Concerto Dudamel-Abbado

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Il Concerto per pianoforte e orchestra Ciclo Straordinario - Il Concerto per pianoforte e orchestra

Ciclo Straordinario

Concerti sinfonici 2012 / 2013

25 e 30 ottobre, 7 novembre 2012


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eni socio fondatore Teatro alla Scala eni.com



LA SCIENZA ARMONICA Formare, promuovere e diffondere espressioni della cultura, della scienza e dell’arte quali mezzi per il miglioramento della qualità della vita e della coesione sociale. L’impegno della Fondazione Bracco ha radici nel patrimonio di valori maturati in oltre 80 anni di storia aziendale. Perché siamo convinti che la responsabilità civile passi anche attraverso una maggiore diffusione della cultura e dell’arte quali strumenti di un armonico progresso umano. Per questo siamo partner di grandi Istituzioni culturali in Italia e all’estero, a sostegno di iniziative volte alla valorizzazione e alla promozione del patrimonio artistico italiano. Perché scienza e bellezza sono due aspetti del medesimo impegno.


Foto Marco Brescia


Come il cielo quando è bello, così la conoscenza: incoraggia. Come la luce serena e trasparente, così l’immaginazione: ispira. Conoscenza e immaginazione hanno il potere di migliorare oltre alla tua vita anche la vita di altri, il tuo Paese, il mondo, mentre ti impegni al massimo. È lo stesso impegno di SDA Bocconi School of Management: agire attraverso la ricerca e la formazione - MBA e Master, Programmi di Formazione Executive e su Misura - per la crescita degli individui, l’innovazione delle imprese e l’evoluzione dei patrimoni di conoscenza; per creare valore e diffondere valori.

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30 ottobre 2012 Il ritorno di Claudio Abbado: attesa, entusiasmo, emozione. Una festa in musica per il Maestro Barenboim. Vita e arte sul palcoscenico del Teatro alla Scala.





Fondazione di diritto privato

ALBO DEI FONDATORI Fondatori di Diritto

Stato Italiano

Fondatori Pubblici

Fondatori Privati Permanenti

Fondatori Privati Ordinari Fondatori Emeriti


Fondazione di diritto privato

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Presidente

Giuliano Pisapia Sindaco di Milano

Consiglieri

Stéphane Lissner Giovanni Bazoli Guido Podestà Aldo Poli Paolo Scaroni Fiorenzo Tagliabue Alessandro Tuzzi Margherita Zambon

Vice Presidente

Bruno Ermolli

Stéphane Lissner Sovrintendente e Direttore artistico Daniel Barenboim Direttore musicale Maria Di Freda Direttore generale

Gastón Fournier-Facio Coordinatore artistico COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI

Presidente

Mario Cattaneo

Membro supplente

Nadia Palmeri

Membri effettivi

Marco De Luca Marcello Coato



Ciclo Straordinario

Il Concerto per pianoforte e orchestra

EDIZIONI DEL TEATRO ALLA SCALA


Indice Concerto 25 ottobre 2012 Testo di Franco Pulcini e Marco Moiraghi

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Johannes Brahms Cronologia della vita e delle opere a cura di Marco Mattarozzi

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Elliott Carter Cronologia della vita e delle opere a cura di Marco Moiraghi

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Béla Bartók Cronologia della vita e delle opere a cura di Lidia Bramani

23

Concerto 20 ottobre 2012 27 Testo di Franco Pulcini e Henry-Louis de La Grange Fryderyk Chopin Cronologia della vita e delle opere a cura di Lidia Bramani

36

Gustav Mahler Cronologia della vita e delle opere a cura di Franco Pavan

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Concerto 7 novembre 2012 Testo di Giorgio Pestelli e Maurizio Giani

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Ludwig van Beethoven Cronologia della vita e delle opere a cura di Marco Mattarozzi Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij Cronologia della vita e delle opere a cura di Antonio Polignano

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Daniel Barenboim

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Gustavo Dudamel

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Claudio Abbado

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Daniel Harding

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Filarmonica della Scala

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Orchestra Mozart Bologna

72

Teatro alla Scala

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Ciclo Straordinario

Il Concerto per pianoforte e orchestra

Teatro alla Scala Giovedì 25 ottobre 2012 ore 20

Teatro alla Scala Martedì 30 ottobre 2012 ore 20

Teatro alla Scala Mercoledì 7 novembre ore 20

Filarmonica della Scala

Filarmonica della Scala Orchestra Mozart Bologna

Filarmonica della Scala

Direttore

Daniel Harding

Direttore

Gustavo Dudamel Pianoforte

Claudio Abbado

Daniel Barenboim

Pianoforte

Johannes Brahms Concerto n. 1 in re min. op. 15

Frederyk Chopin Concerto n. 1 in mi min. op. 11

Elliott Carter Dialogues II per pianoforte e orchestra da camera Prima esecuzione assoluta Commissione del Teatro alla Scala e della Staatsoper Unter den Linden, Berlino in occasione del 70° compleanno di Daniel Barenboim

Gustav Mahler Sinfonia n. 6 in la min. “Tragica”

Direttore Pianoforte

Daniel Barenboim

Daniel Barenboim

Ludwig van Beethoven Concerto n. 3 in do min. op. 37 per pianoforte e orchestra Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij Concerto n. 1 in si bem. min. op. 23

Béla Bartók Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra

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Giovedì 25 ottobre 2012 ore 20

Filarmonica della Scala Direttore

Gustavo Dudamel Pianoforte

Daniel Barenboim

Johannes Brahms Concerto n. 1 in re min. op. 15 Maestoso Adagio Rondò (Allegro ma non troppo)

Elliott Carter Dialogues II per pianoforte e orchestra da camera Prima esecuzione assoluta Commissione del Teatro alla Scala e della Staatsoper Unter den Linden, Berlino in occasione del 70° compleanno di Daniel Barenboim

Béla Bartók Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra Allegro moderato Andante Allegro molto

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Johannes Brahms nel 1860.

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Johannes Brahms, Concerto n. 1 in re minore op. 15 per pianoforte e orchestra Il primo dei due concerti per pianoforte e orchestra di Brahms non nacque in origine in questa forma. I suoi temi, pur nati sulla tastiera del pianoforte, si erano sviluppati nella mente del giovane musicista di Amburgo in forma esclusivamente sinfonica: ambientati, pertanto, in una “sinfonia” che non comprendeva un pianoforte. Si tratta di materiali tragici, severi e tempestosi, ascritti per consuetudine all’aspetto nordico della poetica di Brahms, in seguito naturalizzato viennese, ma non per questo trasformato in un gaudente edonista, anzi, ritratto nelle caricature come un inavvicinabile riccio. E l’origine sinfonica del Concerto in re minore, che si nota all’ascolto, fu alla base di uno dei suoi più penosi insuccessi. La musica tormentata della pagina (divenuta in una seconda stesura una “sonata per due pianoforti”) era abbastanza lontana da quanto il pubblico si attendeva da un concerto, ovvero un’esibizione brillante, magari con accenti eroico-militareschi, ma sostanzialmente ottimistica. Per dare un’idea dello stato d’animo di Brahms mentre concepiva l’opera, essa prevedeva una marcia funebre in forma di Sarabanda, che il musicista decise di eliminare per farla confluire nel Requiem tedesco, di cui divenne il secondo brano. Amici del dubbioso Brahms, come il violinista Joseph Joachim, lo aiutarono con i loro consigli a trovare una forma definitiva per quel groviglio di forza espressiva, malinconia e sete di leggenda, che s’intravede soprattutto nel primo movimento. La grande pianista Clara Schumann – moglie del musicista che aveva scoperto nel giovane collega un talento fuori dell’ordinario – lo convinse che la forma un tempo aggraziata e brillante del concerto poteva tentare di indossare questi nuovi abiti musicali, forse grevi, ma ben elaborati, splendidi e di tragica spettacolarità. Invece l’innesto non piacque al pubblico, che rimase freddo quando l’autore lo suonò per la prima volta a Hannover il 22 gennaio 1859, con l’orchestra diretta da Joachim. Eppure Clara Schumann sostenne che il finale veniva suonato dal suo Johannes “in modo assolutamente divino”. Presentato anche a Lipsia qualche giorno dopo, fu addirittura un autentico insuccesso. Brahms avrebbe compiuto qualche mese dopo ventisei anni; aveva lavorato all’opera da quando ne aveva una ventina. In quella musica c’era già tutto il suo mondo. Non fu facile per lui. Eppure ancora oggi questa pagina potente, pubblicata nel 1861, e che tutto sembra tranne che una pagina giovanile, resta fra le sue opere maggiori. In quel misto di ruvidezza e di tenerezza, in quella franca indifferenza verso ogni leziosità in favore di un autentico intimismo, fece commentare ai tradizionalisti a corto di argomenti: sembra una “sinfonia con pianoforte obbligato” o “un concerto senza assoli”. Forse il pubblico si aspettava quel rigore classico che Brahms saprà offrire in altre opere, ma non in questo tempestoso concerto, una delle più autentiche espressioni della più pura e incontaminata passione romantica. Un concerto, potremmo dire, neo-Sturm und Drang, e quindi anche un po’ la negazione di un equilibrato concerto classico. Claude Rostand parla di un romanticismo “contadino”, “allo stato brado”, il cui “primitivo vigore” ancora ai nostri giorni può disturbare la sensibilità dei musicofili: infatti nelle sale da concerto è riuscito a ritagliarsi maggiore spazio il suo Secondo concerto, più “elegantemente confezionato”, secondo il critico francese. Il Maestoso iniziale nacque sotto l’impressione avuta da Brahms alla notizia del tentato suicidio di Robert Schumann. La notizia proviene direttamente da Joachim, uno dei più cari amici e collaboratori di Brahms. Il pianoforte si fa parecchio attendere, e nell’attesa esso svela più di altre parti la natura sinfonica dell’iniziale ispirazione. Il tematismo, in presa diretta con una passione incontrollata, trae tuttavia in inganno, perché il prosieguo mostra una ben controllata forma-sonata classica. La naturalezza con cui Brahms svi-

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luppa, alterna e contrappone i temi non fanno pensare a un progetto sinfonico, a una ben studiata architettura formale, bensì alla divagante spontaneità di un’improvvisazione. Ma la logica formale c’è. Il pianoforte, tuttavia, non segue pensieri musicali propri, ma, salvo che in rari casi, riprende idee di un’orchestra musicalmente dominante. Stremati dal primo movimento, possiamo concederci con il secondo, un Adagio, una tregua onirica, sempre d’impronta romantica, ma di segno espressivo opposto. Nella prima edizione dell’opera, Brahms aveva voluto anteporvi la frase latina Benedictus qui venit in nomine Domini. L’interpretazione è dubbia. Comunque, avendo spesso Brahms chiamato Schumann “Mein Herr Domine”, appare evidente, al di là di ulteriori possibili significati, che anche questa pagina commovente sia dedicata allo sfortunato predecessore sprofondato nella follia. Il brano è costituito da due sezioni, con la seconda maggiormente ornata. Come una liberazione da un eccesso di pensosità, accogliamo il liberatorio Rondò finale, di inattesa ed energetica lievità. Brahms non si imita a ripetere un tema ricorrente, ma lo varia con sottigliezza, quasi a ricercare diverse sfumature di una spensieratezza tanto difficilmente conquistata. È un Rondò variato nello stile del più alato Schumann. Orchestra e solista partecipano alla pari, con l’orchestra sempre pronta a prendere iniziative e attenta a non lasciare spazi aperti a un pianoforte inizialmente intruso e ora amico. Tre sono le parole con cui Clara Schumann accolse la pagina in cui si riassumeva il dramma della sua vita e della sua famiglia: ricchezza, intensità, unità. Franco Pulcini

Elliott Carter: Dialogues II per pianoforte e orchestra da camera Ultimo prodotto di una fucina compositiva instancabile, la partitura dei Dialogues II per pianoforte e orchestra da camera arricchisce di un piccolo ma significativo tassello un quadro – quello delle musiche concertanti di Carter – che negli ultimi anni si è fatto prodigiosamente multiforme. Per limitarci agli anni 2000: accanto a pezzi sontuosi e complessi come il Concerto per violoncello e orchestra (2000), il Concerto per corno e orchestra (2006) e il Concerto per flauto e orchestra (2008), Carter ha composto pezzi concertanti di più ridotte dimensioni ma non per questo di minor impegno, come Mosaic per arpa e ensemble (2004) o il Concertino per clarinetto basso e orchestra da camera (2009). In questo gruppo va annoverata anche una serie di straordinari pezzi con pianoforte solista, con intitolazioni tanto particolari quanto significative: Dialogues per pianoforte e orchestra da camera (2003), Soundings per pianoforte e orchestra (2005), Interventions per pianoforte e orchestra (2007), Two Controversies and a Conversation per pianoforte, percussione e orchestra (2010-2011). I titoli parlano chiaro: “dialoghi”, “risonanze”, “interventi” (o “intromissioni”), “controversie” (o “discussioni”), “conversazioni”. È evidente che Carter attinge a piene mani all’area semantica della parola, del logos, e in particolare della lingua che unisce o divide o comunque mette in relazione le persone; logos come narrazione o ragionamento, dunque, ma anche e soprattutto come dialogo, legame, rapporto, contatto, direzione, tensione. I titoli, naturalmente, non sono affatto casuali, soprattutto in un autore raffinato e colto come Carter, che fra l’altro ha vaste competenze letterarie; l’idea della relazione dialogica può essere considerata uno dei nuclei essenziali della vivace concezione che Carter ha della musica concertante. Secondo tale concezione i ruoli sono allo stesso tempo chiari e complicati: il solista enuncia, propone, scandisce, argomenta; l’orchestra risponde, chiosa, ribatte, puntualizza, enfatizza, svia, contraddice. Il dialogo poi si infittisce, si complica, si ramifica, rischiando anche di perdersi in mille rivo-

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Elliott Carter

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The dynamo of enthusiasm that propels his extraordinary musical skills, performing, conducting and imagining new ideas and his views on many varied conceptions make Daniel a model and an exciting stimulus for us all. I hope a little of that reveals itself in this 70th birthday present. Elliott New York City June 29, 2012

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La dinamo di entusiasmo che muove le sue straordinarie capacità musicali, nell’esecuzione, nella direzione e nell’immaginare nuove idee, e le sue opinioni su molti diversi concetti fanno di Daniel un modello e un potente stimolo per tutti noi. Spero che un poco di tutto ciò traspaia da questo regalo per il suo 70° compleanno. Elliott New York 29 giugno 2012


li, disordinatamente; e il confronto, che spesso ha un punto di partenza sobrio e pacato, può poi degenerare, portando a discussioni più o meno violente; si può finire per litigare, per accapigliarsi, fino alle grida. Per quanto curioso possa sembrare, questo quadro è di fondamentale importanza per capire molta musica concertante di Carter, perché è proprio all’interno di una simile dimensione dialettica e discorsiva che alcune fra le sue idee più interessanti sembrano prendere forma. Dialogues II non fa eccezione, anzi sembra riassumere e compendiare alcuni dei tratti più tipici della scrittura dell’autore. Carter ci ha abituati da tempo a ideazioni “dialogiche”; spesso, ascoltando uno dei suoi pezzi, siamo resi partecipi di un gioco sonoro che poi si rivela essere metafora di un conflitto, come se fossimo davvero davanti ad un gruppo di persone che discutono animatamente. Si pensi a un pezzo come l’Asko Concerto (1999-2000), dove il divertito gioco dei frazionamenti strumentali si spinge fino alla formazione di sei sottoinsiemi strumentali differenti, ossia due diversi duetti, due diversi trii, un quintetto e infine un assolo. Qui la struttura da Concerto Grosso, con la sua programmatica alternanza fra soli e tutti, serve a mettere meglio in luce la ramificata complessità dialettica che segna il rapporto fra gruppi strumentali diversi, con voluta varietà timbrica (uno dei trii, ad esempio, è formato da clarinetto basso, trombone e violoncello, mentre il quintetto è formato da ottavino, xilofono, celesta, arpa e violino): una complessità che si sostanzia di un finissimo contrappunto e che mette in luce caratteri diversi e complementari (le varie sezioni della partitura sono contrassegnate da indicazioni come Giocoso, Maestoso, Lirico, Tranquillo, Agitato, Con intensità). Gli antecedenti più diretti e immediati delle peculiare discorsività dialettica propria dei Dialogues II, comunque, si possono riscontrare nei brani con pianoforte solista. Ad esempio: nei primi Dialogues, quelli del 2003, Carter sembra mettere in mostra un conflitto fra pianoforte e orchestra, segnato dai vari tentativi di riportare alla calma l’irruenza impetuosa (si direbbe litigiosa) della parte pianistica. Qui, man mano che la musica procede, i dialoghi fra gli strumenti si fanno più serrati, più sottili, più variati, e i ruoli di alcuni gruppi (ad esempio gli archi) assumono sfumature cangianti che vanno dal puro lirismo all’enunciazione perentoria, dalla brutalità alla stasi eterea e sfuggente. Tutto è connotato da una grande efficacia gestuale: è come se concretamente vedessimo persone che, parlando, gesticolano con particolare concitazione, intrecciando complicate trame discorsive (che, musicalmente, sono dense trame contrappuntistiche, con spiccata predilezione per la poliritmia). Ed è così anche nelle belle Conversations del 2010, che vedono il pianoforte e la percussione sostenere una parte di costante contrapposizione dialettica (ed espressiva) rispetto all’orchestra, nell’ambito di un contrappuntismo fitto, vivace e non privo, per l’ascoltatore, di aspetti entusiasmanti. Tutti questi caratteri ritornano nella musica che oggi ascoltiamo per la prima volta, breve e prezioso omaggio (5 minuti circa di durata) per i 70 anni di Daniel Barenboim, che delle partiture carteriane è fedele e appassionato interprete da molti anni. I Dialogues II presentano una struttura tripartita, che vede alternarsi velocemente e con perfetta consequenzialità tre diversi caratteri. I primi due caratteri sono contrassegnati in partitura da un’indicazione dell’autore: Drammatico e Tranquillo; il terzo invece non viene esplicitamente indicato, ma potrebbe essere detto Concitato, o forse addirittura Furioso. Si tratta di un’articolazione abbastanza chiara e consequenziale: 1) Drammatico: anzitutto il pianoforte enuncia con evidente irruenza una sua specifica idea, alla quale tentano di replicare dapprima gli ottoni (tromba, corni e trombone), poi gli archi e i legni, ma senza che nessuno riesca davvero a calmare la vis polemica del solista, che resta l’indiscusso protagonista di questo exordium, mentre i velleitari interventi degli altri strumenti si limitano a pochi suoni; 2) Tranquillo: quando l’enunciazione del solista è giunta a un punto di particolare ten-

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sione, l’orchestra (la collettività) sembra trovare una via migliore per reagire: non più con la forza contrapposta alla forza, ma con una calma riflessiva che induce il solista a lasciarsi andare al vero e proprio dialogo, a un confronto che (pur segnato da momenti di marcata conflittualità) si fa più sobrio, più sereno, più equilibrato; 3) Concitato o Furioso: qualcosa sembra essersi rotto: il pianoforte si lancia in un suo rabbioso monologo che è uno sfogo quasi ininterrotto, sopra al quale si innestano diversi decisi interventi orchestrali, tutti piuttosto energici e perentori ma quasi tutti destinati a non placare lo sfogo del solista; “quasi”, però, perché il gruppo degli archi riesce per qualche istante a interrompere il pianoforte e a imporgli di ascoltare una “ragione” diversa dalla sua. Inutilmente, sembrerebbe, visto che questi riprende la parola ancor più furente, e tutto si trascina verso un tragico epilogo, segnato da un furibondo urlo collettivo che vede per qualche drammatico secondo (e per la prima volta) tutti gli strumenti associati. A questo segue poi un lapidario commento finale del solista e poi dell’orchestra, con un effetto di frammentazione e frantumazione di tutto ciò che fin lì era stato “discusso”. Questa che abbiamo proposto è naturalmente solo una delle tante letture che una simile partitura può suggerire. Ciò che è certo è che in pochi minuti Carter ci guida in un microcosmo di passioni, non rinunciando a una sua ricorrente e peculiare cura nell’esprimere “caratteri” e “comportamenti”: una cura che secondo Jonathan Bernard conferisce alla musica carteriana un tratto estremamente umano. Lo stesso Bernard ha offerto in passato alcune importanti chiavi interpretative per l’arte di Carter, sottolineando la sua capacità di produrre «i più violenti contrasti accanto alla continuità più tranquilla, offrendo non un’evasione dalle esigenze poste dalla moderna esistenza, ma un coinvolgimento profondo con esse [...]. Il fatto che le urgenze collettive della sua musica non riescano, in ultima analisi, a sopprimerne la voce individuale è per l’ascoltatore una fonte di coinvolgimento e soddisfazione profondi». Traslando quest’ultima osservazione sul piano della tecnica compositiva, possiamo dire che in fondo è proprio quello che accade in Dialogues II: una voce individuale (quella del pianoforte solista) produce un contrasto profondo con una collettività e con le sue “urgenze”, finendo per scatenare una sorta di rissa infuocata. Si potrebbe anche andare più a fondo, e osservare come la ben nota capacità carteriana di sviluppare quasi ad infinitum gli spunti melodici emerga anche qui con piena chiarezza; e come anche qui si manifesti la complessa vivacità ritmica che ha reso famose tante altre sue partiture. Si potrebbe osservare che il materiale armonico utilizzato è di impronta molto personale e di grande coerenza dall’inizio alla fine, confluendo tutto in un enorme accordo di undici suoni in fff, mantenuto per ben 3 misure (quello che in precedenza abbiamo chiamato “urlo”), che è l’autentico apogeo di tutto un percorso. Si potrebbe infine esaminare nel dettaglio (e ci sono spunti di grande interesse) come Carter conduca la musica dal Tranquillo al Furioso, e come magistralmente crei un effetto incalzante e propulsivo, gestendo al meglio il dosaggio di tutti i parametri, dalla ritmica all’agogica alla dinamica. Tutto ciò ha un suo specifico e decisivo peso, ma in fondo può essere riassunto proprio dalla metafora discorsiva e dialettica che abbiamo proposto in precedenza. I Dialogues II sono un paradigma della complessità che segna le relazioni umane: una protesta iniziale sfocia in un confronto che infine degenera in uno scontro, fino a un culmine conclusivo che forse non è altro che il caos primigenio, o forse un ordine superiore da cui tutto deriva e a cui tutto anela. È un caso che Carter abbia posto la soluzione del suo fulmineo percorso proprio alla battuta 100 della partitura? Forse no, ma non ha molta importanza: l’importante è aver colto l’essenza espressiva di questo piccolo dramma, dato da un cospicua somma di rapporti, legami, contrasti, alternanze, sovrapposizioni. Dialoghi, appunto. Marco Moiraghi

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Bartók, Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra La genesi del Primo Concerto per pianoforte e orchestra di Bartók, risalente al periodo compreso fra agosto e novembre 1926, è strettamente legata alla ripresa dell’attività pianistica nella carriera del musicista ungherese. All’inizio degli anni Venti Bartók aveva incrementato i suoi impegni concertistici con molte nuove tournée in tutta Europa, nelle quali eseguiva un repertorio assai vasto e articolato. Il grande rilancio in questo campo non era dovuto solo alla volontà di presentazione delle proprie composizioni, ma si sostanziava anche di un’originale proposta di pezzi del repertorio tradizionale, da Bach a Beethoven, da Mozart a Liszt, da Scarlatti a Debussy, comprendendo anche diverse trascrizioni di musiche barocche di raro ascolto. Bartók, insomma, era autenticamente proiettato nella dimensione del concertismo pianistico: una dimensione che lo vedeva impegnato sia nel repertorio solistico sia in quello cameristico, senza trascurare le musiche per due pianoforti o per pianoforte a quattro mani, studiate insieme alla seconda moglie, la pianista Ditta Pásztory. Si ricordi che proprio la presenza della Pásztory, nella vita di Bartók, rappresentò un forte stimolo all’attività strumentale; Béla e Ditta si erano sposati nell’agosto 1923, subito dopo la rottura del musicista con la prima moglie Marta Ziegler. Intorno al 1925 Bartók iniziò ad avvertire la necessità di colmare una grave lacuna nel proprio catalogo compositivo pianistico: mancava un recente Concerto per pianoforte e orchestra, tale da poter rappresentare il suo stile più maturo e avanzato, così come si era sviluppato fra la fine degli anni Dieci e l’inizio dei Venti. Fino ad allora Bartók, quando suonava come solista con un’orchestra, aveva presentato spesso la sua ormai vecchia Rapsodia per pianoforte e orchestra op. 1 (Sz 27, BB 36b), risalente a un periodo lontano, ancora segnato dagli influssi wagneriani e lisztiani (era stata composta nel 1904 per pianoforte solo e poi arrangiata per piano e orchestra nel 1905). La scelta di scrivere un concerto nel 1926 è dunque dovuta essenzialmente alla necessità di colmare tale lacuna, e si compie in un periodo particolarmente felice per la composizione pianistica: il 1926 è definito da molti studiosi di Bartók il suo “anno pianistico”, durante il quale nacquero capolavori come la Sonata (Sz 80, BB 88) e la Suite Szabadban (ossia “All’aria aperta”: Sz 81, BB 89). Concepito in tre ampi movimenti proprio come la coeva Sonata, secondo un classico schema che prevede la presenza di un movimento lento centrale incorniciato da due Allegri, il Concerto n. 1 è un’opera dalle tinte forti e dai netti e audaci contrasti. I contrasti segnano differenze essenziali sotto il profilo temporale, espressivo e strumentale per tutta la durata della composizione, riguardando non solo il rapporto fra un movimento e l’altro, ma anche le relazioni fra le varie parti di ogni singolo movimento. Un’impressione di forte vitalità e vivacità è data fin da subito dal movimento d’apertura, l’Allegro moderato, nel quale si contano non meno di una quindicina di variazioni agogiche e metronomiche (da Allegro moderato ad Allegro a Mosso a Sostenuto a Meno vivo e così via), nonché una costante e programmatica serie di mutazioni metriche, con la prevalente battuta di 2/4 spesso scalzata dal rapido alternarsi e susseguirsi di battute di 3/4 e 5/8 (meno frequentemente, anche 6/8 e 3/8). Ciò naturalmente produce quella tipica sensazione di scardinamento del ritmo, di scarto e deviazione dalla pulsazione regolare, tanto cara a Bartók nelle sue innumerevoli e sottili sperimentazioni con il ritmo “bulgaro”. Formalmente, l’Allegro moderato è una forma-sonata con due temi prevalenti, aperta da una breve introduzione e poi articolata in esposizione, sviluppo e ripresa, secondo un percorso convenzionale, anche se minato da numerose irregolarità. A rendere avvincente questa articolazione formale, che di per sé appare come un interessante ma anche prevedibile ossequio a una tradizione illustre, è soprattutto la dirompente carica espressiva dei temi e la loro insistita ed esibita frammentazione sintattica; dall’inventio di questo Allegro, infatti – più ancora che dalla sua dispositio – emerge un’innovativa gestualità, dovuta

