Giu2015

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Giugno 2015

ANNO VIII


FORLANINIC

Il nuovo circuito di svilupp


CIRCUITLIFE

po del territorio di Milano


REUSE

Missione riciclo creativo

A Genova, nella Sala Cuspide di Palazzo Verde, fino al 14 giugno sarà possibile visitare Azione Plastica, esposizione di tre opere selezionate nell’ambito del concorso REUSE. Azioni per il riciclo creativo della plastica. L’iniziativa, voluta dal Comune di Genova, dall’Università degli Studi di Genova e da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, in collaborazione e con il patrocinio del GAI – con bando aperto ad artisti under 35 – ha voluto avviare un “percorso di sensibilizzazione” e “prevenzione” sui problemi connessi ai rifiuti plastici e con un messaggio, che l’arte, cioè, può diventare una grande alleata nel “dimostrare” che recupero e riutilizzo dei rifiuti plastici, ora trasformati in “oggetti e produzioni artistiche”, possono contribuire a

“valorizzare gli spazi espositivi e urbani” per “un forte impatto ambientale”, nonché per “lo sviluppo, il sostegno e l’affermazione della cultura e della creatività”. A Palazzo Verde, fino a giugno, sarà pertanto possibile ammirare le opere di Tvrtko Buric, Leonard Sherifi e OrdinariAmministrazione. Tvrtko Buric, classe 1982, croato di Bjelovar, è l’autore di From energy to energy, opera di materiali plastici tipici del quotidiano o raccolti nei cantieri, quindi trattati ad alte temperature. L’opera, con la materia al suo stato originario, ciò che “annulla la funzione precedente dell’oggetto”, esprimendo “nel rifiuto la volontà di cambiamento”, è stata collocata in un ambiente della sala con l’installazione che “prende corpo


in verticale”. Al centro, l’uomo, considerato come “creatore e consumatore”, come colui, cioè, che dovrebbe avere responsabilità e coscienza di “cosa fa e cosa lo circonda”. Leonard Sherifi, classe 1984, albanese di Kuçovë, è a Genova con The spring storm, riflessione sul “processo di alienazione” tipico della società dei consumi con cui il giovane artista ha voluto riprendere il discorso su arte e salvaguardia dell’ambiente avviato nel 2013 con RE-PET, esposizione green curata da Stella Seitun che già allora aveva parlato di “nuove creature dall’aspetto primitivo”, “sculture in PET, micro-città fantastiche composte da frammenti di oggetti d'uso quotidiano o industriali”, fotografie ad esprimere il “senso di straniamento dell'uomo nella sua manipolazione artificiale”, dipinti, opere evocanti le “strutture originarie della natura e del linguaggio della società contemporanea in una continua tensione tra vita e morte, tra nuovo e vecchio, tra l’ineluttabilità del residuo di scarto e ciò che invece si rinnova nel ciclo vitale. Un processo di liberazione della forma

dall’oblio che annuncia una salvezza possibile al di là del disfacimento fisico e morale d’ogni produzione e consumo”. È invece di Ordinari Amministrazione, collettivo di artisti – loro sono Tommaso Megale, Erica Falcinelli, Elena Malara – il nido di fili di plastica, che gli uccelli trovano nell’ambiente, di Recycle readymade, opera concepita come un invito a riflettere sul concetto di riciclo, da sempre considerato in ottica antropocentrica, con l’uomo, cioè, visto nella sua “evoluzione tecnica” che produce altro partendo da ciò che, a sua volta, era frutto di processo produttivo. Se il concetto di riciclo si basa da sempre sulla distinzione fra ciò che è prodotto dall’uomo e ciò che si trova in natura, poiché il nido realizzato con fili di plastica è oggetto presente in natura realizzato dall’azione animale, “uscendo da una prospettiva antropocentrica”, così il collettivo “è nato prima il riciclo o la produzione?”. Il riciclo è, cioè, una “forma di produzione” o la “produzione una forma di riciclo?”


IDEE CR

Associazione di idee.

Potrebbe essere un quadro surrealista, ma è una fotografia. È stata, come le altre che seguono, scattata nella Namibia del sud. Il posto si

chiama Kolmanskop: è una città di cercatori di diamanti, costruita ai primi del Novecento sul modello delle cittadine tedesche.

