Medicina di Famiglia

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febbraio 2010

MEDICINA di FAMIGLIA Salute, sanitĂ e benessere tra psicologia, antropologia e biologia pag. 09 Valutazione del profilo di sicurezza dei vaccini pandemici AH1N1 pag. 23

Nutrition & Wellness: Gli effetti benefici del caffe’ pag. 41

Being Well: Organizza il tuo programma aerobico pag. 45



EdItorIAlE 1

La Medicina di FaMigLia

lA solItudInE dEI nuMErI prIMI

Vincenzo Contursi Medico di Famiglia responsabile nazionale dipartimento di Cardiologia AIMEF - Associazione Italiana Medici di Famiglia

La continuità relazionale è una componente essenziale della attività del medico di famiglia, aspetto insostituibile della continuità assistenziale, basata su un rapporto di fiducia e sulla libera scelta

la medicina di famiglia è specchio della società e dell’essere umano. l’approccio al malato è sempre integrato, personalizzato e comprensivo; non ci sono distinzioni di età, sesso, razza, cultura o ceto sociale. la professione di medico di famiglia richiede abilità, esperienza e conoscenza. Ma su tutto domina un principio fondamentale: la continuità relazionale, aspetto insostituibile della continuità assistenziale, basata su un rapporto di fiducia. rapporto continuativo fondato sulla libera scelta, patto fra persone libere, valore aggiunto e fulcro straordinario di questa disciplina. rapporto di fiducia ma anche rapporto di sentimenti ed emozioni. oltre a problemi medici, semplici o complessi che siano, vanno gestiti sempre bisogni emozionali. un medico di famiglia non deve mai perder di vista “l’insieme” e proprio per questo deve avere un’amplissima base di conoscenze, muovendosi continuamente dal particolare al generale e viceversa. la formazione di un generalista comprende, oltre allo sviluppo di conoscenze scientifiche, l’acquisizione di abilità specifiche e tra queste ultime la capacità di gestire i rapporti tra sé e gli altri all’interno di un sistema in cui tutto è interconnesso. Ma la Medicina di Famiglia oggi si trova di fronte ad una nuova sfida. l’organizzazione Mondiale della sanità, nel recente report di fine 2008 “primary Care: now more than ever”, sottolinea l’impellenza, da parte dei Governi, al fine di garantire sistemi sanitari efficaci, equi ed economicamente sostenibili, di ridisegnare un sistema di cure primarie che rappresenti una armonica integrazione di servizi e funzioni cliniche, assistenziali e sociali presenti sul territorio, legate alla salute delle persone e della comunità. Prevenzione delle malattie, cura delle cronicità, gestione della disabilità, assistenza domiciliare rappresentano alcuni dei nodi cruciali dei bisogni di salute emergenti della nostra era, da cui la necessità di reingegnerizzazione dei sistemi sanitari. l’evoluzione rapida e decisa del comparto ospedaliero verso l’alta intensità, l’alta specializzazione, l’elevata complessità e le dimissioni precoci, ha contribuito ad acuire la crisi del vecchio modello assistenziale territoriale, richiedendo sia una nuova modalità di interfaccia tra ospedale e territorio sia determinando la necessità di nuovi assetti organizzativi delle cure primarie. di qui la necessità, accanto ad una revisione in corso del modello organizzativo delle cure

ospedaliere, di una parallela radicale riforma della Medicina Generale, dando avvio a sperimentazioni gestionali che puntino sia ad una forte integrazione di tutti i servizi e delle funzioni presenti sul territorio sia a più efficienti ed efficaci modalità erogative degli stessi. Ma le nuove forme organizzative di assistenza primaria proposte e realizzate, rischiano di scalfire proprio la vera forza della disciplina: il rapporto personale e continuativo tra medico e paziente. Il modello biopsicosociale, che caratterizza il metodo clinico adottato nel setting della medicina di famiglia e per cui la ricerca del benessere e la difesa della salute degli individui e della comunità vengono considerate in una prospettiva olistica, comprensiva, nelle sue dimensioni biologiche,

Un medico di famiglia non deve mai perder di vista “l’insieme” e proprio per questo deve avere un’amplissima base di conoscenze, muovendosi continuamente dal particolare al generale e viceversa. La formazione di un generalista comprende, oltre allo sviluppo di conoscenze scientifiche, l’acquisizione di abilità specifiche e tra queste ultime la capacità di gestire i rapporti tra sé e gli altri all’interno di un sistema in cui tutto è interconnesso. psicologiche e sociali, non può prescindere dalla qualità della relazione medico-paziente, parte indissolubile di una good practice della professione. In questo aspetto il medico di famiglia rischia di ritrovarsi nuovamente solo, sopraffatto da un sistema oberato dalle sue incombenze economiche e che non sempre tiene conto della persona nella sua interezza e della strettissima connessione tra le condizioni psico-sociale e sanitaria. Al Medico di Famiglia il compito di non dover mai dimenticare che rappresenta quasi sempre il primo contatto di un paziente di fronte ad un problema di salute e di essere da solo di fronte alle decisioni da adottare. E che il paziente di cui guadagna la fiducia, affida a lui il suo bene più prezioso: la sua salute, in tutte le età della vita.


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World Pillole dal Mondo

sAlutE, sAnItà E BEnEssErE di Madia Ferretti, Lilian Pizzi

tC CArdIACA di Gianluca Pontone, Daniele Andreini e Mauro Pepi

lA tErApIA sEquEnZIAlE di Vincenzo De Francesco e Angelo Zullo

VACCInAZIonE AntInFluEnZAlE pAndEMICA AH1n1 di Vito Gregorio Colacicco, Ada Foglia, Renato Lombardi

lA MAlnutrIZIonE nEll’AnZIAno di Giovanni B. D’Errico, Nuzio Costa


Medicina di Famiglia Medicina e Salute tra Scienza e Società

lA CoMunICAZIonE dI CAttIVE notIZIE Alberto Marsilio

Il dIABEtE MEllIto E lA MAlAttIA pArodontAlE di Alessandro Nisio

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e15 SPeTTiV O R P E à iT gia29 aTTUaL SicOLO IANO09 P P E e O n iM iO R 7 P aZ ORLd06 genda4 OMUnic Ell45 a ICA26 c iaLe01 W W R IN g O L in C iT e a d B e neSS41 20PRaTic iMenTi n&WeLL d iO n iT O F R T O aPPR iFe37 nU tAlE33L n E d e T SaLU

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World 6 a BaRi ScOPeRTa L’ORigine deLLa LeUceMia MieLOide cROnica l’equipe di ricerca dell’Istituto di Ematologia dell’università degli studi di Bari, guidata dalla prof.ssa Giorgina specchia, in collaborazione con il gruppo di studio dell’Istituto di Genetica coordinato dal prof. Francesco Albano, ha recentemente pubblicato sulla rivista scientifica internazionale oncogene i risultati di una prestigiosa ricerca che riguarda la individuazione dell’alterazione genetica responsabile della leucemia mieloide cronica, aprendo nuovi scenari nella cura e prevenzione di questa malattia, oltre a suggerire un modello di ricerca per altre malattie onco-ematologiche. la ricerca, finanziata con i fondi AIl, dimostra per la prima volta che l’alterazione dei cromosomi cha accompagna le forme di cancro, ha origine nella stessa struttura del dnA umano.

diSTROFia MUScOLaRe: cOn ‘JaZZ’ Una SPeRanZa PeR iL FUTURO E’ del Cnr il primo gene artificiale sperimentato in modelli murini per la terapia della distrofia muscolare di duchenne (dmd), malattia genetica caratterizzata dalla perdita della distrofina, proteina che provvede alla corretta stabilità meccanica del muscolo durante la contrazione. questa grave patologia comporta la degenerazione del tessuto muscolare e provoca la progressiva e irreversibile perdita delle capacità motorie e respiratorie. un bambino su tremila nasce affetto da dmd a causa di mutazioni sul cromosoma X che alterano il gene della distrofina e non è ancora disponibile, ad oggi, una cura efficace. una strategia molecolare promettente è quella che mira ad aumentare nel muscolo distrofico i livelli della proteina ‘utrofina’, un omologo funzionale della distrofina. In tale contesto, un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Biologia e patologia Molecolari e dell’Istituto di neurobiologia e Medicina Molecolare Consiglio nazionale delle ricerche di roma ha testato e brevettato una molecola sintetica, denominata ‘Jazz’, rivelatasi altamente efficace in modelli murini affetti da dmd. “normalmente, nel muscolo l’utrofina è molto espressa al momento della nascita ma poi si attenua con la crescita”, spiega Claudio passananti, ricercatore dell’Ibpm-Cnr.

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una finestra informativa sul mondo della salute e della medicina. una sinergia in cui contributi scientifici e news si mescolano per offrire un’informazione attenta e puntuale. É nata per questo la sinergia tra goSalute (www.gosalute.it), portale di informativo di salute e benessere suddiviso in sette differenti aree tematiche, ed edicare Publishing, società specializzata nell’editoria medico scientifica e nell’organizzazione di eventi formativi, editrice delle due riviste leader di settore: il trimestrale iJPc - italian Journal of Primary care e il bimestrale Medicina di Famiglia. In base all’accordo, Gosalute assumerà il ruolo di alter ego online di tutte le attività editoriali e informative di Edicare. In previsione, anche speciali e dirette live sugli eventi e congressi a carattere scientifico organizzati dal Gruppo. ScOPeRTO a PadOVa iL MeccaniSMO di aggReSSiOne deLLe MeTaSTaSi OSSee Individuato anticorpo che annienta la capacità distruttiva dell’osso. l'équipe diretta dal professor Carlo ForEstA, ordinario di patologia Clinica all'università degli studi di padova, in collaborazione con il prof. Alberto FErlIn ha scoperto che la “relaxina” - sostanza prodotta in elevate concentrazioni dalle neoplasie che generano metastasi ossea – è un potente stimolatore della distruzione dell'osso, quindi è un fattore determinante la liberazione del calcio nel circolo, con conseguente ipercalcemia. Gli autori hanno dimostrato in vitro che questa sostanza, agendo su ricettori specifici delle cellule dello scheletro, attiva meccanismi cellulari che portano alla distruzione dell'osso. la scoperta, pubblicata sulla prestigiosa rivista americana “Bone”, si rivela ancor più significativa quando il prof. Foresta e la sua équipe mettono in evidenza come l'anticorpo “Antirelaxina” blocchi completamente la capacità distruttiva di questo ormone sulle cellule dell'osso. l'importante risultato indica un possibile progetto farmacologico per il trattamento delle metastasi ipercalcemizzanti dei tumori che colpiscono di frequente uomini e donne.


WORLd 7 dUe PROTeine PeR RiPaRaRe iL cUORe indiVidUaTe cRiPTO e TBx1 due proteine per riparare il cuore Individuate Cripto e tbx1, proteine coinvolte nello sviluppo delle cellule staminali cardiache. Grazie ad un meccanismo naturale che consente di espandere e prevenire il differenziamento prematuro delle cellule staminali cardiache, è possibile riparare i danni al cuore. due studi realizzati dall’Istituto di Genetica e Biofisica del Cnr. la cardiopatia ischemica è la principale causa di morte nei paesi industrializzati. nonostante i recenti progressi nel trattamento dello scompenso cardiaco, le terapie farmacologiche risultano ancora inadeguate. due studi indipendenti, condotti da Antonio Baldini e Gabriella Minchiotti, rispettivamente direttore e ricercatrice dell’Istituto di genetica e biofisica ‘Adriano Buzzati traverso’ (Igb-Cnr) di napoli, aggiungono nuove conoscenze ai meccanismi della biologia delle cellule staminali cardiache. Il primo lavoro, pubblicato sulla prestigiosa rivista Circulation research (organo ufficiale dell’American Heart Association), riguarda la proteina Cripto. “una molecola”, spiega Gabriella Minchiotti, “in grado di promuovere il differenziamento delle cellule staminali in cardiomiociti, agendo come interruttore molecolare nelle primissime fasi dello sviluppo embrionale dei mammiferi: se accesa determina il ‘destino cardiaco’ delle cellule; se spenta o assente blocca la cardiogenesi, promuovendo la formazione di neuroni”.

HiV: SinTeTiZZaTa Una MOLecOLa cHe BLOcca La TRaSMiSSiOne deL ViRUS a LiVeLLO MUcOSaLe, iMPedendO L’inFeZiOne uno studio nato da una collaborazione tra università degli studi di Milano (Anna Bernardi, Mario Clerici) con il CsIC di siviglia (Javier rojo) e l’IBs di Grenoble (Franck Fieschi), descrive una molecola, sintetizzata in laboratorio, che blocca la trasmissione del virus HIV a livello mucosale, impedendo l’infezione. l’ingresso di HIV attraverso le mucose e nel sistema immunitario avviene mediante il riconoscimento di alcuni carboidrati presenti sulla superficie del virus da parte di una proteina recettore, detta dC-sIGn, presente nelle cellule dendritiche del sistema immunitario ospite. queste cellule funzionano normalmente da sentinella, catturando e distruggendo i microorganismi che penetrano attraverso le mucose. tuttavia, quando dC-sIGn si lega ad HIV, invece di distruggerlo lo trasporta attraverso il corpo, e promuove cosi’ l’infezione. la molecola descritta nel lavoro è stata ideata per mimare gli zuccheri alla superficie del virus e bloccare dCsIGn, impedendole di trasportare il virus. I risultati preliminari indicano una buona efficienza contro ceppi virali diversi e pongono le basi per lo sviluppo ed ottimizzazione di nuovi farmaci antivirali ad uso topico. sull’uso della molecola contro l’infezione da HIV è stata depositata una domanda di brevetto europeo da università degli studi di Milano, CsIC di siviglia e IBs di Grenoble. I risultati preliminari dello studio sono stati pubblicati in questi giorni dall’ACs Chemical Biology.

iMPORTanTe RiSULTaTO neLLa cURa dei TUMORi deLLa MaMMeLLa Il 71% della donne colpite dal tumore del seno HEr2-positivo localmente avanzato, curate con la molecola trastuzumab, sopravvive senza recidiva contro il 56% che riesce con la sola chemioterapia. è questo il risultato straordinario dello studio noAH pubblicato su “the lancet” realizzato dal prof. luca Gianni, direttore oncologia Medica 1 della Fondazione IrCCs Istituto nazionale dei tumori e co-fondatore della Fondazione Michelangelo. Il lavoro, che conferma Milano come centro di eccellenza per la lotta al cancro, ha suscitato grande interesse nella comunità scientifica internazionale ed è stato presentato, oggi, in una conferenza stampa alla Fondazione IrCCs Istituto nazionale dei tumori, alla presenza dell'Autore e del direttore scientifico Marco pierotti. Il cancro della mammella colpisce ogni anno circa 38.000 donne in Italia e causa la morte in quasi 8.000. solo il 6-10% di questi tumori è rappresentato dal tipo localmente avanzato e/o infiammatorio che ha una prognosi più sfavorevole di quelli operabili. "questo tumore necessita di farmaci prima di intervenire chirurgicamente - spiega il prof. luca Gianni. - In questo studio abbiamo valutato l'associazione di trastuzumab, anticorpo specifico per il recettore HEr2, con la chemioterapia sequenziale".



