Anno III • n. 8 • maggio | giugno 2009 • periodico d’informazione e aggiornamento per il medico di medicina generale
Registrazione Tribunale di Foggia n. 185 del 03/09/2006
Direttore Responsabile
SOMMARIO
Michele Dell’Anno
Direttore Editoriale Giovanni B. D’Errico
Direttore Scientifico
Vincenzo Contursi
5
PRIMO PIANO Progetto di implementazione della Consensus Conference sul percorso assistenziale del paziente con scompenso cardiaco nella Regione Puglia
6
PREVENZIONE Lo scompenso cardiaco in RSA (Residenza Sanitaria Assistita)
8
Giovanni B. D’Errico
Comitato scientifico:
Prof. E. Altomare, Prof. A. Bellomo Prof. L. Specchio, Prof. A. Tricarico, Dott. G. B. D’Errico, Dott. C. Niro Dott. N. Costa, Dott. A. Infantino Dott. S. Pesola, Dott. F. Palma Prof. G. De Pergola, Prof. Ciccone, Prof. E. Maiorano, Dott. B. Giordano, Dott. A. Pugliese, Dott. S. De Simone
Redazione
Sergio Pede, Massimo Iacoviello
Maria Chirico
Nunzio Costa, Ciro Niro, Antonio Infantino www.medicinadifamiglia.org email: redazione@medicinadifamiglia.org
Hanno collaborato:
Giovanni B. D’Errico, Sergio Pede, Massimo Iacoviello, Maria Chirico, Gaetano Rizzi, Gaetano Merlicco, Nunzio Costa, Michele D’Andrilli, Maria Grazia Albano, Giuseppe Carbonara, Giuseppe Spinazzola, Egisto Scalini, Maria Silletti, Mariano Manzionna S. Di Giacinto, E.M. Fragkakis, Anastasio Tricarico
Service Editoriale
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Grafica e impaginazione
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EDIZIONI MEDICO SCIENTIFICHE
EDITORIALE Dipartimento di Medicina Generale: utopia o realtà?
www.edicare.it
LINEE GUIDA Cadute nell’anziano: come prevenirle. Linee guida e raccomandazioni TERAPIA Il trattamento chirurgico dell’ernia discale cervicale in neurochirurgia
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UNA RIFLESSIONE… Gestione integrata e processi decisionali condivisi: facile a dirsi!
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RIABILITAZIONE La “riabilitazione respiratoria” alle Terme
16
EDUCAZIONE TERAPEUTICA La malattia cronica e l’educazione terapeutica del paziente (ETP)
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TERAPIA L’Iperidrosi. Indicazioni e limiti dei trattamenti terapeutici CLINICA L’OSAS in pediatria: monitoraggio polisonnografico e nuovi protocolli diagnostici e terapeutici
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DIAGNOSI PRECOCE Sindrome del dorso piatto: note cliniche ed eziopatogenetiche
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PILLOLE DI BUONA PRATICA MEDICA PRATICA CLINICA Cateteri venosi periferici FORMAZIONE Corso di formazione specifica in Medicina Generale TUTTO SANITÀ DIAGNOSI Celiachia o enteropatia glutine-dipendente INIZIATIVE CONVEGNI
30 32
Gaetano Rizzi, Gaetano Merlicco
Nunzio Costa
12
Michele D’Andrilli
Maria Grazia Albano
25
Giuseppe Carbonara, Giuseppe Spinazzola, Egisto Scalini, Maria Silletti, Mariano Manzionna
S. Di Giacinto, E.M. Fragkakis, A. Tricarico
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norme editoriali
Norme editoriali Introduzione
Tutti i manoscritti devono essere preparati secondo le seguenti “Norme per gli Autori” e saranno saranno accettati sulla base di un giudizio di priorità e con il consenso dell’Editor e della Direzione Scientifica. I manoscritti dovranno essere indirizzati all’attenzione del Dr. Giovanni Battista D’Errico, Direttore Editoriale, e sottoposti esclusivamente per e-mail ai seguenti indirizzi di posta elettronica: redazione@ medicinadifamiglia.org
Istruzioni Generali
1. I manoscritti devono essere accompagnati da una lettera indirizzata all’Editor, la quale deve contenere i seguenti dati: a) l’indicazione della Sezione per la quale il manoscritto è sottoposto; b) la dichiarazione che il contenuto del manoscritto è originale, non è stato pubblicato e non è oggetto di valutazione presso altre riviste, eccetto come abstract. c) L’attestazione che il manoscritto è stato letto ed approvato da tutti gli autori. 2. Dichiarazione in nome e per conto di tutti gli autori, con firma autografa del primo autore , in allegato al manoscritto, per la cessione dei diritti d’autore alla Casa Editrice in caso di pubblicazione dello stesso (Es.: I sottoscritti autori …. , qualora l’articolo in oggetto intitolato … venga pubblicato, trasferiscono i diritti d’autore alla Casa Editrice “Edicare Publishing srl”), ed il consenso al trattamento dei dati personali per gli scopi connessi alla pubblicazione dell’articolo e/o per fini promozionali e divulgativi da parte di terzi (modulo allegato). 3. Nel solo caso di articoli di ricerca che abbiano previsto la sperimentazione su animali: dichiarazione di conformità, in nome e per conto di tutti gli autori, con firma autografa del primo autore , in allegato al manoscritto, con le disposizioni della dichiarazione di Helsinki. 4. Nel solo caso di articoli di ricerca di Studi Clinici Controllati (se pertinente): dichiarazione in nome e per conto di tutti gli autori, con firma autografa del primo autore , in allegato al manoscritto, di approvazione da parte del Comitato Etico della Istituzione di pertinenza. 5. Il manoscritto deve essere redatto con un “editor” di testo e salvato in formato “.doc”, a
Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
spaziatura doppia e margini di 2 cm su ogni lato. Non è consentito l’utilizzo di formato “.pdf”. 6. Il manoscritto deve essere redatto in pagine differenti nel seguente ordine: (1) Titolo, in italiano e inglese, autori e rispettive affiliazioni, corrispondente con indirizzo postale elettronico e recapito telefonico; (2) abstract e parole chiave, in italiano e in inglese; (3) testo, in italiano o in inglese; (4) ringraziamenti (5) bibliografia; (6) tabelle; (7) legende delle figure; (8) figure. Le pagine devono essere numerate consecutivamente, partendo da pagina 1 con titolo. 7. Allo scopo di mantenere un’adeguata uniformità di stile, la Redazione può, se necessario, apportare variazioni linguistiche al manoscritto; queste saranno inviate agli autori per approvazione in fase di revisione delle bozze.
Pagina del titolo
La pagina del titolo (prima pagina) deve contenere: 1. Il titolo del manoscritto, senza abbreviazioni; nome per esteso e cognome degli autori, con titolo e istituzione di appartenenza. 2. Il nome dell’Istituzione presso la quale il lavoro è stato eseguito, ed eventuale fonte e natura del sostegno finanziario alla ricerca (nel caso di pubblicazione di articoli originali di ricerca) 3. Il nome, l’indirizzo postale completo di codice di avviamento, numero di telefono ed e-mail dell’autore cui va indirizzata la corrispondenza (comunicazioni, bozze e richieste di estratti).
Abstract
1. Gli articoli originali di ricerca devono essere accompagnati da un abstract contenente non più di 300 parole, strutturato in quattro paragrafi, ciascuno con il proprio titolo, nel seguente ordine: Razionale, Materiale e metodi, Risultati, Conclusioni. Tutti i dati dell’abstract devono essere presentati anche nel testo o nelle tabelle. 2. Tutti gli altri manoscritti (Casi Clinici, Corrispondenza, Editoriali, Opinioni, Prospettive attuali, Rassegne, Area GPwSI, Educazione Continua in Medicina, EBM, Focus On, Revisioni) devono essere accompagnati solo da un breve abstract di non più di 200 parole 3. Nell’abstract non possono essere utilizzate abbreviazioni ad eccezione delle unità standard di misura ed i simboli chimici.
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4. Alla fine dell’abstract devono essere inserite da due a sei parole chiave, selezionate dall’elenco riportato da Medical Subject Headings, National Library of Medicine (http://www.nlm.nih/. gov/mesh/meshhome.htlm).
Testo
1. Una lista di abbreviazioni o acronimi utilizzati (es. ECG, IMA, BPCO, IVS etc.) deve essere riportata in una pagina a parte con la loro definizione. 2. Unità standard di misura e simboli chimici devono essere abbreviati secondo le norme indicate in Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals, elaborate dall’International Committee of Medical Journal Editors e pubblicate in Ann Intern Med 1982;96:766-71 e BMJ 1982;284:1766-70. 3. I riferimenti bibliografici, le figure e le tabelle devono essere citati nel testo in ordine progressivo, usando numeri arabi. 4. Il testo deve essere strutturato in paragrafi con relativi sottotitoli. Il testo di articoli originali deve essere strutturato in paragrafi con il seguente ordine: Introduzione, Materiali e metodi, Risultati, Discussione. 5. Eventuali ringraziamenti devono essere riportati alla fine del testo, prima della bibliografia.
Bibliografia
1. Le voci bibliografiche devono essere indicate nel testo con numeri arabi ed elencate in una sezione separata, usando la doppia spaziatura, in numero progressivo secondo l’ordine di comparsa nel testo. 2. Citare tutti gli autori se sono 6 o meno di 6, altrimenti citare solo i primi 3 ed aggiungere et al. 3. Comunicazioni personali, dati o osservazioni non pubblicate e articoli inviati per la possibile pubblicazione non possono essere inclusi nella lista delle voci bibliografiche, ma possono essere citati solo nel testo. 4. Le abbreviazioni delle riviste devono essere conformi a quelle usate da Index Medicus, National Library of Medicine. Per lo stile e la punteggiatura delle voci bibliografiche seguire gli esempi riportati: Articolo da rivista standard: Tashiro H, Shimokawa H, Sadamatu K, Ya-
norme editoriali mamoto K. Prognostic significance of plasma concentrations of transforming growth factor-ß. Coron Artery Dis 2002; 13:139-143. Articolo da rivista con più di 6 autori: Yetkin E, Senen K, Ileri M, Atak R, Tandogan I, Yetkin Ö, et al. Comparison of low-dose dobutamine stress echocardiography and echocardiography during glucose-insulin-potassium infusion for detection of myocardial viability after anterior myocardial infarction. Coron Artery Dis 2002; 13:145-149. Libri: Heger JW, Niemann JT, Criley JM. Cardiology, 5th ed. Philadelphia: Lippincott, Williams & Wilkins; 2003. Capitoli di libri: Braunwald E, Perloff JK. Physical examination of the heart and circulation. In; Braunwald E, Zipes DP, Libby P (eds). Heart disease; a textbook of cardiovascular medicine, 6th edn. Philadelphia: WB Saunders; 2001, pp. 45-81. Abstract Ferrari R, Nayler WG. The protective effect of nifedipine on ischaemic and reperfused heart muscle. (abstr) In: Abstracts of the International Congress of Pharmacology. Tokyo, 1981: 265.
le fotografie per indicare solo le parti essenziali. Specifici particolari nelle fotografie devono essere indicati con frecce; simboli, frecce o lettere devono contrastare con il fondo. 5. Il titolo e le indicazioni per l’interpretazione della figura devono apparire nella legenda e non nella figura. 6. Limitare il numero delle figure a quelle strettamente necessarie per una maggiore chiarezza del contenuto riportato nel testo.
Tabelle
1. Casi Clinici Presentazione di casi clinici rilevanti sul piano diagnostico e clinico-gestionale. 2. Corrispondenza Lettere agli Editors, contenenti commenti su articoli scientifici recentemente pubblicati che abbiano interesse per la pratica clinica del Medico di Famiglia e per la professione in genere. Gli autori degli articoli citati nella lettera potranno essere invitati dall’Editor a rispondere per stimolare la discussione su temi di interesse generale. 3. Editoriali Articoli e/o commenti che rappresentino l’opinione di Ricercatori ed Esperti riconosciuti. 4. Opinioni Opinioni di Esperti autorevoli in un particolare settore che possano stimolare controversie. 5. Prospettive attuali Articoli di Esperti riconosciuti su a) risultati di laboratorio o clinici prodotti con metodi consolidati o innovativi, che possono incidere sui percorsi decisionali diagnostico-terapeutici o b) su ipotesi di lavoro e/o di ricerca che possano stimolare discussione e commenti su temi di interesse generale. 6. Rassegne Articoli di Esperti riconosciuti, in forma di estese revisioni, messe a punto e position paper, su argomenti di interesse generale.
1. Le tabelle devono essere dattiloscritte a spaziatura doppia su pagine separate, con il numero ed il titolo centrato sulla tabella. Le tabelle devono essere numerate con numeri arabi progressivi, seguendo l’ordine di numerazione con cui sono citate nel testo. 2. Tutte le abbreviazioni riportate devono essere identificate e spiegate in ordine alfabetico sotto alle tabelle. Anche i simboli usati (asterischi, cerchietti, ecc.) devono essere spiegati. 3. Le tabelle devono essere comprensibili senza ulteriori chiarimenti e i dati non devono essere duplicati nel testo o nelle figure. 4. Per la riproduzione di tabelle già pubblicate è necessario allegare il permesso da parte dell’autore e dell’Editore.
Figure
1. Le figure devono essere in formato “.ppt”, “.jpg”, “.tif” o “.bmp” con risoluzione minima 400 dpi. Le figure non possono essere inserite all’interno del testo. 2. Le lettere nelle figure devono essere di grandezza sufficiente da permetterne la riduzione. 3. Tutte le linee nei grafici e disegni devono essere in nero. Linee, decimali, ecc. devono essere sufficientemente intensi da permetterne la riproduzione. 4. Gruppi di simboli devono essere utilizzati nel-
Legenda delle figure
1. La legenda delle figure deve essere dattiloscritta a spaziatura doppia su pagine separate. Le figure devono essere numerate con numeri arabi progressivi, seguendo l’ordine di numerazione con cui sono citate nel testo. 2. Tutte le abbreviazioni riportate nelle figure devono essere identificate e spiegate in ordine alfabetico alla fine di ciascuna legenda. Anche i simboli usati (frecce, linee continue e tratteggiate, cerchietti, ecc.) devono essere spiegati. 3. Per la riproduzione di figure già pubblicate è necessario allegare il permesso da parte dell’Editore
Sezioni del Giornale
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7. Ricerca Articoli originali di studi osservazionali e clinici. 8. GPwSI / General Practitioner with Special Interest Articoli di Medici di Famiglia, con particolare competenza in specifiche aree cliniche (allergologia, cardiologia, dermatologia, diabetologia, gastroenterologia, gerontologia, ginecologia, nefrologia, neurologia, oncologia, pneumologia, reumatologia) in forma di revisioni, messe a punto, position paper su argomenti di particolare interesse per la attività professionale del Medico di Famiglia. 9. Educazione Continua in Medicina Articoli di Esperti riconosciuti in tema di formazione pre-laurea e post-laurea in Italia e nel mondo 10. Evidence Based Medicine Articoli di Esperti riconosciuti su Linee Guida ed Evidenze Scientifiche ed i possibili riflessi sulla pratica clinica del Medico di Famiglia 11. Focus On Articoli o commenti di Esperti riconosciuti su argomenti di attualità di interesse generale nei vari ambiti della Medicina di Famiglia 12. Letteratura Lettura e commento su articoli di recente pubblicazione e di specifico interesse per la Medicina di Famiglia 13. Pratica Clinica Articoli di esperti riconosciuti, in forma di aggiornamento, revisione e messe a punto, su temi clinici diagnostico-terapeutici e gestionali di interesse per la attività professionale del Medico di Famiglia 14. Le Cure Primarie Commenti ed opinioni di Esperti su tutti i campi delle Cure Primarie, con particolare interesse per aspetti epidemiologici, promozionali ed educazionali, preventivi, organizzativi e di politica sanitaria, che coinvolgono la Medicina di Famiglia e l’assistenza territoriale.
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1. La stampa degli articoli è gratuita e saranno forniti 2 estratti gratuiti per ogni autore di articolo pubblicato. 2. La stampa di una eventuale iconografia a colori è gratuita, previa verifica e concessione del Direttore Editoriale.
