi stiamo cercando di sottolineare in questo libro, un punto su cui ritorneremo, è che è la struttura formale stessa dei sogni a soddisfare i criteri freudiani di una scienza del sogno che sia “acuta e libera dal dubbio”. Rammentando costantemente a noi stessi la nostra innata capacità di generare immagini, questa visione del sogno ci mette anche in rapporto con la creatività degli artisti nella storia.

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Capitolo 3 | Più leggeri dell’aria

Artista Inglese, XII secolo, Il sogno di Giacobbe, Lambeth Palace Library, Londra. Secondo il XXVIII capitolo

della Genesi, Giacobbe sognò che una scala, percorsa dagli angeli, salisse fino in cielo. Al di sopra della figura di Giacobbe dormiente, egli è

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ritratto mentre unge le pietre che gli hanno fatto da guanciale. Sul margine superiore destro appare il sacrificio di Isacco e all’estremità della scala sta

Dio Padre, che tiene in mano un rotolo di pergamena.


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Più leggeri dell’aria Divinità alate, angeli e altri agenti onirici incorporei

Ed il Sogno, il divin cenno udito, avvïossi e calossi in un baleno su l’argoliche navi. Entra d’Atride nel queto padiglione, e immerso il trova nella dolcezza di nettareo sonno. Di Nestore Nelìde il volto assume, di Nestore, cui sovra ogni altro duce Agamennóne riveriva, e in queste forme sul capo del gran re sospesa, così la diva visïon gli disse: Tu dormi, o figlio del guerriero Atrèo? Omero, Iliade

Dall’antichità classica al Rinascimento, il pensiero comune attribuiva stati di coscienza, come il sonno e i sogni, a spiriti provenienti da altri mondi. I sogni, che ora sappiamo nascere dalle funzioni automatiche del cervello nel sonno, venivano considerati presagi o messaggi inviati agli uomini da divinità alate. La leggerezza e la rapidità dei latori alati dei sogni ne spiegava l’ubiquità e l’evanescenza. Gli antichi greci non usavano mai l’espressione “fare un sogno” bensì “vedere un sogno”. In questo capitolo esamineremo le teorie secondo le quali i sogni traevano origine da agenti esterni, teorie fiorite nell’antichità classica e nel Medioevo. Cercheremo di dimostrare che queste teorie sono state in grado di realizzare due scopi importanti: spiegare da dove venivano i sogni e cosa volevano dire. Nonostante il paradigma delle divinità alate/angeli sia stato dominante per tutto il

primo millennio della civiltà occidentale, non sono certo mancati i segnali del passaggio a un nuovo paradigma. Tra quelli che mettevano in discussione la teoria di un agente esterno, divino, in quanto spiegazione dei sogni, figuravano Aristotele, Cicerone e Lucrezio, che erano inoltre critici nei confronti delle interpretazioni fondate sull’assunto dell’ispirazione divina. Assumendo una posizione in contrasto con le credenze popolari, tali pensatori evitarono l’ostacolo altrimenti insormontabile rappresentato dalla contrapposizione tra l’apparente interpretabilità di alcuni sogni e la completa mancanza di senso di altri. Il dilemma portò persino molti di coloro che aderivano alla teoria dell’agente esterno a compromettere le proprie convinzioni e a concepire l’idea di due meccanismi, uno interno e in grado di produrre sogni del tutto privi di significato, e l’alDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Testa di Ipno, Grecia, III secolo a.C., British Museum, Londra.

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Il dio alato Ipno, figlio di Morfeo, dio del sonno, era il principale portatore di sogni della mitologia

tro esterno e foriero di sogni di valore profetico. Vogliamo sottolineare come persino nelle più antiche teorie presocratiche sui sogni dell’antichità classica (400 a.C. circa) si inizi a fare ricorso alla fisiologia per spiegare i fenomeni onirici. Soffermandosi sull’importanza della fisiologia, non sorprende il fatto che la moderna teoria dei sogni stia incontrando un’estrema resistenza nelle scuole contemporanee di pensiero tuttora schierate in favore delle varianti psicologiche della tradizione profetica. Per quanto l’equilibrio

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greca. Prima di giungere a destinazione, dopo aver attraversato la notte, si liberava delle ali e si

trasformava in un’ombra umana.

possa essersi spostato dalle teorie dell’agente esterno a quelle dell’agente interno e per quanto l’interpretazione dei sogni si possa essere trasformata da una interpretazione profetica e metaforica a una letterale e terrena, permangono significative vestigia di quel conflitto. La nostra discussione di una selezione di testi classici, post-classici e medievali si incentra sul persistente dilemma posto dall’insostenibilità scientifica di certe pretese, antiche o moderne che siano, di interpretare i sogni.


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Raggi-X del cranio con EEG. Il cervello umano è contenuto all’interno di una scatola ossea, il cranio, che può essere visualizzata attraverso immagini fotografiche ai

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raggi-X. L’attività elettrica del cervello viene visualizzata mediante un tracciato elettroencefalografico (linee verdi). Queste immagini sono tratte dalla Mostra Dreamstage (1977-

1982). L’attività elettrica del cervello, proprio come un angelo, è più leggera dell’aria. L’attività onirica può presentarsi in molte persone allo stesso tempo perché ogni persona che dorma attiva

elettricamente il proprio cervello periodicamente durante il sonno. Non c’è dunque più bisogno di attribuire i sogni a forze esterne.