Quando i diamanti sono finiti la gente ha cominciato ad andarsene e la città è stata abbandonata a metà anni Cinquanta. Oggi ci arriva qualche turista, qualche fotografo e, ogni tanto, una troupe in cerca di scorci suggestivi. Ho intercettato questa foto diverso tempo fa e l’ho conservata. Dentro ci vedo un deserto chiuso in una serie di stanze che potrebbero aprirsi una sull’altra all’infinito. Ma, per esempio, mi viene anche in mente Il libro di sabbia di Borges. Uno psicologo comportamentista direbbe che la foto funziona da stimolo, e che “deserto chiuso in una stanza” (e, già che ci siamo, Il cielo in una stanza di Gino Paoli) e Il libro di sabbia sono la mia risposta. Quello che vi ho appena raccontato è un caso di associazione delle idee: un’esperienza che facciamo tutti. Per questo vale la pena di chiedersi come funziona. Del resto, ce lo stiamo chiedendo da più di duemila anni e, a poco a poco, abbiamo trovato qualche risposta. SOMIGLIANZA, CONTRASTO, CONTIGUITÀ. Platone è il primo ad affermare, nel Fedone, che le idee si associano per somiglianza o per contrasto. Aristotele, nel trattato sulla memoria e la riminiscenza, aggiunge un terzo elemento: la contiguità. Sono grandi categorie, e dentro c’è un po’ di tutto: la somiglianza può perfino essere semplice assonanza, o coincidenza, o slittamento verbale. Ascoltatevi, per esempio, questi tre folgoranti minuti di Alessandro Bergonzoni in uno spettacolo che, tra l’altro, si intitola “Nessi”. SEMPLICE E COMPLESSO, CAUSA ED EFFETTO. Di associazione delle idee continuano a occuparsi i filosofi: e, del resto, chi altri se non loro? È l’empirista Hume a scrivere che è la proprietà che le idee hanno di associarsi tra loro a permetterci di riunire idee semplici in al-


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. Dov’è la creatività? tre più complesse, e che un altro legame importante riguarda i rapporti di causa ed effetto. FILI DI SIMILITUDINE TRA CONSCIO E INCONSCIO. A fine Ottocento ci imbattiamo in un tizio formidabile: è Francis Galton, cugino di Darwin, ex bambino prodigio, (legge a due anni), scienzato eclettico, antropologo, meteorologo (sono suoi la prima mappa del tempo e il termine anticiclone). Galton è uno dei primi a studiare le caratteristiche delle persone geniali, è il primo a formalizzare la distinzione tra nature and nurture, (cioè eredità e ambiente, tratti innati e acquisiti) ed è il primo a usare un test di associazione verbale. Un noto esperimento di Galton riguarda la misurazione della propria attività di pensiero mentre passeggia nel Pall Mall di Londra. Scopre di avere pensieri ricorrenti: come gli attori di un teatro in cui si vuol rappresentare un lungo corteo, che marciano fuori da un lato del palcoscenico e, passando per il retroscena, sbucano dall’altra parte. Ma da dove spuntano, allora, le idee nuove? Vengono dall’inconscio, dice Galton: idee consce e inconsce sono legate da fili di similitudine. ASSOCIAZIONI RICORRENTI. Nella Vienna dei primi del Novecento l’inconscio, grazie a Sigmund Freud, è assai popolare, ma viene indagato per individuare l’origine di comportamenti patologici. È solo Carl Jung a studiare l’associazione delle idee di persone mentalmente sane: lo fa presentando loro batterie di parole-stimolo. Verifica che le associazioni avvengono per somiglianza materiale o verbale (da mela a pera, da mela a tela), o per categorie, dalla maggiore alla minore o viceversa (da albero a pino, da gatto a animale) o per contrasto concettuale, intuitivo o linguistico. Ma la scoperta maggiore è che le associazioni prodot-