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SaLUTe, SaniTà e BeneSSeRe VErso unA IntEGrAZIonE trA psIColoGIA, AntropoloGIA E BIoloGIA Madia Ferretti Antropologa, phd in uomo e Ambiente; Facoltà di Medicina e Chirurgia, psichiatra e psicologia Clinica, università degli studi di Foggia

Lilian Pizzi psicologa; Istituto transculturale per la salute , Milano

Le discipline biomediche, psicologiche e sociali sono ultimamente sempre più impegnate a formalizzare “modelli di funzionamento ottimale di comportamento” che influenzino positivamente il nostro stato di salute e di benessere. è il contatto con la cultura e con la comunità che supplisce all’insufficienza biologica degli umani alla nascita e innesca un processo di evoluzione che farà del neonato un essere umano completo

le discipline biomediche, psicologiche e sociali sono ultimamente sempre più impegnate a formalizzare “modelli di funzionamento ottimale di comportamento”, a stabilire ciò che è positivo e sano, a concentrare la propria attenzione sulle risorse dell’individuo per migliorarne l’inserimento attivo nella società.1 Enfatizzare l’importanza della prevenzione rispetto alla cura, valorizzarne le potenzialità attraverso programmi di formazione indirizzati a professionisti dell’ambito sanitario, educativo, psicologico e sociale, sono comprensibilmente diventati obiettivi oggi sempre più diffusi, tuttavia non sempre semplici da conseguire. Vari sono i fenomeni che hanno contribuito al diffondersi negli stati uniti e in Europa di questo orientamento alla salute; fra questi, il cambiamento dei quadri di patologia nei paesi occidentali, quella che viene definita “transizione epidemiologica”. I mutamenti socio-demografici e i progressi della medicina hanno profondamente cambiato lo scenario dei bisogni assistenziali, spostando l’asse delle cure dalle patologie acute a malattie croniche, spesso coesistenti fra loro. Fino a qualche decennio fa, infatti, le più importanti cause di morte riguardavano le malattie infettive; al contrario, oggi sono cresciute le malattie ad andamento cronico che, diffondendosi, spostano sempre più l'attenzione verso i fattori psicologici e comportamentali che ne favoriscono l'insorgenza, l'evoluzione e la gestione. pensieri, sentimenti e azioni influenzano il nostro stato di sa-

lute e di benessere. A tale riguardo viene citato, tra gli altri, uno studio statunitense condotto sulla intera popolazione della contea di Alameda, in cui coloro i quali avevano adottato uno o più comportamenti di prevenzione non solo erano meno soggetti ad ammalarsi e morire prematuramente, ma godevano anche di un effetto moltiplicativo (bottom-up) di vari fattori congiunti che aumentava la qualità della vita.2 Affinché i professionisti della salute possano aiutare a migliorare gli standard di vita, occorre prima di tutto identificare e definire le dimensioni dell’esperienza dello “star bene” per poi mettere a punto strategie capaci di rendere le persone in grado di valutare la qualità della propria vita, tenendo presente che le condizioni che ne consentono una piena realizzazione variano molto da un’età all’altra, da una cultura all’altra, o da un gruppo sociale all’altro.3

Secondo la definizione dell’OMS, lo stato di salute è qualcosa di più della semplice assenza di malattia, trattandosi, invece, di un completo stato di benessere fisico, mentale e sociale. LO STaTO di SaLUTe secondo la definizione dell’oMs, lo stato di salute è qualcosa di più della semplice assenza di malattia, trattandosi, invece, di un completo stato di benessere fisico, mentale e sociale.


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sulla base di questa nuova concettualizzazione si è sviluppato il modello biopsicosociale, che ha caratterizzato le ricerche in ambito sanitario degli ultimi anni, e per cui l’attività umana viene considerata in una prospettiva olistica, comprensiva, cioè, delle dimensioni biologiche, psicologiche e sociali, sia a livello di fattori che di sistemi coinvolti. punto di svolta rispetto alla visione meccanicistico-positivistica della medicina classica, è stato l’aver allargato il concetto di benessere o malessere di un individuo anche alla qualità delle relazioni che intrattiene con l’ambiente. si è verificato, soprattutto, un importante passaggio dalla prevenzione alla promozione della salute: se il termine "prevenzione" rimanda a una sostanziale staticità, il termine "promozione", decisamente più dinamico, sottende alla salute come a una dimensione positiva in continua espansione. nella promozione l'obiettivo diventa lo sviluppo della persona, dei gruppi, delle comunità, in una visione attenta alle dinamiche intra- e inter-sistemica in cui le vicende di questo sviluppo prendono forma. questa visione si accompagna alla consapevolezza che, nelle realizzazioni di ogni progetto, tecnici sanitari e utenti costruiscono una relazione non più di tipo pedagogico, ma centrata nella co-costruzione dei significati soggettivi di salute, pur mantenendo una rigorosa distinzione dei ruoli. uno dei compiti dell’operatore sanitario è infatti quello di favorire un aumento dell’empowerment del soggetto. VaRiaBiLi SOggeTTiVe ed OggeTTiVe deL BeneSSeRe dagli anni ottanta ad oggi gli studi sull’intera gamma del continuum benessere-malessere sono, quindi, andati sviluppandosi nel tentativo di approfondire la comprensione dell’esperienza di benessere (well-being) sia da un punto di vista soggettivo che sociale ed ecologico-culturale.4 Il benessere può essere considerato nelle sue variabili soggettive o oggettive:

SWB = Subjective Well Being.5 le ricerche sulla prima variabile, la sWB, proprie della prospettiva edonica, si concentrano sulla dimensione affettiva del benessere, in particolare indagano la presenza di emozioni positive e l’assenza di quelle negative, quando si riescono a soddisfare pienamente i bisogni fisici, intellettuali e sociali. 6 PWB = Psychological Well Being.5 Il filone psicosociale, il pWB, approfondisce l’ottica cosiddetta EudAmonica che, come vedremo più approfonditamente in seguito, si concentra sui sentimenti di espressività personale del benessere, non inteso come piacere personale, ma come capacità umana di perseguire obiettivi complessi e significativi sia per il singolo che per la società in cui vive. l’eudaimonia, termine aristotelico adottato dalla psicologia positiva, non corrisponde propriamente alla felicità, classicamente intesa come condizione soggettiva, quanto piuttosto al processo di interazione e mutua influenza tra benessere individuale e collettivo, tale per cui la felicità individuale si realizza nello spazio sociale. PSicOLOgia POSiTiVa: BeneSSeRe e inTeRaZiOne TRa indiVidUO, aMBienTe e cULTURa A dispetto o, forse, proprio in ragione del clima altamente stressogeno che contraddistingue il periodo storico in cui viviamo, i professionisti della salute sembrano dedicarsi, quindi, in maniera sempre più esplicita al benessere. Condizione ambita e sempre più possibile da raggiungere, è l’obiettivo della recentissima Psicologia Positiva, una disciplina in rapida espansione al confine con l’antropologia medica applicata, che attira sempre maggiore attenzione dal mondo della ricerca e degli operatori.7 Apparsa ufficialmente per la prima volta sul numero monografico di American psychologist del 2000,7 la psicologia positiva privilegia le componenti costruttive dell’individuo e dei gruppi e sottolinea criticamente, nella sua stessa definizione, la propensione


prIMo PianO 11 tutta occidentale a scotomizzare il positivo dalla caratterizzazione della psicologia generale laddove, invece, in altri contesti, in altre culture, è tutt’altro che comune coltivare una visione negativa e patologica dell’uomo. le potenzialità insite in questa scuola di pensiero, che si applicano allo studio dei meccanismi cognitivi, emotivi, motivazionali, in ambito sociale, lavorativo, occupazionale8, hanno accresciuto l’interesse per lo studio dell’interazione tra individuo, ambiente e cultura in una prospettiva di reciproco supporto. da sottolineare che la cultura qui non è concepita come una cosa, una variabile esistente indipendentemente dall’individuo e preesistente ad esso, né esistente a posteriori e ricostruibile nei suoi comportamenti. Molto più dinamicamente essa è intesa come corso di azioni e decisioni orientate da un sistema di senso e di significati continuamente ridefinito dagli scambi intersoggettivi tra gli attori.9 la psicologia positiva che prende le mosse dal concetto eudaimonia, rappresenta proprio questo nuovo modello di salute fondato sull’interdipendenza tra benessere individuale e comunitario, per cui la soddisfazione personale è vista come strettamente connessa all’integrazione con il mondo circostante. Il concetto alla base è, quindi, quello di un benessere inteso non come condizione esclusivamente soggettiva, quanto piuttosto come dimensione realizzabile all’interno di uno spazio sociale, frutto di un processo di interazione e mutua influenza tra benessere individuale e comunitario.10 E’ utile sottolineare l’importanza dello studio di tali costrutti all’interno nel mondo globalizzato che caratterizza l’umanità contemporanea, in cui l’incontro con persone di culture diverse costringe a ripensare, o almeno a riflettere, sui valori che fondano la propria cultura. la psicologia positiva, spiegano seligman e Csikszentmihalyi7, nasce in risposta alla crisi dell’occidente e dei suoi valori consumistici: continuare a puntare sulla ricchezza materiale e sugli squilibri e conflitti sociali che ne derivano, o riportare al centro dell’interesse i bisogni della persona, optando per un cambiamento di valori e priorità.11 iL RaPPORTO TRa ScienZa, SaLUTe e SOcieTà la condizione sociale e quella sanitaria sono profondamente intrecciate e si condizionano vicendevolmente fino al punto di determinare la comparsa di specifici fattori di rischio in specifici gruppi sociali; pensiamo alle malattie prettamente femminili, a quelle determinate dalla povertà o a quelle, in aumento, che colpiscono l’ultima parte della vita degli individui. le scienze umane possono elaborare una visione della “buona vita” fondandosi su evidenze empiriche, individuando quali azioni possono condurre la persona e la comunità al benessere, documentare quali tipi di famiglie e ambienti di lavoro supportino la massima soddisfazione, e quali politiche conducano ad un impegno civile più elevato. decisiva si rivela l’intenzione di concentrarsi sul rapporto tra salute, cultura e politica, espresso dalla sfaccettatura semantica che vede nel disease la componente oggettiva biologica del malessere, nella illness la percezione e l’esperienza soggettiva della malattia e nella sickness la socializzazione della patologia (di segni e sintomi), il suo renderla condivisibile e riconoscibile.12 l’impossibilità di una idea di “universalità umana”, salvo alcune caratteristiche formali e funzionali, si radica nel fatto che forse il più importante universale biologico della specie è una “naturale insufficienza del corredo bio-genetico a produrre un umano adulto” come testimoniato tra l’altro dalla

prematurità ontogenetica dei bambini alla nascita e la rilevanza strutturale della neotenia. è il contatto con la cultura, con la comunità che supplisce all’insufficienza biologica degli umani alla nascita e innesca un processo di evoluzione che farà del neonato un essere umano completo. Ciascuna cultura plasma i nuovi arrivati secondo contenuti specifici, questo processo è forse uno dei pochi universali ricavabili dall’antropologia. “SeLeZiOne PSicOLOgica” e “eSPeRienZa OTTiMaLe” un merito delle discipline transculturali è quello di avere messo in evidenza il rapporto circolare tra cultura e identità individuale. si deve a Francesco remotti, uno tra i massimi esponenti dell’antropologia contemporanea, il termine di antropopoiesi con cui si intende il processo di formazione e costruzione degli esseri umani attraverso l’applicazione dei modelli culturali che le famiglie e le comunità applicano ai nuovi nati. I modelli culturali sono letteralmente incorporati (embodiment) dalle persone che li esprimono e, attraverso il proprio agire e le proprie emozioni, essi vengono rafforzarti e mantenuti all’interno della propria nicchia eco-culturale. la complessità e la rilevanza culturale di ciò che come individui costruiamo quotidianamente (artefatti), tra i quali rientrano i sistemi telematici di comunicazione ed interazione, ha pesanti e concrete ricadute sulla qualità del nostro percorso evolutivo individuale e sulla nostra salute.13 A tal proposito, a partire da accreditate ricerche nell’ambito della psicologia evoluzionistica e della sociobiologia che hanno provato l’in-


prIMo PianO 12 fluenza dell’eredità biologica sul comportamento umano, la psicologia positiva in prospettiva eudamonica ha elaborato i costrutti di selezione psicologica per indicare l’elaborazione individuale dell’informazione bio-culturale e di esperienza ottimale.14,15 la selezione psicologica è un processo individuale, soggettivo e consiste nell’interiorizzazione selettiva e creativa nel proprio sistema nervoso centrale di una parte dell’informazione culturale esterna: la selezione avviene seguendo la motivazione, gli stati di benessere e di malessere vissuti dalla persona e innesca un rapporto complesso di fecondazione tra individui e cultura.15 l’esperienza ottimale , o flusso di coscienza (flow), corrisponde all’idea che il benessere di un individuo dipenda dal suo coinvolgimento in attività interessanti, in cui abbia possibilità di riscontro sull’andamento dell’attività stessa e sulla propria prestazione, soddisfazioni intrinseche, perdita della consapevolezza oggettiva di sé sperimentando una condizione di perfetto equilibrio tra le sfide proposte dall’attività (challenges) e le competenze (skills) possedute.16 l’esperienza di ciascuno di noi fluttua dal piacere al dispiacere, dalla frustrazione alla soddisfazione. E’ ciò che accade, ad esempio, quando siamo completamente immersi nel lavoro che stiamo eseguendo, al punto che ignoriamo totalmente tutto ciò che accade intorno. lo stato di benessere sperimentato, induce a ripetere l’esperienza ottimale, rafforzando gli strumenti personali a disposizione e contribuendo, così a orientare il processo di selezione psicologica di ciascun individuo nel contesto sociale verso quelle attività che sente più corrispondergli e appartenergli, sancendo l’unicità di ciascun individuo. l’apatia è esperienza opposta a quella ottimale e descrive invece una perdita di motivazione, di interesse e iniziativa personale, e rappresenta spesso la condizione prodromica a situazioni di disagio e disadattamento. le attività ripetitive caratterizzate da scarsi challenges e che non richiedono un coinvolgimento attivo dell’individuo, sono le più diffuse nelle

società post industriali, in cui il disagio e l’insoddisfazione esistenziale risultano tipiche condizioni esistenziali. per questo motivo, l’urgenza di indagare questi campi della vita umana è di importanza cruciale.

idenTiTà Bi-cULTURaLe e MigRaZiOne la modernizzazione e l’industrializzazione ci costringono a confrontarci con le profonde modificazioni subite, nel corso degli ultimi decenni, dagli stili di vita tradizionali. se da un lato i progressi tecnologici migliorano indiscutibilmente le condizioni esistenziali, dall’altro siamo immersi in un pro-

