2012 02 29, orbecchi, la stampa, la violenza

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Pagina Fisica: LASTAMPA - NAZIONALE - 23 - 29/02/12 - Pag. Logica: LASTAMPA/TUTTOSCIENZE/01 - Autore: PATZAN - Ora di stampa: 28/02/12

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MATEMATICA

MISTERI

Scoprite le meraviglie della fisica delle bolle

I casi sempre aperti dei tesori scomparsi

Dai modelli fisici all’architettura, passando per l’arte: ecco un’avventura unica.

Tre «scrigni» scientifici svaniti nel nulla: ecco tre casi clamorosi ancora aperti.

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EMMER PAGINA 25

BECCARIA PAGINA 27

TUTTOSCIENZE MEDICINA. OGGI LA GIORNATA MONDIALE DEDICATA ALLE PATOLOGIE GENETICHE: «ECCO GLI ULTIMI SUCCESSI DELLA RICERCA»

Analisi MAURILIO ORBECCHI

La violenza e i suoi falsi stereotipi

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hi non è preoccupato per l'aumento degli omicidi in famiglia? Tutto quello che sentiamo e leggiamo a questo proposito ci trasmette un profondo sentimento d'inquietudine. I media sviscerano per mesi casi impressionanti, come quelli di Sarah Scazzi e Annamaria Franzoni. Rinomati istituti scrivono rapporti che lascerebbero intuire un aumento degli omicidi totali e famigliari. Movimenti femministi pongono l'accento su presunti aumenti delle vittime in famiglia. Ebbene, nulla di tutto questo è vero: non solo gli omicidi sono in netta diminuzione da secoli e decenni, ma c'è anche un netto calo degli omicidi in famiglia, quelli che fanno più impressione perché smuovono i sentimenti degli affetti più cari. Sono soprattutto gli omicidi in famiglia che stimolano i luoghi comuni sulla degenerazione della nostra cultura sociale. Eppure i dati della ricerca che ho effettuato con Paola Rocca, professore straordinario di psichiatria, nel Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino diretto da Filippo Bogetto, professore ordinario di psichiatria, non lasciano adito a dubbi. I risultati sono controintuitivi e strabilianti rispetto a quanto possiamo pensare: in Italia il numero delle vittime totali di omicidio è in calo da molti anni, così come quello degli omicidi in famiglia. CONTINUA A PAGINA 24

TUTTOSCIENZE MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO 2012 NUMERO 1504 A CURA DI: GABRIELE BECCARIA REDAZIONE: GIORDANO STABILE tuttoscienze@lastampa.it www.lastampa.it/tuttoscienze/

Malattie rare soltanto di nome Se ne scoprono 5 a settimana, colpiscono 30 milioni di persone in Europa DANIELE BANFI

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ietro (chiamiamolo così, con un nome di fantasia) è un bimbo affetto da immunodeficienza «AdaScid». Si tratta di una rara malattia genetica, caratterizzata dall’assenza di difese dalle infezioni. La mutazione presente nel gene «Ada» lo rende incapace di sviluppare un sistema immunitario funzionante. Per lui, quindi, un banale raffreddore poteva essere fatale. Ora, però, non più. Tutto grazie alla ricerca: con la terapia genica la sua malattia è diventata curabile. Purtroppo, quella di Pietro è una delle poche storie di successo terapeutico. Sono ancora molte le persone colpite da malattie rare che attendono una cura. Oggi - e la scelta della data non potrebbe essere migliore, vista la rarità del 29 febbraio - è il loro momento: nel mondo si celebra la quinta «Giornata internazionale delle malattie rare». A dispetto dell’aggettivo, queste patologie rappresentano un fenomeno in continua crescita: solo in Europa colpiscono 30 milioni di persone. Rientrano nella categoria tutte le malattie che affliggono una persona ogni 2 mila abitanti. Esistono, tuttavia, alcuni disturbi talmente sporadici da colpire un solo malato ogni 200 mila persone. «Sono circa 7 mila le malattie rare scoperte e, grazie ai progressi della genetica, ne vengono individuate sempre di nuove, con un ritmo di quasi 5 patologie a settimana. Peccato che siano poche quelle che, al momento, si riescono a curare con buoni risultati», spiega Luigi Naldini dell’Istituto San Raffaele Telethon di Terapia Genica di Milano. Numeri importanti, che hanno spinto i ricercatori a dare vita all’iniziativa internazionale «Irdirc» (International rare diseases research consortium): lanciato nell’aprile 2011 dalla Commissione Europea e dal National Institute of Health Usa, il consorzio riunisce enti governativi, ricercatori, associazioni dei malati, rappresentanti dell’industria farmaceutica e professionisti del settore sanitario. Obiettivo: disporre, entro il 2020, di 200 nuove terapie e rendere fruibili i test diagnostici per la maggior parte delle 7 mila patologie già note. Un progetto che vedrà protagonista anche l’Italia grazie

