Dicembre2013

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ANNO VI

Dicembre 2013

dalle ore 9,00 alle ore 19,00

La creativitĂ in mostra


NELIO SON

La galleria A arte Studio Invernizzi inaugura giovedì 5 dicem che presenterà lavori recenti, appartenenti al ciclo “Orizzon La galleria A arte Studio Invernizzi inaugura giovedì 5 dicembre 2013 alle ore 18.30 una mostra personale dell’artista Nelio Sonego, che presenterà lavori recenti, appartenenti al ciclo “Orizzontaleverticale”, realizzati in relazione allo spazio espositivo. I tratti di molteplici cromie, che l’artista traccia stendendo il colore acrilico con il pennello e non utilizzando lo spray come avveniva nelle opere realizzate negli anni precedenti, emergono dal fondo lungo direttrici verticali e orizzontali e si protendono oltre il proprio limite fisico per spezzare il confine chiuso e definito della tela. Nella prima sala del piano superiore verranno esposti lavori di piccole dimensioni in cui i segni di colo-

re si delineano sul fondo bianco del supporto. Questi lavori dialogheranno, seguendo un percorso fatto di passaggi analogici e contrastivi con le opere di grandi dimensioni, anch’esse caratterizzate da linee di varie cromie stese su fondo bianco, situate al piano inferiore della galleria e con il lavoro presentato nella seconda sala del piano superiore in cui le tracce bianche di

MOSTRA: Nelio Sonego CATALOGO CON SAGGIO DI: Paolo Bolpagni PERIODO ESPOSITIVO: 6 dicembre 2013 - 5 febbraio 2014 ORARI: da lunedì a venerdì 10-13 15-19, sabato su appuntamento Press Office Alessandra Valsecchi Mobile: 0039 340 3405184 ale.valsecchi@gmail.com


NEGO

Galleria: A arte Studio Invernizzi Via Domenico Scarlatti 12, Milano orari: da lunedì a venerdì 10.00/13.00 - 15.00/19.00 sabato su appuntamento Informazioni: tel. 02.29402855 info@aarteinvernizzi.it www.aarteinvernizzi.it

mb r e 2 0 1 3 u n a m o s t r a p e r s o n a l e d e l l ’ a r t i s t a N e l i o S o n e g o , ntaleverticale”, realizzati in relazione allo spazio espositivo. acrilico vengono trascritte da Sonego su un fondo nero. In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue con la riproduzione delle opere espo-

ste, un saggio introduttivo di Paolo Bolpagni, una poesia di Carlo Invernizzi e un aggiornato apparato bio-bibliografico.

Courtesy A arte Studio Invernizzi


MILANO

in B R E R A

"Artisti, botteghe e committenti a Milano tra Tardogotico e Rinascimento" Primo appuntamento del ciclo di conferenze.

Si è tenuto il 25.11.2013 il primo appuntamento del ciclo di conferenze: "Artisti, botteghe e committenti a Milano tra Tardogotico e Rinascimento" La Soprintendenza BSAE di Milano, in collaborazione con il SNF Sinergia Project

“Constructing Lombard Identity”delle Università di Losanna, Ginevra, Zurigo e EPFL di Losanna, propone una serie di conferenze dedicate alle arti a Milano nel XV secolo, nell’ambito di un più generale progetto di valorizzazione e promozio-

ne della conoscenza della produzione artistica lombarda, che ha preso avvio lo scorso anno con gli incontri di Arte a Milano nel Trecento. Intorno a Santa Maria di Brera. L’obiettivo del ciclo 20132014 è avviare una riflessione scientifica sugli aspetti della produzione artistica in età viscontea e sforzesca, in pittura, scultura, architettura e arti suntuarie, con particolare attenzione al vivace ambiente culturale nato attorno alla corte milanese, in constante rapporto con artisti e altri importanti centri di produzione. Ogni mese, nella Sala della Passione del Palazzo di Brera, alle ore 17.30, noti studiosi e esperti illustreranno i risultati di indagini e riflessioni svolte attorno al tema proposto.

www.brera.beniculturali.it




La cultura del territorio rappresentata dalle innovazioni creative di ‘Happy Crea’.

Eccellenze creative attive sul territorio per arricchire la proposta culturale in grado di unire tradizione e innovazione nel campo diffuso dell'arte creativa, nel contesto di una Cultura Sostenibile nel rispetto di ambiente e territorio.