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John Flaxman, Il sogno di Penelope, 1790 circa. Nella mitologia greca, gli dei erano in grado di

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assumere sembianze umane come portatori di sogni. L’incisione di Flaxman illustra un episodio del IV libro

Le divinità alate dei greci e dei romani Nella mitologia greca, il principale messaggero dei sogni agli uomini era il dio alato Ipno, figlio di Morfeo, il dio del sonno, a sua volta figlio della Notte e fratello di Tanatos, la Morte. In un disegno dell’artista neoclassico tedesco Asmus Jacob Carstens, intitolato La Notte con i suoi figli Sonno e Morte, la Notte, divinità seduta, stende il proprio velo. Tra le sue ginocchia sta la Morte, che tiene in mano una torcia poco luminosa. Il Sonno incombe sulla coscia sinistra della Notte e in mano tiene delle capsule contenenti dei semi di papavero. Secondo Ovidio, il Sonno e i suoi figli vivevano in un profondo recesso nella cavità di un monte. Il

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dell’Odissea in cui Atena assume le sembianze della sorella di Penelope, Iftima, perché Penelope faccia un sogno che la

rassicuri sulla sorte di suo figlio Telemaco.

sottosuolo sbuffa nubi di vapore e scure ombre crepuscolari. Tutt’intorno, giacciono vuote visioni che imitano molte forme. Era compito di Ipno assumere le forme degli uomini e apparire loro in sogno. Grazie alle sue ali, Ipno era in grado di muoversi rapidamente e silenziosamente nelle tenebre. Giunto a destinazione, si liberava delle ali e si trasformava in un’ombra umana. Nessuno, scrisse Ovidio, è più bravo di lui a riprodurre l’andatura, l’aspetto e la parlata degli uomini; persino l’abbigliamento e le parole abituali di ciascuno che lui rappresenti. I problemi sollevati dall’ipotesi dell’esistenza di Ipno comprendono (1) l’ubiquità dei


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sogni nel sonno, che avrebbe richiesto granvelocità qualora l’agente fosse stato esterno, (2) l’invisibilità dell’agente e, cosa fondamentale, (3) la verosimiglianza dei protagonisti dei sogni. L’alternativa moderna è un processo universale di attivazione cerebrale autonoma che crea immagini realistiche dall’interno all’esterno. Anche gli dei dell’Olimpo erano in grado di assumere sembianze umane e di trasmettere i sogni alle persone. Nel IV Libro dell’Odissea, Atena assume le sembianze oniriche della sorella di Penelope, Iftima, e la manda in sogno a Penelope per rassicurarla sulla sorte di suo figlio Telemaco. La scena è rappresentata da una delle sette incisioni attraverso le

Cellula del movimento oculare. Quando le cellule del tronco pontino reticolare innescano i potenziali d’azione, gli occhi si

muovono. Questo processo è utile quando si cammina perché il movimento degli occhi è essenziale per la visione. È possibile che lo stesso processo contribuisca alla visione

quali John Flaxman ha illustrato la traduzione dell’Odissea di Alexander Pope. Nel periodo ellenistico, Eros, la divinità greca dell’amore, che Platone nel Simposio descrive come una figura “in grado di fornire agli uomini, vivi o morti che siano, la virtù e la felicità”, è diventata anche portatrice di sonno, sogni e morte. Nella copia romana dell’originale ellenistico, copia conservata agli Uffizi (e mostrata a pagina 45), tale divinità viene rappresentata sotto forma di un giocoso Cupido alato sopraffatto dal sonno. La sua mano destra regge lo stelo di due capsule contenenti semi di papavero, dimostrazione del fatto che gli antichi conoscevano le proprietà oppiacee di questa pianta. Il medico greco

onirica. Quando gli occhi si muovono in assenza di input esterni (luce), è chiaro che la parte superiore del cervello riceve informazioni dettagliate sul movimento

oculare a cui il tronco encefalico ha dato inizio. Si può concludere che le immagini oniriche visive siano un aspetto della coscienza che si genera internamente.

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Dioscoride (I secolo a.C.) descrisse nel suo De materia medica – che, fino al Medioevo inoltrato, era il principale manuale di farmacologia esistente – come l’oppio ottenuto dal papavero venisse utilizzato per preparare sonniferi, indicando di essere a conoscenza di un meccanismo chimico attraverso il quale l’estratto vegetale influiva direttamente sul cervello dei dormienti. Sembra che l’associazione di Eros con sonno, sogni e morte vada rintracciata nella Teogonia di Esiodo (700 a.C. circa), nella quale esso viene descritto come un dio che “rilassa le membra e danneggia la mente”. Dato che il suo potere di eccitare l’amore e il desiderio porta con sé anche dei pericoli, i poeti lirici del VII e VI secolo prima di Cristo lo descrissero come un essere astuto e crudele in grado di apparire con la stessa velocità del vento e di scuotere oppure di colpire le proprie vittime. Sarebbe bene che noi tenessimo in mente la parentela nella mitologia greca di Ipno (sogni), Morfeo (sonno) e Tanatos (morte), attraverso la quale il mondo antico spiegava il fatto che il sonno e i sogni rappresentano una sorta di morte, dato che ci privano della nostra capacità di essere coscienti e della nostra consapevolezza di noi stessi, precipitandoci in uno stato sconosciuto e imprevedibile nel quale non siamo più in grado di dominare il nostro fato. Nel corso del soliloquio in cui Amleto pone il quesito “Essere o non essere”, a bloccarlo è un pensiero: Morire, dormire; Dormire, forse sognare - ecco il difficile: Perché quali sogni potranno visitarci in quel sonno di morte, Quando saremo usciti dalla stretta di questa vita piena di affanni mortali, È un pensiero su cui ci si deve fermare a riflettere...