Andrea Ballabio Luigi Naldini Genetisti RUOLI: IL PRIMO E’ DIRETTORE DELL’ISTITUTO TELETHON DI GENETICA E MEDICINA (TIGEM) DI NAPOLI E IL SECONDO DIRETTORE DELL’HSR-TIGET DI MILANO

alla nomina di Andrea Ballabio, direttore dell'Istituto Telethon di Napoli e professore di genetica medica all'Università Federico II, e dello stesso Naldini in due comitati dell’«Irdirc», dedicati rispettivamente alle diagnosi e alle terapie. Le malattie rare sono una

sfida. «Fino a 15-20 anni fa queste patologie erano definite incurabili. Essendo causate da mutazioni ereditate da un individuo insieme con il Dna, si pensava fossero irreversibili. Oggi, invece, grazie alla ricerca, in particolare ai passi da gigante compiuti dalla terapia genica, alcune malattie rare possono essere curate», sottolinea Naldini. E il caso di Pietro è emblematico: grazie a questo approccio futuristico è possibile sostituire il gene mutato, che è la causa della malattia, con una copia sana. Ma non sono solo le immunodeficienze ad essere trattate così: anche per le leucodistrofie, che causano difetti nella mielina, la sostanza che avvolge i neuroni, e per altre malattie da accumulo lisosomiale (un gruppo di 100 patologie), si fanno progressi. E l’elenco potrebbe presto estendersi ad alcune forme di retinopatie e all’emofilia. Fondamentale è e sarà la genomica. Una rivoluzione che ha

Lo sapevi che? Il ruolo di Telethon Quest’anno, in occasione della «Giornata sulle malattie rare», i pazienti hanno un motivo in più di ottimismo: la nascita dell’iniziativa internazionale «Irdirc». Il consorzio riunisce, tra l’altro, enti governativi e ricercatori, oltre a soggetti, come la Fondazione Telethon, che vantano una lunga tradizione per la ricerca su queste patologie.

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permesso di diagnosticare con certezza e in modo precoce (un aspetto importante per evitare l’aggravarsi dei sintomi) le malattie che per troppo tempo sono rimaste senza un nome. «A oggi è possibile mappare l’intero genoma con rapidità e quindi, quando sorge il sospetto di

malattia, ci si può concentrare sull’intero “materiale genetico” e non solo sul possibile gene candidato», aggiunge Ballabio. Ora che l’analisi del Dna rappresenta una pratica di routine come fare a centrare l'obiettivo di trovare almeno 200 nuove terapie? Il numero è elevato e le difficoltà sono ancora molte. «In realtà - conclude Naldini - le malattie rare, pur essendo numerose, sono suddivise in famiglie e il caso delle leucodistrofie è un esempio. Spesso sottendono a un meccanismo alterato comune a tutte le varianti. Trovare la cura per una forma può significare avere individuato il trattamento anche per le altre». Domande & Risposte IN ULTIMA PAGINA