La condizione sociale e quella sanitaria sono profondamente intrecciate e si condizionano vicendevolmente fino al punto di determinare la comparsa di specifici fattori di rischio in specifici gruppi sociali; pensiamo alle malattie prettamente femminili, a quelle determinate dalla povertà o a quelle, in aumento, che colpiscono l’ultima parte della vita degli individui cesso che enfatizza il profitto personale a scapito della coesione e della cooperazione sociale minando, quindi, alla base il pilastro solidaristico che per secoli ha regolato la vita nelle comunità agricole e pre- industriali. Come hanno evidenziato studi accreditati,13 questi cambiamenti hanno avuto effetti negativi sulla selezione psicologica e la qualità dell’esperienza delle persone che devono elaborare nuove strategie di adattamento. senza lo sviluppo di una precisa identità bi-culturale che coniughi in maniera armonica il patrimonio tradizionale con i vantaggi della cultura modernizzata16, ciascun individuo rischia di sperimentare un senso di disagio e straniamento rispetto alla sua stessa nicchia culturale.


prIMo PianO 13 non è un caso che, se in alcune società tradizionali sono molte le tecniche che consentono di raggiungere queste peak experience (esperienze delle vette) - pensiamo, tra le altre, alle varie metodiche di meditazione - anche la medicina e la psicologia occidentale siano sempre più interessate ad indagare questi ambiti, per introdurre strumenti e tecniche terapeutiche che riattivino una “body-mind connection”, attingendo al contempo ai risultati delle moderne ricerche neuroscientifiche attestanti la relazione costante tra attività del corpo e stati mentali. la migrazione è un processo che innesca cambiamenti, più o meno evidenti e profondi, che porta a interrogarsi sui concetti di cultura, appartenenza, dominio. l’antropologo Malinowski, nel 1940, scriveva come nell’incontro tra due culture vi sia sempre, implicitamente o esplicitamente, la volontà inconscia o consapevole di dominio da parte di quella acculturante su quella dell’acculturato.. questa dinamica sottile, su cui molti hanno scritto, è presente un implicito etnocentrico e moralizzante e si differenzia invece dal processo di adattamento, che consiste nell’esperienza soggettiva che si attiva di fronte a una cultura diversa dalla propria e che permette, come scrive devereux, di procedere per riadattamenti successivi senza perdere il senso della propria continuità nel tempo. nel contesto contemporaneo, la psicologia positiva è attivamente impegnata ad indagare se e in che modo le persone migranti, che si trovano a vivere in un sistema differente dal proprio e non sempre scelto liberamente, accedano all’esperienza ottimale: quali attività la favoriscano, quali conseguenze abbia questo nel rapporto con la cultura di appartenenza.16 Ciascun individuo risponde in maniera specifica al processo di acculturazione: la Framboise, Coleman e Gerton (1993)17 ipotizzano, a grandi linee, tre possibili destini: • un’acculturazione forzata e non voluta, ma causata spesso da esigenze economiche che può fare sperimentare al migrante un forte conflitto, perdita di autostima ed è talvolta preludio di marginalizzazione; • un’assimilazione alla cultura del paese di accoglienza, percepito come dominante o più forte, che può condurre al rifiuto da parte sia del gruppo maggioritario che del gruppo di appartenenza originario, a una perdita d’identità e dei punti di riferimento; • l’alternanza, che consiste invece in una specie di bi-culturalismo, che consiste nel sentire di appartenere a entrambe le culture, senza identificarsi completamente in una di esse, dandosi l’opportunità di muoversi attraverso le proprie cognizioni, affetti, comportamenti. studiare l’esperienza positiva della migrazione è importante anche per spezzare il pregiudizio e l’automatismo che porta a pensare la migrazione come un fenomeno necessariamente patologico e disadattivo. cOncLUSiOni trasferendo quanto detto all’interno del sistema sociosanitario, possiamo concludere che i progressi tecnologici raggiunti dalla medicina occidentale hanno permesso di migliorare le condizioni di salute di molte popolazioni; tuttavia i sistemi diagnostici e le terapie si sono finora concentrate soprattutto sulla patologia mentre la “condizione di salute” è stata spesso elusa dalla mancata presa in carico dell’individuo in quanto portatore di esigenze complesse ma anche di potenziali e preziose risorse. Il successo di molte delle più famose onG internazionali,

oggi, è determinato dalla istituzione dei cosiddetti cBRcommunity Based Rehabilitation, luoghi finanziati da enti nazionali o internazionali, in cui vengono coinvolti e formati i membri della comunità a collaborare al processo di autonomia e integrazione sociale delle persone diversamente disabili nell’ottica di una vera e propria good practice di lavoro. In conclusione, la funzionalità del concetto di esperienza ottimale in quanto selettore nel processo di crescita psicologica, può avere importanti ricadute applicative nel campo educativo, riabilitativo, sanitario ed organizzativo, indirizzando la ricerca e le prassi verso la costruzione di dispositivi terapeutici individualizzati e capaci di sfruttare le potenzialità del soggetto, senza dimenticare la complessa rete che lo lega alle sue culture, tanto di appartenenza quanto quelle attraversate o in parte acquisite. l’attenzione della psicologia positiva nei confronti del benessere, individuandone le complesse connessioni, indica procedimenti di indagine scientifici e sperimentali7 e si confronta con i grandi mutamenti epocali cercando di elaborare strumenti di promozione della salute a partire dalle potenzialità dei soggetti e delle comunità, attraverso un approccio integrato tra scienza e tradizione e realizzando la connessione tra le parti costituenti dell’uomo rafforzandone, in un’ottica sistemica, le sue relazioni. Riferimenti bibliografici a richiesta: info@edicare.it

È il contatto con la cultura, con la comunità che supplisce all’insufficienza biologica degli umani alla nascita e innesca un processo di evoluzione che farà del neonato un essere umano completo.



AttuAlItA’ e PROSPeTTiVe 15

Tc caRdiaca PeR LO STUdiO deL ciRcOLO cOROnaRicO unA EspErIEnZA dI oltrE 5000 CAsI Gianluca Pontone Centro Cardiologico Monzino, IrCCs, Milan, Italy Daniele Andreini department of Cardiovascular sciences, university of Milan, Italy Mauro Pepi Centro Cardiologico Monzino, IrCCs, Milan, Italy department of Cardiovascular sciences, university of Milan, Italy

La patologia aterosclerotica coronarica rappresenta la principale causa di mortalità nei paesi occidentali. La valutazione anatomica del circolo coronario e l’eventuale indicazione alla procedura di rivascolarizzazione è sempre stata prerogativa della coronarografia invasiva. Recentemente, grazie all’implementazione tecnologica che ha consentito la produzione di tomografie computerizzate ad elevata risoluzione spaziale e temporale, si è rivelato di estremo interesse l’applicazione di tali tecnologie non invasive nella valutazione della malattia coronarica

inTROdUZiOne la cardiopatia ischemica (cad) rappresenta la principale causa di ospedalizzazione e mortalità negli stati uniti1 ed in Europa.2 le linee Guida dell’ American College of Cardiology e dell’American Heart Association3 raccomandano l’impiego del test da sforzo come primo step di valutazione nei pazienti con sospetta CAd con una sensibilità e specificità del 68% e del 77% rispettivamente.4 tuttavia proprio in considerazione della limitata specificità e sensibilità del test da sforzo nella diagnosi di CAd, test provocativi quali l’ecocardiogramma da sforzo o dopo stimolo farmacologico oppure test nucleari si rendono spesso necessari per decidere quale paziente con sospetta CAd meriti o meno una valutazione mediante coronarografia invasiva (ICA).5 Ciononostante, pur con la corretta applicazione delle linee Guida, circa il 25% dei pazienti studiati con ICA presentano assenza di malattia coronarica significativa.6 A tale riguardo, la recente introduzione della tomografia computerizzata multidetettore (MdcT) sembra essere estremamente promettente nella valutazione dei pazienti con sospetta cad, al fine di in-

dividuare i pazienti con assenza di patologia coronarica evitando loro l’esecuzione di un inutile esame invasivo. BacKgROUnd TecnOLOgicO per potere valutare con una metodica di imaging il circolo coronarico si rende necessaria una tecnologia ad elevata risoluzione spaziale e temporale.7,8 Ciò ha fatto sì che l’ICA rappresentasse per quasi mezzo secolo l’unica indagine diagnostica per la valutazione dell’anatomia del circolo corona-

La tomografia computerizzata multidetettore è un esame promettente nella valutazione dei pazienti con sospetta cardiopatia ischemica, al fine di individuare i pazienti con assenza di patologia coronarica ed evitare loro l’esecuzione di un inutile esame invasivo.


AttuAlItA’ e PROSPeTTiVe 16 rio. All’inizio degli anni ’90 venne introdotta la tomografia computerizzata a fascio di elettroni (EBCt) che venne però tuttavia rapidamente abbandonata perché, nonostante una elevata risoluzione temporale, presentava una risoluzione spaziale non adeguata per lo studio delle coronarie.9 si è dovuto attendere la fine degli anni ’90 perché venisse introdotta la MdCt con ECG gating retrospettivo.10,11 questa tecnologia consiste in una acquisizione elicoidale

continua simultanea alla registrazione dell’elettrocardiogramma con una matrice di acquisizione inizialmente costituita da 4 strati negli scanner di prima generazione fino a agli attuali 320 strati disponibili oggi in commercio12 e con tempi di rotazione del tubo radiogeno arrivati fino a 330 msec.13 Ciò ha consentito un incremento della risoluzione spaziale fino a 0.5 mm e della risoluzione temporale fino a 165 msec, rendendo la MdcT una metodica adeguata per lo studio del circolo coronario. tuttavia nonostante l’implementazione tecnologica, la risoluzione temporale ottenuta appare adeguata solo in pazienti con Hr basse almeno fino alla fine del 2005 in cui è stata introdotta sul mercato la tomografia computerizzata a doppio tubo (dsCt).14 In questo tipo di tecnologia una coppia di tubi

Circa il 25% dei pazienti sottoposti ad esame coronarografico non presenta malattia coronarica, nonostante la corretta applicazione delle Linee Guida per la diagnosi di cardiopatia ischemica.

aBBReViaZiOni BPM: battiti per minuto cad: malattia coronarica cdx: arteria coronaria destra cFx: arteria circonflessa dScT: tC a doppia sorgente eBcT: tC a fascio di elettroni

radiogeni sono montati a 90° l’uno con l’altro ruotando simultaneamente durante la scansione e ottenendo quindi una risoluzione temporale effettiva di 83 msec. PRePaRaZiOne deL PaZienTe numerosi studi15,16 hanno dimostrato che la Hr gioca un ruolo fondamentale nella performance diagnostica della MdCt. Infatti, nonostante l’implementazione della risoluzione

temporale degli scanner di nuova generazione, una Hr ≤ 65 battiti per minuto (bpm) è sempre desiderabile al momento dell’esecuzione di una MdCt al fine di limitare gli artefatti da movimento. In particolare in un lavoro del nostro gruppo15 in 500 pazienti consecutivi studiati mediante MdCt è stato dimostrato come nel gruppo con bassa Hr il numero di artefatti, la fattibilità complessiva, la qualità delle immagini ma soprattutto l’accuratezza diagnostica è stata superiorie rispetto ai pazienti studiati con Hr elevate. Ciò rende necessario l’impiego di protocolli farmacologici prima dell’esecuzione degli esami in pazienti con Hr≥65 bpm. numerosi studi hanno infatti confermato la necessità di somministrare β-bloccanti per via orale 60-90 minuti prima della scansione, o attraverso somministrazione endovenosa, o entrambe le formulazioni, al fine di ridurre la Hr al di sotto di 60 bpm limtando quindi gli artefatti da movimento.15-18 tuttavia non tutti i pazienti possono ricevere un pre-trattamento con β-bloccante come ad esempio i pazienti con disfunzione sistolica ventricolare sinistra o broncopneumpatia cronica ostruttiva. recentemente è stata introdotta l’ivabradina, un nuovo farmaco bradicardizzante, che agendo direttamente sulle cellule pacemaker seno-atriali

ica: coronarografia invasiva iVa: arteria interventricolare anteriore HR: frequenza cardiaca Marg: ramo marginale MdcT: tC multidetettore Tc: tronco comune


AttuAlItA’ e PROSPeTTiVe 17

Figura 2 riduce la Hr senza avere alcune effetto inotropico o dromotropico negativo.19 E’ tutt’ora in corso uno studio multicentrico europeo di fase III a cui il nostro istitutuo ha partecipato, nel quale verrà valutata verso placebo l’impiego di ivabradina con somministrazione endovenosa in pazienti candidati allo studio del circolo coronarico mediante MdCt. Infine alcuni operatori utilizzano prima dell’esecuzione dell’esame anche nitroglicerina sublinguale al fine di migliorare la qualità delle immagini mediante una vasodilatazione coronarica.20 la Figura 2 mostra la ricostruzione tridimensionale della coronaria destra in due pazienti con Hr di 70 bpm e 55 bpm rispettivamente al momento dell’esecuzione dell’esame. si può notare come nel paziente ad alta frequenza siano presenti numerosi artefatti da disallineamento delle slice che impediscono una corretta valutazione del vaso. PROTOcOLLO di ScanSiOne e anaLiSi POSTPROceSSing Il protocollo standard della MdCt per lo studio dell’anatomia coronarica prevede una acquisizione elicoidale continua con registrazione simultanea dell’elettrocardiogramma (ECG-gating prospettico) in condizioni basali e dopo somministrazione di 60-90 cc di mezzo di contrasto non ionico ad alta concentrazione somministrati ad alto flusso (4-6 ml/sec) seguito da soluzione fisiologica21 al fine di ridurre gli artefatti da mezzo di contrato nel settore cardiaco destro.22 le immagini assiali così ottenute vengono pertanto importate in workstation dedicate ed analizzate mediante software di ricostruzione specifici per lo studio del circolo coronarico (Figura 3) che comprendono ricostruzioni tridimensionali (Volume rendering), multiplanari (Mpr) e sezioni longitudinali ed assiali del vaso coronarico da studiare (Vessel Analysis). due diverse metodologie possono essere utilizzate per eseguire la valutazione dell’entità della stenosi: qualitativa o quantitativa.21,23 Con il metodo qualitativo la percentuale di stenosi viene giudicata visualmente sull’immagine. Viceversa, con il metodo quantitativo da noi consigliato, la percentuale di stenosi viene ottenuta come rapporto tra il diametro del vaso in corrispondenza della stenosi misurato in asse corto e la media dei diametri del vaso sano prossimalmente e distal-

mente alla stenosi sempre misurati in piani assiali. indicaZiOni cLinicHe numerosi studi hanno dimostrato l’elevata accuratezza della MdCt nella diagnosi della CAd. In particolare nello studio multicentrico italiano nIMIs-CAd24 sono stati arruolati 367 pazienti con indicazione ad un ICA nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2006 è sono stati valutati mediante MdCt. l’analisi per paziente ha mostrato un sensibilità, specificità, potere predittivo positivo e negativo e accuratezza diagnostica rispettivamente del 94%, 88%, 91% , 91% e 91%. Viceversa in un modello per segmenti coronarici la sensibilità, specificità, potere predittivo positivo e negativo e accuratezza diagnostica sono risultati rispettivamente del 70%, 96%, 72% , 96% e 93%.24 Emerge da questi dati che grazie all’elevato potere predittivo negativo la MdCt sembra essere particolarmente efficace nell’esclusione della patologia coronarica.