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anche alla peculiare energia della componente ritmica e all’originalità degli impasti timbrici e delle soluzioni sonore. Nell’insieme, Bartók riesce perfettamente a dare coesione e compiutezza strutturale a tutto il movimento, le cui varie componenti, pur apparendo spesso bruscamente giustapposte, risultano alla fine convincentemente armonizzate. Elementi ideativi fondamentali dell’Allegro d’apertura (ma anche di tutto il Concerto) sono due materiali contrastanti: le note ribattute, con la loro perentoria e ossessiva pulsazione isocrona, e le scale o i frammenti scalari ascendenti e discendenti, che spesso contraddicono e spezzano l’insistenza dei suoni ribattuti. La centralità di questi due elementi può essere riconosciuta fin da subito nella breve introduzione, il cui compito essenziale sembra quello di far emergere gradatamente il tema principale, estraendolo da un’oscura profondità, quasi cavandolo da un abisso primigenio. Questo attacco ha ricordato ad alcuni ascoltatori l’attacco beethoveniano della Nona Sinfonia; ma si sono sentiti, qui, anche influssi wagneriani o, d’altra parte, stravinskiani. Ciò che più conta, in ogni caso, è l’effetto che una simile scrittura riesce a ottenere: l’immediata sensazione del crescendo espressivo; la chiara percezione di una crescita e poi anche di un’apparizione, quando finalmente, dopo gli indugi e la fatica iniziale, prende davvero vita un “carattere” (il tema) che pare svincolarsi dalla percussione sorda e ostinata dell’incipit. Il motivo del suono ribattuto con insistenza ricorre pervasivamente in tutto il Concerto, tanto da segnare a fondo il percorso degli altri due movimenti. Il secondo, l’Andante/Allegro, è magistrale nella sua tendenza a rovesciare radicalmente il contenuto espressivo di tutti i materiali ascoltati nel precedente movimento. L’Andante propone infatti fin da subito il motivo ribattuto, facendo emergere poco alla volta, sommessamente, anche il motivo del frammento di scala ascendente e poi discendente; ma questi spunti sono diventati ora funzionali alla creazione di un clima di sobria e misteriosa intensità espressiva, anche perché il pianoforte, nel suo lento incedere, è accompagnato per un lungo tratto solo dai tocchi delle percussioni, con esclusione di tutto il resto dell’orchestra. Siamo di fronte ad uno dei mirabili notturni bártokiani, un genere che il compositore ungherese sperimentava con successo in altri brani coevi, come il movimento lento della Sonata BB 88 o come il quarto movimento della Suite Szabadban BB 89. Anche l’Andante, in ogni caso, propone contrasti stilistici e dinamici di notevole entità: nella sua tipica forma “ad arco” ABA, ben percepibile all’ascolto, questo movimento stempera le iniziali incertezze in un regolare andamento processionale, dove i suoni indeterminati di alcune percussioni cedono il passo all’insinuante melodizzare degli strumenti a fiato: il notturno si rovescia così, poco a poco, in una marcia lenta e ipnotica, che poi però, dopo un suo effimero culmine, a sua volta si sgonfia, svuotandosi dall’interno e perdendo ogni ragion d’essere, per lasciare nuovamente spazio all’enigmaticità propria già dell’incipit. Notevolissima, in questo secondo movimento, l’assoluta esclusione degli archi. Un breve raccordo di poche battute porta infine al terzo ed ultimo movimento, l’Allegro molto, che nella sua riunificazione strumentale (gli archi rientrano in scena, e l’orchestra procede spesso a ranghi compatti) esprime fin da subito il chiaro intento di riprendere e rafforzare le energie e i “barbarici” impulsi propri del primo movimento. Con questo Allegro molto, strutturato in forma di rondò, Bartók mostra di voler chiudere il suo Concerto nel segno dell’ossessione ritmica: è come un furioso rincorrersi fra solista e orchestra, una lotta svolta a suon di aspri accordi ribattuti, inframmezzata solo in alcuni punti da temi meno crudi e taglienti, più inclini alla melodizzazione. Su più ampia scala, qui Bartók ripropone pienamente quel tipico contrasto fra l’ostinata durezza del suono ribattuto e la duttile elasticità della scala che già aveva segnato il percorso del primo movimento. Marco Moiraghi

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I coniugi Bart贸k in un ritratto del 1938 e durante un recital per due pianoforti tenuto il 29 marzo 1939 a Budapest. 15


Johannes Brahms Cronologia della vita e delle opere a cura di Marco Mattarozzi

1833 Johannes Brahms nasce il 7 maggio ad Amburgo, da Johann Jakob, suonatore di contrabbasso.

1849 Dà lezioni di pianoforte per pochi soldi; suona in miseri locali da ballo e arrangia per pianoforte melodie popolari.

1835 Il 26 marzo nasce il fratello Friedrich (Fritz).

1850 Compone molti Lieder. Il suo incontro con Reményi gli fa conoscere le danze nazionali ungheresi.

1839 Apprende le prime nozioni musicali dal padre. 1840 Continua l’insegnamento paterno, che si prefigge di fare di Johannes un buon orchestrale. Prende lezioni di pianoforte da Cossel. 1842 Progredisce rapidamente nello studio del pianoforte. 1843 Cossel lo presenta a Marxsen perché gli dia lezioni di pianoforte. Brahms dà un concerto privato per finanziare i propri studi. 1844 Cossel si oppone al suggerimento di fargli intraprendere una tournée come bambino prodigio. 1845 Diventa l’allievo preferito di Marxsen e incomincia a comporre improvvisando al pianoforte. 1846 Marxsen inizia a dargli lezioni di teoria. Brahms guadagna qualche soldo suonando in modesti locali di spettacolo. 1847 La sua salute è danneggiata dall’ambiente degli infimi locali dove è costretto a suonare. Giesemann, un amante della musica, lo invita a trascorrere una lunga vacanza a Wiensen an der Luhe, dove Brahms compone A B C e Postillons Morgenlied, per coro e voci maschili. 1848 Trascorre ancora l’estate a Wiensen, dove dirige un piccolo coro di voci maschili. Torna ad Amburgo, dove, il 21 settembre, dà a proprie spese il suo primo concerto.

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1851 Continuano le lezioni e il suo pesante lavoro. Compone lo Scherzo op. 4, per pianoforte. 1852 Compone il Finale della Sonata op. 1 e la Sonata op. 2, per pianoforte. 1853 Aprile: giro di concerti con Reményi. Incontra a Hannover Joachim, che li scrittura entrambi per la corte di Hannover e li manda con una presentazione da Liszt a Weimar. Conosce Schumann a Düsseldorf. Grande amicizia con lui e con Clara Schumann. Porta a termine la Sonata op. 1 e scrive la Sonata op. 5, per pianoforte. Nascono anche: 6 Lieder op. 3 e 6 Lieder op. 7, per voce e pianoforte; lo Scherzo per la Sonata F.A.E., per violino e pianoforte, scritta in collaborazione con Schumann e Dietrich. 1854 In febbraio accorre a Düsseldorf, avendo avuto notizia della crisi psichica di Schumann e del suo tentativo di suicidio. È vicino a Clara Schumann. Compone, in giugno, le Variazioni su un tema di Schumann op. 9, per pianoforte. Inoltre: 4 Ballate op. 10, per pianoforte; Trio op. 8, per violino, violoncello e pianoforte; Mondnacht, per voce e pianoforte. 1855 Vive e insegna a Düsseldorf, ma impiega buona parte del suo tempo per giri di concerti. Compone: 2 Gighe e 2 Sarabande, per pianoforte. 1856 In primavera va a vivere a Bonn, per essere vicino al morente Schumann, che spira il 29 luglio. Brahms rimane fraternamente vicino a Clara Schumann dopo la morte del marito. Compone: 2 Variazioni op. 21, per pianoforte, e Preludio e fuga n. 1, per organo.


1857 Da settembre a dicembre è presso la corte di Lippe-Detmold, dove insegna pianoforte alla principessa Friederike e dirige il coro. Porta a termine: Preludio e fuga n. 2, Fuga, preludi corali e fuga, O Traurigkeit, per organo; Serenata op. 11, per orchestra.

al pubblico viennese. In primavera, con Tausig, si reca da Wagner. In maggio, tornato ad Amburgo, viene invitato a dirigere la Singakademie di Vienna. Si stabilisce in questa città in agosto. Compone: Studi su un tema di Paganini op. 35, per pianoforte; 3 Quartetti vocali op. 31, con pianoforte.

1858 Trascorre l’estate a Göttingen. Scrive: 8 Lieder e Romanze op. 14, per voce e pianoforte; Ave Maria op. 12, per voci femminili, orchestra e organo; Inno funebre op. 13, per voci miste e banda; 14 Volkskinderlieder e 28 Deutsche Volkslieder, per voce e pianoforte; Concerto n. 1 op. 15, per pianoforte e orchestra.

1864 Si dimette dall’incarico di direttore della Singakademie, ma mantiene il suo domicilio a Vienna. Trascorre le vacanze estive a Baden-Baden, dove vive Clara Schumann. Scrive quest’anno: Quintetto op. 34, per archi e pianoforte; 9 Lieder op. 32, per voce e pianoforte; 26 Deutsche Volkslieder, per coro solo.

1859 Il 22 e il 27 gennaio, Brahms esegue il suo Concerto n. 1, per pianoforte e orchestra, a Hannover e Lipsia. In marzo è nominato direttore del coro femminile di Amburgo. Durante l’estate compone Vier Gesänge op. 17, per coro femminile, due corni e arpa. In settembre vengono eseguiti Marienlieder op. 22 e Psalm XIII op. 27, per voci femminili e organo. Scrive anche: Serenata op. 16, per piccola orchestra; 5 Poemi op. 19, per voce e pianoforte.

1865 2 febbraio: muore la madre, ad Amburgo. Durante l’estate è ancora a BadenBaden, dove compone il Trio op. 40, per violino, corno e pianoforte. Giro di concerti in autunno e inverno. Compone: Waltzes op. 39, per due pianoforti; Sestetto op. 36, per archi; Sonata op. 38, per violoncello e pianoforte.

1860 Sottoscrive un manifesto a stampa contro la “Nuova Scuola Tedesca” promosso da Liszt, che viene inavvertitamente pubblicato con sole quattro firme. Compone: Sestetto op. 18, per archi; 3 Duetti op. 20, per soprano e contralto; Lass dich nur nichts dauern, per coro misto e organo (iniziato nel 1856); 2 Mottetti op. 29, per coro misto; 3 Cori sacri op. 37, per coro femminile. 1861 Vive ad Amburgo, dove porta a termine: Variazioni e Fuga su un tema di Händel op. 24, per pianoforte; Variazioni su un tema di Schumann op. 23, per due pianoforti; Quartetto op. 25, per archi e pianoforte.

1866 Lavora a Karlsruhe, tra febbraio e aprile, ad Ein deutsches Requiem op. 45, per soli, coro e orchestra, la cui stesura era iniziata nel 1857. È successivamente ad Amburgo e, in novembre, a Vienna. Conclude la stesura del Quartetto op. 51 n. 1, per archi, e di 12 Lieder e Romanze op. 44, per coro femminile. 1867 Prosegue nei giri di concerti nelle province austriache e a Budapest, in primavera e in autunno. Il Requiem, ancora incompiuto, è eseguito a Vienna. 1868 In primavera, nuovo giro di concerti con Stockhausen. Il Requiem è definitivamente completato durante l’estate. Vengono pure completate 15 Romanze da “Magelone” op. 33, per pianoforte, iniziate nel 1861. Nuove composizioni: 4 Lieder op. 43, 4 Lieder op. 46, 5 Lieder op. 47, 7 Lieder op. 48, per voce e pianoforte; la cantata Rinaldo op. 50, per tenore, coro maschile e orchestra.

1862 In settembre si reca per la prima volta a Vienna, dove viene ricevuto molto cordialmente. La nomina dell’amico Stockhausen a direttore dei Concerti Filarmonici e della Singakademie gli fa valutare la possibilità di ritornare nella città natale. Vi si reca comunque, durante un giro di concerti, dopo Natale. Nascono: Quartetto op. 26, per archi e pianoforte; Fünf Gesänge op. 41, per coro maschile; Drei Gesänge op. 34, per coro misto; 4 Duetti op. 28, per contralto e baritono; Tredici canoni op. 113, per coro femminile.

1869 Il 18 febbraio il Requiem è eseguito per la prima volta nella sua stesura completa al Gewandhaus di Lipsia, sotto la direzione di Reinecke. Scrive: Liebeslieder Waltzes op. 52, per coro e due pianoforti; Rhapsodie op. 53, per solo, coro maschile e orchestra; Neue Liebeslieder op. 65, per coro e due pianoforti.

1863 In gennaio, ancora a Vienna, Brahms dà un piccolo concerto per presentare i suoi Lieder

1871 All’inizio della primavera, compone il Triumphlied op. 55, per coro e orchestra, per cele-

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brare la vittoria tedesca nella guerra franco-prussiana. Sono pure di quest’anno: 8 Lieder op. 57 e 8 Lieder op. 58, per voce e pianoforte; Schicksalslied op. 54, per coro e orchestra. 1872 L’11 febbraio muore ad Amburgo il padre. Dopo le vacanze a Baden-Baden, Brahms torna a Vienna, dove è nominato direttore artistico della Gesellschaft der Musikfreunde, succedendo a Rubinstein. 1873 Scrive: Quartetto op. 51 n. 2, per archi; Variazioni su un tema di Haydn op. 56a, per orchestra; 8 Lieder op. 59 e 5 Lieder di Ofelia da “Amleto”, per voce e pianoforte.

Rapsodie op. 79, per pianoforte; Sonata op. 78, per violino e pianoforte; 6 Lieder op. 85, per voce e pianoforte. 1880 Compone, durante l’estate, Ouverture per una festa accademica op. 80 e Ouverture tragica op. 81, per orchestra. Termina e pubblica le Danze ungheresi (voll. III e IV, il I e II sono del 1858), per due pianoforti. 1881 In gennaio e febbraio è in Olanda e Ungheria. A Budapest, dopo molti anni, incontra di nuovo Liszt. A primavera è in Sicilia. Porta a termine il Concerto n. 2 op. 83, per pianoforte e orchestra; 5 Lieder e Romanze op. 84, per voce e pianoforte; Nänie op. 82, per coro e orchestra.

1874 È a Lipsia, dove incontra Herzogenberg, Spitta e altri. Qui vengono eseguiti molti suoi lavori. È poi a Monaco e Colonia. Passa l’estate in Svizzera, presso Zurigo. Compone: Quartetto op. 60, per archi e pianoforte; 9 Lieder op. 63, per voce e pianoforte; 4 Duetti op. 61 e 5 Duetti op. 66, per soprano e contralto; 3 Quartetti vocali op. 64, con pianoforte; 7 Lieder op. 72, per coro misto.

1882 Brahms compie un ampio giro di concerti per far conoscere il suo nuovo Concerto op. 83, per pianoforte e orchestra. In settembre è nuovamente in Italia. Compone: Trio op. 87, per violino, violoncello e pianoforte; Quintetto op. 88, per archi; Gesang der Parzen op. 89, per coro e orchestra. Inizia la Sinfonia n. 3.

1875 Si dimette dall’incarico di direttore della Gesellschaft der Musikfreunde. Porta a termine: il Quartetto op. 67, per archi, e 2 Mottetti op. 74, per coro misto, iniziati nel 1860.

1883 Completa, durante le vacanze estive a Wiesbaden, la Sinfonia n. 3 op. 90, per orchestra. La prima esecuzione è a dicembre, a opera della Società Filarmonica di Vienna, con la direzione di Richter.

1876 In estate è a Sassnitz, dove rivede il Quartetto op. 67. Scrive la Sinfonia n. 1 op. 68, per orchestra, che viene eseguita il 4 novembre a Karlsruhe, diretta da Dessoff: in seguito Brahms stesso la dirige a Mannheim e a Monaco.

1884 Durante l’estate a Mürzuschlag in Stiria, inizia la stesura della Sinfonia n. 4. Scrive: 2 Lieder op. 91, per contralto, viola e pianoforte; 5 Lieder op. 94 e 7 Lieder op. 95, per voce e pianoforte; 4 Quartetti vocali op. 92, con pianoforte; 6 Lieder e Romanze op. 93a e Tafellied (Dank der Damen) op. 93b, per coro misto.

1877 Rifiuta la laurea honoris causa dall’Università di Cambridge, non desiderando compiere il viaggio in Inghilterra per andare a riceverla. Da marzo all’autunno compone la Sinfonia n. 2 op. 73, per orchestra. Scrive anche: 9 Lieder op. 69, 4 Lieder op. 70, 5 Lieder op. 71, 5 Lieder op. 72, per voce e pianoforte.

1885 Durante una nuova vacanza estiva a Mürzuschlag completa la stesura della Sinfonia n. 4 op. 98, per orchestra.

1878 In aprile compie un viaggio in Italia. Sono di quest’anno: Otto pezzi op. 76, per pianoforte; Concerto op. 77, per violino e orchestra; 6 Lieder op. 86, per voce e pianoforte; 4 Ballate e Romanze op. 75, per duetto vocale.

1886 Dopo la prima esecuzione della Sinfonia n. 4 il 17 gennaio a Vienna, Brahms si reca a Thun, in Svizzera, dove rimarrà dalla primavera all’autunno. Compone: Sonata op. 89, per violoncello e pianoforte; Sonata op. 100, per violino e pianoforte; 4 Lieder op. 96, 6 Lieder op. 97 e 5 Lieder op. 105, per voce e pianoforte.

1879 Il 1° gennaio viene eseguito per la prima volta il Concerto per violino e orchestra al Gewandhaus di Lipsia: solista è Joachim. L’Università di Breslavia conferisce a Brahms il dottorato honoris causa in filosofia. Porta a termine: 2

1887 In primavera si reca in Italia con Kircher e l’editore Simrock. È ancora a Thun per l’estate. Qui compone il Doppio concerto op. 102, per violino, violoncello e orchestra, e gli Zigeunerlieder op. 103, per quartetto vocale e pianoforte.

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1888 In gennaio si incontra con Cˇ ajkovskij. In primavera è di nuovo in Italia, dove conosce Martucci. Terza estate a Thun, dove compone la Sonata op. 108, per violino e pianoforte. Scrive anche i 5 Gesänge op. 104. 1889 Brahms trascorre l’estate a Ischl, con Goldmark e Johann Strauss figlio. Compone, per la città di Amburgo, Deutsche Fest- und Gedenksprüche op. 109, per coro. Gli viene conferito dall’imperatore Francesco Giuseppe l’Ordine di Leopoldo. Scrive: 5 Lieder op. 106 e 5 Lieder op. 107, per voce e pianoforte; 3 Mottetti op. 110, per coro misto. 1890 In primavera è in Italia. Trascorre l’estate a Ischl, dove compone il Quintetto op. 111, per archi. Sono di quest’anno anche i 6 Quartetti vocali op. 112, con pianoforte. 1891 Compone durante l’estate a Ischl il Trio op. 114, per clarinetto, violoncello e pianoforte, e il Quintetto op. 115, per clarinetto e archi. 1892 Nascono le 7 Fantasie op. 116 e i 3 Intermezzi op. 117, per pianoforte.

1893 In primavera è ancora in Italia. Durante l’estate a Ischl scrive i 6 Pezzi op. 118 e i 4 Pezzi op. 119, per pianoforte. 1894 Compone a Ischl 2 Sonate op. 120, per clarinetto e pianoforte. 1895 In febbraio segue il clarinettista Mühlfeld in un giro di concerti attraverso la Germania: vengono eseguite le 2 Sonate op. 120. Trascorre l’estate a Ischl. In settembre è al Festival di Meiningen; in ottobre da Clara Schumann, a Francoforte; poi si reca in Svizzera. 1896 In maggio compone Vier ernste Gesänge op. 121, per voce e pianoforte. Il 20 maggio muore Clara Schumann. Brahms si reca al suo funerale aggravando il suo già precario stato di salute. Durante l’estate compone 11 Preludi corali op. 122, per organo. È a Karlsbad, a settembre. Rientra a Vienna in ottobre. 1897 In febbraio la sua malattia compie allarmanti progressi. Il 7 marzo il musicista appare per l’ultima volta a un concerto. Il 3 aprile muore di cancro, a Vienna.

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Elliott Carter Cronologia della vita e delle opere a cura di Marco Moiraghi

1908 11 dicembre: Elliott Carter nasce a New York in un’agiata famiglia dell’alta borghesia newyorkese. Il padre, Elliott Carter senior, è un importante commerciante di merletti, spesso in viaggio fra Europa e Stati Uniti. L’attività del padre favorisce un certo cosmopolitismo nell’ambiente famigliare, dove la lingua francese è insegnata a Elliott fin dalla più tenera età. 1920 Negli anni Venti Carter inizia a studiare pianoforte, pur senza pensare ancora di far diventare la musica la sua principale occupazione. Elliott senior vorrebbe che il figlio lo seguisse nell’attività commerciale, ma ben presto la forte crisi del commercio dei merletti, oltre agli spiccati interessi letterari e artistici di Elliott junior, fanno decadere quest’idea. Oltre alla musica, Carter dimostra una particolare attitudine per la letteratura, interessandosi in particolare a quella inglese e a quella francese. La famiglia Carter stringe rapporti di amicizia col compositore Charles Ives, che incoraggia il giovane Elliott a proseguire negli studi musicali. 1924 A 15 anni, Carter si entusiasma ascoltando il Sacre du printemps di Stravinskij eseguito dalla Boston Symphony Orchestra diretta da Pierre Monteux: è un’autentica folgorazione che segnerà tutta la sua futura carriera di musicista. 1925-30 Nel periodo degli studi allo Harvard College e alla Longy School of Music, oltre a Stravinskij, gli altri incontri fondamentali per Carter sono quelli con la musica di Alban Berg (di cui ammira soprattutto il Wozzeck) e di Edgar Varèse. Inizialmente gli interessi di Carter sono rivolti esclusivamente alla musica contemporanea: come pianista, i suoi studi e i suoi recital sono spesso basati su opere di Schönberg, Casella, Satie, Malipiero. Solo più tardi, gradualmente, Carter si avvicina anche alla musica del passato, soprattutto attraverso Bach, Mozart, Brahms e Musorgskij. Altro incontro importante è quello con le opere di Wagner, che Carter può ascoltare attentamente nel corso di due estati trascorse in Germania (192829).

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1932 Carter si diploma in musica a Harvard; fra i suoi insegnanti c’è anche Walter Piston, autorevole figura di teorico, didatta e compositore, la cui musica non mancherà di lasciare una traccia importante nella prima fase della carriera compositiva carteriana. 1932-35 Carter si trasferisce per tre anni a Parigi per studiare composizione con Nadia Boulanger. Molto significativi in questi anni gli studi sul contrappunto rinascimentale e le esperienze corali, sia come cantore, sia come arrangiatore di brani corali, sia come compositore di madrigali o brevi pezzi in stile neoclassico. A Parigi Carter frequenta ambienti intellettuali nei quali conosce musicisti come Honegger, Milhaud, Poulenc e letterati come Valéry. Ma l’esperienza più importante degli anni di studio con la Boulanger è sicuramente l’approfondimento della conoscenza della musica di Stravinskij, che per Carter diventa un irrinunciabile punto di riferimento. Sullo sfondo, un’Europa agitata da una generale crisi sociale e politica; l’ascesa dei vari fascismi europei e in particolare la svolta tedesca verso il nazionalsocialismo di Hitler lasciano una profonda impressione e destano una forte preoccupazione nel giovane compositore americano. Nel 1935 Carter ottiene il diploma di musica all’École Normale parigina. 1935 Carter rientra negli Stati Uniti e solo ora dà inizio ad una costante attività compositiva. Gli esordi di questi anni, non del tutto soddisfacenti, sono essenzialmente neoclassici. Carter scrive molta musica corale, musica di scena per svariati spettacoli teatrali e musica per balletti. Le partiture più significative di questa fase sono il balletto Pocahontas (1938-39) e The Defense of Corinth per voce recitante, coro maschile e pianoforte a 4 mani (1941). 1939 6 luglio: si sposa con Helen Frost-Jones, dalla quale avrà un figlio, David Chambers Carter. 1939-41 Insegna musica al St. John’s College di Annapolis (Maryland).


