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NEUROSCIENZE
RICERCA
MISTERI
Chi ricorda e chi cancella i sogni notturni?
A Cambridge una fabbrica di Premi Nobel
L’Eldorado dei quadrati giganti in Amazzonia
Una ricerca italiana indaga un meccanismo ancora oscuro. BANFI, PARRINI
Come rendere la ricerca produttiva al massimo: Cambridge ha trovato la soluzione.
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La giungla rivela le tracce di una civiltà insospettabile: ecco cosa dicono i primi studi.
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e NEWBURY PAGINE 28 E 29
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BECCARIA PAGINA 30
DI CIANNI PAGINA 31
TUTTOSCIENZE ETOLOGIA. NELLA «BASE» DELLE TREMITI SI STUDIA COME SALVARE UNO DEI VOLATILI PIU’ MINACCIATI DEL MEDITERRANEO
Analisi MAURILIO ORBECCHI
Non si smette mai di essere razzisti uando si guarda la storia con animo privo di retorica, non si può che rimanere colpiti dalla ferocia che assumevano le relazioni umane nei tempi passati. In particolare non si può evitare di osservare che nessuna forma sociale è mai stata indenne dalla discriminazione, che ha assunto aspetti che vanno dalla prevaricazione al razzismo. Lo schiavismo, che è una delle conseguenze più diffuse del razzismo, era endemico nei tempi antichi, come il sessismo. Le fonti ci dicono che i bambini nati deformi, in molti casi, venivano eliminati alla nascita, mentre le guerre finivano spesso con la soppressione della maggior parte degli avversari, dei bambini, degli anziani e la presa in schiavitù delle donne migliori. Fino a oggi le teorie che offrono spiegazioni sulla nascita del pregiudizio e della discriminazione sono per la maggior parte di ordine sociologico, psicologico e giuridico. Manca a livello generale la consapevolezza che siamo di fronte a un fenomeno che non è nato con l'umanità, perché si trova anche in numerose altre specie, tra cui gli scimpanzé. Richard Wrangham, primatologo dell'Università di Harvard, ha descritto sia il comportamento non esattamente tenero che gli scimpanzé tengono con gli estranei che entrano nel loro territorio sia i raid mortali che compiono nei territori altrui.
Tra i fantasmi delle falesie Un programma internazionale spia l’odissea delle ultime berte La cura delle uova I nidi delle berte sono isolati e in luoghi spesso inaccessibili: riuscire a fotografarne uno è una vera e propria impresa
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CONTINUA A PAGINA 30
TUTTOSCIENZE MERCOLEDÌ 20 LUGLIO 2011 NUMERO 1478 A CURA DI: GABRIELE BECCARIA REDAZIONE: GIORDANO STABILE tuttoscienze@lastampa.it www.lastampa.it/tuttoscienze/
EUGENIO MANGHI
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l sole è tramontato e l'ultima striscia arancione, all' orizzonte, si è spenta. Dall'alto della falesia, a picco sul mare delle Tremiti, l'acqua della Grotta delle Viole è diventata invisibile. Passa qualche istante e il buio è totale. Questa notte la luna non sorgerà. Quasi d'improvviso, ecco il primo richiamo gutturale. E'
Maschi e femmine si scambiano informazioni sfregandosi i becchi come una specie di miagolio, fatto da un bambino che cerca di imitare un gatto. Dall'altra parte della falesia risponde un «maialino», con un breve grugnito. «Questa è la femmina», mi spiega Jacopo Cecere, l'ornitologo della Lipu-BirdLife Italia che da tre anni porta avanti in Italia l'attività di ricerca del progetto internazionale sugli uccelli marini: si tratta di uno dei gruppi di uccelli più misteriosi e in declino di tutto il Mediterraneo. «Le berte sono i nostri albatri e come gli albatri volano