te sono ricorrenti, e che sono molte meno dell’infinità teoricamente possibile. A questo punto, se ancora non lo conoscete, siete pronti per affrontare il test di Beatrice. E, se lo conoscete già, siete pronti per scoprire la spiegazione del test medesimo. DAL LESSICO MENTALE ALLA RETE SEMANTICA. Evidentemente tutti noi condividiamo un analogo lessico mentale, che ordina parole e concetti in modi simili, come se ciascuna parola fosse (questo lo dice Saussure) il nodo di una rete. Ed eccoci arrivati alla seconda metà del Novecento, e all’idea di rete semantica: una struttura fluida che lega tra loro nodi concettuali (per esempio mammiferi) e occorrenze concrete (per esempio cane). È proprio il fatto che per tutti noi sia facile intuire qual è il legame a dirci che la struttura è fluida sì, ma condivisa: ciascun elemento si connette con altri nodi (per esempio con fedeltà) e con altre occorrenze (per esempio con cane dalmata). Il vecchio ma ancora affascinante Visuwords può darvene un’idea. Oggi stiamo cominciando a parlare coi computer proprio perché insegniamo loro non solo a riconoscere le parole, ma ad appropriarsi della rete semantica. DOVE STA LA CREATIVITÀ? Tutto questo non vuol dire che pensiamo tutti alla stessa maniera. Da una parte, non tutti conosciamo la stessa quantità di parole e concetti, e dunque la rete semantica di ciascuno è diversamente fitta ed estesa. Dall’altra, nuove conoscenze ed esperienze ci portano continuamente ad aggiungere, alla struttura di base che è lar-

gamente condivisa, nuove connessioni e nuovi nodi che non solo ampliano la struttura, ma possono modificarla. Dall’altra ancora, competenze acquisite e memorie passate consolidano certi percorsi e ne attenuano altri. Allo stimolo “cane” un veterinario, un avvocato che è stato morso da piccolo e ha

paura dei cani e un cartoonist che lavora alla Pixar possono forse in prima istanza rispondere “gatto”, ma poi le loro catene di associazioni probabilmente prendono strade diverse. Infine (e questa è la cosa, secondo me, più importante): a stimoli semplici, non ambigui e strettamente codificati come la parola “cane” è naturale dare risposte altrettanto semplici, codificate e prevedibili. Ma se gli stimoli sono più complessi, suggestivi, ambigui, sorprendenti, e se sono suscettibili di molte interpretazioni perché sfuggono le codificazioni elementari o le trascendono, le associazioni di idee possono srotolarsi secondo percorsi per niente ovvi. Se leggete un romanzo o guardate un quadro o visitate un paese straniero, o se chiacchierate con una persona interessante, ve ne accorgete subito. Testi e immagini tratti da ‘Nuovo e utile’ Fonte: www.nuovoeutile.it


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Sinestesia, una passeggiata

Questa volta il punto di partenza è un ipnotico telecomunicato che unisce musica e colore. Mica male. Faccio una digressione e vado su Wikipedia a rivedermi la definizione di sinestesia, (e poi la più esauriente definizione inglese): in sostanza, la sinestesia è il fenomeno percettivo che cortocircuita canali sensoriali diversi, per esempio vista e olfatto o, appunto, vista e udito. Questo significa, per esempio, poter “annusare”, o “assaggiare”, o “ascoltare” i colori. Poter “vedere” una musica, o la forma di un sapore. Dev’essere una sensazione davvero singola-

re. In realtà tutti noi, quando parliamo di colori “caldi” o freddi”, oppure di un gusto “rotondo” o “ruvido” evochiamo, attraverso la metafora, un’esperienza sinestesica. Resta tuttavia difficile capire che sensazioni immediate si provano nella percezione sinestesica: questo breve documentario, però, lo spiega bene. Invece questo corto lo racconta in modo più evocativo, e quest’altro prova a trasmettere l’esperienza della sinestesia com’è nella percezione delle persone. Torno all’idea del “vedere” i suoni. O, almeno, della loro rappresentazione visiva: roba da futuristi, ma non solo. Trovo diversi video (ecco Mozart, Chopin e Debussy) che rappresentano il rincorrersi delle


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a ai confini tra colori e suoni

note, e devo ammettere che è un curioso modo per leggere più da vicino il divenire della musica, specie per chi, come me, ne sa poco. La scoperta più curiosa riguarda la storia di Neil Harbisson: nato con una totale cecità ai colori, comincia a percepirli in forma di suoni (è una specie di sinestesia indotta, insomma) grazie a un software. Qui trovate il breve Ted talk in cui lui racconta, con molto orgoglio, la sua esperienza da cyborg. Poi finisco su una pagina su Flickr che trasforma i Beatles in colori e immagini. Ah: c’è anche un grazioso progetto artistico che mappa le parti del corpo più citate nei diversi generi musicali.