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Artemidoro e l’interpretazione dei sogni Nonostante la credenza popolare e prevalente nell’antichità secondo cui i sogni venivano trasmessi agli uomini da divinità alate, non tutti gli scrittori classici e della tarda antichità abbracciarono l’idea che i sogni fossero dei messaggi inviati dagli dei. Artemidoro da Efeso, autore dell’Oneirocritica, un manuale su una serie di sogni raccolti sul finire del II secolo, evitò prudentemente la questione. All’inizio del suo libro sui sogni, ammise: Non mi domando, a differenza di Aristotele, se l’origine dei nostri sogni sia esterna a noi e se sia di natura divina oppure se la loro motivazione sia interna a noi. Qualunque fosse l’origine, ogni sogno dell’Oneirocritica celava un significato nascosto – Freud l’avrebbe chiamato il “contenuto latente” dei sogni – che necessitava di una interpretazione. Artemidoro trattò tutti i sogni con grande concretezza clinica. Nulla che una persona potesse sognare non era in grado di predire qualcosa: Se un debitore sogna che gli cade un dente, indipendentemente dal tipo di dente, significa che riuscirà a estinguere il debito. Se tutti i denti cadono insieme, significa, nel caso di persone sane, libere e che non siano mercanti, che tutti diserteranno le loro case. Se uno perde un solo dente, pagherà il suo debito a una sola persona oppure a molte persone allo stesso tempo. La credenza nell’efficacia profetica dei sogni esisteva nella regione del Mediterraneo molto tempo prima dell’avvento di Artemidoro. Secondo un testo scoperto recentemente nel villaggio egizio di Deir el-Medina (1070 a.C. circa), sognare un accoppiamento


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con una donna è un cattivo presagio, mentre sognare un accoppiamento con una mucca è buon segno, una premonizione di felicità familiare. La lampante assurdità di tali esilaranti interpretazioni e il fatto che abbiano superato la prova del tempo sono la testimonianza della nostra inclinazione ad attribuire una spiegazione scientifica priva di fondamento ad un’attività mentale bizzarra piuttosto che rassegnarci all’idea che non sussista alcuna spiegazione razionale o che si tratti semplicemente di un’attività cerebrale caotica nel sonno. I moderni prontuari dei sogni sono i legittimi eredi di Artemidoro. Hanno la stessa autorevolezza e arbitrarietà. E godono della stessa popolarità. Benché molti dei sogni contenuti nell’Oneirocritica si riferiscano a eventi futuri, la loro importanza va letta – come ne L’Interpretazione dei sogni di Freud – nel contesto della storia personale del sognatore. Al pari di Freud, Artemidoro sottolinea il principio di associazione – i concetti che le immagini oniriche evocano in uno stato di coscienza. Ma mentre Freud era interessato alle associazioni del sognatore, ad Artemidoro stavano a cuore le associazioni evocate nella mente dell’interprete dall’immagine del sogno. L’attribuzione da parte di Artemidoro di uno specifico significato profetico ai sogni non ha mai perso il suo fascino. A farla rivivere furono alcuni libri bizantini sui sogni, in particolare il Libro dei sogni di Niceforo, patriarca di Costantinopoli dall’806 all’815; e, in seguito alla traduzione dell’Oneirocritica nelle lingue europee del Rinascimento, il metodo di Artemidoro per decodificare i messaggi dei sogni divenne il fondamento di tutti i libri sui sogni più popolari fin quasi ai giorni nostri. L’origine dei sogni La tensione tra le spiegazioni umane e divine dei sogni riflesse nell’ambivalenza di Arte-

midoro sulla loro origine appare ripetutamente negli scritti di autori classici e tardo antichi. La prima spiegazione razionale dei sogni nel mondo antico si trova tra i frammenti del filosofo presocratico Eraclito (450375 a.C.), che considerava i sogni come il normale accompagnamento del sonno e il sonno come uno stato di isolamento dal mondo e dai propri simili: Il mondo della veglia è uno solo ed è condiviso, ma il sonno sposta ciascuno di noi nel proprio mondo privato. Secondo Eraclito, la comparsa del sonno (Morfeo), una volta che abbiamo perso il contatto con la luce del giorno, è una sorta di morte (Tanatos): Un uomo accende una luce per sé, di notte, quando la sua vista si spegne. Da vivo, accarezza i morti nel sonno; al risveglio, accarezza chi dorme. Noi compensiamo il fatto che la nostra vista venga spenta al calare delle tenebre accendendo una lampada e pertanto, nel sonno, “sfioriamo” il regno dei morti. Quando ci svegliamo, torniamo alla condizione diurna ma siamo in “connessione” con la nostra discesa nel mondo dei sogni. Marcel Proust descrisse il viaggio dell’anima dormiente negli inferi dei sogni, praticamente in termini identici, in un passo di Alla ricerca del tempo perduto: D’un tratto mi addormentai. Ero sprofondato in quel sonno profondo nel quale si aprono a noi… la trasmigrazione dell’anima, l’evocazione dei morti… tutti quei misteri che noi pensiamo di non conoscere e ai quali invece veniamo iniziati quasi ogni notte. L’analogia con le tenebre e la morte, uno speDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Dormiente di Dreamstage. Davanti agli occhi di un pubblico che, nell’arco di cinque settimane, raggiunse le 10.000 unità,

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il soggetto di Dreamstage dormì profondamente e in maniera naturale mentre la sua attività cerebrale veniva registrata e mostrata sulle pareti della

gnimento virtuale della mente – che i greci spiegavano attraverso la relazione di sangue tra Ipno, Morfeo e Tanatos – è comprensibile e tuttora valida riguardo alla comparsa del sonno e al sonno REM che si verifica ogni notte, quando l’attivazione cerebrale globale scende a livelli molto bassi. L’analogia è meno adatta per i sogni, dato che i sogni implicano la riattivazione del cervello di cui ora sappiamo che scandisce regolarmente il sonno e che si fa sempre più intensa, man mano che la notte prosegue. Un dialogo platonico Platone attribuiva i sogni ai “movimenti interni” all’anima che, come ha confermato la

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mostra. Il segreto di questo fatto sorprendente consisteva nel sottolineare come il compito del dormiente fosse quello di stare sveglio quando non

era in mostra. La coperta del letto, in lamé d’argento (che nasconde e rivela il corpo del dormiente), è stata disegnata da Clara Wainwright.