1942-45 Negli anni del coinvolgimento degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, Carter lavora per l’Office of War Information. Questo impiego, che prevede anche un’attività di spionaggio nei confronti dei tedeschi residenti in America, lo lascia insoddisfatto e frustrato, tanto da indurlo ad abbandonarlo e a tornare a occuparsi a tempo pieno di musica. Nel 1942 viene composta la Symphony No. 1; nel 1944 vengono completate due singolari partiture giovanili: The Harmony of Morning per coro femminile e piccola orchestra e Holiday Overture per orchestra. La Holiday Overture, non immune da influenze jazzistiche, è concepita come celebrazione della liberazione di Parigi dall’occupazione nazista. 1945 La famiglia Carter si trasferisce al Greenwich Village di New York, dove avrà poi sempre la sua residenza principale. 1945-47 Subito dopo la guerra Carter compone alcune delle sue più riuscite partiture neoclassiche: l’ampia Sonata for piano (1945-46) e il balletto The Minotaur (1947). 1946-48 Insegna composizione presso il Peabody Conservatory e, in seguito (1948-50), alla Columbia University. 1948 Composizione della Sonata per violoncello e pianoforte, un brano nel quale Carter ritiene di aver raggiunto un significativo risultato in una sua personale ricerca: il tentativo di fusione dell’irregolarità espressiva propria di Schönberg con la complessità ritmica mutuata da Stravinskij. È un primo passo importante nel campo della “modulazione metrica”, che diventerà poi una caratteristica saliente dell’arte carteriana. 1950-51 Durante un ritiro di qualche mese nel deserto dell’Arizona, in una condizione di speciale concentrazione, Carter compone lo String Quartet No. 1, opera di particolare ampiezza e complessità, tappa fondamentale nel percorso di superamento delle precedenti posizioni neoclassiche. Particolarmente importante, nel Quartetto e anche nelle successive Variations for Orchestra del 1953-55, lo sviluppo di una concezione poliritmica che prevede la combinazione simultanea di differenti criteri ritmici.

Pulitzer e, nel 1961, il Premio UNESCO per la musica. 1959-61 Sviluppatosi da idee creative comuni al Quartetto n. 2, il Double Concerto per clavicembalo, pianoforte e due orchestre da camera è uno dei lavori più riusciti e fortunati di questo periodo. Con il Double Concerto e con la successiva opera concertante – il Concerto for Piano and Orchestra (1964-65) – Carter raggiunge alcuni dei più originali risultati nel campo dell’armonia, sfruttando pochi accordi complessi fondamentali. 1960-62 Carter è docente di composizione alla Yale University di New Haven; alcuni anni più tardi tiene corsi di composizione anche alla Cornell University. 1966 Completa gli Eight Pieces for Four Timpani, cominciati più di quindici anni prima. 1969 Composizione del Concerto for Orchestra, opera di notevole complessità ideativa, nella quale si sovrappongono e si confrontano quattro diversi “strati” strumentali, dovuti non tanto alle differenze organologiche fra famiglie di strumenti (legni, ottoni, archi, ecc.) quanto alle differenze di tessitura e sonorità. Il Concerto piace molto a Boulez, che come direttore lo ha eseguito in svariate occasioni. 1971-74 Importanti realizzazioni nel campo della musica da camera: String Quartet No. 3 (1971), Duo for Violin and Piano (1973-74), Brass Quintet (1974). Nel 1973 vince il suo secondo Premio Pulitzer. 1972 Diventa docente di composizione alla Juilliard School di New York. 1975 Dopo molto tempo Carter torna a comporre per la voce: A Mirror on Which to Dwell per soprano e orchestra da camera.

1955-56 Carter è docente di composizione al Queens College di New York.

1976-80 Dopo alcune notevoli prove orchestrali, fra cui spicca A Symphony of Three Orchestras del 1976, Carter approfondisce il suo nuovo filone vocale con Syringa per due voci e 11 strumenti (1978) e poi, dopo tanto tempo, torna al pianoforte con le Night Fantasies (1980), una delle sue più compiute realizzazioni in campo pianistico.

1959 String Quartet No. 2, composizione con la quale Carter vince, nel 1960, il suo primo Premio

1980 Nel corso degli anni Ottanta, Carter abbandona progressivamente l’attività didattica per de-

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dicarsi esclusivamente alla composizione. Viene insignito del premio Ernst von Siemens nel 1981 e della National Medal of Arts nel 1985. 1981-88 Riferendosi alla ricca e varia produzione di Carter degli anni Ottanta – con brani come In Sleep, In Thunder per tenore e 14 strumenti (1981), Triple Duo per 6 strumentisti (1983), Penthode per 5 gruppi di strumenti (1985), String Quartet No. 4 (1986) e Oboe Concerto (1986-87) – Boulez scrive nel 1988: «Il cammino di Carter ha continuato a salire fino a raggiungere un’altezza impressionante; […] tutti gli aspetti della creazione musicale vengono nella sua opera sottoposti a una prova radicale, a una riflessione intensa e profonda. [...] L’opera di Carter è tra le più meditate che esistano, ma è anche ricca di un’espressività quanto mai varia». 1990 Senza conoscere soste o cedimenti, negli anni Novanta la produzione di Carter si arricchisce di un’impressionante serie di nuovi titoli, compiendo il prodigio di non ripetersi mai e di trovare sempre nuove e sorprendenti soluzioni creative. Oltre alla Symphonia “Sum fluxae pretium spei” (1993–96) e al Concerto per clarinetto e orchestra (1996), spiccano in questo decennio le molte musiche da camera, fra cui lo String Quartet No. 4 (1995), due Quintetti con pianoforte e svariati brani destinati a singoli strumenti solisti (violino, violoncello, flauto, corno inglese, clarinetto, pianoforte, chitarra). 1997-98 A quasi 90 anni, Carter si cimenta per la prima volta con la composizione operistica, scrivendo l’atto unico What Next? su libretto di Paul Griffiths. Tenuta a battesimo da Barenboim alla berlinese Staatsoper Unter den Linden nel settem-

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bre 1999, What Next? ha un buon successo e viene poi ripresa da direttori come Eötvös e Nagano. 1998-2008 Fra i 90 e i 100 anni, Carter aggiunge non meno di una quarantina di nuovi titoli al suo già ricco catalogo compositivo. Continua a comporre pezzi per strumento solo (fra cui brani per viola, oboe, clarinetto basso, fagotto, contrabbasso) e musica da camera, mentre le più sorprendenti novità riguardano l’intensificarsi della scrittura per voci e l’accrescimento del catalogo orchestrale, spesso con strumenti solisti (ci sono anche Concerti per violoncello, corno, flauto). 2008 Dicembre: il centenario del compositore viene festeggiato alla Carnegie Hall di New York, dove la Boston Symphony Orchestra diretta da James Levine dedica a Carter un’esecuzione del Sacre du printemps di Stravinskij e poi, con Barenboim al pianoforte, esegue una novità carteriana, Interventions for Piano and Orchestra. 2009 Febbraio: Carter viene insignito del Grammy Trustees Award, riconoscimento a tutta la sua eccezionale carriera. Tiene alcune conferenze al Tanglewood Music Center. 2009-12 Anche da centenario Carter, come compositore, non conosce soste. Fra i più importanti lavori degli ultimi 4 anni – non meno di una quindicina – vanno menzionati il Concertino per clarinetto basso e orchestra da camera (2009), le Two Controversies and a Conversation per pianoforte, percussione e orchestra (2010-11), il Trio per archi (2011) e il Double Trio per tromba, trombone, percussione, pianoforte, violino e violoncello (2011); quest’ultimo riprende e rovescia argutamente la concezione strumentale del Triple Duo del 1983.


Béla Bartók Cronologia della vita e delle opere a cura di Lidia Bramani

1881 Béla Bartók nasce a Nagyszentmiklós, in Ungheria (attualmente Sînnicolau Mare, in Romania), il 25 marzo. Il padre, anch’egli di nome Béla (18551888), suona il pianoforte e il violoncello, e la madre Paula Voit (1857-1939) il pianoforte. Fin dal terzo mese è afflitto da un eczema deturpante, triste presagio di una salute che sarà spesso precaria. Soffrirà, tra l’altro, per gran parte della vita, di bronchite cronica. 1885

Nasce la sorella Elsa.

1886 La madre lo avvia allo studio del pianoforte, accorgendosi subito delle sue straordinarie e precocissime doti musicali. 1888

1899 Consigliato da Ernst Dohnányi, che lo ha seguito negli anni del ginnasio a Bratislava, si iscrive all’Accademia di Musica di Budapest. Frequenta il corso di composizione di Koessler e trova in István Thomán (allievo di Liszt e maestro di Dohnányi) un eccellente insegnante di pianoforte e una tenera figura di padre. È lui a introdurlo nella vita musicale di Budapest e a permettergli il consolidamento dell’attività concertistica.

Muore prematuramente il padre.

1889 Si trasferisce a Nagyszöllös (oggi Vinogradov, CSI), dove la madre insegna per far fronte alle necessità economiche della famiglia. 1890 Già compone, a soli nove anni, i suoi primi lavori. 1891 Ospite della zia, frequenta il ginnasio di Nagyvárad. Prosegue intanto gli studi musicali con Ferenc Kersch. Alcune opere di questi anni si ispirano a persone care (come due pezzi pianistici del 1891: la Katinka polka, scritta per Katalin Kovács, e la Irma polka, dedicata alla zia); altre prendono spunto da fatti o situazioni extramusicali. 1892 Tornato a Nagyszöllös, debutta come pianista e compositore in un concerto di beneficenza suonando l’Allegro della Sonata op. 53 di Beethoven e A Duna folyása (“Il corso del Danubio”), una sua composizione pianistica andata perduta nella versione originale. 1894-98 Trasferitosi a Bratislava, studia pianoforte con László Erkel e armonia con Anton Hyrtl. Si esibisce in pubblico come pianista, suona l’organo nella cappella del ginnasio e continua l’attività compositiva scrivendo, tra l’altro, il Quartetto in do minore con pianoforte.

1900 Compone i Liebeslieder per voce e pianoforte, lo Scherzo in si bemolle minore e Változatok per pianoforte. 1902 Scrive il Duo in sol maggiore per due violini e Albumblatt per violino e pianoforte. 1903 Termina gli studi all’Accademia e riceve apprezzamenti sempre più entusiastici per il suo talento interpretativo. Nello spirito di un appassionato e autentico nazionalismo, nascono alcuni lavori di spiccato carattere ungherese, come i Quattro pezzi per pianoforte e il poema sinfonico Kossuth. Oltre al modello lisztiano e all’amore per Beethoven, Brahms e Wagner, si percepisce l’influenza straussiana, ad esempio nella Sinfonia in mi bemolle maggiore (della quale è orchestrato lo Scherzo mentre gli altri tre movimenti sono solo abbozzati). 1904 Dedica la Rapsodia op. 1 per pianoforte a Emma Gruber (futura moglie di Kodály) e termina il Quintetto in do maggiore con pianoforte. Vengono pubblicati i Quattro canti su testi di L. Pósa. 1905 Partecipa al Premio Rubinstein, ma viene superato da Backhaus per l’esecuzione pianistica e da Brugnoli per la composizione. Ciò nonostante, la sua fama di grande interprete va sempre più consolidandosi: suona il Totentanz di Liszt a Budapest e a Manchester, ottenendo grande successo. Compone la Prima Suite per orchestra e comincia la stesura della Seconda.

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1906 Già da tempo immerso nella riscoperta dell’autentica tradizione folcloristica nazionale, pubblica, con Kodály, la raccolta di canti popolari ungheresi Magyar népdalok. Raccoglie direttamente, dagli abitanti delle diverse regioni ungheresi, testimonianze di canto popolare tramandato oralmente. Si interessa anche di canti slovacchi. Per la prima volta con Kodály e Bartók, il patrimonio folcloristico viene studiato con sistematicità, nel pieno rispetto di un’autonomia espressiva che va ben oltre la generica ispirazione coltivata dai romantici, da Brahms a Liszt. 1907 Ottiene la cattedra di pianoforte presso l’Accademia Nazionale di Musica di Budapest. 1908 Compone il Quartetto op. 7, primo di una importantissima serie che scandirà le tappe più significative del suo iter creativo. Sono di quest’anno anche le 14 Bagatelle per pianoforte: Busoni rimane affascinato dall’arditezza sperimentale e dalla forza espressiva del suo stile. 1909

Sposa l’allieva Márta Ziegler.

1910 Nasce il figlio Béla. Scrive Két kép (“Due quadri”) per orchestra. Nella produzione di questo periodo, accanto all’influenza degli studi etnomusicologici, si colgono echi debussyani; si è ormai reciso lo stretto legame con Liszt e Richard. Strauss. 1911 Dopo alcuni pezzi pianistici come Három Csík megyei népdal (“Tre canti popolari del distretto di Csík”) del 1907 e Gyermekeknek – pro deˇtí (“Per i bambini”) del 1908-09, termina altri brani per pianoforte di carattere folcloristico: le Három burleszk (“Tre burlesche”) e l’Allegro barbaro. Insieme a Kodály, fonda la Nuova Società di Musica Ungherese. 1912 L’attività musicale pubblica subisce un rallentamento anche per lo scarso interesse suscitato dalla sua opera Il castello del duca Barbablù. È sempre più attratto dagli studi folcloristici dalle varie tendenze della musica contemporanea. 1915 Inizia una fase di ripreso fervore creativo. Scrive la Sonatina per pianoforte su melodie popolari rumene. 1917 Come le Suite op. 14 per pianoforte dell’anno precedente, anche il Secondo Quartetto è influenzato dalla musica araba. La rappresentazione del balletto Il principe di legno al Teatro dell’Opera di Budapest ottiene grande successo.

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1918 Ha ormai raccolto migliaia di canti popolari ungheresi, rumeni e slovacchi. 1919 Forma un Comitato musicale, con Kodály e Dohnányi, durante il governo socialcomunista di Béla Kun. Termina il suo secondo balletto, Il mandarino meraviglioso. 1920 In crisi con il nuovo apparato politico, non si allontana dall’Ungheria anche perché trattenuto dal lavoro di raccolta e classificazione dei canti popolari. Nelle Improvvisazioni op. 20 per pianoforte su canti contadini ungheresi, il linguaggio armonico bartókiano insegue prospettive sempre più radicali. 1922 Suona a Londra e a Parigi. Incontra Stravinskij, Ravel, Milhaud, Poulenc, Satie. D’ora in avanti, farà regolarmente tournée concertistiche in Europa. 1923 Le sue opere sono eseguite e apprezzate ovunque, mentre la critica lo segnala come uno dei più grandi autori viventi. In novembre viene eseguita Táncszvit (“Suite di danze”), commissionata in occasione del cinquantesimo anniversario della fusione di Buda e Pest. Divorzia dalla prima moglie e sposa l’allieva Ditta Pásztory. 1924 Nasce il figlio Peter. Viene pubblicato il Corpus musicae popularis Hungaricae. 1926 Scrive un approfondito trattato sulle colinde, canti natalizi rumeni. In questi anni raccoglie anche migliaia di canti popolari slovacchi e pubblica diversi articoli sui rapporti tra musica colta e musica popolare. La prima rappresentazione del balletto Il mandarino meraviglioso, a Colonia, suscita la reazione indignata del pubblico, che lo giudica scandaloso. Nel Primo Concerto per pianoforte e orchestra e nella Sonata per pianoforte, si avvicina allo stile neoclassico. Nascono anche i cinque pezzi della Szabadban (“All’aria aperta”) e i Kilenc kis zongoradarab (“Nove pezzi brevi”) per pianoforte. 1927

Scrive il Terzo Quartetto.

1928 Dedica a József Szigeti la Prima e a Zoltán Székely la Seconda Rapsodia per violino e pianoforte, poi rielaborate per violino e orchestra. Scrive il Quarto Quartetto.


1930 Compone l’opera vocale A kilenc csodaszarvas (“I nove cervi fatati”), nota come “Cantata profana”, influenzata dai canti natalizi rumeni. Per Bartók, gli anni Trenta corrisponderanno a un decennio di splendore creativo. 1931 Termina il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra e i 44 Duetti per due violini. 1932 Viene pubblicata la raccolta Húsz magyar népdal (“Venti canti popolari ungheresi”), con accompagnamento pianistico, e i Magyar népdalok per coro a cappella. Scrive inoltre i Székely dalok (“Canti di Székely”), per coro maschile a sei voci. 1934 Oltre ad aver diradato l’attività concertistica, Bartók abbandona l’incarico di docente presso l’Accademia Nazionale di Musica di Budapest. Può finalmente sistemare, su commissione dell’Accademia Ungherese delle Scienze, i tredicimila esempi di canti popolari ungheresi accumulati in tanti anni di appassionata ricerca. Pubblica il saggio Népzenénk és szomszéd népek népzenéje, confrontando la tradizione folcloristica ungherese, slovacca, serba e croata. Compone il Quinto Quartetto, nel quale, come nel Quarto, approfondisce e porta a piena maturazione la caratteristica “forma ad arco”, in cinque movimenti speculari e intimamente connessi. 1936 Nella Musica per archi, percussione e celesta, come in altre opere di questi anni, dà vita a un vero e proprio organismo sonoro che respira. Si coglie un imprescindibile legame tra il singolo intervallo e la forma globale (con la ripetizione, variazione, ripresa in brevi figurazioni ritmicomelodiche). 1937 Profondamente ostile al regime nazista, proibisce che le sue musiche vengano trasmesse dalle radio tedesca e italiana. 1938 Insieme alla moglie esegue per la prima volta, a Basilea, la Sonata per due pianoforti e percussioni. Scrive per Benny Goodman e Jozsef Szigeti Contrasts per violino, clarinetto e pianoforte.

1939 Sempre più criticato, in patria, per il suo esplicito dissenso politico, spedisce i propri manoscritti a Londra. Termina Mikrokosmos, una vasta raccolta di raffinatissimi brani didattici per pianoforte, in progressivo ordine di difficoltà. Sono di quest’anno anche il Divertimento per archi e il Sesto Quartetto. In dicembre, muore la madre. 1940 Accetta di compiere una tournée negli Stati Uniti. Il 20 ottobre, dopo aver dato, insieme alla moglie, un ultimo concerto a Budapest, riparte, da Lisbona, per gli Stati Uniti: sarà un addio definitivo alla sua nazione e all’Europa. 1941 I Bartók abitano a New York. Béla accetta l’incarico di dottorato ad honorem della Columbia University per lavorare su una vasta collezione di musica popolare iugoslava. 1942 Soffre sempre più frequentemente di febbri acute. 1943 Suona per l’ultima volta in pubblico: con la moglie, esegue il Concerto per due pianoforti, sotto la direzione di Fritz Reiner. Le sue condizioni di salute si aggravano. Su richiesta dell’allievo Ernö Balogh, ottiene un finanziamento per le spese mediche da parte della Società Americana degli Autori e degli Editori (ASCAP). Koussevitzky gli commissiona il Concerto per orchestra, su suggerimento di Szigeti e Reiner. Bartók finisce di scriverlo in una clinica presso il Lago Saranac, dove trascorrerà anche le estati successive. 1944 Ad Ashville, in North Carolina, dove la ASCAP lo ha mandato in cura, termina, in marzo, la Sonata per violino. 1945 Amareggiato per le condizioni dell’Ungheria, sente una profonda nostalgia della sua patria. Nel pacato e raccolto Terzo Concerto per pianoforte, incompleto, trapela il senso di un’assenza, di un sogno perduto. Abbozza il Concerto per viola ma non riesce a terminarlo. Muore, a New York, il 26 settembre.

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Martedì 30 ottobre 2012 ore 20

Filarmonica della Scala Orchestra Mozart Bologna Direttore

Claudio Abbado Pianoforte

Daniel Barenboim

Frederyk Chopin Concerto n. 1 in mi min. op. 11 Allegro maestoso Romanza (Larghetto) Rondò (Vivace) Gustav Mahler Sinfonia n. 6 in la min., “Tragica” Allegro energico ma non troppo, Heftig aber markig Andante moderato Scherzo, Wuchtig Finale (Sostenuto, etwaschleppend)

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Anonimo, Ritratto di Fryderyk Chopin, 1835 circa.

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Fryderyk Chopin, Concerto n. 1 in mi minore op. 11 per pianoforte e orchestra I due Concerti per pianoforte e orchestra di Chopin sono opere giovanili, scritte – rispettivamente a diciannove e a vent’anni – quando il musicista viveva ancora in Polonia. Il Concerto n. 2 in fa minore op. 22 è in realtà il primo dei due, e venne composto nel 1829, un anno prima del Concerto n. 1 in mi minore op. 11. La numerazione non corrisponde all’ordine cronologico, perché (proprio come accadde a Beethoven con i suoi due primi Concerti per pianoforte e orchestra) il Concerto in mi minore, scritto per secondo, fu pubblicato per primo a Parigi nel 1833, mentre il Concerto in fa minore, scritto per primo, fu pubblicato per secondo a Lipsia nel 1836. Entrambe le opere si possono eseguire anche con l’accompagnamento dei soli archi. Fino all’epoca della pubblicazione, Chopin, parlando nella sua corrispondenza del Concerto in mi minore – quello eseguito nel presente concerto –, lo definisce “secondo concerto”. Nelle lettere del 1830 al caro amico Titus Woyciechowski, grazie alle quali si apprende che il musicista lavorò al Concerto in mi minore tra il marzo e l’agosto del 1930, vi sono alcune poetiche annotazioni sul prediletto movimento centrale di questo brano: L’Adagio del mio nuovo Concerto è in mi maggiore. Non ho inteso cercarvi la forza. Ha piuttosto il carattere di una romanza, calma, melanconica; deve dare l’impressione di un dolce sguardo rivolto a un luogo che ci suscita nel pensiero mille piacevoli ricordi. Si tratta di una fantasticheria, al bel tempo di primavera, ma con la luna. Perciò l’accompagnamento è in sordina, cioè con i violini attutiti da una specie di pettine che circonda le corde e dà loro un certo tono nasale e argentino.

E Chopin prosegue lasciandosi andare con l’amico a criptiche confidenze in forma di curioso paragone fra la stravaganza della “sordina” e i sogni dell’ispirazione (o le tentazioni dell’amore?): Forse questo è male [la sordina], ma perché vergognarsi di scrivere male, visto che conosco le regole, e solo l’esito mostrerà un eventuale errore. Da ciò certamente dedurrai la mia tendenza a far male nonostante la mia buona volontà. Così come, contro la mia volontà, qualcosa attraverso gli occhi mi è entrato nella mente, e con esso mi intrattengo teneramente, forse commettendo un grave errore. Tu mi comprendi di certo. (15 maggio 1830)

In altri passi dell’epistolario Chopin definisce l’Allegro, primo movimento, “forte” e il Rondò, movimento conclusivo, “d’effetto”, lamentando inoltre la difficoltà esecutiva del brano: «Mi sento ancora così ignorante, come quando non conoscevo la tastiera. È troppo originale, alla fine non riuscirò nemmeno a impararlo» (22 settembre 1930). Invece, per sua stessa ammissione, la sera dell’11 ottobre 1830 al Teatro Nazionale di Varsavia il musicista suonò senza problemi («Non ho affatto avuto paura, ho suonato come quando sono solo»), e il Concerto in mi minore ebbe un buon successo. Questa fu l’ultima apparizione pubblica di Chopin nella sua terra. Sebbene l’autore, dopo il suo trasferimento a Parigi, non abbia mostrato molto interesse per i suoi due Concerti, che eseguiva di rado, essi divennero presto molto popolari. In particolare il Concerto in mi minore op. 11, (il meno amato da Chopin) fu eseguito, vivente il musicista, dai massimi pianisti del tempo: Liszt, Clara Wieck, Ferenc Erkel; e nel 1935 divenne pezzo d’obbligo nel concorso annuale del Conservatorio di Parigi. Questa

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predilezione è dovuta presumibilmente alla tecnica virtuosistica (ottave, doppie note) che Chopin elabora in quest’opera, forzando la sua immagine di fragile compositore-pianistapoeta entro profili più prossimi alla estroversa virulenza lisztiano-paganiniana. Il giovane musicista aveva incontrato Paganini a Varsavia, dopo averlo ascoltato, proprio nel 1829, l’anno precedente alla composizione del Concerto op. 11. A proposito della doppia natura di Chopin, poeta e virtuoso, diviso fra l’eroismo patriottico-virile e la più femminea fragilità, si sono sollevate numerose polemiche interpretative. Lo scrittore francese André Gide, autore di interessanti Notes sur Chopin, inveisce contro i virtuosi che usano Chopin per fare “pianismo”: Essi suonano Chopin come se si trattasse di Liszt: non ne comprendono la differenza. Presentato a questo modo, vale più Liszt, poiché il virtuoso vi trova almeno un appiglio seducente, da lui Liszt si lascia veramente dominare. Chopin, invece, gli sfugge completamente e in maniera così sottile, che il pubblico non lo sospetta nemmeno.