Esposizione di creazioni artistiche. L'arte del riuso a supporto culturale di sicuro interesse nel rispetto dell'ambiente. Presentazioni e interventi di carattere sostenibilità, ambiente, vivibilità. Un'intera giornata tra creatività e sostenibilità, nei grandi spazi polifunzionali allestiti del Centro di via Amadeo a Milano.


Come la creatività d Secondo un’indagine del Sole24Ore, più di due imprenditori su tre considerano creatività/innovazione e responsabilità come valori fondanti della cultura d’impresa. Anche se i motivi per cui bisogna innovare sono chiari a tutti (e hanno a che fare con temi strategici come la globalizzazione, il restare competitivi, il crescere, l’aggiungere valore al prodotto) questa centralità dell’innovazione nella visione degli imprenditori è un fatto confortante. Così come è confortante la diffusione dell’idea che l’impresa moderna abbia un forte ruolo di motore sociale, non solo strettamente economico, e conseguentemente debba sviluppare un atteggiamento di responsabilità nei riguardi del contesto in cui opera. La medesima ricerca, però, segnala un fatto che a prima vista può apparire secondario, e che invece può avere conseguenze pragmatiche consistenti: creatività e innovazione, nell’indagine e con ogni probabilità nella percezione degli intervistati, vanno in coppia. Come se fossero due facce della stessa medaglia o forse, addirittura, due sinonimi. Che per innovare, cioè per sviluppare un’idea nuova traducendola in un processo o in un prodotto innovativo, sia necessario prima avercela, l’idea, è così ovvio da apparire scontato. Il dato che, forse, non viene considerato a sufficienza, è questo: non tutte le idee nuove sono valide o appropriate. Perché un’idea possa essere considerata nuova, basta che rompa una regola -qualsiasi regolaesistente. Anche la pizza al lucido da scarpe è un’idea nuova. LE DIFFERENZE TRA CREATIVITÀ E INNOVAZIONE Perché un’idea possa essere considerata creativa, dev’essere tale

non solo da rompere una regola esistente, ma da originare una regola nuova, e migliore. La creatività… crea, appunto, regole

nuove. E che funzionano. E’ un lavoraccio pieno di incognite. Non è solo la parte preliminare dell’innovazione. E’ una faccenda a sé stante. D’altra parte, creatività e innovazione sono non solo due momenti rilevanti, differenti e successivi uno all’altro all’interno del processo di sviluppo, ma appartengono a diversi livelli logici. L’innovazione è un fenomeno economico e sociale. Coinvolge la collettività. Chiede investimenti, infrastrutture, politiche dedicate. E il coraggio di rischiare. Ha una fortissima componente progettuale, può essere pianificata ed è frutto di una specifica strategia imprenditoriale. La creatività è un fatto mentale e individuale. Riguarda i singoli, o gruppi di singoli che cooperano. Chiede flessibilità, competenze, talento, focalizzazione. E una tenacia fuori dal comune. E’ per molti versi incontrollabile e dipende anche dal caso. La si può favorire ma non pianificare. Per cultura, esperienza, formazione un bravo imprenditore può facilmente capire le logiche dell’innovazione, e governarle pianificando tempi e investimenti. Quelle della creatività sono per alcuni aspetti incontrollabili, e questo può essere molto irritante. Senza contare che i gruppi creativi possono essere davvero complicati da gestire e orientare, finalizzandone le attività senza che si perda in originalità di pensiero. Si tende, dunque, a rimuovere il problema, facendo rientrare in modo piuttosto arbitrario lo sviluppo della creatività all’interno dei processi, ugualmente complessi ma più gestibili, che riguardano l’innovazione. E a pensare che, da una parte, anche per sviluppare la creatività bastino politiche dedicate, investimenti, infrastrutture, detassazione o finanziamenti pubblici. Che, dall’altra, anche il processo creativo possa essere rigorosamente pianificato e tempificato. E, infine, che gli addetti vadano considerati, sia per quanto riguarda l’incentivazione che per quanto concerne il controllo, alla stregua di qualsiasi altro dipendente. COMFORT E SFIDA Non è esattamente così, e ce ne possiamo rendere conto osservando le imprese che considerano la creatività come l’autentica leva strategica per lo sviluppo. Queste imprese, dall’italiana Diesel all’americana Google, sembrano avere in comune alcune caratteristiche peculiari: un ambiente informale, piacevole, accudente ma altamente sfidante per i singoli, sistemi d’incentivazione non basati sul puro incremento retributivo, tempo e ascolto a disposizione di chi ha una buona idea. In imprese così la creatività diventa innovazione non solo perché l’innovazione è ritenuta cruciale, ma anche, e in primo luogo, perché l’ambiente è favorevole allo sviluppo della creatività. Le persone creative non hanno bisogno di essere spinte a lavorare. Di solito, anzi, tendono a lavorare troppo e ad essere perfezioniste, quasi al di là di ogni ragionevolezza. Apprezzano il fatto di avere rispetto, reputazione e opportunità, e di appartenere a un’organizzazione che a sua volta ha una reputazione eccellente, molto più del puro incentivo economico. Non devono sentirsi costrette entro schemi di pensiero e procedure troppo rigide (e nemmeno entro orari ministeriali: biblioteche e laboratori che chiudono alle