neuroscienza, avvengono spontaneamente nel corso del sonno. Quando le nostre palpebre sono chiuse, scrisse nel Timeo, tali movimenti interni sono in pausa e sopraggiunge la quiete; e quando questa quiete si è fatta intensa, su di noi cala un sonno senza che noi facciamo praticamente alcun sforzo; ma quando restano ancora alcuni movimenti rilevanti, le immagini che producono sono talmente intense che esse vengono copiate dentro di noi e quando ci svegliamo dal sogno ce le ricordiamo ancora. La visione di Platone è, tutto sommato, molto acuta. Esiste un livello residuo di atti-


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vazione che spiega i sogni alla comparsa del sonno e i sogni che accompagnano il sonno non-REM. Ma la domanda è: non c’è altro? Oppure non dobbiamo forse postulare lo sviluppo di un processo di attivazione aggiuntiva nel cervello stesso, per fornire una spiegazione dei sogni prolungati, intensi e incredibilmente stravaganti che facciamo di prima mattina? Ovviamente Platone non conosceva questa distinzione fenomenologica perché non fece osservazioni dirette né eseguì alcun esperimento a tale proposito. Il razionalismo di Aristotele, Cicerone e Lucrezio Sul piano biologico, Aristotele (384-322 a.C.) era più sofisticato di Platone, ma rifuggiva anch’egli la sperimentazione. Negò l’origine divina dei sogni sulla base di due considerazioni: l’osservazione di animali nel sonno mostra che anch’essi sognano; inoltre non è ragionevole riconciliare l’idea che i sogni ci vengano da Dio con il fatto che Egli li invii non ai migliori e ai più saggi, bensì a tutti, secondo uno schema casuale. È difficile immaginare come questa teoria sarebbe riuscita a sopravvivere alla fede cristiana nell’onestà democratica di Dio; ma la neuroscienza ha mostrato, con altre argomentazioni, che l’universalità del sogno negli esseri umani e negli altri animali indica un agente interno. Il sogno, secondo Aristotele, è una “attività della facoltà di percezione sensoriale, ma appartiene a tale facoltà solo in maniera immaginativa”. Per “immaginativa” intendeva che Anche quando l’oggetto esterno della percezione se n’è andato, le impressioni che ha suscitato permangono e sono esse stesse degli oggetti di percezione. [Pertanto] movimenti basati su impressioni sensoriali, che queste ultime siano derivate da oggetti esterni o da cause inerenti al corpo, sono presenti non solo quando le persone

sono sveglie, ma si verificano pure quando il sonno si è impossessato di loro. Al pari di Platone, Aristotele ebbe delle difficoltà a spingersi oltre l’idea di un’attivazione residua; ma si trovò molto vicino alla verità nella sua enfasi sui meccanismi sensoriali-motori. Così, definì “il vero e proprio sogno” come “un’immagine fondata sul movimento dell’impressione sensoriale che si verifica nel sonno”. Dato che allucinazioni, illusioni e fantasie hanno molto in comune con i sogni, concluse che benché ciò potesse indicare che condividono un’origine comune, non è Dio a mandare i sogni e non è questa la loro natura. Essi hanno un aspetto misterioso, tuttavia, perché la natura stessa è misteriosa, per quanto non divina. Sia Cicerone (106-43 a.C.) che Lucrezio (99-55 a.C.) consideravano i sogni degli eventi naturali, niente meno e niente più delle operazioni mentali e delle sensazioni che proviamo quando siamo svegli. Cicerone, il più razionale dei filosofi antichi, distingueva tra sogno diretto e chiaro (visio) e sogno offuscato e allegorico (somnium), ma non aveva fede in nessuno dei due, perché se Dio non è il creatore dei sogni; se non c’è alcun legame tra di essi e le leggi della natura; e, infine, se attraverso l’osservazione, non vi si ritrova nessuna arte divinatoria, ne consegue che non si può fare alcun affidamento sui sogni. Nel De rerum natura, Lucrezio descrisse l’attività onirica in termini non in contrasto con le caratteristiche formali dei sogni – allucinazione, delirio, stravaganza, incongruità e amnesia – che noi abbiamo definito in questo libro: Quando il sonno si è impossessato delle nostre membra con la sua dolce spossatezza e quando il DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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nostro intero corpo giace in uno stato di quiete profonda, tuttavia ci pare di essere svegli e di muoverci, e nell’oscurità cieca della notte pensiamo di vedere il sole e la luce del giorno e scambiamo la nostra angusta stanza per il cielo e il mare, i fiumi e le montagne, e ci pare di attraversare le pianure a piedi e di udire dei suoni, nonostante l’austero silenzio della notte regni dappertutto, e di parlare mentre non stiamo dicendo nulla. Vediamo molte cose simili a queste, in una luce strabiliante, e così quelle cose pensiamo di averle viste, quando invece i nostri sensi non le hanno viste… A volte ci capita che le immagini seguenti non siano dello stesso tipo ma che ciò che prima era una donna ora sembri essersi trasformata, nella nostra mente, in un uomo; oppure che seguano delle forme e dei periodi diversi; ma il sonno e l’oblio fanno in modo che noi non ci stupiamo. Ci si chiede come mai osservazioni su base empirica quali quelle avanzate da Lucrezio fossero così rare e perché mai ci sia voluto tanto tempo per fare altre osservazioni di tipo formale in relazione ai sogni. La risposta non può che essere che noi siamo ancora sotto l’influenza dell’umanesimo classico e dello scolasticismo medievale. Continuiamo a dare per scontato che una mano invisibile guidi i nostri destini e che la spiegazione di questo agente primario possa essere svelata decodificando il contenuto dei sogni. Inoltre Lucrezio notò i movimenti oculari alla comparsa del sonno e ne inferì una relazione con l’attività onirica, ma né lui né chiunque altro riuscirono realmente ad afferrare l’importanza di tale osservazione fino al 1953, anno in cui Aserinsky e Kleitman scoprirono che il sonno del movimento oculare rapido (o REM) rappresentava il migliore fondamento fisico del sogno.