E così Gide spiega il suo pensiero: Si racconta che Chopin, al pianoforte, aveva sempre l’aria di improvvisare; sembrava, cioè, cercare, inventare senza tregua, svelare a poco a poco il suo pensiero. Questa specie di affascinante esitazione, di sorpresa, di rapimento, non è più possibile se il pezzo ci viene presentato, non più in progressiva formazione, ma come un tutto già compiuto, preciso, obiettivo.

E più avanti: Insopportabile è l’abitudine di certi pianisti di “fraseggiare” Chopin e di punteggiare, per così dire, la melodia. Mentre io vedo l’arte più squisita e particolare di Chopin, quella per cui egli differisce nel modo più mirabile da tutti gli altri, proprio in questo ininterrotto scorrere della frase; nell’insensibile, impercettibile succedersi di proposte melodiche, che lascia, o conferisce, a gran parte delle sue composizioni l’aspetto fluido dei corsi d’acqua.

Queste interessanti osservazioni, anche accostate all’ascolto del Concerto in mi minore con le sue tentazioni virtuostistiche lisztiane, non perdono d’efficacia, purché si tenga presente che l’arte più squisita di Chopin – quella in cui egli ama perdersi nelle spire dei propri sentimenti e smarrirsi nei turbamenti del cuore – viene spesso esaltata entro la “cornice” di canti robusti e perentori, come quelli con cui inizia il Concerto op. 11, o ricami di funamboliche agilità; il tutto entro una dialettica degli opposti che fa pensare alle disquisizioni degli psicologi sulla doppia natura, maschile e femminile, che, in diversa misura, alimenta il mondo emotivo di ognuno di noi. Da sempre grava sui Concerti di Chopin una doppia accusa della critica che trova pretesti per attaccare questo sommo autore: in primo luogo di essere male orchestrati, e in secondo luogo di non tenere conto della forma classica del concerto, con le sue regole tonali. Nella Varsavia del tempo, i Concerti di Beethoven erano sconosciuti e l’esempio a cui guardò il musicista era quello del cosiddetto concerto Biedermeier dei vari Ries, Kalkbrenner, Hummel, Field. L’orchestrazione ridotta, e non troppo presente nel complesso, usata come semplice sostegno alla parte solistica, era nel costume di tale genere. Riguardo la presunta insipienza di orchestratore di cui viene incolpato Chopin, basti ricordare che, magrado i tentativi di molti maestri (Tausig, Klindworth, Balakirev, Granados) di correggere l’orchestrazione originale, i Concerti continuano a essere eseguiti con successo così come sono stati scritti. A proposito della forma, spiega il Belotti: «Il Concerto di Cho-

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Fryderyk Chopin, 1847

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Un ritratto di Gustav Mahler - mezzatinta a stampa del 1902 - di Emil Orlik, artista praghese della Secessione Viennese. 32


pin non segue la logica musicale classica, bensì quella romantica per la quale il contrasto è dato soprattutto dal contrapporsi del tema “a motivo” con passi virtuosistici “a figurazione”, per cui i temi lirici (i secondi temi), che spesso sono prevalenti sui primi, creano contrasti più ai passi virtuosistici che ai primi temi». I ben equilibrati tre movimenti del Concerto non si discostano comunque molto, almeno a grandi linee, dalla forma del concerto classico-romantico. Il primo, Allegro maestoso, di notevole spettacolarità virtuosistica, si articola in esposizione, sviluppo e ripresa; comprende due temi principali e due secondari. Nella ripresa appare un tema nuovo. Il secondo, Romance – Larghetto, anch’esso nella forma-sonata, comprende pure quattro temi, due principali e due secondari, con una certa libertà nella trasposizione tonale. Verso la fine di questa sorta di “notturno con accompagnamento”, la versione sinfonica prevede un assolo del fagotto, che ci fa ricordare l’esistenza dell’orchestra, posta sempre sullo sfondo. Il terzo, Rondò – Vivace, con tema ricorrente, è la pagina più facile ed estroversa del Concerto: il suo ritmo dal sapore folcloristico è in bilico fra il “certificato di nazionalità” e la spensierata vivacità dello stile Biedermeier. Franco Pulcini

Gustav Mahler, Sinfonia n. 6 in la minore A partire dalla Quinta Sinfonia, Mahler ha intrapreso un nuovo cammino, rinunciando non solo alla voce umana, ma anche a quei “programmi” che aveva giudicato utili per facilitare l’accesso alle sue opere. Bisogna dunque affidarsi a indizi spesso molto esili per comprendere il senso delle tre sinfonie esclusivamente strumentali. Il percorso compiuto dall’“eroe” immaginario della Quinta era sembrato relativamente semplice, dalla Marcia funebre iniziale fino al gioioso Rondò-Finale: Per aspera ad astra. Nella Sesta, invece, la determinazione e l’aggressività del primo movimento non fanno altro che accentuarsi nel Finale, che si conclude con una disfatta di cui nulla riesce ad addolcire l’amarezza. Sconfitta e amarezza che sono tanto più sorprendenti dal momento che niente, nella vita di Mahler, sembrava ancora giustificare un pessimismo così estremo. Nel 1903, quando mette in cantiere la Sesta, Mahler è finalmente riuscito a imporre la sua autorità e le sue originali concezioni musicali all’Opera di Vienna, e comincia finalmente a essere riconosciuto come compositore. Disponiamo di poche informazioni sulla composizione della Sesta in senso stretto. Recentemente sposato e ormai padre di una bimba, Mahler è arrivato il 10 giugno a Maiernigg e si è quasi subito messo al lavoro. Alma racconta che un giorno scese dallo Häuschen, la capanna nel bosco nella quale componeva, e le disse: «Ho provato a rappresentarti in un tema. Non so se ci sono riuscito, ma dovrai accontentarti!». Si tratta della seconda idea del primo movimento, unico gesto davvero “positivo” dell’opera. Cinque settimane dopo, quando si rimetterà in viaggio per Vienna, avrà portato a termine i due movimenti intermedi, e probabilmente già abbozzato il primo. All’inizio dell’estate successiva l’arrivo di Alma a Maiernigg è posticipato di oltre quindici giorni, poiché essa è ancora sofferente dei postumi della nascita della sua seconda figlia. In questo mese di giugno del 1904, la sterilità creativa opprime Mahler. Quando finalmente ricomincia a comporre, è per portare a termine i Kindertotenlieder. La Sesta, però, non procede. L’angoscia spesso provata dell’inaridimento della sua vena creativa ossessiona il compositore, che si sforza di «riunire i frammenti sparsi del suo io interiore». Non riuscendo più a resistere, Mahler si fa un regalo per la conclusione del suo ciclo di

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Lieder, concedendosi all’inizio di luglio una “escursione lampo” nelle Dolomiti, prima dell’arrivo di Alma. È in questi fantastici paesaggi montani che finalmente ritrova lo slancio interiore e l’ispirazione che gli permetteranno di completare la nuova sinfonia. E quando, alla fine di agosto, si appresta a rientrare a Vienna, annuncia non senza una punta di orgoglio a Guido Adler e a Bruno Walter di aver portato a termine la Sesta. D’altro canto non si fa illusioni sulle sorti della sua nuova opera: «La mia Sesta porrà al futuro enigmi che potranno essere affrontati solo da una generazione che avrà assorbito e digerito le mie cinque precedenti sinfonie». Una giovane amica di Alma ha lasciato una testimonianza abbastanza dettagliata della vita estiva a Maiernigg nel 1904. Mahler suona Bach al pianoforte, recita per i suoi familiari e amici poesie di Goethe, fa delle gite in barca sul lago. Si tratta dunque, all’apparenza, dell’estate più tranquilla e armoniosa di tutte quelle che ha trascorso in Carinzia. Come spiegare dunque che questa sia proprio la stessa estate in cui ha composto la più tragica di tutte le sue opere? Secondo Alma, egli avrebbe riconosciuto in seguito nei tre colpi di martello del Finale un segno premonitore delle tre ferite che il destino gli avrebbe inferto nel 1907: la morte della figlia primogenita, la diagnosi di insufficienza cardiaca e la partenza da Vienna. Nessuna di queste disgrazie si è ancora verificata allorché, due anni dopo, Mahler si reca a Essen per dirigere la prima esecuzione della sua nuova sinfonia (27 maggio 1906). E tuttavia Alma descrive il suo stato quasi patologico durante le prove, la sua inquietudine, il suo nervosismo, i dubbi che non cessano di assalirlo e torturarlo. Ancor più del solito egli leviga e corregge senza requie i dettagli dell’orchestrazione. A quanto riferisce Alma, dirige “quasi male” la prima, «perché si vergogna della sua emozione e teme di esserne sopraffatto durante l’esecuzione». Dopo il concerto, Willem Mengelberg è preoccupato per il suo stato. Tutto si svolge come se quest’opera malefica non ispirasse altro che terrore al suo creatore. Rispetto alle precedenti sinfonie, la forma in quattro movimenti della Sesta potrebbe essere considerata come un ritorno ai canoni classici. Ci si rende tuttavia conto che l’opera è ben più ardita di tutto ciò che Mahler ha prodotto fino a quel momento, non foss’altro che per le dimensioni del Finale. Durante le prove di Essen il compositore è apparso inquieto e addirittura angosciato al suo entourage. Ha dei dubbi perfino su una questione fondamentale come l’ordine dei movimenti intermedi. L’ordine della prima versione, che è l’ordine di composizione e della prima edizione, pone in successione Allegro, Scherzo, Andante e Finale. Tuttavia a Essen Mahler ha probabilmente subito l’influenza di qualche amico che gli ha fatto rilevare l’evidente somiglianza fra l’inizio dello Scherzo e quello dell’Allegro iniziale. Si è dunque lasciato convincere a porre l’Andante al secondo posto, ed è questo l’ordine che manterrà in occasione della seconda esecuzione di Monaco, nel mese di novembre, e della terza, che ha luogo a Vienna nel gennaio del 1907. Queste esitazioni non fanno che confermare le testimonianze di contemporanei. Ognuna delle due successioni ha oggi i suoi sostenitori, e non c’è un ordine definitivo. Come gli è accaduto spesso, durante la composizione della Sesta, Mahler si è sentito lo strumento di una forza superiore; questa volta, però, di una forza tragica, implacabile, che lo fa sprofondare in un’angoscia insormontabile. Dopo la prova generale, un amico di Mahler gli chiese: «Ma come è possibile che un essere così buono possa esprimere nella sua opera tanta crudeltà e durezza?». E Mahler rispose: «Sono le crudeltà che ho subito e i dolori che ho provato!». Pensiamo in primo luogo a quel nemico che Mahler ha combattuto alacremente per tutta la vita: la forza ostile e spesso temibile della mediocrità, dell’Alltag (il quotidiano). E tuttavia c’è un dramma assolutamente concreto che si sta delineando nella vita di Mahler: quello del suo conflitto con Alma, la creatura radiosa e spirituale che egli, forse un po’ frettolosamente,

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Alma Mahler con le figlie: Maria, morta tragicamente a quattro anni e mezzo, e la piccola Anna, detta “Gucki�.

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ha deciso di sposare tre anni prima. Alma infatti ha condotto e condurrà al suo fianco fino alla fine una vita estranea alle sue aspirazioni. Qualche anno dopo gli rinfaccerà tutti i suoi rancori e le sue frustrazioni; nei suoi due diari giungerà addirittura a rimproverargli di aver voluto distruggere in lei tutte le forze vitali. Ogni opera d’arte degna di questo nome ha il dovere di soddisfare due esigenze fra loro contrastanti: l’unità e la diversità. Nella Sesta Sinfonia Mahler risponde a questa istanza con soluzioni sempre nuove. Fino a quel momento non si era mai così preoccupato di creare una rete di interrelazioni cicliche fra i diversi movimenti, attingendo un’infinità di temi e motivi da un “serbatoio” di cellule tematiche nel complesso molto limitato. Nella Sesta egli si è sforzato di «ottenere da un minimo di materiale d’origine un massimo di caratteri diversi». Il lato pessimistico dell’opera è definito immediatamente dal concatenamento maggiore-minore, sorta di Leitmotiv che ritorna moltissime volte, sempre accompagnato da un altro Leitmotiv, questa volta ritmico. Con 8 corni, 6 trombe, 4 tromboni e una tuba, l’organico degli ottoni è particolarmente nutrito. Ma è soprattutto la famiglia delle percussioni a raggiungere qui dimensioni inusitate: comprende due coppie di timpani, grancassa, triangolo, frusta, tam-tam e, per la prima volta nell’opera di Mahler, dei campanacci e delle campane gravi ad altezza indeterminata. È anche la prima volta che egli utilizza la celesta. Vanno poi ancora aggiunti lo xilofono e il famoso martello al quale Mahler richiede «colpi brevi e potenti, con una risonanza sorda di tipo non metallico, come un colpo di scure». In questa Sesta Sinfonia non c’è traccia di leggende, né di ricordi o di nostalgia del passato; c’è invece un mondo crudele, quasi privo di seduzione: temi spigolosi, a volte addirittura ingrati, caratterizzati da ampi intervalli, da ritmi ostinati e da un’atmosfera tesa e dolorosa. In un clima lugubre e beffardo, lo Scherzo disegna una Danza macabra su uno zoppicante ritmo ternario, incessantemente contrastato da accenti sui tempi deboli. Con i suoi cambi di metro, la sua instabilità ritmica, i suoi contrappunti cerimoniosi e altväterisch (all’antica), il Trio non è meno inquietante. Sembra di vedere muoversi, con patetica goffaggine, delle ridicole marionette vestite con abiti polverosi. In questo universo ostile e crudele, l’Andante introduce l’unico vero elemento di contrasto. Il suo aperto lirismo ne fa l’unico autentico “movimento lento” di Mahler, accanto a quello della Quarta. Due episodi si succedono e si contrappongono, il primo degli archi, il secondo dei fiati, destinati ben presto a confondersi. Le terzine che girano su se stesse, i trilli degli uccelli e i campanacci evocano la beata calma della natura, dalla quale il compositore attingeva gran parte della sua energia creativa. Di dimensioni epiche, il Finale è il più esteso di Mahler, se escludiamo la seconda parte dell’Ottava Sinfonia. L’inizio dell’Introduzione ci immerge in un caos da fine del mondo. Brandelli di tema emergono dall’oscurità per ripiombarvi immediatamente. L’elemento più sorprendente di questa Introduzione è senza dubbio l’episodio contrassegnate come Schwer, affidato ai fiati: un nuovo corale, ancor più paradossale e negativo di quello del primo movimento. Che cosa rappresenta? La resistenza della materia? Il destino implacabile al quale nessun uomo sfugge? La Morte? Comunque sia, la sua rigidità, il suo formalismo e i suoi timbri gravi gli conferiscono un carattere profondamente ostile. Con le sue quasi 300 misure, lo sviluppo che segue è proporzionato all’insieme. Due colpi di martello separano le grandi sezioni di questa prodigiosa mescolanza. La ripresa, notevolmente abbreviata, annuncia la catastrofe finale. Non c’è nessun pezzo di musica che superi questa coda dal punto di vista della essenzialità e della desolazione. Tutto si consuma nella disperazione, nella notte dell’anima, nella disfatta che questo ritmo lancinante rappresenta. C’è bisogno di riflettere ancora sul senso di questa conclusione, alla quale Adorno pone come sottotitolo «tutto è male ciò che finisce male»? Il compositore si sarebbe sentito

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in dovere, un giorno, di avvalersi di questa via delle tenebre per scoprire, nelle opere seguenti, altre vie che portavano a esiti del tutto diversi. La tetraggine della Sesta era una tappa indispensabile per l’evoluzione di Mahler. L’avrebbe condotto al radioso ottimismo dell’Ottava e, successivamente, a quella prospettiva luminosa che, alla fine del Canto della terra, si apre sull’eternità. Henry-Louis de La Grange (traduzione dal francese di Silvia Tuja)

In questa caricatura, intitolata Tragische Sinfonie, Mahler si porta una mano alla fronte e commenta «Mio Dio, ho dimenticato il clacson! Ora posso scrivere un’altra sinfonia...». Si tratta evidentemente di una polemica contro la Sesta Sinfonia (1903-04), in cui sono presenti strumenti come il martello, i campanacci delle mucche, il fascio di verghe: i cosiddetti Naturlaute (suoni della natura).


Fryderyk Chopin Cronologia della vita e delle opere a cura di Lidia Bramani

˚ 1810 Fryderyk (Franciszek) Chopin nasce a Zelazowa Wola, villaggio a una cinquantina di chilometri da Varsavia, il primo marzo. Il padre Nicolas, francese originario della Lorena, lavorando ˚ come tutore a Zelazowa Wola, in Casa Skarbek, aveva conosciuto la dama di compagnia Justyna Tekla Krzy˚zanowska. Dal loro matrimonio, celebrato nel 1802, sarebbero nati quattro figli: Ludwika (1807), Fryderyk (1810), Isabella (1811), Emilia (1812). La famiglia si trasferisce a Varsavia quando Nicolas, nell’autunno del 1810, riceve l’incarico di insegnante di lingua francese presso il Liceo della città. 1816 Nicolas può soggiornare in un appartamento più ampio, nel palazzo Kazimierowski. Affittando parte delle camere e insegnando in istituti privati, la sua situazione economica diventa sicura. Proprio con alcuni giovani ospiti che soggiornano in casa Chopin, Fryderyk stringerà profonda amicizia, come nel caso di Juliusz Fontana, al quale resterà legato per tutta la vita. 1817 Dopo l’apprendistato musicale sotto la guida materna, l’eccezionale talento di Chopin è incanalato verso una più rigorosa conoscenza del repertorio classico e dello stile bachiano dal suo primo maestro, Wojteˇch Zˇivny´. Studierà con lui fino al 1822. All’improvvisazione pianistica si affiancano le prime esperienze creative: viene pubblicata una delle Polacche che Chopin compone in questo periodo, quella in sol minore. 1818 Già ammirato come bambino prodigio negli ambienti aristocratici di Varsavia, a febbraio Chopin tiene il suo primo concerto pubblico. 1822 Gli studi musicali di Chopin proseguono privatamente con Józef Elsner. 1823

Frequenta il Liceo dove insegna il padre.

1824 Sono di quest’anno le Variazioni sopra un’aria tedesca.

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1825 Viene pubblicato il Rondò in do minore op. 1, frutto degli studi compositivi cui si è dedicato con Elsner. In questi anni trascorre le vacanze estive a Szafarnia, in Kujawia, dove conosce la musica contadina e popolare, il cui fascino sarà decisivo per le sue future scelte estetiche. 1826 Conseguita la licenza liceale, si iscrive alla Scuola Superiore di Musica, di cui Elsner è direttore, studiando con lui, come allievo interno, teoria, armonia, contrappunto e composizione. Emerge ormai con sempre maggiore evidenza il quasi esclusivo rapporto di Chopin con il pianoforte e la sua insofferenza verso ogni rigido schema formale. 1827 Muore la sorellina Emilia. Mentre riscuote sempre maggiore successo come pianista, scrive il Notturno che sarà poi pubblicato come op. 27 n. 1 e la sua prima partitura orchestrale: le Variazioni op. 2 su Là ci darem la mano dal Don Giovanni di Mozart. 1828 Conclude, ancora sotto la guida di Elsner, la Sonata op. 4 e il Krakowiak per pianoforte e orchestra. Si reca a Berlino, con il professor Jarocki, amico di famiglia, per ampliare i propri orizzonti musicali. Qui si accosta a opere e autori abbastanza nuovi per lui (come Händel). 1829 L’11 agosto debutta come pianista e compositore, a Vienna, al Kärntnertortheater, conquistando il pubblico con il carattere brillante dei suoi pezzi e il virtuosismo nell’improvvisazione su temi popolari polacchi. 1830 Di ritorno a Varsavia, compone la Grande polacca brillante op. 22 (cui anteporrà, cinque anni più tardi, l’Andante spianato) e alcuni Studi op. 10; finisce il Concerto in fa minore (pubblicato come n. 2), iniziato da tempo, e scrive il suo secondo e ultimo Concerto, quello in mi minore (pubblicato come n. 1). La partenza per il lungo viaggio che avrebbe dovuto portarlo a Parigi, dopo essere passato dalla Germania e dall’Italia, viene riman-


data a causa dei moti rivoluzionari che dilagano in Europa. Chopin è peraltro restio a separarsi dalla cantante, sua coetanea, Konstancja Gladkowska, alla quale ha dedicato, l’anno precedente, il Valzer op. 70 n. 3. Il concerto tenuto a Varsavia l’11 ottobre chiude questo periodo giovanile. Il 2 novembre lascia definitivamente Varsavia, salutato con grande affetto dagli allievi del Conservatorio e da Elsner: sarà un addio senza ritorno. Verso la fine del mese giunge a Vienna e vi resterà fino a luglio dell’anno successivo. Sarà un brutto periodo per Chopin, accolto da pubblico e editori con freddezza e afflitto da preoccupazioni finanziarie. L’ansia per i familiari rimasti in patria si aggiunge al senso di isolamento per la diffidenza che i viennesi mostrano verso i polacchi dopo l’insurrezione della Polonia contro la Russia, che porterà alla dichiarazione d’indipendenza del gennaio 1831. 1831 Termina le Mazurke op. 7, due Valzer (tra cui il notissimo Gran valzer brillante), i Notturni op. 9 e op. 15 n. 1 e n. 2, lo Scherzo in si minore op. 20, il Bolero op. 19. Scartata l’idea di visitare l’Italia, dopo alcune tappe tra le quali Monaco e Stoccarda, arriva, in settembre, a Parigi. Le speranze in una Polonia libera si infrangono; in questi anni nascono le composizioni che risentono di una appassionata partecipazione agli eventi della sua patria. 1832 Il 26 febbraio suona per la prima volta a Parigi, alla Salle Pleyel. È di quest’anno il Grand duo de concert su temi di Robert le diable di Meyerbeer per violoncello e pianoforte. Conclude gli Studi op. 10. 1833 L’inserimento nella vita musicale e culturale parigina è favorito dall’arrivo di nobili profughi polacchi che, fuggiti in seguito alle vicende del 1830 e accolti con simpatia nella capitale francese, fanno di Chopin il simbolo di una speranza nazionalistica tutt’altro che soffocata. Gratificato anche economicamente come compositore, pianista e insegnante, Chopin frequenta, in questi anni, personaggi di spicco come Liszt, Berlioz, Bellini, Meyerbeer. Pur partecipando al movimento di pensiero romantico di Balzac, de Musset, Heine, Delacroix, si mantiene su posizioni moderate e conquista l’alta società parigina con i suoi modi eleganti e naturalmente raffinati. Compone le Variations brillantes sur le rondeau favori de «Ludovic» di Hérold. 1834 Si reca ad Aachen, dove conosce Mendelssohn e altri musicisti tedeschi.

1835 La sua attività concertistica giunge al culmine con due importanti concerti (al Théâtre des Italiens e al Conservatorio). Le sue esecuzioni pubbliche saranno, d’ora in avanti, rarissime. Si reca a Karlsbad, dove si trovano i suoi genitori, per una cura termale: sarà il loro ultimo incontro. Scrive il Valzer op. 34 n. 1. A Dresda, dove è passato per salutare la famiglia Wodzin´ski, alla quale era molto legato a Varsavia, si innamora della loro giovanissima figlia Maria, alla quale dedica il Valzer op. 69 n. 1 (L’adieu). 1836 Conosce la scrittrice George Sand. Termina i 12 Studi op. 25. 1837 In agosto, la delusione per la rottura del fidanzamento con Maria Wodzin´ski lo spinge a un breve soggiorno a Londra in compagnia di Camille Pleyel. Anche la sua salute ne risente. 1838 A marzo, a Rouen, si esibisce per l’ultima volta in un concerto pubblico. Nasce il burrascoso rapporto con George Sand, che durerà nove anni e coinciderà con la stagione più creativa di Chopin; con lei e con i suoi due figli si reca a Maiorca l’8 novembre, risentendo però negativamente della fatica del viaggio e del clima molto umido; le sue condizioni fisiche peggiorano. 1839 In febbraio, riparte con George Sand; dopo una sosta a Barcellona, un periodo di convalescenza a Marsiglia e un breve soggiorno a lei, si fermano nella residenza di campagna di George, a Nohant, dove essi trascorreranno quasi tutte le estati fino al 1846. In ottobre sono nuovamente e definitivamente a Parigi, dove Chopin vivrà nella più completa agiatezza economica, circondato da una fama ormai internazionale e dall’affetto e dalla stima del bel mondo. Conclude i 24 Preludi op. 28 e la Ballata in fa maggiore op. 38; scrive lo Scherzo in do diesis minore op. 39, la Polacca in do minore op. 40 n. 2, la Sonata in si bemolle minore op. 35, il Notturno in sol maggiore op. 37 n. 2 e l’Improvviso in fa diesis maggiore op. 36. 1840 Mantiene i contatti con i patrioti polacchi esuli in Francia, come il poeta Mickiewicz, ed è pronto ad aiutare i nuovi talenti (come César Franck). 1841 L’immenso prestigio di Chopin si accresce dopo il concerto privato tenuto nella Salle Pleyel, il 26 aprile. In questo periodo Chopin lavora soprattutto d’estate, a Nohant. Termina la Ballata in la bemolle maggiore op. 47 e la Polacca in fa diesis minore op. 44. Scrive la Fantasia op. 49.