per centinaia di chilometri alla ricerca di cibo. Alla fine dell'inverno le berte maggiori arrivano nel Mediterraneo, migrando dal Sud Africa, e si fermano sulle nostre isole per riprodursi, oltre che in Grecia, Tunisia, Malta... Questi che sentiamo nel frattempo i gorgheggi hanno invaso lo spazio buio intorno a noi - stanno rientrando dopo una settimana di peregrinazioni verso Nord, verso l'alto Adriatico. L'abbiamo scoperto studiando i tracciati rilevati da leggerissimi Gps, sistemati sul dorso di alcuni esemplari e che ora recuperiamo man mano che gli uccelli ritornano ai propri nidi per sostituire il partner impegnato nella cova. Il “cambio della guardia” avviene dopo una decina di giorni». I nidi sono ovunque intorno a noi, ma, anche se fosse giorno, non riusciremmo a vederne neppure uno. Né qui, alla Grotta delle Viole, né a Caprara, l'isolotto davanti a San Nicola e dichiarato off-limits dal Parco Nazionale del Gargano per chiunque non sia ufficialmente impegnato in questo progetto di ricerca. I nidi, infatti, si trovano nelle profondità di cunicoli e anfratti strettissimi che, anche per gli studiosi, sono difficili - talvolta impossibili - da raggiungere. Solo qual-
cuno, qua e là, è più facile da esplorare e proprio su questi Cecere e Carlo Catoni devono concentrarsi per studiare le berte. «Alle Tremiti teniamo sotto osservazione una trentina di nidi, ma sono in tutto qualche centinaia. Si tratta di colonie esistenti da tempo e note agli ornitologi. Catturiamo alcuni campioni, li pesiamo, ne valutiamo lo stato di salute e li do-
Jacopo Cecere Ornitologo RUOLO: E’ RICERCATORE DELLA LIPU-BIRDLIFE ITALIA E DA 3 ANNI CURA IN ITALIA UN PROGETTO INTERNAZIONALE SUGLI UCCELLI MARINI
tiamo di un Gps di pochi grammi. Infine - dice Cecere - li identifichiamo con un anello, dipingiamo le piume del sottogola con un colorante temporaneo rosso o nero e li rimettiamo sul nido. Controllandole ogni giorno, scopriamo il momento in cui le berte vengono sostituite nella cova dal partner e si allontanano per alimentarsi. A questo punto ripetiamo l'operazione con il nuovo arrivato. Al loro ritorno i successivi controlli ci permettono di recuperare il Gps e, leggendo i dati, scopria-
mo dove le berte scelgono di alimentarsi». E così si è scoperto come alcuni esemplari volino per centinaia e centinaia di chilometri, ma come abbiano anche imparato a frequentare le aree dei porti, come Pescara e Ancona. «Lavoriamo così anche a Linosa, dove c'è una colonia di 10 mila coppie - spiega Cecere - e in tutto l'arcipelago toscano». Il vociare delle berte, ora, è assordante e fatico a sentire le spiegazioni dei due ricercatori. Ma, se sorgesse la luna o qualcuno accendesse una torcia elettrica, tutto cesserebbe all' istante. Sussurrandomi nell'orecchio, Catoni mi spiega che, oltre ai ratti, che sono i più formidabili predatori delle uova delle berte, l’altro pericolo incombente su questi uccelli è l'inquinamento luminoso: bastano le luci di una strada per indurre le berte ad abbandonare la colonia. E per ammutolirle è sufficiente che i fari delle auto di passaggio illuminino l'area di nidificazione. Per fortuna alle Tremiti il problema non si pone: il sentiero che porta alla Grotta delle Viole è immerso nel buio. Ma a Linosa una strada secondaria passa proprio nei pressi della colonia e, se fosse illuminata in modo perma-
nente, sarebbe un disastro! Ormai è quasi l'una di notte e l'attività delle berte è all'apice. Le sentiamo volare vicinissime e gridare. Una mi sfiora i capelli come un poltergeist. Decido di fare qualche ripresa e accendo un illuminatore a raggi infrarossi, così il paesaggio può restare immerso nella più totale oscurità. Dopo qualche minuto due berte compaiono nello schermo monocromatico della telecamera e le filmo. La scena è di quelle che Jacopo e Carlo non esitano a definire irripetibile: la femmina esce dal nido, poi il maschio - lo si capisce dal canto querulo - arriva in volo. I due si scambiano dei brevi convenevoli, fregandosi i becchi, finché il maschio assesta una decisa beccata all'ala della femmina. Non è una sgarberia: nel linguaggio delle berte significa: «Cara, vai a cena, ora ci sono qui io ad occuparmi della casa e delle uova!». La compagna vola via e scompare nella notte più nera. Arriverà là dove neppure il nostro faro a infrarossi potrà raggiungerla. A proteggerla c’è il mito delle sirene, che dal canto delle diomedee vocianti sembra essersi originato. Ma - speriamo - anche qualche legge lungimirante sulla tutela del mare.