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Galeno e la teoria umorale dei sogni Due secoli dopo Cicerone e Lucrezio, Artemidoro elencò le due teorie sul sogno prevalenti ai suoi tempi: prima di tutto, la visione promossa da Lucrezio e dagli altri scrittori epicurei in base alla quale i sogni non sono altro che una continuazione delle attività del giorno (quello che Freud definì “residuo del giorno”), il cui scopo era di minare la credenza popolare secondo cui i sogni venivano mandati dagli dei; in secondo luogo, la teoria di Ippocrate (460-377 a.C.) e Galeno (129-199 d.C.), in base alla quale i sogni sono l’effetto di indigestione, intossicazione o squilibrio umorale e sono in grado di fornire ai medici degli indizi riguardo alla natura dei disturbi fisici. Un sogno, secondo Galeno, ci indica la condizione del nostro corpo. Se uno di noi vede un fuoco in sogno, allora ha un problema alla bile, che è troppo gialla; se vede del fumo oppure un’oscurità caliginosa o delle ombre molto scure, allora ha la bile nera. La fiducia di Galeno nella teoria umorale per determinare il contenuto dei sogni e nell’utilità di quest’ultimo per diagnosticare le malattie – anche se tali assunti sono cambiati in maniera significativa – la si può individuare persino nella nostra ipotesi. Nel contesto della neurobiologia, gli umori corporali di Galeno si trasformano in modulatori cerebrali. Il sogno si presenta quando la neuromodulazione aminergica cala e la neuromodulazione colinergica resta elevata o cresce. Niente di più – o di meno – di una teoria umorale dei sogni. La differenza – e si tratta di una differenza molto significativa – tra questa teoria e quella di Galeno sta nel fatto che essa ha un’origine empirica e non tanto teorica. Riguardo all’utilizzazione del contenuto onirico per effettuare una diagnosi, noi siamo dei seguaci di Galeno quando affermiamo che


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Artista francese, XII secolo, Il sogno dei Magi, Saint-Lazare, Autun.

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La scultura sul capitello romanico di Autun illustra la storia del Vangelo di Matteo secondo cui, dopo che i tre magi

ebbero reso omaggio a Gesù Bambino, Dio li ammonì in sogno esortandoli a non fare ritorno da Re Erode e a

prendere invece un’altra strada per tornare nei propri paesi.

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il sogno, essendo determinato dall’umore, apre una finestra sulla comprensione della malattia mentale. Definiamo mentale la malattia in questione in quanto non è possibile ancora stabilire quanto sia fisica. Tuttavia, la moderna teoria dei sogni facilita tale formulazione rendendo plausibile l’idea che le psicosi siano provocate da squilibri umorali nel cervello. Inoltre, il tipo di contenuto mentale osservato nelle persone che sognano inizia a indicare tipi specifici di squilibrio mentale. Per esempio, le allucinazioni uditive e la paranoia della schizofrenia denotano uno squilibrio di dopamina e glutammato, mentre le allucinazioni visive e la perdita di memoria del delirio organico indicano uno squilibrio aminergico-colinergico. Il lettore interessato troverà un’esposizione dettagliata di tali argomenti in The Dream Drugstore, pubblicato da MIT Press nel 2001. Sogni veri e falsi Le teorie sull’origine dei sogni nei secoli IV e V tendevano a rappresentare una posizione intermedia tra quella umana e quella divina. Per il neoplatonico Giambico (250-330), sono possibili sogni umani tanto quanto divini, benché essi significhino cose diverse. I sogni divini, che emanano da Dio e consentono all’anima di trascendere la propria condizione mortale, sono veri. I sogni umani, che nascono dall’interno dell’uomo, “eccitati dall’anima, da alcune delle nostre idee, dall’immaginazione oppure da preoccupazioni quotidiane”, sono fallibili, “a volte veri e a volte falsi.” La distinzione tra sogni veri e falsi non è incompatibile con ciò che la neuroscienza ha dimostrato, ovvero che il cervello sognante è incline a fare delle iperassociazioni, dotate di significato o meno, a seconda dello stato alterato della sua psicologia e della sua chimica. La distinzione tra sogni veri e falsi fu una

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delle pietre miliari delle teorie sui sogni concepite dall’antichità al Rinascimento. La sua origine va rintracciata in Omero. Nel Libro XIX dell’Odissea, Penelope chiede a Ulisse, che è sotto mentite spoglie, di interpretare un sogno nel quale un’aquila, che si era espressa con la voce di Ulisse, aveva profetizzato che sarebbe tornato da lei e avrebbe portato la morte ai suoi pretendenti. Ulisse le dice che quel sogno si avvererà. Ma Penelope risponde, saggiamente: Non tutti, Ospite, i sogni investigar si ponno. Scuro parlano e ambiguo, e non risponde L’effetto sempre. Degli aerei sogni Son due le porte, una di corno, e l’altra D’avorio. Dall’avorio escono i falsi, E fantasmi con sé fallaci e vani Portano: i veri dal polito corno, E questi mai l’uom non iscorge indarno. Ah! creder non poss’io che quinci uscisse L’immagin fiera d’un evento, donde Tanta verrebbe a me gioia e al mio figlio. Luciano, il poeta satirico greco del II secolo, come Giambico un secolo dopo, era diviso tra le due diverse idee sull’origine e l’importanza dei sogni. In apertura del suo trattato sui sogni, Luciano dichiarò che “in una notte stellata, in sogno ho avuto una visione,” citando la risposta di Agamennone al sogno che Giove gli aveva mandato nel Libro II dell’Iliade. Tuttavia, dopo aver raccontato il suo sogno, Luciano ritenne possibile che esso “fosse il risultato… della sua agitazione.” Se, seguitò, il sogno era di natura divina, esso meritava un pubblico ricettivo; se, d’altro canto, la sua spiegazione era di tipo psicologico, esso suscitava la derisione del pubblico. Uno è una rivelazione ricca di significato, l’altro una rivelazione del tutto priva di significato.


