La comunicazione empatica di M. Palomba

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La comunicazione empatica: la base attraverso cui costruire una salda unione. “L’empatia serve a supportare il Cliente e a costruire una buona alleanza, determinante per l’efficacia dell’intervento psicoterapico.” L’empatia non è una malattia del fegato, così come il suono del nome potrebbe erroneamente portare a pensare, bensì la struttura portante di ogni sano rapporto; oserei dire, il cemento con il quale poter costruire una salda e duratura relazione con un altro essere umano, dotato anch’egli di un suo modo di pensare, interpretare e relazionarsi col mondo che lo circonda. Facciamo, però, un passo indietro: perché si possa provare quella che io ho chiamato, senza ancora entrare nel merito, empatia, è necessario che la persona in questione, nel corso del suo sviluppo, a partire addirittura dalla fase prenatale, sia stato in grado di sperimentare e sviluppare una capacità basilare che permette non solo il relazionarsi con gli altri, ma, prima di tutto con se stessi e col mondo: l’affettività. L'affettività costituisce la componente più importante nel dinamismo della personalità (Giordani, 1988). La psicologia clinica ci dice che la quasi totalità dei disturbi psichici hanno la loro patogenesi, la loro origine, per usare un termine meno libresco, in stati di carenza affettiva sperimentati dal soggetto nelle fasi iniziali del suo sviluppo. Varrebbe la pena a questo punto citare tutti gli esperimenti di Spitz sui bambini ospedalizzati, cioè affidati fin da piccolissimi alle cure delle infermiere di un ospedale, magari a causa di gravi patologie precoci, o alle mani, non certo materne, delle responsabili di un orfanotrofio. Tutti questi bambini, che nelle primissime fasi della loro vita, non avevano ricevuto adeguate cure materne, anche quelle che a prima vista erano potute sembrare le più banali, come le carezze o qualsiasi altro tipo di contatto fisico, non erano in grado, più avanti, di sviluppare un atteggiamento affettivo, e di provare emozioni, non soltanto verso gli altri, com’è facilmente comprensibile, ma soprattutto verso se stessi. Alcuni di loro erano talmente incapaci di prendersi cura di sé e di provare il benché minimo sentimento nei propri confronti, da lasciarsi morire di fame, chiusi in un loro mondo isolato, fatto di silenzi e angosce profonde. La prassi terapeutica, dal canto suo, rivela che il fattore sul quale si deve principalmente intervenire, nel caso della maggior parte delle patologie psicologiche, è quello dell'emotività. La maturità psico-affettiva è il risultato, quindi, di un lungo e faticoso processo, che è frutto di una sintesi armonica, sia tra le diverse componenti delle spinte più istintuali, in particolare tra la sessualità e l'aggressività, che tra l'affettività e la ragione (Giordani, 1988). L'uomo affettivamente maturo gode di un notevole margine di libertà interiore e può amare in modo costruttivo, armonizzando e il suo modo di essere, le sue esigenze, i suoi bisogni, e infine, il fatto che l’altro non esiste in quanto sua immagine, ma come realtà a sé stante con suoi propri bisogni. Edoardo Giusti (1995) definisce, l’empatia come l’atteggiamento e l’abilità di seguire, afferrare e comprendere il più pienamente possibile l'esperienza soggettiva dell’altro, ponendosi dal suo stesso punto di vista. Il termine empatia deriva dal greco “en-pasco”, che tradotto letteralmente vuol dire “provo, sento dentro”, ossia riesco a provare e sentire quelle emozioni come se fossi dentro l’altra persona. Provare empatia non vuol dire, però, identificarsi con l’altro, bloccarne il processo di comprensione di sé o presumere implicitamente di saperlo capire (falsa empatia). Il primo passo importante per comprendere a fondo il significato del termine empatia è quello di distinguerlo da un altro concetto, simile ma non sovrapponibile: la simpatia (siun-pasco, provo, sento insieme). E’ difficile distinguere questo sentimento da quello vissuto nell'empatia, perché le due disposizioni esprimono, entrambe, lo stato emotivo che si risveglia nell'animo di fronte ai sentimenti altrui (Giusti, ibidem). La differenza più profonda consiste nel fatto che provare simpatia, significa partecipare al vissuto emotivo dell’altro, in maniera fortemente determinata dall’esperienza personale di vita: se sto provando simpatia nei confronti di una persona, quello che sperimento sono mie emozioni, mie spinte affettive, che mi fanno sentire “con” l’altro.


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