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LA STAMPA MERCOLEDÌ 20 LUGLIO 2011
Il futuro Proteine e geni: sono al centro della biologia computazionale del XXI secolo
ANALISI
Piccoli, brutti, grassi: ecco le nuove forme della discriminazione SEGUE DA PAGINA 27
MAURILIO ORBECCHI
E’ qui la fabbrica dei Nobel “Science”: svelata la formula dei laboratori di Cambridge Ricerca GABRIELE BECCARIA
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ills Road, Cambridge, Gran Bretagna. Difficile trovare un posto con più Nobel all’ora del tè (almeno in Gran
Bretagna). Il palazzo è in anonimo stile razionalista Anni 60 e il nome «MRC Laboratory of Molecular Biology» - non è stato pensato per far scattare scintille d’emozione. Il bello si nasconde nei suoi laboratori: è a questo indirizzo che è cambiato per sempre il modo di concepire la vita (e noi stessi) ed è da qui che si propaga un’avventura iniziata ufficialmente nel 1953, con l’annuncio della scoperta della struttura a doppia elica del Dna. Il centro continua a collezionare successi, tanto da aver spinto una delle grandi riviste scientifiche internazionali - «Science» - a scriverne un elogio che, in realtà, prova a carpirne i segreti.
Se si vuole fare ricerca d’alto, d’altissimo livello - suggerisce l’autrice - è essenziale seguire una serie di regole, messe abilmente a punto in questa fabbrica di intelligenza fondata nel 1947 per facilitare il lavoro a due signori - Max Perutz e John Kendrew - che volevano fare della diffrazione a raggi x lo strumento con cui studiare le proteine. Ci riuscirono così bene da vincere il Nobel nel ‘62, lo stesso anno in cui fu assegnato all’altra coppia, John Watson e Francis Crick, i primi investigatori del Genoma. E da allora il numero dei premiati made in Stoccolma che prendono il tè al «Laboratory» è salito a 13. Ultimo in ordine di tempo, nel 2009, Venki Ramakrishan, per gli studi sui ribosomi, le particelle responsabili della sintesi delle proteine (sempre loro). Prima regola, spiegata dal direttore Hugh Pelhman: i Nobel non si vanno a cercare a cose fatte, si devono creare «in casa», con pazienza e metodo. Seconda regola: puntare sui giovani. Un esempio è Jason Chin, che si è appena aggiudicato la medaglia d’oro della «European Molecular Biology Organization». Anche lui è stato ingaggiato con una strategia preci-
Il laboratorio di biologia molecolare
sa, che va a caccia dei cervelli nel mondo. Terza regola: i migliori si distinguono per le idee e i progetti, non necessariamente per la quantità bruta di pubblicazioni a più mani. Quarta regola: chi entra nella squadra viene periodicamente valutato. I bravi vanno avanti, quelli che deludono devono lasciare. Quinta regola: incoraggiare il lavoro in team. L’accesso ai «group leaders» è continuo, la burocrazia interna ridotta al minimo. Sesta regola: la ricerca è libera e l’originalità è premiata rispet-
to alla richiesta ossessiva di risultati immediati. Settima regola: anche i finanziamenti seguono la logica del lavoro interdisciplinare. Nessun gruppo o individuo deve considerarsi un’isola. Regola finale, ancora enfatizzata da Pelham: «Concentrarsi sulle grandi questioni e tentare di dare loro una risposta». E infatti gli interrogativi che aleggiano a Cambridge sono tra quelli centrali della scienza del XXI secolo. Toccano la biologia computazionale, aggrediscono i meccanismi dell’immunità e del cancro, riguardano i segnali intracellulari e l’analisi genetica dei circuiti neurali, si tuffano nei processi delle malattie neurodegenerative e flirtano con la biologia sintetica e con la vita artificiale. Al momento i talenti che si sono fatti attrarre dall’orbita del Laboratory of Molecular Biology» sono 320 e sottolineano a Cambridge - «le opportunità di carriera precoce sono straordinarie». I successi, maneggiando geni e proteine, lo dimostrano. E anche le società biotech che sbocciano dai team. Creatività e profitto si intrecciano così come si contaminano fisica, chimica e genetica. Anche all’ora del tè.
