Harding Concerto

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Filarmonica della Scala - Daniel Harding

Serata riservata a Essilor Italia

Filarmonica della Scala Daniel Harding Direttore

4 marzo 2013




Fondazione di diritto privato

ALBO DEI FONDATORI Fondatori di Diritto

Stato Italiano

Fondatori Pubblici

Fondatori Privati Permanenti

Fondatori Privati Ordinari

Fondatori Emeriti


Fondazione di diritto privato

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Presidente

Giuliano Pisapia Sindaco di Milano

Vice Presidente

Bruno Ermolli

Consiglieri

Stéphane Lissner Giovanni Bazoli Guido Podestà Aldo Poli Paolo Scaroni Fiorenzo Tagliabue Alessandro Tuzzi Margherita Zambon

Stéphane Lissner Sovrintendente e Direttore artistico Daniel Barenboim Direttore musicale Maria Di Freda Direttore generale Gastón Fournier-Facio Coordinatore artistico

COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI Presidente

Mario Cattaneo

Membri effettivi

Marco De Luca Marcello Coato

Membro supplente

Nadia Palmeri



Filarmonica della Scala Daniel Harding Direttore

EDIZIONI DEL TEATRO ALLA SCALA



Gentili Signore, Egregi Signori, siamo lieti di festeggiare insieme a Voi la rivoluzionaria Varilux S e il suo arrivo in Italia sulle note di Giuseppe Verdi, Richard Wagner, Antonín Dvo ák eseguite dalla Filarmonica della Scala diretta eccezionalmente dal Maestro Daniel Harding. La cornice è quella del teatro più prestigioso al mondo, il Teatro alla Scala di Milano, che per questa unica serata ha alzato il sipario e aperto le porte dei suoi meravigliosi foyers solo per il mondo Essilor. Lo spirito innovativo che contraddistingue da sempre Essilor ha dato vita nel 1959 alla prima lente progressiva. Per più di mezzo secolo la costante ricerca di soluzioni all’avanguardia ci ha accompagnato, e oggi possiamo affermare con orgoglio che i contenuti tecnologici e le prestazioni di Varilux S hanno segnato una nuova e rivoluzionaria tappa nella storia di Essilor e dell’ottica-oftalmica: la “reinvenzione” della lente progressiva. Insieme a Voi guardiamo al futuro e siamo convinti che ulteriori importanti traguardi ci attendono. Grazie a tutti per la fiducia mostrata in questi anni a Essilor. Un caro saluto. Marco Caccini Direttore Generale Essilor Italia Milano, 4 marzo 2013


TEATRO ALLA SCALA Lunedì 4 marzo 2013, ore 21 SOMMARIO PAGINA 11

Una piccola “Storia della Scala”. PAGINA 29

Due operisti e un sinfonista all’opera con l’orchestra PAGINA 33

Giuseppe Verdi Cronologia della vita e delle opere Marco Mattarozzi PAGINA 41

Richard Wagner Cronologia della vita e delle opere Cesare Fertonani PAGINA 49

Antonín Dvořák Cronologia della vita e delle opere Lidia Bramani PAGINA 55

Daniel Harding PAGINA 57

Filarmonica della Scala PAGINA 58

Teatro alla Scala


PROGRAMMA

Giuseppe Verdi da La forza del destino Sinfonia Richard Wagner da Tristan und Isolde Preludio e Morte d’Isotta Antonín Dvořák Sinfonia n. 8 in sol magg. op. 88 B 163 Allegro con brio Adagio Allegretto grazioso – Molto vivace Allegro ma non troppo


La facciata del Teatro alla Scala secondo il progetto dell’architetto Giuseppe Piermarini (raffigurato nell’ovale). Il manifesto della prima rappresentazione nel 1778 di Europa riconosciuta, “dramma per musica” di Antonio Salieri.

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Una piccola “Storia della Scala”

I

l Teatro venne edificato in seguito all’incendio, avvenuto nel carnevale del 1776, del Teatro Ducale, che si trovava nel cortile del Palazzo Ducale (oggi Palazzo Reale, proprio accanto al Duomo). Vi sono voci che parlano in un incendio doloso per far ricostruire il teatro poco più lontano, come infatti avvenne. Per evitare i rischi delle candele accese e dei piromani, il nuovo edificio venne ricostruito esternamente in muratura. Il Gran Teatro fu posto sull’area dove sorgeva la chiesa di Santa Maria della Scala. I costi vennero sostenuti in massima parte dai palchettisti del vecchio teatro. L’imperatrice d’Austria Maria Teresa mise circa il 17% dell’importo totale, tenendosi parecchi palchi, ovviamente tra i migliori. L’architetto di corte Giuseppe Piermarini fece concludere i lavori in un paio d’anni. Il teatro venne inaugurato il 3 agosto 1778 con l’opera Europa riconosciuta di Antonio Salieri, il musicista di corte della capitale Vienna. Vi si eseguirono anche due balli, uno dei quali inscenava il tema mitologico de La caduta di Fetonte, pure rappresentata in un bassorilievo al centro della facciata. Gestito all’inizio dai “Cavalieri associati”, appartenenti alla nobiltà milanese, il Gran Teatro – chiamato familiarmente La Scala, in ricordo della chiesa abbattuta – scelse per le rappresentazioni dei primi anni autori napoletani come Cimarosa, Paisiello e Zingarelli. La musica era solo una parte dell’intrattenimento, che prevedeva la conversazione galante, gli affari, il cibo, il fumo, il gioco d’azzardo e altro. Il poeta Giuseppe Parini, a proposito della Scala, parla de «l’esecrabile ridotto / laddove un uom ricco sfondato / sur una carta spiantasi di botto». Nel 1788 venne vietato il gioco, ma la reprimenda non durò. In teatro regnava un’atmosfera festosa e una certa confusione, testimoniate dai molti richiami all’ordine e alla pulizia. In coincidenza con l’arrivo di Napoleone a Milano (1797) si narra di tauromachie nella platea, allora senza poltrone fisse, con un toro inseguito dai cani degli spettatori. Andò in scena anche il cosiddetto Ballo del papa, spettacolo offensivo e anticlericale, nel clima post-rivoluzione francese. La democratizzazione della vita milanese portò a uniformare l’arredamento interno e i decori; furono in parte eliminate le personalizzazioni dei palchi, con l’abolizione innanzitutto degli stemmi nobiliari. Se ancora oggi si osservano con attenzione i palchi dalla platea, si potrà rilevare qualche differenza, ad esempio nelle specchiere, eredità del teatro inteso come “condominio del divertimento”. L’utilizzo di nuove lampade a fiamma con bulbo di vetro, dette di Argand, aumentò l’illuminazione interna: in precedenza le candele rendevano scarsa la visibilità generale; mentre l’attuale grande lampadario, venne installato (in una prima versione) solo nel 1821. Ma vi fu un altro francese destinato ad amare la Scala ancor più di Napoleone, lo scrittore Stendhal, a Milano nel periodo 1802-11 e dopo il 1814, quando era appena

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Immagini dei primi operisti importanti rappresentati alla Scala. In alto a sinistra, Giovanni Paisiello; a destra, Domenico Cimarosa. In basso a sinistra, Gioachino Rossini; a destra, Vincenzo Bellini.

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esploso il genio di Rossini, divenuto autore di riferimento. Nella sua Vita di Rossini scritta nel 1825, Stendhal descrisse il debutto de La pietra del paragone come l’inizio di «un’epoca di entusiasmo e di gioia» per il Gran Teatro alla Scala. Nelle 32 opere rossiniane datevi fino al 1825 si segnalano due prime assolute: Il turco in Italia e La gazza ladra. Nel 1808 era anche nato l’Imperial-Regio Conservatorio, che sempre (fino a oggi) ha fornito musicisti al teatro milanese. Tra le grandi prime donne va citato il soprano spagnolo Isabella Colbran, che aveva debuttato alla Scala nel 1808, divenendo la cantante preferita da Rossini, che la sposerà nel 1822. Negli anni Trenta esplosero le rivalità e i capricci delle tre grandi “Giuditte” (la Cantù, la Grisi e la Pasta), legate musicalmente e personalmente a Vincenzo Bellini. Già nella sua Norma (alla Scala in prima assoluta nel 1832), troviamo novità di tipo interpretativo: Maria Malibran inventò il fuoco del canto romantico, che si opponeva alla solennità neoclassica delle artiste precedenti legate agli ideali di Rossini e Bellini. Tra i grandi impresari del tempo si ricorda Domenico Barbaja, che fece di tutto per ripristinare il gioco d’azzardo nei retropalchi, allo scopo di rimpinguare le casse. I nuovi autori rappresentati, insieme a decine di nomi oggi sconosciuti, furono Meyerbeer, Pacini e Mercadante. Gaetano Donizetti venne scritturato inizialmente da un altro teatro milanese, il Carcano, che faceva concorrenza alla “romantica” Scala di Bellini. Nel 1830 il teatro venne riaffrescato con i toni dell’oro, dell’argento, del bianco e dell’azzurro su disegni di Alessandro Sanquirico, lo scenografo neoclassico più noto del primo Ottocento. La tradizione sempre viva del ballo alla Scala ha un personaggio di spicco nel coreografo Salvatore Viganò, autore di “balletti pantomimi” di grande espressività. Fin dal 1813 la Scala si era dotata della Imperial – Regia Accademia di Ballo, che preparava danzatori per le rappresentazioni. E il teatro faceva salire in scena anche i grandi virtuosi di strumenti musicali: Niccolò Paganini vi esordì nel 1813, Franz Liszt nel 1838. Alla Scala fu attivo dal 1814, inizialmente come copista e suggeritore, il violinista Giovanni Ricordi, che, divenuto editore, ne acquisì l’intero archivio nel 1825. Già nel 1830 la sua casa editrice era adiacente al teatro stesso, separata solo da un muro sulla via Filodrammatici, dove oggi c’è il Museo Teatrale. Con la nascita del diritto d’autore, Ricordi acquisì le opere di Donizetti, di Rossini e, in seguito, di Giuseppe Verdi, un giovane musicista promosso a Milano dall’impresario della Scala Bartolomeo Merelli. Ma il nome di Verdi è legato al teatro milanese soprattutto per gli esordi e per l’ultima maturità. La prima opera, Oberto conte di san Bonifacio (1838), andò bene, la seconda, Un giorno di regno (1840) cadde, e la terza, Nabucodonosor (1842), col famoso coro degli schiavi ebrei Va’ pensiero, fu un trionfo con 65 repliche. Già nel 1845 Verdi, che pretendeva maggiore cura scenografica per le sue opere, decise di non programmare altre prime alla Scala e, uomo duro e cocciuto, tenne fede alla decisione per circa un quarto di secolo. Negli anni del Risorgimento e dell’Unificazione, fin dai moti del 1948, la Scala divenne luogo di esuberanza patriottica. I teatri vennero chiusi perché considerati luogo di sedizione e di congiura: solo la Scala restò aperta, anche se, poco prima delle mitiche Cinque Giornate, era stata fischiata la celebre danzatrice Fanny Elssler, filoaustriaca. Durante le guerre d’indipendenza, fino all’Unificazione del 1861, spesso accadeva che il pubblico s’infiammasse al suono di cori e fanfare. Nella Milano degli anni Sessanta dell’Ottocento, disertata da Verdi, crebbero gli artisti della Scapigliatura, come Arrigo Boito, tendenzialmente aperti alle culture europee, per non dire esterofili. Nel 1858, con l’abbattimento degli

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Qui sotto, un’immagine di Gaetano Donizetti. A fianco, la grande cantante Isabella Colbran, prima moglie di Rossini. Sotto, due disegni di scenografie di Alessandro Sanquirico.

Nella pagina a fianco il celebre quadro dell’Inganni che ritrae la Scala prima delle demolizioni di metà Ottocento, da cui troverà spazio Piazza Scala. Sotto, due dive del canto del primo Ottocento: Giuditta Pasta e Maria Malibran.

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In queste pagine, un ritratto di Giuseppe Verdi all’epoca della sua affermazione alla Scala e una selezione di manifesti, figurini e frontespizi vari di sue opere.