Redazione
redazione@medicidifamiglia.org
Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
editoriale
Dipartimento di Medicina Generale: utopia o realtà? E’ possibile pensare la costituzione di un dipartimento di Medicina Generale integrato con l’Università? Giovanni B. D’Errico
Medico di Famiglia Coordinatore Seminari Interdisciplinari Corso Formazione Specifica in Medicina Generale - Foggia
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a Medicina di Famiglia è una disciplina accademica riconosciuta ed insegnata in tutto il mondo nell’ambito dei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia e, in alcuni casi, riconosciuta anche come disciplina specialistica post-laurea. E mentre in molti paesi europei ed extraeuropei si sono istituite da tempo, a tale fine, delle strutture dipartimentali indirizzate all’insegnamento ed alla ricerca nell’ambito delle Cure Primarie, in l’Italia ancora oggi tutto questo non è stato codificato e la Medicina di Famiglia non ha ancora una “dignità” stabile e formalizzata di insegnamento universitario. Il problema del Dipartimento di Medicina Generale è un problema da affrontare non solo da un punto di vista organizzativo, per quanto attiene ad una sua collocazione all’interno di un nuovo ordinamento didattico universitario, ma principalmente da un punto di vista culturale, in un contesto, come quello italiano, in cui la Medicina Generale, per anni orfana di un riconoscimento accademico, è stata relegata a “Cenerentola” del Sistema Sanitario, svolgendo funzioni sempre più vicine ad un ruolo di “governance” amministrativa e sempre più
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lontane dagli standard professionali che un moderno Sistema delle Cure Primarie richiede. La costituzione di una struttura dipartimentale ben definita rappresenterebbe il contesto formativo ottimale del corso di Laurea in Medicina Generale, valorizzerebbe fortemente la disciplina, stimolerebbe la ricerca e assolverebbe alle raccomandazioni della comunità europea e dei decreti d’area che vogliono la frequenza degli studenti in strutture del territorio, tra cui gli studi di medicina generale. Tali strutture, affidate a medici di famiglia, promuoverebbero sia la formazione prelaurea degli studenti durante il corso di laurea, sia la formazione post-laurea per i neo-laureati e per i medici che intendono svolgere la professione di Medico di Famiglia. Il tirocinio professionalizzante in medicina generale, nel corso di laurea in Medicina e Chirurgia, è ormai da anni una realtà ben consolidata. Numerose sono le sedi universitarie in cui l’insegnamento della medicina generale è stata inserita come disciplina. In Italia risale al maggio del 2002 la conferenza permanente dei presidi della facoltà
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di medicina e chirurgia, che ha approvato una proposta di convenzione da sottoporre agli ordini dei medici rivolta a definire le caratteristiche dell’esperienza formativa in medicina di famiglia. Nei nuovi decreti d’area si parla dell’importanza e del ruolo chiave della medicina generale, e per la loro applicazione è raccomandata la frequenza degli studenti presso strutture del territorio, fra cui gli ambulatori dei medici generali. Anche le direttive dell’Unione Europea raccomandano l’insegnamento della pratica clinica improntata sull’approccio bio-psico-sociale, dandogli la possibilità di toccare con mano il malato e la malattia nel suo ambiente sociale. Non si può pensare di insegnare la medicina generale all’università senza che ci sia una struttura di riferimento dipartimentale territoriale. Una struttura autonoma, in cui i medici di famiglia e docenti universitari delle varie discipline possano confrontarsi sui temi della ricerca, dell’attività assistenziale e della formazione pre e post laurea. La costituzione di un dipartimento sicuramente comporta un impegno notevole culturale e scientifico, ma una reale integrazione multidisciplinare ed interprofessionale ospedale-territorio può sicuramente rappresentarne la spinta decisiva.
primo piano
Progetto di implementazione della Consensus Conference sul percorso assistenziale del paziente con scompenso cardiaco nella Regione Puglia Sergio Pede1, Massimo Iacoviello2
1 Dirigente Resp. e UOS Riabilitazione Cardiologica, Osp. N. Melli – S. Pietro Vernotico ASL Brindisi; 2 Dirigente Medico U.O. Cardiologia Univ. A.O. Policlinico, Bari
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Il contesto epidemiologico
o scompenso Cardiaco (SC) è una patologia ad elevata prevalenza, che colpisce l’ 1,5-2% della popolazione del mondo occidentale. Prevalenza ed incidenza aumentano in modo esponenziale con l’età e la maggiore determinante dell’assorbimento di risorse per la sua gestione è costituita dai costi dell’assistenza ospedaliera. L’analisi dei ricoveri ospedalieri nazionali mostra che il DRG 127 (insufficienza cardiaca e shock) rappresenta in Italia nel 2003 la prima causa di ricovero ospedaliero dopo il parto naturale e che lo SC è la patologia con i più elevati costi per assistenza ospedaliera. Nel 2003 i ricoveri con codice ICD9 428 hanno avuto un incremento del 2,4% rispetto al 2002 e del 7.3% rispetto al 2001, mentre il tasso grezzo degli stessi è passato da 306 a 334 ricoveri/ anno/100.000. Anche in Puglia i ricoveri per scompenso cardiaco rappresentano una delle più frequenti cause di ricovero ospedaliero, specie nella popolazione anziana, con un elevato consumo di giornate di ricovero, con una degenza media ancora alta (8-10 gg a seconda del luogo di ricovero), con un alto tasso di reospedalizzazione a 6 mesi e ad un anno e con un fenomeno veramente allarmante di reospedalizzazione precoce, subito dopo la dimissione. I contenuti e l’articolazione del progetto
Da questi dati deriva la necessità di una appropriata definizione dei percorsi assistenziali finalizzata al perseguimento di tre, fondamentali obiettivi: 1. individuazione precoce dei casi a rischio di instabilità; 2. controllo della progressione della malattia;
3. riduzione dei ricoveri ospedalieri. A questa necessità intende rispondere il Progetto della Consensus Conference sullo Scompenso Cardiaco. Nato da una iniziativa delle Aree Scompenso Cardiaco e Management & Qualità dell’ ANMCO, sottoscritto da tutte le Società Scientifiche interessate e fatto proprio, nel 2007, dalla Federazione Italiana di Cardiologia (FIC), il Progetto ha due fondamentali elementi di connotazione: a) un documento-guida prodotto dalle Società Scientifiche b) una specifica struttura scientifico-organizzativa. Il documento-guida, pubblicato nel 2006 sul Giornale Italiano di Cardiologia, è articolato in 4 Sezioni: (I) Organizzazione del percorso assistenziale
(a) Vengono individuati gli obiettivi: - ritardare comparsa e progressione della disfunzione ventricolare sinistra e dello SC; - prevenire riacutizzazioni e ricoveri ospedalieri; - garantire assistenza specifica al paziente anziano fragile; - garantire assistenza di tipo palliativo al paziente con SC terminale. (b) Viene precisato il modello gestionale basato sulla definizione di: - Percorsi Diagnostico-Terapeutici (PDT); Sistema di Rete Integrata. Vengono fissati gli obiettivi dei PDT: - diagnosi di SC; - definizione di etiologia; - identificazione di cause curabili di SC; - impostazione e ottimizzazione del trattamento; - individuazione dei fattori precipitanti, delle comorbidità e dei fattori di rischio per SC; - stratificazione del rischio; 6
- indicazioni al ricovero ospedaliero; - modalità di follow-up. Per la costruzione del Sistema di Rete Integrata vengono stabiliti i compiti: • Pazienti e familiari:
- capacità di interazione efficace con l’èquipe sanitaria; - assunzione di un ruolo attivo nella gestione della malattia. • Ospedale:
- identificare, tra le professionalità con competenze maturate nella gestione dello SC una figura o un team multidisciplinare responsabile/i della diagnosi e cura del paziente con SC; - istituire un ambulatorio dedicato per lo SC, punto di riferimento per la continuità assistenziale; creare, per il malato ricoverato con SC, PDT condivisi tra le diverse strutture ospedaliere. • ASL (Distretti):
- coinvolgere i MMG nella discussione dei PDT, favorendone il processo di formazione; - promuovere l’integrazione funzionale di professionalità tecniche e rappresentanti istituzionali delle Aziende Sanitarie/ Ospedaliere a livello sovradistrettuale all’interno di un Organismo di Coordinamento tra Ospedale e Territorio, con il compito di favorire la formazione della Rete Assistenziale, promuovere la definizione e l’implementazione di PDT e di indicatori di struttura, di processo e di esito come strumento di miglioramento continuo della qualità dell’assistenza. • Regione/Area Vasta:
- promuovere la costituzione di una rete organizzativa tra ASL/Aziende Ospedaliere con stretta interazione tra strutture, pubbliche o private accreditate, e i Centri in grado di garantire procedure invasive Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
primo piano e/o chirurgiche avanzate, inclusi i Centri con Programma Trapianto Cardiaco. (II) Monitoraggio dell’assistenza
E’ prevista una verifica di appropriatezza basata su: - indicatori strutturali; - indicatori di processo; - indicatori di esito. (III) Definizione dei ruoli professionali
Vengono precisati i ruoli:
• Medici di Medicina Generale:
- case manager della maggioranza dei pazienti con SC; - gestione autonoma del percorso di prevenzione primaria; - gestione congiunta con lo Specialista del percorso di prevenzione secondaria; - responsabilità dell’assistenza domiciliare. • Specialista:
-
conferma diagnostica; definizione etiologica; stratificazione del rischio; impostazione della terapia.
• Specialista Territoriale:
- visite periodiche di controllo; - valutazioni strumentali non invasive; - formazione dei pazienti e dei familiari in collaborazione con Personale Infermieristico. • Specialista Ospedaliero:
- gestione fasi di ricovero per SC acuto (PDT differenziati); - approccio multidisciplinare con precoce attivazione delle consulenze. • Infermiere:
-
informazione al paziente e ai familiari; educazione all’autogestione; monitorizzazione di parametri semplici; risoluzione di eventi minori in collaborazione con il medico; telesorveglianza domiciliare; aggiornamento dei database; organizzazione degli appuntamenti; integrazione dei vari attori.
(IV) definizione dei profili clinici
Vengono definiti 6 profili: 1. Soggetto candidato a prevenzione e screening della disfunzione ventricolare asintomatica; 2. Paziente con SC acuto di nuova diagnosi o instabilizzato; 3. Paziente con SC ambulatoriale oligosintomatico; 4. Paziente con SC severo candidabile al trapianto cardiaco; 5. Paziente con SC con comorbidità e/o Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
anziano; 6. Paziente con SC terminale. Per implementare nella pratica clinica i contenuti del documento è stata attivata una struttura scientifico-organizzativa basata su: Comitato Nazionale con funzioni di coordinamento sul territorio del Paese; Comitato Regionale, per singola Regione con funzioni di coordinamento sul territorio regionale e di raccordo operativo con il Comitato Nazionale. Il Comitato Regionale in Puglia risulta così composto: Coordinatori: Pede Sergio, Iacoviello Massimo; Componenti: Contursi Vincenzo – AIMEF , Mangia Rolando – ANMCO, Antoncecchi Ettore – ARCA, Greco Antonio – FADOI, Scrutinio Domenico – GICR, Correale Michele – SIC, Izzo Paolo – SICOA, D’ambrosio Piero – SIGG, Nicoletti , useppe – SIGOS, Stea Francesco – SIMEU, Legrottaglie Francesco- SIMG, Ranieri Giuseppe – SIMI, Selvaggio Enzo SNAMID, Pavese Immacolata – AGE. Il Comitato ha individuato come prioritarie le azioni necessarie a: informare dell’esistenza del Progetto in modo capillare; realizzare un articolato programma di formazione; fare un censimento di strutture e iniziative regionali dedicate allo Scompenso Cardiaco; definire ruoli e funzioni; interagire con le Istituzioni per l’accreditamento del Progetto. Allo scopo sono state attivate le seguenti Commissioni: - COMMISSIONE PER IL RAPPORTO 7
CON LE ISTITUZIONI (Coordinatori Responsabili: Sergio Pede; Massimo Iacoviello) - COMMISSIONE PER IL MAPPAGGIO REGIONALE DELLE STRUTTURE E/O SERVIZI DEDICATI ALLO SC (Coordinatori Responsabili: Antonio Greco; Francesco Legrottaglie) - COMMISSIONE PER L’INFORMAZIONE E LA FORMAZIONE (Coordinatori Responsabili: Ettore Antoncecchi; Vincenzo Contursi). Per dare concretezza operativa al Progetto si è ritenuto di avviare un percorso di Informazione/Formazione così articolato: organizzazione di un evento formativo “start” che venga promosso dal Comitato e, sperabilmente, dall’Assessorato alla Salute e dall’ARES; l’evento dovrebbe vedere coinvolti tutti i distretti sanitari; per ciascuno di essi dovrebbe essere prevista la partecipazione di componenti designati dalla Direzione della ASL, che saranno poi i referenti locali preposti alla informazione/ formazione nel territorio dei singoli distretti; per ogni distretto dovrebbero essere individuati: un medico di medicina generale, uno specialista ambulatoriale ed uno ospedaliero, privilegiando coloro che già si occupano della gestione di pazienti con scompenso cardiaco. Questa impostazione potrebbe diventare la base di un processo di istituzionalizzazione dei percorsi assistenziali dei pazienti con scompenso, e, in questo modo, potrebbe fornire garanzia di appropriatezza per la pratica clinica.
assistenza territoriale
Lo scompenso cardiaco in RSA (Residenza Sanitaria Assistita) Il rafforzamento dell’area residenziale delle “cure intermedie” può favorire la prevenzione dei ricoveri non necessari e/o impropri. Solo la valutazione multidimensionale e la presa in carico globale, può garantire una migliore gestione a breve e lungo termine dell’intervento preventivo, curativo e riabilitativo
Maria Chirico
Consulente Geriatra RSA “Consorzio San Raffaele” Puglia
S
econdo i dati del Ministero della Salute, l’incidenza dei ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco in Italia è in vertiginoso aumento, interessando prevalentemente gli anziani. Anche il tasso di ri-ospedalizzazione per scompenso cardiaco risulta elevato: mediamente un anziano su 3 ritorna in ospedale entro 6 mesi dalla dimissione. Si innesca pertanto un “circolo vizioso” che porta il paziente a transitare continuamente attraverso l’ambulatorio del MMG, il pronto soccorso, il reparto (o l’UTIC) per poi tornare al domicilio. Tuttavia le ri-ospedalizzazioni sono determinate, nella metà dei casi, da fattori modificabili: fattori iatrogeni (interazioni tra farmaci, mancata ottimizzazione della terapia farmacologica), ridotta compliance terapeutica (depressione, deficit cognitivo, solitudine), follow up inadeguato, supporto sociale o familiare insufficienti, fattori economici (costo dei farmaci e degli esami di
controllo). Ne derivano ovviamente qualità e aspettativa di vita scadenti, con aumento del grado di disabilità e della spesa sanitaria pubblica. La corretta gestione della fase di dimissione dopo un ricovero per scompenso cardiaco consente quindi di consolidare i risultati favorevoli ottenuti nel corso del trattamento ospedaliero e di instaurare efficacemente un percorso diagnosticoterapeutico integrato in continuità con il territorio. Nonostante la recente tendenza a rafforzare i servizi territoriali, il setting di cura del soggetto con scompenso cardiaco rimane ancora oggi l’ospedale, ma questo approccio si dimostra inefficace e dispendioso se, dopo la dimissione, non vi è continuità nell’assistenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera la continuità assistenziale un indicatore di qualità di un servizio sanitario perché aggiunge, al tradizionale concetto
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di cura, quello della presa in carico del paziente nei diversi setting assistenziali extraospedalieri. Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) rappresentano, nella rete dei servizi territoriali, un nodo cruciale in quanto possono costituire una tappa fondamentale per quei pazienti dimessi dall’ospedale per scompenso cardiaco e che presentano nell’immediato un elevato rischio di instabilizzazione e quindi di ri-ospedalizzazione. Il trasferimento in regime di “dimissione protetta” in RSA dovrebbe essere preso in considerazione per tutti i pazienti sufficientemente stabili dal punto di vista clinico, ma non in grado di rientrare al proprio domicilio (soggetti non autosufficienti, in assenza di un adeguato supporto socio-familiare) e che, per tale motivo, andrebbero incontro ad un inappropriato prolungamento della degenza in ospedale. Tutti i pazienti “a rischio” dovrebbero essere individuati precocemente prima della dimissione ospedaliera, stabilendo un programma di follow-up tra le diverse opzioni (area postacuzie, residenzialità, domicilio). Il rafforzamento dell’area residenziale delle “cure intermedie” può favorire inoltre la prevenzione dei ricoveri non necessari e/o impropri. In RSA l’approccio multidisciplinare al paziente anziano con scompenso cardiaco cronico, finalizzato alla valutazione multidimensionale ed alla presa in carico globale, può garantire una migliore gestione a breve e lungo termine dell’intervento preventivo, curativo e riabilitativo. In tal modo le RSA, pur non essendo di per se stesse strutture con finalità diagnostiche, possono rappresentare anche la sede ideale per “scovare” quelle forme di scompenso cardiaco cronico celate sotto diagnosi più generiche (ad. es. “cardiopatia scleroipertensiva”), con conseguente riduzione Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
assistenza territoriale dei rischi di instabilizzazione connessi con la presenza di uno scompenso cardiaco misconosciuto. La valutazione multidimensionale dell’anziano con scompenso cardiaco rappresenta la strategia di approccio globale che consente di avviare un processo diagnostico interdisciplinare finalizzato alla quantificazione dei problemi medici, psico-cognitivi, socio-economici e della capacità funzionale residua dell’individuo anziano e che mira alla realizzazione di un piano personalizzato di terapia e follow-up a breve e lungo termine, indirizzando dinamicamente il paziente al setting assistenziale più appropriato: ambulatorio, day-hospital, lungodegenza, RSA, cure domiciliari. Per ogni anziano con scompenso cardiaco occorre individualizzare l’intervento in base all’età, alla classe NHYA, allo stato funzionale e allo stato cognitivo al fine di predisporre un percorso assistenziale. Per
i pazienti ospiti di RSA, il team multidisciplinare che opera al suo interno rappresenta un elemento strategico di questo modello, in quanto chiamato a svolgere il ruolo operativo nella realizzazione del progetto personalizzato degli interventi, nonché nel follow up e nel controllo dei risultati. In ultima analisi, dobbiamo menzionare il problema del trattamento terapeutico che ci troviamo ad affrontare quotidianamente nella pratica clinica in RSA, come in altri setting assistenziali, di fronte ad un anziano con scompenso cardiaco. Le incertezze del trattamento farmacologico non sono frutto solo della oggettiva difficoltà di dover gestire soggetti che, per molteplici ragioni, appaiono intrinsecamente più complessi e fragili rispetto a quelli più giovani, ma anche dal fatto che le attuali raccomandazioni terapeutiche “evidencebased” si basano sui risultati di grandi trials clinici condotti su popolazioni nelle quali ri-
sultano invariabilmente sottorappresentati i soggetti più anziani e le donne. I pazienti arruolati nei grandi studi clinici attuali hanno infatti caratteristiche demografiche profondamente diverse dai pazienti geriatrici con scompenso cardiaco; in particolare hanno una età media inferiore ai 65 anni, non hanno comorbilità (questo rappresenta uno dei criteri di esclusione!) e presentano un’elevata compliance terapeutica. La sostanziale mancanza di evidenze dirette e, conseguentemente, di raccomandazioni specifiche relative ai soggetti di età superiore ai 65 anni è sicuramente una delle ragioni per cui l’impatto delle nuove terapie farmacologiche per lo scompenso è stato nella popolazione anziana inferiore alle attese. Appare quindi indifferibile l’ampliamento delle evidenze cliniche attualmente disponibili sul trattamento farmacologico dell’anziano con scompenso cardiaco e di una sua appropriata implementazione.