Divertente. Trovo anche un sacco di fuffa, che vi risparmio. Invece il Bouba/Kiki effect scoperto da Wolfgang Köhler merita: è una piccola esperienza di sinestesia comune al 95% delle persone, e vi consiglio proprio di dare un’occhiata. Insomma: girovagare nelle zone di confine è un esercizio creativo che chiede tempo e una dose (ne abbiamo già parlato) di serendipity. Qualche volta ci si perde, ma spesso si scovano cose inaspettate. Testi e immagini tratti da ‘Nuovo e utile’ Fonte:

www.nuovoeutile.it Concessione ‘Nuovo e Utile’ - redazione@nuovoeutile.it.


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Il colore. Salere cog Qualche giorno fa succede che, in agenzia, ci ritroviamo a discutere di scale di grigio. “Questi due grigi sono praticamente uguali!”, dice il cliente. “Ma no, guarda bene, sono diversissimi”, dice l’art director, squadernando tutto il campionario delle prove a conferma, catalogo Pantone in primis. In realtà, so che i grigi sono effettivamente diversi. Ma so due altre cose: non è facile cogliere le sfumature se non si attiva un’attenzione specifica. E, soprattutto, non tutti colgono le sfumature alla stessa maniera. Il vantaggio è che da tutto ciò nasce questo articolo. Quante sfumature di grigio? La cultura mitteleuropea ha ben 114 termini per distinguere le sfumature di grigio, quella Maori ne ha uno, scrive Paola Santagostino ne Il colore in casa. Ora, e lasciando perdere il fortunato best seller pornosoft pubblicato nel

2011: quante sfumature di grigio riusciamo effettivamente a vedere con i nostri occhi? Focus dice che possiamo percepirne una trentina. Qui ci sono cinquanta sfumature chiaramente distinguibili, con tanto di codice Pantone, ma secondo me l’autrice bara un po’: da qualche parte, mi sembra, andiamo sul verde oliva, da qualche altra sul tortora (e le tortore si distinguono dai piccioni anche perché, suvvia, non sono grigie). Meglio l’intera, onestissima scala del cool grey Pantone. E sì, le varianti sono proprio 50. Mi viene il dubbio che l’autrice del fortunato best seller, per ispirarsi, oltre che nei negozietti a luci rosse del quartiere sia passata anche dal colorificio sotto casa. Sapete distinguere le sfumature? Se siete convinti di saper distinguere le sfumature, mettetevi alla prova con l’Online Color Challenge di Pantone. Occhio (qui è proprio il ca-

Jeremy Burgess so di dirlo)! È assai meno facile di quel che sembra. Piccolo trucco: ricostruite le scale e poi osservate il risultato sia da vicino, sia allontanandovi dallo schermo. Ombre e sfumature. In inglese, sha-


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gliere le sfumature

de significa sia “sfumatura” sia “ombra”. Se volete capire la differenza tra shade e shadow, leggete qui. In effetti tutti i colori hanno intensità e sfumature diverse in differenti condizioni di luce. È l’illusione ottica dell’ombra: questa pagine del MIT ve la spiega con

una semplice immagine. Costanza del colore. È il vostro magnifico cervello a fare tutte le elaborazioni necessarie a correggere la percezione del colore nelle diverse condizioni di luce, e a farvi capire che il vostro maglione verde preferito resta dello stesso verde nella luce fredda di un giorno di pioggia e nella luce dorata di uno splendido tramonto. Il fenomeno si chiama costanza del colore. Sembrano diversi, sono uguali. A causa della percezione della costanza del colore (le tavole pubblicate sul New York Times lo mostrano benissimo) si è scatenato qualche tempo fa il dibattito virale sul colore del vestito bianco e oro o nero e blu. Un’illusione ottica ancora più sorprendente è a questa pagina: per coglierne l’intensità vi basta appoggiare un dito sullo schermo. Il colore non esiste. O meglio: il colore è il modo in cui

l’occhio percepisce la diversa frequenza delle onde luminose: questo video di tre minuti vi spiega quel che succede. Ma non è tutto: la percezione del colore cambia… Sfumature al femminile. Sembra accertato, e lo racconta National Geoghaphic: le donne percepiscono mediamente meglio degli uomini le sfumature di colore, specie quelle al centro dello spettro (verde, giallo e blu). In compenso, gli uomini hanno mediamente una migliore percezione del movimento. È anche più facile che gli uomini soffrano di daltonismo, infrequente nelle donne. Ma ora, grazie a occhiali speciali, anche le persone daltoniche possono vedere i colori. Testi e immagini tratti da ‘Nuovo e utile’ Fonte: www.nuovoeutile.it Concessione ‘Nuovo e Utile’ - redazione@nuovoeutile.it.