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1842 Un’altra, strepitosa esecuzione alla Salle Pleyel. Compone l’ultima Ballata, in fa minore, l’ultimo Scherzo in mi maggiore, e la Polacca in la bemolle maggiore op. 53 (Eroica). 1844 Muore il padre Nicolas. La sorella Ludwika trascorre l’agosto con lui. Scrive la Sonata in si minore e la Berceuse op. 57. 1846 Il rapporto tra Chopin e George Sand, già raffreddatosi negli ultimi anni, si incrina ulteriormente per la difficoltà di convivenza con i figli di lei, Maurice e Solange. Termina la Barcarola op. 60 e la Polacca-Fantasia op. 61. Scrive le Mazurche op. 63 e 67 n. 4, i due Notturni op. 62, i tre Valzer op. 64. 1847 In seguito all’intervento di Chopin in difesa di Solange, a causa degli intrighi nati intorno al suo matrimonio con lo scultore Auguste Clésinger, Chopin e la scrittrice si separano definitivamente. Le condizioni fisiche e psicologiche di Chopin si aggravano e la sua creatività si inaridisce. 1848 Il 16 febbraio tiene il suo ultimo concerto, privato, a Parigi, in un’atmosfera resa inquieta per le notizie sull’espandersi dei focolai rivoluzio-

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nari in tutta Europa. Chopin accetta l’invito, da parte dell’allieva Jane Stirling, a recarsi in Inghilterra, dove viene accolto con entusiasmo e ascoltato dalla regina Vittoria, il 15 maggio, in un concerto alla Stafford House organizzato dalla duchessa di Sutherland. Il 23 giugno e il 7 luglio si esibisce in due importanti concerti pubblici a Londra, in agosto suona a Manchester e più tardi a Glasgow e Edimburgo, sottoponendosi a un ritmo di vita insostenibile per le sue condizioni di salute. La sua ultima apparizione pubblica avviene a Londra, il 16 novembre, alla Guildhall, in una serata di beneficenza per i rifugiati polacchi indigenti. Ormai gravemente ammalato, pochi giorni dopo torna a Parigi, aiutato economicamente dall’allieva Jane Stirling. 1849 Trascorre l’estate a Chaillot e in autunno torna a Parigi. Muore il 17 ottobre, per un’affezione cardiaca quasi certamente provocata dalla tubercolosi, assistito dalla sorella Ludwika e da alcuni amici polacchi. Al suo funerale assistono più di tremila persone. Negli ultimi due anni di vita ha scritto solo una Melodia per voce e pianoforte (l’op. 74 n. 9), la Mazurca op. 67 n. 2 e un abbozzo della Mazurca op. 68 n. 4.


Gustav Mahler Cronologia della vita e delle opere a cura di Franco Pavan

ˇ 1860 Gustav Mahler nasce il 7 luglio a Kalisˇte, in Boemia. È figlio di Bernhard e di Maria Hermann, secondo di quattordici fratelli. Nel mese di ottobre la famiglia si trasferisce a Jihlava, l’antica Iglau, dove Bernhard apre un magazzino di generi alimentari, gestisce un’osteria e ottiene il permesso di aprire una distilleria. Gustav definirà i suoi genitori dissimili come “l’acqua e il fuoco”. 1865 Verso la fine dell’anno il Kapellmeister dello Stadttheater di Jihlava, Franz Viktorin, comincia ad affinare la tecnica pianistica di Gustav, che aveva avviato lo studio dello strumento sotto la guida del violinista Johannes Brosch e su interessamento di Heinrich Fischer. Passione per la lettura e forte legame con il fratello Ernst. 1868 Wenzel Pressburg sostituisce Viktorin quale insegnante di Mahler per il pianoforte. Nel mese di dicembre nasce Justine, la sorella che Gustav sentirà più vicina. 1869 Nel corso del mese di ottobre Gustav viene iscritto al Gymnasium tedesco di Jihlava. 1870 Il 13 ottobre sostiene il primo concerto in pubblico. Heinrich Fischer gli impartisce lezioni di armonia.

1876 Mahler si dedica alla composizione: scrive una Sonata per violino e pianoforte, un Notturno per violoncello, il primo tempo di un Quintetto con pianoforte, il primo tempo e lo scherzo del Klavierquartett in la minore, l’unica opera, fra queste, sopravvissuta. 1877 Ottiene il diploma di maturità e si iscrive all’Università di Vienna. Frequenta presso l’ateneo poche lezioni di Harmonielehre sotto la guida di Anton Bruckner. Rottura dell’amicizia con Hugo Wolf. 1878 Nel corso dei primi mesi dell’anno Gustav legge un racconto di Ludwig Bechstein, Das klagende Lied, e decide di realizzare un breve poema drammatico ispirato a quel testo. L’11 luglio ottiene il diploma del Conservatorio. 1879 Trascorre quest’anno in parte a Vienna e in parte in Moravia, dando lezioni e studiando. Torna a Vienna il 29 settembre e si mette a lavorare soprattutto attorno a Das klagende Lied di cui è venuto mutando il piano originario.

1871 Durante l’autunno Gustav si trasferisce a Praga, dove il padre lo iscrive al Neustädter Gymnasium. Vive presso la famiglia Grünfeld, e vi trascorre un periodo assai tormentato.

1880 Scrive tre Lieder: Im Lenz terminato il 19 febbraio, Winterlied concluso il 21 dello stesso mese, e Maitanz im Grünen del 5 marzo. Probabilmente il giorno 20 maggio prende avvio la carriera di Mahler quale direttore d’orchestra: egli infatti lavora presso il teatrino di Hall, dirigendo operette e vaudevilles. Nel mese di novembre termina Das klagende Lied.

1874 Ernst, il fratello prediletto, muore il 13 aprile segnando profondamente il giovane Gustav. Il padre evidenzia ancor più un comportamento tirannico e violento.

1881 Mahler si trasferisce in settembre a Lubiana, dove è nominato Kapellmeister del Teatro Provinciale, presso il quale mette in scena numerose opere.

1875 Il 10 settembre avviene l’iscrizione al Conservatorio di Vienna. Il nuovo insegnante di pianoforte di Gustav è Julius Epstein; inoltre studia composizione con Franz Krenn e armonia con Robert Fuchs. Amicizia con Rudolf Krzyzanowski e Hugo Wolf.

1882 Ritorna a Vienna. Lavora al libretto e alla composizione della favola Rübezahl. 1883 Il 10 gennaio si trasferisce a Olmütz, l’odierna Olomouc, dove è nominato direttore d’or-

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chestra per la stagione d’opera in corso. Si trasferisce nel mese di marzo a Vienna, dove lavora come maestro di coro al Carl-Theater. Il 31 maggio firma un contratto con il Teatro di Kassel, avente durata dal 1° ottobre 1883 al 30 settembre 1886, come secondo direttore d’orchestra e direttore del coro. Conclude i cinque Lieder costituenti il primo quaderno dei Lieder und Gesänge. 1884 Si invaghisce del soprano Johanna Richter. Si dedica alla realizzazione delle musiche di scena per Der Trompeter von Säkkingen, ispirato al poema narrativo omonimo di Joseph Viktor von Scheffel; fra il 15 novembre e il 1° gennaio seguente scrive il ciclo dei Lieder eines fahrenden Gesellen. Risale forse a quest’anno il frammento per pianoforte a quattro mani della Sinfonia n. 1. 1885 Lascia Kassel il 6 luglio per recarsi a Praga, presso il Teatro Tedesco, in qualità di primo direttore. Abbozzi della Sinfonia n. 1. Ottiene la promessa di un contratto a Lipsia a partire dal luglio 1886. 1886 Si trasferisce presso il Neues Stadttheater di Lipsia, diretto da Max Staegemann. Qui è subordinato al primo direttore, Arthur Nikisch. Conosce Karl, il nipote di Weber. 1887 Lavora al completamento dell’opera di Weber Die drei Pintos, su richiesta di Karl von Weber; Mahler si innamora di Marion, moglie di quest’ultimo. Termina il lavoro avendo strumentato il primo e il secondo atto oltre alla composizione completa del terzo, l’8 ottobre. 1888 Cresce la stima nei confronti di Mahler per le sue capacità come direttore d’orchestra. Termina il 29 marzo la prima versione della Sinfonia n. 1. Si allontana da Lipsia a causa di contrasti con il primo regista Albert Goldberg. L’8 ottobre viene nominato direttore stabile del Reale Teatro d’Opera di Budapest con un contratto della durata di dieci anni. Approfondisce la conoscenza dei testi di Des Knaben Wunderhorn. Inizia a musicare qualche poesia della raccolta. 1889 Il 18 febbraio muore il padre. Maria Hermann, la madre, si spegne l’11 ottobre. Gustav si prende cura dei fratelli: la sorella Justine si trasferisce a Budapest. Il 20 novembre dirige nella città ungherese la Sinfonia n. 1, accolta con sfavore dal pubblico e dalla critica.

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1890 Intraprende un viaggio in Italia nel mese di maggio, in compagnia della sorella Justine, giungendo anche a Milano. Lo scopo del viaggio è relativo alla necessità di ingaggiare un soprano drammatico e un tenore e di raccogliere nuove opere da rappresentare a Budapest. Sulla via del ritorno si ferma a Vienna; giunge a Budapest il 22 agosto. Qui il 16 novembre dirige un eccellente Don Giovanni di Mozart, che gli vale i complimenti e la stima di Brahms. 1891 Contrasti con il nuovo intendente del Reale Teatro d’Opera di Budapest, Géza Zichy. Mahler è costretto a lasciare la città insieme alla sorella Justine il 22 marzo, fra il rimpianto e la stima dei cittadini ungheresi. Il 29 marzo prende servizio presso lo Stadttheater di Amburgo, assunto dal sovrintendente Bernhard Pollini, dirigendo Tannhäuser di Wagner. Amicizia con Hans von Bülow; apprezzamenti da parte di Čajkovskij. 1892 Nel corso dell’estate si reca a Londra, dove, presso il Teatro di Drury Lane, dirige una serie di opere tedesche. Passa il resto dell’estate a Berchtesgaden in compagnia della cara amica Natalie Bauer-Lechner, conosciuta a Vienna ai tempi del conservatorio. Ad Amburgo scoppia un’epidemia di colera; Mahler rientra nella città solo il 20 settembre e viene pesantemente multato dall’intendente. La multa viene in seguito sospesa, ma i rapporti con Pollini si guastano irrimediabilmente. 1893 Hans von Bülow si ammala e Mahler ne fa le veci alla direzione dei concerti filarmonici. Nell’estate si reca a Steinbach, dove lavora alla Sinfonia n. 2 e ai Wunderhornlieder. 1894 Muore von Bülow. La commemorazione avviene il 29 marzo ad Amburgo. Mahler termina la Sinfonia n. 2. La Sinfonia n. 1 viene eseguita al Festival di Musica di Weimar grazie all’interessamento di Richard Strauss. 1895 Il 6 febbraio si suicida a Vienna il fratello Otto, musicista di talento. In marzo, nel corso di un concerto diretto a Berlino da Strauss, Gustav ha l’opportunità di condurre l’orchestra nei primi tre movimenti della sua Sinfonia n. 2. Nell’estate elabora a Steinbach il piano della Sinfonia n. 3 e continua la composizione dei Wunderhornlieder. Primi contatti, tramite Brahms, con l’Opera di Vienna. Conosce il soprano Anna von Mildenburg, della quale si innamora.


1896 Termina il 6 agosto a Steinbach la Sinfonia n. 3. 1897 Vengono pubblicate le partiture dei Lieder eines fahrenden Gesellen e della Sinfonia n. 2. Mahler compie la sua prima tournée in Russia. Il 1° maggio viene nominato Kapellmeister al Teatro di Corte di Vienna. L’8 ottobre è incaricato della direzione artistica del Teatro. 1898 Vengono pubblicate la Sinfonia n. 1 e la Sinfonia n. 3. Mahler è incaricato di sostituire Hans Richter alla direzione dei Concerti della Filarmonica. Revisione definitiva di Das klagende Lied. 1899 Ad Alt-Aussee, presso Villa Kerry, avvia la composizione della Sinfonia n. 4. Schizza inoltre il Lied Revelge, considerato da Mahler «il più importante dei suoi Lieder». 1900 Termina a Maiernigg la Sinfonia n. 4, e inoltre, entro il 10 agosto, il Lied Der Tambourg’sell. 1901 Il 4 marzo, in seguito a una emorragia, viene operato ed è costretto a un lungo periodo di convalescenza che trascorre ad Abbazia. Presenta le dimissioni ai Philharmoniker il 1° aprile. A Maiernigg, nei mesi di giugno e luglio compone Ich atmet’ einen linden Duft; uno schizzo con pianoforte di Blicke mir nicht in die Lieder! è datato 14 giugno, entro il 16 agosto termina Ich bin der Welt abhanden gekommen. Completa entro l’estate due movimenti della Sinfonia n. 5 e il Lied Um Mitternacht; scrive i primi tre Kindertotenlieder. 1902 Gustav sposa Alma Schindler il 9 marzo. Viaggio in Russia. Termina durante l’estate a Maiernigg la Sinfonia n. 5 e Liebst du um Schönheit, l’ultimo dei Rückertlieder. Il 3 novembre nasce Maria Anna. 1903 A Maiernigg inizia la stesura della Sinfonia n. 6. 1904 Viene pubblicata la Sinfonia n. 5. Il 15 giugno nasce la seconda bambina Anna Giustina. Probabilmente entro la fine d’agosto conclude la stesura della Sinfonia n. 6. Scrive gli ultimi due Kindertotenlieder e i due Andante della Sinfonia n. 7. 1905

Si intensificano i concerti che prevedono

in programma le esecuzioni di sinfonie di Mahler. In maggio rivede la Sinfonia n. 6 e nell’estate successiva porta a termine la Sinfonia n. 7. Stringe amicizia con Schönberg. 1906 In estate, a Maiernigg, Mahler scrive la Sinfonia n. 8. È questo l’anno in cui, durante la vita del compositore, viene eseguito da altri direttori il maggior numero di sue sinfonie. 1907 In primavera dirige a Roma l’Orchestra di Santa Cecilia ottenendo alterni risultati. In giugno Mahler accetta l’invito del Metropolitan di New York. Il 5 luglio muore Maria Anna. Negli stessi giorni viene diagnosticata al compositore la malattia cardiaca. Parte per l’America il 9 dicembre. 1908 Dirige al Metropolitan opere di Mozart e di Wagner e la Sinfonia n. 2, che lo affermano come direttore e come compositore. Ritorna a Vienna in maggio. I suoi rapporti con il Teatro statunitense cominciano però a deteriorarsi. Entro il 1° settembre termina a Dobbiaco la composizione di Das Lied von der Erde. A Praga dirige la Sinfonia n. 7. Ritorna alla fine d’autunno negli Stati Uniti. 1909 Terminata la stagione invernale al Metropolitan, a Mahler viene affidata la direzione della Philharmonic Society di New York, che prevede un piano di 46 concerti per la stagione 1909-10. In primavera torna in Europa per dirigere a Monaco, Amsterdam e Parigi. A Toblach compone la Sinfonia n. 9. In ottobre riparte per gli Stati Uniti. 1910 Il 7 aprile torna in Europa. Ha già iniziato a comporre la Sinfonia n. 10.A Parigi incontra Debussy e Dukas. Grave crisi familiare. Il 12 settembre, a Monaco, prima esecuzione della Sinfonia n. 8. Riparte per gli Stati Uniti alla fine di ottobre. 1911 Il 5 febbraio vengono ridotti i poteri a Mahler alla direzione della Filarmonica. Grave malattia alla gola. Il 21 febbraio dirige per l’ultima volta. In aprile torna in Europa. A Parigi si tentano varie cure inutilmente. Chiede di essere portato a Vienna. Muore alle ore 23 del 18 maggio. Il suo funerale si svolge presso il cimitero di Grinzing sotto un violento acquazzone. Nel momento in cui il carro funebre si scuote per muoversi, un raggio di sole brilla per un breve momento.

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Mercoledì 7 novembre 2012 ore 20

Filarmonica della Scala Direttore

Daniel Harding Pianoforte

Daniel Barenboim

Ludwig van Beethoven Concerto n. 3 in do min. op. 37 per pianoforte e orchestra Allegro con brio Largo Rondo. Allegro Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij Concerto n. 1 in si bem. min. op. 23 Allegro ma non troppo e molto maestoso, Allegro con spirito Andantino semplice, Prestissimo, Tempo I Finale (Allegro con fuoco)

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Ludwig van Beethoven

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Ludwig van Beethoven, Concerto n. 3 in do minore op. 37 per pianoforte e orchestra Scrive Beethoven in una lettera del 22 aprile 1801 all’editore Breitkopf: Hoffmeister pubblica uno dei miei primi Concerti che, ovviamente, non è una delle mie migliori composizioni. Anche Mollo pubblica un Concerto che è stato composto più tardi, è vero, ma neppure questo è una delle mie migliori composizioni del genere.

Questo prendere le distanze dai due primi Concerti per pianoforte e orchestra (con cui Beethoven si era fatto conoscere anche fuori da Vienna suonandoli nelle sue tournées giovanili), rivela la nascita ormai compiuta del Terzo Concerto in do minore op. 37: gli abbozzi sono del 1799, l’autografo è datato 1800; l’opera, in una sola redazione, per quanto ricca di correzioni e pentimenti, sarà presentata al pubblico da Beethoven nel corso della sua “accademia” del 5 aprile 1803 al Theater an der Wien di Vienna. Come ha osservato Hans-Werner Küthen, curatore della moderna edizione critica dei Concerti, «le quattro versioni del Concerto in si bemolle, le due di quello in do e l’unica del Concerto in do minore mostrano che la distanza fra l’abbozzo e la forma definitiva diventa sempre più piccola e che il compositore prende il sopravvento sul virtuoso». In effetti, basta sentire le prime note del Concerto in do minore per accorgerci che ci sta di fronte, con effetto immediato, una nuova, enorme personalità, la quale s’impone, si noterà, in “pianissimo”, con un pugno di note suonate sottovoce dagli archi, le ultime due note ripetute, a chiudere come un fermaglio il tema conciso. L’autorità, la consapevolezza della forza è tutta nella taciturna concentrazione, nell’economia dell’invenzione che segna appena il perimetro dell’azione futura con il rintocco della sua pulsazione: Pochmotiv, dicono i tedeschi, cioè “motivo bussato”, che possiamo considerare una semplificazione del ritmo puntato con cui l’età barocca era solita esprimere il pathos. Siamo nel regno del do minore, campo prediletto dal Beethoven drammatico che avrà il suo culmine, ancora più essenziale e scavato, nella Quinta Sinfonia; nel Terzo Concerto, anche per la presenza del pianoforte solista, l’applicazione di questa drammaticità è meno tesa e rigorosa, più aperta a distensioni, pause liriche, passaggi umoristici, ma il concetto di un gesto pregnante che impone silenzio è già costituito e ribadito nella ripetuta percussione di quel tema bussato. È anche da notare che esiste un appunto con un’annotazione di Beethoven che dice: «Per il Concerto in do minore timpani dopo la cadenza», da cui si ricava che l’idea nuda e cruda della percussione precede l’elaborazione del movimento stesso, condizionandone la forma futura. Nel meraviglioso Largo che segue Beethoven si allontana in modo deciso dal modello della romanza mozartiana, seguito nei suoi due Concerti precedenti; intanto passa dal do minore alla lontana tonalità di mi maggiore (una distanza che Brahms riprenderà fra i primi due movimenti della sua Prima Sinfonia), ma soprattutto si allontana da ogni precedente, per un modo di procedere che sembra trascrivere i modi fantastici di una improvvisazione. Sospeso nel suo io privato, Beethoven è alla ricerca di una cantabilità minuta, ipersensibile, in segreto colloquio con il suo strumento, e questo carattere sospeso è ancora accentuato dal tono dell’orchestra, che invece sembra rifarsi a una sostanza spirituale di corale solennità, tipo Largo di Händel; anche se si tratta di un Händel che scende dal piedestallo, intimizzato, e che alla fine si siede accanto all’ascoltatore per un’ultima parola di commovente solidarietà. Il Rondò finale mostra, del do minore, il tono serioso, impostando un tema dall’accento spavaldo nel suo ritmo a ballo, sottolineato ogni volta

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da rincorse del pianoforte. La virtù della danza circola nelle prime pagine toccando anche toni burleschi e umoristici; acquattato al centro sta uno squisito episodio in maggiore inaugurato dalla voce affabile del clarinetto; segue un severo episodio fugato, ma la maschera è presto gettata in nuove trasformazioni del tema principale, fino all’ilare risoluzione di un Presto in do maggiore. Giorgio Pestelli Pëtr Il’ič Cˇajkovskij, Concerto n. 1 in si bemolle minore op. 23 per pianoforte e orchestra Il Concerto in si bemolle minore, una delle opere più celebrate di Cˇajkovskij, è il frutto di un lavoro rapidissimo: venne infatti scritto tra novembre e dicembre 1874. Ma prima ancora di iniziare l’orchestrazione, il 5 gennaio successivo il compositore lo suonò, trepidante, davanti a un sommo virtuoso dell’epoca, Nikolaj Rubinštejn, con la speranza di propiziarne l’esecuzione. La reazione di Rubinstejn è nota: una violenta, impietosa stroncatura, che lasciò l’autore affranto, ma comunque intenzionato a non cambiare una sola nota della partitura. Il Concerto venne tenuto a battesimo nell’ottobre seguente da un altro grande pianista, Hans von Bülow, a Boston (dopo la catastrofica esibizione privata, Cˇajkovskij dovette ritenere opportuna una première in terre lontane), fu subito salutato con entusiasmo e cominciò sotto i migliori auspici la sua marcia trionfale nelle sale da concerto di tutto il mondo. Tuttavia nell’estate del 1879 Cˇajkovskij si risolse a apportare varie modifiche alla parte pianistica, su suggerimento di un meno astioso interprete, Edward Dannreuther; altre ne seguirono nel dicembre 1889. Quando si parla del Concerto in si bemolle minore il pensiero corre subito, inevitabilmente, alla magnifica introduzione che lo apre, incentrata su una melodia tra le più popolari e amate dell’intero repertorio sinfonico. Pure, in questo memorabile avvio si annida un curioso problema formale, non sempre avvertito da chi si lascia trasportare dal canto maliardo di violini e violoncelli sostenuti dai poderosi accordi del pianoforte. Di fatto, nessun altro concerto solistico della tradizione classico-romantica inizia con un analogo preambolo “fuori tonalità” (re bemolle maggiore, la relativa della tonica minore di si bemolle), che mentre da un lato tocca uno dei vertici espressivi dell’opera, dall’altro per così dire sperpera i propri tesori: dopo la prima presentazione il glorioso tema viene rielaborato dal solista, riproposto in una variante dell’inizio, dopodiché si eclissa per non tornare mai più. Già il critico russo Herman Laroche, in una recensione apparsa nel 1875, sottolineò che nessuno dei tre movimenti eguaglia la maestosità e l’afflato lirico delle pagine introduttive; tuttavia si può notare, anzitutto, che questa singolare concezione architettonica ha il vantaggio di rendere plausibile l’attacco del successivo Allegro con spirito, il cui gracile tema principale – una melodia popolare ucraina, che si muove a scatti con piccoli passi di due note ciascuno – sarebbe stato del tutto inadeguato come esordio del primo movimento; in secondo luogo, inoltre, che la fastosa introduzione permette di bilanciare mirabilmente l’altrettanto infuocata perorazione che chiude il terzo movimento. Melodie popolari sono incastonate anche nell’Andantino e nell’Allegro con fuoco: la prima è Il faut s’amuser et rire, una chansonnette francese in voga a quei tempi in Russia, che compare nella sezione centrale, Prestissimo, del secondo movimento, a creare un vistoso contrasto con la dolce melodia dell’Andantino, presentata la prima volta dal flauto su un lieve pizzicato degli archi; l’altra è di nuovo un canto ucraino, caratterizzato da insistite, martellanti ripetizioni, che forma il tema principale del finale. Quando compose il Concerto, Cˇajkovskij era ancora imbevuto di nazionalismo e spiritualmente vicino al Gruppo

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ˇ ajkovskij in un ritratto del 1877 con Antonina Miljukova, che fu sua moglie per poche settimane. Pëtr Il’icˇ C

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ˇ ajkovskij. Dipinto di Nikolaj Dmitrevicˇ Kuznetsov (1893), Galleria Tretjakov, Mosca. Pëtr Il’icˇ C