Figura 3


AttuAlItA’ e PROSPeTTiVe 18 tuttavia la sua performance diagnostica appare strettamente influenzata dalla tipologia di pazienti indagata. E’ stato infatti dimostrato che la variabile che maggiormente influenza la performance diagnostica della MdCt è la probabilità pre-test di coronaropatia. Infatti già Hoffman e coll.25 avevano dimostrato come in una popolazione ad elevata prevalenza di CAd la MdCt presentava solo una moderata accuratezza diagnostica. Al contrario nikolaou et al.26 hanno dimostrato come in una popolazione a bassa probabilità pre-test di coronaropatia il valore predittivo negativo della MdCt è del 99%. un lavoro del nostro gruppo27 ha infine comparato l’accuratezza diagnostica della MdCt nella diagnosi di CAd significativa tra due popolazioni con probabilità pre-test di coronaropatia bassa-intermedia ed elevata documentando una accuratezza diagnostica del 93% e dell’89% rispettivamente. In particolare nella popolazione ad alta prevalenza di CAd si è osservato una riduzione della specificità fino al 58% a causa dell’elevata incidenza di placche calcifiche. In altre parole in popolazioni ad alto rischio per CAd, l’elevata incidenza di diffusa malattia aterosclerotica calcifica, determina un numero eccessivo di falsi positivi alla MdCt limitandone l’accuratezza diagnostica. tali dati suggeriscono quindi un impiego di tale metodica nei pazienti con rischio di CAd basso-intermedio. In tal senso esistono due specifiche categorie di pazienti con tali caratteristiche: pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativi (dCM) di prima diagnosi e pazienti con indicazione cardiochirurgica non coronarica per i quali è obbligatorio conoscere la condizione del circolo coronarico. per quanto concerne i pazienti con dCM numerosi lavori2830 hanno documentato una accuratezza diagnostica vicina al 100% e analogamente Meijboom WB e coll.31 hanno evidenziato un valore predittivo negativo del 100% nei pazienti candidati ad interventi di sostituzione valvolare. la Figura 4A mostra il caso di un paziente con bassa-intermedia probabi-

lità pre-test di coronaropatia in cui la MdCt ha documentato la presenza di una placca focale sull’arteria interventricolare anteriore (IVA) prossimale. l’analisi quantitativa ha permesso di stimare tale stenosi in 60% di restringimento endoluminale. Al contrario in Figura 4B la MdCt è stata eseguita in un paziente con elevata probabilità di CAd documentando una estesa patologia aterosclerotica a tutti i vasi coronarici senza tuttavia poter eseguire una corretta quantificazione della percentuale di stenosi per l’eccessiva presenza di patologia calcifica coronarica. Il valore clinico additivo della MdCt è particolarmente evidente inoltre nei pazienti con probabilità pre-test di coronaropatia in cui esiste discrepanza tra sintomatologia clinica e test funzionali. Come già riportato infatti, la percentuale media di ICA che non documentano CAd significativa è stimata intorno al 25%.6 Ciò avviene in quanto nei pazienti con discrepanza tra caratteristiche cliniche del dolore toracico ed esito degli stress test non esiste attualmente una chiara condotta gestionale sulla base della quale si decide o meno di eseguire una ICA. Infatti in un lavoro del nostro gruppo32 è stato dimostrato come nei pazienti con angina tipica e test da sforzo negativo l’esecuzione preliminare della MdCt ridurrebbe del 16% il numero di ICA identificando i pazienti sani ed indirizzando all’esame invasivo solo quelli effettivamente patologici. Viceversa in pazienti con angina atipica e test da sforzo positivo, la MdCt prima dell’ICA è in grado di identificare quel 24% di pazienti con coronaria sane che pertanto non necessitano di una valutazione angiografica invasiva. In Figura 5 viene mostrato il caso di un paziente con anamnesi positiva per episodi di angina tipica e con test da sforzo massimale negativo; la MdCt ha documentato la presenza di due stenosi focali significative a livello dell’IVA e del ramo marginale confermate all’ICA. Viceversa in Figura 6 è riportato il caso di una paziente con anamnesi positiva per ipertensione arteriosa con test da sforzo

Figura 4a


AttuAlItA’ e PROSPeTTiVe 19 positivo in cui la MdCt ha mostrato assenza di malattia coronarica a carico dei principali vasi epicardici coronarici. cOncLUSiOni La MdcT rappresenta oggi una valida alternativa non invasiva all’ica per la valutazione del circolo coronarico nella sospetta cad. questa metodica si rivela particolarmente utile nell’escludere la presenza di patologia significativa grazie al suo elevato potere predittivo negativo e soprattutto nei pazienti bradicardici al momento dell’esecu-

zione dell’esame, con bassa-intermedia probabilità di coronaropatia in cui esiste una discrepanza tra quadro clinico ed esito dei test funzionali. Grazie agli avanzamenti tecnologici è possibile eseguire tale esame con dosi di radiazioni ionizzanti contenute e sicuramente inferiori a quelle della coronarografia invasiva o dei test nucleari. pertanto è auspicabile che a tale metodica sia riservato in un prossimo futuro un posto sempre più di rilievo nel management diagnostico della cardiopatia ischemica. Riferimenti bibliografici a richiesta: info@edicare.it

Figura 5

Figura 6


ApproFondIMEntI 20

La TeRaPia SeqUenZiaLe

nEl trAttAMEnto dEll’ InFEZIonE dA HElICoBACtEr pylorI: suA storIA E pAtErnItà. Vincenzo De Francesco sezione di Gastroenterologia, dipartimento di scienze Mediche, università di Foggia, Foggia Angelo Zullo reparto di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, “ospedale nuovo regina Margherita”, roma

Nel corso dell’ultimo decennio la classica “triplice terapia” a base di ppi/amoxicillina/claritromicina si è rivelata inefficace nel raggiungere un soddisfacente numero di eradicazione dell’helicobacter pylori. Tra i vari schemi terapeutici proposti la “terapia sequenziale” detta anche “terapia cinque più cinque” appare la più efficace, con percentuali di eradicazione stabilmente superiori al 90% dei casi

Il trattamento dell’infezione da Helicobacter pylori è apparso, sin dalla sua scoperta, un’ ardua sfida per il clinico per la esiguità dei farmaci disponibili, con la impossibilità di ottenere con nessuna delle terapie di prima linea l’eradicazione dell’infezione nel 100% dei casi, come auspicabile per ogni altro tipo di infezione batterica. dopo le iniziali soddisfacenti percentuali di eradicazione ottenute negli anni ’80, mediante la “triplice terapia” (Inibitore di pompa protonica-ppI in associazione con amoxicilina e claritromicina) somministrata per 7-14 giorni,1 si è registrato un progressivo calo dell’efficacia di questo schema terapeutico nel corso dell’ultima decade fino a percentuali di successo del solo 45−60%.2-4 questo fenomeno è stato unanimamente attribuito all’aumento della resistenza agli antibiotici, in particolare alla claritromicina, antibiotico chiave degli schemi di terapia attualmente utilizzati.5 pertanto, nel corso degli anni 2000 è apparsa necessaria la disponibilità di più efficaci schemi di trattamento, ed a tal fine gli sforzi sono stati diretti in tre differenti direzioni: • Aggiunta progressiva di differenti antibiotici in combinazioni e cicli terapeutici più complessi: “duplice terapia” con ppI/amoxicillina seguita dalla “triplice terapia” con ppI/amoxicillina/clartitromicina o tinidazolo seguita a sua volta da “quadruplice terapia” con ppI/sali di bismuto/amoxicillina/tinidazolo. • utilizzo di nuovi antibiotici: chinolonici.

• ottimizzazione dell’uso di classici antibiotici adottando nuovi schemi di somministrazione: “terapia sequenziale” nel primo caso, le esperienze maturate hanno evidenziato una sicura riduzione della compliance del paziente rispetto a schemi terapeutici complessi e troppo protratti nel tempo, rendendo incerto il miglioramento dell’efficacia terapeutica. nel secondo caso, si è frequentemente assistito alla insorgenza di nuove resistenze con conseguente riduzione delle opzioni terapeutiche di “seconda linea” I migliori risultati si sono invece ottenuti con la terza opzione strategica, che dopo dieci anni dalla sua elaborazione, ha portato allo sviluppo e consolidamento della “terapia sequenziale” che attualmente può essere considerata la più efficace innovazione nel trattamento dell’infezione da Helicobacter pylori. Già nel 1997 Zullo e coll. osservarono che le percentuali di eradicazione ottenute somministrando inizialmente per due settimane una duplice terapia basata su di ppI ed amoxicillina e seguita, nei pazienti che non avevano eradicato l’infezione, da una triplice terapia basata su ppI/claritromicina/amoxicillina

il trattamento dell’infezione da Helicobacter pylori è un’ ardua sfida per il clinico per la esiguità dei farmaci disponibili, con la impossibilità di ottenere con nessuna delle terapie di prima linea l’eradicazione dell’infezione nel 100% dei casi.


ApproFondIMEntI 21 erano significativamente più alte delle percentuali ottenibili con uno schema inverso (”triplice seguita da duplice”).6 nel 2000 Zullo e coll. elaborarono un nuovo schema di terapia consistente in una duplice terapia comprendente ppI/amoxicillina somministrata per 5 giorni seguita da una triplice terapia comprendente ppI/amoxicillina/claritromicina per ulteriori 5 giorni, ottenendo percentuali di eradicazione >90% in Italia Centrale (roma). l’uso dell’amoxicillina, verso cui la resistenza è rara, nella prima fase dello schema è giustificato dal sicuro effetto battericida. Il precedente uso dell’amoxicillina, riducendo la carica batterica, facilita l’azione successiva della combinazione claritromicina/tinidazolo. Il razionale di tale combinazione nel secondo periodo di 5 giorni tiene conto del sinergismo dei due farmaci risultante in un’attività battericida finale. pertanto gli autori chiamarono tale schema “terapia cinque più cinque”.7 quasi contemporaneamente de Francesco e Coll. ottennero con questo approccio terapeutico comparabili percentuali di eradicazione dell’infezione in Italia Meridionale e, per primi, chiamarono tale schema “terapia sequenziale” (“duplice terapia” seguita da “triplice terapia”).8 questo ultimo nome è adottato attualmente in letteratura internazionale: • 5 giorni: ppI + Amoxicillina (1 g bidie) • 5 giorni: ppI + Amoxicillina (1 g bidie) + Claritromicina (500 mg bidie) o tinidazolo (500 mg bidie). successive esperienze in collaborazione tra i due suddetti

centri hanno confermato l’elevata efficacia terapeutica del regime sequenziale in pazienti affetti da ulcera peptica (94.7% vs. 92.2%),9 da dispepsia non ulcerosa (94.0% vs. 93.0%),10 in pazienti geriatrici (94.0%),11 in confronto alla classica terapia triplice somministrata per 7 o 10 giorni (94.8% vs. 71.3% vs. 80.1%)12 e in relazione alla presenza di differenti fattori di rischio di fallimento terapeutico.13 Inoltre, considerando la resistenza batterica alla claritromicina il principale fattore riducente l’efficacia degli schemi in cui essa è inclusa, gli autori hanno valutato retrospettivamemte l’efficacia della terapia sequenziale in ceppi di Helicobacter pylori resistenti al macrolide riportando percentuali di eradicazione significativamente più alte rispetto alla classica triplice terapia (81.8% vs. 43.7%).14 numerosi lavori hanno valutato e confermato l’efficacia della terapia sequenziale in diversi centri italiani15-19 ed in altri parti del mondo,21-27 come è auspicabile per ogni nuova terapia. sulla base di questi dati cumulativi emergenti dalla letteratura internazionale la terapia sequenziale è stata riconosciuta a buon diritto come terapia di prima linea ad alta efficacia ed inserita nelle correnti linee guida italiane per il trattamento dell’infezione da Helicobacter. pylori.28 questa la storia di dieci anni di studi della terapia sequenziale. questa la sua paternità. Riferimenti bibliografici a richiesta: info@edicare.it



ApproFondIMEntI 23

VaccinaZiOne anTinFLUenZaLe PandeMica aH1n1

VAlutAZIonE dEl proFIlo dI sICurEZZA dEI VACCInI pAndEMICI. Vito Gregorio Colacicco direzione sanitaria Asl Foggia Ada Foglia responsabile Farmacovigilanza Asl Foggia Renato Lombardi dipartimento Farmaceutico territoriale Asl Foggia

La farmacovigilanza sui vaccini riveste particolare valenza scientifica, poiché questi farmaci vengono somministrati a persone sane e prevalentemente a bambini, non sono scevri da eventi avversi anche gravi e la sorveglianza appare inadeguata in molte aree del territorio nazionale

la vaccinazione antinfluenzale si è dimostrata da anni la migliore strategia di prevenzione delle complicanze cliniche e dei costi indiretti legati alla circolazione stagionale dei virus influenzali. I vaccini sono prodotti secondo le indicazioni dell’oMs come vaccini trivalenti, contenenti in genere i tre ceppi influenzali che nell’anno precedente hanno avuto maggiore diffusione. I vaccini si dividono in più tipologie: • quelli contenenti ceppi vivi e attenuati dei virus influenzali, • quelli formati da frammenti dei virus (vaccini split) e • quelli contenenti gli antigeni di superficie del virus, emoagglutinina e neuraminidasi (vaccini adiuvati), coformulati con particolari sostanze definite “adiuvanti” poiché in grado di potenziare l’effetto immunogeno del vaccino. tra gli adiuvanti più diffusi abbiamo un’emulsione lipidica brevettata contenente squalene (MF59C.1). Il vaccino pandemico, tecnicamente, per il suo processo di produzione e formulazione è esattamente identico ai vaccini

influenzali stagionali. E’ però un vaccino monovalente contenente solo il ceppo A/California/7/2009 (H1n1)v (X-179A) ritenuto antigenicamente simile all’attuale virus pandemico circolante. In Italia la campagna vaccinale pandemica viene condotta con il vaccino prodotto dalla novartis (Focetria®), contenente per dose da 0,5 ml: 7,5 mcg di antigeni di superficie emoagglutinina e neuraminidasi del ceppo AH1n1 con MF59 come adiuvante, contenente 9,75 mg di squalene. Il vaccino è stato eccipientato con thiomersal (conservante contenente mercurio) nella formulazione multidose, che è invece assente nella formulazione monodose. uno studio clinico post-marketing1 ha dimostrato che una singola dose è sufficiente a immunizzare la maggior parte degli adulti. Il 97% dei 120 adulti vaccinati nello studio ha mostrato un titolo anticorpale adeguato a 21 giorni dalla vaccinazione. reazioni avverse locali di lieve entità si sono riscontrate nel 46% dei soggetti; reazioni avverse sistemiche di lieve entità nel 45%. Il national Institute of Allergy and Infectious disease (nIAId) ha pubblicato le anticipazioni di uno studio in cui appare che la risposta anticorpale sembra crescere con l’età2. una coorte di pazienti tra 6 mesi e 18 anni è stata immunizzata con una singola dose di 15 μg di vaccino pandemico monovalente inattivato. un titolo anticorpale ritenuto protettivo è stato riscontrato nel 25% dei bambini tra 6 e 35 mesi, nel 36% tra 3 e 9 anni e del 76% nel gruppo 10-17 anni. per una copertura soddisfacente, quindi, i bambini tra 6 mesi e 9 anni dovrebbero ricevere una seconda dose dopo 4 settimane dalla prima. E’ possibile e raccomandato praticare sia la vaccinazione pandemica che la vaccinazione stagionale, contestualmente su arti diversi se si

La vaccinazione antinfluenzale si è dimostrata da anni la migliore strategia di prevenzione delle complicanze cliniche e dei costi indiretti legati alla circolazione stagionale dei virus influenzali.