CONVENZIONATO MDA


SOSTENIBILITA

L’agricoltura diventi sostenibile: Greenp Un dirigibile di Greenpeace sorvola il cielo di Milano, sede di Expo, in concomitanza con la due in cui ai ministri dell’agricoltura, invitati al Forum Internazionale dell’Agricoltura del 4 e 5 giugno, viene presentata la “Carta di Milano”. «La Carta di Milano non sarà altro che l’ennesimo e inutile “pezzo di carta” se in Europa e nel mondo si continuerà a finanziare il sistema agricolo industriale, a scapito di pratiche veramente sostenibili», dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia. «Ogni ora 269 tonnellate di pesticidi vengono disseminate sul Pianeta, e questo è soltanto uno dei sintomi di un sistema fallimentare fortemente dipendente da fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi, caratterizzato da monocolture intensive, OGM e


A’ E DINTORNI

peace sorvola la città con un dirigibile. controllato da un ristretto gruppo di multinazionali. Non possiamo più aspettare: serve un impegno reale e concreto per promuovere un’agricoltura davvero sostenibile». «È necessario un cambiamento radicale dall’agricoltura industriale verso un modello ecologico che metta al centro le persone e gli agricoltori. I Paesi che partecipano a Expo non dovrebbero permettere alle grandi multinazionali di snaturare il senso di questo evento promuovendo il vecchio modello di agricoltura industriale: un modello malato che antepone il profitto alle persone», conclude Ferrario.

INTERPRETAZIONI DEL RIUSO


LA CITTA' SOSTENIBILE PA Expo 2015: app anti

Si può mangiare meno, ma meglio, evitando sprechi e consum mobile apps dedicate all’industria alimentare e alla cultura della co La Francia ha deciso di combattere seriamente (almeno sulla carta) lo spreco di cibo, varando nei giorni scorsi la nuova legge che impone a negozi e supermercati di donare i beni alimentari ‘in scadenza’ ma ancora buoni e/o di renderli disponibili per la produzione di energia. Una prima insufficiente mossa che comunque va nella direzione di una politica e una cultura della sostenibilità alimentare che punta, tra le altre cose, alla lotta agli

sprechi (in cui una voce importante ce l’hanno i ristoranti e le catene di fast food, come anche i cittadini a casa), al recupero e la condivisione del superfluo. In Italia non abbiamo una legge del genere e, anzi, donare cibo non è una cosa semplice (viste le stringenti norme sul come un alimento deve essere confezionato). All’Expo di Milano, manifestazione dedicata all’alimentazione e al nutrimento, sono state presentate diverse applicazioni mobili per evita-

re sprechi e impa re ciò che ‘avanza C’è ‘Last Minute gafono digitale pe sti contenuti i pr invenduti a fine ‘MyFoody’, traccia sti invenduti che narsi della data d rendone la vendit tati. Tutte mobile/web promuovono com tuosi, socialment


ARTE DALL'ALIMENTAZIONE spreco e cibo in 3D

mando con criterio: all’Expo di Milano sono state presentate le ondivisione, con un occhio al futuro con le stampanti di cibo in 3D.

arare a condividea’. Sottocasa’, meer rivendere a corodotti alimentari giornata, oppure atore di cibi rimaavverte l’avvicidi scadenza favota a prezzi scon-

app italiane che mportamenti virte responsabili e

orientati alla crescita sostenibile nel settore alimentare. Come nel caso di ‘Ratatouille’, sviluppata dalla startup vincitrice di HACKathon101 per la condivisione del cibo nel proprio frigorifero, o di ‘Bring the Food’ per il coordinamento in rete di tutte le realtà che offrono e raccolgono cibo da condividere, regalare e distribuire a chi ne ha bisogno. La crescita esponenziale delle città e degli abitanti che vi si riverseranno da qui al 2050 (l’80% dell’intera popolazione mondiale secondo l’ONU) sono due fenomeni che pongono subito problemi serissimi in termini di accesso al cibo (di qualità), di accesso alle risorse energetiche e naturali, di qualità della vita, di capacità di gestire i rifiuti e di affrontare l’inquinamento come i cambiamenti climatici (ma la lista è molto più lunga). La smart city presuppone un consumo critico e cosciente delle risorse alimentari, con un occhio alla qualità delle materie prime e al ciclo produttivo da cui provengono (provenienza, certificazioni, condizioni lavorative e altro ancora). A riguardo, sempre all’Expo di Milano, si è parlato più volte di cibo stampato in 3D. Oggi il 3D printing è una realtà in molti settori, soprattutto per la produzione di compo-