S.V.A.M.A. – Scheda di Valutazione Multidimensionale dell’adulto e dell’anziano Per consentire l’accesso alla rete dei servizi socio-sanitari residenziali, semiresidenziali e domiciliari integrati la Regione Puglia con la delibera del 15 febbraio 2005 n. 107 ha adottato come strumento di valutazione multidisciplinare di salute e di autonomia funzionale una scheda denominata SVAMA. La popolazione anziana e non autosufficiente in Puglia
L’invecchiamento della popolazione rappresenta una delle condizioni di maggior rilievo che connotano la trasformazione sociale dell’Italia e di tutti i paesi occidentali degli ultimi anni. Anche la Puglia negli ultimi anni ne è stata fortemente interessata, nonostante che la sua struttura demografica, propria di una regione del mezzogiorno, fornisce ancora un bilancio demografico positivo. In Puglia al 31.12.2005 sono 688.205 gli anziani, cioè i residenti con età ultra65enne, pari al 16,9% del totale della popolazione. In particolare il 41,2% della popolazione anziana è costituita da cosiddetti grandi anziani, cioè ultra75enni. In Italia l’incidenza della popolazione anziana sul totale della popolazione è pari al 19,1%: se la Puglia è tra le regioni che ancora si colloca al di sotto della media nazionale per incidenza della popolazione anziana, tuttavia preoccupa la dinamica di crescita di tale incidenza, e quindi la dinamica del progressivo invecchiamento della popolazione pugliese, ma soprattutto le caratteristiche del contesto di vita e delle prospettive di vita degli anziani pugliesi. SVAMA La scheda rappresenta l’unico e completo strumento per accedere ai servizi e deve essere compilata dalla Unità Operativa Distrettuale (U.O.D.).
L’Unità Operativa Distrettuale (U.O.D.) è lo strumento operativo che governa la rete dei servizi per anziani. E’ un gruppo di lavoro composto da più professionisti: 1) Responsabile del Distretto socio-sanitario; 2) Medico specialista; 3) Medico di medicina generale; 4) Assistente sociale; 5) Infermiere professionale.Questo gruppo prende in carico il soggetto in difficoltà, e attraverso S.VA.M.A. analizza i problemi da affrontare per definire un progetto assistenziale, che rappresenti la migliore soluzione per la persona interessata. Riesce a farlo avvalendosi di strumenti di indagine specifici, che descrivono tutti gli aspetti del vivere quotidiano: a) salute; b) supporto sociale (parenti e amici); c) reddito; e) situazione abitativa, ecc. La U.O.D. rappresenta l’elemento chiave, presente in ogni distretto che si occupa effettivamente di applicare S.VA.M.A: è l’unica porta di accesso alla rete dei servizi, l’unica responsabile, per anziani e non autosufficienti, della gestione dei progetti assistenziali.
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linee guida
Cadute nell’anziano: come prevenirle. Linee guida e raccomandazioni Appropriati approcci psicologici, uniti a più complessi interventi sociali volti a ridurre i fattori di deprivazione e di isolamento nella popolazione anziana, possono invero alleggerire il doloroso carico di malattia e disagio connesso al fenomeno delle cadute e degli incidenti domestici Le cadute rappresentano la prima causa di incidente domestico nonché la prima causa di ricovero e decesso. Le fratture rappresentano la conseguenza più importante delle cadute in particolare negli anziani. In generale, si frattura ( femore) il 4% dei soggetti che cadono (range: 1-10%), e una volta caduti in particolare l’anziano, ha una più alta probabilità di morire per la conseguenza della caduta. Le fratture degli arti inferiori sono le più frequenti: costituiscono il 29% delle cause di morte dei maschi e il 68% delle femmine. Ogni anno circa un terzo degli ultrasessantacinquenni è vittima di un incidente di questo tipo, e fra gli ospiti di strutture assistenziali la percentuale è ancora maggiore. In un paziente anziano in condizioni di fragilità la caduta rappresenta un evento temibile per non solo per disabilità che comporta, ma anche per le ripercussioni psicologiche: la perdita di sicurezza e la paura di cadere che possono influire sul declino funzionale e portare alla depressione e/o isolamento sociale.
della mobilità e dell’equilibrio sono anche fattori di rischio significativi: diversi studi hanno confermato l’importanza dei deficit motori come fattori di rischio e le malattie croniche come favorenti la perdita dell’equilibrio, condizione, che aumenta il rischio di caduta. Inoltre è stato messo in evidenza come l’uso di supporti come stampelle, bastoni ecc. aumentano il rischio di caduta. Raccomandazioni (IIIA): tenere sotto controllo l’equilibrio e i problemi di deambulazione negli anziani che riferiscono una precedente caduta o che sono considerati a rischio. I test utilizzati per valutare il rischio di caduta dovrebbero essere di semplice esecuzione, di breve durata, ripetibili, per consentire un follow-up a distanza. 4. Alterazioni della vista: le alterazioni della vista ( < acuità visiva, alterazione del visus ecc.) rappresentano un fattor di rischio indipendente di frattura. Raccomandazioni ( IIIA): effettuare o far effettuare un accurato esame della vista, per verificare eventuali problemi o alterazioni. 5. Rischi domestici: anche i rischi domestici aumentano le cadute. Raccomandazioni (IIIA): di fronte a una caduta è raccomandata un’analisi dei rischi domestici, al fine di verificare la presenza di ostacoli o pericoli modificabili. 6. Isolamento sociale: l’isolamento sociale e le difficoltà economiche condizionano considerevolmente lo stato di salute della popolazione. Raccomandazioni ( IIIA): nel caso si ravvisassero gravi situazioni di disagio sociale, un supporto che coinvolga servizi diversi è raccomandato anche al fine della prevenzione o della recidiva di cadute. 7. Paura di cadere: la paura del cadere invece è una condizione che se presente nell’anziano deve essere attentamente valutata e può essere lagata a diversi fattori fisici, psicologici e funzionali che accompagnano l’età avanzata. Tale condizione deve essere attentamente ricercata per poter attuare una prevenzione adeguata. E’ importante valutare la paura di cadere, per intervenire e sostenere gli anziani, attraverso interventi di sostegno psicologico, interventi educativi, o altri strumenti che possano rassicurare e prevenire le cadute. Raccomandazione (IIIA): interrogare gli anziani per capire se abbiano paura di cadere; in tal caso il livello e la ragione di questa paura dovrebbero essere valutati per approfondire le ragioni che portano a questa paura e fornire un supporto psicologico.
Esistono numerosi fattori che aumentano il rischio di cadute: 1. Storia di precedenti cadute; 2. Polifarmacoterapie e assunzione di farmaci particolari; 3. Alterazione della mobilità; 4. Alterazione della vista; 5. Rischi domestici; 6. Isolamento sociale; 7. Paura di cadere. Anche il sesso femminile e l’età avanzata sono determinanti nell’aumentare il rischio di cadute. 1. Precedenti cadute: considerato che una precedente caduta
rappresenta l’elemento più importante per una nuova caduta, la raccomandazione (IIIA) è quella di intervistare periodicamente gli anziani per capire se abbiano subito cadute nell’ultimo anno e per conoscerne eventualmente la frequenza, le caratteristiche e il contesto. 2. Assunzione di farmaci: anche i farmaci sono importanti, in particolare quando questo sono numerosi ( 4 o più farmaci al giorno), ma anche la tipologia di farmaco ha la sua influenza come farmaci che agiscono sul sistema nervoso, sul sistema cardiovascolare e sulle vie del dolore (sedativi e ipnotici; narcotici; anticonvulsivanti; antidepressivi; psicotropi; cardiovascolari; diuretici; antipertensivi). Raccomandazioni (III A): interrogare gli anziani sulle terapie assunte e tenere sotto rigido controllo i farmaci somministrati. Rivedere periodicamente le prescrizioni farmacologiche, con particolare attenzione all’assunzione di farmaci quali benzodiazepine, antidepressivi o all’assunzione simultanea di tre farmaci. Ove pos- Deterioramento cognitivo e incontinenza urinaria: il desibile, rimodulare tali prescrizioni al fine di ridurre l’esposizione al terioramento cognitivo e l’incontinenza urinaria sono considerati solo probabili fattori di rischio di cadute. In questi casi non ci sono rischio. 3. Alterazioni della mobilità: i disturbi della deambulazione raccomandazioni univoche. (PNLG 5-2009) 10
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terapia
Il trattamento chirurgico dell’ernia discale cervicale in neurochirurgia Prognosi buona con scarse complicanze con l’utilizzo dei nuovi dispositivi
Gaetano Rizzi, Gaetano Merlicco U.O. di Neurochirurgia Azienda Ospedaliero-Universitaria “OO-RR” Ospedali Riuniti - Foggia
I
dischi intervertebrali sono strutture gelatinose che consentono alle vertebre di muoversi una rispetto all’altra in tutte le possibili direzioni, assicurando un’adeguata mobilità di tutte le porzioni della colonna vertebrale. Ogni disco è costituito da una porzione fibrosa e resistente più esterna, l’anulus, all’interno della quale è racchiuso un nucleo più morbido. Quando l’anello fibroso viene rovinato a causa della naturale degenerazione o di stress ripetuti ed eccessivi e si indebolisce, nel punto di maggior cedimento la spinta del nucleo gelatinoso porta alla fuoriscita di parte del nucleo stesso, l’ernia appunto. Se l’ernia è laterale, cioè destra o sinistra, il materiale discale comprime le radici nervose che si diramano dalla colonna, dando i sintomi tipici: dolore che parte dal collo e si propaga alla spalla, al braccio e alle dita, con una distribuzione caratteristica per ogni livello vertebrale coinvolto; formicolii e disturbi della sensibilità; a volte anche riduzioni della forza o problemi a muovere il braccio. Questa è la situazione meno grave. Il problema è più delicato quando il disco ernia nella zona centrale e va a premere direttamente sul midollo spinale provocando una mielopatia cervicale. In questi casi è indispensabile intervenire in fretta per evitare la degenerazione delle fibre nervose e la conseguente possibile paralisi dei muscoli da esse controllati. In tali circostanze, i problemi maggiori si hanno alle gambe, e comprendono sensazione di pesantezza e rigidità, scarso controllo muscolare o difficoltà nella deambulazione. Il semplice dolore a livello della nuca e del collo può essere presente in entrambe le
forme di ernia, ma non è mai la componente predominante, così come si deve sfatare la convinzione che l’ernia cervicale possa provocare attacchi vertiginosi o capogiri. Esistono due tipi di ernia: quella “molle” e quella “dura”. La prima, che è la forma classica con fuo-
Fig 1-2. RMN cervicale: ernia del disco cervicale C5-C6
Fig 3-4. RMN cervicale: Ernia del disco cervicale C5-C6 sinistra
riuscita del nucleo del disco intervertebrale, interessa persone giovani tra i 25 e i 40 anni. Quando compare dai 45 anni in su, si tratta quasi sempre di una forma “dura” o mista, innescata dall’assottigliamento del disco, seguito da un processo più simile all’artrosi con formazione di osteofiti. In persone giovani, di fronte a un’ernia discale “molle” che provoca i sintomi tipici della cervicobrachialgia, si può stare relativamente tranquilli: in 7-8 casi su dieci 12
l’intervento chirurgico non è necessario e i sintomi possono essere alleviati con farmaci antinfiammatori, fisioterapia e, a volte, con l’uso di un collare per brevi periodi. L’operazione diventa obbligatoria quando ci sono chiari segni di sofferenza del midollo spinale, cioè quando si hanno problemi alle gambe, o quando il deficit funzionale indotto dalla compressione delle radici dei nervi non migliora dopo un trattamento di almeno 2-3 mesi con farmaci, riposo e fisioterapia. I primi interventi chirurgici sulla colonna cervicale volti a risolvere i disturbi causati da ernie discali risalgono a metà degli anni ‘50. Il Dott Cloward sviluppò un intervento di discectomia associato ad una successiva fusione o artrodesi, che con alcune varianti viene utilizzato tutt’ora. Durante questa operazione, la colonna vertebrale cervicale viene “aggredita” attraverso un’incisione nella parte anterolaterale del collo e dopo averlo identificato mediante radiografia, il disco incriminato viene rimosso insieme a eventuali protuberanze ossee dette osteofiti, se presenti. Dopo avere decompresso adeguatamente le radici nervose e il midollo spinale, per mantenere la distanza tra le due vertebre, altrimenti in contatto tra loro, e favorire la fusione vertebrale, si interpone tra le verteAnno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
terapia
Fig 7. Dispositivi in titanio Fig 5-6. Fase Chirurgica discectomia cervicale C5-C6
Fig 8. Controllo Rx Post-operatorio
bre stesse un frammento osseo prelevato da un’altra zona del corpo, di solito dalla cresta iliaca (il margine superiore dell’anca). Per evitare di dover danneggiare la cresta iliaca ai fini della sostituzione del disco intervertebrale degenerato, sono stati messi a punto dispositivi diversi: sono stati usati sostituti ossei di derivazione animale, poi di bioceramica e infine gabbiette in titanio (Fig. 7) , quindi in carbonio e attualmente in PEEK con l’applicazione di placca in titanio se si trattano più livelli contigui. Presso la nostra U.O. da tempo vengono eseguiti interventi di discectomia cervicale e stiamo trattando un numero via via crescente di pazienti con ottimi risultati e senza alcuna complicanza. L’incisione viene centrata sul margine dello SCM, di solito a destra, anche se il rischio
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di ledere il ricorrente risulta maggiore per il decorso più incostante del nervo. Un taglio longitudinale lungo il margine dello SCM, permette un esposizione più adatta alla verifica dei riferimenti anatomici. In alternativa si può usare un taglio estetico trasversale lungo una piega cutanea, sempre però centrato sul margine anteriore dello SCM. La trachea con l’ esofago vengono retratti medialmente esponendo la colonna cervicale coperta dal legamento longitudinale anteriore. Si verifica il livello con la Rx-scopia, si rimuove il disco cervicale, col microscopio per ridurre l’incidenza di complicanze. Il processo che porta alla fusione tra due vertebre è del tutto analogo a quello necessario per ottenere la guarigione di una frattura: deve formarsi un callo osseo. E ciò richiede l’immobilizzazione dell’articolazione coinvolta per un certo tempo. Per
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questa ragione i pazienti devono indossare un collare rigido per 5 o 6 settimane. Prognosi e Complicanze
La Prognosi è buona. Le Complicanze di vario tipo intervengono nel 3-5% % dei casi. Sono possibili lesioni carotidee e vertebrali, lesioni della faringe e dell’esofago, lesioni del plesso simpatico nel longus colli (non estendere troppo la dissezione laterale del muscolo), nonché lesioni radicolari e midollari. La complicanza più comune è però un danno al nervo laringeo ricorrente, il più delle volte transitorio e conseguente ad un approccio da destra. Comporta disfonia o difficoltà della fonazione (emissione del suono). Un ematoma post-operatorio può creare notevoli difficoltà respiratorie e deve essere evacuato d’urgenza. Bibliografia a richiesta
una riflessione...