ApproFondIMEntI 24 usa un vaccino stagionale split, lasciando intercorrere almeno 3-4 settimane se la vaccinazione stagionale è stata praticata con un vaccino adiuvato. ReaZiOni aVVeRSe indOTTe da Vaccini anTinFLUenZaLi la vaccinazione antinfluenzale risulta essere relativamente sicura e ben tollerata dalla maggior parte dei soggetti che la ricevono. Il rapporto rischio-beneficio, soprattutto nelle fasce di popolazione a rischio, è assolutamente favorevole. le reazioni avverse indotte dalla vaccinazione antinfluenzale, anche da questa pandemica, possono essere locali o sistemiche ma solitamente sono di lieve-moderata entità e di breve durata. si osserva un aumento della frequenza delle reazioni locali (soprattutto dolore nel punto di inoculo) utilizzando vaccini adiuvati rispetto a vaccini inattivati e generalmente, negli adulti, si verificano meno reazioni alla seconda vaccinazione rispetto alla prima. negli adulti e anziani si osservano quali reazioni sistemiche: cefalea, sudorazione, atralgia, mialgia, febbre, malessere, affaticamento e brividi. nella sede di iniezione possono invece comparire, abbastanza comunemente: arrossamento, gonfiore, indurimento, ecchimosi e dolore. tutte le reazioni scompaiono generalmente in 1-2 giorni senza trattamento. nei bambini e adolescenti (6 mesi – 17 anni) il profilo di sicurezza è sostanzialmente sovrapponibile ma si riscontrano una maggiore frequenza di reazioni locali nella seconda vaccinazione rispetto alla prima. le reazioni sistemiche compaiono solitamente entro 3 giorni dalla vaccinazione, sono di natura transitoria e di lieve-moderata gravità. nei bambini e adolescenti, globalmente, la frequenza di reazioni avverse è maggiore che negli adulti e anziani. reazioni molto comuni (incidenza > 1/10) sono: irritabilità, pianto insolito, sonnolenza, diarrea, cambiamento delle abitudini alimentari nei bambini tra 6 e 35 mesi; cefalea e fatica nei bambini da 3 a 9 anni; malessere, mialgia, cefalea, fatica, sudorazione, nausea e brividi negli adolescenti da 10 a 17 anni. si riscontra inoltre una frequenza maggiore di eventi febbrili >39° C°. la farmacovigilanza post-marketing nel corso degli anni ha permesso di identificare altri eventi avversi che nei campioni arruolati per gli studi clinici non sono stati messi in evidenza. reazioni avverse non comuni (> 1/1000 a <1/100) comprendono reazioni cutanee generalizzate: prurito, orticaria o rash non specifico. reazioni rare (>1/10.000 a < 1/1000) comprendono: nevralgia, parestesia, convulsioni, trombocitopenia transitoria, reazioni allergiche con shock. reazioni molto rare (< 1/10.000) comprendono: vasculite con coinvolgimento renale, eritema multiforme essudativo, disturbi neurologici quali encefalomielite, neurite e sindrome di Guillain Barrè. STUdiO deLLa SicUReZZa dei Vaccini anTinFLUenZaLi e RUOLO deLLa FaRMacOVigiLanZa I vaccini sono prodotti con un ridotto rischio di eventi avversi rispetto ai farmaci, tenuto conto che sono somministrati per la profilassi di individui sani, prevalentemente bambini, e l’elevata esposizione della popolazione legata alla somministrazione obbligatoria in molti paesi. per loro natura ed azione biologica i vaccini non si prestano a sperimentazioni cliniche3 pre-registrative “pragmatiche”, ove le condizioni sperimentali ricalcano con maggiore aderenza le caratteristiche della popolazione generale, tale da minimizzare i bias di

trasferibilità dei protocolli. nella sperimentazione clinica dei vaccini abbiamo una severa applicazione dei criteri di eleggibilità imposti dal protocollo: età, prematurità, uso concomitante di farmaci, altre vaccinazioni. Inoltre gli studi sono disegnati per valutare l’efficacia del vaccino, utilizzando come end point surrogato l’immunogenicità, mediante misurazione del titolo anticorpale. solo come obiettivo secondario troviamo la sicurezza che non è supportata nemmeno dai dati raccolti nella fase pre-clinica, data la scarsa trasferibilità all’uomo dei dati di sicurezza provenienti da studi sugli animali. sui vaccini, quindi, più che sugli altri farmaci è fondamentale il ruolo della farmacovigilanza a completamento delle informazioni sulla sicurezza raccolte negli studi clinici. obiettivo della farmacovigilanza sui vaccini è quello di: • identificare eventi avversi nuovi o rari; • stimare l’incidenza degli eventi avversi noti (rischio assoluto); • stabilire delle relazioni causali (rischio attribuibile); • identificare fattori di rischio (controindicazioni). Il nesso causale tra vaccinazione ed evento avverso deve avere plausibilità biologica ed evidenze di laboratorio a sostegno, dato che non di rado, gli eventi avversi osservati, dipendono da problemi legati a singole specialità medicinali o a imperfetti processi produttivi. di seguito sono riportate alcune delle più importanti osservazioni sulla sicurezza dei vaccini antinfluenzali. SindROMe OcULO-ReSPiRaTORia segnalata durante la campagna antinfluenzale 2000-2001 in Canada. definita dalla presenza di uno o più dei seguenti sintomi4: iperemia congiuntivale, tosse, dispnea, difficoltà respiratorie, faringite, gonfiore facciale. si manifesta da 2 a 24 ore dopo la vaccinazione e si risolve entro 48 ore dall’inizio dei sintomi. delle 2450 segnalazioni di reazione avversa il 39,2 % (960) era riferibile ai criteri definiti dalla sindrome. poiché gran parte delle segnalazioni era riferibile ad una singola specialità contenente vaccino inattivato (split), un’attenta analisi al microscopio elettronico ha rivelato la formazione di micro-aggregati di virioni (unsplit). PaRaLiSi di BeLL Emiparesi facciale improvvisa e completa, con eziopatogenesi sconosciuta, causata da fenomeni infiammatori che interessano il 7° paio di nervi cranici. osservata in svizzera nel 2004 (46 segnalazioni) relative ad una formulazione spray nasale di vaccino contenente virus antinfluenzale attenuato. Valutato un rischio relativo rispetto ai controlli pari a 195-6. osservata insorgenza da 1 a 91 giorni dopo la vaccinazione e risoluzione spontanea completa in 1-8 settimane nel 90% dei pazienti. la paralisi di Bell non è associabile a vaccini per

Obiettivo della farmacovigilanza sui vaccini è quello di: • identificare eventi avversi nuovi o rari; • stimare l’incidenza degli eventi avversi noti (rischio assoluto); • stabilire delle relazioni causali (rischio attribuibile); • identificare fattori di rischio (controindicazioni).


ApproFondIMEntI 25 uso parenterale. SindROMe di gUiLLaine-BaRRe poliradicoloneurite demielinizzante che evolve in una progressiva paralisi. Alla base è stata ipotizzata un’attivazione dell’immunità umorale e cellulare che innescherebbe un’immunizzazione verso gli antigeni della mielina. segnalata sin dal 1976-77 negli usA in seguito a vaccinazione antinfluenzale con ceppo A/new Jersey. osservata l’insorgenza entro 5 settimane dall’esposizione con un’incidenza di 1/100.000 vaccinazioni7. diSFUnZiOni caRdiOVaScOLaRi I pazienti affetti da disturbi cardiovascolari sono considerati ad alto rischio, per i quali la vaccinazione è altamente raccomandata. l’infezione da virus influenzale è infatti associata ad aumento di citochine pro-infiammatorie e pro-trombotiche che possono causare disfunzioni endoteliali8-9-10. Anche la stessa vaccinazione antinfluenzale, in questi soggetti, è stata indiziata quale possibile fattore di aumento del rischio CCV11. cOncLUSiOni la farmacovigilanza sui vaccini antinfluenzali è una pratica essenziale per il completamento delle informazioni relative alla sicurezza di questi farmaci, considerate anche le particolari condizioni di impiego. nel passato ha permesso l’individuazione

di reazioni avverse potenzialmente molto gravi. la normativa italiana prevede che vengano segnalate, con modello unico di segnalazione, tutte le sospette reazioni avverse attribuibili ad esposizione a farmaci e vaccini12. Il legislatore, ha aggiunto, in appendice al decreto ministeriale, delle precise linee guida relative alla descrizione di sospetta reazione avversa a vaccino. data la rapida esposizione di larghe fasce di popolazione per la campagna di vaccinazione pandemica, per favorire le segnalazioni, è stata predisposta una scheda di segnalazione ad hoc. deve essere segnalata ogni sospetta reazione avversa osservata, dando priorità alle reazioni gravi, fatali e inattese e ad alcuni eventi avversi di particolare interesse quali: neuriti, convulsioni, anafilassi, encefaliti, vasculiti, sindrome di GuillainBarre, paralisi di Bell, patologie demielinizzanti e fallimenti vaccinali. per le donne in gravidanza dovrà essere comunicata anche la rilevazione degli esiti della gravidanza. tutti gli altri eventi avversi attribuibili a terapie farmacologiche concomitantemente assunte, compreso il trattamento con farmaci antivirali per l’influenza o la vaccinazione influenzale stagionale, dovrà essere segnalato con il modulo unico di segnalazione. la medicina generale, che probabilmente nel breve termine coadiuverà le strutture pubbliche che stanno conducendo la campagna di vaccinazione pandemica, potrà svolgere, nella farmacosorveglianza vaccinale, un ruolo fondamentale. Riferimenti bibliografici a richiesta: info@edicare.it


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La MaLnUTRiZiOne neLL’anZianO ApproCCIo dIAGnostICo.

Giovanni B. D’Errico Medico di Famiglia, Foggia dipartimento di oncologia e cure palliative – AIMEF - Associazione Italiana Medici di Famiglia Nuzio Costa dipartimento di oncologia e cure palliative – AIMEF - Associazione Italiana Medici di Famiglia Medico di Famiglia, stornarella, Foggia

La possibilità per il medico di famiglia di attivare l’assistenza domiciliare nei confronti del paziente con problemi complessi consente di tenere sotto controllo le condizioni di salute psico-fisica di questi pazienti nonché di conoscere le condizioni socio-familiari in cui vivono. Vi è quindi la l’opportunità di individuare la malnutrizione in una fase iniziale e di intervenire tempestivamente per evitarne le conseguenze

un medico di famiglia con 1500 pazienti ha in carico circa 300 pazienti con età superiore a 70 anni; di questi in media il 3-5 % sono assistiti a domicilio con Assistenza domiciliare programmata, con una frequenza di accessi che possono andare da 1 volta alla settimana a 1 volta al mese a seconda della necessità e gravità delle patologie. questa modalità assistenziale consente al medico di conoscere a fondo il paziente, la famiglia e l’ambiente psico-sociale in cui vive, di individuare in fase precoce l’inizio di uno stato di malnutrizione e di trattarla precocemente evitandone le conseguenze negative che ne derivano. la malnutrizione ha infatti un impatto notevole sulla qualità di vita, comporta elevati costi sociali e determina un significativo incremento della morbilità e della mortalità. nei paesi industrializzati è molto frequente nelle persone anziane ed è dovuta a numerose cause: organiche, sociali, psicologiche e culturali. le modificazioni fisiologiche tipiche dell’invecchiamento e la riduzione dell’assunzione di cibo sono le cause principali della malnutrizione. Con l’avanzare dell’età le persone anziane sembrano saziarsi probabilmente per una riduzione dello stimolo della fame mediato dagli oppioidi e da un aumento del senso di sazietà indotto dalla colecistochinina. Anche la diminuzione della sensibilità gustativa (ipogeusia) e olfattoria (iposmia), insieme ai disordini del gusto (disgeusia) e dell’olfatto (disosmia), concorrono a determinare l'anoressia dell'anziano.

La malnutrizione ha infatti un impatto notevole sulla qualità di vita, comporta elevati costi sociali e determina un significativo incremento della morbilità e della mortalità. E’ dimostrato che il 16% degli anziani che vivono nella collettività consuma < 1000 kcal/die, una quantità insufficiente a mantenere uno stato nutrizionale adeguato. l’iponutrizione non colpisce solo gli anziani che vivono nella propria casa ma anche i pazienti ricoverati nei reparti ospedalieri di cura (dal 17 al 65%) e di quelli ospitati nelle strutture di lungodegenza (dal 5 al 59%). Il rischio di malnutrizione è basso (0-6%) negli anziani autosufficienti, diviene elevato (10-30%) tra i pazienti istituzionalizzati, tra i pazienti che ricevono assistenza pubblica domiciliare (fino al 50%), negli individui affetti da patologie acute. Considerata l’importanza della malnutrizione diviene imperativo riconoscere precocemente le situazioni a rischio al fine di ridurne le conseguenze negative. numerose sono le metodiche multidimensionali di valutazione della malnutrizione. lo strumento più utilizzato per la valutazione nutrizionale nel paziente geriatrico è rappresentato dal Mini nutritional Assessment - MnA. Mini nUTRiTiOnaL aSSeSSMenT (Mna) E’ uno strumento molto utile nella pratica clinica che consente


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di ottenere in maniera rapida sufficienti informazioni sullo stato nutrizionale del soggetto, in quanto basato su semplici misurazioni antropometriche e su brevi domande espletabili in poco tempo. E’ una metodo multidimensionale pratico, economico e non invasivo che prevede l’acquisizione di 18 semplici misure e informazioni, suddivise in 4 sezioni: • valutazione antropometrica: comprende l’indice di massa corporea (BMI), la circonferenza a livello della metà del braccio (MAC), la circonferenza del polpaccio (CC) e la perdita di peso. Il BMI ( Indice di Massa Corporea) risulta un buon indice di grasso corporeo e viene calcolato con la seguente formula: BMI = pEso (Kg) / AltEZZA 2 (metri); malattie acute negli ultimi tre mesi, la mobilità, i problemi neuro-psicologici e la presenza di piaghe da decubito; la circonferenza a livello della metà del braccio (MAC), ) e la circonferenza del polpaccio (CC) tendono a valutare l'assetto costituzionale del soggetto ( longilineo, brachitipo, ecc.)e a determinare la massa muscolare; • valutazione globale clinica: comprende lo stile di vita, gli eventi acuti recenti, la presenza di stress psichici o di piaghe da decubito; • valutazione alimentare o dietetica: comprende il numero dei pasti consumati quotidianamente, la qualità degli alimenti, la quantità e la qualità dei liquidi ingeriti quotidianamente e l’autonomia nell’alimentazione; • valutazione soggettiva: autovalutazione dello stato di salute e di nutrizione. Il punteggio totale del MnA si ottiene sommando i punteggi assegnati ai responsi di ciascuno dei 18 items ed è così ripartito: valutazione antropometrica = 8 punti; valutazione globale = 9 punti; valutazione alimentare = 9 punti; valutazione soggettiva = 4 punti.