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Il pellegrino medievale. Il pellegrino medievale infila la testa ai margini del

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cosmo a forma di cupola e ascolta la musica delle sfere. Nessuno avrebbe potuto capire la natura

Il commento al “sogno di Scipione” scritto da Macrobio Artemidoro fece anche una distinzione tra il sogno che ha un significato allegorico e che è in grado di predire il futuro (somnium) e l’insomnium, che nasce dallo stato del corpo e della mente del sognatore e che non ha significato. Da questo da altri punti di vista, la Oneirocritica fu il punto di partenza per il Commento al Sogno di Scipione di Cicerone scritto dallo scrittore romano del V secolo Macrobio, il più importante libro sui sogni della tarda antichità, il cui impatto si è fatto

infinita e caotica dello spazio esterno (e di quello interno) in quanto eventi casuali fino all’avvento

dell’era moderna, postdarwininana.

sentire fino al sedicesimo secolo. Il commenti al Sogno di Scipione scritto da Macrobio rappresenta il culmine della lotta condotta dai tempi di Omero in avanti per decidere, da un lato, cosa sia davvero importante e che cosa interpretare e, dall’altro, cosa non sia importante e cosa mettere da parte. È nostra ferma convinzione che fare questa distinzione in maniera sensata e oggettiva sia non solo difficile ma, addirittura, impossibile e che per questo motivo tutti gli schemi interpretativi non possano far altro che sottrarsi alla prova della legittimità scientifica. Siamo inoltre consapevoli del fatto che la confusione tra DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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fenomenologia (quello che si può osservare in maniera oggettiva) e interpretabilità (la ricerca soggettiva di formulazioni verbali di ciò che i dati osservati potrebbero voler dire) continui ancor oggi a ostacolare la scienza dei sogni – e non solo la scienza dei sogni. Macrobio distingue tra quattro fondamentali categorie di sogni: visio, somnium, insomnium e phantasma. La definizione di visio e somnium, entrambi profetici, risale a Cicerone. Visio è una visione diretta, chiara. È comprensibile perché quello che vede il visionario si verificherà. Il somnium è il sogno allegorico che nasconde forme strane, vela di ambiguità il vero significato delle informazioni offerte e richiede un’interpretazione per essere capito. L’insomnium, o incubo, e il phantasma, o apparizione, non meritano una interpretazione perché non hanno rilevanza profetica. A provocare un incubo possono essere un disagio mentale o fisico oppure la preoccupazione per il futuro. Gli incubi spariscono quando il sognatore si desta. Ecco perché sono stati chiamati insomnium, non perché si verificano durante il sonno, bensì perché sono interessanti solo intanto che sono in corso, mentre una volta finiti non hanno più nessuna importanza o significato. L’apparizione viene nel momento che sta tra la veglia e il sonno. In tale condizione sonnacchiosa, il sognatore pensa di essere ancora del tutto sveglio e immagina di vedere degli spettri, diversi dalle creature naturali per forma e dimensione, che corrono verso di lui o che vagano intorno a lui e che ospitano diverse cose, meravigliose o spaventose. I due tipi di sogni appena descritti non sono di alcun aiuto nella previsione del futuro ma, attraverso gli altri due, noi disponiamo dei poteri della divinazione.

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Per tutto il Medioevo e il Rinascimento, visio e somnium furono considerati veri, mentre insomnium e phantasma falsi. Per convenienza, nel Medioevo le quattro categorie di Macrobio vennero ridotte a tre. Dato che gli scrittori medievali parlavano di visioni e sogni in maniera interscambiabile, la visio e il somnium vennero fusi nel somnium celeste. L’insomnium, o incubo, divenne il somnium animale e il phantasma, o apparizione, venne rinominato somnium naturale. Il somnium celeste – che prendesse la forma di una visione diretta o di un sogno velato che richieda una interpretazione – era profetico e di origine celeste. Il somnium animale e il somnium naturale, le cui origini erano all’interno del corpo e della mente del sognatore, entrarono nella sfera di interesse della medicina medievale. Secondo il medico e filosofo arabo Avicenna (980-1037), il somnium animale “nasce da una grande ansia nella mente che si desta”, mentre il somnium naturale, o apparizione, è un sintomo di malattia del corpo provocata da un disequilibrio degli umori. I sogni profetici, d’altro canto, “nascono da un’azione diretta di forze angeliche sulla mente nel sonno, forze che agiscono sull’immaginazione.” Alla luce della moderna scienza dei sogni, la visio, o visione onirica profetica, potrebbe riferirsi alle informazioni profetiche elusive che si generano quando l’incertezza e l’ansia per il futuro preoccupano i dormienti, nei momenti di veglia cosciente. La realtà suggerisce che tali preoccupazioni spingano il cervello a cooperare con le emozioni rafforzate, soprattutto paura ed euforia, che si generano automaticamente nel sonno. I sogni possono riflettere la preoccupazione del sognatore riguardo al futuro ed effettivamente la riflettono. A volte, inoltre, possono coincidere con un risultato specifico, ma questo non va preso