E’ scritto nel DNA La rubrica settimanale di genetica A PAGINA 24


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LA STAMPA

MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO 2012

VIOLA CALABRÒ UNIVERSITÀ DI NAPOLI FEDERICO II

E’ scritto nel DNA

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hi affronta viaggi «mordi e fuggi» che sconvolgono i ritmi naturali o ha avuto l'opportunità di raggiungere Paesi lontani, cambiando rapidamente diversi fusi orari, conosce sicuramente il «jet-lag». A causare questo malessere psicologico e fisico è una perturbazione del ciclo biologico, che soffre i cambiamenti repentini di latitudine, perché è sincronizzato prevalentemente con il tempo solare. Per fortuna, invece, sono poche le persone che conoscono gli effetti destabilizzanti di una permanenza al buio protratta per settimane, o addirittura per mesi. Che cosa succede all'orologio biologico di speleologi e minatori che decidono di rimanere nelle viscere della Terra o vi restano intrappolati? E che cosa succede alle creature adattate a vivere negli abissi? Il ritmo circadiano è un ciclo di circa 24 ore, caratterizzato da variazioni ormonali e dell'attività cerebrale, in grado di far funzionare bene e in armonia, di giorno e di notte, importanti funzioni vitali. Dal sonno all'attività cardiaca, dalla forza muscolare alla pressione sanguigna, senza dimenticare la capacità di coordinazione o di reazione. In assenza di luce la durata si allunga un po' ed è una costante geneticamente determinata, tipica di ogni specie. Nell'uomo è di circa 25 ore, ma in condizioni estreme può estendersi notevolmente, rendendo il ritorno alla normalità molto difficile. Il ritmo circadiano del nostro organismo si adatta al tempo dell' orologio endogeno e, in assenza di luce, questa condizione è definita «free-running». In condizioni normali, invece, la luce sincronizza il ritmo, riconducendolo ad un periodo di 24 ore. Il cuore del meccanismo dell'orologio circadiano è costituito da proteine, le proteine del «clock», che fungono da attivatori o repressori dell'espressione genica. Queste proteine sono codificate dai cosiddetti «geni del clock», che sono regolati mediante fotorecettori. Nei mammiferi i principali fotorecettori circadiani sono le cellule fotosensibili del ganglio della retina, mentre nei vertebrati non-mammiferi vi sono recettori periferici di cui devono ancora essere chiariti l’identità e il funzionamento. L'abilità del genetista molecolare è quella di estrarre informazioni sul funzionamento dell'orolo-

Dal sonno al cibo, un orologio ticchetta in ogni organismo Nell’uomo è la luce a sincronizzarlo, ma in alcuni pesci i meccanismi cambiano Protagoniste dei cicli vitali sono alcune proteine codificate dai “geni del clock”

Viola Calabrò Genetista RUOLO: E’ PROFESSORESSA DI GENETICA PRESSO LA FACOLTÀ DI SCIENZE BIOTECNOLOGICHE DELL’UNIVERSITÀ FEDERICO II DI NAPOLI

gio biologico attraverso la misurazione dell'accensione e dello spegnimento dei «geni del clock». Studiando un pesce, il Phreatichthys andruzzii, un gruppo di ricercatori, guidato da Nicholas Foulkes dell'Istituto di Tecnologia di Karlsruhe, in Germania, ha messo in evidenza la presenza di un orologio circadiano alquanto insolito. Questa specie vive in Somalia, in caverne buie. Nel corso della sua evoluzione, circa 2 milioni di anni al buio, completamente isolato dal ciclo giorno-notte, ha perso la vista e gli occhi. Nell'articolo pubblicato sulla rivista «PLoS Biology» gli scienziati si sono chiesti se possegga ancora un orologio circadiano in grado di rispondere alla luce.

Confrontando la risposta agli stimoli luminosi e alla somministrazione di cibo di Phreatichthys andruzzii con quella di Danio rerio, un piccolo pesce tropicale che vive invece alla luce, gli scienziati hanno dimostrato che il pesce cavernicolo conserva un ritmo biologico. Il suo tempo interno è caratterizzato da un periodo particolarmente lungo, di circa 47 ore, scandito dalla disponibilità di cibo e insensibile alla luce. Sorprendentemente gli scienziati hanno trovato che la causa della foto-insensibilità del ritmo biologico non è la perdita della funzionalità degli occhi, ma la presenza di mutazioni nei geni che codificano per alcuni fotorecettori periferici (Melanopsina e TMT-opsina). So-

Così le donne attenuano le violenze famigliari

Analisi MAURILIO ORBECCHI

SEGUE DA PAGINA 23

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n quest'ultimo ambito diminuiscono sia le vittime maschili sia il numero delle donne uccise dai mariti. Gli omicidi diminuiscono in maniera costante per un insieme di motivi, che vanno dalla formazione degli Stati moderni alla femminilizzazione della società e dello stesso genere maschile.