Gestione integrata e processi decisionali condivisi: facile a dirsi! Nunzio Costa Medico di Famiglia Aimef Stornarella - Foggia
- l’obiettivo condiviso di una gestione ottimale delle malattia croniche;
Di gestione integrata ospedale territorio, di processi decisionali condivisi ormai se ne parla da alcuni anni, nel PSN 2003-05, il PSN 2006-08 ,il Piano di Salute Regionale 2008-10.
- riconoscimento reciproco fra i protagonisti del processo, riconoscendo in primis che la medicina di famiglia è una disciplina accademica, con le sue caratteristiche peculiari (Wonca) e con competenze specifiche, acquisite sul campo, affinando tra le tante abilità, quella straordinaria di saper affrontare situazioni difficili, in condizioni di incertezza, quella affettivo-relazionale determinante nella gestione della gran parte delle malattie croniche;
Tale evoluzione metodologica è la diretta conseguenza dell’abbandono della politica ospedalocentrica a vantaggio di una maggiore attenzione al territorio; infatti una riorganizzazione e rafforzamento del sistema delle cure primarie con alta integrazione multidisciplinare e interprofessionale produrrà certamente un miglioramento dell’efficienza globale del sistema.
- disponibilità al dialogo e al confronto costruttivo ,attraverso una comunicazione di qualità: non è più tempo di richieste specialistiche vacue di informazioni e di referti anonimi. I soggetti coinvolti si arricchiscono vicendevolmente attraverso processi di comunicazione di qualità che costituiscono il requisito fondamentale di un lavoro di equipe.
Se ne parla in tutte le discipline ed in tutti gli eventi congressuali con l’intento di accelerare la realizzazione di tale processo arrogandosi spesso anche il diritto e la competenza di poterne scrivere in modo unilaterale le regole. L’Integrazione ospedale-territorio è un processo complesso considerata l’oggettiva diversità dei due comparti, tenuti finora ben distinti tra di loro; la difficoltà e la complessità del processo di integrazione tra i vari professionisti della salute è anche conseguenza dell’utilizzo di metodi di approccio al paziente diversi, strumenti diversi, caratteristiche disciplinari diverse.
In questo processo di integrazione viene fuori un concetto fondamentale che è quello della “presa in carico” che però è necessario diventi “unitaria” con possibilità di recuperare quella visione olistica che permette una migliore gestione del paziente cronico.
È necessario che l’integrazione tra lo specialista e il MdF sia basata su alcuni principi fondanti affinchè vi sia una sinergia di interventi:
Come pure unitario deve essere il percorso assistenziale identificando in ogni momento del percorso assistenziale, con chiarezza, il professionista responsabile del processo decisionale in cui è possibile determinare oltre ai meriti anche l’induzione di spesa che tanto interessa ai nostri politici.
- L’interesse comune di ottimizzare l’utilizzo delle risorse e dell’efficienza globale del sistema; 14
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riabilitazione
La “riabilitazione respiratoria” alle Terme La riabilitazione respiratoria termale mediante ventilazione meccanica assistita migliora l’efficienza della ventilazione contrastando la stenosi bronchiolare e rallenta l’evoluzione della patologia bronchiale ostruttiva verso l’enfisema polmonare Michele D’Andrilli Direttore Sanitario delle Terme di Castelnuovo della Daunia (Foggia) Consulente pneumologo
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i può tranquillamente sostenere che tutte le malattie flogistiche recidivanti o croniche dell’apparato respiratorio e dell’ambito otorinolaringoiatrico traggono beneficio dalla crenoterapia inalatoria in qualsiasi forma sia essa somministrata (inalazioni, aerosol, nebulizzazioni docce micronizzate o insufflazioni timpaniche). Per le sue, ormai definitivamente acquisite, capacità di ridurre i fenomeni flogistici ed essudativi, di stimolare le difese immunitarie locali, e l’azione fluidificante sulle secrezioni, la crenoterapia contribuisce a ridurre gli episodi di riacutizzazione e attenua la tendenza all’evoluzione della malattia e al suo peggioramento. Da qualche decennio la maggior parte di Stabilimenti Termali accreditati forniscono una ulteriore prestazione ai soggetti con patologia respiratoria ostruttiva (BPCO ed enfisema polmonare), che consiste nell’utilizzazione meccanica a pressioni positive intermittenti. La prestazione è convenzionata con ASL e proprio secondo le sue direttive viene prescritta come “Ciclo di cure per la riabilitazione respiratoria”. Ciò nonostante la voce viene talvolta contestata per le indicazioni terapeutiche non sempre chiare e per l’effettivo vantaggio per il paziente. Mi sembra perciò,quanto mai opportuno un chiarimento a questo riguardo: la vera “riabilitazione” è molto di più della fisiocinesiterapia e della ventilazione meccanica; è un intervento spesso mol-
to complesso diretto al recupero di malati con insufficienza respiratoria medio-grave determinata da varie patologie anche non respiratorie (ipotonia o paralisi dei muscoli respiratori per malattie del sistema nervoso, deformazione della gabbia toracica per grave scoliosi dorsale,esiti d’interventi demolitivi sul torace,malattie interstiziali,ecc.) e richiede una serie di professionalità, com-
petenze, strutture ed attrezzature improponibili e incompatibili con l’organizzazione di un Centro Termale. Le prestazioni che offrono le Terme è invece “più realisticamente” rivolta a migliorare l’efficienza della ventilazione contrastando la stenosi bronchiolare. Essa consiste in una forma di “ventilazione assistita” in cui il paziente viene lasciato in ventilazione spontanea e assistito solo a fine espirazione predisponendo il ventilatore a fornire durante l‘inspirazione una pressione positiva che contrasta il broncospasmo, 16
dilata i bronchioli e favorisce il flusso aereo a raggiungere gli alveoli. Una volta raggiunta la pressione determinata, il ventilatore, mediante una elettrocalamita, inverte il regime e il paziente espira autonomamente. Se, per effetto di una precedente crenoterapia inalatoria,le secrezioni sono più fluide, la flogosi ridotta e le ciglia del rivestimento bronchiale più mobili, il miglioramento della ventilazione risulta ancora più evidente e inoltre elimina la ipossemia determinata dall’effetto SHUNT dovuto alla circostanza che alcune zone polmonari, in conseguenza del broncospasmo hanno una ventilazione ridotta a fronte di una normale per fusione. Sulla base di queste brevi considerazioni possiamo concludere che la ventilazione assistita integrata allo crenoterapia inalatoria ha precise indicazioni per rallentare l’evoluzione della patologia verso l’enfisema e il cuore polmonare cronico e anche per diradare gli episodi di riacutizzazione. D’altra parte la ventilazione a pressioni positive intermittenti con le pressioni utilizzate, non superiori ai 15-20 cm di H20 non determina iperventilazione e conseguente alcalosi respiratoria e pertanto la gestione della prestazione può essere garantita da una infermiera, ovviamente istruita in questa materia, e sotto il diretto controllo di un medico specialista. Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
riabilitazione
La riabilitazione respiratoria – Linee Guida Definizioni La riabilitazione respiratoria è stata definita come “un insieme multidimensionale di servizi diretti a persone con malattie polmonari e alle loro famiglie, di solito sotto la guida di un team interdisciplinare di specialisti con lo scopo di raggiungere e mantenere il massimo livello di indipendenza e di attività nella comunità”. Questa definizione sottolinea alcuni aspetti fondamentali caratterizzanti l’attività riabilitativa in campo respiratorio: in particolare l’individualizzazione, la multidisciplinarietà del programma terapeutico e lo scopo di reinserire il paziente nel suo ambiente aggiungendo l’importante aspetto educazionale al fine di promuovere la gestione della malattia da parte del paziente e della sua famiglia. Quindi i Programmi di Riabilitazione Polmonari (PRP) dovrebbero essere considerati come una opzione che può migliorare lo standard terapeutico con il proposito di ottimizzare la capacità funzionale e riportare i pazienti al più alto livello possibile di indipendenza funzionale.
Secondo la European Respiratory Society (ERS) “La riabilitazione polmonare ha lo scopo di recuperare i pazienti ad uno stile di vita indipendente, produttivo e soddisfacente ed impedire l’ ulteriore deterioramento clinico compatibile con lo stato della malattia” (2,3). Questa definizione conferma un altro importante aspetto: i programmi riabilitativi hanno lo scopo e la capacità di incidere sulla storia naturale della malattia. Vi è evidenza scientifica che i PRP migliorano la dispnea e il controllo della BPCO. Infatti questi programmi sono considerati parte integrante del trattamento complessivo delle malattie respiratorie croniche. Tale evidenza deriva da studi prospettici, randomizzati e controllati (5-17) e da meta-analisi. In questo capitolo gli outcomes specifici dei PRP saranno descritti secondo la Classificazione Internazionale della Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization= WHO), “The International Classification of Impairments, Activities and Participation”, nuova classificazione della WHO (ICIDH-2). Secondo questa classificazione l’”Impairment” è la “perdita o anormalità di una struttura corporea o di una funzione fisiologica o psicologica” che deriva dalla malattia respiratoria. L’impairment (menomazione) è di solito valutato con una misura di laboratorio. Per le malattie respiratorie ostruttive ad esempio, l’impairment è riflesso da una riduzione del FEV1 e/o dall’iperinsufflazione nei test di funzione polmonare o da una ridotta forza del muscolo quadricipite nei test di funzione muscolare periferica. L’”Activity” (che corrisponde al termine “Disability”) rappresenta “la natura e l’entità del funzionamento al livello della persona, in termini di esecuzione di un compito o di un’ azione da parte di un individuo. Le limitazioni dell’attività possono essere tali per natura, durata e qualità a causa della malattia respiratoria”. Questo dovrebbe includere riduzioni nelle ADL e nella performance fisica. Per i PRP questo è spesso determinato dai test del cammino o da questionari come il Baseline e Transitional Dyspnea Index. La “Participation” (che corrsiponde al termine “Handicap”) è “la natura e l’entità del coinvolgimento della persona nelle situazioni della vita in relazione alle menomazioni, alle attività, alle condizioni di salute e ai fattori ambientali (l’ambiente fisico, sociale e degli atteggiamenti in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza). Le restrizioni alla partecipazione possono essere tali per natura, durata e qualità”. (Linee Guida Aipo) OBBLIGATORIE (TUTTI I PAZIENTI) Valutazione Fisiologica e Pneumologica Prove di Funzione respiratoria. (solo ammissione) Tolleranza esercizio fisico Dispnea Qualità della Vita Muscoli Respiratori
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FACOLTATIVE (SU INDICAZIONE) Muscoli Periferici Valutazione Psicologica Valutazione Dietetica
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educazione terapeutica
La malattia cronica e l’educazione terapeutica del paziente (ETP) Un processo permanente, integrato alle cure e centrato sul paziente che consente di migliorare la compliance dei pazienti cronici Maria Grazia Albano Cattedra di Didattica della Medicina, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Foggia
L
Introduzione
a malattia cronica, oggi sempre più diffusa a causa del progressivo innalzarsi dell’età media della popolazione, richiede una gestione complessa, che risulta altamente problematica sia per il medico e per tutto il personale sanitario che per il paziente. Se il medico gestisce in prima persona il paziente affetto da una malattia acuta - nel senso che decide l’intervento da effettuare e lo mette in atto (se necessario, dopo aver ottenuto il consenso del paziente) - ricevendo tutte le espressioni di gratitudine che il paziente vorrà riservargli, la persona affetta da una malattia cronica dovrà quotidianamente mettere in atto la terapia farmacologica ed adottare stili di vita consoni alla sua condizione. E’ quindi il paziente che decide, non il medico che tutt’al più consiglia e verifica. La responsabilità della gestione della malattia è quindi condivisa, non può ricadere, come avviene per il paziente affetto da una malattia acuta, esclusivamente sul medico. Inoltre il paziente spesso non esprime alcuna manifestazione di gratitudine nei confronti del medico perché non può constatare i benefici immediati del suo intervento; la scarsa gratificazione rende difficile al medico l’esercizio della professione a contatto con questi pazienti, che peraltro incontra moltissime volte nell’arco della sua vita professionale e che molto spesso non seguono, anche per lunghi periodi, le sue prescrizioni ed i suoi consigli. Entrambe le parti, poi, non potendo sperare in una guarigione fanno fatica a mantenere sempre alta la motivazione a gestire la patologia cronica. A queste difficoltà si sommano per il medico quelle ingenerate dal fatto che nel corso della formazione di base il solo modello
di relazione propostogli è quello unidirezionale (il modello a cui si fa riferimento nella gestione della crisi, delle malattie acute: io so cosa si deve fare e agisco per guariti); non ha modo di apprendere come negoziare con il paziente, come instaurare con lui quel rapporto di “partneriato” fondato sulla negoziazione che è alla base della relazione con una persona colpita da una malattia cronica. Quando questo tipo di rapporto, che posiziona entrambe le parti su uno stesso piano (in una relazione adulto-adulto) non si instaura, il paziente lamenta una importante difficoltà nel comunicare con il personale curante. E’ indubbiamente vero che la relazione paritaria che si dovrebbe realizzare in presenza di una patologia cronica richiede al medico un maggior dispendio di tempo ed una reale presa in carico di tutti gli aspetti della persona malata. Gli apporta, però, il vantaggio di una maggiore gratifi18
cazione derivata dalla piena soddisfazione del paziente e dalla sua più assidua adesione al trattamento. Inoltre, i pazienti, che oggi sono sempre più informati ed esigenti, non mettono in atto una prescrizione senza averne prima verificato gli effetti benefici da fonti di vario genere (internet, riviste sulla salute, enciclopedie…), senza averne prima compreso l’azione e senza aver prima vagliato il rapporto tra il costo che il trattamento richiede (sul piano economico, psicologico e sociale) ed il beneficio che la gestione attenta della patologia può procurare loro. Se il curante non soddisfa questo bisogno di comprensione, il suo comportamento giunge molto spesso a rivelarsi con-causa di non aderenza. La gestione della malattia cronica è, però, ancor più difficile per il paziente. L’impegno quotidiano che questa malattia richiede è, infatti, spesso ritenuto “inutile” Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
educazione terapeutica dal paziente quando questa è silente o è avvertito come “faticoso” quando si verificano nella vita della persona circostanze che la coinvolgono sul piano emotivo (perdita del lavoro, di una persona cara,…). D’altra parte la malattia cronica pone il paziente di fronte ad una rottura con la continuità della vita e comporta la conseguente necessità di far fronte ad un cambiamento. Per rimarginare la ferita provocata dalla perdita dell’integrità fisica la persona dovrà pertanto far appello alle sue risorse interne, alle sue capacità di resilienza ed a fattori esterni che le possono permetterle di ritrovare un grado di autonomia soddisfacente, dunque all’empowerment (aiuto offerto all’altro per consentirgli di ritrovare il suo potere sulla vita). Il cambiamento sarà comunque lento, avverrà per fasi (pre-contemplazione, contemplazione, preparazione, azione, mantenimento, ricaduta) e sarà influenzato anche dai diversi fattori psicologici legati a questo tipo di patologie e descritti come tappe del processo che conduce all’accettazione della malattia. Questa fase finale non viene infatti, raggiunta da tutti negli stessi tempi, a volte viene abbandonata per periodi di durata variabile, in altri casi non viene mai raggiunta; si sa che non tutti i pazienti attivano o sviluppano le capacità di “coping” (capacità di far fronte alla malattia, di adattamento). Le reazioni di negazione, di rivolta, di angoscia, di rassegnazione che tutti provano in momenti diversi sono il più delle volte alla base della mancata adesione alle prescrizioni. Un ulteriore fattore che lascia presagire una difficoltà nel mettere in atto i consigli del medico è la presenza nel paziente di un locus of control (attribuzione causale) esterno; molte persone, infatti, non assumono la responsabilità di gestione della propria malattia ed attribuiscono ad altri o a fattori esterni le ragioni della propria condizione: “è Dio che ha voluto che io abbia questa malattia”, “è perché mia madre è obesa che anche io sono obeso”,…). La mancanza di “ compliance” porta nei pazienti cronici all’insorgere precoce delle complicanze ed al manifestarsi di crisi ripetute che li inducono a ricorrere frequentemente ai Pronto Soccorso degli Ospedali ed ai medici del territorio e ad effettuare reiterati ricoveri (i ricoveri per malattie croniche rappresentano più del 75% del totale dei ricoveri ospedalieri) ed assenze dal posto di lavoro o da scuola. La gestione e la cura di queste malattie è diventata quindi estremamente costosa per Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