Il punteggio massimo è 30 e corrisponde alla condizione nutrizionale migliore. I soggetti, sulla base del punteggio ottenuto al MnA, sono classificati in tre categorie nutrizionali: • ≥24 = stato di nutrizione normale; • da 17 a 23.5 = a rischio di malnutrizione; • <17 = stato di malnutrizione calorico-proteico. l’elemento che viene ritenuto comunque più significativo è la sua capacità di identificare i soggetti a rischio di malnutrizione, prima cioè che si verifichino eventi gravi quali un’eccessiva perdita di peso od una severa ipoalbuminemia, in quanto è in questi che la correzione dello stato nutrizionale ha maggiori probabilità di successo. Altrettanto importante è il fatto che il MnA si è dimostrato anche in grado di predire eventi quali mortalità e costi conseguenti all’ospedalizzazione. Il MnA è stata messo a punto e validato per confronto con differenti marcatori nutrizionali (variabili antropometriche e indicatori biochimici). la sensibilità e la specificità nel rivelare gli stati di malnutrizione risultano rispettivamente del 96% e del 98%. si è dimostrato un valido predittore di morbilità e mortalità a breve e lungo termine nei pazienti ospedalizzati. cOncLUSiOni I risultati della letteratura confermano l’utilità delle tecniche multi-dimensionali per la diagnosi della Malnutrizione, una condizione frequente nella popolazione senile. Il Mini nutritional Assessment, in particolare, si dimostra un valido strumento di valutazione, sia per le caratteristiche di versatilità, sia per l’alto livello di sensibilità e specificità. Il suo utilizzo routinario è raccomandato per il monitoraggio delle variazioni fisiologiche dell’anziano e in malattie dove lo stato nutrizionale rappresenta un fattore di rilevante interesse prognostico.



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La cOMUnicaZiOne di caTTiVe nOTiZie In MEdICInA dI FAMIGlIA. Alberto Marsilio Medico di Medicina Generale, Venezia società Italiana di Geriatria e Gerontologia

La comunicazione di cattive notizie è uno dei compiti più gravosi per il medico di famiglia. e’ uno dei momenti di maggiore criticità perché coinvolge gli aspetti più profondi della sfera affettiva; solo la conoscenza del paziente e del suo contesto familiare forniscono la strategia di base e la comunicazione diventa un processo dinamico e continuo nel tempo

inTROdUZiOne Comunicare una diagnosi infausta non è mai facile per nessuno, men che meno per il Medico di Famiglia, anzi è uno dei momenti di maggior criticità per la nostra professione, perché, a ben guardare, travalica il nostro essere medici e ci coinvolge in toto anche come persone. Ma è un compito a cui non possiamo sottrarci essenzialmente per due motivi: Il primo, molto concreto, è dovuto al fatto che ogni anno in Italia ci sono 250.000 persone affette da una malattia inguaribile ed è stato calcolato che un Medico di Famiglia assiste mediamente dai 4 ai 6 malati terminali per anno. quindi, volenti o nolenti, queste persone le incontriamo nei nostri ambulatori. Il secondo motivo fa riferimento ad una delle caratteristiche peculiari della Medicina di Famiglia e cioè la relazione protratta nel tempo tra medico e paziente; relazione che in genere dura molti anni e che, quando possibile, dovrebbe continuare anche nell’ultima parte di vita del paziente. Il paziente ci ha scelto tra tanti altri medici, ci ha dato la sua fiducia, mentire e far parte della congiura del silenzio, sarebbe come tradire questa fiducia Comunicare cattive notizie deve rientrare tra i compiti del Medico di Famiglia proprio in virtù di questo rapporto di fiducia che si è instaurato con gli anni. quanto detto viene anche confermato da un’ indagine del CEnsIs; alla domanda:” secondo lei, nel caso di una malat-

tia grave, che cosa è più giusto per il paziente?” : solo il 2.5% degli intervistati ritiene che il paziente non debba essere informato, mentre per l’ 82.3% del campione la comunicazione della malattia grave deve essere di competenza del medico.1 cRiTiciTà neLLa cOMUnicaZiOne di caTTiVe nOTiZie Ma se vi è ormai accordo sul fatto che di norma la cattiva notizia debba essere comunicata (a meno che il paziente non lo voglia) e che questo sia un compito del medico, bisogna però anche ammettere con sincerità che sia il paziente, che il medico si sentono impreparati ad affrontare il tema della morte e a parlarne. Il paziente rimane senza parole ma non è che non ne vuol parlare; non ne sa parlare perché non ha mai pensato alla morte in quanto l’educazione al morire è completamente assente dalla nostra cultura e dalla nostra società. Il paziente avverte che sta morendo, ma è del tutto analfabeta di fronte a questa fase cruciale della vita e anche noi medici spesso non troviamo le parole adatte. di fronte c’è un paziente che in precedenza ho incontrato molte volte, con cui ho affrontato e risolto numerosi problemi di salute, come faccio ora a dirgli che sta morendo, a rispondere ai suoi dubbi senza mentire ma allo stesso tempo senza ferirlo? E poi, come gestire le mie reazioni personali senza pensieri di fuga o di proiezione di fronte alla morte di una persona?


CoMunICAZIonE E PSicOLOgia 30 In effetti, secondo una recente ricerca, ben il 75% dei Medici di Famiglia fa fatica ad affrontare le responsabilità di fine vita e addirittura il 92% afferma di aver bisogno di formazione.2 quindi il tema della comunicazione di una malattia inguaribile è un argomento estremamente scottante e complesso. sperimentiamo ogni giorno in ambulatorio che la competenza professionale, pur essendo importante, da sola non basta, bisogna saper comunicare, e saperlo fare efficacemente altrimenti rischiamo di non mettere in atto una valida relazione d’aiuto ma anzi di provocare più danni che benefici. A conferma di ciò sono sempre più numerose le evidenze in campo oncologico, di una migliore qualità di vita legata, non tanto al livello di informazione ricevuta, quanto al grado di soddisfazione provato per l’informazione ricevuta. In effetti il rapporto medico-paziente può essere considerato a ragione nella categoria dei “beni relazionali” cioè quei beni o servizi che generano utilità non solo per il loro valore intrinseco, ma anche per le modalità con cui si svolge il processo di consumo; cioè sono beni che prendono senso proprio dal rapporto e dall’incontro con l’altro, dalla capacità di creare solidarietà, interdipendenza. sappiamo bene che nel processo di produzione dei servizi sanitari chi fruisce di tali servizi attribuisce importanza, e perciò valore positivo, non solo all’ottenimento del risultato, ma anche alla modalità di erogazione del servizio stesso. MOdeLLi e TecnicHe PeR La cOMUnicaZiOne di caTTiVe nOTiZie Ecco perché ormai da tempo vengono fornite al medico delle “raccomandazioni” che lo aiutano a dare le cattive notizie in modo appropriato.

La competenza professionale, da sola non basta, bisogna saper comunicare, e saperlo fare efficacemente altrimenti rischiamo di non mettere in atto una valida relazione d’aiuto. A questo proposito sono stati elaborati vari modelli; uno dei più usati, soprattutto in ambito oncologico, è il modello SPiKeS3. una efficace comunicazione tra medico e paziente inoltre, può utilizzare svariate tecniche comunicative, tra le quali vale la pena di citare l’ empatia e la sincronizzazione: eMPaTia: è la capacità di immedesimarsi nello stato d’animo di un’altra persona, sentire cioè la sua ansia, paura, ecc. come se fossero nostre, senza però aggiungervi la nostra ansia, la nostra paura in modo da mantenere bassa la partecipazione emotiva. SincROniZZaZiOne: si basa sulla comunicazione non verbale adatta ad instaurare in modo rapido una relazione empatica con il paziente. Consiste nel tentare di riflettere nell’altro la propria immagine, nel mandargli segnali non verbali (postura, gesti, tono della voce…) che egli può facilmente riconoscere. questo clima di comprensione e di riconoscimento reciproco stimola il paziente ad aprirsi e a raccontare di sé. l’ empatia e la sincronizzazione hanno come basi biologiche ì neuroni specchio: neuroni localizzati nella corteccia pre-motoria frontale che si attivano sia durante l’osservazione che durante l’esecuzione di una determinata azione.


CoMunICAZIonE E PSicOLOgia 31 quando due persone comunicano si attivano determinate aree neuronali; nel momento in cui entrano in empatia le persone sembrano fare involontariamente gli stessi movimenti come fossero davanti ad uno specchio. la funzione dei neuroni specchio è quella di rappresentare azioni a livello cerebrale affinché avvenga una comprensione delle stesse; in questo modo le persone sono in grado di riconoscere che qualcun altro sta eseguendo una determinata azione e di usare le informazioni acquisite per agire in modo appropriato.4 In definitiva l’attività dei neuroni specchio rappresenta il punto di condivisione tra l’informazione inviata dall’emittente e quella ricevuta dal ricevente. Modelli e tecniche di comunicazione sono di grande aiuto nel processo comunicativo ma non devono essere applicati troppo rigidamente; la comunicazione deve essere sempre individualizzata e centrata sul singolo paziente: c’è chi non vuol conoscere la diagnosi, chi vuol sapere tutto nei minimi particolari, chi è ambivalente (da un lato vuole sapere ma dall’altro ha paura di conoscere la verità). RUOLO deL MedicO di FaMigLia Il Medico di Famiglia si trova in una posizione privilegiata perché conosce la persona, la sua storia, il suo modo di concepire e vivere la malattia, le emozioni, l’habitus psicologico, la cultura, il sistema valoriale, il credo religioso e la sua famiglia.5 l’ambiente famigliare risulta essere una miniera di informazioni. Il fatto stesso di incontrare il paziente a casa propria, nel suo letto, cambia completamente la prospettiva e le dinamiche del rapporto medico-paziente; quando la famiglia è presente, con vincoli forti, è una risorsa importantissima: malato e famiglia sono un tutt’uno: un nucleo sofferente e un nucleo di cura allo stesso tempo. sempre più spesso però la famiglia è assente: anziani che vivono soli, con figli che abitano lontani o troppo impegnati con il lavoro e l’assistenza viene delegata alla cosiddetta “badante” con cui dobbiamo confrontarci per prendere decisioni. A volte poi ci troviamo di fronte malati che, per età o patologia, non sono in grado di esprimere le proprie volontà;6 in questi casi, se il confronto con la famiglia è doveroso, allo stesso tempo discutere solo con i famigliari “saltando” del tutto il paziente, comporta problemi di tipo etico e legale perché per il nostro ordinamento giuridico l’unico destinatario dell’informazione e titolare delle scelte rimane il paziente (a meno che non vi sia un sostituto legale). proprio per il setting peculiare della Medicina di Famiglia (che si fonda sui contatti ripetuti nel tempo con il paziente), si possono poi sfruttare al meglio, nel processo comunicativo, alcune strategie: Innanzitutto la cosiddetta Medicina d’iniziativa o d’opportunità: cioè approfittare di ogni contatto con il paziente per attivare azioni miranti alla prevenzione o al riconoscimento precoce delle malattie (per esempio diabete mellito, ipertensione arteriosa.). Calata nel contesto della comunicazione di malattie inguaribili, la medicina d’iniziativa dovrebbe sfruttare le ripetute visite con il paziente per iniziare un dialogo sulle problematiche di fine vita cosicché quando arriva il “momento” la notizia cada su un terreno un po’ più preparato e vi sia un orientamento su come comportarsi. sappiamo bene poi che comunicare una cattiva notizia richiede preparazione, serenità e disponibilità di tempo; anche

in questo caso il Medico di Famiglia può usufruire dei contatti ripetuti per scegliere il momento più adatto sia per il paziente che per il medico (perché anche noi possiamo avere una giornata “storta”, l’ambulatorio strapieno: in questi casi può essere utile farlo ritornare un altro giorno o dare un appuntamento fuori dell’orario di ambulatorio). I contatti ripetuti con il paziente sono poi fondamentali per comunicare la cattiva notizia per gradi, perché il malato in genere non è in grado di comprendere adeguatamente in un unico incontro tutte le informazioni riguardanti la diagnosi, la prognosi, le opzioni terapeutiche; bisogna ripetere, rinforzare, ampliare i concetti. cOncLUSiOni da quanto fin qui detto appare chiaro che per il Medico di Famiglia la comunicazione di cattive notizie non si limita al momento dell’informazione, ma è un processo dinamico e continuo nel tempo durante tutta la fase della malattia; il processo comunicativo infatti, per essere realmente efficace, oltre all’informazione del puro dato clinico deve fornire anche sostegno al paziente.7 partendo da questo concetto della comunicazione come processo dinamico, vorrei concludere proponendo un piano d’intervento che evidenzi il “continuum” della comunicazione di cattive notizie in Medicina di Famiglia. Accompagnare un paziente fino al momento della morte è una straordinaria possibilità di arricchimento professionale ed umano che segna in maniera indelebile il nostro agire di medici e di uomini. Ma anche per la famiglia può essere un’ esperienza straordinaria che dà serenità per aver fatto tutto il possibile per il proprio caro. Riferimenti bibliografici a richiesta: info@edicare.it

Il Medico di Famiglia si trova in una posizione privilegiata perché conosce la persona, la sua storia, il suo modo di concepire e vivere la malattia, le emozioni, l’habitus psicologico, la cultura, il sistema valoriale, il credo religioso e la sua famiglia.