diventa innovazione sei di sera o sono irraggiungibili nei weekend non aiutano la creatività) ma hanno bisogno che siano chiari gli obiettivi e gli standard di qualità. Hanno spesso un’alta sensibilità sociale, e si possono sentire gratificate dal fatto di sapere che il loro lavoro e la loro dedizione possono in qualche modo, e qualsiasi sia il campo d applicazione, contribuire a cambiare il mondo, migliorandolo. PREMIARE IL MERITO E CONTINUARE A FARLO Un altro fatto che tende a sfuggire è questo:
la creatività non è qualcosa di dato, che già esiste, e va solo (solo?) reperito e trasformato in innovazione grazie a un adeguato processo industriale: come se fosse una materia prima. Oro, ferro, petrolio. La scarsa percezione di questa differenza sostanziale nasce probabilmente da una serie di fraintendimenti. Il primo fraintendimento riguarda gli individui: “gli individui sono come sono”. Basta prendere quelli che hanno idee, i più bravi, e metterli al lavoro. Sembra semplice. Ma gli individui non sono come sono. Sono, invece, come sono diventati andando con maggiore o minor profitto in scuole più o meno buone e frequentando ambienti più o meno stimolanti e fertili. Se una società non “produce” individui creativi educandoli grazie a un sistema scolastico capace di premiare il merito e di riconoscere l’eccellenza, le sue imprese difficilmente riusciranno a competere producendo innovazione. In definitiva, la possibilità di contare su un gran numero di talenti creativi, dai quali nel medio-lungo periodo dipende anche la capacità di innovare, è intrinsecamente connessa con un alto livello di alfabetizzazione, con un’istruzione diffusa, con la presenza di numerosi centri di eccellenza. E, bisogna proprio dirlo, con un alto livello di occupazione femminile qualificata. Il secondo fraintendimento è di ordine metodologico: se pensiamo allo sviluppo come a un processo che si svolge nel tempo, vediamo che idee nuove generano processi innovativi, e che processi innovativi (tali, per esempio, da rendere disponibili nuove tecnologie o nuovi materiali) favoriscono il nascere di ulteriori idee nuove. Questo è uno dei molti fatti che, secondo la definizione di Gregory Bateson, si presentano in termini di coevoluzione: il fenomeno A favorisce il verificarsi del fenomeno B, che a sua volta amplifica la possibilità che il fenomeno A si ripeta. Insomma, può sembrare che, una volta avviata – cosa peraltro non facile – l’innovazione sia miracolosamente capace di generare se stessa. Purtroppo non è del tutto vero. Il dato che può sfuggire è questo: tutto si fonda sul fatto che nel sistema vengano continuamente immessi nuovi individui capaci di generare nuove idee. Nuovi individui, insomma, ancora più preparati, più acuti, più ricchi di talento, capaci di produrre idee ancora migliori, all’interno di un sistema la cui complessità cresce in modo difficile perfino da immaginare. Produrre individui che abbiano preparazione e talento è il vero punto critico. Gli investimenti sono a lungo o lunghissimo termine. E gran parte delle variabili coinvolte sfugge alla sfera d’influenza diretta delle imprese. Non è un buon motivo per non occuparsi del