i Paesi e per le loro istituzioni sanitarie. L’inappropriata gestione della malattia da parte dei pazienti ingenera molto spesso anche problemi gestionali all’interno delle strutture sanitarie: sovraffollamenti nelle strutture che accolgono le urgenze, liste d’attesa interminabili presso gli ambulatori di medicina specialistica… L’ Educazione Terapeutica del Paziente
Allo scopo di migliorare la compliance dei pazienti cronici e la loro soddisfazione nei confronti delle prestazioni di cura, in molti Paesi europei si mettono oggi in atto in diversi contesti sanitari programmi di educazione terapeutica del paziente. Il personale sanitario è solito dichiarare di effettuare interventi di educazione terapeutica; informazioni trasmesse oralmente o per iscritto e consigli di prevenzione sono di fatto offerti ai pazienti dai professionisti della salute in diverse occasioni. Non equivalgono, però, ad un intervento di educazione terapeutica del paziente. Informare non è educare. Se l’informazione si traduce nel trasferimento di informazioni dal curante al paziente, l’educazione comporta il trasferimento di competenze, un “passaggio” di valori, abilità, capacità. L’acquisizione di competenze mediche ha per il paziente un’importanza vitale perchè viene messo in grado di salvarsi nelle situazioni crisi che si possono spesso verificare quando si è affetti da una malattia cronica. In questo senso l’educazione ha un’azione realmente terapeutica. Il legame stretto tra l’educazione e la sua natura terapeutica è sottolineato dalla definizione di questa pratica che viene più frequentemente adottata e che è stata formulata nel 1996 da un gruppo di esperti dell’OMS-Europa. L’ETP è « un processo che dovrebbe permettere ai pazienti di acquisire e mantenere le capacità e le competenze che li aiutano a convivere in maniera ottimale con la loro malattia. Si tratta, di conseguenza, di un processo permanente, integrato alle cure e centrato sul paziente. L’educazione implica delle attività organizzate di sensibilizzazione, informazione, apprendimento, autogestione e sostegno psicologico concernenti la malattia, il trattamento prescritto, le cure, l’ambiente ospedaliero di cura, le informazioni sull’organizzazione e sui comportamenti di salute e di malattia. Si prefigge di aiutare i pazienti ed i loro familiari a comprendere la malattia ed il trattamento, collaborare con il personale sanitario, vivere in maniera più sana e 19
mantenere o migliorare la propria qualità di vita.» (Therapeutic Patient Education, Report of the WHO Working Group, 1998) Si tratta di un processo permanente perché come ogni forma di educazione, non può considerarsi concluso dopo un periodo limitato; ad una formazione iniziale, infatti, seguono i follow up e le riprese educative finalizzate a rinforzare le conoscenze acquisite, integrarle e modificarle quando la comunità scientifica stabilisce cambiamenti nei protocolli terapeutici o introduce nuove tecniche di autocontrollo e di trattamento. Si tratta di sviluppare nei pazienti le capacità di autogestione delle quali fanno parte le capacità di autocura (ad es: capacità di adattare le dose dei farmaci, di realizzare gesti di cura, far fronte alle urgenze,…) e di adattamento (sono le competenze psicosociali: capacità di gestire le emozioni e lo stress, di far uso di competenze comunicative, di far uso della riflessione critica,…). L’educazione è parte integrante della terapia, fa parte del percorso di cura (come si evince dall’espressione stessa “educazione terapeutica del paziente”) e come la terapia va adattata all’evoluzione della malattia ed allo stile di vita del paziente; fa parte quindi della presa in carico a lungo termine e deve essere pianificata, organizzata e valutata. Non si tratta quindi di mettere in atto un atteggiamento educativo, ma di realizzare programmi di educazione basati su un approccio sistemico, che prevedono il susseguirsi di fasi: la diagnosi educativa, la negoziazione del contratto, la pianificazione di tutti gli aspetti del programma (luoghi, tempi, metodi di apprendimento e di valutazione, destinatari e formatori) e la sua valutazione. Tale processo, centrato sul paziente, prende in considerazione tutti i fattori e gli elementi che lo riguardano; già nella fase della diagnosi educativa si indaga infatti sulle sue condizioni bio-cliniche (cosa ha, quali sono i problemi di salute connessi alla sua malattia che possono influenzare l’apprendimento) e psico-sociali (chi è, cosa fa: qual’ è il suo ambiente familiare e sociale, il suo vissuto della malattia, la sua capacità di coping, il suo locus of control, quali le sue credenze e rappresentazioni che possono ostacolare l’apprendimento quando si crea un conflitto cognitivo e che condizionano i comportamenti -, i suoi bisogni oggettivi e soggettivi); si esplorano anche le conoscenze del paziente sulla malattia e sul trattamento (cosa sa) e ci si interroga sui suoi progetti. I progetti sono infatti una fonte di motivazione ad apprendere - e si sa, la motivazione è alla base
educazione terapeutica dell’apprendimento; la persona è solitamente motivata ad acquisire le competenze che possono indurla a realizzare un progetto (es.:un viaggio,…). Anche nella valutazione l’ETP tiene conto di vari aspetti che concernono il paziente: considera le sue trasformazioni sul piano bio-clinico (variazioni del ritmo cardiaco, del tasso glicemico,…) e psico-sociale (adesione al trattamento, evoluzione della stima di se,… ) ma anche gli effetti sul piano economico dell’educazione (numero di ospedalizzazioni, assenteismo dal posto di lavoro,…). In ETP la valutazione è quindi multifattoriale e considera sia il processo che il risultato (le trasformazioni ottenute ed il processo educativo che ha portato al risultato). La definizione dell’ETP evidenzia l’importanza di rendere la malattia ed il trattamento intellegibili al paziente; la comprensione da parte del paziente dei meccanismi fisiopatologici della malattia, degli effetti del trattamento e delle sue controindicazioni favorisce, infatti, la sua adesione al trattamento. L’OMS sottolinea inoltre che l’ETP concerne la vita quotidiana e l’ambiente psicosociale del paziente e pertanto coinvolge le famiglie e le persone vicine. Infatti, alcune attività previste dai programmi di educazione sono di solito rivolte anche ai familiari del paziente o a persone che fanno parte del suo entourage. D’altra parte non avrebbe senso educare, ad esempio, un paziente obeso che non cucina i suoi pasti e non acquista gli alimenti senza aver educato anche chi in casa di solito svolge queste mansioni. Una ulteriore peculiarità dell’ETP è infine la sua natura multiprofessionale, interdisciplinare ed intersettoriale. Sempre secondo le indicazioni dell’OMS, l’educazione deve essere realizzata da operatori sanitari formati all’educazione. È necessario pertanto prevedere una formazione di base all’ETP ed una formazione continua, che mettano il personale sanitario in grado di acquisire le competenze didattiche che lo trasformeranno da curante in educatore-curante (d’Ivernois JF, Gagnayre R, Educare il paziente, (a cura di) Albano MG, Sasso L., McGraw Hill, 2006). Questo è infatti, il suo ruolo quando tratta con pazienti cronici: portarli a curare se stessi, senza sostituirsi ai curanti, ma collaborando nella gestione della terapia grazie alla loro nuova condizione di “pazienti esperti”. Si sa oggi che, anche se non si può evitare l’evoluzione della malattia cronica, si può, grazie ad una buona autoge-
stione del trattamento prescritto, ritardare la comparsa delle complicanze e favorire il verificarsi delle crisi ad intervalli più distanziati. Tutte le caratteristiche sopra citate (processo continuo, integrato alle cure, centrato sul paziente, che coinvolge i suoi familiari, organizzato, scientificamente fondato (su raccomandazioni professionali, sulla letteratura scientifica pertinente, sul consenso tra professionisti)rispettoso dei principi dell’apprendimento, basato su un rapporto di partneriato tra curanti e paziente e valutato nelle sue dimensioni biomedica -psico-sociale – pedagogica, realizzato da una equipe multiprofessionale formata all’ETP) sono presenti in una ETP che risponda a criteri di qualità. L’ETP: contesti e campi di applicazione
Se l’Educazione Terapeutica del Paziente è un’attività ormai regolarmente condotta dalle equipes dei reparti di molti contesti sanitari dell’Europa del Nord (medicina di famiglia, specialistica, ospedaliera), in Italia esistono sinora solo alcuni programmi in alcune UO (ad es: Ospedale di Padova, Verona…) e centri di riabilitazione di Ospedali (es: Udine), e sono per lo più rivolti a pazienti diabetici, con problemi cardiovascolari o di asma. I programmi educativi si applicano oggi in altre Nazioni a diverse patologie croniche. A: - malattie quali l’insufficienza renale cronica, la bronchite cronica, l’asma, le malattie cardio-vascolari, il cancro, il diabete, le malattie handicappanti quali la sclerosi a placche - malattie rare quali la mucoviscidosi, le miopatie, l’emofilia - malattie trasmissibili quali l’AIDS e l’epatite C - turbe mentali di lunga durata (depressione, Parkinson, epilessia, schizofrenia,…), al dolore cronico o alle conseguenze di interventi chirurgici quali le stomie . Contrariamente agli interventi riabilitativi, finalizzati al recupero di funzioni perse ed alla messa in atto di comportamenti tesi a questo scopo, l’ETP è un processo che consente al paziente di utilizzare al meglio le risorse che già o ancora possiede (fisiche, psichiche, sociali) e di applicare le competenze acquisite per evitare crisi e complicanze. L’educazione nei diversi contesti di cura è indubbiamente difficile a causa dell’eterogeneità dei pazienti, della diversità della 20
loro realtà socio-professionale, della loro differente motivazione e capacità ad apprendere; per queste ragioni l’ETP necessita di una pedagogia specifica centrata sulla singola persona malata. Anche se le attività sono per lo più svolte in piccoli gruppi omogenei per età e patologia, l’attenzione è rivolta ad ogni singolo paziente e spesso, interventi educativi individuali sono effettuati per far raggiungere ai pazienti obiettivi specifici. L’educazione in gruppo è consigliata perché i gruppi consentono di condividere l’esperienza e le conoscenze sulla malattia, facilitano l’apprendimento. Gli esiti delle ricerche in Educazione Terapeutica del Paziente
La questione che riguarda gli esiti dell’ETP è stata affrontata da diversi studi che hanno evidenziato nei pazienti educati una riduzione dell’ ansia e della depressione ed un miglioramento della qualità di vita, dell’immagine di se, del sostegno familiare e sociale (una maggiore partecipazione a gruppi di automutuoaiuto; alle reti internet di pazienti - e-communities; un aumento dei pazienti educatori), un miglioramento del coping, del sentimento di self efficacy, delle rapprensentazioni di salute ed il passaggio da un locus of control esterno ad locus of control interno (es: posso ritardare la comparsa delle complicanze, dipende da me). E’ stato inoltre dimostrato che, grazie all’educazione terapeutica del paziente, si possono diminuire le crisi (ad es.: di asma, ipoglicemiche), le complicanze, le ospedalizzazioni ed il ricorso alle urgenze. Inoltre l’adesione al trattamento risulta migliore in seguito alla partecipazione ad attività educative. L’analisi della letteratura mette in evidenza anche un cambiamento significativo: infatti, se fino ad una decina di anni fa l’esito dell’educazione veniva legato ad un miglioramento dei parametri bio-clinici (risultati del controllo della glicemia, valori della pressione arteriosa,…) e gli studi definivano come un successo o un fallimento l’intervento educativo a seconda dei suoi effetti sulle condizioni cliniche dei pazienti, oggi le ricerche considerano come ormai ampiamente provato l’effetto positivo dell’educazione e prestano quindi attenzione ad alcuni fattori o problematiche che la accompagnano. Un problema di grande attualità riferito all’ETP è, ad esempio, l’accessibilità dei programmi; l’ETP, come ogni forma di educazione è un diritto di tutti i Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
educazione terapeutica pazienti che spesso si trovano di fronte a barriere difficili da sormontare. Le strategie di superamento delle barriere all’educazione sono oggi oggetto di discussione e di riflessione da parte degli autori di lavori che trattano di ETP su riviste mediche. Inoltre, nel realizzare l’analisi dei risultati dell’educazione le pubblicazioni degli ultimi anni prendono in esame parametri (psicosociali) sulla base dei quali evidenziano cambiamenti significativi. La crescita, nel corso degli ultimi anni, del numero di pubblicazioni sull’educazione di paziente indica una corrispondente crescita dell’attenzione prestata dalla comunità scientifica a questa attività, che peraltro si attiene sempre più frequentemente alle indicazioni dell’OMS come dimostrano gli studi sul tema. Questi sono per la maggior parte di tipo descrittivo e pre-sperimentale e pochi sono ancora oggi gli studi randomizzati controllati ed anche meno le metaanalisi, forse per la difficoltà incontrate dai ricercatori nell’applicare alle esperienze educative i modelli dei protocolli usati per
la ricerca bio-farmacologica. Infatti, l’ETP non è paragonabile all’applicazione di una terapia: determina modificazioni psico-cognitive, sollecita la potenzialità dei pazienti di cambiare comportamenti; è un processo multifattoriale complesso che non indica con nessuna certezza quando e come questo cambiamento avrà luogo. Prospettive dell’Educazione Terapeutica del Paziente
È stato già sottolineato che l’ ETP si sostanzia nella trasmissione di competenze relative alla gestione della malattia, dal curante al paziente. In realtà l’ETP è molto più di questo: rappresenta una rivoluzione del modo curare e crea un cambiamento sostanziale dei ruoli rispettivamente del curante e del paziente. Per la prima volta nella storia della medicina l’educazione diventa un modo per curare; l’attenzione che il personale sanitario presta non solo agli aspetti bioclinici della malattia, ma anche ai suoi effetti sulla vita sociale e psichica, sulla gestione delle sue
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risorse materiali ed economiche trasforma la relazione in una cura per il paziente; la relazione stessa diventa quindi terapeutica. Inoltre, se da un lato il medico impara a curare attraverso l’educazione (ed il suo nuovo ruolo si caratterizza proprio per l’essere diventato “educatore curante”), dall’altro il paziente, non più oggetto di cura, diventa soggetto della cura ed impara ad applicare alla vita quotidiana nozioni mediche a volte anche complesse (e diventa quindi “paziente esperto”). Per il medico l’ETP comporta non solo una variazione del modo di curare, ma anche un cambiamento del modo di considerare e di organizzare il proprio lavoro: si tratta di dedicare un tempo alla cura medica ed un tempo all’attività educativa. Nella certezza che la riuscita è nel tempo e non nell’immediato, il curante non attende che la soddisfazione derivi dal risultato, ma ripone le sue aspettative di successo nel processo stesso. È nel corso del processo educativo che potrà osservare risultati di natura ed entità diversa: cambiamento di stile di vita, di comportamento.