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edifici antistanti, era nata Piazza Scala e la facciata del teatro poteva essere finalmente contemplata anche a distanza. Andò in scena nel 1868 la prima versione di Mefistofele di Boito, che cadde rumorosamente e venne ritirata. Wagner giunse alla Scala nel 1873 con Lohengrin che non piacque, dicono in polemica con il successo avuto a Bologna due anni prima. Spettacolo memorabile fu nel 1881 il gran ballo Excelsior, con musiche di Romualdo Marenco, il cui tema era la lotta per il progresso. Non a caso la Scala, due anni dopo, fu il primo teatro al mondo a dotarsi dell’illuminazione elettrica. Il teatro aveva trovato nel direttore Franco Faccio una figura molto autoritaria che dal 1878 pretendeva dall’orchestra risultati eccellenti, apprezzati anche all’Esposizione Universale di Parigi dove suonò in trasferta. Verdi era tornato alla Scala nel 1869 con la prima italiana de La forza del destino, in nuova versione, e ancora nel 1872 con la prima italiana di Aida. Morto Giovanni, a Casa Ricordi gli erano succeduti il figlio Tito e il nipote Giulio. Dopo quindici anni di tentativi, quest’ultimo, insieme a Boito in veste di librettista, riuscirà a far tornare Verdi a scrivere opere, entrambe andate in scena alla Scala: Otello (con il mitico Tamagno) nel 1887 e Falstaff nel 1893. Il musicista italiano per definizione scelse di chiudere la carriera nel teatro che gli aveva dato la notorietà iniziale. Nel Novecento alla Scala la figura di riferimento fu il direttore Arturo Toscanini, che, pur grande interprete verdiano, promosse fin dal 1898 le opere di Wagner e quelle dei contemporanei (Debussy, Puccini, Catalani, Mascagni, Leoncavallo). Frenò i protagonismi e le leziosità vocali dei cantanti; impose un ascolto attento e concentrato da parte del pubblico. Signore senza cappello, niente bis, buio in sala, silenzio e disciplina in nome della perfezione musicale. Il burbero e litigioso direttore lasciò il teatro nel 1908, prendendosi una verdiana pausa di riflessione di oltre un decennio. Negli anni Venti ne divenne direttore artistico, inaugurando il principio semi-dittatoriale di identificazione del teatro col direttore. Furono anni importanti: vi diresse nel 1926 la prima mondiale di Turandot di Puccini, dopo la morte del musicista. La Scala di Toscanini vide grandi lotte fra le case editrici Ricordi e Sonzogno; quest’ultima rappresentava musicisti come Giordano, Cilea, Mascagni, mentre l’autore di Ricordi era Giacomo Puccini, il quale ebbe un rapporto particolare e conflittuale con la Scala, dove vide cadere la sua seconda opera Edgar e soprattutto, nel 1904, la prima versione di Madama Butterfly, con Rosina Storchio come protagonista. Il rinnovamento del repertorio vide una sempre maggiore presenza della musica sinfonica austro-tedesca, caldeggiata da Toscanini, che diresse sempre più di frequente Wagner, ma anche Richard Strauss, di cui presentò Salome in prima italiana nel 1906, aprendo al pubblico, con una certa scorrettezza, una prova il giorno prima della vera prima italiana che l’autore stesso aveva concesso al Teatro Regio di Torino. Queste opere, come accadde anche a Pelleas e Melisanda [sic] di Debussy, in scena nel 1908, venivano cantate allora in traduzione italiana. (Bisognerà attendere il 1947 per avere Tristan und Isolde di Wagner cantato per la prima volta in tedesco, con la direzione di Victor de Sabata.) Quando nel 1926 verrà presentato Le martyre de Saint-Sébastien, con testo in francese arcaico di Gabriele D’Annunzio e musiche di Debussy, alcuni giovani cattolici milanesi pregarono in ginocchio davanti al teatro per protesta contro un’opera in sospetto di blasfemia. L’eco di quanto si faceva alla Scala fu grande in ogni tempo. La Scala era già da tempo entrata nel mito e dal 1913 esisteva, al posto di Casa

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Cinque musicisti: Arrigo Boito, in alto a sinistra, con a fianco Richard Wagner; nel ritratto grande Giacomo Puccini, con a fianco Richard Strauss e Claude Debussy, in basso a destra.

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Un ritratto di Arturo Toscanini accanto al manifesto che attesta la rinascita della Scala come Ente Autonomo nel 1921. Sotto, il lampadario e un momento della ricostruzione della platea, in seguito al bombardamento del tetto nel 1943.

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Ricordi, il Museo Teatrale alla Scala, che negli anni si arricchì di donazioni e cimeli artistici. Malgrado le reprimende artistiche di Toscanini contro il protagonismo dei cantanti, molte grandi voci furono di casa al teatro milanese: una fra tutte quella di Enrico Caruso, pagato cinquantamila lire per la sola stagione del 1900. Poi echeggiarono gli acuti di Aureliano Pertile, i dolci flautati di Beniamino Gigli. Giunse a Milano anche il basso russo Fëdor Šaljapin, che vi cantò Boris Godunov nel 1909. E ancora Titta Ruffo e Carlo Galeffi. Tra le voci femminili, più avanti, Rosetta Pampanini e Toti Dal Monte. In campo scenografico, nel 1936 venne nominato direttore degli allestimenti scenici il russo Nicola Benois, che promosse una modernizzazione del teatro insieme a una sua ristrutturazione. Dopo un primo abbassamento di un metro della fossa dell’orchestra nel 1907 (pretesa da Toscanini) e la trasformazione nello stesso anno del quinto ordine di palchi in una più capiente galleria, seguirono altri interventi avvenuti dopo tre anni di chiusura, dal 1918 al 1921, data in cui il teatro divenne Ente Autonomo. Nel 1936 il ridotto dei palchi, prima suddiviso in salette per il gioco, divenne un unico salone, con i muri divisori sostituiti da candide colonne di marmo. L’anno dopo venne cambiato il palcoscenico, meccanizzato con ponti mobili. Purtroppo la notte di Ferragosto del 1943, in piena guerra, una bomba centrò il tetto e distrusse la platea. Col commissario e in seguito sovrintendente Antonio Ghiringhelli la Scala venne ricostruita col tetto sostenuto da moderne travi in ferro, ma uguale negli interni. L’attività dei complessi era proseguita al Teatro Odeon, al Lirico e altrove. Qui esordirono per la Scala il direttore Gianandrea Gavazzeni, uomo di carattere e di fine cultura, e Guido Cantelli, considerato l’erede di Toscanini, la cui carriera venne troncata dalla sua morte prematura in un incidente aereo nel 1956. L’11 maggio 1946 fu Arturo Toscanini, tornato dall’esilio americano, a inaugurare con un concerto la Scala ricostruita. Cantava Renata Tebaldi, la “voce d’angelo” che sarebbe divenuta una delle stelle del belcanto italiano, proprio a partire da quegli anni spuntate numerose. Già nel 1951 l’esplosione del mito di Maria Callas nacque come contrapposizione allo stile Tebaldi, alimentata da polemiche giornalistiche. Un doloroso approfondimento psicologico nel canto perfetto della greca; la tradizione belcantistica nutrita di inflessioni veristiche nell’italiana. La Callas vinse, e la Tebaldi disertò il teatro negli anni 1955-59, trionfando all’estero. E la Callas, che i milanesi chiamavano “la Maria”, dopo aver affrontato ruoli di bravura come Medea e La vestale, proseguì osannata nei ruoli che la resero immortale: Norma, La traviata, Lucia di Lammermoor, La sonnambula. Negli anni 1959-61 la Tebaldi venne riacclamata in Tosca e Andrea Chénier, mentre la Callas al culmine della gloria mondana lasciò Milano, dove era stata di casa per un decennio, dopo la stagione 1961-62. Eppure, anche se non si parlava che di lei, in quegli anni vi furono altre voci memorabili, come il soprano turco Leyla Gencer (che legherà il suo nome alla Scala per cinquant’anni, anche come insegnante della Scuola di Perfezionamento per Artisti Lirici dal 1997 e poi come direttore artistico dell’Accademia della Scala fin dalla sua fondazione nel 2002), i mezzosoprani Giulietta Simionato e Fedora Barbieri, i tenori Mario Del Monaco, Franco Corelli e Giuseppe Di Stefano. Malgrado la riesplosione del divismo canoro, alla Scala rimase sempre viva la supremazia del direttore come responsabile ultimo degli spettacoli: la figura immortale di Victor de Sabata è in questo senso fondamentale. Era stato lui, nel 1951, a spostare la prima della Scala al 7 dicembre, giorno

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della festa del patrono di Milano Sant’Ambrogio, mentre nelle stagioni precedenti era il 26 dicembre. I divi del canto, come la Callas, rifulgevano di una luce nuova come interpreti anche grazie all’uso che i registi facevano delle nuove possibilità tecniche del teatro. Luchino Visconti contribuì senz’altro alla riuscita degli spettacoli, con una meticolosità nuova nel mettere in scena le opere: le stessa cura maniacale che aveva nel cinema. La componente visiva venne ulteriormente accresciuta con Franco Zeffirelli, che puntò a uno sfarzo di grande eleganza e perfezione drammaturgica. La sua Bohème, nata alla Scala nel 1963, diretta dalle massime bacchette, tra cui Karajan e Carlos Kleiber, è andata in scena in tutto il mondo per oltre quarant’anni. Non si può dimenticare che un maestro di riferimento della Scala, pur senza esserne stato direttore artistico né aver mai avuto l’onore della prima di Sant’Ambrogio, fu proprio Herbert von Karajan, che nel trentennio 1940-71 vi diresse 28 concerti sinfonici (con repliche) e ben 27 produzioni operistiche, contando le tournées e le riprese in stagioni differenti. Dopo l’era Karajan, spettacolo memorabile di Zeffirelli fu anche Otello, diretto da Carlos Kleiber nel 1976, dato in diretta alla RAI nei primi anni del colore, e portato in trionfo in Giappone. Ma qui siamo ormai già nell’era di Claudio Abbado (1967-86), che trovò invece nel grande regista Giorgio Strehler, fondatore del Piccolo Teatro di Milano, l’artista del sodalizio in grado di consegnare alla storia dell’interpretazione spettacoli memorabili tra cui Macbeth e Simon Boccanegra. Merito di Abbado fu quello di riuscire a far amare pagine del repertorio moderno, come Wozzeck di Alban Berg, che al pubblico milanese, sempre un po’ conservatore, sarebbero parse anche solo vent’anni prima improponibili. In quella felice stagione, in cui il teatro conquistò un pubblico nuovo nelle classi istruite ma non necessariamente agiate, la Scala disponeva anche di un secondo teatro: la Piccola Scala. Era stata costruita al suo interno nel 1955, per poter proporre soprattutto opere del Settecento, ad esempio di Cimarosa o di Mozart. Poi divenne luogo di sperimentazione per le opere moderne e per le rarità: vi vennero eseguite opere di G. F. Malipiero, Menotti e più avanti di Dallapiccola, Maderna, Sciarrino. Rimase aperta fino al 1984, quando venne chiusa per far fronte alla crisi economica che imponeva tagli di spesa. L’inizio dell’era Abbado venne segnata dalla contestazione del 1968, quando il pubblico elegante e mondano della prima del 7 dicembre venne accolto dagli studenti da lanci di uova e schizzi di vernice. Paradossalmente è come se fosse suonato un segnale d’inizio per un sempre più generalizzato amore per l’opera da parte di tutte le classi sociali. Sono questi i tempi in cui iniziò a divenire un’impresa difficoltosa entrare alla Scala, con code e attese lunghissime per procurarsi i biglietti più economici delle gallerie. Negli anni in cui Paolo Grassi fu sovrintendente (1972-77) i manifesti spesso avevano incollata sopra la striscia del “tutto esaurito”. Il loggione straboccava e forse l’elettricità che si percepiva in sala era legata allo stress al quale si erano dovuti sottoporre i “loggionisti” per procurarsi un ingresso. L’interesse per questo nuovo pubblico di appassionati sinceri e spesso entusiasti portò anche alla fondazione, nel 1973, dell’associazione degli “Amici del Loggione”, che radunava melomani disinteressati a un’idea di teatro come rito mondano. Grassi spalancò i battenti del teatro ad associazioni di studenti e lavoratori, mostrando che “andare alla Scala” era una cosa che poteva fare chiunque, e anche a prezzi ragionevoli, purché sapesse organizzarsi per tempo. Tra gli spettacoli indimenticabili le tre opere comiche di Rossini (Barbiere, Cenerentola, Italiana in Algeri) di-

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Quattro grandi direttori d’orchestra presenti alla Scala: Victor de Sabata, in alto a sinistra, a fianco Wilhelm Furtwängler, direttore ospite nel dopoguerra; in basso a sinistra, Gianandrea Gavazzeni (che fu, come Victor de Sabata, anche direttore artistico), e Herbert von Karajan, per una trentina d’anni importantissimo direttore ospite.

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Una foto di Claudio Abbado. Sotto, da sinistra, Maria Callas, Giulietta Simionato e Renata Tebaldi. In basso, Rudolf Nureyev con Carla Fracci.

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rette da Abbado con la regia di Jean-Pierre Ponnelle. Andò in scena nel 1975 al Teatro Lirico Al gran sole carico d’amore di Luigi Nono, punta d’apertura alla modernità della “conservatrice” Scala. Abbado e il pianista Maurizio Pollini fecero anche musica nelle fabbriche alla conquista di nuovo pubblico. E questi furono anche gli anni di una nuova generazione di cantanti di qualità somma, che fecero grande la tradizione musicale italiana: Mirella Freni, Placido Domingo, José Carreras, Nicolai Ghiaurov, Piero Cappuccilli, Lucia Valentini Terrani. Il teatro ha naturalmente continuato a ospitare spettacoli di danza, con attrazioni internazionali come Rudolf Nureyev o i balletti di Béjart; tuttavia la danza italiana ha trovato in Carla Fracci una protagonista di riferimento. Al culmine del successo la Scala celebrò nel 1978 il bicentenario della costruzione con una mostra e spettacoli importanti, tra cui la prima esecuzione de La vera storia di Luciano Berio. Di lì a poco, Abbado fondò nel 1982 la Filarmonica della Scala, nella quale potevano suonare anche musicisti aggiunti, con una sua indipendenza finanziaria rispetto all’Ente. E quando lasciò il teatro per andare alla Staatsoper di Vienna, alla Scala venne chiamato Riccardo Muti, la nuova stella del podio italiano. Il ventennio di Muti nacque nella continuità. Vi fu inizialmente la collaborazione con Strehler, soprattutto nel segno di Mozart. Tuttavia, mentre Abbado aveva sempre teso a chiamare specialisti stranieri a dirigere il grande repertorio, tenendo per sé alcuni titoli di cui aveva approfondito l’interpretazione, Muti ebbe tendenza a estendere il suo personale repertorio alla Scala. Fece moltissimo Verdi, ma anche autori precedenti come Gluck, Cherubini, Spontini, Rossini serio. Ebbe predilezione per autori napoletani come Pergolesi o Paisiello, ma diresse anche una Tetralogia di Wagner. Fu un artista dalle idee chiare: le opere erano eseguite integralmente, nessun protagonismo fra i registi, alla Scala comandava il direttore d’orchestra e i cantanti si dovevano inserire armoniosamente in una concezione unitaria. Muti diresse ogni prima, senza eccezioni, tra il 1986 e il 2004. A un certo punto del suo mandato di Direttore musicale, alla Scala giunse come sovrintendente nel 1990 Carlo Fontana, che lavorò per trasformare il vecchio ente lirico in una fondazione a diritto privato. Dal 1996 il teatro divenne Fondazione Teatro alla Scala, con contributi statali e privati gestiti secondo i moderni principi del marketing. La privatizzazione trasformò la Scala in un marchio. Vennero autonomamente gestite registrazioni discografiche e organizzate tournées in tutto il mondo. Il 21 maggio 1983 si tenne un concerto alla presenza di papa Giovanni Paolo II e nel 2000 venne celebrato l’Anno Santo con una bellissima rappresentazione, per la regia di Robert Carsen, dell’opera I dialoghi delle carmelitane di Poulenc, un titolo dato in prima assoluta proprio alla Scala nel 1957. Poi nel 2001 il centenario della morte di Verdi vide Muti protagonista di una serie di spettacoli, tra cui Il trovatore, Falstaff, Un ballo in maschera, Macbeth e Otello. La rinnovata richiesta crescente di biglietti convinse Muti e Fontana ad azzardare l’ennesima ristrutturazione del teatro, questa volta radicale, per avere un palcoscenico molto più grande e gestire insieme più spettacoli. La Scala ebbe come nuova sede provvisoria il Teatro degli Arcimboldi, progettato dallo Studio Gregotti e Associati e costruito nel quartiere Bicocca, dove andarono in scena gli spettacoli tra il 2002 e la fine del 2004: tre anni che sono parsi ai milanesi un secolo. Nel 2001 le tre sedi staccate per prove, costruzione e magazzino (Bovisa, Pero, Abanella) si sono in parte compattate nel complesso di edifici dell’Ansaldo, con spazi maggiori. Agli Arcimboldi si decise d’introdurre il sistema della traduzione simultanea del libretto cantato con i sottotitoli proiettati su di-