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come prova scientifica di predizioni più che casuali del futuro. Il somnium, o sogno allegorico, è il prodotto di un processo REM che spinge i circuiti sintetici e creativi del cervello a generare metafore, simboli e mistificazione confabulatoria. In altre parole, il sogno può essere lo stato mentale per eccellenza nella elaborazione iperassociativa; ma ciò non va preso come garanzia di interpretabilità. In realtà, se l’approccio all’interpretazione è riduttivo, sembrerebbe poter portare all’errore con maggiore facilità. L’insomnium, o incubo, è dovuto a una intensa attivazione del cervello limbico nel sogno, attivazione che innesca una rapida azione cardiaca, una irregolarità respiratoria e un aumento della pressione sanguigna. Tali effetti si possono presentare durante brutti sogni nella fase REM del sonno oppure in flashback post-traumatici che si verificano nel sonno non-REM. Il phantasma, o apparizione, allude alla evocazione, dovuta all’attivazione del sistema limbico nel sonno REM, di allucinazioni ipnagogiche e delle relative emozioni negative. Ancora una volta, la presenza di incubi e di fenomeni ipnagogici fornisce maggiore evidenza delle forti connessioni tra l’attivazione emotiva e quella cognitiva, più che indizi sulla riduzione dello stress attraverso una catarsi. Il sogno nel Medioevo Nel pensiero cristiano medievale, i sogni profetici erano un punto di incontro tra presente ed eternità, il veicolo per l’unione del sognatore con il divino e l’intermediario tra la materia e lo spirito. L’idea che la materia e lo spirito, oppure il corpo e la mente, siano entità separate permane anche in epoca moderna. Persino il filosofo francese René Descartes (1596-1650), che capì la realtà

del cervello fisico, non riuscì a immaginarne il rapporto con l’esperienza mentale. È solo negli ultimi cinquant’anni che la moderna neuroscienza ha dimostrato l’interdipendenza unificante di cervello e mente. Il Medioevo cristiano trasformò le divinità pagane alate in angeli, portatori ai sognatori illuminati di quelle che Avicenna definì “forze angeliche”, mediatrici fra il mondo di Dio e il mondo dell’uomo, attraverso visioni prodigiose. Un soggetto visionario frequente nelle illustrazioni dell’arte cristiana, dal XII secolo al Romanticismo, è il racconto del sogno di Giacobbe contenuto nel capitolo 28 della Genesi che, dal Medioevo in avanti, venne interpretato come simbolo dell’ascesa dell’anima al cielo. Dopo aver ricevuto la benedizione di suo padre Isacco, Giacobbe andò in Mesopotamia a trovare Labano, il fratello di sua madre Rebecca. Lungo il cammino, giunse in una località, vi passò la notte perché il sole era già tramontato: prese una delle pietre che erano lì, se la mise come capezzale, poi si coricò per dormire. E sognò: gli apparve una scala, che, appoggiata sopra la terra, con la cima arrivava al cielo e per essa gli angeli di Dio salivano e scendevano. L’anonimo miniaturista inglese autore de Il sogno di Giacobbe per una Bibbia del XII secolo custodita nella Biblioteca di Lambeth Palace ha collocato la scala con i cinque angeli che salgono diagonalmente lungo la pagina, con la figura di Giacobbe che sogna, all’estremità inferiore sinistra (sulla destra della pagina, sta il Sacrificio di Isacco, che i commentatori medievali della Bibbia interpretavano come una anticipazione simbolica del sacrificio di Cristo. In alto, sopra la figura del Giacobbe dormiente, egli è raffigurato in piedi, sveglio dopo il sogno e intento a ungere le pietre che gli avevano DAGLI ANGELI AI NEURONI |

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Disegni di sogni. Nei sogni è possibile volare, cadere oppure restare pericolosamente sospesi nello spazio. Nel caso dell’entomologo della

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Smithsonian Institution, tali situazioni oniriche involontarie, come per esempio restare attaccati ai binari della ferrovia e inginocchiarsi su un tappeto volante, sono

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cariche d’ansia. Quando l’autosuggestione precedente il sonno induce un volo onirico, esso può comunque risultare gradevole. Invece di ricevere dei sogni portati

da creature alate, i sognatori hanno l’intrinseca capacità di simulare il volo.


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fatto da capezzale con dell’olio. All’inizio della pagina Dio, il Padre, tiene in mano una pergamena con su scritto “Io sono Dio”). La scala ovviamente è il mezzo attraverso cui passare da un livello all’altro e per farvi ritorno. Pertanto, possono accedere ai livelli superiori i sognatori che salgano le scale del sogno; e gli agenti delle trasformazioni possono anche scendere da regni più elevati, impartendo messaggi ai sognatori. Nella ricerca moderna sul sogno, la scala viene rimpiazzata da un grafico che mostra come l’attivazione cerebrale inizialmente scenda a un relativo stato di incoscienza e oblio e, più tardi, cresca nuovamente, passo dopo passo, per salire a un livello prossimo alla veglia, nel quale possa svilupparsi una vivida attività onirica. Nell’arte medievale, i principali destinatari dei sogni erano i patriarchi, i santi, e i governanti del Vecchio Testamento, compresi i tre Re Magi. Un capitello della cattedrale romanica francese di Autun (pag. 75) illustra il racconto del Vangelo di Matteo secondo cui, dopo che i Magi ebbero portato i loro omaggi a Gesù bambino, Dio ordinò loro in sogno di non fare ritorno da Erode, e così “tornarono al loro paese per altra via.” Lo scultore medievale ha raffigurato l’angelo portatore dell’ordine di Dio mentre tocca la mano di uno dei re dormienti e indica la stella che dovranno seguire sulla strada di casa. Il fatto che i tre re sembrino avere gli occhi aperti classifica il sogno come visio di Macrobio, ovvero la visione diretta e chiara, suggerendo l’idea che i Magi effettivamente vedano il messaggero angelico e ricevano il messaggio che l’angelo reca loro dall’alto. Alle soglie del Rinascimento Uno dei soggetti degli affreschi della vita di San Francesco nella Basilica Superiore di San Francesco d’Assisi è Il sogno di San