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dei Cinque, la “piccola banda invincibile” formata da Cui, Musorgskij, Balakirev, RimskijKorsakov e Borodin sotto l’egida del critico Vladimir Stasov; la sua op. 23 condivide l’impiego “ideologico” di temi popolari con i precedenti lavori analoghi di Rimskij-Korsakov e Balakirev, ma sebbene quest’ultimo avesse criticato il Concerto in si bemolle minore per l’empito troppo ardente e operistico dei temi che aprono e chiudono l’opera, né lui né Rimskij avevano osato spingersi sino a elevare delle melodie popolari autoctone a dignità di temi principali nella forma - sonata. Tuttavia, intorno a questo materiale esile Čajkovskij assiepa in tutti i movimenti una schiera di temi e motivi ben altrimenti passionali, ispirandosi per la parte pianistica allo stile lisztiano e sfruttando al massimo la possibilità, offerta dalla declinazione romantica del concerto per pianoforte, di mettere in scena un dualismo drammatico tra l’“eroico’’ solista e la massa orchestrale. Ne nascono gli episodi più intensamente retorici, le confessioni più accorate ma anche i momenti più corrivi del Concerto, dalla tesa progressione al centro dello sviluppo nel primo movimento alla rapsodica cadenza che segue, scritta per esteso come già avveniva nel Concerto di Schumann, sino alla colossale sventagliata di ottave nel finale, che precede l’apoteosi del secondo tema poco prima della stretta conclusiva. Čajkovskij confessò in seguito di avere avuto seri problemi nell’ideare formule virtuosistiche per la parte solistica; ma la conferma che egli era nonostante tutto riuscito a coniugare con estrema abilità le ragioni della musica con quelle della muscolarità spettacolare venne proprio da Nikolaj Rubinstejn, che tempo dopo la sfuriata del gennaio 1875 recitò un doveroso mea culpa e divenne uno dei paladini della fortunata composizione. Maurizio Giani

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Ludwig van Beethoven Cronologia della vita e delle opere a cura di Marco Mattarozzi

1770 17 dicembre: viene battezzato a Bonn Ludwig, secondogenito di Johann van Beethoven e Maria Magdalena Keverich; il padre, di origine fiamminga, è tenore presso la locale cappella di corte. 1774 Nasce Kaspar Anton Karl; con il fratello Nikolaus Johann, venuto al mondo due anni dopo, è l’unico Beethoven a sopravvivere (oltre Ludwig) ai primissimi giorni di vita. 1778 Esordio pubblico alla tastiera (26 marzo), accanto a un contralto allievo del padre. Studi di teoria, organo e violino con alcuni strumentisti locali. 1781 Christian Gottlob Neefe, a Bonn dal 1779, è nominato organista di corte (febbraio); inizio dei rapporti con il giovane Ludwig che l’anno dopo, durante una breve assenza del maestro, è chiamato a sostituirlo. 1783 Il nome di Beethoven travalica l’ambiente di Bonn: l’editore Götz di Mannheim pubblica il suo primo lavoro, Nove variazioni in do minore su una marcia di Dressler (1782); in marzo Neefe segnala l’allievo al “Magazin der Musik” di Cramer. Oberato di impegni, il maestro affida a Ludwig anche il posto di cembalista in orchestra. 1784 Il nuovo elettore Maximilian Franz, fratello dell’imperatore Giuseppe II, riconosce a Ludwig la posizione di organista, a 150 fiorini annui. 1785 Tre Quartetti per pianoforte e archi (WoO 36), di stretta aderenza mozartiana. 1787 In primavera breve viaggio a Vienna, dove il giovane Beethoven forse incontra Mozart. La madre muore di tubercolosi a luglio. 1789 Dinanzi alle difficoltà familiari Ludwig decide di chiedere la metà dello stipendio paterno. Il padre viene dispensato dal servizio a corte, e morirà tre anni dopo. 1790

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La Società letteraria cittadina (“Lesege-

sellschaft”) commissiona a Beethoven la Kantate auf den Tod Kaiser Josephs II., per soli, coro e orchestra. Gli intensi rapporti con alcune famiglie assai in vista (il conte Waldstein, la vedova Breuning) sono una prima rasserenante apertura su orizzonti ideali sin lì neppure immaginati. 1792 Su sollecitazione degli amici l’elettore acconsente a un secondo viaggio di Beethoven a Vienna. 1793 Studi di contrappunto con Haydn; prendono forma definitiva alcuni lavori iniziati o abbozzati a Bonn, tra cui le Variazioni su “Se vuol ballare” per violino e pianoforte, e il Trio per archi in mi bemolle (poi pubblicato come op. 3). 1794 Partito Haydn per Londra, le lezioni proseguono con Johann Georg Albrechtsberger, maestro di cappella nel duomo di Santo Stefano; più intermittenti gli incontri con Salieri, maestro di prosodia italiana a una lunga serie di giovani talenti. Con la primavera viene meno lo stipendio fisso da Bonn, e Beethoven trova generosa protezione presso alcuni circoli aristocratici (il principe Lichnowsky, gli Esterházy, il conte Zmeskáll). 1795 È l’anno delle prime affermazioni viennesi. Artaria pubblica l’op. 1, tre Trii per pianoforte, violino e violoncello. La fama del Beethoven compositore cresce su quella del virtuoso: il 29 marzo si presenta al Burgtheater con il Concerto in si bemolle per pianoforte e orchestra (pubblicato poi, con attente modifiche, come op. 19); due giorni dopo esegue, durante una rappresentazione della Clemenza di Tito, il Concerto in re minore di Mozart; a dicembre è la volta del Concerto in do maggiore (pubblicato come op. 15). Frattanto ha già fatto conoscere in casa Lichnowsky tre Sonate per pianoforte, che appaiono nel marzo successivo con dedica a Haydn (op. 2). 1796 Tournée a Praga, Dresda e Berlino, dove Beethoven esegue le due Sonate op. 5 per violoncello e pianoforte dinanzi al re di Prussia.


1797 Pubblicazione dell’op. 5, della Serenata per trio d’archi e di una nuova Sonata per pianoforte (in mi bemolle, op. 7); nascono intanto il Quintetto per pianoforte e fiati, il Trio per pianoforte, clarinetto e violoncello, le prime due Sonate dell’op. 10. 1798 Beethoven porta a termine le tre Sonate op. 12 per violino e pianoforte, pubblica i Trii per archi op. 9 e l’op. 10 pianistica; verso fine anno inizia a lavorare a una serie di quartetti. Concerti pubblici a Praga. 1799 Pubblicazione della Sonata in do minore, “Pathétique”, e dell’op. 14 per pianoforte. 1800 2 aprile: il Burgtheater ospita la prima “accademia” beethoveniana; insieme a una sinfonia di Mozart e ad alcuni brani da Die Schöpfung di Haydn vengono presentati il Settimino op. 20 e la Prima sinfonia in do maggiore; Beethoven siede al pianoforte, improvvisando e suonando uno dei suoi due Concerti. L’anno vede ancora la definitiva stesura dei sei Quartetti per archi op. 18, la commissione del balletto Die Geschöpfe des Prometheus, i primi accaniti abbozzi per il Terzo concerto per pianoforte e orchestra. 1801 L’editore viennese Hoffmeister, da poco trasferito a Lipsia, acquista diverse partiture beethoveniane; escono così, in rapida successione, i numeri d’opus dal 19 al 22 (l’ultima Sonata per pianoforte, in si bemolle). Anche a Vienna Beethoven è ormai conteso dai maggiori editori. La Sonata in fa maggiore per violino e pianoforte (op. 24, “La primavera”) e il gruppo di quattro Sonate pianistiche (op. 26, op. 27 nn. 1-2 “Quasi una fantasia” e op. 28) nascono sullo sfondo di una tremenda certezza: a fine giugno Beethoven rivela la sua progressiva sordità a pochi amici fidati. 1802 Beethoven trascorre l’intera bella stagione a Heiligenstadt, un villaggio alle porte di Vienna. Completa la Seconda sinfonia in re maggiore, le tre Sonate op. 30 per violino e pianoforte, le Sonate pianistiche dell’op. 31. A ottobre, al momento di rientrare in città, prende commiato con un “Testamento”, drammatica testimonianza del suo animo disperato. 1803 La musica lo scuote da quello stato spaventoso: accetta l’invito di Schikaneder al Theater an der Wien, ma Vestas Feuer, il titolo prescelto, non va oltre la seconda scena. Il 5 aprile, nel corso di un memorabile concerto, il teatro pre-

senta le due Sinfonie, il Terzo concerto per pianoforte e orchestra (solista Beethoven) e il nuovo oratorio Christus am Ölberge. Il 24 maggio Beethoven esegue con il violinista Bridgetower la Sonata in la maggiore (op. 47, “a Kreutzer”), in estate si concentra sulla Terza sinfonia, quindi torna al pianoforte con la “Waldstein”. 1804 Un avvicendamento di proprietà in teatro scioglie Beethoven dal suo impegno operistico; d’altronde il suo occhio è già caduto su un altro libretto, molto più interessante, Léonore ou l’amour conjugal di Jean-Nicolas Bouilly. Esecuzione in forma privata della Terza sinfonia; compone le Sonate op. 54 e op. 57 (“Appassionata” è titolo postumo). 1805 20 novembre: prima rappresentazione di Fidelio al Theater an der Wien, a una settimana dall’ingresso in città delle truppe francesi; l’esito è tiepido (appena tre recite), anche perché gli abituali sostenitori di Beethoven hanno nel frattempo lasciato Vienna. 1806 Con il ritorno a condizioni di vita normali, a malincuore Beethoven acconsente a tagli drastici, mentre amplia e riscrive l’ouverture (Leonore n. 3); la seconda versione di Fidelio conosce solo due rappresentazioni isolate (29 marzo e 10 aprile), prima del ritiro della partitura. Entro l’anno vengono alla luce la Quarta sinfonia, i tre Quartetti «Razumovskij», il Quarto concerto per pianoforte e orchestra e il Concerto in re maggiore per violino e orchestra, ultimato in gran fretta e proposto al pubblico viennese la sera del 23 dicembre. In maggio si sposa il fratello, Kaspar Karl, e già ai primi di settembre gli nasce un figlio (l’unico), Karl; i rapporti in famiglia si complicano. 1807 Marzo: nel corso di due concerti a Palazzo Lobkowitz, Beethoven presenta la Quarta sinfonia e il Quarto concerto, oltre all’ouverture per Coriolan. Riceve da Nicolaus Esterházy la commissione di una Messa, da eseguire a corte per l’onomastico della moglie; malgrado la buona opinione riservatale in seguito da Beethoven, la Messa in do maggiore resta legata al suo più bruciante insuccesso pubblico. 1808 Il grande concerto del 22 dicembre compendia i frutti degli ultimi anni: Quinta e Sesta sinfonia, Quarto concerto per pianoforte e orchestra, vari brani dalla Messa e la Fantasia corale in do minore, aggiunta solo all’ultimo momento; l’impressionante mole di musica nuova frastorna il pubblico. È l’ulti-

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ma apparizione solistica di Beethoven, che pur dedica al suo strumento la Sonata op. 69 per violoncello e pianoforte e i due Trii op. 70. L’offerta di Gerolamo Bonaparte, per un posto di Kapellmeister a Kassel, viene cortesemente declinata.

15 novembre: nel testamento affida il figlio alla tutela dello zio, ma un codicillo aggiunge che Karl non dovrà essere tolto alla madre; è l’inizio di una battaglia giudiziaria che impegnerà a fondo Beethoven nei quattro anni a venire.

1809 Con un contratto in data 1° marzo l’arciduca Rodolfo e i principi Kinsky e Lobkowitz si impegnano a versare ogni anno 4000 fiorini al compositore. L’aristocrazia è fuggita, e con essa l’arciduca: qui è l’origine della Sonata “Les adieux” (affiancata dalle più brevi op. 78 e op. 79), con cui Beethoven ritorna al pianoforte solo; la tonalità di mi bemolle la appaia agli altri vertici di quest’anno, il Quartetto op. 74 “delle Arpe” e il Quinto concerto per pianoforte e orchestra.

1816 Produzione intermittente, in un generale diradamento di rapporti: nasce il ciclo An die ferne Geliebte (sei Lieder op. 98) e, a novembre, la Sonata in la magg. op. 101, già con l’indicazione “für das Hammerklavier”.

1810 Musiche di scena per Egmont di Goethe. L’incontro con Bettina Brentano avvicina ancor più Beethoven alla cerchia ideale del poeta; dopo i sei Lieder op. 75 nascono ora (su testo di Goethe) i tre dell’op. 83. Composizione del Quartetto in fa minore op. 95, inizio del Trio “dell’Arciduca”.

1817 Un anno quasi completamente sterile, malgrado l’invito da Londra per due nuove sinfonie; soltanto in autunno i primi passi della Sonata op. 106 soppiantano i generici, incerti abbozzi orchestrali. 1818 La sordità si fa totale, e Beethoven prende a comunicare col mondo attraverso i quaderni di conversazione; termina la Sonata, che dedica all’arciduca Rodolfo.

1811 Cure estive a Teplitz, in Boemia: musiche di scena per König Stephan e Die Ruinen von Athen, destinati a inaugurare il teatro di Pest; al ritorno a Vienna, inizio della Settima sinfonia.

1819 L’arciduca Rodolfo è nominato cardinale, quindi arcivescovo di Olmütz; per il suo insediamento (9 marzo 1820) Beethoven pensa a una nuova Messa, ma non riuscirà a tener fede all’impegno.

1812 Completamento della Settima e stesura dell’Ottava sinfonia. D’estate, a Teplitz, ha luogo l’atteso incontro con Goethe. Tornato a Vienna, porta a termine per Rode la Sonata op. 96 per violino e pianoforte.

1820 Maggio: accordo con l’editore berlinese Schlesinger per tre nuove sonate pianistiche; entro l’anno è ultimata solo l’op. 109. In luglio, al termine di una lotta senza esclusione di colpi, Beethoven è riconosciuto unico tutore del nipote Karl.

1813 L’anno non vede nascere che Wellingtons Sieg, neppure scritta per intero da Beethoven: all’apice dell’entusiasmo patriottico, sulla scia dei trionfi contro Napoleone, il brano ha un impatto immediato e vastissimo.

1821 Precario stato di salute, mentre prosegue il lavoro alla Messa e alle Sonate: l’autografo data al 25 dicembre quella in la bemolle op. 110, conclusa, in realtà, insieme all’ultima in do minore, nei pochi mesi successivi.

1814 Revisione di Fidelio per il Teatro di Porta Carinzia (23 maggio; la nuova ouverture, ultimata in extremis, è inserita solo alla seconda recita). Nella Sonata op. 90 le tradizionali indicazioni italiane di tempo lasciano il posto ad articolate prescrizioni espressive (in tedesco). Beethoven è gran cerimoniere musicale fra i grandi del Congresso di Vienna: coro di benvenuto ai principi alleati, Ihr weisen Gründer; Der glorreiche Augenblick, cantata allegorica per soli, coro e orchestra; Polacca op. 89 per pianoforte, con dedica alla zarina.

1822 L’ouverture Die Weihe des Hauses inaugura il 3 ottobre il Teatro della Josephstadt; alle estreme fasi della Missa solemnis si sovrappongono le Variazioni su un valzer di Diabelli, pubblicate nel 1823.

1815 Due Sonate op. 102 per violoncello e pianoforte. Il fratello Kaspar muore di tubercolosi il

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1823

Lavora alla Nona sinfonia.

1824 Il 7 maggio, al Teatro di Porta Carinzia, Beehoven dirige la “Gran Sinfonia con soli e coro”, preceduta dalla più recente ouverture e da tre Inni (Kyrie, Credo e Agnus Dei dalla Missa solemnis); l’esito è trionfale. Beethoven può ora concentrarsi sulla richiesta del principe Galitzin,


che nel novembre del 1822 lo invitava a “uno, due, tre nuovi quartetti”. 1825 A febbraio è compiuto il Quartetto op. 127; una grave malattia interrompe, in primavera, la stesura dell’op. 132. Entro l’anno anche il terzo Quartetto per Galitzin, l’op. 130 in si bemolle, può dirsi ultimato, con la Grande Fuga come finale. 1826 Va a vuoto il tentato suicidio del nipote Karl, presso Baden. È un colpo durissimo per Beethoven: in campagna le sue condizioni non migliorano e a

dicembre, al ritorno a Vienna, i medici diagnosticano gravi insufficienze al fegato, unite a itterizia e idropisia. Liberi ormai da contingenze esterne, sono nati intanto i Quartetti op. 131 e op. 135, oltre al nuovo Finale per l’op. 130, preteso a gran voce da editore e strumentisti. 1827 Il 23 marzo Beethoven firma un breve testamento, steso dall’amico Stephan von Breuning: unico erede il nipote Karl; tre giorni dopo si spegne, verso le 17.45. Le pubbliche esequie, il 29, vedono un’imponente partecipazione di folla.

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Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij Cronologia della vita e delle opere a cura di Antonio Polignano

1840 Nasce il 25 aprile/7 maggio a Kamsko-Votkinsk, nel governatorato di Vjatka, da Il’ja Petrovicˇ, ingegnere minerario, e Aleksandra Andrejanovna Assier, di origine francese. A quattro anni prende lezioni di pianoforte dalla governante di casa, Fanny Dürbach, che non tarderà a comprenderne il talento e l’insolita fragilità e sensibilità. 1842 Nasce la sorella Aleksandra, alla quale il compositore resterà legato per tutta la vita da un profondo affetto. 1848 Per motivi di lavoro il padre si trasferisce a San Pietroburgo, dove Pëtr frequenta il Collegio Schmelling. 1849 In estate, la madre si reca a San Pietroburgo per iscrivere Pëtr alla Scuola di Giurisprudenza. Nascono i fratelli Modest e Anatol’. 1854 La madre muore di colera. L’episodio sconvolge la vita di Pëtr e ne segna indelebilmente l’indole già incline alla malinconia; studia canto e pianoforte e inizia l’attività compositiva. 1859 Terminati gli studi alla Scuola di Giurisprudenza, ottiene un impiego presso il Ministero della Giustizia. Frattanto continua gli studi musicali. 1861 Si iscrive a un corso di armonia presso la Società Musicale Russa di San Pietroburgo, diretta da Anton Rubinsˇtejn, col quale, dall’anno successivo, inizia a studiare composizione. 1863 Si dimette dall’incarico presso il Ministero e si dedica interamente alla musica mantenendosi attraverso l’insegnamento privato. 1865 Si diploma. Subito dopo si trasferisce a Mosca per insegnare armonia presso la Società Musicale Russa locale, diretta da Nikolaj Rubinsˇtejn, fratello di Anton, e rispetto a lui di vedute più aperte. 1866 Esortato da N. Rubinsˇtejn, inizia a scrivere la Prima Sinfonia; lo sforzo creativo e la perplessità lo portano sull’orlo dell’esaurimento nervoso. 1868 A San Pietroburgo entra in contatto con Balakirev, Cuj, Rimskij-Korsakov e Dargomyzˇskij e con il critico musicale Vladimir Stasov.

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1870 Il 4/16 marzo, a Mosca, N. Rubinsˇtejn dirige il poema sinfonico Romeo e Giulietta, il cui soggetto è stato suggerito a Cˇajkovskij da Balakirev. In estate Cˇajkovskij ne opera una revisione radicale. La seconda versione verrà eseguita nel 1872. Ancora nel 1880 Cˇajkovskij ne ritoccherà la partitura, questa volta definitivamente. Si tratta del primo lavoro importante per orchestra, nonché di uno dei più celebri. 1871 Compone il Primo Quartetto per archi; il secondo movimento, l’Andante cantabile, diverrà in breve una delle sue pagine più famose. 1873 Prima esecuzione alla Società Musicale Russa di Mosca della Seconda Sinfonia. La composizione è accolta con entusiasmo; nonostante questo, Cˇajkovskij la sottoporrà a un accurato lavoro di revisione. 1875 Termina uno dei capolavori della produzione giovanile, il Primo Concerto per pianoforte e orchestra. Nonostante le vivaci critiche di N. Rubinsˇtejn nei riguardi dello stile e della concezione del lavoro, Cˇajkovskij non ne cambia una nota. Dedicato a Hans von Bülow, il concerto verrà eseguito dallo stesso a Boston, in ottobre. 1876 Durante un soggiorno parigino insieme al fratello Modest, ascolta la Carmen di Bizet che da allora sarà tra le sue opere predilette. In estate, a Bayreuth, assiste all’esecuzione integrale dell’Anello del Nibelungo, che trova prolisso e armonicamente artificioso. Inizia la lunga relazione epistolare con Nadezˇda von Meck, una ricca vedova entusiasta della sua musica. Pur non incontrandosi mai, i due si confideranno reciprocamente per quattordici anni. 1877 Prima rappresentazione del balletto Il lago dei cigni (Mosca, Teatro Bol’sˇoj, 4 marzo): la mediocrità della coreografia e degli interpreti ne determinano l’insuccesso. In maggio, mentre ha già iniziato a comporre l’opera Evgenij Onegin, riceve una lettera da Antonina Ivanovna Miljukova, una sua ex allieva che gli dichiara il suo amore. Cˇajkovskij accetta unicamente per quieto vivere l’idea del matrimonio con lei; compiuto il passo però e accortosi dell’impossibilità di realizzare quanto auspicato, tenterà di suicidarsi. Fallito il matrimonio, ottiene un permesso dal


Conservatorio e si reca col fratello Anatol’ in Europa: inizia un periodo difficile e inquieto durante il quale il musicista viaggerà molto soggiornando spesso anche a Kamenka, presso la sorella, e nelle tenute della von Meck a Brajlov e a Simaki durante l’assenza della proprietaria. La von Meck gli corrisponde una pensione annua di seimila rubli. 1878 Tornato in Italia, termina la Quarta Sinfonia; il lavoro è dominato dal tema del destino, visto come forza tragica e ineluttabile. Tornato a Mosca in settembre, ormai economicamente indipendente, rassegna le dimissioni al Conservatorio. A novembre riparte per l’Italia. 1879 Rientra a Mosca nel marzo per assistere alla prima rappresentazione di Evgenij Onegin organizzata dagli allievi del Conservatorio di Mosca. Solo in seguito però l’opera, il capolavoro del suo teatro, diverrà celebre. 1880 Muore il padre (9/21 gennaio). Trascorre l’estate tra Kamenka e Brajlov componendo la Serenata per archi op. 48 e l’Ouverture 1812, che lo stesso N. Rubinsˇtejn gli ha commissionato. 1881 Il 23 marzo muore, a Parigi, N. Rubinsˇtejn; Cˇajkovskij rifiuta di sostituirlo alla direzione del Conservatorio di Mosca. Si reca a Vienna, dove il 4 dicembre Adolf Brodskij esegue il Concerto per violino e orchestra. Eduard Hanslick, il più autorevole critico musicale viennese, lo troverà «rozzo» e «brutale». 1882 Prima esecuzione del Trio con pianoforte op. 50, composto in memoria di N. Rubinsˇtejn (11/23 marzo); in esso Cˇajkovskij mediò abilmente tra la generica necessità di attenersi a uno stile “accademico” e l’intento di celebrare attraverso una forma spesso mutevole la poliedrica personalità del suo maestro. 1884 È insignito dallo zar dell’ordine di San Vladimiro: è il primo riconoscimento ufficiale dopo lo scandalo del matrimonio. Il periodo incerto e inquieto succeduto al fallimento del suo matrimonio è così idealmente chiuso. Il clamoroso successo di Evgenij Onegin, nuovamente allestito per ordine dello zar al Teatro Imperiale di San Pietroburgo, fa di Cˇajkovskij il più celebre dei compositori russi del suo tempo. 1885 In febbraio fissa la sua dimora a Majdanovo, nei pressi di Mosca. 1886 Prima rappresentazione della Sinfonia Manfred; il soggetto, suggeritogli l’anno precedente da Balakirev, era stato inizialmente rifiutato da Cˇajkovskij, timoroso di apparire “un sinfonista che voglia imitare Berlioz”. A fargli cambiare idea fu probabil-

mente l’identificazione con l’eroe di Byron, condannato dalla società perché incestuoso. Tra maggio e giugno è a Parigi dove incontra Delibes (la cui Sylvia egli anteponeva “cento e mille volte” al Ring wagneriano), Fauré, Thomas, Lalo e Pauline ViardotGarcía. 1887 Inizia a dirigere propri lavori. 1888 Intraprende la sua prima tournée come direttore all’estero: a Lipsia, dove dirige l’Orchestra del Gewandhaus e incontra Brahms e Grieg; a Praga, dove conosce Dvorˇák; a Parigi, dove si incontra con Gounod e Massenet, e a Londra. Tornato in patria, termina la Quinta Sinfonia, che verrà eseguita a San Pietroburgo in novembre. 1889 Nuova tournée di concerti in Europa. 1890 Prima rappresentazione del balletto La Bella addormentata (3/15 gennaio): è il primo grande successo nel campo del balletto dopo il disastroso esordio moscovita del 1877. Oltre a questa, Marius Petipa realizzerà, con Ivanov, una nuova coreografia del Lago dei cigni che, rappresentato nel 1895, segnerà l’inizio dell’universale consenso tributato al teatro di danza di Cˇajkovskij. La von Meck, adducendo il pretesto di un tracollo finanziario, sospende l’aiuto economico e rompe ogni relazione: per il compositore è un colpo durissimo. A dicembre La dama di picche, su libretto del fratello Modest, dall’omonimo racconto di Pusˇkin, è accolta trionfalmente a San Pietroburgo: è il secondo capolavoro del suo teatro.A onta del successo e dei consensi sempre crescenti, Cˇajkovskij scivola gradualmente nella depressione. 1891 Si reca in primavera negli Stati Uniti, dove è accolto trionfalmente. Muore la sorella Aleksandra. 1892 Nei primi giorni di gennaio, ad Amburgo, resta profondamente colpito dall’ascolto del suo Evgenij Onegin diretto da Mahler. Prima rappresentazione del suo terzo balletto, Lo schiaccianoci (San Pietroburgo, 6/18 dicembre); la coreografia è di Lev Ivanov. Fissa la sua nuova residenza a Klin. 1893 In febbraio, a Klin, sempre più attratto dalla riflessione sui temi della vita e della morte, inizia la composizione della sua Sesta (e ultima) Sinfonia “Patetica”, indiscusso capolavoro della sua produzione sinfonica. In giugno, l’Università di Cambridge gli conferisce la laurea in musica honoris causa. Dirige la “Patetica” a San Pietroburgo (16/28 ottobre). Nove giorni dopo, avendo bevuto un bicchiere di acqua infetta e contratto una forma acuta di colera, muore. Più che fatalità, l’incidente appare un vero e proprio suicidio sulle cui cause non è però ancora stata fatta sufficiente luce.