tema, però. Come ricorda Benedetto Vertecchi, un ingegnere, un medico, un manager che esce oggi dall’università ha di fronte almeno trentacinque anni di lavoro. Molto prima di andare in pensione, scoprirà che buona parte di quanto ha studiato a scuola è superato. Se non possiede gli strumenti necessari per continuare ad aggiornarsi non solo non potrà contribuire al processo innovativo, ma probabilmente finirà, anche se in modo non volontario, per ostacolarlo. Un’indagine del 2006 compiuta da Provincia di Milano evidenzia proprio il fatto che spesso gli imprenditori trovano i maggiori ostacoli all’innovazione nella mentalità conservativa diffusa tra i dipendenti delle loro stesse imprese. Oggi, nel confronto con i paesi Ocse fatto attraverso i test PISA, che verifica le competenze degli studenti quindicenni, la nostra scuola esce mediamente male: sempre agli ultimi posti, sia che si tratti si scienze, di matematica o di capacità di leggere e comprendere testi. Il fatto che alcuni studenti e alcuni istituti siano davvero eccellenti è paradossalmente poco incoraggiante: ci dice che, depurata delle eccellenze, la stragrande maggioranza ha performance meno che modeste. Sarebbe importante che le imprese chiedessero non solo strategie e politiche per l’innovazione, ma anche programmi, strutture, investimenti tali da favorire un’educazione di base diffusa, e di qualità. E poi l’educazione specialistica, la formazione permanente, e la crescita di quel talento speciale che ci vuole per imparare a imparare. Non basta ancora: dal punto di vista del processo creativo – e questo è un ulteriore dato che gli imprenditori tendono a ignorare – i processi che generano l’idea di un nuovo prodotto, di un nuovo farmaco, di un nuovo servizio, di un nuovo romanzo o di una nuova canzone sono molto simili. Nascono nella testa di una persona o di un gruppo di persone, per una quantità di cause e un insieme di condizioni, alcune delle quali sono così aleatorie che è difficile inserirle dentro un piano di sviluppo industriale. Nascono in modi a volte inaspettati. Magari in un garage. Magari in seguito a un fatto fortuito. Nascono, le idee nuove e fertili, e accendono una meravigliosa sequenza di interrelazioni, ugualmente fertili. Che la creatività sia diffusa nel contesto sociale, e che nuove opere d’arte, nuovi romanzi, nuovi film di qualità vengano prodotti e mettano in circolo nuove e vigorose visioni del mondo è un fatto che interessa molto, e non così stranamente quanto sembra, anche gli imprenditori. Un’idea che funziona -in qualsiasi ambito, compreso quello delle arti- è un seme che ha la capacità di germogliare e che, germogliando, crea un ambiente adatto alla diffusione di altri semi, che a loro volta germoglieranno. Certo, ci vogliono poi terra buona e trattori: cioè investimenti, laboratori, infrastrutture. Ma, senza una quantità di buoni semi, messi in terra nel modo giusto, non si raccoglie niente. E, alla fin fine, non si produce niente di buono.

Te s t i e i m m a g i n i t r a t t i d a ‘N u o v o e u t i l e ’ F o n t e : w w w. n u o v o e u t i l e . i t C o n c e s s i o n e ‘N u o v o e Ut i l e ’ - r e d a zi o n e @ n u o v o e u t i l e . i t .


Il nostro impatto ambientale, ossia il modo in cui influiamo sull’am Il nostro impatto ambientale, ossia il modo in cui influiamo sull’ambiente, deriva dall’insieme delle nostre scelte di vita e di consumo. E se questo è relativamente acquisito nella coscienza pubblica, soprattutto in questi ultimi anni in cui la preoccupazione per il futuro del nostro pianeta è notevolmente cresciuta, non sempre è chiaro come e quanto concretamente influiamo sull’ambiente che ci circonda. Fra i diversi argomenti a tale riguardo, di sicuro uno dei più rilevanti è la nostra alimentazione. Infatti il cibo che consumiamo è uno dei fattori quantitativamente maggiori nella valutazione del nostro impatto ambientale e, come vedremo i prodotti animali, come carne, latte, uova, pesce, sono fra le cause maggiori di speco di risorse e inquinamento. Gli animali d’allevamento consumano infatti molte più calorie, ricavate dai mangimi vegetali, di quante ne producano sotto forma di carne, latte e uova e come “macchine” (così purtroppo sono considerati nella moderna zootecnia) che convertono proteine vegetali in proteine animali, sono del tutto inefficienti. D’altronde basta pensare che mentre ci si potrebbe nutrire direttamente con le risorse vegetali coltivate nei campi, si preferisce invece coltivare gli stessi campi per produrre cibo per gli animali chiusi negli allevamenti, per i quali bisogna poi “sprecare” una enorme quantità di risorse energetiche e di acqua. CONSUMO DI ACQUA l consumo d’acqua di una dieta che includa la carne o latticini è decisamente maggiore di una dieta vegan (che esclude i derivati animali); ed il tema dello spreco d’acqua, soprattutto proiettato negli anni a venire, è di scottante attualità. Per esempio, si pensi che per produrre un kg di manzo possono occorrere fino a 100.000 litri d’acqua, mentre per un chilo di frumento ne occorrono solo 900 e per un chilo di soia 2000. [Fonte: “Water Resources: Agriculture, the Environment, and Society” An assessment of the status of water resources by David Pimentel, James Houser, Erika Preiss, Omar White, et al. Bioscience, February 1997 Vol. 47 No. 2] I numeri potrebbero sembrare eccessivi, ma basta riflettere un attimo sull’iter di produzione. Per un chilo di frumento è necessario in totale utilizzare circa 900 litri di acqua. Ma per produrre una bistecca, bisognerà prima di tutto coltivare quello stesso frumento, anzi molto di più, dato che andrà usato per nutrire dei bovini per svariato tempo; tempo nel quale andrà dato loro da bere, ma anche utilizzata molta acqua per tenere pulite le stalle; ed infine bisogna anche considerare l’acqua utilizzata all’interno dei macelli. In totale, non è poi così strano vedere che mangiando