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In alto a sinistra, Riccardo Muti, per una ventina d’anni alla guida del teatro come direttore musicale, con a fianco due degli innumerevoli spettacoli da lui diretti: in alto Rigoletto di Verdi, in basso Fidelio di Beethoven. Sotto, la sala vista dal palcoscenico alla fine di un concerto sinfonico. Nella foto piccola, il pianista e direttore d’orchestra Daniel Barenboim, dal 2011 Direttore Musicale del Teatro alla Scala.

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splay: lingua originale, italiano e inglese. Questo stesso sistema, molto apprezzato dal pubblico, verrà introdotto anche nella Scala restaurata. La ristrutturazione, progettata da Mario Botta, ha lasciato originali la sala e la facciata, ricostruendo integralmente tutto il resto dentro un enorme parallelepipedo alto 56 metri e un’originale e moderna ellisse. Uno scavo più profondo rispetto al vecchio palcoscenico incrementa ulteriormente gli spazi per la modernizzazione dell’apparato tecnologico. Il palco oggi è largo 22 metri e profondo 34, pur disponendo di altri 23 metri di retropalco. La parte antica è stata invece ripristinata con una ripulitura delle aggiunte del Novecento, per donare alla sala tutto il suo fascino originale. Il 7 dicembre 2004 andò in scena la stessa opera con cui il Gran Teatro era stato inaugurato oltre duecento anni prima: Europa riconosciuta, con la regia di Luca Ronconi e le scene di Pier Luigi Pizzi, entrambi curatori di molti splendidi spettacoli. Ma prima che il teatro iniziasse a funzionare perfettamente con la stagione 200506, si consumò un profondo dissidio fra Riccardo Muti e il sovrintendente Fontana, culminato – tra scioperi, dichiarazioni e polemiche giornalistiche – con le dimissioni di entrambi e la nomina del francese Stéphane Lissner, già direttore del Théâtre du Châtelet di Parigi e del Festival di Aix-en-Provence, che assunse la doppia carica di sovrintendente e direttore artistico. Sensibile alla natura “pubblica” del teatro, Lissner ha immediatamente ricercato un incremento dei contatti con i giovani e le associazioni tramite gli uffici scaligeri della Promozione Culturale, anche attraverso abbonamenti mirati. Uomo di teatro, attento al mutare dei gusti del pubblico, Lissner è riuscito a portare (o riportare) in teatro nomi prestigiosi come Pierre Boulez, Patrice Chéreau, Daniel Barenboim. C’è stato il fortunato esordio del giovane direttore Daniel Harding con Idomeneo di Mozart per la regia di Luc Bondy nel 2005. E dopo una fortunata Aida, diretta nel 2006 da Riccardo Chailly (di casa alla Scala da trent’anni) per la regia di Zeffirelli, nel 2007 Tristan und Isolde, diretta da Barenboim con la regia di Chéreau e le scene di Peduzzi, ha raccolto un successo e un entusiasmo di pubblico che non teme confronti con il passato. Daniel Barenboim, che aveva instaurato dal 2006 un rapporto privilegiato con il Teatro come “maestro scaligero”, viene nominato Direttore Musicale nel 2011. Con l’opera d’apertura della Stagione 2008-09 – il Don Carlo di Verdi – viene introdotta un’importante novità: per la prima volta nella storia della Scala, la vera “prima” aperta al pubblico viene anticipata al 4 dicembre: si tratta di uno spettacolo interamente riservato ai giovani fino a 30 anni, che hanno la possibilità di assistere a questa vera première acquistando i biglietti a un prezzo poco più che simbolico. Altro traguardo di questi ultimi anni è stato l’incremento del numero di recite a stagione, mediamente oltre 260, che portano il Teatro alla Scala ai massimi livelli europei di produttività. Nella storia recente va ricordata l’esecuzione del ciclo Der Ring des Nibelungen (L’anello del Nibelungo) di Wagner, iniziata nel 2010, che si conclude quest’anno con la messa in scena della quarta e ultima opera. Poco dopo il Ring verrà rappresentato per intero, due volte di seguito in quindici giorni, una vera sfida per tutto il Teatro e per qualsiasi musicista, anche se di grande esperienza come il maestro Barenboim. Con il ritorno sul podio di Claudio Abbado, avvenuto l’anno scorso dopo 26 anni di assenza, e con la stagione corrente, grandiosamente dedicata soprattutto al bicentenario della nascita di Verdi e di Wagner, il Teatro alla Scala, a 235 anni dalla sua inaugurazione, continua a dimostrarsi un’istituzione artistica e culturale di primaria importanza nel panorama internazionale. (a cura della Redazione)

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Giuseppe Verdi in una fotografia di Giulio Rossi.

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Due operisti e un sinfonista all’opera con l’orchestra

Giuseppe Verdi, Sinfonia da La forza del destino. È molto articolato l’impianto di questo brano, come ben articolata è del resto l’opera, per ambienti, toni e tematiche differenti. Al culmine della sua fama, quando ormai scriveva solo su commissione dei massimi teatri mondiali, Verdi l’aveva completata nel 1862 per le scene di San Pietroburgo, in una forma “a quadri” – col tragico mescolato al comico – e personaggi differenti, in ambienti differenti, che alla lunga s’incontrano. Ansia, movimento e varietà sono ingredienti necessari per una storia di onore cavalleresco, con la maledizione in punto di morte di un padre ucciso per sbaglio e una vita di tribolazioni per due innamorati che non potranno mai diventare una coppia, secondo la tradizione romantica che prediligeva le variazioni sul tema di Romeo e Giulietta. Verdi aveva familiarità con la musica di Beethoven, con i suoi destini che bussano alla porta, e un po’ si sente. L’Ouverture (o Sinfonia) dell’opera, nella nuova versione del 1869, scritta per l’esecuzione alla Scala, è una variegata anticipazione dei temi salienti della vicenda, d’ambientazione spagnola, che anche per questo mostra un esemplare e fascinoso assolutismo morale, molto lontano dall’opportunismo dei tempi attuali. Fato, energia, amore, pace dello spirito, arpe angeliche: si anticipa in musica quasi tutto, in un ben organizzato caos, come nel trailer un film. Questo ottocentesco “prossimamente” è una delle pagine strumentali più autosufficienti della storia dell’opera. (f.p.) Richard Wagner, Preludio e Morte di Isotta. Poche pagine hanno l’intensità e la forza evocativa delle prime battute del preludio del Tristano: l’attacco dei violoncelli, col salto ascendente che dà l’immediata percezione di un anelito; poi l’ingresso dei fiati a formare l’accordo più celebre della storia della musica, bruciante come una ferita, fisso come un trauma; infine la linea sottile dell’oboe che dissolve questo primo blocco sonoro, la cui triplice ripetizione dà al dramma umano una dimensione sacra. La concentrazione e la pregnanza di questi tre elementi regge l’intero preludio e al tempo stesso inaugura una scrittura che avrà conseguenze determinanti anche al di fuori della musica, specialmente sulla letteratura francese: le frasi che germogliano l’una dall’altra, prolungando l’attesa, aumentando la tensione, trascolorando da uno strumento all’altro, saranno un modello anche per la prosa di Proust. La vocazione teatrale di Wagner è così forte da resistere anche al collaudo sinfonico: il Tristano non era ancora terminato, quando nel marzo 1959 Hans von Bülow volle eseguirne il Preludio durante un concerto a Praga; in quell’occasione Wagner fu sbriga-

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tivo e disse all’amico direttore di provvedere a una chiusa da concerto, perché lui in quel momento non aveva tempo per pensarci. A opera conclusa, però, non solo ci pensò (in occasione dei concerti parigini del 1860), ma ebbe successivamente anche l’idea di suturare l’incipit con il finale, ripensato in termini esclusivamente sinfonici: diretto la prima volta a Pietroburgo nel 1863 da Wagner stesso ed entrato nelle abitudini della vita concertistica anche grazie alla trascrizione di Liszt, questo dittico circolò poi sempre col nome di Preludio e Morte di Isotta (Vorspiel und Liebestod), anche se nelle carte di Wagner la dicitura originaria era Liebestod und Verklärung, ossia Morte d’amore e Trasfigurazione. Ed è veramente una trasfigurazione, quella che segna Isotta nell’ultimo suo canto, qui sublimato in orchestra: il cromatismo che aveva già permeato di sé il preludio si apre via via alla dimensione dell’inno; l’attacco col salto di quarta ascendente, così tipico del corale, convive con una soggettività ipersensibile, votata alla morte come unica salvezza possibile. Come nella scena in cui Brunilde annuncia a Siegmund la morte imminente, anche qui ritualità e interiorità si intrecciano in modo inestricabile, e l’innalzarsi sempre più vertiginoso della voce non può che avere come ultimo approdo il silenzio del nulla, quasi consumandosi nell’autocombustione interiore. (e.f.)

Antonín Dvořák, Sinfonia n. 8 in sol magg. op. 88. Nel secondo Ottocento i compositori nazionalisti dell’area slava non s’interessarono molto al genere della sinfonia, se si eccettuano i casi di Čajkovskij e di Borodin. Ad esempio Smetana, immediato predecessore di Dvořák nella cultura ceca, fu autore di poemi sinfonici. Il caso delle nove sinfonie di Antonín Dvořák mostra invece una costanza nell’applicazione a questa forma fin dall’esordio: la Sinfonia “Le campane di Zlonice” scritta nel 1865 a soli ventiquattro anni. Il musicista è noto soprattutto per l’ultima sua sinfonia detta “Dal nuovo mondo”, che raggiunse una notorietà paragonabile a quella delle sinfonie di Brahms, il grande musicista che lo aveva scoperto e promosso presso il proprio editore Simrock. Dvořák condivise però con Brahms la prudenza sinfonica: aveva già completato e fatto eseguire ben quattro sinfonie, e decise di pubblicare solo le successive. Cosicché la Sesta fu edita come Prima, la Settima come Seconda, la Quinta come Terza, l’Ottava come Quarta, e infine la più celebre Nona “Dal nuovo mondo” come Quinta. L’affezione alla forma sinfonica, ben sviluppata e variata, si spiega con la forte influenza della cultura austro-tedesca nelle terre ceche, pur patriotticamente legate al folclore nazionale. Come ha scritto Paul Nettl, eminente figura di studioso di etnomusicologia: la natura di Antonín Dvořák, confortata da un grande amore per la terra, nonché da una ferma e semplice fede in Dio e da un innato ottimismo, era fondamentalmente genuina e mai sofisticata, anche se innatamente intelligente. Percettiva e acuta, robusta e teneramente emotiva.

La sinfonia in Dvořák non risulta contagiata dalla struggente malinconia di un Brahms, ma è egualmente ricca di emozioni contrastanti, distribuite nelle varie parti: i primi movimenti sono ricchi di vigore espressivo, gli episodi centrali elegiaci e intimi-

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Richard Wagner

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stici, gli scherzi trasudano un sapore paesano e i finali sono irruenti, di vertiginosa e straripante solennità. Qualcosa di simile accade nell’Ottava Sinfonia in sol maggiore op. 88, un lavoro divenuto molto popolare, che venne proposto per la prima volta al pubblico di Praga il 2 febbraio 1890. L’Allegro con brio iniziale scorre con fluidità fra mutamenti modali (maggiore/minore), richiami pastorali leggeri e luminosi, momenti di gioiosa esaltazione e trasformazioni tematiche di sapore brahmsiano. L’Adagio è l’episodio narrativo più raccolto, su cui domina un fitto dialogo strumentale tra famiglie diverse degli strumenti, mentre nell’Allegretto grazioso, molto vivace svetta una netta impronta popolare ora danzante (Scherzo) ora elegiaca (Trio). Da ultimo abbiamo il Finale, Allegro ma non troppo, aperto da una solenne fanfara di tromba, che lascia trapelare un episodio maestoso, capace poi di trasformarsi in un chiassoso e sgargiante baccanale. (l.d.f.)