Francesco, nella quale un angelo, indicando uno splendido palazzo decorato da stendardi, ordina al santo e ai suoi seguaci di diventare soldati di Cristo (pag. 206). Sotto l’affresco, sta la seguente iscrizione: La notte seguente, dopo che si fu addormentato, San Francesco vide un palazzo splendido e grande adorno di stendardi marziali recanti il segno della Croce di Cristo e, quando chiese di chi fossero, a rispondergli fu una voce celestiale che gli disse che erano tutti suoi e dei suoi soldati. Il fatto che l’artista abbia raffigurato il palazzo indicato dall’angelo – una strana miscela di stili classico e gotico – in prospettiva, come un edificio che davvero potesse venire costruito, anticipa gli interessi umanistici e scientifici del Rinascimento riguardo alla realtà fisica tanto dei sogni quanto della loro rappresentazione pittorica. Intorno alla metà del XV secolo, tali interessi erano giunti al punto che nell’affresco di Piero della Francesca, Il sogno di Costantino, nel coro di San Francesco ad Arezzo, la visione dell’imperatore è rappresentata come se stesse avendo luogo davanti ai nostri occhi. Assopito nella sua tenda la notte prima della battaglia contro Massenzio, presso Ponte Milvio, Costantino sogna che un angelo gli annunci la profezia secondo cui si imporrà sotto il segno della croce. Il realismo di Piero della Francesca dipende anche dal fatto che lui ha collocato il sogno di notte e che ha mostrato l’angelo latore del messaggio profetico come lo vedremmo noi stessi, di scorcio sullo sfondo. Anticipazioni della moderna scienza dei sogni L’ultimo, profetico scrittore del mondo antico che considerava i sogni come fenomeDAGLI ANGELI AI NEURONI |

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ni naturali soggetti ad una spiegazione puramente psicofisiologica fu il teologo greco del quarto secolo Gregorio di Nissa. Nella sua opera, Sulla creazione dell’uomo (380), Gregorio attribuì il sogno al fatto che, durante il sonno, i sensi e l’intelletto sono inattivi. Dalla sua osservazione, trasse la conclusione che i sogni sono motivati dalle passioni che, mentre siamo svegli, devono essere controllate dall’intelletto, se l’uomo non vuole cadere nel peccato; ma, dato che nel sonno l’intelletto cessa di essere vigile, le nostre passioni trovano espressione nei sogni. In pratica, la stessa argomentazione la fece sul finire del XVIII secolo Francisco Goya nell’acquaforte Il sonno della ragione. Sotto a un disegno preparatorio per l’acquaforte (pag. 120), Goya scrisse: L’autore sogna. L’unica sua volontà è di disfarsi delle credenze comuni nocive e di perpetuare attraverso l’opera dei capricci la testimonianza sensata della verità. L’acquaforte di Goya non va in direzione contraria alla ragione, semmai implica che sia possibile sconfiggere i mostri delle “credenze comuni nocive” che vengono a galla nei sogni, quando la ragione è a riposo – che possa prevalere la “testimonianza sensata della verità” – se la ragione è “vigile”. La visione della motivazione dei sogni di Gregorio di Nissa anticipa non solo Goya ma anche Freud e la moderna scienza dei sogni. Al pari del neuroscienziato nel suo laboratorio, Gregorio era più interessato alla struttura dei sogni che al loro contenuto e alla loro interpretazione. La sua conclusione secondo cui i sogni sono motivati dalle passioni quando l’intelletto non le controlla anticipa di un millennio e mezzo l’ipotesi di Freud secondo cui quando dormiamo l’intelletto – che Freud chiamava ego – perde la sua supremazia e il materiale che l’ego ha

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passato al vaglio e relegato all’inconscio negli stati di veglia cosciente si esprime attraverso i sogni. Dal punto di vista della moderna scienza dei sogni, l’aspetto più rilevante del modello di Gregorio dell’interazione tra volontà e passione è la sua anticipazione della scoperta che la sede della volizione nel lobo frontale del cervello è in interazione dinamica con la sede dell’emozione nel lobo limbico. È un’interazione tale che, nel corso della normale attività onirica, rispetto a uno stato di veglia, il sistema volizionale frontale viene disattivato mentre si attiva il centro emozionale limbico. Pertanto, nei sogni noi siamo incapaci di esercitare un controllo di volontà sui nostri ego sognanti e le nostre emozioni finiscono per dominarci la mente. Perché questo succeda, non ci servono divinità alate, angeli e scale. Ci basta solo un cervello in salute e dotato della sua intrinseca capacità di modificare il proprio livello di attivazione, di aprire e di chiudere le proprie porte input-output e di cambiare i propri indici neuromodulatori. Queste capacità, a loro volta, regolano l’attivazione e la disattivazione automatiche dei gruppi neuronali in regioni specifiche del cervello, regioni che controllano la ragione e la passione. Il modo in cui operano è, a detta di tutti, niente meno che fantastico. Per coloro che continuano a sostenere l’ipotesi di agenti esterni, per esempio configurazioni astrali, e che si dilettano di codici da decodificare, riconosciamo che nessuna scoperta scientifica ha ancora dimostrato la falsità di tali schemi. Tuttavia, fornendo un modello più semplice e dal fondamento più certo, la moderna scienza dei sogni toglie ai sistemi di pensiero concorrenti la responsabilità di sostanziare la propria autorità. Ci pare che non sia un caso il fatto che la significatività perdurante di pensatori tardoantichi, soprattutto Gregorio di Nissa, deri-


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vi dall’enfasi posta sulla forma universale del sogno e dei relativi stati mentali. Forse, un giorno, ne sapremo abbastanza per dimostrare scientificamente le ipotesi sulle analisi del contenuto. Ma quel giorno non è ancora

venuto. Sospettiamo che, quando verrà, il nostro approccio formale avrà già chiarito gran parte del mistero che si nasconde dietro l’attività onirica.

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