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Daniel Barenboim.

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Foto Marco Brescia


Daniel Barenboim

Nato a Buenos Aires nel 1942, a cinque anni prende le prime lezioni di pianoforte con la madre, per poi proseguire gli studi musicali col padre, che sarà anche il suo unico insegnante. A sette anni dà il suo primo concerto ufficiale nella sua città natale. Nel 1952 si trasferisce con la famiglia in Israele. A undici anni è a Salisburgo per partecipare alle masterclasses di Igor Markevitch. Durante l’estate del 1954 incontra Wilhelm Furtwängler e suona per lui. Il grande direttore scriverà: «Il ragazzo Barenboim, all’età di 11 anni, è un fenomeno...». Nei due anni successivi studia armonia e composizione con Nadia Boulanger a Parigi. A dieci anni debutta come pianista a Vienna e a Roma, poi a Parigi nel 1955, a Londra nel 1956 e a New York nel 1957 sotto la direzione di Leopold Stokowski. Da allora compie regolari tournée in Europa, negli Stati Uniti, in Sud America, in Australia e in Estremo Oriente. Nel 1954 inizia a incidere i primi dischi come pianista. Negli anni Sessanta registra i Concerti per pianoforte di Beethoven con Otto Klemperer, quelli di Brahms con John Barbirolli, nonché tutti quelli di Mozart con la English Chamber Orchestra nel doppio ruolo di pianista e direttore. Dopo il suo debutto come direttore nel 1967 con la Philharmonia Orchestra di Londra, viene invitato da tutte le più importanti orchestre sinfoniche d’Europa e d’America. Fra il 1975 e il 1989 è Direttore Musicale dell’Orchestre de Paris e manifesta il suo interesse per la musica contempora-

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nea dirigendo, fra l’altro, composizioni di Lutosławski, Berio, Boulez, Henze, Dutilleux e Takemitsu. Debutta in campo operistico nel 1973 con Don Giovanni di Mozart al Festival di Edimburgo, e nel 1981 a Bayreuth, dove si esibisce regolarmente per diciotto anni fino al 1999, dirigendo Tristan und Isolde, Der Ring des Nibelungen, Parsifal e Die Meistersinger von Nürnberg. Dal 1991 al giugno 2006 è stato Direttore Principale della Chicago Symphony Orchestra, che nel 2006 lo ha nominato Direttore Onorario a vita. Dal 1992 è Generalmusikdirektor della Staatsoper Unter den Linden di Berlino, di cui è stato anche Direttore Artistico dal 1992 all’agosto 2002. Nell’autunno 2000 la Staatskapelle di Berlino lo ha nominato Direttore Principale a vita. Con la Staatskapelle ha lavorato a grandi cicli del repertorio sia operistico che sinfonico. Ha suscitato grande interesse a livello internazionale il ciclo di rappresentazioni di tutte le opere di Wagner alla Staatsoper, così come i cicli delle Sinfonie di Beethoven e di Schumann, anche su CD. In occasione dei “Festtage” della Staatsoper Unter den Linden, nel 2007, è stato eseguito alla Berliner Philharmonie, sotto la sua direzione e sotto quella di Pierre Boulez, un Ciclo Mahler in dieci parti. Accanto al grande repertorio classico-romantico, con la Staatskapelle si dedica sempre più alla musica contemporanea, è stata così rappresentata in prima assoluta alla Staatsoper l’opera di Elliott Carter What next?. In ambito sinfonico, sono ese-


guite regolarmente composizioni di Boulez, Rihm, Mundry, Carter e Höller. Musicisti della Staatskapelle hanno partecipato attivamente alla creazione di un asilo musicale, da lui fondato a Berlino nel settembre 2005. Nel 1999, assieme all’intellettuale palestinese Edward Said, scrittore e professore di letteratura comparata, fonda il workshop “West-Eastern Divan”, che ogni estate invita giovani musicisti d’Israele e dei Paesi arabi a lavorare insieme in orchestra. Attraverso la comune esperienza musicale, il workshop intende creare un dialogo tra le diverse culture del Vicino Oriente. Dagli inizi collaborano al progetto, in qualità di insegnanti, musicisti della Staatskapelle di Berlino. Nell’estate 2005 la West-Eastern Divan Orchestra ha tenuto a Ramallah (Palestina) un concerto di significato storico, trasmesso dalla televisione e registrato su DVD. Da qualche tempo ha avviato un progetto per l’educazione musicale nei territori palestinesi, che comprende la fondazione di un asilo musicale e l’istituzione di un’orchestra giovanile palestinese. Nel 2002 a lui e a Said è stato conferito a Oviedo (Spagna) il prestigioso premio “Príncipe de Asturias”, quale riconoscimento del loro impegno per la pace. Ha ricevuto numerosi premi e alte onorificenze: il “Toleranzpreis” della Evangelische Akademie Tutzing, il “Großes Verdienstkreuz mit Stern” della Repubblica Federale Tedesca, la Medaglia “Buber-Rosenzweig”, il “Premio per le Arti”

dello Knesset israeliano, il “Premio per la Pace” della Fondazione “Geschwister Korn und Gerstenmann” e il “Premio per la Pace” dell’Assia. È stato inoltre insignito del “Kulturgroschen”, massimo riconoscimento del Kulturrat tedesco, del Premio Internazionale “Ernst von Siemens” e della “Goethe-Medaille”. Nel 2006 ha ricevuto una laurea honoris causa dall’Università di Oxford, nel 2007 le insegne di “Commandeur de la Légion d’honneur”. Nell’ottobre 2007 la Casa imperiale giapponese lo ha onorato del “Praemium Imperiale” per la Cultura e le Arti. Di recente è stato nominato Ambasciatore delle Nazioni Unite per la Pace dal Segretario Generale Ban Ki-moon. Insieme alla Staatskapelle e al Coro della Staatsoper, nel 2003 è stato premiato con un Grammy per la registrazione di Tannhäuser di Wagner. Dalla stagione 2007-08 avvia una stretta collaborazione con il Teatro alla Scala in qualità di “Maestro scaligero”: dirigerà regolarmente opere e concerti, oltre a suonare in concerti da camera. Ha pubblicato vari libri, tra cui: A Life in Music (la sua autobiografia), Paralleli e paradossi, scritto in collaborazione con Edward Said, La musica sveglia il tempo, sull’estetica e sulla democrazia della musica, e nel dicembre 2008 Dialoghi su musica e Teatro – Tristano e Isotta, con il regista Patrice Chéreau. Dal dicembre 2011 è il nuovo Direttore Musicale del Teatro alla Scala. Per ulteriori notizie e aggiornamenti: www.danielbarenboim.com

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Foto Luis Cobelo

Gustavo Dudamel

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Gustavo Dudamel

Nato nel 1981, ha iniziato da bambino lo studio del violino con José Luis Jiménez al Conservatorio Jacinto Lara e l’ha proseguito con José Francisco del Castillo alla Accademia Latino-Americana di violino. Ha iniziato lo studio della direzione d’orchestra nel 1996 con Rodolfo Saglimbeni, e nel medesimo anno ha ottenuto il suo primo incarico quale Direttore Musicale della Amadeus Chamber Orchestra. Nel 1999 è stato nominato Direttore della Orquesta Juvenil Simón Bolívar. Nel 2004 è salito alla ribalta internazionale vincendo il concorso per direttori d’orchestra “Gustav Mahler” a Bamberga. Direttore Musicale sia della Orquesta Sinfónica Simón Bolívar del Venezuela sia della Los Angeles Philharmonic, è regolarmente ospite delle più grandi istituzioni musicali. In questa stagione ritorna ai Wiener e ai Berliner Philharmoniker e al Teatro alla Scala sia per l’opera sia per i concerti, e si esibirà anche con il Concertgebouw di Amsterdam, la Staatskapelle di Berlino, la Israel Philharmonic, l’Orchestra di Santa Cecilia di Roma e l’Orchestra Sinfonica di Göteborg (Svezia), di cui è Direttore Onorario. Alla sua quarta stagione quale Direttore Musicale della Los Angeles Philharmonic, ne ha enormemente ampliato il repertorio, con concerti che hanno raggiunto tutto il Nordamerica, l’Europa e il Sudamerica; con la Youth Orchestra Los Angeles (YOLA) ha portato la musica ai bambini delle comunità diseredate di Los Angeles, ispirando tentativi similari negli Stati Uniti nonché programmi in Svezia e in Scozia. Alla guida della Los Angeles Philharmonic ha portato l’oratorio di John Adams The Gospel According to the Other Mary, appositamente commissionato per l’orchestra, in tournée al Lincoln Center di New York, al Barbican Centre di Londra, al Festival di Lucerna e alla Salle Pleyel di Parigi; a Los Angeles ha diretto recentemente un nuovo allestimento delle Nozze di Figaro di Mozart con scene dell’architetto Jean Nouvel, seconda parte del progetto triennale della trilogia Mozart-Da Ponte. Dopo le esecuzioni alle Olimpiadi di Londra 2012, continua a dirigere la Orquesta Sinfónica Simón Bolívar, la cui tournée del tardo autunno 2012

comprende concerti al CalPresents di Berkeley, alla Symphony Hall di Chicago, al Kennedy Center di Washington, al Kimmel Center di Philadelphia e alla Carnegie Hall di New York. Altri eventi di rilievo includono Rigoletto di Verdi nel novembre 2012, in collaborazione con il Teatro alla Scala. Nell’aprile 2013 interpreterà con Lang Lang la prima mondiale del Concerto per pianoforte di Esteban Benzecry. Dal 2006 ha effettuato numerose incisioni, con un ampio repertorio che spazia da Le sacre du printemps di Stravinskij alla Terza, Quinta e Settima Sinfonia di Beethoven. Nel febbraio 2012 ha vinto il “Grammy for Best Orchestral Performance” per la registrazione live della Quarta Sinfonia di Brahms. Nella primavera del 2012 ha inciso con i Wiener Philharmoniker la Terza Sinfonia di Mendelssohn, i cui proventi sono destinati all’acquisto di strumenti per i giovani musicisti di El Sistema di San Vicente (Venezuela). Tra i numerosi DVD di sue esecuzioni, ricordiamo The Inaugural Concert, che documenta il suo primo concerto nel 2009 come Direttore Musicale della Los Angeles Philharmonic, il New Year’s Eve Concert Gala 2011 con i Berliner Philharmoniker e il Concerto per l’80°compleanno di Papa Benedetto XVI, nel 2007. Nel giugno 2011 il documentario Let the Children Play è stato proiettato in oltre 500 cinema. Ha partecipato tre volte al programma della CBS “60 Minutes” ed è apparso nello speciale della PBS Dudamel: Conducting a Life di Tavis Smiley. È tra i direttori d’orchestra più premiati della sua generazione. Nel 2008, assieme al suo mentore José Antonio Abreu, ha ottenuto il “Q Prize” dalla Harvard University “for extraordinary service to children”. Nel 2009 è stato nominato “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres” a Parigi e ha ricevuto una laurea ad honorem dalla Universidad Centroccidental Lisandro Alvarado nella sua città natale, Barquisimeto. Nel 2010 ha ricevuto lo “Eugene McDermott Award in the Arts”. Nel maggio 2011 è stato accolto nella Reale Accademia Svedese di Musica e nell’ottobre dello stesso anno è stato nominato “Gramophone Artist of the Year”. Nel 2012 ha ricevuto un’altra laurea ad honorem dall’Università di Göteborg.

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Claudio Abbado

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Foto Peter Fischli


Claudio Abbado

Direttore Musicale del Teatro alla Scala di Milano dal 1968 al 1986, nel 1987 è stato nominato Generalmusikdirektor della città di Vienna. Nel 1988 ha fondato il Festival Wien Modern, manifestazione dedicata alla musica e all’arte contemporanea. Ha diretto i Berliner Philharmoniker per la prima volta nel 1966 e nel 1989 l’Orchestra lo ha eletto Direttore Artistico. Nel 1994 è stato nominato Direttore Artistico del Festival di Pasqua di Salisburgo; accanto alle produzioni liriche e sinfoniche, ha inserito un ciclo di musica da camera contemporanea, un premio per una composizione musicale e un premio per un’opera letteraria. Attento da sempre a sostenere e valorizzare i giovani talenti, nel 1978 ha fondato la European Community Youth Orchestra, nel 1981 la Chamber Orchestra of Europe e nel 1986 la Gustav Mahler Jugendorchester, da cui si è costituita nel 1997 la Mahler Chamber Orchestra. Dal 2003 è impegnato con la nuova Orchestra del Festival di Lucerna, che riunisce i musicisti della Mahler Chamber Orchestra, alcune prime parti dei Berliner e dei Wiener Philharmoniker, solisti di fama internazionale e membri di gruppi cameristici quali l’Ensemble Sabine Meyer, lo Hagen Quartett e l’Alban Berg Quartett. Nel 2004 nasce a Bologna l’Orchestra Mozart, di cui è Direttore Artistico, formata da solisti e prime parti di prestigiose orchestre che suonano accanto a musicisti giovani ma già affermati, prove-

nienti da tutta l’Europa. A Caracas e a l’Havana, nel 2005 inizia a fare musica con l’Orquesta Sinfónic Simón Bolívar, la cui attività si inserisce nella grandiosa iniziativa portata avanti da trent’anni da José Antonio Abreu. Vi sono coinvolti centinaia di migliaia di giovani musicisti, molti dei quali provenienti dal mondo poverissimo dei barrios, a cui è stata data la possibilità di ricevere gratuitamente strumenti musicali e un’adeguata educazione. Fra le incisioni discografiche di Claudio Abbado si ricorda l’integrale delle opere sinfoniche di Beethoven, Schubert, Mendelssohn, Brahms, Čajkovskij, Mahler, Ravel, Prokof’ev, e delle principali opere liriche di Mozart, Rossini, Verdi e Wagner. Nel 2000 è uscita l’edizione integrale delle Sinfonie di Beethoven con i Berliner Philharmoniker, acclamata quanto la serie di esecuzioni dal vivo delle Sinfonie e dei Concerti per pianoforte di Beethoven tenutesi a Roma e a Vienna nel febbraio 2001, realizzate in DVD. Fra le sue registrazioni più recenti, sono da segnalare quelle con l’Orchestra del Festival di Lucerna, la Mahler Chamber Orchestra e l’Orchestra Mozart. Le sue incisioni hanno ricevuto i premi più importanti: International Grammy Award, Grand Prix International du Disque, Diapason d’or, Record Academy Prize, Stella d’oro, Orphée d’or e Grand Prix de la Nouvelle Académie. In Italia e all’estero ha ricevuto i premi e riconoscimenti più prestigiosi e nel 2008 il Comune di Bologna gli ha conferito la cittadinanza onoraria.

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Daniel Harding

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Foto (c) Harald Hoffmann, Deutsche Grammophon


Daniel Harding

Nato a Oxford, ha iniziato la carriera come assistente di Simon Rattle alla City of Birmingham Symphony Orchestra, con la quale ha debuttato nel 1994. Ha proseguito come assistente di Claudio Abbado ai Berliner Philharmoniker, debuttando poi al Festival di Berlino nel 1996. Direttore Ospite Principale della London Symphony Orchestra, Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese, Partner Musicale della New Japan Philharmonic, Direttore Artistico della Ohga Hall di Karuizawa (Giappone), è Direttore Laureato a vita della Mahler Chamber Orchestra. In precedenza è stato Direttore Principale e Direttore Musicale della Mahler Chamber Orchestra (2003-11), Direttore Principale dell’Orchestra Sinfonica di Trondheim in Norvegia (1997-2000), Direttore Ospite Principale dell’Orchestra Sinfonica di Norrköping in Svezia (1997-2003) e Direttore Musicale della Deutsche Kammerphilharmonie di Brema (1997-2003). È ospite regolare della Staatskapelle di Dresda, dei Wiener Philharmoniker, del Concertgebouw di Amsterdam, dell’Orchestra della Radio Bavarese, della Gewandhausorchester di Lipsia e della Filarmonica della Scala. Ha diretto inoltre i Berliner Philharmoniker, i Münchner Philharmoniker, l’Orchestre National de Lyon, la Filarmonica di Oslo, la London Philharmonic, la Filarmonica Reale di Stoccolma, l’Orchestra di Santa Cecilia di Roma, l’Orchestra of the Age of Enlightenment, la Filarmonica di Rotterdam, le Orchestre della Radio di Francoforte e l’Orchestre des Champs-Élysées di Parigi. In America ha diretto la New York Philharmonic, la Philadelphia Orchestra, la Los Angeles Philharmonic e la Chicago Symphony Orchestra.

Nel 2005 ha inaugurato la stagione del Teatro alla Scala con una nuova produzione dell’Idomeneo di Mozart; vi è ritornato nel 2007 per Salome di R. Strauss, nel 2008 per Il castello del duca Barbablù di Bartók e Il prigioniero di Dallapiccola, e nel 2011 per Cavalleria rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo, che gli è valso il Premio della Critica Musicale Franco Abbiati. Le sue esperienze operistiche includono anche The Turn of the Screw di Britten e Wozzeck di Berg al Covent Garden di Londra, Wozzeck al Theater an der Wien di Vienna, Don Giovanni e Le nozze di Figaro di Mozart al Festival di Salisburgo con i Wiener Philharmoniker. Quest’anno ha in programma Ariadne auf Naxos di R. Strauss con i Wiener Philharmoniker al Festival di Salisburgo; i suoi progetti futuri comprendono produzioni al Teatro alla Scala e alla Deutsche Staatsoper di Berlino. Le sue incisioni della Decima Sinfonia di Mahler con i Wiener Philharmoniker e dei Carmina Burana di Orff con l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese hanno ottenuto le lodi della critica; in precedenza ha registrato la Quarta Sinfonia di Mahler con la Mahler Chamber Orchestra, la Terza e la Quarta Sinfonia di Brahms con la Deutsche Kammerphilharmonie di Brema, Billy Budd di Britten con la London Symphony Orchestra, Don Giovanni e The Turn of the Screw con la Mahler Chamber Orchestra, composizioni di Lutosławski con Solveig Kringelborn e l’Orchestra da Camera Norvegese e composizioni di Britten con Ian Bostridge e la Britten Sinfonia. Dal 2002 è “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres” del Governo Francese. Dal 2012 è membro della Reale Accademia Musicale Svedese.

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Filarmonica della Scala

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Foto Marco Brescia


Orchestra Mozart Bologna

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Foto Marco Caselli Nirmal


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Filarmonica della Scala

Nel 2012 la Filarmonica della Scala compie trent’anni: Claudio Abbado e i musicisti scaligeri la fondano nel 1982, con l’obiettivo di sviluppare il repertorio sinfonico nel contesto della grande tradizione operistica del Teatro. L’anno seguente la Filarmonica si costituisce in associazione indipendente. Carlo Maria Giulini dirige oltre 90 concerti e guida l’orchestra nelle prime tournée internazionali; Riccardo Muti, Direttore Principale dal 1987 al 2005, ne promuove la crescita artistica e ne fa un’ospite costante nelle più prestigiose sale da concerto internazionali. L’orchestra instaura rapporti di collaborazione con i maggiori direttori: Georges Prêtre, Lorin Maazel e Wolfgang Sawallisch sono presenti dalle prime stagioni, ma vanno ricordati i contributi di Leonard Bernstein, Semyon Bychkov, Myung-Whun Chung, James Conlon, Dennis Russell Davies, Gustavo Dudamel, Tan Dun, Peter Eötvös, Christoph Eschenbach, John Eliot Gardiner, Valery Gergiev, Philippe Jordan, Zubin Mehta, Gianandrea Noseda, Seiji Ozawa, Antonio Pappano, Gennadij Rozhdestvenskij, Esa-Pekka Salonen, Giuseppe Sinopoli, Yuri Temirkanov, Robin Ticciati e Franz Welser-Möst. Dal 2006 la Filarmonica intensifica la collaborazione con il Direttore Musicale del Teatro alla Scala Daniel Barenboim (che dirigerà il 3 dicembre il concerto inaugurale della stagione 2012/2013 con la partecipazione di Cecilia Bartoli) e con Riccardo Chailly, Daniel Harding, Daniele Gatti e Valery Gergiev. La Filarmonica realizza la sua autonoma stagione di concerti e la stagione sinfonica del Teatro in base ad accordi sanciti da una convenzione con il Teatro alla Scala. È inoltre impegnata in numerose tournée, che con oltre 500 concerti fuori sede realizzati dalla fondazione l’hanno resa l’istituzione musicale italiana più presente all’estero nello scorso decennio. Nelle ultime stagioni ricordiamo il debutto negli Stati Uniti con Riccardo Chailly nel 2007 e in Cina con MyungWhun Chung nel 2008, anno che segna anche il ritorno al Musikverein di Vienna con Daniele

Gatti. Nel 2009 la Filarmonica debutta alla Philharmonie di Berlino con Daniel Barenboim e torna a Parigi con Pierre Boulez e Maurizio Pollini. Gli impegni del 2010 includono il ritorno in Asia con Semyon Bychkov per l’Expo di Shanghai; nel 2011 la Filarmonica è guidata nei concerti fuori sede da Semyon Bychkov, Riccardo Chailly, Daniel Harding, Gianandrea Noseda e Georges Prêtre. Nel 2012 Daniel Barenboim dirige concerti a Parigi, Berlino e Francoforte e Daniel Harding a Praga, Linz, Stoccarda, Dresda e Bonn; la Filarmonica è inoltre presente al Festival delle Notti Bianche di San Pietroburgo con Valery Gergiev e Fabio Luisi e ancora con Fabio Luisi a Baden-Baden. La Filarmonica della Scala ha commissionato nuove composizioni a Giorgio Battistelli, Carlo Boccadoro, Azio Corghi, Luis de Pablo, Pascal Dusapin, Peter Eötvös, Ivan Fedele, Matteo Franceschini, Luca Francesconi, Salvatore Sciarrino, Giovanni Sollima e Fabio Vacchi. Impegnata nella diffusione della musica presso le nuove generazioni, l’orchestra apre alle scuole le prove di tutti i concerti della stagione e con l’iniziativa “Sound, Music!” si rivolge con un progetto mirato ai bambini delle scuole primarie. È al fianco delle principali istituzioni scientifiche e associazioni di volontariato della città di Milano, per le quali realizza prove aperte e concerti dedicati. È regolarmente impegnata per il festival MITO in concerti che hanno avvicinato un vastissimo pubblico alla musica sinfonica. La Filarmonica ha realizzato una consistente produzione discografica; i suoi concerti sono regolarmente trasmessi in differita televisiva dalla Rai, in diretta radiofonica da Radio3 e su medici.tv. Dal 2012 alcuni dei concerti sono visibili in diretta in alta definizione anche in oltre 200 sale cinematografiche di tutto il mondo. L’attività della Filarmonica della Scala non attinge a fondi pubblici ed è sostenuta da UniCredit, Main Partner istituzionale dell’Orchestra.