Antonín Dvořák

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GIUSEPPE VERDI CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE Marco Mattarozzi

1813 Nasce il 10 ottobre alle Roncole, frazione di Busseto. Non – come si tende a credere – una famiglia di contadini, legata alla terra; piuttosto, piccoli commercianti. Il padre, Carlo, è l’oste del luogo, con uno spaccio di generi alla rinfusa; la madre, Luigia Uttini, «fileuse» (filatrice) nei documenti del tempo, discende da certi proprietari di locanda nel Piacentino (Saliceto di Cadeo). 1821 Primo avvio alla musica con Pietro Baistrocchi, organista alle Roncole. In casa Giuseppe trascorre ore su una vecchia spinetta: un dono dei genitori e di un artigiano locale, Stefano Cavalletti («vedendo la buona disposizione che ha il giovinetto Giuseppe Verdi [...] che questo mi basta per essere del tutto pagato»). 1823 Novembre: entra al ginnasio di Busseto; messo a pigione dal ciabattino “Pugnatta”, lascia le Roncole e la famiglia. 1825 Sugli studi generali (grammatica e retorica) ha il sopravvento la musica, con le lezioni del maestro di cappella Ferdinando Provesi. Intanto, morto il Baistrocchi, Giuseppe ha preso il suo posto alle Roncole; nei giorni di festa, solo, raggiunge a piedi la vecchia chiesa sul ciglio della strada. 1828 Prime prove di composizione, sconfessate e distrutte dal Verdi maturo: marce per banda, pezzi sacri, cantate, persino (l’incoscienza dei quindici anni) una sinfonia per il Barbiere rossiniano, rappresentato al teatro di Busseto. 1829 Allievo e aiuto, comincia a sostituire il Provesi nelle sue varie mansioni: all’organo, nella locale scuola di musica, alle prove della

Società filarmonica. Con un attestato del maestro concorre, senza fortuna, per il posto di organista a Soragna. 1831 Baistrocchi, Provesi: il terzetto dei primi sostenitori di Verdi si completa con Antonio Barezzi, personaggio influente in paese, uomo positivo e progressivo, «commerciante in coloniali» e, come tale, fornitore dello spaccio alle Roncole. Sin dall’inizio ha intuito le doti del ragazzo, favorendo (quasi imponendo) gli studi e il trasferimento a Busseto; ora lo accoglie in casa, con i suoi sei figli: la sera si fa spesso musica (Barezzi è tra i fondatori della Filarmonica), e da tempo Giuseppe è il pupillo di queste riunioni fra dilettanti. 1832 Il Monte di Pietà di Busseto concede una borsa di studio, ma a una condizione: sarà Barezzi, in qualità di garante, ad assumerne inizialmente l’onere; il Monte interverrà in un secondo tempo, allo scadere (novembre 1833) dei sussidi già in corso. La spesa e il rischio, di per sé notevoli, aumentano ancora dopo un celebre episodio, divenuto presto leggenda: giunto a Milano, Verdi non viene ammesso al Conservatorio; la mano è male impostata, ed è tardi ormai per tentare di correggerla; il ragazzo d’altronde ha superato i limiti d’età, e non è neppure suddito del Lombardo-Veneto. Barezzi non si dà per vinto, e finanzia – pressoché da solo – il mantenimento in città e le lezioni private: per tre anni Verdi studia contrappunto e i classici con Vincenzo Lavigna, maestro al cembalo alla Scala e allievo favorito di Paisiello. 1833 Con la morte del Provesi iniziano le manovre per la successione: a Verdi, sostenu-

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to da Barezzi, il prevosto oppone tale Giovanni Ferrari, maestro di cappella (provvisorio) a Guastalla e devoto padre di cinque figli; la contesa, come è facile immaginare, divide e infiamma Busseto, e finirà per segnare – con il precedente della borsa di studio – l’atteggiamento di Verdi verso il proprio ambiente. 1834 Introdotto da Lavigna, partecipa alle prove dei nobili Filarmonici milanesi: in un’occasione subentra ai maestri accompagnatori, e concerta al cembalo La creazione di Haydn (aprile); frequenta con assiduità la Scala (un altro suggerimento di Lavigna), in stagioni dominate dalle opere di Mercadante e Donizetti. Di questi anni «d’istruzione pratica, soda, seria» (minuta del 21 gennaio 1883) si conserva solo un’aria, Io la vidi, con correzioni d’altra mano nello strumentale. 1836 Parma, 28 febbraio: supera l’esame per il posto di «maestro di musica» a Busseto; al Ferrari, eletto nel 1834 con un colpo di mano, resta solo l’organo della Collegiata. Il 4 maggio sposa Margherita Barezzi; meta del viaggio di nozze è naturalmente Milano, ai cui miraggi il “maestrino” non intende ora rinunciare: è il tempo del Rocester, il nebuloso progetto di un’opera mai rappresentata, rifluita forse (non ne è rimasta una sola nota) nell’Oberto. 1838 Pubblica presso Canti, a Milano, Sei romanze per voce e pianoforte. In agosto perde la prima figlia, Virginia, di soli sedici mesi; anche Icilio, appena nato, morirà all’incirca alla stessa età. 1839 Lascia Busseto, il posto di maestro, il mondo che lo ha visto crescere, e si trasferisce con la moglie a Milano (6 febbraio). Non è un salto nel buio: alla Scala è in programma Oberto, conte di San Bonifacio, su un libretto riveduto da Temistocle Solera; sospesa e rinviata all’autunno, l’opera ha un esito promettente, con quattordici repliche dopo la “prima” del 17 novembre: l’impresario Merelli offre a Verdi un contratto per tre nuovi titoli (uno comico), mentre Ricordi, con infallibile fiuto, si assicura la stampa dell’Oberto. Brevi pagine presso Canti: L’esule (testo di Solera) e La seduzione (L. Balestra) per voce e pianoforte; Guarda che bianca luna (J. Vittorel-

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li), notturno per soprano, tenore e basso, con flauto obbligato. 1840 Contraccolpo tragico e amaro: il 18 giugno muore la moglie, Margherita; il 5 settembre la nuova opera comica, Un giorno di regno, su un antiquato libretto di Felice Romani (Il finto Stanislao, 1818), cade senza appello alla Scala (nessuna replica). Scoraggiato, avvilito, Verdi medita di abbandonare tutto; lo salveranno l’astuzia, l’interesse, la fiducia di Merelli, unico punto di riferimento in una città ora estranea. 1842 9 marzo: trionfo alla Scala per Nabucodonosor (Nabucco), sul libretto di Solera indicato dal Merelli; ripresa nella stagione d’autunno, l’opera tiene il cartellone per cinquantasette sere. Nuovo contratto, e improvvisa celebrità: Verdi diviene un protagonista della vita milanese, conteso dai salotti, presente in ogni aspetto della società del tempo, dalla moda (cappelli, cravatte “alla Verdi”) alle idee di riscatto nazionale. Raggiunge Bologna per la storica esecuzione dello Stabat Mater di Rossini: prima visita al maestro; Chi i bei dì m’adduce (da Goethe) per voce e pianoforte. 1843 Scala, 11 febbraio: I lombardi alla prima crociata (Solera, dal poema di Tommaso Grossi) rinnovano il successo del Nabucco. Ora l’attività si espande e si intensifica: viaggio a Vienna per Nabucco (l’impresa del Teatro di Porta Carinzia è nelle mani di Merelli); accordo con La Fenice per una nuova opera: inizio della collaborazione con Piave (al suo debutto come librettista), primi spunti per un Re Lear. 1844 Ernani a Venezia (La Fenice, 9 marzo; Piave, dal dramma di Victor Hugo): successo discreto, malgrado le resistenze e la cattiva prestazione dei cantanti, giunti affaticati alla “prima”; l’opera è presto ripresa a Vienna (oltre che alla Scala e in varie città italiane), diretta da Donizetti. Da qui al termine del decennio gli impegni teatrali incalzano, non concedono tregua: la «galera» verdiana ha inizio – a stretto rigore – con I due Foscari, rappresentati a Roma con un buon successo (Teatro Argentina, 3 novembre; Piave, da Byron).


Giuseppe Verdi fotografato nel 1844 (Milano, Museo Teatrale alla Scala).

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1845 Giovanna d’Arco per la Scala (15 febbraio; Solera, da Schiller), Alzira per il San Carlo di Napoli (12 agosto; Cammarano, da Voltaire). Scritta nel giro di quattro settimane (ma bene accolta dal pubblico), Giovanna d’Arco è all’origine della rottura con Merelli e il teatro milanese: Verdi tornerà alla Scala soltanto per Otello (1887), preceduto – tappe di un riavvicinamento graduale – dalla “prima” europea di Aida (1872) alla nuova versione di Simon Boccanegra (1881). Pubblica presso Lucca – l’editore del Corsaro e dei Masnadieri, le sole opere sottratte a Ricordi – un Album di sei romanze per voce e pianoforte; con i primi successi parigini (Nabucco al Théâtre Italien) cede a Léon Escudier i diritti di traduzione per la Francia. 1846 Venezia, 17 marzo: contrastata “prima” di Attila alla Fenice (libretto di Solera, completato da Piave e da Andrea Maffei); l’opera si afferma nel corso delle repliche, sull’onda dell’entusiasmo patriottico. Giuseppina Strepponi, prima interprete di Abigaille nel Nabucco, abbandona le scene e apre a Parigi una scuola di canto. 1847 Cauto debutto all’estero, dopo la grande fiammata del Macbeth (Firenze, Teatro della Pergola, 14 marzo; libretto di Piave, riveduto dal Maffei): I masnadieri a Londra (Her Majesty’s Theatre, 22 luglio; Maffei, da Schiller), con esito – al di là del successo al gala inaugurale – deludente; Jérusalem, rifacimento dei Lombardi per l’Opéra (26 novembre). Dal 27 luglio Verdi è a Parigi: inutili trattative per un libretto di Scribe, inizio dell’unione con la Strepponi. 1848 Aprile-maggio: breve viaggio a Milano e Busseto, per l’acquisto dei terreni di Sant’Agata. Con in tasca il primo contratto a lunga scadenza con Ricordi (1847), scrive per l’editore Lucca Il corsaro, senza una destinazione precisa – caso unico – e senza poi intervenire alle prove o alla rappresentazione (Trieste, Teatro Grande, 25 ottobre; libretto di Piave, da Byron); invia a Mazzini – conosciuto a Londra e incontrato ora a Milano – l’inno Suona la tromba, su versi di Goffredo Mameli. 1849 27 gennaio: La battaglia di Legnano (Cammarano) al Teatro Argentina, nel clima

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di esaltazione della Repubblica Romana; il quarto atto viene regolarmente bissato, presenti Mazzini e Garibaldi. A fine estate – esaurita la fase insurrezionale e rivoluzionaria – Verdi, con la Strepponi, torna a vivere nei suoi luoghi, sfidando chiacchiere e pregiudizi: si insedia al piano nobile del palazzo Dordoni (acquistato nel 1845), lungo la via principale di Busseto, e intanto segue i lavori alla proprietà di Sant’Agata. Una nuova stabilità e tranquillità, dopo i tentativi, i passi incerti o frenetici degli ultimi anni; Luisa Miller va in scena di lì a poco (Napoli, San Carlo, 8 dicembre; Cammarano, dal dramma Kabale und Liebe di Schiller), con successo contenuto. 1850 Stiffelio a Trieste (16 novembre; Piave, da una recente pièce francese), mentre già fervono i progetti intorno allo “scandaloso” dramma di Hugo, Le roi s’amuse; torna ad affacciarsi l’idea del Re Lear (traccia dei quattro atti per Cammarano). 1851 La Fenice, 11 marzo: dopo noie e scontri con la censura, Rigoletto (Piave) trova la via della scena; successo immediato e vivissimo, presto replicato nei maggiori teatri (nel 1857 anche a Parigi, nonostante il veto di Victor Hugo). In primavera, pronta ormai la villa di Sant’Agata (più tardi ampliata), Verdi vi si trasferisce, ben deciso a difendere – agli occhi dei bussetani e del mondo teatrale – la propria «libertà d’azione», il proprio spazio segreto; tralascia per ora le offerte dell’Opéra (Don Carlos), con una punta d’orgoglio – o di compiacimento – per la nuova immagine “contadina”: amministra di persona i fondi, scava pozzi artesiani, si interessa di argini, di sementi, di mezzi e metodi di coltivazione (sarà il primo, anni dopo, a importare dall’Inghilterra le macchine agricole). Il 30 giugno perde la madre; il 10 dicembre, ottenuto un prestito da Ricordi, parte con la Strepponi per Parigi. 1852 Febbraio: al Théâtre du Vaudeville si rappresenta con enorme successo La dame aux camélias, adattamento scenico del romanzo di Dumas figlio (1848). Contatti con l’Opéra per un nuovo titolo, spettacolo clou per l’Esposizione Universale del 1855. Riceve le insegne di cavaliere della Legion d’onore (consegnate dall’amico Escudier); a metà marzo rientra in Italia.