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terapia
L’Iperidrosi. Indicazioni e limiti dei trattamenti terapeutici Una condizione che può avere effetti negativi sulla qualità di vita e causare sofferenza psicologica nella vita privata e professionale a cura della redazione
L
’iperidrosi - o sudorazione eccessiva - interessa circa il 3% popolazione, si localizza prevalentemente nelle zone in cui il numero delle ghiandole sudoripare è più elevato come le mani, ma può manifestarsi, anche nei piedi, nelle ascelle e nel viso. Si manifesta soprattutto durante la veglia, particolarmente in concomitanza di particolari azioni o stati emotivi. Riguarda in uguale misura maschi e femmine. Ci sono diverse possibilità di intervento per risolvere l’iperidrosi. Nei casi di iperidrosi secondaria la terapia è rivolta a risolvere la condizione patologica responsabile del disturbo ( ipertiroidismo, obesità ecc.) Per l’iperidrosi essenziale, invece, fino a non molti anni fa la terapia si basava essenzialmente sugli “antitraspiranti” a base di cloruro di alluminio. Nei casi di iperidrosi primaria senza causa nota le possibilità sono diverse:
botulinum, in grado di bloccare la secrezione del sudore da parte della ghiandola sudoripara. Tale effetto viene determinato dall’ inibizione del rilascio acetilcolina, dalle terminazioni nervose presinaptiche, con conseguente arresto dell’impulso nervoso responsabile della stimolazione della ghiandola sudoripara. Consiste nella effettuazione di numerose microiniezioni, nelle zone in cui è presente una eccessiva sudorazione. Agisce bloccando la sudorazione per 4-5 mesi. Questo intervento consente la soluzione del problema per un periodo di tempo variabile fra i cinque e gli otto mesi, dopo di che la sudorazione si ripresenta gradualmente per tornare alle quantità iniziali. E’ necessario dunque ripetere il trattamento una volta l’anno. Circa il 5-10% dei pazienti trattati con questo tipo di intervento non risponde alla terapia, che può essere ripetuta con dosaggi più elevati La zona più utilizzata è la zona ascellare, mentre è sconsigliato il trattamento della zona palmo-plantare per gli effetti collaterali comportati: dolorosità, debolezza muscolare, diminuzione temporanea della sensibilità. L’uso ripetuto del trattamento determina una degenerazione definitiva della sinapsi nervosa. Vi sono alcuni svantaggi: il costo elevato; il dolore al trattamento con iniezioni; possibilità di
1) Farmacoterapia
Non esistono farmaci specifici contro l’iperidrosi. La cura farmacologica consiste nell’utilizzo di sedativi che aiutano a ridurre lo stato ansioso e dunque, indirettamente, l’iperidrosi. 2) Ionoforesi
E’ una tecnica che consiste nell’applicare una corrente di bassa intensità tramite un generatore di corrente continua, alle palme o alle piante dei piedi, immersi in una soluzione elettrolitica. La corrente ottura i condotti delle ghiandole sudoripare per un certo periodo di tempo. Il trattamento deve essere ripetuto più volte alla settimana per circa 30 minuti. Questo metodo può essere considerato alternativo agli antitraspiranti. E da utilizzare nelle forme di lievemedia entità. 3) Microiniezioni con tossina botulinica
E’ un trattamento molto utilizzato per la cura dell’iperidrosi. Consiste nell’utilizzo della tossina del batterio Clostridium Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
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terapia non responder alla terapia; transitoria ipostenia transitoria dei muscoli della mano. Il trattamento con tossina botulinica rappresenta la terapia di elezione per l’iperidrosi ascellare primaria che non risponde ai traspiranti. I comuni effetti indesiderati dopo somministrazione di tossina botulinica sono stati: dolore al sito d’iniezione ed emorragia, sudorazione in altre parti del corpo, sintomi simil-influenzali, cefalea, febbre, prurito ed ansia. L’incidenza di effetti indesiderati è risultata compresa tra il 3 ed il 10%. In uno studio di 207 pazienti di età tra i 17 e i 74 anni che presentavano una persistente iperidrosi ascellare primaria bilaterale la percentuale di risposta è stata del 96,1% contro il 34,7% dei pazienti trattati con placebo (Naumann M et al 2003). Prima di sottoporsi al trattamento per iperidrosi ascellare primaria, i pazienti in ogni caso dovrebbero essere valutati per escludere la presenza di iperidrosi secondarie. 4) Simpatectomia
E’ un intervento utilizzato per risolvere l’iperidrosi delle mani e delle ascelle. Si esegue con l’intento di interrompere definitivamente il passaggio dello stimolo nervoso alle ghiandole sudoripare. Consiste nella sezione della catena del sistema nervoso simpatico che decorre dall’alto in basso all’interno della gabbia toracica, in vicinanza dell’articolazione tra le costole e le vertebre. Vi sono due modalità di intervento: a. Simpaticectomia percutanea: si esegue
sotto controllo TC introducendo un ago nello spazio tra le scapole per arrivare nelle vicinanze della catena del simpatico che
viene poi lesionata mediante coagulazione o iniezione di sostanze ( alcooll o tossina botulinica). I vantaggi della tecnica risiedono nella velocità e ridotta invasività, mentre lo svantaggio è rappresentato dalla minore precisione rispetto alla tecnica toracoscopica con maggior rischio di causare lesioni ad altre strutture nervose. (Simpaticectomia bilaterale Videotorascopica): rappresenta la tecnica più utilizzata di prima scelta messa a punto negli ultimi anni che consente un risultato positivo in circa il 98% dei casi, in particolare dell’iperidrosi palmare e ascellare. E’ una tecnica mini-invasiva che si avvale di una speciale cannula per intervenire sulla catena del simpatico. I sistemi sono due: il nervo e/o i gangli vengono divisi e/o coagulati con l’elettrobisturi o il laser, oppure la neurocompressione o “clamping”: in questo caso la capacità del nervo di trasmettere segnali viene bloccata da una o più graffette (“clip”) di titanio. Quest’ultima tecnica, ha il vantaggio della reversibilità nelle prime settimane postoperatorie. Il decorso postoperatorio è rapido, con un recupero entro le 24 ore. L’intervento in toracoscopia eseguito in anestesia generale è gravato da un tasso di complicazioni estremamente ridotto (circa 1%). b. Simpaticectomia toracoscopica
Le complicanze sono: - Sudorazione compensatoria: E’ molto frequente (60-80%). Si manifesta con l’aumento della sudorazione in altre sedi come il tronco e le cosce. In genere è ben tollerata. Solo nell’1-2% dei casi
Bibliografia
può essere disturbante; - Pneumotorace residuo: dovuto alla mancata fuoriuscita dell’anidride carbonica utilizzata per far collassate parzialmente il polmone. Generalmente essa non crea problemi clinici e non richiede trattamento, riassorbendosi progressivamente in modo spontaneo; - Emorragia: evenienza rarissima che viene comunque controllata durante la procedura stessa; - Sindrome di Horner: questa complicanza è causata dalla lesione del primo ganglio della catena simpatica. È una complicanza molto rara che tende a scomparire spontaneamente entro qualche settimana; - Recidiva dell’iperidrosi: è molto rara (circa 1%) e può essere immediata o tardiva (dopo alcuni mesi o anni). Se la recidiva è immediata, la causa è dovuta ad un intervento non perfettamente riuscito, se è tardiva é dovuta alla ricrescita del nervo o alla attivazione di nuove vie nervose simpatiche; - Iperidrosi gustativa: si presenta con crisi di sudorazione al viso quando si mangiano alcuni tipi di alimenti. 5) Sonda ad ultrasuoni
E’ un’intervento che viene praticato per la sudorazione ascellare. Si utilizza una sonda ad ultrasuoni per distruggere una parte delle ghiandole sudoripare ascellari, ghiandole che successivamente vengono rimosse. I risultati sono buoni. Può accadere che le ghiandole rimaste nel cavo ascellare stimolate dal sistema nervoso aumentino la loro produzione di sudore. Questo aumento d ella sudorazione può avvenire anche dopo due anni dall’intervento.
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clinica
L’OSAS in pediatria: monitoraggio polisonnografico e nuovi protocolli diagnostici e terapeutici La registrazione polisonnografica notturna consente di definire la diagnosi dei disturbi respiratori nel sonno e di instaurare un corretto approccio terapeutico Giuseppe Carbonara1, Giuseppe Spinazzola1 Egisto Scalini2, Maria Silletti2, Mariano Manzionna2 2
L
a Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno (OSAS) è un disturbo respiratorio che si verifica nel sonno ed è caratterizzato da prolungati episodi di parziale e/o completa ostruzione intermittente (apnea ostruttiva) delle alte vie aeree che disturbano l’architettura del sonno e la ventilazione notturna. L’OSAS interessa bambini di tutte le età. La prevalenza dei disturbi respiratori del sonno in età prescolare e scolare varia ampiamente dal 3.2% al 12.1% per il russamento abituale e dall’1.1% al 2.9% per l’OSAS. Le manifestazioni cliniche sono rappresentate più frequentemente da russamento notturno abituale e da episodi di apnea e di ipopnea. Più raramente sono presenti disturbi neurocognitivi e comportamentali. Nei casi più gravi le complicanze possono includere ritardo della crescita, disturbi
1 U.O.C. di Otorinolaringoiatria U.O.C. Pediatria e Neonatologia P.O. Monopoli – Conversano (BA)
neurocognitivi, ipertensione polmonare ed ipertrofia ventricolare destra. Nella patogenesi dell’OSAS l’importanza dell’ipertrofia adeno-tonsillare, soprattutto nella prima decade di vita, è ampiamente documentata in letteratura. Il picco di massima incidenza dell’OSAS si verifica tra 3 e 6 anni: in tale fascia di età le tonsille palatine e le adenoidi sono particolarmente voluminose in rapporto al calibro delle vie aeree superiori. La stenosi che ne deriva favorisce il collasso delle pareti e determina il processo che porta al russamento ed all’OSAS nei casi più gravi. Nelle forme più gravi di OSAS il corteo sintomatologico, i segni obiettivi, i rilievi comportamentali indirizzano facilmente alla diagnosi, la cui gravità va comunque confermata con dati strumentali. Più complessa è la diagnosi delle forme di lieve-
media entità, soprattutto nei bambini più piccoli, che tuttavia possono celare quadri clinici gravi, a rischio di complicanze. L’esame clinico del bambino non è sicuramente agevole e può risultare difficoltoso e complesso quando non è in causa la più comune eziopatogenesi, l’ipertrofia delle strutture linfatiche rino ed orofaringee. In questi casi è fondamentale un approccio multidisciplinare per la ricerca di disturbi neurologici centrali e periferici o di altre possibili cause di ostruzione (malformazioni dentofacciali o craniofacciali). Tale modalità di osservazione è comunque auspicabile anche in situazioni di più semplice eziopatogenesi, in quanto talora ad una evidente causa possono concorrere fattori secondari che vanno comunque diagnosticati e trattati al fine dell’ottimale risoluzione della sindrome. L’esame ORL prevede, dopo valutazione allergo-pneumologica pediatrica mediate prick tests e spirometria, e dopo l’esame rinoscopico anteriore ed orofaringoscopico, anche l’esame fibroscopico delle vie aeree superiori. Quest’ultimo esame è effettuato con rinofaringoscopio flessibile con diametro distale di 3.2 mm o di 2.4 mm collegato a microtelecamera digitale, computer e monitor e consente la visione delle vie aeree superiori e la registrazione digitale delle immagini salienti rino- ed orofaringee. I disturbi respiratori nel sonno in età pediatrica trovano il loro gold standard diagnostico nella polisonnografia. Con questo termine si intende comunemente la registrazione contemporanea ed in continuo durante la notte di alcuni parametri funzionali atti a definire gli eventi cardiorespiratori, in relazione alle varie fasi del sonno.
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clinica Specificatamente per la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno si utilizzano apparecchiature miniaturizzate che consentono monitoraggi cardiorespiratori ridotti o completi, a 4, ad 8, 16-21-32 canali, con o senza la registrazione EEG. Il monitoraggio cardiorespiratorio “ridotto” comprende un canale per l’ECG, l’ossimetria (la saturazione di ossigeno è monitorata mediante pulsiossimetro), il posiziostato (un sensore di posizione) ed uno a scelta per il flusso oro-nasale (mediante cannula o “termistore”) o per il rumore. Nel cardiorespiratorio completo si aggiunge la registrazione dei movimenti toracoaddominali (mediante pletismografia ad impedenza od induttanza), ed in casi selezionati degli arti inferiori (mediante sensori), oltre al flusso oro-nasale ed il rilevamento del rumore (mediante microfono). L’interpretazione dei dati polisonnografici e la conseguente refertazione deve essere eseguita mediante stadiazione manuale: non sono ritenute sufficienti ed attendibili diagnosi basate sullo score automatico degli eventi. Risulta fondamentale richiamare l’attenzione sui principali parametri interpretativi: AHI, ODI, tempo trascorso con sat<90%. Si intende per AHI (ApneaHypopnea Index) l’indice di apnea-ipopnea: sono conteggiati gli eventi ipopneici ed apneici per ora di sonno; l’ODI (Oxygen Desaturation Index) esprime il numero di eventi di desaturazione (>3-5%) che si sono verificati in un’ora di sonno; il tempo trascorso con saturazione <90% infine viene considerato l’indicatore più fedele del grado di compromissione della ossigenazione notturna. Per una corretta interpretazione è opportuno valutare l’eventuale associazione con patologie pneumologiche. Si intende “APNEA OSTRUTTIVA” l’evento respiratorio caratterizzato da riduzione di flusso aereo >70% associato a sforzo respiratorio e respiro paradosso del torace
ed addome. Si considera NON FISIOLOGICO IN ETÀ PEDIATRICA: • un indice di apnea ostruttiva (numero di apnee per ora di sonno) >1; • un indice di apnea-ipopnea > 1,3 eventi/ ora. Si considera PATOLOGICO: • un indice di apnea-ipopnea > 5 eventi/ ora; • un ODI > 2/ora; • una desaturazione < 90%. Terapia
Il trattamento più comune dell’OSAS in età pediatrica è l’intervento di tonsillectomia, di adenotomia e di adenotonsillectomia, i cui risultati sono eccezionali quando l’indicazione all’atto chirurgico deriva dalla corretta valutazione clinica e polisonnografica del caso. Abbastanza soddisfacenti si sono dimostrati i risultati dell’intervento anche sulle complicanze dell’apparato cardio-circolatorio. Da non sottovalutare i rischi postoperatori, soprattutto nei bambini più piccoli (<3 aa) o in bambini con serie compromissioni cardio-respiratorie. Da considerare le possibili complicanze respiratorie nell’immediato decorso postoperatorio (spasmi o gravi edemi laringei, processi broncopneumonici) che richie-
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dono trattamenti di urgenza (intubazione, tracheotomia). Tra le complicanze post-operatorie tardive dell’intervento di tonsillectomia (anche dopo alcuni giorni) la più frequente è l’emorragia che si verifica nel 3% dei casi. Tra le tecniche di recente introduzione la più praticata è la tonsillotomia che consiste non nell’asportazione in toto delle tonsille palatine (realizzato nella tonsillectomia), bensì nell’asportazione parziale del tessuto tonsillare posto medialmente al bordo libero dei pilastri. Attualmente sono anche utilizzate le radiofrequenze che determinano riduzione cicatriziale volumetrica delle tonsille palatine fino al 25% del volume iniziale. Si può concludere affermando che in caso di sospetta OSAS in età pediatrica l’accertamento diagnostico deve essere effettuato mediante registrazione polisonnografica notturna del pattern cardio-respiratorio che rappresenta al momento il gold standard diagnostico attualmente a nostra disposizione. Una precoce diagnosi ed un tempestivo intervento terapeutico è in grado di risolvere in età pediatrica un’OSAS più efficacemente che nell’adulto, di prevenirne le complicanze o, se già manifeste, di migliorare il quadro clinico e di evitare l’evoluzione verso forme cliniche più gravi. Bibliografia a richiesta
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diagnosi precoce
Sindrome del dorso piatto: note cliniche ed eziopatogenetiche Solo una diagnosi precoce permette di intraprendere programmi di trattamento in grado di prevenire o ritardare l’evoluzione della patologia, evitando i disturbi algici e posturali da essa derivanti S. Di Giacinto1, E.M. Fragkakis2, A. Tricarico2 1
Università degli Studi di Siena, U.O.C. Ortopedia Universitaria 2 II Università degli studi di Napoli, II Clinica Ortopedica
I
Introduzione
n letteratura sono carenti gli studi sugli stati di “squilibrio sagittale” del rachide umano, data la minore incidenza delle deformità della colonna vertebrale su tale piano anatomico rispetto alle deviazioni sul piano frontale, consistenti nelle più comuni scoliosi. I pochi riferimenti bibliografici inerenti al dorso piatto (DP), lo considerano soprattutto come una complicanza del trattamento chirurgico delle scoliosi con distrattore di Harringhton 1-8. In realtà molte altre condizioni possono influire sulla conformazione vertebrale, condizionandone l’assetto fino a determinare un quadro di DP. Ne deriva che questa patologia non è solamente una complicanza iatrogena, ma deve essere inquadrata come un’entità nosologica a se stante, con diverse cause eziologiche ma con un comune denominatore biomeccanico e fisiopatologico, che la connotano dunque come una condizione sindromica9. In condizioni fisiologiche, la colonna vertebrale si trova in uno stato di equilibrio e compenso biomeccanico, sia sul piano frontale che sul piano sagittale. In una postura ideale infatti, il baricentro del corpo, che corrisponde al centro di gravità, il punto cioè in cui si applica la risultante delle forze di gravità che agiscono nei diversi punti del corpo umano, è allineato con l’asse rachideo, che è rappresentato da una linea immaginaria che, in direzione cranio-caudale ed in proiezione latero-laterale, interseca approssimativamente il centro della vertebra C5, si posiziona anteriormente alla cifosi dorsale ed interseca il centro della vertebra L3. Prolungando in direzione craniale e caudale l’asse rachideo, si disegnerà la così detta linea o asse di Barrè, che rappresenta la direzione ideale lungo la quale agisce la forza di gravità. Tale equi-