carne si consumi circa CENTO volte più acqua che non mangiando vegan! Senza dimenticare che quanto detto è vero anche per gli altri alimenti animali. Ad esempio, le considerazioni sull’acqua necessaria per allevare un bovino sono valide anche per la produzione di latte; in questo caso addirittura si deve considerare anche l’impiego di acqua, non indifferente, necessario per tenere pulite le sale di mungitura e soprattutto i macchinari per mungere. Si arriva facilmente ad un fabbisogno di circa 100 litri al metro quadro per giorno. [fonte: Il ruolo dell’acqua nell’allevamento animale - Giuseppe Enne, Gianfranco Greppi, Monica Serrantoni] Decidendo semplicemente di essere vegan si possono risparmiare più di 5 milioni di acqua ogni anno. Si potrebbe lasciare aperta la doccia 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno. Senza riuscire a sprecare così tanta acqua come fa una persona che segue una dieta a base di prodotti animali. EFFETTO SERRA Andando oltre, un altro aspetto fortemente negativo dell’allevamento, anche questo poco conosciuto, è la sua incidenza sull’effetto serra. Infatti sono molti gli studi che indicano chiaramente come il contributo della produzione di alimenti animali al totale dei gas serra sia molto rilevante. In particolare, sotto forma di metano prodotto dal sistema digerente degli animali con l’emissione di gas intestinali, mentre le deiezioni degli animali diffondono nell’ambiente sostanze acidificanti ed eutrofizzanti. Ricordando anche che, come già sottolineato, l’allevamento implica una maggiore serie di attività inquinanti rispetto al coltivare vegetali destinati direttamente all’alimentazione umana, come ad esempio il trasporto di vegetali e la loro trasformazione in cibo per animali. Tutto questo porta un altro forte contributo all’effetto serra. Per avere qualche dato ufficiale, basta riportare che la FAO, nella relazione “Livestock’s long shadow” presentata il 29 novembre 2006, afferma che il bestiame produce circa il 9% del principale gas serra, il biossido di carbonio, ma è responsabile di alte emissioni di altri importanti gas serra: il 35-40% delle emissioni di metano e il 65% di quelle di ossido di azoto (che è circa 300 volte più dannoso del CO2 per il riscaldamento globale) vengono prodotte infatti dal bestiame. Le emissioni totali di gas serra causate dal settore zootecnico sono pari al 18% del totale dovuto alle attività umane; una percentuale simile a quella da addebitare all’industria e maggiore di quella dovuta all’intero settore dei trasporti. Un recente studio condotto in Germania (dall’associazione


