LA STAMPA MERCOLEDÌ 11 MARZO 2015
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È morto il critico musicale Paolo Terni
«Elena Ferrante non è su Facebook»
Stop alla lettera di Colombo da Christie’s
•Èmorto Paolo Terni, critico musicale, scrittore, docente per molti anni dell’Accademia d’arte drammatica «Silvio D’Amico» di Roma e storica voce di RadioTre. Era nato nel 1939 ad Alessandria d’Egitto, città dove visse per tutta l’infanzia e l’adolescenza e dove avviò gli studi del violino e della musica. È stato consulente musicale di molti registi cinematografici e teatrali, in particolare di Luca Ronconi con cui ha avuto un sodalizio durato più di trenta anni.
Elena Ferrante non ha alcun account sui social. È la stessa casa editrice E/O a smentire la veridicità della presenza della misteriosa autrice sui social. L’altro giorno infatti era comparso un profilo Facebook - chiuso dopo poche ore - che aveva chiesto l’amicizia a molti giornalisti e operatori dell’informazione a nome di Elena Ferrante e con una foto di copertina come foto del profilo. «Smentiamo questa ennesima bufala, sempre più inverosimile, riguardante Elena Ferrante», scrive E/O.
Il Tribunale Superiore di Giustizia di Madrid ha bloccato la vendita all’asta da Christie’s di una lettera inviata nel 1498 da Cristoforo Colombo al figlio Diego, di proprietà della Fondazione Casa d’Alba, alla quale si era opposta la Direzione generale di Belle arti e Beni culturali del ministero spagnolo della Cultura l’8 novembre del 2013, negando l’esportazione della missiva. Quest’ultima era stata valutata per la messa all’incanto 21 milioni di euro.
“Freud è un po’ invecchiato ma la sua cura aiuta ancora” Secondo lo psichiatra Maurilio Orbecchi “l’analisi è morta” Gli risponde Antonio Ferro, presidente della Società psicoanalitica EGLE SANTOLINI gni tanto, ogni poco, ad Antonino Ferro tocca il compito di replicare a chi dà per spacciata la psicoanalisi. In Italia è probabilmente il meglio accreditato a farlo, come presidente della Società Psicoanalitica Italiana, considerata la freudianamente più ortodossa. Eppure, come scoprirete tra poco, le classificazioni troppo rigide non servono a una comprensione del tema.
O REUTERS
hanno scoperchiato questo mondo sepolto di sabbia e di oblio: i soli realismi che durino, sì, sono quelli dell’oltremondo. Le rovine che univano i templi franati e i palazzi un tempo d’oro e di feroci glorie fuggenti si trasformarono a poco a poco in siti archeologici, in Siria, in Iraq. Non vedremo più le sfingi e i leoni alati affondati fino al collo nel deserto né quelle corrose a tal punto dal vento delle sabbie che la loro testa assomiglia al ceppo dei vecchi ulivi… Resterà solo il confuso labirinto aperto dai saccheggiatori islamici del pazzo Califfo. La loro via è fatta: briciole, scaglie, sabbia. Il destino non ha cessato di rimescolare con i suoi gesti da cieco il dominio degli antichi re di Assiria. Eppure, strano paradosso, l’Assiria che i forsennati di Daesh cerca meticolosamente di distruggere, per certi versi loro assomiglia. È il Vicino Oriente «balcanizzato» dopo la bufera dei popoli del mare, una folla di piccoli Stati litigiosi che occupano abusivamente la scena della Storia e parlano a voce troppo alta. L’Assiria può essere tranquilla, aperta come è a tutti i venti, solo minacciando gli altri, terrorizzandoli a sua volta. Per esistere, non diversamente dal Califfato, è condannata a stermina-
re i vinti, a opprimerli, a deportare intere popolazioni, a condurre guerre senza pietà. I suoi sovrani amavano la ferocia delle decapitazioni di massa, come il Califfo invisibile. I rilievi dei palazzi di Ninive, di Nimrud e Khorsabad raccontavano in modo eloquente queste lugubri storie che, in fondo, assomigliano alla loro. L’idea di estrarre dalla sabbia il passato per conservarlo e rileggerlo nei suoi oggetti è un’idea occidentale: come la democrazia e i diritti dell’individuo. Non può appartenere all’islam radicale dei nuovi califfi. Quello che li connette e li cementa infatti è la storia, non il sangue e nemmeno il colore, la vicenda storica intessuta da una speciale confessione religiosa che offre un forte status comune, più forte e sentito che in qualsiasi altra fede o religione. Dalla retrocessione nel passato remoto questo islam forma a sé stesso una faccia indelebile e che deve sempre più pietrificarsi. Perché accetti le altre Storie dovrebbe rinunciare a se stesso come islam, rinunciare alla indistinzione tra sacro e profano, Stato e religione. Come l’essenziale tremendo di questo pensiero totalitario è di credere non a un solo dio ma a un solo dio dell’islam, così la tolleranza non può che essere data una volta per sempre, per sempre identica a sé stessa.