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Orchestra Mozart Bologna

L’Orchestra Mozart nasce nel 2004 a Bologna da un’idea di Carlo Maria Badini e Fabio Roversi-Monaco, grazie all’apporto determinante della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, ed è inserita quale progetto speciale nelle programmazioni della Regia Accademia Filarmonica di Bologna. Claudio Abbado, Direttore Artistico dell’orchestra, ha invitato a farne parte strumentisti di rilievo internazionale, come Danusha Waskiewicz, Wolfram Christ, Alois Posch, Jacques Zoon, Lucas Macías Navarro, Alessandro Carbonare, Guilhaume Santana, Alessio Allegrini, Reinhold Friedrich; si tratta di solisti e di prime parti provenienti dai Berliner e dai Wiener Philharmoniker, dall’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e da altre prestigiose orchestre. Accanto a loro suonano giovani musicisti provenienti da tutta l’Europa, oltre che dal Venezuela e da altri paesi. Dal 2010 Abbado ha chiamato al suo fianco, come Direttore Ospite Principale, Diego Matheuz, uno dei talenti più promettenti delle nuove generazioni, formatosi nell’ambito del noto “Sistema” di Josè Antonio Abreu e recentemente nominato Direttore Principale del Teatro la Fenice di Venezia. L’Orchestra Mozart ha debuttato il 4 novembre 2004 all’Auditorium Manzoni di Bologna, diretta da Claudio Abbado. Da allora ha suonato per le più importanti istituzioni musicali italiane (Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Teatro San Carlo, Maggio Musicale Fiorentino, Teatro la Fenice, Lingotto Musica, I Teatri di Reggio Emilia, solo per citarne alcune) e a partire da quest’anno figurerà regolarmente nei cartelloni del Festival di Pasqua di Lucer-

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na, della Salle Pleyel e del Festival di Salisburgo. L’Orchestra Mozart è l’unica orchestra italiana ad avere una residenza annuale al Musikverein di Vienna. Nel giugno 2011 ha riaperto il Teatro Farnese al grande pubblico e nell’ottobre dello stesso anno ha inaugurato alla Alte Oper di Francoforte le “Giornate della Cultura” della Banca Centrale Europea, alla presenza del nuovo Presidente Mario Draghi. Nel dicembre 2012 una tournée dedicata a Bach porterà la Mozart a Francoforte, Baden Baden, Monaco, Genova e Palermo. Per il 2013 sono programmati concerti in diverse capitali europee. Sono stati ospitati in questi anni solisti quali Martha Argerich, Alfred Brendel, Hélène Grimaud, Alexander Lonquich, Radu Lupu, Maria João Pires, Yuja Wang, Giuliano Carmignola, Isabelle Faust, Mario Brunello, Natalia Gutman, e cantanti come Mariella Devia, Rachel Harnisch, Julia Kleiter, Sara Mingardo, Anna Netrebko, Jonas Kaufmann, René Pape. Nell’ottobre 2008 è stato eseguito il Te Deum di Berlioz, con un imponente coro di voci bianche costituito da seicento bambini provenienti da diverse scuole dell’Emilia-Romagna: scelta, questa, tesa a sottolineare l’importanza dell’educazione musicale nei percorsi scolastici. Quasi mille, in quell’occasione, i musicisti sul palco del PalaDozza di Bologna: assieme alla Mozart, le Orchestre Cherubini e Giovanile Italiana e i cori Verdi di Milano e del Teatro Comunale di Bologna; nella prima parte della serata Roberto Benigni ha interpretato Pierino e il Lupo di Prokof’ev, poi pubblicato in DVD. Nel giugno 2009, all’Aquila, un concerto speciale è stato dedica-


to alle popolazioni colpite dal sisma, e il 7 ottobre scorso, alla presenza del Presidente Giorgio Napolitano, la Mozart diretta da Abbado ha inaugurato il nuovo Auditorium del capoluogo abruzzese, progettato da Renzo Piano. Nel marzo 2010 i Solisti dell’Orchestra Mozart si sono esibiti nella Cappella Paolina del Quirinale, al cospetto del Presidente della Repubblica. Il dialogo fra le arti e la collaborazione fra le istituzioni sono i cardini su cui Claudio Abbado ha ideato il progetto “L’Orchestra Mozart incontra il Cinema Russo”, incentrato sul film King Lear di Grigorij Kozincev, con le musiche di Dmitrij Šostakovič eseguite in sincrono. Le rappresentazioni si sono svolte nel novembre 2011 a Roma e Bologna, con la partecipazione dell’Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. L’iniziativa si è svolta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica ed è stata realizzata con la collaborazione della Cineteca di Bologna. L’attività concertistica si è da sempre intrecciata con diverse iniziative a sfondo sociale. Dal 2006 l’Orchestra Mozart promuove il Progetto Tamino, che organizza attività musicali presso strutture sanitarie e socio-assistenziali del territorio. Un’attenzione costante è rivolta al mondo carcerario, attraverso il Progetto Papageno: nella Casa Circondariale di Bologna si sono tenuti concerti speciali ed è stato avviato un laboratorio di canto corale. Gruppi di detenuti sono sempre ospitati alle prove generali aperte, a cui possono accedere gratuitamente anche gli studenti e le associazioni culturali convenzionate. Per quanto riguarda l’alta formazione dei giovani,

l’Accademia Filarmonica di Bologna promuove l’Accademia dell’Orchestra Mozart, vero e proprio vivaio di talenti che si avvale della Direzione artistica di Claudio Abbado e della docenza di alcune prime parti dell’Orchestra Mozart, nelle cui fila confluiscono poi gli allievi più meritevoli. Gran parte della discografia è dedicata a Mozart. È appena uscito il nuovo CD con i Concerti per pianoforte K 466 e K 595 con Maria João Pires. Nel 2008 sono stati pubblicati i Concerti per violino e orchestra con Giuliano Carmignola e le Sinfonie nn. 29, 33, 35, 38 e 41, a cui ha fatto seguito il CD con le Sinfonie n. 39 e 40. Nel 2011 sono uscite le incisioni dedicate alle pagine per orchestra e fiati: i quattro Concerti per corno interpretati da Alessio Allegrini e il disco con la Sinfonia concertante per fiati e il Concerto per flauto e arpa (solisti Allegrini, Zoon, Navarro, Carbonare e Santana, con l’arpista Letizia Belmondo). Uscirà nel 2013 il terzo titolo, con i Concerti per clarinetto, flauto e fagotto (solisti Carbonare, Zoon, Santana). Nel 2010 sono stati pubblicati tre CD dedicati a G. B. Pergolesi (solisti Carmignola, Mingardo, Harnisch e Kleiter). Dal DVD dei Concerti Brandeburghesi di Bach (2008) è stato tratto un doppio CD. Recentemente sono stati pubblicati i Concerti per violino di Beethoven e Berg nell’interpretazione di Isabelle Faust, con eccezionali riscontri di critica in tutta Europa. A novembre, al Musikverein, sarà registrato un nuovo disco dedicato a Schumann, con la Seconda Sinfonia in do maggiore e le Ouvertures di Manfred e Genoveva, che uscirà nel 2013 in vista dell’ottantesimo compleanno di Claudio Abbado.

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Filarmonica della Scala

Violini Primi Francesco De Angelis (spalla) Francesco Manara (spalla) Daniele Pascoletti* Duccio Beluffi Shelag Burns Rodolfo Cibin Alessandro Ferrari Agnese Ferraro Alois Hubner Fulvio Liviabella Andrea Pecolo Gianluca Scandola Gianluca Turconi Corinne Van Eikema Enkelejda Sheshaj Hagit Halaf Claudio Mondini Francesca Monego Violini Secondi Giorgio Di Crosta* Pierangelo Negri* Anna Longiave Anna Salvatori Emanuela Abriani Damiano Cottalasso Stefano Dallera Silvia Guarino Ludmilla Laftchieva Goran Marianovic Roberto Nigro Rosanna Ottonelli Alexia Tiberghien Evgenia Staneva Gabriele Porfidio

Viole Simonide Braconi* Danilo Rossi* Carlo Barato Maddalena Calderoni Adelheid Dalvai Marco Giubileo Francesco Lattuada Emanuele Rossi Luciano Sangalli Mihai Sas Zoran Vuckovic Giorgio Baiocco Federica Mazzanti Christoph Langheim Violoncelli Sandro Laffranchini* Alfredo Persichilli* Massimo Polidori* Jakob Ludwig Martina Lopez Alice Cappagli Gabriele Garofano Simone Groppo Clare Ibbott Cosma Beatrice Pomarico Marcello Sirotti Massimiliano Tisserant Marco Redaelli Livia Rotondi Contrabbassi Giuseppe Ettorre* Francesco Siragusa* Roberto Benatti Claudio Cappella Attilio Corradini Demetrio Costantino Omar Lonati Emanuele Pedrani Claudio Pinferetti Alessandro Serra Gaetano Siragusa

Flauti Davide Formisano* Marco Zoni* Giovanni Gandolfo

Trombe Francesco Tamiati* Gianni Dallaturca Mauro Edantippe

Ottavino Maurizio Simeoli

Tromboni Torsten Edvar* Riccardo Bernasconi Renato Filisetti Giuseppe Grandi

Oboi Fabien Thouand* Augusto Mianiti Corno inglese Renato Duca Clarinetti Mauro Ferrando* Fabrizio Meloni* Cristian Chiodi Latini Denis Zanchetta Clarinetto Basso Stefano Cardo

Tuba Brian Earl Timpani Adrien Perruchon Percussioni Gianni Arfacchia Gabriele Bianchi Giuseppe Cacciola Elio Marchesini Mirko Preatoni Igor Caiazza

Fagotti Gabriele Screpis* Valentino Zucchiatti* Maurizio Orsini Nicola Meneghetti

Arpe Luisa Prandina* Olga Mazzia*

Controfagotto Sabrina Pirola

Tastiere Ada Mauri* Lorenzo Bonoldi Andrea Benelli

Corni Danilo Stagni* Roberto Miele Stefano Alessandri Claudio Martini Stefano Curci

Major Partner * prima parte

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Orchestra Mozart Bologna

Violini Primi Francesco De Angelis (spalla) Francesco Manara (spalla) Daniele Pascoletti* Duccio Beluffi Shelag Burns Rodolfo Cibin Alessandro Ferrari Agnese Ferraro Alois Hubner Fulvio Liviabella Andrea Pecolo Gianluca Scandola Gianluca Turconi Corinne Van Eikema Enkelejda Sheshaj Hagit Halaf Claudio Mondini Francesca Monego Violini Secondi Giorgio Di Crosta* Pierangelo Negri* Anna Longiave Anna Salvatori Emanuela Abriani Damiano Cottalasso Stefano Dallera Silvia Guarino Ludmilla Laftchieva Goran Marianovic Roberto Nigro Rosanna Ottonelli Alexia Tiberghien Evgenia Staneva Gabriele Porfidio

Viole Simonide Braconi* Danilo Rossi* Carlo Barato Maddalena Calderoni Adelheid Dalvai Marco Giubileo Francesco Lattuada Emanuele Rossi Luciano Sangalli Mihai Sas Zoran Vuckovic Giorgio Baiocco Federica Mazzanti Christoph Langheim Violoncelli Sandro Laffranchini* Alfredo Persichilli* Massimo Polidori* Jakob Ludwig Martina Lopez Alice Cappagli Gabriele Garofano Simone Groppo Clare Ibbott Cosma Beatrice Pomarico Marcello Sirotti Massimiliano Tisserant Marco Redaelli Livia Rotondi Contrabbassi Giuseppe Ettorre* Francesco Siragusa* Roberto Benatti Claudio Cappella Attilio Corradini Demetrio Costantino Omar Lonati Emanuele Pedrani Claudio Pinferetti Alessandro Serra Gaetano Siragusa

Flauti Davide Formisano* Marco Zoni* Giovanni Gandolfo

Trombe Francesco Tamiati* Gianni Dallaturca Mauro Edantippe

Ottavino Maurizio Simeoli

Tromboni Torsten Edvar* Riccardo Bernasconi Renato Filisetti Giuseppe Grandi

Oboi Fabien Thouand* Augusto Mianiti Corno inglese Renato Duca Clarinetti Mauro Ferrando* Fabrizio Meloni* Cristian Chiodi Latini Denis Zanchetta Clarinetto Basso Stefano Cardo

Tuba Brian Earl Timpani Adrien Perruchon Percussioni Gianni Arfacchia Gabriele Bianchi Giuseppe Cacciola Elio Marchesini Mirko Preatoni Igor Caiazza

Fagotti Gabriele Screpis* Valentino Zucchiatti* Maurizio Orsini Nicola Meneghetti

Arpe Luisa Prandina* Olga Mazzia*

Controfagotto Sabrina Pirola

Tastiere Ada Mauri* Lorenzo Bonoldi Andrea Benelli

Corni Danilo Stagni* Roberto Miele Stefano Alessandri Claudio Martini Stefano Curci

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Fondazione di diritto privato

SOVRINTENDENZA

DIREZIONE GENERALE

Sovrintendente StĂŠphane Lissner Responsabile Relazioni Esterne e Assistente del Sovrintendente Donatella Brunazzi Responsabile Ufficio Stampa Carlo Maria Cella Responsabile Controllo di Gestione Enzo Andrea Bignotti

Direttore Generale Maria Di Freda Responsabile Servizio Rapporti Istituzionali Dino Belletti Coordinatore Segreteria e Staff Andrea Vitalini Responsabile Ufficio Promozione Culturale Carlo Torresani Responsabile Segreteria Organi e Legale Germana De Luca Responsabile Provveditorato Antonio Cunsolo Direzione Tecnica Direttore Tecnico Marco Morelli Responsabile Manutenzione Immobili e Impianti Persio Pini Responsabile Prevenzione Igiene Sicurezza Giuseppe Formentini Direzione del Personale Direttore del Personale Marco Aldo Amoruso Responsabile Amministrazione del Personale e Costo del Lavoro Alex Zambianchi Responsabile Servizio Sviluppo Organizzativo Rino Casazza Responsabile Servizio Tecnologie dell’Informazione Massimo Succi Responsabile Ufficio Assunzioni e Gestione del Personale Marco Migliavacca Responsabile Ufficio Lavoro Autonomo Giusy Tonani

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Direzione Marketing e Fund Raising Direttore Marketing e Fund Raising Cristina Paciello Responsabile Ufficio Marketing Francesca Agus Responsabile Biglietteria Annalisa Severgnini Responsabile di Sala Achille Gozzi Direzione Amministrazione e Finanza Direttore Amministrazione e Finanza Claudio Migliorini Capo Contabile Sefora Curatolo Museo Teatrale alla Scala Direttore Museo Teatrale alla Scala Renato Garavaglia


DIREZIONE MUSICALE

DIREZIONE ALLESTIMENTO SCENICO

Direttore Musicale Daniel Barenboim

Direttore Allestimento Scenico Franco Malgrande Assistente Direttore Allestimento Scenico Elio Brescia Responsabile Reparto Macchinisti Cosimo Prudentino Responsabile Realizzazione Luci Marco Filibeck Realizzatori Luci Vincenzo Crippa Andrea Giretti Responsabile Reparto Elettricisti Roberto Parolo Responsabile Cabina Luci Antonio Mastrandrea Responsabile Audiovisivi Nicola Urru Responsabile Reparto Attrezzisti Luciano Di Nicuolo Responsabile Reparto Meccanici Castrenze Mangiapane Responsabile Parrucchieri e Truccatori Francesco Restelli Responsabile Calzoleria Alfio Pappalardo

DIREZIONE ARTISTICA Direttore Artistico St茅phane Lissner Coordinatore Artistico Gast贸n Fournier-Facio Responsabile Servizi Musicali Andrea Amarante Responsabile Controllo di Gestione Artistica Manuela Cattaneo Responsabile Compagnie di Canto Ilias Tzempetonidis Direttore Editoriale Franco Pulcini Responsabile Archivio Musicale Cesare Freddi Regista Collaboratore Lorenza Cantini Direzione Ballo Direttore del Corpo di Ballo Makhar Vaziev Coordinatore del Corpo di Ballo Marco Berrichillo

Capi Scenografi Realizzatori Stefania Cavallin Angelo Lodi Luisa Guerra Capo Scenografo Realizzatore Scultore Venanzio Alberti Scenografi Realizzatori Claudia Bona Emanuela Finardi Verena Redin Flavio Erbetta Claudio Spinelli Barrile Scenografo Realizzatore Scultore Silvia Rosellina Cerioli Responsabile Reparto Costruzioni Roberto De Rota Responsabile Reparto Sartoria Cinzia Rosselli Responsabile Sartoria Vestizione Filomena Graus

Direzione Organizzazione della Produzione Direttore Organizzazione della Produzione Andrea Valioni Assistente Direttore Organizzazione della Produzione Maria De Rosa Responsabile Direzione di Scena Luca Bonini Direttori di Scena Silvia Fava Andrea Boi

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EDIZIONI DEL TEATRO ALLA SCALA DIRETTORE EDITORIALE

Franco Pulcini

Ufficio Edizioni del Teatro alla Scala REDAZIONE

Anna Paniale Giancarlo Di Marco PROGETTO GRAFICO

Emilio Fioravanti G&R Associati

Le immagini degli spettacoli scaligeri provengono dall’Archivio Fotografico del Teatro alla Scala Realizzazione e catalogazione immagini digitali: “Progetto D.A.M.” per la gestione digitale degli archivi del Teatro alla Scala Si ringrazia per la collaborazione il Museo Teatrale alla Scala Il Teatro alla Scala è disponibile a regolare eventuali diritti di riproduzione per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte Pubblicità: A.P. srl - Str. Rigolino, 1 bis 10024 Moncalieri (TO) - Tel. 011/6615469 Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 presso le Pinelli Printing Srl © Copyright 2012, Teatro alla Scala

Prezzo del volume € 10,00 (IVA inclusa)


Stagione artistica 2011- 2012 Ciclo straordinario Il Concerto per pianoforte e orchestra 30 ottobre 2012 Pianoforte Daniel Barenboim Filarmonica della Scala Con la partecipazione della Orchestra Mozart Direttore Claudio Abbado Il Teatro alla Scala ringrazia


Un progetto che appassiona i giovani

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Il Teatro alla Scala ringrazia per la collaborazione alle iniziative specifiche gli SPONSOR TECNICI ATM COCCINELLE COLLATERAL FILMS KONICA MINOLTA BUSINESS SOLUTIONS ITALIA MANUTENCOOP MEETING PROJECT LEDIBERG RCS DIRECT ROBERT BOSCH S.P.A. Il Teatro alla Scala ringrazia per la collaborazione al progetto tecnologico DAM gli SPONSOR TECNICI FONDAZIONE MILANO PER LA SCALA ROBERT BOSCH S.P.A. FASTWEB ORACLE ITALIA




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Con la riapertura della sala del Piermarini, anche il Museo Teatrale è ritornato nella sua sede storica di Piazza Scala. Curato da Pier Luigi Pizzi, il nuovo percorso espositivo interpreta l’emozione del Museo come venne creato nel 1913, e la volontà di far rivivere il respiro originario di un’epoca indimenticabile. Il Museo Teatrale alla Scala, oltre ad essere un luogo d’incontro per il grande pubblico, vuole anche continuare ad essere un punto di riferimento per gli studiosi, per gli appassionati della lirica e per l’educazione musicale delle nuove generazioni attraverso l’attività dei laboratori didattici. Un Museo dedicato alla vita del Teatro nel tempo attraverso un’ampia collezione di ritratti, cimeli, busti, documenti, locandine dedicati ai grandi personaggi della lirica, da Giuseppe Verdi ad Arturo Toscanini e Victor De Sabata. Le sale che ospitano le collezioni sono rivestite con stoffe dai colori preziosi per ricreare l’atmosfera di un secolo di vita del Museo. Le visite al Museo offrono, inoltre, la possibilità di ammirare la sala del Teatro riaperta dopo il restauro. La Biblioteca Livia Simoni è tornata nella sua sede storica, all’interno del Museo. Questo permette a un grande numero di studiosi e di studenti di poter consultare i 150.000 volumi, le stampe e i documenti sulla storia del teatro e della musica dal 1500 ai nostri giorni.

Partner Istituzionale

YOKO NAGAE CESCHINA Mecenate del Museo Teatrale alla Scala

Museo Teatrale alla Scala Biblioteca Livia Simoni Largo Ghiringhelli, 1 20121 Milano www.teatroallascala.org Orari Tutti i giorni tranne • 7 dicembre • 24 dicembre pomeriggio • 25 dicembre • 26 dicembre • 31 dicembre pomeriggio • 1° gennaio • Domenica di Pasqua • 1° maggio • 15 agosto Dalle 9.00 alle 12.30 (ultimo ingresso alle 12.00) e dalle 13.30 alle 17.30 (ultimo ingresso alle 17.00)


Consultazione Biblioteca Livia Simoni su prenotazione tel. 0288792088

Come arrivare MM linea 1 fermata San Babila, Duomo, Cordusio. MM linea 3 fermata Montenapoleone, Duomo Autobus linea 61 Tram 1, 2 Prezzi Biglietto intero Biglietto ridotto Biglietto scuole

Informazioni Tel. 02.88797473

€ 6,00 € 4,00 € 2,50

Servizio visite guidate Civita Servizi. Tel: 02 43353521 (prenotazione obbligatoria per le scolaresche)

Centro guide. Tel: 02 86450433 La sala del Teatro è visibile da un palco, solo qualora non siano in corso prove o spettacoli.

Visite guidate al Teatro Per informazioni e prenotazioni rivolgersi a Francine Garino via email garino@fondazionelascala.it o via fax allo 02.88792090 Catalogo del Museo (italiano - francese, inglese - spagnolo, giapponese - tedesco) in vendita a € 15,00


Foto Marco Brescia


ringrazia

l’ALBO D’ORO 2012 Ada Barberis Fortina Maria Elina Barberis Mosca Nice Barberis Figari Maria Bonatti Mameli Carla Bossi Comelli Francesco Brioschi Giancarlo Colombo Giuseppe Deiure Hélène de Prittwitz Zaleski Giuseppe Faina Margot Ferrari de Mazzeri Marino Golinelli Beatrix Habermann Paolo Jucker Pompeo Locatelli Matteo Mambretti Francesco Micheli Riccardo Ottaviani Vieri Poggiali Patrizia Staffico Roberto Telò Diego Visconti Giovanni M. Volonté Paolo Maria Zambelli

Accenture S.p.A. Amici della Scala - Lugano Banca BSI S.A. Boehringer Ingelheim Italia S.p.A. Fondazione Schlesinger Mittel S.p.A. Natixis S.A. Pirelli Cultura S.p.A. Sipcam S.p.A. Studio Legale Zambelli-Luzzati-Meregalli UBI Banca Vittoria Assicurazioni S.p.A.

per il contributo speciale

AI PROGETTI DI FORMAZIONE DEI GIOVANI DELL’ACCADEMIA D’ARTI E MESTIERI DELLO SPETTACOLO TEATRO ALLA SCALA

per vivere una grande Tradizione


PER VIVERE DA VICINO UNA GRANDE TRADIZIONE La Fondazione Milano per la Scala nasce nel 1991 con lo scopo esclusivo di sostenere il Teatro alla Scala, attraverso i contributi di coloro che ne amano il patrimonio culturale ed artistico e desiderano vivere più intensamente la sua grande tradizione. È la prima istituzione sorta a supporto di un teatro lirico in Italia.

Presidente Giuseppe Faina

Vice Presidente Hélène de Prittwitz Zaleski

Consiglieri Lodovico Barassi, Francesca Colombo, Jean-Sébastien Decaux, Margot de Mazzeri, Bruno Ermolli, Gioia Falck Marchi, Alfredo Gysi, Marino Golinelli, Stéphane Lissner, Marco Margheri, Paolo Martelli, Francesco Micheli, Federico Radice Fossati, Franca Sozzani, Fiorenzo Tagliabue, Diego Visconti, Paolo M. Zambelli

Presidente d’Onore: Ottorino Beltrami

Per informazioni e per adesioni

Milano per la Scala Via Clerici, 5 20121 Milano Tel. 02.7202.1647 Fax. 02.7202.1662 E-mail. miscala@milanoperlascala.it www.milanoperlascala.it


Milano per la Scala ringrazia tutti i Sostenitori che hanno generosamente contribuito alla speciale raccolta fondi del nostro

Albo d’Oro del Ventennale Grazie di cuore.

NICE BARBERIS FIGARI BENIAMINO BELLUZ LUCIANO BERTI CARLA BOSSI COMELLI EDOARDO TEODORO BRIOSCHI ALFREDO CAMPANINI BONOMI LIVIO E MARIA LUISA CAMOZZI HELENE DE PRITTWITZ ZALESKI LORENZO ENRIQUES GIUSEPPE FAINA PAOLA FATTORINI RENZO FERRANTE MARINELLA FERRARI MARGOT FERRARI DE MAZZERI MARINO GOLINELLI LIA KERBAKER VINCENZO MAGRI MATTEO MAMBRETTI PAOLO MARTELLI FRANCESCO MICHELI RICCARDO OTTAVIANI ROSANNA PIROVANO VIERI POGGIALI FABRIZIO RIVOLTA GIORGIO ROSSI POLVARA ROSSANA SACCHI ZEI NATACHA SANCHEZ DE TAPIA LUIGI STAFFICO GIOVANNI VIVIANI GIOVANNI M. VOLONTE’

VITTORIA ASSICURAZIONI S.P.A.

Il 18 ottobre 2011 Milano per la Scala ha compiuto vent’anni. Vent’anni in cui con passione, energia, impegno e dedizione costanti, ha raccolto fondi per il Teatro alla Scala, sensibilizzando privati cittadini e aziende al mecenatismo culturale, così importante nel mondo dell’arte e della cultura. Nei vent’anni trascorsi la Fondazione ha donato al Teatro circa dieci milioni di euro, finanziando allestimenti, spettacoli e iniziative artistiche, eventi e mostre, pubblicazioni, progetti speciali, e molte altre attività tra le quali l’importantissimo versante formativo gestito dall’Accademia Teatro alla Scala di cui Milano per la Scala è “main sponsor”.

La raccolta fondi per l’Albo d’Oro del Ventennale prosegue per tutto il 2012: partecipa anche TU!


Foto Marco Brescia


Mapei per l’arte e la cultura

Il legame con il Teatro alla Scala ha radici profonde nella storia di Mapei. Si è concretizzato sin dal 1984 come Abbonato Sostenitore ed è proseguito con il contributo alla ristrutturazione e al restauro del Teatro, grazie alla tecnologia e alla ricerca Mapei. Dal 2008 Mapei ha rafforzato ulteriormente il rapporto con la Scala divenendo Socio Fondatore Permanente. Il 75° anno di attività è un’ulteriore occasione per consacrare lo storico connubio tra il lavoro, l’arte e la cultura.



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