Una ricerca di Neha Mahajan dell’Università di Yale ha mostrato che i macachi rhesus associano i membri del gruppo con buone cose, come i frutti, e gli estranei a cattive, come i ragni. È probabile che pregiudizi, discriminazioni e comportamenti feroci con l'estraneo abbiano radici biologiche dovute alla lotta per la riproduzione. È noto che nel mondo animale i maschi competono per l'accesso alle femmine. La competizione avviene non solo in via diretta con la lotta, ma anche in via indiretta, con l'esibizione delle proprie qualità al fine di essere scelti dalle femmine. Tra i primati, mentre un maschio produce milioni di spermatozoi e può teoricamente fecondare innumerevoli femmine, una femmina può partorire pochi figli nel corso della vita. Secondo gli studiosi di evoluzione della mente, una simile differenza è alla base della maggior promiscuità maschile; del privilegio femminile della qualità sulla quantità nella scelta sessuale; del senso di proprietà dell'uomo nei confronti della donna; e soprattutto della competizione tra maschi umani, così come accade nel resto del mondo animale. Una delle forme in cui si manifesta la rivalità tra gli umani è la squalifica dell'avversario, che viene inquadrato in categorie inferiori al fine di essere discriminato, ossia tolto di mezzo come competitore. Identificare presunte categorie di esseri inferiori è, infatti, il modo più immediato e a basso costo per emergere la propria presunta superiorità. Questo gioco perverso si manifesta a due livelli, quello esterno alla propria popolazione, con il razzismo propriamente detto, e quello interno, con le estensioni del razzismo (tra cui quelle fondate su sesso, orientamento sessuale, disabilità, religione, età) che psicologicamente e socialmente sono analoghe alla prima. Queste forme di discriminazione, presenti da sempre nella storia, hanno trovato posto e tutela da pochi anni nella Carta europea dei diritti fondamentali e in alcune Costituzioni. Sapere che il pregiudizio è un fattore che spesso opera automaticamente, più che una deliberata scelta razionale, aiuta a prendere i provvedimenti corretti di carattere legislativo, istituzionale e culturale per contrastarlo. Rendersi conto che fino a pochi decenni fa non ci si accorgeva neppure dell'esistenza del pregiudizio (contro le donne o i gay) permette di capire che la strada percorsa ultimamente porta nella giusta direzione. Forse, però, andrebbe meglio sottolineato che, quando si rifiuta una persona indicando motivazioni che comprendono una categoria di individui, si ricade nuovamente nel pregiudizio di carattere razzista. Non possiamo lamentare il razzismo subito dalle categorie discriminate nei secoli scorsi per poi utilizzare oggi termini che squalificano altre persone, tacciandole di «brutte», «piccole», «grasse», «vecchie» (come si ha l'occasione di vedere in certi dibattiti politici). D'altra parte, finché sarà tollerata la richiesta di «bella presenza» nelle offerte di lavoro, significa che, nonostante i passi fatti, siamo ancora lontani dal contrastare le tendenze animali più arcaiche e dal raggiungere le pari opportunità per tutti.
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