gio con centinaia di uomini e dozzine di mezzi. Li avrebbero trasportati in un luogo segreto che probabilmente è diventato la base da dove gestire il traffico di oggetti d'antichità con la criminalità internazionale. Gli archeologi iracheni tengono a far sapere, attraverso interviste a media arabi, che la priorità di Isis è stata dunque di «asportare in gran segreto» tutto quanto era possibile portare via, al fine di creare una sorta di «centrale operativa» da dove gestire i traffici illeciti con i grandi collezionisti di America e Unione Europea. Ciò che Isis non ha potuto rimuovere sono state le statue dei grandi idoli alati assiri, e queste sono state distrutte in loco davanti alle telecamere. I miliziani si sono accaniti in particolare contro le esposi-
zioni allestite nelle sale assira e hatrena mentre a non essere toccate sono state quella islamica e quella preistorica. Anche qui, i movimenti dei «distruttori d’arte» sembrano suggerire l’esistenza di un piano di lungo periodo: conservare quanto più possibile la memoria del passato islamico, ma liberarsi senza esitazione di tutto il resto. È una ricetta politico-culturale che si rispecchia nelle decisioni del Califfo adottate nei confronti dei libri di scuola, perché i miliziani di Isis responsabili dell’«educazione» tolgono da ogni libro di testo - inclusi quelli delle elementari - qualsiasi tipo di riferimento a Siria e Iraq, per dare forma a un «buon musulmano» la cui identità si origina solamente dalla sharia, la legge islamica, e dall’esempio della vita di Maometto.
Dall’Assiria all’Isis
Ferro, ci risiamo. Nella sua Biologia dell’Anima, e in un’intervista a La Stampa di ieri, Maurilio Orbecchi mette una croce sopra alla cura freudiana.
«Mi verrebbe da dire che dev’essere ben viva e che deve continuare a dare un gran fastidio, la psicoanalisi, se in tanti si ostinano a voler vederla morta. Invece è in ottima salute, serve e continua a far star meglio le persone: il che è l’elemento decisivo. Le pare che continuerei a esercitarla se non funzionasse? Il problema, semmai, mi sembra un altro. E cioè: di quale psicoanalisi stiamo parlando?»
sione di morte. So che molti miei colleghi ci lavorano a fondo, ma non è il mio caso. Crede che per questo sia passibile di espulsione dalla Spi? ».
Ieri su La Stampa
Di quella, immagino, nata a Viennauncentinaiodiannifa.
«Appunto. Che Freud ci ha lasciato come un organismo vivo, in continua evoluzione, e che nel giro di un secolo ha saputo adattarsi ai cambiamenti. Secondo lei avrebbe senso che un infettivologo del 2015 si dicesse pasteuriano? È la medesima cosa. Il rito classico, come uno se l’immagina, sopravvive soltanto in certe roccaforti lefreviane. Pensi per esempio allo stereotipo dell’analista neutro, che resta muto per decine di sedute». Quello da barzelletta, da vignetta del New Yorker.