mbiente, deriva dall’insieme delle nostre scelte di vita e di consumo. FoodWatch insieme ai ricercatori dell’Istituto tedesco per la Ricerca sull’Economia Ecologica) effettua un calcolo preciso su quanta CO2 si produca, in un anno, seguendo diversi tipi di alimentazione; per risultare più comprensibile il raffronto è stato esplicitato in termini di km equivalenti percorsi in auto e si hanno i seguenti risultati: Alimentazione vegan Da agricoltura bio: 281 km Da agricoltura convenzionale: 629 km Alimentazione vegetariana Da agricoltura bio: 1978 km Da agricoltura convenzionale: 2427 km Alimentazione onnivora Da agricoltura bio: 4377 km Da agricoltura convenzionale: 4758 km DEFORESTAZIONE Ci sono altri aspetti poco conosciuti dell’impatto degli allevamenti. Uno di questi è il suo peso rispetto alla deforestazione: le foreste pluviali vengono abbattute non tanto per predarne il legname, come molti credono, ma sopratutto per ottenere pascoli per l’allevamento di bovini destinati a fornire carne all’Occidente. Il problema consiste ancora una volta nella necessità di produrre grandi quantità di vegetali non per nutrire direttamente l’uomo ma per sostenere l’allevamento, per poi – alla fine dei conti – produrre cibo per una quantità molto minore di esseri umani. Ad esempio, i dati riportano che la maggior parte della deforestazione della Foresta Amazzonica è dovuta all’allevamento di bovini (la cui carne verrà poi principalmente esportata), circa il 60%. Solo circa il 30% è dovuta all’agricoltura di sussistenza o di piccola scala [fonte: www.mongabay.co]. Una ulteriore riflessione importante: anche per quanto riguarda l’agricoltura c’è un problema collegato dall’allevamento; infatti una grossa fetta di risorse vegetali, soprattutto la soia, vengono coltivate per diventare foraggio per gli animali. Quindi, semplificando al massimo: si abbattono grandi aree di foresta per fare campi di soia e cereali, che invece di essere usati per nutrire gli uomini (magari di quelle stesse zone), sono usati per sostenere l’allevamento e produrre carne da esportare nei paesi più industrializzati. Ancora un aspetto dal quale emerge lo spreco e il grave impatto ambientale del consumo di carne e altri alimenti animali. PER SALVARE L’AMBIENTE Riassumendo, i dati oggettivi sono incontrovertibili: l’allevamento di animali – sia per produrre carne che per produrre

altri derivati – comporta un enorme spreco d’acqua, contribuisce in maniera rilevante all’effetto serra, è la principale causa della deforestazione ed è altamente inquinante non solo a causa dell’allevamento stesso ma anche per la produzione di foraggio, per i trasporti, dei mangimi e degli animali. Questa forte critica all’allevamento ovviamente va fatta nella misura in cui esiste una valida alternativa: scegliere una alimentazione priva di alimenti animali, ossia seguire una dieta vegana. Essere vegani è uno stile di vita, un modo di essere sensibili e rispettosi di tutte le vite e dell’ambiente e si esprime con il rifiuto di ogni forma di sfruttamento degli animali. A tavola significa non consumare prodotti di origine animale – carne, salumi, pesce, ma anche uova, latte, formaggi, miele – sapendo che non solo gli alimenti derivanti dall’uccisione, ma anche tutti quelli presentati tradizionalmente come “incruenti” significano sofferenza e morte per gli animali, comportano gravi danni per la salute della Terra e riducono le risorse a disposizione per i paesi più poveri. I prodotti vegetali che la natura ci offre sono davvero tanti e sta alla nostra fantasia abbinarli per realizzare piatti prelibati e nutrienti. Diventare vegani vuol dire scoprire e riscoprire tutto un mondo di cibi sani, gustosi e genuini e quello che spesso passa inosservato è che già molti dei piatti tradizionali della cucina mediterranea e non solo, sono vegani e che tantissimi altri possono facilmente diventarlo. L’ADA (American Dietetic Association) dal 1987 dichiara che una dieta vegana correttamente bilanciata è salutare, adeguata dal punto di vista nutrizionale e adatta a tutti gli stadi del ciclo vitale (inclusi gravidanza, allattamento, svezzamento, infanzia e terza età) perché garantisce lo sviluppo fisiologico dell’organismo.


Il Dio Anu all’origine degli Etruschi? Realtà o fantascienza? Gli Annunaki: Coloro che dal cielo alla terra vennero... - Erano ‘giganti terrestri’, che crearono l’uomo geneticamente come un ibrido tra loro e l'Homo Erectus. - Gli Annunaki vennero sulla terra da un pianeta chiamato Nibiru, che si trova nel nostro sistema solare su un enorme orbita cometaria della durata di 3600 anni. - Gli Annunaki si sono evoluti su Nibiru, sul quale avevano una società ben sviluppata, governati dal loro principe Dio Anu. - Essi arrivarono sulla terra nell’era dei Pesci, 445000 anni fa. L’uomo fu creato dagli Annunaki 299000 anni fa, quale servo, per compiere il duro lavoro a supporto delle truppe annunake. - Gli Annunaki vennero sulla terra, per ottenere oro da immettere nell’atmosfera del loro pianeta, Nibiru. - Gli Annunaki vivevano migliaia di anni perché i loro cicli vitali si erano adattati, per la vita su di un pianeta con un’orbita di 3600 anni attorno al sole. - Il diluvio universale, fu un autentico evento storico, causato dal pianeta Nibiru che sciolse la placca ghiacciata dell’Antartico, che scivolando in mare, generò un enorme maremoto. - L’enorme piattaforma di pietra a Baalbek in Libano, era un sito di atterraggio degli Annunaki…” Queste, sono le affascinanti teorie di Zacharia Sitchin, un autore controcorrente che ha ipotizzato una possibile derivazione umana da una matrice extra-terrestre. Ma ancor più che, se osserviamo la cultura babilonese e ittita, molto ci dice e svela su questi misteriosi Annunaki provenienti da un pianeta, che guarda caso, non è fantasma, esiste ed è stato scoperto e fotografato: il pianeta si chiama Nabiru. Dunque, avevo accennato inizialmente alla suggestiva ipotesi degli Etruschi discendenti dai giganti; gli Annunaki abbiamo appena appreso essere proprio dei Giganti, e racconti biblici del Vetero Testamento parlano di Giganti che si unirono alle donne della terra e generarono figli e figlie.