nenti: la Boeing utilizza almeno 300 parti ‘stampate’ nei suoi aerei e sono 20 mila i pezzi pronti ad essere stampati in 3D. Un’innovazione tecnologica che fa storcere il naso a chi siede a tavola, ma che potrebbe tornare utile invece in termini di sostenibilità ambientale, di lotta agli sprechi e di razionalizzazione dell’industria alimentare. Avendo in casa un apparecchio del genere (le grandezze possono variare dal molto piccolo al grandissimo, anche se siamo ancora ad una fase sperimentale) basterebbe acquistare gli ingredienti base per ‘stampare in casa’ qualsiasi prodotto alimentare (mantenendo inalterato il gusto): spaghetti, merendine, pizze, panini, formaggi, persino le classiche bistecche di manzo o di seitan per i vegani/vegetariani. Tutto sta nell’ugello di cui la stampante è dotata e nei ‘materiali’ che alimentano la macchina (frutta, carne, latte, sale, uova, ecc, ecc,.). Scegliendo risorse di qualità si ottengono prodotti di parli livello e soprattutto se ne prepara il giusto, quello che seve, senza eccessi che poi inesorabilmente diventano sprechi. Un settore in rapida crescita, che rivoluzionerà il nostro quotidiano lavorativo, formativo, ricreativo e alimentare. Flavio Fabbri 26 maggio 2015


CITTA’ SO

Berlino e le fattori urba

Il fenomeno delle fattorie urbane: da Berlino un esempio s qualità dei prodotti e alla riduzione di gas serra, grazie all’high Servono circa 1000 metri quadri, una buona formazione, la tendenza all’innovazione e la massima attenzione alla qualità delle materie prime per realizzare e aprire una fattoria in ambito urbano. A Berlino, città di cui spesso si sente parlare in termini di smart city, crescita sostenibile e nuove tecnologie, ce n’è più di una e a quanto pare funzionano benissimo. EcoFriendly Farm è una di queste, con i suoi 2000 metri quadri di spazi per allevamento e coltivazioni, nel quartiere di Schöneberg, che coltiva legumi e alleva pesci, vendendone rispettivamente 30 e 35 tonnellate l’anno. Un caso d’eccellenza (visto che sembra essere la più grande d’Europa) che presto potrebbe diventare un modello replicabile in altre città e diversi contesti urbani del mondo.

Una produzione rigorosamente destinata alla vendita a km0, per i consumatori cittadini locali e un’economia di quartiere, che utilizza smart technologies applicate all’agricoltura (400 varietà di piante)

e l’allevamento lucci principalme zione a zero di u e fertilizzanti spreco di acqua tinuamente per grazie allo smar


OSTENIBILI

ane per la spesa a km0

sostenibile di agricoltura e allevamento in città attento alla h-tech e a un modello di produzione virtuoso green oriented.

ittico (persici e ente), con riduuso di pesticidi chimici, poco a (riciclata coni diversi utilizzi rt water mana-

gement system) e altre risorse naturali, per la massima sostenibilità ambientale, l’efficienza energetica e un taglio netto alle emissioni di CO2. La fetta di gas serra addebitati all’agricoltura mondiale è tra il

20 ed il 30% del totale, a cui si aggiunge quella ben più grande che si ha sommando il ciclo del freddo per la distribuzione e il trasporto su gomma dei prodotti. Ecco quindi che le fattorie urbane diventano un modello di sostenibilità cittadina per le smart city di domani, che può essere esportato. La stessa EcoFriendly Farm sta pensando ad un franchising globale, anche a seguito delle tante richieste provenienti dai Paesi emergenti dell’Africa meridionale e del Sud Est asiatico. Tra i potenziali clienti ci sono gli albergatori, i ristoratori, le catene di piccoli negozi di alimentari e gli sviluppatori di applicazioni mobili dedicate al settore (con rilevanti ricadute sullo sviluppo dell’app economy e in parallelo dell’economia digitale). Flavio Fabbri



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