1853 Il trovatore a Roma (Teatro Apollo, 19 gennaio; Cammarano, dal dramma romantico di García Gutiérrez), La traviata a Venezia (La Fenice, 6 marzo; Piave, da Dumas figlio): quarantasei giorni fra un trionfo e un fiasco (puntualmente previsto). Il trovatore approderà a Parigi nel 1854, sulle scene amiche del Théâtre Italien; Verdi vi torna già in ottobre, per la lunga marcia di avvicinamento ai Vespri. 1854 La traviata è riproposta con successo a Venezia (Teatro San Benedetto, 6 maggio), con alcune modifiche e una diversa compagnia di canto. 1855 Felice esito per Les vêpres siciliennes (Opéra, 13 giugno; libretto di Scribe e Duveyrier, ripreso da Le duc d’Albe per Donizetti): oltre cinquanta repliche, dopo le peripezie e le tensioni degli otto mesi di prove; l’opera, subito tradotta in italiano, è presentata a Parma con il titolo Giovanna de Guzman (26 dicembre). Breve puntata a Londra, per la tutela dei diritti sul Trovatore: era ancora prassi corrente, in Italia e all’estero, ricavare l’orchestrazione di un nuovo lavoro da spartiti pirata, o tagliare e sostituire interi brani con opere di altri compositori; Verdi interverrà energicamente a più riprese, per affermare e difendere l’integrità delle proprie creazioni. In dicembre rientro a Sant’Agata. 1857 Le trouvère: Il trovatore adattato agli spazi e alla misura dell’Opéra, con l’inserimento del balletto d’obbligo. All’indomani della première (12 gennaio) due titoli attendono Verdi, testimoni – su piani diversi, complementari – di una delicata fase di transizione: Simon Boccanegra vale un nuovo fiasco alla Fenice (12 marzo; Piave, da García Gutiérrez); Aroldo, un effimero successo in provincia, con l’inaugurazione del teatro di Rimini (16 agosto; rifacimento di Stiffelio). 1858 Insormontabili difficoltà di censura portano a sciogliere un contratto con il San Carlo: come già Il trovatore, anche Un ballo in maschera (con il titolo originario, Una vendetta in domino) è offerto all’impresario romano Jacovacci. Dopo Venezia, Napoli: un’altra esperienza chiusa; di fatto, nel primo decennio dell’Italia unita, Verdi scriverà solo per teatri stranieri.

1859 Roma, 17 febbraio: Un ballo in maschera al Teatro Apollo (Antonio Somma, dal libretto di Scribe per Gustave III di Auber); successo travolgente, con le proverbiali grida di «Viva V.E.R.D.I.» (coniate il mese prima alla Scala, e presto diffuse in tutta la penisola). Il 29 agosto sposa, nella piccola chiesa di Collonges-sous-Salève (Savoia), Giuseppina Strepponi; testimoni di nozze il campanaro e il cocchiere. Poco dopo è eletto rappresentante di Busseto, per il plebiscito sull’annessione al Regno Sardo: si reca in delegazione a Torino, a Leri incontra Cavour (16 settembre). 1861 È deputato nel primo Parlamento unitario, per il collegio di Borgo San Donnino (Fidenza). Fine novembre: parte con la moglie per Pietroburgo, in vista del debutto di La forza del destino (una commissione dei Teatri Imperiali); la compagnia di canto non offre garanzie, e l’opera è rinviata di un anno. 1862 Per l’Esposizione di Londra compone, su testo del giovanissimo Arrigo Boito, l’Inno delle nazioni per tenore, coro e orchestra. Secondo viaggio a Pietroburgo, via Mosca (trionfali accoglienze al Trovatore); La forza del destino (Piave, dal dramma Don Álvaro, ó La fuerza del sino di Ángel de Saavedra, rutilante “manifesto” del teatro romantico spagnolo) va finalmente in scena il 10 novembre: successo strepitoso, turbato alle repliche dall’ostilità dei giovani compositori russi. 1863 Mentre Boito, in un celebre brindisi, inneggia intrepido «alla salute dell’arte italiana», alla sua liberazione dalle formule melodrammatiche tradizionali, la nuova opera dilaga da un capo all’altro d’Europa: per una rappresentazione a Madrid, Verdi si spinge per la prima volta in Spagna (visita all’Escorial). Ripresa dei Vespri all’Opéra, trattative per la direzione del Théâtre Italien. 1865 Presenta a Parigi (Théâtre Lyrique, 21 aprile) la nuova versione del Macbeth, con esito modesto. Contratto con l’Opéra, per la grande vetrina dell’Esposizione 1867: dopo un ultimo sguardo al Re Lear, la scelta cadrà sul Don Carlos di Schiller. 1866 Affitta un appartamento a Genova (palazzo Sauli), abituale ritiro per i mesi invernali.

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Giovanni Boldini. Ritratto di Giuseppe Verdi seduto, Parigi, 1886 (Milano, Casa di riposo per musicisti G. Verdi).

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1867 Dopo rinvii, tagli, interventi dell’ultima ora, Don Carlos (libretto di Méry e Du Locle) va in scena all’Opéra l’11 marzo: perplessità e malumori, con accuse di wagnerismo dalla stampa parigina; alla prima rappresentazione italiana, a Bologna (Teatro Comunale, 27 ottobre, direttore Angelo Mariani), l’opera ottiene vivo successo. Muoiono il padre, Carlo, e Antonio Barezzi. 1868 Incontra a Milano – auspice, con la moglie, la contessa Maffei – Alessandro Manzoni (30 giugno): il contemporaneo ammirato, venerato, presente a Verdi sin da quando, nella «faraggine di pezzi» per Busseto, poneva in musica Il cinque maggio o i cori delle tragedie. Alla morte di Rossini (13 novembre) promuove un omaggio collettivo: una Messa da Requiem, divisa fra «i più distinti maestri italiani», per celebrare in San Petronio l’anniversario; l’esecuzione non avrà luogo, e il contributo verdiano (“Libera me”) entrerà con modifiche nel Requiem del 1874. 1869 In occasione della “prima” scaligera (27 febbraio) presenta una versione riveduta di La forza del destino, con l’aggiunta – fra l’altro – della Sinfonia e un nuovo quadro finale. Riceve l’offerta di Ismail pascià per un’opera destinata al teatro del Cairo (inaugurato in novembre con Rigoletto, a pochi giorni dall’apertura del Canale di Suez). 1871 Assiste a Bologna a Lohengrin (replica del 19 novembre), primo passo della fortuna di Wagner in Italia. 24 dicembre: Aida al Cairo (libretto di Antonio Ghislanzoni, su una traccia dell’egittologo Mariette), quasi un anno dopo la data fissata: scene e costumi, realizzati a Parigi, sono stati bloccati dall’assedio prussiano; successo memorabile, ripetuto alla Scala («la vera “prima”» per Verdi, in Egitto assente) la sera dell’8 febbraio 1872. 1873 A Napoli, fra le prove di Aida, scrive il Quartetto in mi minore per archi; la prima esecuzione avviene, dinanzi a una ristretta cerchia di amici, in un albergo di via Partenope (1˚ aprile). Per qualche anno Verdi negherà a Ricordi la stampa del Quartetto: un modo per salvaguardare il suo carattere di otium, di privato “divertimento”, inassimilabile alle forme – qui reinventate una volta per tutte – della coeva musica strumentale.

La morte del Manzoni riporta in primo piano l’idea del Requiem, offerto ora (lettera al sindaco Belinzaghi) alla città del grande scomparso. 1874 Milano, chiesa di San Marco: dirige i complessi scaligeri nella Messa da Requiem, nel primo anniversario della morte di Manzoni (22 maggio); il lavoro, portato in breve tempo a Parigi, Londra, Vienna, desta forte impressione negli ambienti musicali europei. Nuovo domicilio a Genova: le terrazze e il giardino di palazzo Doria accoglieranno Verdi sempre più spesso, fino all’estrema vecchiaia. In dicembre è nominato senatore. 1875 Prima esecuzione pubblica del Quartetto, al Conservatorio di Milano (9 dicembre). 1879 L’anno dell’incontro con Boito, “recuperato” alla via maestra dopo le intemperanze di gioventù: un incontro propiziato da Giulio Ricordi (Verdi non avrebbe mai fatto il primo passo, e attenderà due anni per aprire a Boito le porte di Sant’Agata), con i buoni uffici di Clarina Maffei; risale a luglio la «tela» per Otello, seguita (novembre) da una prima stesura del libretto. 1880 Trionfale debutto di Aida all’Opéra (22 marzo), con l’ampliamento delle danze. 18 aprile: Franco Faccio dirige alla Scala il Pater noster per coro a cinque voci e l’Ave Maria per soprano e archi. Inizio del carteggio con Boito (15 agosto). 1881 Presenta alla Scala la nuova versione di Simon Boccanegra: il «tavolo zoppo», il «vecchio cane ben bastonato», da tanti anni nel cuore di Verdi. Successo di stima (24 marzo; libretto rimaneggiato da Boito); nei ruoli di Simone e di Gabriele Adorno figurano già i protagonisti – Victor Maurel e Francesco Tamagno – della “prima” di Otello. 1884 Don Carlo, revisione in quattro atti del grand-opéra: avviata nel 1882 e destinata in un primo tempo a Vienna, va in scena alla Scala il 10 gennaio; sul podio Franco Faccio, divenuto ormai (con Boccanegra, con le riprese di Aida e del Requiem) il direttore di fiducia di Verdi.

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1886 Nuova edizione italiana di Don Carlo, per il teatro di Modena: con il ripristino dei cinque atti e, al loro interno, le modifiche della versione 1884.

ca», un teatro più piccolo, raccolto). Successo lieto; si ammira la vitalità del “gran vecchio”, sfugge – se non a pochissimi – la portata, il valore profetico di questo congedo.

1887 Otello alla Scala (5 febbraio): attesa eccitata, agitazione festosa per un avvenimento che coinvolge l’intera città («Otellopolis», nelle cronache di Blanche Roosevelt); a quindici anni da Aida, a quattro dalla morte di Wagner, l’opera è una gioia e una rivelazione per il mondo musicale. 6 novembre: si inaugura a Villanova sull’Arda (il comune di Sant’Agata) l’ospedale voluto e finanziato da Verdi; né scritte né dediche, solo una medaglia commemora il gesto.

1894 Ultimi soggiorni a Parigi, per il debutto di Falstaff (Opéra Comique, aprile) e Otello (Opéra, ottobre; con il nuovo balletto).

1889 Acquista un terreno alla periferia di Milano, «senza idea fissa di quello che ne farò o potrò fare»: vi sorgerà la Casa di riposo per musicisti, «l’opera mia più bella», su progetto (in appalto nel 1896) di Camillo Boito. Compone – quasi per gioco – l’Ave Maria a quattro voci, «sopra una scala enigmatica»; riceve da Boito (Montecatini, inizio luglio) l’abbozzo del libretto di Falstaff. 1892 Dirige alla Scala (8 aprile) la preghiera del Mosè, per il centenario della nascita di Rossini: è l’ultima apparizione sul podio. 1893 9 febbraio: “prima” di Falstaff alla Scala (Verdi sognava, per la sua «commedia liri-

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1897 Muore a Sant’Agata Giuseppina Strepponi (14 novembre): un grave colpo, dopo la perdita di tanti amici (Piave, Escudier, i Maffei), nel progressivo dissolversi del proprio mondo. Ora Verdi è assistito da Maria, la figlia adottiva; persuaso da Boito e da Ricordi, trascorre gli inverni in città, nella suite al primo piano dell’Hôtel de Milan. 1898 Pubblicazione e prima esecuzione (Parigi, 7 aprile) dei Quattro pezzi sacri: con l’Ave Maria – che Verdi però non fece eseguire –, lo Stabat Mater per coro e orchestra (1896-97), le Laudi alla Vergine Maria per coro femminile (una pagina degli anni fra Otello e Falstaff), il Te Deum per doppio coro e orchestra (1895-96). 1901 Il 21 gennaio perde conoscenza, vittima di un ictus; si spegne, dopo alcuni giorni di agonia, la notte del 27, nella sua camera d’albergo. La salma è trasferita al Monumentale e, un mese dopo, nella cappella della Casa di riposo.


RICHARD WAGNER CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE Cesare Fertonani

1813 22 maggio: a Lipsia nasce (Wilhelm) Richard Wagner, ultimo di nove figli di Carl Friedrich, funzionario di polizia, e Johanna Rosine Pätz. 23 novembre: il padre muore nell’epidemia di febbre tifoidea seguita alla battaglia di Lipsia. 1814 28 agosto: la madre si risposa con l’attore, poeta e pittore Ludwig H. Ch. Geyer. La famiglia si trasferisce a Dresda, dove Geyer ottiene un impiego presso il Teatro di Corte. 1821 30 settembre: morte del patrigno. 1822 Entra alla Kreuzschule, e si appassiona alla letteratura greca e alla storia. Tuttavia, la madre teme che anche Richard intraprenda, come il fratello maggiore Albert e le sorelle Rosalie, Cläre e Luise, la carriera teatrale o musicale. 1828 Ritorno a Lipsia. Wagner è iscritto al Nicolai-Gymnasium; insofferente per la rigidità dell’educazione scolastica, è assai più attratto dalla drammaturgia (Shakespeare, Goethe, Schiller) e dalla musica (Mozart, Beethoven, Weber). Scrive la tragedia Leubald, e proprio l’ascolto delle sinfonie di Beethoven lo spinge a dedicarsi alla musica: imbocca la via dell’autodidassi con il Metodo di basso numerato di J. B. Logier e, di nascosto dalla famiglia, prende lezioni di armonia da Ch. G. Müller. 1829 Continua a studiare musica con Müller. L’ascolto della cantante Wilhelmine Schröder Devrient in Fidelio gli lascia un ricordo indelebile. Scrive due Sonate per pianoforte e un Quartetto d’archi, composizioni oggi perdute.