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iL diaBeTe MeLLiTO e La MaLaTTia PaROdOnTaLe Alessandro Nisio reparto di Chirurgia Maxillo-Facciale, Villa lucia Hospital, Conversano, Bari Anna Rita Clemente studio odontoiatrico A. nisio, Bari Antonia Abbinante studio odontoiatrico A. nisio, Bari

Il diabete ha un effetto avverso sulla salute parodontale e, viceversa, l’infezione parodontale influenza negativamente il controllo glicemico. di qui l’importanza di una stretta collaborazione tra paziente, odontoiatra, igienista dentale, medico di famiglia e diabetologi

la cavità orale rappresenta una sorgente continua di agenti infettivi e spesso le sue condizioni possono riflettere il progredire di alcune patologie sistemiche. storicamente le infezioni orali son state considerate limitate alla sola cavità orale, ad eccezione degli ascessi odontogeni non trattati o di sindromi associate. questa convinzione è ormai stata abbandonata a fronte dell’evoluzione di un concetto del tutto nuovo sullo stato della cavità orale e del suo impatto sulla salute e sulla malattia. la malattia parodontale, comune infezione orale e principale causa della perdita dei denti nell’adulto, è annoverata come sesta complicanza in ordine di frequenza della patologia diabetica1, insieme alla neuropatia, alla nefropatia, alla retinopatia e ai disordini micro e macrovascolari. diversi studi descrivono una interrelazione bidirezionale tra il diabete e la malattia parodontale. l’infezione parodontale influenza negativamente il controllo glicemico ed aumenta l’incidenza delle complicanze del diabete2. uno studio longitudinale pubblicato nel 2005 ha esaminato gli effetti della malattia parodontale sulla mortalità per cause multiple di 600 pazienti con diabete di tipo 2. nei soggetti con parodontite severa la mortalità per ischemia miocardica è 2.3 volte più alta rispetto a quella registrata nei soggetti non parodontopatici o con parodontite lieve, mentre la mortalità per nefropatia diabetica è maggiore di ben 8.5 volte. Complessivamente la mortalità per patologie cardiache/renali è stimata 3.5 volte più alta nei soggetti con parodontite severa3. studi scientifici dimostrano che il controllo dell’infezione parodontale migliora il livello glicemico con un’evidente riduzione sia della richiesta di insulina sia dei livelli dell’emoglobina A1c. sebbene i meccanismi patogenetici che sottendono tale correlazione siano meno indagati, si ritiene che l’ingresso dei patogeni

parodontali e dei loro prodotti all’interno della circolazione sistemica provochi un’intensa risposta infiammatoria che favorirebbe lo sviluppo di meccanismi di insulino-resistenza comportando quindi l’alterazione del controllo glicemico. la malattia parodontale, infatti, può indurre e perpetuare uno stato infiammatorio cronico sistemico che si associa ad un aumento della proteina C reattiva sierica, della interleuchina-6 e dei livelli di fibrinogeno4. l’infezione parodontale, quindi, intensifica lo stato infiammatorio sistemico ed esacerba i processi di insulino-resistenza attraverso l’aumento dell’interleuchina-6 sierica e il conseguente aumento del fattore di necrosi tumorale α che previene l’autofosforilazione del recettore dell’insulina bloccando il segnale del secondo messaggero attraverso l’inibizione dell’enzima tirosinchinasi5. In alcuni studi è stato registrato un miglioramento del controllo glicemico dopo ablazione del tartaro sottogengivale e levigatura delle radici con aggiunta di terapia sistemica con doxiciclina6. Ancor più significativi gli effetti dell’ablazione del tartaro sottogengivale e della levigatura radicolare in assenza di terapia antibiotica aggiuntiva nei pazienti con diabete di tipo 2 affetti da gengivite e parodontite localizzata. I soggetti trattati con terapia parodontale non chirurgica hanno evidenziato una riduzione del 50% del sanguinamento gengivale e una riduzione dell’emoglobina A1c dal 7.3% al 6.5%. Il gruppo controllo, non sottoposto a terapia parodontale, non ha mostrato miglioramenti né del sanguinamento gengivale né dell’emoglobina A1c. tali risultati indicano che la risoluzione dell’infiammazione gengivale con terapia parodontale può influenzare il controllo glicemico7. son necessari ulteriori rigorosi studi sistematici per stabilire con


sAlutE denTaLe 34

La cavità orale rappresenta una sorgente continua di agenti infettivi e spesso le sue condizioni possono riflettere il progredire di alcune patologie sistemiche. L’infezione parodontale influenza negativamente il controllo glicemico ed aumenta l’incidenza delle complicanze del diabete. evidenza scientifica se il trattamento dell’infezione parodontale possa contribuire a migliorare il controllo glicemico e ridurre le complicazioni del diabete mellito. Viceversa, numerosi lavori hanno ampiamente dimostrato che il diabete mellito, di tipo 1 e 2, sia uno tra i maggiori fattori di rischio per la parodontite, soprattutto nei soggetti con scarso controllo metabolico. In generale, nei pazienti diabetici si evidenzia una aumentata incidenza e gravità della parodontite rispetto ai soggetti non diabetici8, in particolar modo nei diabetici con scarso controllo glicemico9. In questi pazienti il rischio di riassorbimento dell’osso alveolare e della perdita dell’attacco parodontale approssimativamente si triplica10. Esiste un’ampia varietà di meccanismi patogenetici attraverso i quali il diabete si associa alla malattia parodontale: • patologie microvascolari • variazioni delle componenti del fluido crevicolare gengivale • cambiamenti nel metabolismo del collagene • alterata risposta dell’ospite • alterata flora subgengivale • predisposizione genetica • glicazione non enzimatica studi in vivo e in vitro hanno inoltre evidenziato che nei pazienti parodontopatici e diabetici i livelli dei mediatori locali dell’infiammazione sono significativamente più alti rispetto a quelli dei pazienti parodontopatici, ma sani dal punto di vista sistemico. Il diabete può compromettere l’aderenza dei neutrofili, la chemiotassi e la fagocitosi con conseguente persistenza batterica nelle tasche parodontali e significativo aumento della distruzione parodontale. nei soggetti diabetici inoltre, si registra una maggiore risposta del fenotipo dei monociti/macrofagi e un notevole aumento nella produzione di citochine e mediatori infiammatori11.In uno studio su pazienti diabetici con parodontite è stato dimostrato che i soggetti con un livello di emoglobina A1c > 8% presentano una quantità quasi doppia di interleuchina 1β nel fluido gengivale crevicolare rispetto ai soggetti con un livello di emoglobina A1c < 8%12. tali alterazioni nella risposta immunitaria del paziente si associano ad un aumento dell’infiammazione e della perdita d’attacco parodontale con riassorbimento dell’osso alveolare. Altresì, in molti pazienti diabetici si evidenzia un aumento nella produzione di metalloproteinasi della matrice e collagenasi con conseguente alterazione dell’omeostasi del collagene e dei processi riparativi all’interno del parodonto. l’osteocalcina invece, uno dei più importanti markers di formazione ossea, è ridotta con una conseguente minor capacità di riparazione ossea e una maggiore severità della periodontite13. nei pazienti diabetici, in aggiunta all’infezione gengivale e parodontale, possono essere riscontrate altre complicazioni orali come: xerostomia, carie dentale, infezione da candida, sindrome della bocca urente (burning mouth syndrome), lichen

planus e processi di guarigione inadeguati14. l'American diabetes Association ha riconosciuto l’importanza dell’esame del cavo orale in un controllo globale del soggetto affetto da diabete mellito nelle recenti (2009) “standards of Medical Care in diabetes”. pertanto la corretta gestione del paziente diabetico richiede una stretta interazione tra l’odontoiatra e il medico, sia generico che specialista15. Il “Clinical diabetes”, rivista dell’American diabetes Association, ha pubblicato delle indicazioni da seguire16: • Chiedere ai soggetti diabetici informazioni sulla loro salute orale, in particolare se hanno notato segni d’infezione, alito cattivo o cattivo gusto o altri sintomi. • Informazioni sull’ultima visita odontoiatrica. • ricordare ai soggetti affetti da diabete la necessità di sedute periodiche di controllo dentale e parodontale (ogni 6 mesi o più frequentemente) come raccomandato dall’American dental Association. • promuovere una stretta collaborazione con l’odontoiatra che ha in cura il paziente diabetico e chiedere informazioni sulla presenza di eventuali segni di infiammazione come edema e sanguinamento gengivale, mobilità e perdita dei denti, ulcere della bocca o dolore. pertanto la comunicazione tra paziente, odontoiatra, medici di medicina generale e specialisti è indispensabile per il raggiungimento di un’efficace e completa assistenza sanitaria di pazienti con diabete mellito.

MANIFESTAZIONI ORALI DEL DIABETE • • • • • • • • •

Sindrome della bocca urente Candidosi Carie dentale Gengiviti Glossodinia Lichen Planus Disfunzioni salivari Disfunzioni gustative Xerostomia

Figura1: essudato purulento da tasche parodontali in un paziente con diabete di tipo 2

Figura 2. B: radiografia endorale del settore frontale inferiore con evidente riassorbimento osseo alveolare. Figura 2. a: paziente affetto da patologia cardiaca e diabetica con malattia parodontale severa e perdita di numerosi elementi dentali




lIFE 37

La diSFUnZiOne eReTTiLe Ciro Niro Medico di Famiglia dipartimento di uro-Andrologia AIMEF – Associazione Italiana Medici di Famiglia

L’incapacità di raggiungere o mantenere l’erezione per un tempo sufficiente al rapporto sessuale, è una condizione molto diffusa, di cui la maggior parte degli uomini soffre occasionalmente; ma quando diventa un fenomeno frequente o imprevedibile, può assumere i connotati di un vero dramma individuale e interpersonale

la disfunzione erettile (dE), ovvero l’incapacità di raggiungere o mantenere l’erezione per un tempo sufficiente al rapporto sessuale, è una condizione molto diffusa e di difficile gestione. Infatti, la maggior parte degli uomini soffre occasionalmente di questo tipo di disturbo sessuale; ma nel momento in cui l’erezione diventa un fenomeno frequente e/o imprevedibile, la dE può assumere i connotati di un vero dramma individuale e interpersonale, capace di generare ansia e frustrazione personale, così come ripercuotersi sulla qualità della relazione di coppia, specie quando altera gli equilibri di una vita sessuale sino ad allora soddisfacente. la dE nei paesi occidentali ha una prevalenza sulla popolazione generale di sesso maschile del 10-12% ed i fattori di rischio più importanti sono rappresentati dall’età, dal fumo di sigaretta e dalla presenza di diabete e di cardiopatia; peraltro la concomitante presenza di alcuni di questi fattori amplifica di molto il rischio di dE, sino ad 12 volte in più allorquando risultino contemporaneamente presenti fumo, diabete e coronaropatia. negli anni ’50 era opinione comune nella comunità scientifica che la disfunzione erettile fosse causata prevalente-

mente da problemi di ordine psicologico, riconducibili all’infanzia. Masters e Johnson, nel 1970, hanno rivoluzionato la ricerca scientifica sulla sessualità umana dimostrando come “l’ansia da prestazione” fosse una delle cause principali di questo problema. Mediamente, un uomo su quattro “fallisce” durante il primo rapporto sessuale, di solito perché eiacula prima o appena all’inizio del rapporto stesso, perché non riesce ad ottenere o mantenere un’erezione soddisfacente, o

La disfunzione erettile, quindi, va comunque letta come un fenomeno “bio-psicosociale”, tenendo sempre conto sia degli aspetti biologici (cause organiche/malattie) che degli aspetti di tipo cognitivo, comportamentale ed emotivo che coinvolgono l’identità dell’individuo, la comunicazione, la cooperazione e l’intimità della coppia.


lIFE 38 magari perché manifesta scarsa attitudine all’uso del preservativo. tuttavia oggi la convinzione dominante è che buona parte delle forme di disfunzione erettile siano riconducibili a fattori di natura organica, principalmente di origine vascolare, oltre che a problematiche di carattere psicologico o a difficoltà di relazione con l’altro sesso. dalla fine degli anni ’90 poi, l’approccio medico alla comprensione e al trattamento di tale disturbo è mutato radicalmente con l’introduzione del Viagra (sildenafil) e poi delle molecole derivate (vardenafil/levitra e tadalafil/Cialis), che di pari passo hanno modificato anche l’opinione pubblica e l’approccio individuale al problema: l’affermazione di questi farmaci ha certamente contribuito a combattere l’omertà e la stigmatizzazione di cui era oggetto questo disturbo sessuale, anche se ha introdotto il più facile ricorso al supporto farmacologico, pur quando non strettamente necessario. purtroppo gli stereotipi sessuali maschili si basano ancora su un modello competitivo basato sulla dimostrazione della propria virilità, specialmente a livello sessuale. qUindi cOS’è e cOMe Va aFFROnTaTa La diSFUnZiOne eReTTiLe? Medici e sessuologi non sono tutt’ora concordi nel definire la disfunzione erettile. quando possiamo considerare la frequenza del fenomeno “normale” e quando “patologica”? In quale contesto il manifestarsi della dE va considerato un reale disturbo? uno dei criteri tradizionalmente adottati, riguarda la percentuale di insuccessi: secondo Masters e Johnson si poteva parlare di disfunzione erettile quando tale percentuale superava il 25%. Ma si tratta di un criterio assolutamente empirico e insufficiente, anche in funzione della estrema variabilità delle modalità con cui la dE può manifestarsi. Come definire il disturbo quando l’erezione è normale e soddisfacente fino al momento della penetrazione? o in presenza di una “eiaculazione precoce”? o la capacità di ottenere una buona erezione con la masturbazione, ma non durante un rapporto sessuale completo? oppure in presenza di una “inibizione eiaculatoria” che dopo un certo tempo si conclude inevitabilmente con la perdita dell’erezione senza eiaculazione? una definizione appropriata della disfunzione erettile quindi dovrebbe tener conto di un’innumerevole quantità di fattori. E come in altri campi della salute, anche per la disfunzione erettile i medici tendono a contrapporre le cause organiche a quelle di natura psicologica. Certamente la prima componente di cui dover tener conto è quella soggettiva: come viene percepito e vissuto il disagio da parte del paziente ed in quale contesto socio-culturale si colloca l’individuo che ne soffre? la disfunzione erettile, quindi, va comunque letta come un fenomeno “bio-psicosociale”, tenendo sempre conto sia degli aspetti biologici (cause organiche/malattie) che degli aspetti di tipo cognitivo, comportamentale ed emotivo che coinvolgono l’identità dell’individuo, la comunicazione, la cooperazione e l’intimità della coppia. ogni emozione negativa - l’ansia, la depressione, il risentimento, le preoccupazioni di carattere economico, il dolore per la perdita di una persona cara, l’apprensione per i figli adolescenti, la perdita del lavoro – crea situazioni che possono incidere negativamente sulla funzionalità erettile.