Nella Genesi, il libro che appartiene al Pentateuco, si narra di questo fatto. Dunque, proseguiamo la Cerca con una certa armonia di pensieri e visioni, forse non troppo angeliche, ma sicuramente molto interessanti e suggestive, qualcosa che apre il ‘portale’ della mente, il nostro personale ‘stargate’, a percezioni e conoscenze fuori dal comune luogo, e oltre la terra. Iniziamo con il leggere il passo biblico in questione, che annovera Giganti scesi sulla terra: “ … C’erano sulla terra dei giganti a quei tempi, e anche dopo, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini favolosi…” Genesi, 6, 3-4. Il testo della Genesi spiega chiaramente dell’esistenza sulla terra di Giganti, e dall’unione con le figlie, belle, degli uomini, la nascita di semi-dei, cioè gli eroi, uomini dotati di particolari qualità e virtù. Forse paragonabili al bellissimo Achille della mitologica Iliade? Questa, però, è ben altra storia, di tutt’altra letteratura! Il Pianeta Nibiru, che gli antici Sumeri conoscevano, possibile fonte di contatto extraterrestre, per la nostra formazione scientifica. Forse un mutamento, dall'Alto mediante una possibile visita, della genia umana e di tutte le possibili conoscenze tecniche, nonché linguistiche... Si ringrazia Autore-Editore per la concessione. Ma, da dove provenivano questi Giganti, che anche la Bibbia cita? Sono forse gli Annunaki? Cerchiamo, di comprendere più da vicino il misterioso arcano… Il decimo pianeta dell’orbita solare, il pianeta dei Giganti? Nibiru? Ogni mistero ha una sua intima storia, così, anche questa che ora racconto ha la personale verità. Tutto ha inizio con un fatto di cronaca, quelli che ogni giorno informano gli appassionati di giornali vari, o notizie lampo ma molto, molto interessanti, specie, poi, se vanno a stimolare la fantasia di ogni ipotetico lettore… “…il 12 Dicembre 2002, un comunicato Ansa, ed un articolo della rivista britannica New Scientist, informano l’umanità dell’esistenza di un ‘decimo’ pianeta nel nostro sistema solare. Nel frattempo, le informazioni inviate dalle sonde spaziali sulla terra, offrono precise idee in merito. Esisterebbe, di fatto poiché anche delle immagini giungono dalle sonde, un altro pianeta, o di un corpo celeste, oltre Plutone, che influenza le orbite dei pianeti esterni…” Dove si nasconde la verità? E’ un pianeta reale, o come sostiene il citato autore Zacharia Sitchin nei suoi libri, trattasi di un ‘pianeta da guerra’? Molti anni prima, nel 1983, già si era gridato all’esistenza di un ‘corpo celeste’, insolito, misterioso! Ancora, un comunicato Ansa, questa volta siamo nell’anno Domini 2005, esattamente 30 Luglio, da Los Angeles giunge