1830 Giugno: abbandona il Nicolai-Gymnasium e si iscrive alla Thomasschule. Luglio: partecipa ai fermenti rivoluzionari di Lipsia. Trascrive per pianoforte la Nona sinfonia di Beethoven e compone alcuni lavori orchestrali, oggi perduti: Paukenschlag-Ouverture, eseguita al Teatro di Corte il 24 dicembre; Ouverture per Die Braut von Messina (F. Schiller); Ouverture in do maggiore. 1831 23 febbraio: si iscrive all’Università di Lipsia per studiarvi musica. Trova inoltre un insegnante di composizione in Ch. Th. Weinlig, Kantor della Thomaskirche. Compone: Ouverture in re minore per orchestra; Ouverture in mi bemolle maggiore per orchestra (perduta); Sonata per pianoforte a quattro mani (perduta); Sonata op. 1 (pubblicata da Breitkopf und Härtel l’anno successivo); Fantasia op. 3 per pianoforte. 1832 Si reca a Vienna, dove ha occasione di apprezzare la musica di Johann Strauss figlio, e quindi a Praga. Qui scrive il libretto (poi distrutto) e parte della musica dell’opera Die Hochzeit. Termina di comporre: Sinfonia in do maggiore, eseguita a Praga in novembre; Ouverture per König Enzio (E. Raupach); Sette brani per il Faust di Goethe op. 5 per voce e pianoforte; Polonaise op. 2 per pianoforte a quattro mani; Sonata op. 4 per pianoforte. 1833 Gennaio: si trasferisce a Würzburg, dove il fratello maggiore Albert, cantante, lo aiuta a ottenere il posto di maestro del coro nel teatro cittadino. Inizia la stesura dell’opera Die Feen (da La donna serpente di C. Gozzi). 1834 6 gennaio: termina l’opera romantica Die Feen. In luglio, al ritorno da un viaggio in

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Ernst Benedikt Kietz (incisore anonimo da un disegno di). Richard Wagner nel 1842 (Milano, Museo Teatrale alla Scala).

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Boemia, viene nominato direttore d’orchestra della compagnia itinerante di Heinrich Bethmann, attiva soprattutto a Magdeburgo. Qui conosce l’attrice e cantante Minna Planer e se ne innamora. In estate scrive il testo per l’opera Das Liebesverbot oder Die Novize von Palermo (da Measure for Measure di W. Shakespeare). Compone la Neujahrs-Kantate (W. Schmale) per coro e orchestra. 1835 Inizia la composizione di Das Liebesverbot e scrive l’Ouverture per Columbus (Th. Apel). 1836 29 marzo: a Magdeburgo, prima e unica rappresentazione di Das Liebesverbot. In conseguenza del fallimento dell’impresario Bethmann, il Teatro di Magdeburgo è costretto a chiudere. Dopo aver invano cercato una sistemazione a Berlino, a luglio raggiunge Minna Planer a Königsberg. 24 novembre: sposa Minna a Tragheim, nei pressi di Königsberg. Scrive l’Ouverture «Polonia» per orchestra. 1837 Aprile: inizia a lavorare come direttore musicale del Teatro di Königsberg. La sua vita è avvelenata dalla gelosia e dall’infedeltà della moglie, che in seguito fugge con un agiato uomo d’affari. In estate Wagner si stabilisce a Riga, dove gli viene affidata la direzione musicale del Teatro. In autunno si riconcilia con la moglie, che lo raggiunge nella capitale lèttone. Risalgono a quest’anno: Ouverture «Rule Britannia» per orchestra; Nicolai-Volkshymne per coro e orchestra. 1838 A Riga inizia la stesura dell’opera Rienzi: il soggetto storico è ispirato al romanzo di E. Bulwer Lytton, Rienzi, the Last of the Tribunes. 1839 Marzo: viene licenziato dal Teatro di Riga per dissapori e contrasti con la direzione. Luglio: assediato dai creditori, fugge con la moglie dalla città baltica. Burrascosa traversata verso Londra a bordo della goletta Thetis e sosta nel fiordo norvegese di Sandwike; durante il viaggio prende corpo l’idea di scrivere un’opera sulla saga dell’Olandese volante. Dopo una breve sosta a Londra, Wagner giunge infine a Parigi il 17 settembre. Conosce Hector Berlioz.

1840 Nonostante un certo appoggio da parte di Giacomo Meyerbeer, Wagner non riesce a inserirsi nel mondo musicale parigino. Per sopravvivere, è costretto a elaborare riduzioni per vari strumenti di opere alla moda e a scrivere articoli sulla «Gazette Musicale» di M. A. Schlesinger. In autunno viene incarcerato per breve tempo quale debitore insolvente. 19 novembre: termina l’opera in cinque atti Rienzi. Conosce Heinrich Heine. Compone: Ouverture per Faust (J. W. Goethe); La descente de la courtille (P. Dumanoir) per coro e orchestra; Trois mélodies (V. Hugo, P. Ronsard) e Les deux grenadiers (F. A. Loeve-Veimar, da H. Heine) per voce e pianoforte. Sulla «Gazette Musicale» appare la novella Eine Pilgerfahrt zu Beethoven. 1841 Si dedica alla composizione del poema e della partitura di Der fliegende Holländer (da H. Heine). L’opera Rienzi viene accettata dal Teatro di Corte di Dresda e programmata per la stagione successiva. Conosce Franz Liszt, del quale diverrà in breve tempo amico fraterno. 1842 In aprile, i Wagner lasciano Parigi per Dresda. All’inizio dell’estate, nel corso di un soggiorno a Teplitz, risalgono i primi abbozzi letterari e musicali per Der Venusberg (poi ribattezzato Tannhäuser). 20 ottobre: la prima rappresentazione di Rienzi, der letzte der Tribunen al Teatro di Corte di Dresda riscuote entusiastici consensi. 1843 2 gennaio: al Teatro di Corte di Dresda va in scena Der fliegende Holländer; l’accoglienza del pubblico è soltanto cordiale. Febbraio: Wagner accetta la nomina a direttore musicale del Regio Teatro di Dresda. Inizia a comporre Tannhäuser, scrive la scena biblica Das Liebesmahl der Apostel (su testo proprio) per coro maschile e orchestra, e Gesang zur Enthüllung des Denkmals Sr. Maj. des hochseligen Königs Friedrich August des Gerechten per coro maschile e ottoni. 1844 In gennaio è a Berlino per dirigere Der fliegende Holländer, in marzo ad Amburgo per la rappresentazione di Rienzi. Continua a lavorare a Tannhäuser e compone Trauermusik (su temi dell’Euryanthe di Weber) per

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fiati e percussioni, per la traslazione delle spoglie di Weber da Londra a Dresda. 1845 In aprile termina la partitura di Tannhäuser. In estate, abbozza le sceneggiature di due nuove opere, che saranno Lohengrin e Die Meistersinger von Nürnberg. 19 ottobre: a Dresda, prima rappresentazione di Tannhäuser, diretta dall’autore; la reazione del pubblico è gelida. Conosce Robert Schumann. 1846 A causa del cattivo esito di Tannhäuser, si dedica soprattutto allo studio e alla direzione d’orchestra. 15 aprile: dirige una storica esecuzione della Nona sinfonia di Beethoven. 1847 22 febbraio: dirige a Dresda Ifigenia in Aulide di Gluck, dopo averne curato la revisione. Lavora alla partitura di Lohengrin. 1848 9 gennaio: morte della madre. In aprile porta a termine la partitura di Lohengrin. In maggio l’ondata rivoluzionaria esplosa in febbraio a Parigi raggiunge gli Stati tedeschi: Wagner partecipa a Dresda alle manifestazioni di rivolta e si guadagna l’ostilità del re e del parlamento con un discorso politico pronunciato alla Società patriottica. Scrive il testo Siegfrieds Tod, primo nucleo poetico di Götterdämmerung, e il saggio Der Nibelungen-Mythus als Entwurf zu einem Drama. 1849 Conosce l’anarchico russo Michail Bakunin e si dedica alla pubblicistica politica. In maggio, partecipa all’insurrezione di Dresda; causa il fallimento dei moti e la conseguente repressione, è costretto a fuggire dalla capitale sassone. Ripara a Chemnitz e quindi a Weimar, presso Liszt, dove viene raggiunto da un mandato di cattura; con l’aiuto dell’amico, passa in Svizzera e, dopo una breve tappa a Parigi, si stabilisce a Zurigo. Progetta due lavori teatrali, Jesus von Nazareth e Achilleus, e scrive i saggi Die Revolution, Die Kunst und die Revolution e Das Kunstwerk der Zukunft. 1850 Si dedica al libretto di un’opera per Parigi, Wieland der Schmied. Febbraio: è a Parigi, ma il progetto dell’opera non incontra successo. Breve e agitata relazione con una giovane ammiratrice, Jessie Laussot, con la

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quale medita di recarsi in Grecia e in Asia Minore. Luglio: ritorno a Zurigo. 28 agosto: al Teatro Arciducale di Weimar, Liszt dirige la prima rappresentazione di Lohengrin. Scrive il saggio di ispirazione razziale Das Judentum in der Musik. 1851 Gennaio: completa il suo principale scritto teorico, Oper und Drama. Elabora il testo poetico Der junge Siegfried (poi Siegfried) e concepisce il ciclo dei Nibelunghi (Der Ring des Nibelungen) come opera in quattro parti; stende lo scritto autobiografico Eine Mitteilung an meine Freunde. 1852 Porta a termine i testi letterari di Die Walküre (prima giornata del Ring) e di Das Rheingold (vigilia del Ring). Luglio: primo viaggio in Italia: è a Domodossola e sul Lago Maggiore. 15 dicembre: è concluso il ciclo poetico Der Ring des Nibelungen. Consta di una vigilia, Das Rheingold, e di tre giornate: Die Walküre, Siegfried e Götterdämmerung; tuttavia, Siegfried e Götterdämmerung sono titoli che verranno a sostituire quelli originali, rispettivamente Der junge Siegfried e Siegfrieds Tod, soltanto nel giugno 1856. 1853 Divenuto figura di spicco della vita musicale zurighese, Wagner dirige opere e concerti in molte città svizzere. Settembre: secondo viaggio in Italia; visita Torino, Genova e La Spezia. Novembre: inizia la composizione del Rheingold. 1854 S’innamora di Mathilde Wesendonck, moglie di Otto, ricco e benevolo amico zurighese. 28 maggio: termina la composizione del Rheingold. Inizia subito dopo a lavorare alla partitura della Walküre. Su suggerimento del poeta Georg Herwegh, legge con entusiasmo Die Welt als Wille und Vorstellung di Arthur Schopenhauer, testo filosofico che segnerà profondamente la vita e l’esperienza creativa di Wagner. Vagheggia l’idea di un’opera sull’amore come passione irrealizzabile e rinuncia: è il primo germe di Tristan und Isolde. 1855 Marzo-giugno: è a Londra, su invito della Società Filarmonica, per dirigere otto concerti sinfonici. Il viaggio londinese non gli procura il riscontro economico sperato; unica


consolazione, a compensare l’ostilità della stampa, il successo di pubblico. 1856 20 marzo: termina la partitura della Walküre. Appassionatosi alle dottrine buddhiste, in maggio traccia uno schizzo per un dramma teatrale poi incompiuto, Die Sieger. In settembre inizia la composizione di Siegfried (seconda giornata del Ring), in dicembre abbozza la sceneggiatura di Tristan und Isolde. 1857 10 aprile: schizza il primo abbozzo letterario di Parzival (il futuro Parsifal). 28 aprile: si trasferisce nella casa chiamata «Asilo», di proprietà dei Wesendonck. In agosto interrompe la composizione di Siegfried per dedicarsi a Tristan und Isolde: alla stesura del testo e quindi, da ottobre, alla composizione musicale. A fine novembre inizia Fünf Gedichte für eine Frauenstimme (WesendonckLieder), ciclo di Lieder per voce e pianoforte: le poesie sono di Mathilde Wesendonck. 1858 A maggio completa i WesendonckLieder. La situazione precipita: la moglie scopre il suo amore per Mathilde Wesendonck. 17 agosto: lascia Zurigo alla volta di Venezia. Prende dimora a Palazzo Giustinian, dove continua a lavorare a Tristan und Isolde. 1859 24 marzo: giudicandolo persona non gradita per i suoi trascorsi rivoluzionari, la polizia austriaca lo costringe a lasciare Venezia. Si reca a Lucerna. 6 agosto: termina la partitura di Tristan und Isolde. In settembre si trasferisce a Parigi. 1860 Gennaio-febbraio: dirige tre concerti con brani di proprie opere al Théâtre-Italien. 1861 Completa la versione parigina del Tannhäuser, con le nuove stesure del Baccanale e della scena del Venusberg. 13 marzo: la prima rappresentazione di Tannhäuser all’Opéra origina un caso teatrale. Dopo tre recite, disturbate dai soci del Jockey Club, ostili alla principessa di Metternich, patrona di Wagner a Parigi, il compositore ritira l’opera dal cartellone. Si conquista comunque l’ammirazione del mondo letterario: Charles Baudelaire, Théophile Gautier, Catulle Mendès. Agosto: è a Vienna per la programmata pri-

ma rappresentazione di Tristan und Isolde; tuttavia, per una serie di circostanze sfortunate, l’opera non andrà in scena. È a Venezia, quindi di nuovo a Vienna e a Parigi. Concepisce i primi abbozzi per Die Meistersinger von Nürnberg. 1862 Gennaio: termina il testo dei Meistersinger von Nürnberg. Revocato il bando che dal 1849 lo obbligava all’esilio, Wagner ritorna in Germania. Si stabilisce a Biebrich, presso Magonza (la città del suo editore Schott); qui, in marzo, inizia a lavorare alla partitura dei Meistersinger. Per far fronte alla cronica precarietà delle proprie finanze decide di intraprendere una tournée di concerti: Lipsia, Dresda (dove ha un ultimo incontro con la moglie, che ormai vive separata da lui), Vienna. Qui si inimica per la vita il critico Eduard Hanslick, che nel corso di una lettura del testo dei Meistersinger si riconosce nel personaggio di Beckmesser. 1863 Gennaio-aprile: la tournée prosegue a Praga, Pietroburgo, Mosca. Si stabilisce a Penzing, un sobborgo viennese. Ancora concerti a Budapest, Praga, Karlsruhe, Löwenberg, Breslavia, Vienna. 1864 23 marzo: sotto la minaccia di un arresto per debiti, fugge da Vienna. Si reca dapprima a Mariafeld, in Svizzera, quindi a Stoccarda. Qui, il 3 maggio, lo raggiunge l’invito di Luigi II, re di Baviera, che lo vuole a Monaco presso di sé. 4 maggio: a Monaco, incontro con Luigi II. Il re, grande ammiratore del musicista, desidera che Wagner possa comporre in tranquillità; così, gli paga i debiti e gli garantisce un reddito annuo. Wagner s’innamora di Cosima Liszt (1837-1930), figlia di Franz e moglie di Hans von Bülow. 1865 10 aprile: nasce Isolde, frutto della relazione con Cosima Liszt-von Bülow. 10 giugno: al K. Hof- und National-Theater di Monaco va in scena Tristan und Isolde, sotto la direzione di Hans von Bülow. In agosto termina la sceneggiatura di Parsifal, mentre prosegue a comporre Siegfried. Negli ambienti governativi e di corte, l’amicizia col re crea attorno a Wagner un clima di invidia, risentimento e preoccupazione. In dicembre, il compositore lascia Monaco e prende alloggio in una casa di