Allo stesso modo i problemi di coppia, i conflitti, la distanza emotiva, il non sentirsi al sicuro, l’insoddisfazione verso il proprio coniuge o il proprio matrimonio, la mancanza di tempo da dedicare alla propria relazione, il senso di colpa, i rimproveri, minano le fondamenta del legame interpersonale su cui si basa la sicurezza di poter avere un’erezione. prendere in considerazione tutti questi fattori aiuta a comprendere e valutare la disfunzione erettile e accresce l’efficacia dei tentativi di superarla. tra le cause biologiche più frequenti, ricordiamo innanzitutto quelle legate allo “stile di vita”: i ritmi alimentari, la mancanza di esercizio fisico, la qualità del sonno possono contribuire alla disfunzione erettile; l’abitudine al fumo, a lungo termine, ha un impatto negativo sul benessere sessuale, poiché determina un deterioramento delle vie respiratorie e dei tessuti vascolari; il consumo eccessivo di alcol, inibitore del sistema nervoso centrale, limita l’eccitazione sessuale e favorisce la dE; l’uso di droghe di qualsiasi tipo, anche apparentemente “eccitanti”, in realtà danneggiano fortemente le funzioni sessuali. Molti uomini infatti, fanno uso di alcol e/o di droghe per superare la propria insicurezza, di fatto arrecando solo danno alla propria salute sessuale. dal punto di vista fisiologico, sono tre gli apparati che condizionano l’erezione e che vanno adeguatamente indagati di fronte al sospetto di una malattia organica: vascolare, nervoso e ormonale. una patologia in uno di questi apparati può causare o comunque concorrere alla disfunzione erettile. Inoltre alcuni dei farmaci utilizzati nel trattamento di queste patologie, ipertensione arteriosa e depressione in particolare, spesso presentano tra gli effetti collaterali una forte riduzione della libido, spesso causa stessa della dE in questi soggetti. la questione più importante, in questi casi, è capire se la persona manifesta o sia in grado di avere un’erezione normale in situazioni “non sessuali”: risveglio, masturbazione, stimolazione visiva o mentale. se non viene evidenziato alcun problema in queste situazioni, con tutta probabilità gli apparati vascolare, ormonale e nervoso funzionano correttamente e pertanto non c’è alcun bisogno di ulteriori analisi. Ad ogni modo, è buona norma quando si è preoccupati della propria salute fisica e sessuale, consultare il proprio medico di famiglia, in grado di esaminare la storia del paziente, gli eventuali fattori di rischio presenti, le malattie concomitanti, formulare un sospetto clinico e giudicare la necessità di eseguire esami di primo livello o consultare direttamente un andrologo/sessuologo per ulteriori test diagnostici. nel caso in cui venga accertata l’esistenza di un problema, è importante assumere un ruolo attivo ed essere bene informati: sviluppare un rapporto confidenziale col il proprio medico è un primo passo verso il superamento del problema. La SaLUTe deLLa cOPPia è infine raccomandabile coinvolgere la partner abituale in questo percorso. spesso la donna si sente confusa e ferita quando il proprio compagno manifesta problemi ad avere un’erezione. Alcune donne si sentono colpevoli, non all’altezza delle aspettative, non sufficientemente sensuali. Altre percepiscono la disfunzione erettile come una forma di rifiuto e reagiscono con risentimento. In ogni caso le difficoltà, le ansie e le inibizioni femminili possono sommarsi a quelle causate dalla disfunzione erettile e rendere inefficace qualsiasi tentativo di cura.




nutrItIon & WeLLneSS 41

caFFè

GlI EFFEttI BEnEFICI sullA sAlutE Claudia Centoducati nutrizionista

Il caffè è una bevanda ricca di effetti benefici chem se consumata con equilibrio, contribuisce al mantenimento di uno stato di buona salute per i suoi effetti antiossidanti, metabolici e digestivi

Molte persone considerano il caffè una bevanda potenzialmente pericolosa, in riferimento soprattutto alla sua azione tachicardizzante e vasocostrittiva. In realtà, questi effetti sono riscontrabili solo se si assumono più tazzine di caffè in un breve lasso di tempo o se il consumatore è già un grave paziente cardiopatico. Al contrario, gli effetti positivi di un consumo equilibrato di caffè prevalgono su quelli negativi nella gran parte degli individui. Il caffè allevia il mal di testa grazie al suo potere vasocostrittore. non a caso, nei medicinali a base di paracetamolo, utilizzati come antidolorifici, è contenuta anche caffeina, un alcaloide presente nel caffè. Ma il caffè deve la maggior parte dei suoi effetti benefici alla ricchezza in sostanze antiossidanti ed acidi fenolici, il più importante dei quali è l’acido clorogenico. l’ azione antiossidante sul colesterolo ldl (definito colesterolo “cattivo” per i suoi effetti sfavorevoli sulle pareti arteriose) esercita un’azione protettiva sulle arterie, mentre quella antiossidante sui radicali liberi rallenta l’invecchiamento e riduce il rischio cancerogeno, poiché tali sostanze favoriscono il deterioramento cellulare e lo sviluppo dei tumori. E’ un amico del fegato, grazie soprattutto al suo contenuto in diterpeni, sostanze capaci di potenziare le attività metaboliche degli epatociti. In particolare, se preparato con la moka, gustato amaro e sorseggiato dopo i pasti, aiuta il fegato nella digestione e contribuisce a prevenire molte malattie epatiche quali la steatosi, la cirrosi e la calcolosi biliare. Favorisce la digestione anche stimolando la secrezione di succhi gastrici e la peristalsi intestinale, migliorando quindi la regolarità delle funzioni gastro-intestinali. per tali motivi, anche a colazione, è sempre consigliabile assumerlo dopo aver ingerito alimenti solidi, quali cereali o fette biscottate. per quanto concerne l’apparato respiratorio, la caffeina ha un effetto broncodilatatore e, pertanto, il caffè può essere tranquillamente assunto dai pazienti asmatici. studi recenti hanno dimostrato un ruolo preventivo del caffè sullo sviluppo del diabete tipo 2. questo sarebbe dovuto ad un rallentamento dell’assorbimento degli zuccheri e/o ad un effetto protettivo sulla cellula β-pancreatica, che produce l’insulina. la caffeina aumenta il metabolismo basale, poiché stimola

L’ azione antiossidante sul colesterolo LDL (definito colesterolo “cattivo” per i suoi effetti sfavorevoli sulle pareti arteriose) esercita un’azione protettiva sulle arterie, mentre quella antiossidante sui radicali liberi rallenta l’invecchiamento e riduce il rischio cancerogeno. alcuni centri del sistema nervoso centrale che inducono la produzione di catecolamine, e di conseguenza aiuta a controllare il peso corporeo. E’ importante specificare che il caffè non aggiunge calorie alla dieta perché una tazzina, senza aggiunta di latte o zucchero, non supera le due calorie. per quanto attiene all’attività fisica, la caffeina migliora le prestazioni nelle gare di resistenza e riduce la sensazione di fatica, poiché aumenta la capacità muscolare di ossidare acidi grassi, risparmiando il glicogeno muscolare. Il caffè aumenta la soglia di attenzione, migliora la memoria, l’apprendimento, la concentrazione e ha un effetto benefico sul declino cognitivo, soprattutto nelle donne. studi recenti avrebbero dimostrato un ruolo preventivo del caffè persino sul morbo di parkinson. E’ cognizione comune tuttavia che, stimolando l’attenzione, il caffè assunto prima di andare a dormire può influire sulla qualità del sonno notturno. Ci sono vari tipi di caffè e non sono tutti uguali. quello espresso contiene dosi di caffeina meno elevate rispetto a quello preparato con la moka e mantiene stabili le sue proprietà benefiche e i suoi componenti, che sono invece volatili nella moka; pertanto, per trarne i vantaggi, il caffè preparato con la moka dovrebbe essere bevuto subito dopo averlo preparato. Il caffè americano contiene il doppio di caffeina ed è un valido aiuto per mantenere alta l’attenzione, ma è meglio non superare le due tazze al giorno, vista la quantità di caffeina presente. Infine, quello decaffeinato, che non contiene caffeina, perde i pregi legati a questa sostanza ma rimangono immutati quelli legati alle altre, come i tannini, conservando quindi le capacità antiossidanti.


cHiaccHieRe di caRneVaLe Giovanna Rossi

Le chiacchiere sono dei dolcetti leggeri che mettono allegria, forse è per questo che sono diventate una delle ghiottonerie del Carnevale. ingRedienTi: 400 gr di farina 30 gr di burro 2 uova intere 1 tuorlo Zucchero a velo 1 bicchierino di marsala sale

cOMe PRePaRaRe disponete la farina a fontana, mettete al centro 1 cucchiaio di zucchero a velo, il burro morbido, le uova e il tuorlo, il marsala e un pizzico di sale. Amalgamate bene fino ad ottenere un impasto lisco. potrete ovviamente aiutarvi con una impastatrice elettrica. Avvolgete l’impasto con la carta pellicola e fatelo riposare per una trentina di minuti in luogo fresco. stendete l’impasto molto sottile (potrete aiutarvi con una macchina per la pasta fresca, e in questo caso tirerete la sfoglia fino al penultimo spessore) e ricavate con la rotella dentata delle strisce larghe 4 cm e lunghe come più vi piace. potrete anche annodare le strisce ed ottenere dei piccoli fiocchi. Friggete le vostre chiacchiere in olio profondo, per pochi minuti. scolatele e fatele asciugare su carta assorbente da cucina, quindi disponetele in un piatto da portata e cospargetele con abbondante zucchero a velo.

Piccoli segreti • Vi suggerisco di friggere con un buon olio di semi, piuttosto che con l’olio extra vergine di oliva. L’olio extra vergine di oliva è il nostro vanto ed è ottimo, si sa, per la nostra salute, sempre che venga usato con moderazione. Nelle fritture, però, l’ olio extravergine risulta sempre poco leggero e troppo saporito, tanto da prevaricare il sapore di ciò che state friggendo. • Potete preparare le vostre chiacchiere in anticipo, conservandole in una scatola di latta. Al momento di servirle, aggiungerete lo zucchero a velo.




BEInG WeLL 45

PROgRaMMaZiOne e ORganiZZaZiOne dI un proGrAMMA AEroBICo Giuliano Bellomo BB and Fitness trainer

Il tipo di attività aerobica da seguire dipende dal metabolismo, dalla condizione fisica di partenza e dalle proprie preferenze. Tener conto di questi semplici parametri consente di programmare un allenamento razionale, salvaguardando la propria salute e perseguendo gli obiettivi prefissati

l’interrogativo che ci si pone quando ci lasciamo alle spalle le feste natalizie a questo punto dell’anno e’ come si può trovare una forma fisica ottimale in vista della primavera? la risposta il più delle volte che ci arriva sia dagli addetti nelle palestre, sia dalla tv, sia dall’esperto di turno e’ una sola : abbinare alla sana alimentazione l’allenamento aerobico. Ma l’interrogativo e’ quanto ne serve per bruciare tutto il grasso che riveste il nostro corpo e il nostro addome? Molto … a giudicare dal metodo più diffuso, che tendenzialmente prevede interminabili sessioni di attività cardiovascolare svolte nelle più molteplici forme (tapis roulant, cyclette, bike, cross trainer ecc ecc ecc) Ma la risposta a questo interrogativo è più semplice e meno impegnativa di quanto si possa pensare, se e solo se l’attività viene programmata ed organizzata in modo “scientifico”. l’esercizio aerobico è un tipo di attività fisica di intensità sufficientemente bassa da consentire all’organismo di fornire l’ossigeno necessario a sostenere uno sforzo prolungato. ricordiamo che, a parità di distanza, la marcia veloce (all’aperto o sulla pedana mobile) provoca un dispendio calorico quasi identico alla corsa. quest’ultima, però, può risultare problematica per persone anziane o in sovrappeso che, a causa del loro peso e/o dalla fragilità ossea, sono più a rischio di traumi alle anche, alle ginocchia, alle caviglie e ai piedi. la marcia veloce è un’attività aerobica efficace e, soprattutto, molto meno pericolosa per le parti del corpo citate. l’integrazione del regime di allenamento con un programma di cardio ad intensità moderata, una percentuale più elevata del dispendio energetico attinge al grasso e, insieme ad una dieta adeguata, aiuta ad ottenere una muscolatura magra, asciutta e definita.

Ma tornando alla programmazione del proprio allenamento, bisogna tenere conto di alcuni parametri che sono il frutto di anni di studi sul cuore durante l’attività fisica, e da questi abbiamo imparato che mantenendo una determinata frequenza cardiaca protratta nel tempo per periodi più o meno lunghi, si otterrà un maggior dispendio calorico, un consumo di grassi ecc. Ma come possiamo sapere qual’e’ la frequenza cardiaca ideale per noi? Come otterremo il maggiore consumi di grasso? A questo scopo ci viene in soccorso una semplice formula: Formula di cooper: 220 – età = F.c. Max Teorica. detto questo e’ ora importante sapere come ottimizzare la nostra frequenza cardiaca all’obiettivo che ci poniamo. • Frequenza allenante MiniMa: corrisponde al 50-60% della F.C.MAX; utile per chi non e’ allenato ed è al primo approccio con l’allenamento aerobico, ma inutile per bruciare grassi. • Frequenza allenante LiPOLiTica: corrisponde al 65-75% della F.C. MAX; questa frequenza deve durare un minimo di 20 minuti consecutivi perché si possa innescare il ciclo metabolico detto ciclo di Krebs (detto anche ciclo degli acidi tricarbossilici) che attraverso i processi di catabolismo glucidico e lipidico utilizzerà come fonte principale d’energia i grassi corporei e ci aiuterà a dimagrire senza perdere massa muscolare.( Il lavoro aerobico produce come scarto del ciclo di krebs solo acqua e Co2). Come già detto, perché l’effetto lipolitico sia funzionale, serve un’attività continua di almeno 20 minuti, ma arrivare fin dalle prima seduta ad un tempo minimo di almeno 30’ è la scelta migliore. le sessioni settimanali di allenamento devono essere non meno di due. questa appena descritta e’ la scelta consigliata e da seguire nella maggior parte dei casi. • Frequenza allenante caRdiOReSPiRaTORia: corrisponde al 75-85% della F.C.MAX; comunemente detta degli “agoni-


BEInG WeLL 46 sti”, perché non dà alcun risultato in termini di dimagrimento, ma importanti risultati in termini di incremento di capacità aerobiche, cardiache e atletiche. • Frequenza allenante ad aLTa inTenSiTa’: corrisponde all’85-100% della F.C.MAX; dedicata agli atleti professionisti, che portano il loro allenamento ad altissime intensità e improponibili per il “comune” frequentatore della palestra. Anche questo e’ nullo ai fini del dimagrimento. un approccio differente, un po’ più sofisticato ma certamente ancor più scientifico, è quello di tenere conto non solo del valore teorico della frequenza massima ma anche della propria “riserva aerobica”. un cuore allenato a riposo ha una frequenza cardiaca piuttosto bassa, pompa più sangue e, sotto sforzo, aumenterà i battiti lentamente e conseguentemente a sforzo finito tornerà a riposo molto velocemente. un cuore poco allenato , anche a riposo avrà frequenza alta, sotto sforzo i battiti saliranno molto in fretta e a sforzo finito torneranno bassi molto lentamente. per sapere quindi se il vostro e’ o meno un “cuore d’atleta” e per avere dei parametri più precisi nell’organizzare la sessione cardio, potete utilizzare una formula un po’ più complessa: Formula di Karvonen: per applicare questa formula è necessario conoscere la propria frequenza cardiaca rilevata a riposo. F.c. Max – F.c. a riposo = F.c. di riserva

Tab. 1: Frequenza cardiaca massima teorica e frequenze allenanti

F.c. di riserva x percentuale inferiore stabilita + F.c. a riposo = Valore minimo di allenamento F.c. di riserva x percentuale superiore stabilita + F.c. a riposo = Valore massimo di allenamento esempio: Analizziamone l’applicazione ipotizzando di avere 20 anni ed una frequenza cardiaca a riposo di 70 battiti al minuto e voler allenarsi tra il 70% e l’80% della propria F.C. MAX si calcolerà: 220 – 20 = 200 (F.C.MAX) 200 – 70 = 130 (frequenza cardiaca di riserva) 130 X 0,70 (70%) = 91 + 70 = 161 (valore minimo di allenamento) 130 X 0,80 (80%) = 104 + 70 = 174 (valore massimo di allenamento) di conseguenza durante l’allenamento, il soggetto preso ad esempio dovrà mantenere la frequenza cardiaca fra i 161 e i 174 battiti al minuto. in cOncLUSiOne Il tipo di attività aerobica da seguire dipendono dal metabolismo, dalla condizione fisica di partenza e dalle preferenze di ognuno. le linee guida qui proposte non sono regole assolute, ma indicazioni generali da seguire per affrontare l’allenamento aerobico nel modo migliore e più razionale. Buon allenamento.


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nexT MeeTing I prossIMI EVEntI

Marzo 2010

agosto 2010

aprile 2010

Settembre 2010

Maggio 2010

Ottobre 2010

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