al mondo che: “… E’ ufficiale, il sistema solare avrebbe, ha, un decimo pianeta. Un pianeta gravitante a 15 miliardi di kilometri dalla terra. L’oggetto celeste più distante in orbita intorno al sole, dopo Plutone…!” Perché tanta meraviglia, perché un simile stupore? Rimanere quasi senza parole, dinanzi a quello che appare come una grande scoperta scientifica e astronomica: il mondo intero sembra sconcertato. C’è chi scrive su quotidiani: “ … dobbiamo riscrivere le mappe stellari, riscrivere l’astronomia classica… è tutto da rifare… Galilei, Keplero, Newton… Un vero caos di leggi e calcoli…?” Quando tale pianeta, e non solo, era già conosciuto e annoverato astronomicamente, presso i Sumeri? Una simile notizia fu già tema di discussione, anni or sono, quando il citato Sitchin, studioso russo, esperto di lingua sumera (la stessa che, secondo la mia tesi, è matrice per la formazione della lingua etrusca) e perfetto traduttore delle tavolette sumeriche scritte in caratteri cuneiformi, comunicò al mondo tale verità dai suoi innumerevoli libri, di particolare divulgazione ante litteram… (Il Pianeta degli Dei, Ed. Piemme, 2000). L’autore scrive che il popolo Sumero definisce un pianeta col nome di ‘Nibiru’, o ‘pianeta dell’incrocio’. Da questo pianeta l’autore dice interpretando i Sumeri, che provengono gli Annunaki: “Coloro che dal cielo caddero sulla terra”, una stirpe di giganti evoluti, molto intelligenti. Corrispondenti ai Nefilim biblici, che atterrati sulla terra, danno vita a nuovi esseri umani (è possibile la discendenza degli Etruschi da costoro?). Nel museo di stato di Berlino, secondo Sitchin, si trova un sigillo cilindrico accadico, risalente al 2400 a.C., che fornirebbe notizie sul sistema solare dei tempi antichi. Che vede la nostra stella circondata dai pianeti, come noi li conosciamo, con l’aggiunta di ‘Tiamat’ e il misterioso ‘Nibiru’. Tiamat per i Sumeri era un piccolo pianeta collocato tra Marte e Giove. Dove si è eclissato? Come facevano gli antichi Sumeri, e non solo loro, a conoscere perfettamente la posizione e l’esistenza dei pianeti, non avendo a disposizione i nostri modernissimi telescopi elettronici? La verità, cari lettori, è sempre celata, occultata nelle cose che ci si presentano come impossibili e improbabili, molto spesso! Ma riflettendo con un acuto senso dell’indagine, e andando oltre, qualcosa di iper-umano deve essere avvenuto in quei

tempi così remoti, inaccessibili alla comprensione dalle nostre povere menti, che non sanno vedere oltre determinate linee di confine, troppo spesso offuscate. Sicuramente, seguendo l’autore in questione, ci sarà stato un contatto diretto ravvicinato dei Sumeri con quelle lontane civiltà. Forse, le stesse, o la stessa, hanno disegnato le mappe astrali e astronomiche per i terrestri, indicando perfettamente la loro provenienza; esse successivamente sono state trascritte sulle Tavolette, per non perdere la memoria degli accadimenti. Del resto, se seguiamo le teorie dello studioso russo non dovrebbe meravigliare più di tanto il fatto che questi giganti provenienti da Nibiru abbiano sulla terra dato origine a degli ibridi, che diventarono ominidi. Il fatto interessante è che prevalentemente gli Annunaki cercavano l’oro, perché legati vitalmente a questo. Gli Ittiti erano ricchi di questo prezioso metallo, e gli Etruschi, guarda caso, conoscevano modalità artistiche quasi occulte, misteriose, ma raffinate di lavorare l’oro, che andarono perdendosi nel tempo. Coincidenze, casualità, o similitudine genetica di discendenza dagli Annunaki? Lo stesso Re accadico, il fantastico Re Scorpione, potrebbe essere stato un nibiriano, che sulla terra si unì alle belle figlie dell’uomo, originando nel tempo una nuova dinastia regale, da cui, poi, successivamente la grande cultura Ittita, Egizia, e per derivazione quella Etrusca. Certamente qualcuno potrà gridare allo scandalo: servono prove, solide prove, ma ricordiamo le migliaia di Tavolette cuneiformi non ancora tradotte, i centinaia di antichissimi codici perduti, le meravigliose biblioteche antiche distrutte. Quante verità avranno offerto, che per colpa del fuoco e dell’incauta mano sono andate irrimediabilmente distrutte per sempre? Siamo così, ormai giunti alla fine di questo particolare e insolito viaggio. Una cerca tra le pieghe dell’archeologia, quella più esoterica, più in ombra, misteriosa, che tenta di rivaleggiare con la grande Archeologia ufficiale, la sorella prediletta… Si è tentato di valutare un popolo, quello Etrusco, ancora in ombra, all’orizzonte della storia, con i parametri di grandi civiltà come quella Ittita, spingendoci oltre, con un salto del pensiero verso altri lidi di ricerca. Un pensare ad un ipotetico contatto con civiltà la cui provenienza è posta al di fuori della madre terra… la cui sede è negli alti cieli, in sconosciute sfere?


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