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campagna nei pressi di Ginevra. Comincia a scrivere la sua autobiografia, Mein Leben. 1866 Riprende la composizione dei Meistersinger von Nürnberg e medita di stabilirsi nella Francia meridionale. 25 gennaio: a Dresda muore la moglie Minna. Aprile: Wagner si trasferisce a Tribschen, presso Lucerna. 1867 7 febbraio: nasce Eva, secondogenita di Wagner e Cosima von Bülow. 24 ottobre: completa la partitura dei Meistersinger von Nürnberg. 1868 21 giugno: a Monaco, prima rappresentazione dei Meistersinger von Nürnberg: direttore è von Bülow; l’autore assiste alla recita accanto a Luigi II, nel palco reale. In settembre, viaggio con Cosima nell’Italia settentrionale. Novembre: Cosima lascia il marito e si trasferisce in via definitiva a Tribschen con le figlie Isolde ed Eva. 1869 Riprende a lavorare a Siegfried. 17 maggio: incontro con Friedrich Nietzsche, in visita da Basilea. 6 giugno: nasce il figlio Siegfried. 22 settembre: contro la sua volontà, per desiderio di re Luigi, a Monaco va in scena Das Rheingold. 2 ottobre: inizia a comporre Götterdämmerung (terza giornata del Ring). Scrive il saggio Über das Dirigieren. 1870 26 giugno: ancora contro la sua volontà – ormai Wagner concepisce per la rappresentazione delle proprie opere un teatro particolare, diverso dalle strutture tradizionali – a Monaco va in scena Die Walküre. 25 agosto: sposa Cosima, che nel frattempo ha ottenuto il divorzio da von Bülow. Dicembre: compone Siegfried-Idyll per tredici strumenti, quale ringraziamento a Cosima, nel giorno del suo compleanno, per la nascita del figlio. Scrive il saggio commemorativo Beethoven. 1871 5 febbraio: termina la composizione di Siegfried. In aprile inizia un viaggio nel Reich tedesco. A Bayreuth per un sopralluogo al Teatro dell’Opera, decide di progettare uno spazio destinato unicamente alle proprie opere; l’amministrazione cittadina delibera di mettere a disposizione di Wagner un’area fabbricabile per il Festspielhaus. 1° novembre: a Bologna si rappresenta Lohengrin.

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Compone Kaisermarsch (su testo proprio) per coro maschile all’unissono e orchestra, e pronuncia la conferenza Über die Bestimmung der Oper all’Accademia Reale delle Arti di Berlino. Incontro con il cancelliere Bismarck. 1872 22 aprile: si trasferisce con la famiglia a Bayreuth. 22 maggio: pone la prima pietra del Festspielhaus e la sera dirige, in un concerto celebrativo, la Nona sinfonia di Beethoven. Continua la composizione di Götterdämmerung. 1873 Concerti ad Amburgo, Berlino, Colonia. In settembre riceve la visita di Anton Bruckner, che gli dedica la sua Terza sinfonia. 1874 Luigi II di Baviera interviene per sanare la crisi finanziaria dell’impresa di Bayreuth. In estate, Wagner riunisce nella sua casa «Wahnfried», per alcune sedute di studio, i cantanti scelti per l’inaugurazione del Festspielhaus. 21 novembre: completa la partitura di Götterdämmerung e, con essa, l’intero ciclo del Ring; è la conclusione di un’avventura creativa iniziatasi ventuno anni prima. Dicembre: Kinderkatechismus (su testo proprio) per quattro voci infantili e piccola orchestra. 1875 Wagner tiene concerti a Vienna, Budapest (insieme con Liszt), Berlino. In estate incominciano a Bayreuth, sotto la direzione di Hans Richter, le prove per la rappresentazione del Ring. 1876 17 marzo: termina di comporre Grosser Festmarsch per orchestra, in occasione del centenario della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America. 13-30 agosto: inaugurazione del Festspielhaus con tre rappresentazioni del Ring des Nibelungen, diretto da Hans Richter; sono presenti l’imperatore Guglielmo I, l’imperatore Dom Pedro del Brasile e il re Luigi II di Baviera. Settembredicembre: viaggio in Italia con la famiglia e lungo soggiorno a Sorrento. 1877 Febbraio-aprile: ritorna al progetto Parsifal, di cui ridisegna la sceneggiatura e scrive il libretto. Maggio: per cercare di coprire il disastroso deficit di Bayreuth, dirige otto


concerti all’Albert Hall di Londra. Viene anche ricevuto dalla regina Vittoria, ma il successo economico dell’iniziativa è minimo; Wagner pensa addirittura di lasciare Bayreuth ed emigrare negli Stati Uniti. Settembre: primi abbozzi compositivi per Parsifal. 1878 Continua a lavorare alla partitura di Parsifal. 31 marzo: è ancora una volta Luigi di Baviera a salvare, con generosità, Wagner dai debiti. Fondazione della rivista «Bayreuther Blätter», curata da Hans von Wolzogen. Scrive il saggio Publikum und Popularität. 1879 Scrive i saggi Über das Dichten und Komponieren e Über die Anwendung der Musik auf das Drama. Continua la stesura di Parsifal. 1880 Gennaio-ottobre: soggiorno in Italia. È a Napoli, Siena, Venezia. Scrive il saggio Kunst und Religion; termina di lavorare a Mein Leben.

1881 Novembre: ha inizio un nuovo viaggio in Italia. La meta è la Sicilia, Palermo in particolare. È di quest’anno il saggio Erkenne dich selbst. 1882 13 gennaio: a Palermo Wagner completa la partitura di Parsifal. 1° maggio: ritorno a Bayreuth. 26 luglio: a Bayreuth, prima rappresentazione di Parsifal; direttore è Hermann Levi. La recita inaugurale è seguita da quindici repliche. 14 settembre: parte con la famiglia per Venezia, dove alloggia a Palazzo Vendramin-Calergi. 24 dicembre: dirige al Teatro La Fenice la sua giovanile Sinfonia in do maggiore (1832). 1883 13 febbraio: mentre sta lavorando al saggio Über das Weibliche im Menschlichen, viene colpito da un attacco cardiaco che risulta fatale. 18 febbraio: la salma di Wagner, traslata a Bayreuth, viene tumulata nel giardino della casa «Wahnfried».

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Antonin Dvorak

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ˇ ÁK ANTONÍN DVOR CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE Lidia Bramani

1841 Antonín Dvorˇák nasce a Nelahozeves, Kralupy, l’8 settembre, primogenito di otto figli. La madre, Anna Zdeneˇk (1820-1882), lavora come cameriera presso la famiglia del principe Lobkovitz. Il padre Frantiseˇk (18141894), gestore di una trattoria, suona il violino nell’orchestra del paese.

1865 Compone la Prima Sinfonia in do minore, detta Zlonické zvony (“Le campane di Zlonice”), la Seconda Sinfonia op. 4 e un Concerto per violoncello del quale ci è pervenuta solo la versione per violoncello e pianoforte: lavori nei quali è evidente l’influsso wagneriano.

1855 Si reca a Zlonice per continuare gli studi, e dal maestro della scuola tedesca, Anton Liehmann, riceve anche lezioni di pianoforte, organo e viola. Si avvicina ai classici e, nel frattempo, ha modo di conoscere il repertorio popolare boemo.

1866 Smetana succede a Mayr nella direzione dell’orchestra del Nuovo Teatro Nazionale.

1856 A Bömisch-Kamnitz, mentre perfeziona il tedesco, studia organo e armonia con Hancke. Suona nella locanda che il padre ha aperto a Zlonice e scrive le prime marce e danze. 1857 Grazie agli aiuti economici dello zio Josef Zdeneˇk, può frequentare la prestigiosa Scuola d’organo di Praga. Segue i corsi di K. F. Pitsch e si guadagna da vivere suonando nell’orchestra da ballo “Komzák”. 1857 Con Josef Krejcˇí, succeduto a Pitsch, allarga i propri interessi appassionandosi anche alla musica di Liszt. 1859

Si diploma presso la Scuola d’organo.

1857 Dvorˇák diventa prima viola dell’orchestra del Nuovo Teatro Nazionale, che ha assorbito i componenti del gruppo “Komzák” ed è ora stabilmente guidata da J. N. Mayr. È quindi in orchestra quando Wagner dirige a Praga Tannhäuser e alcuni estratti da altre opere (Die Meistersinger, Die Walküre, Tristan und Isolde).

1871 Dopo la sua prima opera, Alfred, in tre atti, scritta l’anno precedente, termina anche l’opera comica Král a uhlírˇ (“Il re e il carbonaio”), della quale realizzerà altre due versioni, nel 1874 e nel 1887. Per ora non vengono allestite perché giudicate troppo complesse; saranno rappresentate solo dopo la sua morte. Si congeda dall’orchestra per dedicarsi completamente alla composizione, guadagnandosi da vivere con le lezioni private. 1872 In aprile, Smetana dirige con successo l’ouverture di Král a uhlírˇ. 1873 L’inno Deˇdicové bílé hory (“Gli eredi della montagna bianca”) per coro e orchestra, su testo di V. Hálek, viene accolto entusiasticamente dal pubblico, sancendo il suo primo, vero successo. Sposa l’allieva Anna Cˇermáková. In preda a una profonda crisi creativa, distrugge parte dei lavori scritti finora. Nei due Quartetti per archi, rispettivamente in fa minore e in la minore, si nota un distacco dall’influenza wagneriana e un ripensamento dei classici, in particolare di Beethoven. Nel frattempo, cresce l’interesse per la musica slava, della quale subisce generica-

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mente il fascino, senza prefiggersi alcun intento filologico o di ricerca nei confronti del patrimonio popolare. Compone la Terza Sinfonia. 1874 Sono di quest’anno la Prima Rapsodia per orchestra in la minore, denominata “Slava”, la Quarta Sinfonia e la nuova opera comica in un atto Tvrdé palice (“Teste dure”). Una giuria, della quale fanno parte Hanslick e Brahms, gli assegna una borsa di studio stanziata dal governo austriaco. 1875 Scrive il Quintetto per archi op. 77 (già op. 18) e la Sinfonia op. 76 (già op. 24). Poiché le prime quattro Sinfonie sono state pubblicate postume, le successive vengono numerate in modo non consequenziale rispetto alle precedenti, generando una certa confusione. Nasce l’opera tragica in cinque atti Vanda. Compone il Trio con pianoforte op. 21, il Quartetto con pianoforte op. 23 e la Serenata op. 22 per orchestra d’archi. 1876 Muore la figlia maggiore. A questa straziante tragedia si aggiungerà il lutto per la morte di altri due suoi bambini. 1877 Termina lo Stabat Mater per soli, coro e orchestra. 1878 In un periodo di pieno fervore creativo e di importanti conferme internazionali, anche le Danze slave per pianoforte a quattro mani riscuotono grande successo. 1883 Lo Stabat Mater riceve a Londra entusiastiche ovazioni. 1884 Diventa membro onorario della London Philharmonic Society. 1890 Gli viene assegnata la laurea honoris causa dell’Università di Cambridge. 1891 Scrive, per il violoncellista Hans Wihan, con il quale ha intrapreso una tournée concertistica, il Rondò in sol minore op. 94 per violoncello e pianoforte. 1892

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Avendo accettato la carica di direttore

artistico del New York National Conservatory of Music, parte per gli Stati Uniti il 15 settembre con la moglie, l’allievo Joseph Kovárˇík e due dei sei figli; gli altri rimangono nella residenza estiva di Vysoká. Viene rappresentata, a Vienna, l’opera storica in quattro atti Dmitrij. Scrive la cantata The American Flag op. 102 per tenore, basso, coro e orchestra, e il Te Deum op. 103 per soprano, basso, coro e orchestra. 1893 Movenze cèche risuonano anche nella Sinfonia “Z nového sveˇta” (“Dal nuovo mondo”), eseguita alla Carnegie Hall di New York e accolta in modo travolgente dal pubblico. Si avverte anche l’influenza degli spirituals e dei canti indiani, ma le pittoresche pennellate della sua scrittura sono ben lontane dalla rielaborazione di autentici esempi di tradizione folcloristica americana. Lasciano trasparire, piuttosto, una percezione e sensibilità soggettiva verso echi ed evocazioni di sapore popolare. Lo stesso si potrebbe dire per il Quartetto in fa maggiore, per il Quintetto in si bemolle maggiore o per la Sonatina in sol maggiore per violino e pianoforte. 1894 Torna, da maggio a ottobre, a Vysoká. Riparte poi per gli Stati Uniti, dove si fermerà fino all’aprile dell’anno successivo. 1895 Termina il Concerto per violoncello e orchestra op. 104 e la Suite per orchestra in la maggiore. 1896 In questi anni Dvorˇák si riavvicina a Wagner, a Liszt e, in generale, alla grande tradizione musicale romantica. Il che risveglia in lui il desiderio di comporre poemi sinfonici e opere. Sono ben quattro, infatti, i poemi sinfonici scritti in questo anno: Vodník (“Lo spirito delle acque”), Polednice (“La strega di mezzodì”), Zlaty´ kolovrat (“L’arcolaio d’oro”) e Holoubek (“Il colombo del bosco”). L’anno successivo comporrà anche Písenˇ bohaty´rská (“Il canto dell’eroe”). 1898 La figlia Ottilia sposa, nel giorno delle nozze d’argento dei genitori, il migliore allievo di Dvorˇák, Josef Suk.