librio è mantenuto grazie alla presenza dei fisiologici angoli delle curve vertebrali sul piano sagittale, dall’angolo d’inclinazione del bacino e dall’angolo lombo-sacrale, che quando modificati rispetto ai parametri fisiologici danno luogo a stati di squilibrio biomeccanico-posturale. Una diminuzione dell’angolo di curvatura della lordosi lombare (<45°età adulta e < 20° in età evolutiva, misurando tali angoli su una radiografia in proiezione latero-laterale con il metodo di Cobb), determina una condizione di squilibrio biomeccanico del rachide. A questa diminuzione lombare può associarsi una diminuzione della fisiologica cifosi dorsale (<25° in età adulta e <15° in età evolutiva), che può rappresentare un compenso biomeccanico dell’ipolordosi lombare, ma che può essere in determinate condizioni (DP iatrogeno post-ortesico,) il primum movens della patologia. Nella tabella qui a lato (tab.1) si riportano le diverse eziologie della Sindrome del Dorso Piatto da noi individuate. Il quadro sintomatologico della Sindrome del Dorso Piatto risulta essere tanto più ricco quanto più è grave il grado di ipolordosi lombare e/o di ipocifosi dorsale. Questi pazienti potrebbero riferire: rigidità, rachialgia, principalmente in regione dorsale alta e lombare bassa, coxalgia, gonalgia, dolenzia nella parte anteriore delle cosce, espressione della postura innaturale di questi soggetti e dello stato di affaticamento muscolare. Spesso questi pazienti, riferiscono difficoltà nel passare dalla posizione assisa a quella ortostatica e l’inverso. Inoltre, lamentano facile stancabilità e difficoltà nel mantenere a lungo la posizione ortostatica, determinata dal sovraccarico funzionale della colonna che è costretta lavorare in condizioni biomeccanicamente sfavorevoli. 28
Le rachialgie spesso sono da imputarsi anche a fenomeni osteodegenerativi. In particolare i pazienti affetti da DP presentano una maggiore incidenza di “ernia/noduli di Schmorl” o ernia intraspongiosa[22],[23]; l’ipolordosi lombare e\o l’ipocifosi dorsale aumenta lo stato di parallelismo delle limitanti vertebrali, causando, assieme alla maggiore rigidità dell’intero sistema biomeccanico, una maggiore compressione assiale a carico dei nuclei polposi. Infine, in pazienti di sesso femminile, quando la patologia raggiunge quadri abbastanza importanti, si possono presentare fenomeni di dispareunia, dovuti all’alterazione del fisiologico angolo di antiversione dell’utero e dei suoi rapporti con la cervice uterina. L’esatab. 1
CAUSE MAGGIORI Distrattore di Harringhton; Utilizzo del corsetto di Milwaukee 10, 11; Atrofia dei m. estensori lombari (postura accovacciata) 12, 13; Iperlassità legamentosa associata a ipotonia paravertebrale (bambini astenici) 14, 15; Fisiologiche modificazioni rachidee dell’età puberale (maggiore predisposizione femminile); Spondilite anchilosante 16; Recidiva pseudoartrosica post- trattamento chirurgico 17, 18, 19, 20 Diminuzione dell’ angolo sacrale
CAUSE MINORI Degenerazione senile dei dischi intervertebrali [21] Contrattura dei m. flessori, ipotonia dei m. estensori del cingolo coxofemorale
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diagnosi precoce me clinico deve essere rivolto al paziente nel suo insieme. E’ necessario quindi avere una visione globale del soggetto, a dorso nudo, posto in posizione ortostatica indifferente, ispezionato sul piano frontale e sagittale. Nell’esame clinico si deve valutare: atteggiamento dei piedi, l’allineamento degli arti inferiori, l’assetto sul piano sagittale e frontale del bacino, la simmetria dei fianchi, la conformazione dell’ l’addome, il rachide nel suo insieme, l’eventuale disarmonia del torace, la posizione delle spalle e del capo. Altre considerazioni comprendono: deambulazione ed eventuale deviazione dell’asse dell’equilibrio; riflessi osteo-tendinei; tonicità dei muscoli addominali e paravertebrali (muscoli agonisti e antagonisti); flesso-estensione delle ginocchia; grado di antiversione-retroversione della pelvi (in posizione neutra, in iperestensione e clinostatica prona); eventuale dolore alla percussione delle apofisi spinose. Il test clinico di maggiore sensibilità è rappresentato dalla valutazione della distanza che intercorre tra le curve rachidee (cervicale, dorsale e lombare) ed un piano d’appoggio rigido posizionato posteriormente al paziente, che si pone in ortostasi poggiando capo, dorso e glutei. Nel soggetto con DP tale distanza sarà: normale/diminuita a livello cervicale (<25mm, in caso di associazione con retti-
linearizzazione cervicale), fortemente diminuita a livello dorsale (<20mm), fortemente diminuita a livello lombare (<20mm). Una misurazione equivalente sarà ottenuta con l’ausilio del filo a piombo. All’ispezione un paziente con DP potrebbe presentare alcuni o tutti dei seguenti segni: diminuzione o perdita della fisiologica lordosi cervicale e talvolta inversione della curva; collo in atteggiamento di iperestensione; diametro toracico antero-posteriore diminuito, “torace a sogliola” (talvolta alterazione della funzione respiratoria per diminuzione della capacità polmonare); tronco inclinato in avanti; scapole alate; diminuzione della fisiologica lordosi lombare e cifosi dorsale; anche in iperestensione con bacino anteroverso; ginocchia in flessione; piedi in equinismo; alterazione dell’equilibrio (valutato con test di Barany, test di Romberg, prova di Babinski-Weil). La patologia non sempre da luogo a manifestazioni sintomatologiche. Nella forma giovanile infatti essa evolve in maniera pressoché asintomatica, non manifestando nè sintomatologia algica, che ne rappresenta il sintomo più evidente ed invalidante, nè le caratteristiche alterazioni posturali. Sovente infatti essa risulta essere subdola dal punto di vista clinico, potendo dunque essere asintomatica ab initio. In questo caso, ma non solo, va intrapre-
Bibliografia
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sa una prevenzione primaria, intesa come possibilità di fare una diagnosi precoce, rivolta a soggetti facenti parte di categorie a rischio, nei quali l’incidenza di questa patologia risulta essere maggiore rispetto alla popolazione generale. Una diagnosi precoce permette di intraprendere programmi di trattamento in grado di prevenire o ritardare l’evoluzione della patologia,evitando i disturbi algici e posturali da essa derivanti. In un programma di screening preventivo potrebbero essere inseriti: • soggetti trattati chirurgicamente con distrattore di Harrington; • soggetti di età compresa tra i 7-15 anni, con particolare attenzione a quelli di sesso femminile; • categorie professionali particolarmente sottoposte a stress assiali sulla colonna vertebrale (operai che utilizzano martelli pneumatici, gru, scavatori, ecc) o costrette ad atteggiamenti coatti in posizione accovacciata (ciabattini, ecc); • atleti appartenenti a categorie sportive, in cui il gesto atletico sollecita le compressioni assiali sulla colonna (tuffatori, bodybuilders); • soggetti che presentano un angolo di inclinazione sacrale inferiore di 10° rispetto al valore fisiologico di riferimento (30°).
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Pillole di buona pratica medica Quali informazioni bisogna dare alle donne che intendono iniziare l’uso della pillola estroprogestinica (EP)?
Quali sono le raccomandazioni di comportamento nella lombalgia acuta e cronica?
I contraccettivi orali EP sono stati oggetto di valutazioni a lungo termine e sono probabilmente tra i farmaci maggiormente studiati. La loro tollerabilità e sicurezza sono ampiamente provate, specie in relazione ai rischi connessi con una gravidanza indesiderata. Si può affermare che la contraccezione ormonale combinata può essere utilizzata ininterrottamente senza rischi in donne sane non fumatrici, per tutta l’età riproduttiva fino alla menopausa. (Blumenthal 2008).
1) La lombalgia può essere classifica in 3 sottogruppi: lombalgia non specifica (circa 85% dei casi), lombalgia potenzialmente associata a condizioni patologiche a livello vertebrale (stenosi spinale, ernia del disco, frattura vertebrale), lombalgia potenzialmente associata a una causa specifica (neoplasia, infezione, sindrome della cauda equina).
Diverse sono le informazioni da dare: 1) I principali rischi associati all’uso cronico di contraccettivi orali consistono in un aumento della frequenza di tumore al seno (3 casi in più ogni mille donne che fanno uso di contraccettivi orali per 8 anni), al collo dell’utero (2 casi per mille in più) e al fegato (0,7 casi per mille in più). (Burkman 2004) 2) Il rischio di trombosi venosa profonda è molto rara ( 1-2 casi l’anno ogni 10.000 donne) 3) Il rischio aumenta in corso di EP in presenza di fattori individuali (età, precedenti episodi trombotici, familiarità, obesità, trombofilia ) e intercorrenti (intervento chirurgico, immobilità prolungata, traumi, puerperio) Conferenza Nazionale di Consenso Roma, 18-19 settembre 2008.
E’ importante durante la visita valutare eventuali fattori psicosociali che potrebbero portare a cronicizzazione dei sintomi.
2)
Nei casi di lombalgia non specifica non si dovrebbe prescrivere di routine esami radiologici, compresi TAC e RMN, questi dovrebbero essere richiesti solo nei casi con deficit neurologici importanti ed ingravescenti all’esordio oppure se si sospetta una causa potenzialmente grave come una neoplasia, una infezione, una frattura vertebrale o un aneurisma dell’aorta addominale. 3)
4) Per lo studio radiologico della colonna vertebrale la RMN
è preferibile alla TAC.
Il medico dovrebbe istruire il paziente sulla evoluzione spesso spontanea del quadro clinico nel giro di alcune settimane e consigliargli di rimanere attivo nonostante il dolore.
5)
Un paziente giunto ad uno stadio avanzato di una malattia cronica degenerativa dell’apparato respiratorio necessita di ossigenoterapia a lungo termine?
6) Se si prende in considerazione una farmacoterapia que-
La malattia evolvendosi riduce progressivamente la riserva respiratoria, determinando una grave “ipossiemia”. Questo deficit di ossigenazione può essere parzialmente corretto tramite un supplemento di ossigeno somministrato per lunghi periodi. Numerosi studi clinici randomizzati hanno dimostrato che l’ossigenoterapia a lungo termine oltre che ridurre la morbilità e allungare la sopravvivenza dei malati ipossiemici, è in grado di ridurre l’ipertensione polmonare, la policitemia secondaria, la tolleranza allo sforzo e anche lo stato neuro-psichico dei malati. I livelli di ipossiemia necessari per iniziare l’ossigenoterapia a lungo termine sono: Ossigenazione del sangue arterioso inferiore o pari a 55 mmHg. Ossigenazione del sangue arterioso compreso tra 55 e 59 mmHg in presenza di cuore polmonare cronico. Ossigenazione del sangue arterioso maggiore di 60 mmHg in presenza di desaturazione sotto sforzo e / o durante il sonno (in questo caso l’ossigeno viene somministrato limitatamente in tali condizioni). Lo scopo è quello di mantenere l’ossigenazione del sangue arterioso sempre maggiore di 60 mmHg modificando l’entità del flusso di ossigeno respiratorio. Sì.
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sta dovrebbe essere associata alla cosiddetta “back care education”. Ogni farmaco possiede effetti collaterali e non vi sono forti evidenze di un beneficio nel lungo termine. Come farmaci di prima scelta vengono consigliati paracetamolo e FANS. Se la terapia farmacologica e comportamentale non ottiene risultati si può ricorrere ad opzioni non farmacologiche. Per la lombalgia acuta l’unica opzione che si è dimostrata efficace è la manipolazione vertebrale. Per le forme croniche possono risultare efficaci la riabilitazione intensiva multidisciplinare, l’esercizio, l’agopuntura, i massaggi, la manipolazione vertebrale, lo yoga, la terapia comportamentale, il rilassamento. Tuttavia va considerato che il livello di evidenza a favore di queste alternative è di basso grado.
7)
Gli oppioidi e i miorilassanti (per es. benzodiazepine) possono essere utili nelle forme gravi di dolore ma i loro benefici devono essere pesati con i rischi. (American College
8)
of Physicians e l’American Pain Society – Guidelines).
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pratica clinica
I cateteri venosi periferici a breve e medio termine Un accesso venoso in tempi brevi sia in ambiente introspedaliero che extraospedaliero
a cura della redazione
I
l posizionamento di un catetere venoso periferico è procedura che consente di ottenere un accesso venoso in tempi brevi. Viene utilizzato sia in ambito Ospedaliero sia extraospedaliero. Le indicazioni sono: Prelievi ematici, fleboclisi per infusione di farmaci o di liquidi, a scopo preventivo per mantenere una via di somministrazione venosa. Possono rimanere in sede più di 24h e sono ben tollerati. La misura del diametro esterno di un catetere è espressa in french (1 french corrisponde a 3 mm), la misura del diametro interno è indicata in gauge (corrisponde al numero di cateteri che entrano in un cm2), mentre la lunghezza del catetere è espressa in centimetri. I cateteri si possono classificare in relazione al tempo di pemanenza: a breve termine (Abbocath® e Angioset®) sono i cateteri usati in ambito ospedaliero con tempo di permanenza di 3 o 4 giorni, sono cateteri a punta aperta, di teflon con un diametro compreso tra 14 e 24 gauge (fig.1); a medio termine (per esempio Mid Line®), sono cateteri periferici usati in ambito ospedaliero ed extraospedaliero con un tempo di permanenza di 20- 30 giorni (fig. b), possono essere a punta aperta oppure valvolati, di solito sono di silicone o poliuretano, sono lunghi da 20 a 30 cm (la punta può arrivare in vena ascellare o succlavia o comunque in posizione non centrale) e il diametro va da 2 a 6 french. Questo dispositivo, non consente gli utilizzi tipici dei cateteri venosi centrali (CVC) “classici” come sopra indicati. Rimane
pertanto utilizzabile per terapie farmacologiche e nutrizionali compatibili con la via periferica (osmolarità < 800 mOsm/l, pH tra 5 e 9, farmaci non vescicanti e non irritanti per l’endotelio). E’ importante scegliere il catetere in base all’uso che si intende farne, al rischio di complicanze e all’esperienza dell’operatore nell’inserire il catetere. Cateterini periferici a breve termine
I cateterini dotati di agocannula (Fig.1) , sono i più utilizzati in assoluto in quanto: sono semplici da posizionare; l’ago metallico, dopo il posizionamento, viene rimosso e rimane in sede la cannula in materiale semi-rigido, flessibile. Sono presenti sul mercato varie misure di cateterini, dal neonatale (es. G 26) a diametri importanti (es. G 14) per somministrazione di alti flussi di liquidi. Non necessitano di eparinizzazione. Esiste la possibilità di complicanze come le infezioni (minore rispetto ai cateteri venosi centrali) e la comparsa di ematomi e/o stravasi di liquidi da rottura della vena. Se questo si verifica andrà rimosso il catetere provvedendo ad una medicazione compressiva. In alcuni casi risulta difficile, se non impossibile, posizionare il catetere: stato di shock concla-
Fig.1 cateteri periferici a breve termine con agocannula
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mato obesità marcata, mancanza di accesso venoso superficiale da varie causa (paz. neoplastico, tossicodipendente ecc.) Cateteri periferici a medio termine (Mid-Line)
I cateteri Mid Line (Fig.2) sono cateteri in silicone o poliuretano che vengono inseriti nella vena del braccio e dell’avambraccio con la punta del sistema posizionata nella vena ascellare o succlavia. Ci sono cateteri a punta aperta e cateteri valvolati. Non sono indicati per l’infusione di farmaci ipertonici o antiblastici. E’ chiaro che per essere appropriata la scelta deve essere necessario per il paziente la somministrazione di molti farmaci, per tempi brevi. Necessitano di eparinizzazione settimanale con eparina: La concentrazione di eparina minima efficace per mantenere la pervietà di una via è 10 unità/ml. Si consigliano normalmente concentrazioni comprese tra 50 e 500 unità/ml. Le indicazioni da seguire per una corretta medicazione dipendono dal tipo di catetere usato. Quando si usa un catetere Mid Line® la prima medicazione deve essere fatta con garza sterile e cerotto e deve essere sostituita dopo 24 ore con una medicazione trasparente in poliuretano, per poter controllare il sito di inserimento. Le medicazioni successive devono essere rinnovate ogni 7 giorni. Se si utilizzano garza e cerotto la sostituzione deve avvenire ogni 72 ore. Con i cateteri Abbocath® e Angioset® si devono usare medicazioni in poliuretano trasparente per controllare il sito di inserimento. Visto che non si tratta di un Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
pratica clinica
Fig.2 Cateteri a medio termine - Sistemi Mid Line
impianto invasivo come quello del Mid Line® non è necessaria la sostituzione della prima medicazione dopo 24 ore. Quando si utilizza il catetere venoso periferico le medicazioni in poliuretano trasparente sono raccomandate (livello IA) poiché permettono l’ispezione visiva e sistematica del sito di inserimento. Se il paziente suda abbondantemente o il sito di accesso sanguina è consigliabile fare la medicazione con garza e cerotto traspirante, da rinnovare ogni 24 ore (livello II). Se il paziente è intollerante o allergico conviene usare garza e cerotto anziché le medicazioni in poliuretano trasparente anche se il sito di inserimento non ha secrezioni. La medicazione deve essere cambiata ogni 72 ore (livello II). Il sito di inserimento deve essere controllato e palpato ogni 24 ore indipendentemente dalla situazione clinica del paziente e dal momento in cui è stato inserito il catetere, per poter essere pronti a intervenire in caso di complicanze (livello IB). Indicazioni L Catetere Mieline.