Maurilio Orbecchi Psicoterapeuta RUOLO: E’ SPECIALISTA IN PSICOLOGIA CLINICA

La ricerca conferma, infatti, che la violenza omicida appartiene al genere maschile, per un sonante 90% dei casi. Ma mette anche in risalto un dato spesso trascurato: anche le vittime degli omicidi sono, in grande prevalenza, maschi (quasi l'80% dei casi). Gli omicidi in famiglia sono circa un terzo degli omicidi totali. In

Lo sapevi che? L’intolleranza al lattosio di Oetzi Aveva occhi marroni, era intollerante al lattosio e aveva probabilmente un antenato in comune con gli attuali abitanti della Sardegna: è l’identikit di Oetzi, la celebre mummia del Similaun, il cui identikit è stato ricostruito grazie alla mappa del Dna. La ricerca, pubblicata su «Nature Communications», è stata condotta da un team coordinato da Albert Zink dell’Accademia Europea di Bolzano.

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quest'ambito i maschi uccidono percentualmente meno che nel resto della società, passando da più del 90% a poco più dell'80%, mentre aumentano dal 10% al 20% le autrici femminili. Questi dati, insieme con altri esposti nella ricerca, significano diverse cose. La più interessante è la conferma di alcune ipotesi evoluzionistiche: i maschi umani, come quelli di altre

specie a noi vicine, tendono a uccidere soprattutto altri maschi, eccetto che in famiglia, dove le vittime femminili superano quelle maschili di 20 punti percentuali. Il motivo è probabilmente dovuto al fatto che i maschi competono soprattutto tra loro nella lotta per lo status gerarchico. In famiglia, però, sentono una maggiore competizione femminile, che in diver-

si casi risolvono, ancora troppo spesso, anche con l'omicidio. Perché gli uomini, più delle donne, arrivano a uccidere per motivi di competizione? La quasi totalità delle risposte che comunemente si sentono chiama in causa il nostro modello culturale, la società capitalistica, i falsi valori, la televisione o i videogiochi. Ebbene, anche queste analisi appaio-

no queste mutazioni a impedire al pesce cavernicolo di percepire e rispondere alla luce. Oltre a descrivere un interessante sistema di adattamento biologico a condizione estreme, Foulkes e i colleghi, alcuni dei quali italiani, hanno scoperto l'esistenza di un oscillatore biologico, il cui controllo può ottimizzare l'utilizzazione dei nutrienti. Vale solo per i pesci? Difficile dirlo. Ma di certo la luce non è il solo regolatore dell'orologio circadiano e, almeno in alcune specie, il ritmo circadiano viene attivato anche dall' assunzione del cibo. Ha collaborato Girolama La Mantia

A cura dell’Agi - Associazione Genetica Italiana

5 - CONTINUA LA PROSSIMA SETTIMANA

no superficiali, per non dire errate; basti pensare che non esiste società umana dove non vi sia una lotta maschile, anche sanguinaria, per stabilire le gerarchie. La smentita più importante deriva, però, dal fatto che nelle specie di animali dove esiste dimorfismo sessuale, ossia differenza fisica tra i due sessi, si trovano spesso feroci lotte maschili per il potere. Quest'ultimo serve allo scopo di ottenere l’obiettivo più prezioso per i maschi: l'accesso alle femmine, indispensabile per trasmettere i propri geni alla generazione successiva. Più lo status del maschio è elevato, maggiore è il numero di femmine con cui può avere rapporti e quindi figli. L'interesse nei confronti della salvaguardia delle proprie linee genetiche è così marcato da rivelarsi il più importante fattore che ostacola gli omicidi in famiglia: nei due terzi dei casi le vittime non sono parenti biologici dell'assassino. Per l'insieme dei risultati ottenuti la nostra ricerca ci ha suggerito una teoria che si contrappone alle ipotesi dominanti: le donne potrebbero rappresentare un fattore che attenua la violenza maschile. Probabilmente ciò avviene per fattori legati alla psicologia femminile, all'amore, al sesso e al comune interesse nell'allevamento dei figli. È possibile addirittura ipotizzare che, se i maschi eterosessuali convivessero tra di loro per decine di anni, invece che con femmine, gli omicidi in famiglia diventerebbero più frequenti di quanto sono oggi.


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