ˇ ert a Kácˇa 1899 Termina l’opera in tre atti C (“Il diavolo e Caterina”). 1900 Scrive il racconto lirico Rusalka. 1901 È nominato senatore a vita dal governo austriaco.

1903 Conclude l’opera in quattro atti Armida. 1904 Muore, il 1° maggio, stroncato da una trombosi cerebrale. Una folla immensa, accorsa da tutta la Boemia, segue commossa la cerimonia di sepoltura nel Cimitero degli eroi di Vysˇehrad.

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Filarmonica della Scala.

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Foto Marco Brescia


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Foto (c) Harald Hoffmann, Deutsche Grammophon


Daniel Harding Nato a Oxford, ha iniziato la carriera come assistente di Simon Rattle alla City of Birmingham Symphony Orchestra, con la quale ha debuttato nel 1994. Ha proseguito come assistente di Claudio Abbado ai Berliner Philharmoniker, debuttando poi al Festival di Berlino nel 1996. Direttore Ospite Principale della London Symphony Orchestra, Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese, Partner Musicale della New Japan Philharmonic, Direttore Artistico della Ohga Hall di Karuizawa (Giappone), è Direttore Laureato a vita della Mahler Chamber Orchestra. In precedenza è stato Direttore Principale e Direttore Musicale della Mahler Chamber Orchestra (2003-11), Direttore Principale dell’Orchestra Sinfonica di Trondheim in Norvegia (19972000), Direttore Ospite Principale dell’Orchestra Sinfonica di Norrköping in Svezia (19972003) e Direttore Musicale della Deutsche Kammerphilharmonie di Brema (1997-2003). È ospite regolare della Staatskapelle di Dresda, dei Wiener Philharmoniker, del Concertgebouw di Amsterdam, dell’Orchestra della Radio Bavarese, della Gewandhausorchester di Lipsia e della Filarmonica della Scala. Ha diretto inoltre i Berliner Philharmoniker, i Münchner Philharmoniker, l’Orchestre National de Lyon, la Filarmonica di Oslo, la London Philharmonic, la Filarmonica Reale di Stoccolma, l’Orchestra di Santa Cecilia di Roma, l’Orchestra of the Age of Enlightenment, la Filarmonica di Rotterdam, le Orchestre della Radio di Francoforte e l’Orchestre des Champs-Élysées di Parigi. In America ha diretto la New York Philharmonic, la Philadelphia Orchestra, la Los Angeles Philharmonic e la Chicago Symphony Orchestra. Nel 2005 ha inaugurato la stagione del Teatro

alla Scala con una nuova produzione dell’Idomeneo di Mozart; vi è ritornato nel 2007 per Salome di R. Strauss, nel 2008 per Il castello del duca Barbablù di Bartók e Il prigioniero di Dallapiccola, e nel 2011 per Cavalleria rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo, che gli è valso il Premio della Critica Musicale Franco Abbiati. Le sue esperienze operistiche includono anche The Turn of the Screw di Britten e Wozzeck di Berg al Covent Garden di Londra, Wozzeck al Theater an der Wien di Vienna, Don Giovanni e Le nozze di Figaro di Mozart al Festival di Salisburgo con i Wiener Philharmoniker. Quest’anno ha in programma Ariadne auf Naxos di R. Strauss con i Wiener Philharmoniker al Festival di Salisburgo; i suoi progetti futuri comprendono produzioni al Teatro alla Scala e alla Deutsche Staatsoper di Berlino. Le sue incisioni della Decima Sinfonia di Mahler con i Wiener Philharmoniker e dei Carmina Burana di Orff con l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese hanno ottenuto le lodi della critica; in precedenza ha registrato la Quarta Sinfonia di Mahler con la Mahler Chamber Orchestra, la Terza e la Quarta Sinfonia di Brahms con la Deutsche Kammerphilharmonie di Brema, Billy Budd di Britten con la London Symphony Orchestra, Don Giovanni e The Turn of the Screw con la Mahler Chamber Orchestra, composizioni di Lutosławski con Solveig Kringelborn e l’Orchestra da Camera Norvegese e composizioni di Britten con Ian Bostridge e la Britten Sinfonia. Dal 2002 è Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres del Governo Francese. Dal 2012 è membro della Reale Accademia Musicale Svedese.

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L. de Vegni, Giuseppe Verdi nel 1842.


FILARMONICA DELLA SCALA Violini primi Francesco De Angelis (spalla) Francesco Manara (spalla) Daniele Pascoletti (spalla) Eriko Tsuchihashi* Duccio Beluffi Rodolfo Cibin Alessandro Ferrari Agnese Ferraro Alois Hubner Fulvio Liviabella Kaori Ogasawara Andrea Pecolo Gianluca Scandola Enkeleida Sheshaj Dino Sossai Gianluca Turconi Corinne Van Eikema Damiano Cottalasso Evgenia Staneva Claudio Mondini Francesca Monego Enrico Piccini Estela Sheshi Violini secondi Giorgio Di Crosta* Pierangelo Negri* Anna Salvatori* Anna Longiave Emanuela Abriani Stefano Dallera Silvia Guarino Ludmilla Laftchieva Stefano Lo Re Antonio Mastalli Roberto Nigro Gabriele Porfidio Francesco Tagliavini Alexia Tiberghien Paola Lutzemberger Alessandro Cappelletto Lorenzo Gentili Tedeschi Rita Mascagna Roberta Miseferi Susanna Nagy

Viole Simonide Braconi* Danilo Rossi* Raffaele Mallozzi* Giorgio Baiocco Carlo Barato Maddalena Calderoni Adelheid Dalvai Marco Giubileo Joel Imperial Francesco Lattuada Emanuele Rossi Luciano Sangalli Zoran Vuckovic Matteo Amadasi Federica Mazzanti Filippo Milani Eugenio Silvestri Adriana Stoica Violoncelli Sandro Laffranchini* Alfredo Persichilli* Massimo Polidori* Martina Lopez Jakob Ludwig Alice Cappagli Gabriele Garofano Simone Groppo Clare Ibbott Cosma Beatrice Pomarico Marcello Sirotti Massimiliano Tisserant Andrea Favalessa Gianluca Muzzolon Livia Rotondi

Contrabbassi Giuseppe Ettorre* Francesco Siragusa* Roberto Benatti Attilio Corradini Demetrio Costantino Omar Lonati Emanuele Pedrani Claudio Pinferetti Alessandro Serra Gaetano Siragusa Roberto Parretti Antonello Labanca Flauti Davide Formisano* Marco Zoni* Ottavino Giovanni Paciello Oboi Fabien Thouand* Alberto Negroni* Augusto Mianiti Corno inglese Renato Duca Clarinetti Mauro Ferrando* Fabrizio Meloni* Christian Chiodi Latini Denis Zanchetta Clarinetto Basso Stefano Cardo Fagotti Gabriele Screpis* Valentino Zucchiatti* Maurizio Orsini Nicola Meneghetti

Controfagotto Marion Reinhard Corni Danilo Stagni* Gabriele Falcioni* Roberto Miele Stefano Alessandri Claudio Martini Stefano Curci Piero Mangano Trombe Francesco Tamiati* Gianni Dallaturca Mauro Edantippe Nicola Martelli Tromboni Daniele Morandini* Riccardo Bernasconi Renato Filisetti Giuseppe Grandi Tuba Brian Earl Timpani Nando Russo* Percussioni Gianni Arfacchia Giuseppe Cacciola Antonello Cancelli Elio Marchesini Paolo Tini Francesco Muraca Arpe Luisa Prandina* Olga Mazzia* Tastiere Lorenzo Bonoldi

Major Partner

* prima parte

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Fondazione di diritto privato

SOVRINTENDENZA

DIREZIONE GENERALE

Sovrintendente StĂŠphane Lissner Responsabile Relazioni Esterne e Assistente del Sovrintendente Donatella Brunazzi Responsabile Ufficio Stampa Carlo Maria Cella Responsabile Controllo di Gestione Enzo Andrea Bignotti

Direttore Generale Maria Di Freda Responsabile Servizio Rapporti Istituzionali Dino Belletti Coordinatore Segreteria e Staff Andrea Vitalini Responsabile Ufficio Promozione Culturale Carlo Torresani Responsabile Segreteria Organi e Legale Germana De Luca Responsabile Provveditorato Antonio Cunsolo Direzione Tecnica Direttore Tecnico Marco Morelli Responsabile Manutenzione Immobili e Impianti Persio Pini Responsabile Prevenzione Igiene Sicurezza Giuseppe Formentini Direzione del Personale Direttore del Personale Marco Aldo Amoruso Responsabile Amministrazione del Personale e Costo del Lavoro Alex Zambianchi Responsabile Servizio Sviluppo Organizzativo Rino Casazza Responsabile Servizio Tecnologie dell’Informazione Massimo Succi Responsabile Ufficio Assunzioni e Gestione del Personale Marco Migliavacca Responsabile Ufficio Lavoro Autonomo Giusy Tonani

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Direzione Marketing e Fund Raising Direttore Marketing e Fund Raising Cristina Paciello Responsabile Ufficio Marketing Francesca Agus Responsabile Biglietteria Annalisa Severgnini Responsabile di Sala Achille Gozzi Direzione Amministrazione e Finanza Direttore Amministrazione e Finanza Claudio Migliorini Capo Contabile Sefora Curatolo Museo Teatrale alla Scala Direttore Museo Teatrale alla Scala Renato Garavaglia


DIREZIONE MUSICALE

DIREZIONE ALLESTIMENTO SCENICO

Direttore Musicale Daniel Barenboim

Direttore Allestimento Scenico Franco Malgrande Assistente Direttore Allestimento Scenico Elio Brescia Responsabile Reparto Macchinisti Cosimo Prudentino Responsabile Realizzazione Luci Marco Filibeck Realizzatori Luci Vincenzo Crippa Andrea Giretti Responsabile Reparto Elettricisti Roberto Parolo Responsabile Cabina Luci Antonio Mastrandrea Responsabile Audiovisivi Nicola Urru Responsabile Reparto Attrezzisti Luciano Di Nicuolo Responsabile Reparto Meccanici Castrenze Mangiapane Responsabile Parrucchieri e Truccatori Francesco Restelli Responsabile Calzoleria Alfio Pappalardo

DIREZIONE ARTISTICA Direttore Artistico St茅phane Lissner Coordinatore Artistico Gast贸n Fournier-Facio Responsabile Servizi Musicali Andrea Amarante Responsabile Controllo di Gestione Artistica Manuela Cattaneo Responsabile Compagnie di Canto Ilias Tzempetonidis Direttore Editoriale Franco Pulcini Responsabile Archivio Musicale Cesare Freddi Regista Collaboratore Lorenza Cantini Direzione Ballo Direttore del Corpo di Ballo Makhar Vaziev Coordinatore del Corpo di Ballo Marco Berrichillo

Capi Scenografi Realizzatori Stefania Cavallin Angelo Lodi Luisa Guerra Capo Scenografo Realizzatore Scultore Venanzio Alberti Scenografi Realizzatori Claudia Bona Emanuela Finardi Verena Redin Flavio Erbetta Claudio Spinelli Barrile Scenografo Realizzatore Scultore Silvia Rosellina Cerioli Responsabile Reparto Costruzioni Roberto De Rota Responsabile Reparto Sartoria Cinzia Rosselli Responsabile Sartoria Vestizione Filomena Graus

Direzione Organizzazione della Produzione Direttore Organizzazione della Produzione Andrea Valioni Assistente Direttore Organizzazione della Produzione Maria De Rosa Responsabile Direzione di Scena Luca Bonini Direttori di Scena Silvia Fava Andrea Boi

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EDIZIONI DEL TEATRO ALLA SCALA DIRETTORE EDITORIALE

Franco Pulcini

Ufficio Edizioni del Teatro alla Scala REDAZIONE

Anna Paniale Giancarlo Di Marco PROGETTO GRAFICO

Emilio Fioravanti G&R Associati

Le immagini degli spettacoli scaligeri provengono dall’Archivio Fotografico del Teatro alla Scala Realizzazione e catalogazione immagini digitali: “Progetto D.A.M.” per la gestione digitale degli archivi del Teatro alla Scala Si ringrazia per la collaborazione il Museo Teatrale alla Scala Il Teatro alla Scala è disponibile a regolare eventuali diritti di riproduzione per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte Pubblicità: A.P. srl - Str. Rigolino, 1 bis 10024 Moncalieri (TO) - Tel. 011/6615469 Finito di stampare nel mese di febbraio 2013 presso Pinelli Printing srl © Copyright 2013, Teatro alla Scala




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