«Appunto. Una figura che non esiste più, se si escludono quelle famose enclave tradizionaliste. L’analisi è fondamentalmente la storia di una relazione, di un lavoro a due in cui si costruisce e si narra insieme. Ed è la relazione a guarire». Ma non è sempre stato così?
«In teoria. Però agli albori della disciplina quello che prevaleva era una forte asimmetria fra paziente e terapeuta, con un’accentuazione dell’aspetto interpretativo e l’analista un po’ in veste sacerdotale. L’inconscio era considerato come un’isola inespugnabile, una specie di Alcatraz. E il sogno come un apriscatole». Questa deve spiegarcela meglio.
Un caso interessante, visto che ne è, ancora per due anni, il presidente.
Sul numero di ieri della Stampa è apparsa un’intervista di Gabriele Beccaria allo psichiatra Maurilio Orbecchi. Orbecchi ha sostenuto che la psicanalisi di Sigmund Freud è ormai stata superata da un approccio che coniuga la teoria dell’evoluzione con i più recenti risultati delle neuroscienze.
Antonio Ferro è presidente della Società Psicoanalitica Italiana
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«Ha presente quegli apriscatole antiquati, con cui facevi un buco nella lattina finendo sempre per tagliarti? Ecco: il sogno, “la via regia all’inconscio”, secondo la vecchia definizione, veniva usato un po’ in questo modo. Oggi si è capito che il male, la sofferenza, vengono da ciò che nei sogni non è nemmeno contemplato: elementi non espressi, non pensati, non elaborati». Non la usate più l’interpretazione dei sogni?
«Può capitare. Succede che qualche volta un sogno lo si rinarri assieme, lo si dipani come un racconto, lavorandoci
insieme. Ma abbiamo tanti altri strumenti a disposizione, e lo scopo non è tanto quello di “interpretare”, quanto quello di instaurare un assetto affettivo con il paziente, di mantenersi sulla sua lunghezza d’onda. Quello che cura è l’aspetto emotivo della faccenda: in psicoanalisi, conta più la pancia della testa». Il che tra l’altro leva alla terapia viennese quell’aura punitiva, da rigido collegio mitteleuropeo, che ogni tanto ancora la circonda. A proposito di vecchio armamentario, Orbecchi è particolarmente tranchant con il complesso di Edipo. Che, secondo lui, non esiste…
«Si tenga forte: quando sono con un paziente, penso a quello che mi sta dicendo e non a Edipo». …e rifiuta il concetto di pulsione di morte, sostenendo che non ve n’è traccia nei primati non umani.
«Si tenga ancora più forte: nella mia esperienza professionale, non ho mai avuto il piacere di essere presentato alla pul-
«Forse con quell’espressione si intende un insieme di sofferenze non trasformate, non elaborate, che sono appunto ciò che fa soffrire il paziente e con cui, quelle sì, facciamo i conti tutti i giorni. Ma non sono le vecchie formule ad aiutare a guarire». Veniamo a un altro argomento di Orbecchi, il più deciso. La nemesi della psicoanalisi arriverebbe dalle neuroscienze, che fornirebbero tutte le spiegazioni sfuggite a Freud e ai suoi eredi.
«Considero le neuroscienze come universi meravigliosi, e tenga conto che io nasco come neurochimico. Resta il fatto che tra le neuroscienze e la sofferenza delle persone si apre una distanza siderale. Quello che può aiutare, piuttosto, è la neuropsicofarmacologia. Soprattutto da quando la psicoanalisi si occupa di patologie particolarmente severe: è frequente che, in una prima fase, ci si affidi a due terapeuti diversi, uno che cura con le parole e l’altro con i farmaci, fino a quando il paziente non sia in grado di fare a meno delle medicine. Gliel’ho detto: è un mondo che progredisce ogni giorno. Non confondiamo un vecchio carretto con un’astronave». twitter@esantoli