Secondo le linee guida CDC un catetere Midline - va rimosso soltanto in caso di complicanza o se la sua permanenza non è più necessaria dal punto di vista terapeutico., inoltre, può essere utilizzato anche in modo discontinuo, senza che ciò venga associato ad una aumentato rischio di ostruzione, ed anche in ambito extra-ospedaliero (day hospital, domicilio, hospice). Numerose sono le indicazioni all’utilizzo del catetere Midline: 1. trattamento endovenoso per più di 10 giorni, particolarmente nei pazienti con scarse vene periferiche 2. terapia endovenosa perioperatoria in pazienti con scarso patrimonio venoso periferico (es. pazienti obesi, farmaco-dipendenti, o affetti da patologie croniche) 3. trattamento antibiotico prolungato per gravi infezioni (endocarditi, osteomieliti, Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
etc); 4. terapia endovenosa in soggetti con vene periferiche esaurite, nei quali il cateterismo venoso centrale comporta rischi proibitivi in termini di complicanze meccaniche immediate (insufficienza respiratoria, turbe della coagulazione) o settiche (immunodepressione e sepsi); 5. terapie cardiologiche endovenose “salvavita” per periodi prolungati (cardiotonici, cardiocinetici, antiaritmici); 6. supporto idroelettrolitico o nutrizionale per più di 10 giorni (pazienti neurologici, decorsi post-operatori complicati, patologie acute condizionanti la non utilizzabilità del tratto gastrointestinale fino a stabilizzazione); 7. accesso venoso temporaneo in soggetti in attesa di definizione di un programma terapeutico definitivo o sottoposti a rimozione di un presidio venoso a lungo termine per complicanze settiche, e per i quali la terapia endovenosa è irrinunciabile (catetere “ponte”). Complicanze dei cateteri periferici
Durante la terapia endovenosa si posso-
no manifestare delle complicanze: flebite, infiltrazione embolia, infezione, reazione allergica. La flebite rappresenta la complicanza più frequente, si manifesta con: dolore lungo la vena, arrossamento ed edema nel punto di infissione. Gli interventi da attuare sono; l’interruzione dell’infusione e l’estrazione dell’agocannula. L’infiltrazione invece si manifesta con edema e gonfiore intorno al punto di inserzione dell’agocannula, anche in questo caso bisogna togliere l’agocannula. L’infezione determina rossore, gonfiore, dolore nel punto di inserzione. L’intervento consiste nel togliere l’agocannula, disinfettare la zona interessata e sottoporre ad analisi batteriologica il catetere. La reazione allergica si presenta con prurito, eruzione locale e/o generale. Si tratta con la riduzione del flusso e il controllo continuo della situazione. Il catetere Midline si inserisce mediante puntura e incannulamento di una vena superficiale del braccio o mediante venipuntura ecoguidata profonda del braccio (v. basilica o vv. brachiali) al terzo medio del braccio.
Bibliografia 1. Registered Nurses Association Ontario. Assessment and device selection for vascular access. Registered Nurses Association Ontario 2004. www.rnao.org/bestpractices. 2. Mazzufero F. Gestione infermieristica degli accessi venosi periferici e centrali. www.gavecelt.info/ uploads/ centrali.pdf 3. Stranz M. A review of pH and osmolarity. International Journal of Pharmaceutical Compounding m2002;6:216-20. 4. Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Linee guida per la prevenzione delle infezioni associate a catetere intravascolare. Giornale Italiano delle infezioni ospedaliere 2002;9:110-37. 5. I quaderni de L’Infermiere, FNC Ipasvi, Roma 6. Procedure, protocolli, linee guida di assistenza infermieristica. C. Spairani, T. Lavalle, ed Masson 7. Intravenous Nurses Society. Infusion nursing standards of practice. Journal of intravenous nursing 8. Registered Nurses Association Ontario. Care and manteinance to reduce vascular access complications. 9. Registered Nurses Association Ontario 2005. www.rnao.org/bestpractices 10. Royal College of Nursing. Standards for infusion therapy. Royal College of Nursing 2005. Anderson N.R. Midline catheters. J Infus Nurs 2004 Sept-Oct; 27 (5):313-321.
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formazione
Corso di formazione specifica in Medicina Generale E’ in fase di completamento la ristrutturazione del Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale della provincia di Foggia
D
al 1° gennaio del 1995, il possesso dell’attestato di formazione in medicina generale, costituisce titolo necessario per l’esercizio della medicina generale, nell’ambito del S.S.N. ai sensi dell’art 48 della legge 23 dicembre 1978, n.833. Tale titolo, in effetti, può paragonarsi ad una vera e propria specializzazione in medicina generale. Il Decreto Legislativo n. 368 del 18 agosto 1999, come modificato e integrato dal Decreto Legislativo 8 luglio 2003 n. 277, recependo disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione dei Medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli, ha istituito e disciplinato il Corso triennale per il conseguimento del diploma di Formazione Specifica in Medicina Generale. La formazione specifica in Medicina Generale, inizia il suo percorso attuazione della direttiva n.86/457, con la quale la CEE invita
gli Stati membri ad ottemperare ai bisogni di formazione non adeguatamente soddisfatti durante il corso di laurea mediante un idoneo tirocinio teorico-pratico finalizzato a migliorare il sistema di erogazione delle cure “primarie” ed a rendere più selettivo il ricorso a strutture specialistiche, con conseguente minor impegno economico per la collettività e miglioramento del livello di benessere dei cittadini. Il Corso ha una durata di 3 anni, si articola in attività formative di natura pratica da svolgersi presso i Presidi Ospedalieri della ASL Foggia, gli Ambulatori di Medicina Generale ed i Servizi Territoriali, e una parte teorica da svolgersi presso l’Ordine Provinciale attraverso Seminari Interdisciplinari. Per la realizzazione di tale parte teorica, articolata in attività seminariali, e di studio guidato e studio finalizzato, è prevista la nomina di Docenti da ricercare nell’ambito
AREA FORMATIVA
DURATA (in mesi)
TOTALE ORE
MEDICINA CLINICA CHIRURGIA GENERALE PEDIATRIA OSTETRICIA PRONTO SOCCORSO MEDICINA EXTRAOSPEDALIERA TUTOR MED. GENERALE
6 3 4 2 3 6 12
800 400 530 270 400 800 1600
TOTALI MESI E ORE
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4.800
Il percorso di ristrutturazione inizia nel 2007 con la definizione di una serie di obiettivi da raggiungere. 1) La costituzione di un programma didattico da seguire per ogni anno di attività; 2) costituzione di un gruppo di docenti compettenti e motivati a dover svolgere i seminari previsti e a prender parte ai gruppi di lavoro; 3) costituzione dei gruppi di lavoro – laboratori, per approfondire argomenti di interesse per la medicina Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
La formazione prevede un totale di almeno 4800 ore, di cui 2/3, pari a 3200 ore, rivolti ad attività formative di natura pratica, e 1/3, pari a complessive 1600 ore, ad attività teoriche, secondo l’articolazione oraria di cui alla tabella seguente:
MONTE ORE ATTIVITÀ DIDATTICA Attività Pratica Attività Teoriche (1/3 del monte ore) (2/3 del monte ore) Integrate Interdisciplinari 530 135 135 270 65 65 350 90 90 180 45 45 270 65 65 530 135 135 1070 265 265
3.200
generale e per la formazione dei futuri medici; 4) la messa in rete di un sito dedicato alla formazione del corso della provincia di Foggia per rendere visibili le varie attività svolte e fungere da punto di collegamento con le altre realtà Italiane.; 5) Iniziare un percorso didattico per la strutturazione delle tesi finali dei medici in formazione. Sono in corso di definizione varie convenzioni con università e istituti di ricerca e in fase 35
della Categoria Medica. Per l’attività di tirocinio pratico da espletarsi presso gli studi dei medici di medicina generale, possono proporsi medici di medicina generale tutor, inseriti in apposito albo provinciale. L’inserimento nell’albo dei tutor avviene dopo aver frequentato un corso propedeutico organizzato dalla regione di appartenenza. I Docenti per i Seminari Interdisciplinari del Corso triennale di Formazione Specifica in Medicina Generale, sono scelti i in base alla valutazione di competenze specifiche inerenti alle aree tematiche del corso.
800
1.600
800
di completamento le aule didattiche di cui una multimediale. Per la prima volta è stato istituito un corso per la guida allo sviluppo della tesi finale con l’intento di far apprendere la metodologia della ricerca in medicina generale. Il percorso è stato lungo e difficile e solo la dedizione e la passione dei colleghi docenti, tutor e medici informazione è stato possibile raggiungere questi obiettivi, e non siamo che all’inizio.
formazione specifica in medicina generale
E’ on-line il sito dedicato al Corso di Formazione Specifica per i Medici della provincia di Foggia foto di incontri conviviali ; nella sezione videogallery è prevista la possibilità di rivedere eventi scientifici o manifestazioni organizzate dal Corso di Formazione Specifica. E’ presente inoltre, una guida alla formazione specifica utile per medici e studenti di medicina che vogliono conoscere il corso. Nelle altre sezioni sono visibili informazioni utili per approfondire e/o intraprendere contatti con altre realtà italiane ( link , Community ecc,). E’ possibile anche iscriversi alla news letter per Il sito è il risultato di un lungo lavoro di studio e progettazione ricevere notizie, aggiornamenti e inviti a seminari e convegni durato molti mesi a cui hanno contribuito con i loro suggeri- organizzati presso la sede del corso. menti, proposte e critiche gli specializzandi dei vari corsi. Il gruppo di lavoro che ha realizzato il progetto web si è posto prioritariamente due obiettivi: Dopo un lungo lavoro di ristrutturazione del corso di formazione specifica in medicina generale si è deciso di creare uno spazio web per far conoscere le varie iniziative intraprese e costituire un punto di riferimento con altre realtà italiane. Il sito www.formazionespfg.it rappresenta l’organo ufficiale di informazione del Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale della Provincia di Foggia dalla Regione Puglia.
1. creare uno strumento in cui ci siano tutte le attività svolte nel corso di formazione specifica dando la possibilità ai colleghi docenti e tutor di essere continuamente aggiornati sull’andamento del corso; 2. dare visibilità alla formazione specifica in Medicina Generale per creare una base di aggregazione e di scambio di informazioni con le altre realtà italiane. L’home page è strutturata in modo che nella parte superiore è possibile visionare le notizie relative al corso, le sue origini, il decreto legislativo e la sua organizzazione; nella parte laterale sinistra è possibile essere informati sulle varie attività didattiche del corso; nella parte laterale destra è possibile accedere a informazioni, documenti e indirizzi di interesse per il medico in formazione. Vi è poi una parte centrale superiore di primo piano e la parte inferiore riservata.
Nella parte inferiore del sito è presente la “bacheca” in cui sino riportate tutte le informazioni importanti che riguardano l’attività del Corso di Formazione e una “zona riservata” in cui vengono depositate le lezioni tenute durante l’anno dai vari docenti e altro materiale di utilità per i medici in formazione. Queste due aree sono riservate ai docenti, tutors e specializzandi e si può accedere solo se si è in possesso della password. E’ presente inoltre, un’archivio dove vengono depositati tutti La sezione didattica contiene tutte le informazioni riguardan- i documenti pubblicati che superano un determinato tempo di ti l’attività didattica svolta dagli specializzandi: programmi; permanenza nella bacheca. corsi di formazione; seminari/lezioni che si tengono settimanalmente presso le aule didattiche della sede del corso; Con l’attivazione del sito tutte le comunicazioni della segreteria laboratori o gruppi di lavoro costituiti per approfondire gli e/o dei coordinatori rivolte ai tutor e docenti saranno veicolate argomenti previsti nel programma di studi e riferimenti della tramite la bacheca, pertanto i colleghi per essere informati dovranno necessariamente consultare le varie sezioni a loro segreteria del corso. La sezione biblioteca elenca riferimenti bibliografici utili per il riservate. Medico di Medicina Generale che voglia approfondire la disciplina, mentre uno spazio è predisposto per la biblioteca del Un grazie particolare a tutti i medici in formazione che con i corso; la sezione videoteca presenta uno spazio per i video loro consigli, il confronto l’impegno nella ricerca del materiale didattici utilizzati nei seminari; nella sezione fotogallery sono hanno consentito di raggiungere la messa in rete di questo inserite foto di eventi organizzati dai coordinatori del corso e interessante strumento di lavoro.
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Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
rubrica TUTTO SANITÀ
I nuovi LEA prevedono interventi mirati per i soggetti deboli
favore dei soggetti deboli verranno attivati i cosiddetti «Pai», che sta per “piano di assistenza individuale” in base ai quali le cure domiciliari per cittadini non autosufficienti o «fragili», come ad esempio i malati terminali, saranno garantite da un pool di medici, infermieri e riabilitatori integrati da operatori del sociale per il supporto alla famiglia in base a un progetto su misura. Così i risparmi del Ssn si dovrebbero coniugare con una formula in cui l’individuo diventa l’indiscusso “centro” di tutte le cure I nuovi livelli essenziali di assistenza si propongono quindi di riscrivere le cure dei prossimi anni consentendo di risparmiare anche due miliardi sulla spesa ospedaliera e su quella per la specialistica ambulatoriale. Quasi il doppio della versione presentata a marzo 2008 dal precedente Governo, ma rimasta nei cassetti per una verifica sui costi che secondo la Corte dei conti sarebbero schizzati in alto per l’innovazione tecnologica delle prestazioni. I Lea rivisitati e corretti in un anno da Regioni e ministero del Welfare sostituiranno quelli scritti nel vecchio Dpcm del 2001, ancora in vigore ma dovranno ancora aspettare l’entrata in vigore alla stesura del Patto sulla salute 2010-2012 per il quale, secondo i presidenti delle Regioni, mancano 7 miliardi di finanziamenti su cui il Governo non ha dato ancora risposte. Nel frattempo è ragionevole prevedere alcuni stralci per le malattie rare e per alcuni nomenclatori, come quello delle analisi di laboratorio e della radiologia, che sono, assieme alla protesica, gli aspetti su cui si è concentrato il maggior lavoro dei tavoli Ministero-Regioni e dai quali si ottengono gran parte dei risparmi. Federico Giannone
I nuovi Livelli Essenziali di Assistenza sono pronti a ridisegnare l’assistenza sanitaria operando da un lato dei significativi tagli di spesa e dall’altro prevedendo misure dii intervento in favore di soggetti deboli finora penalizzati e trascurati dalla sanità pubblica. Le novità cominceranno dall’assistenza sul territorio, che prevede un cambio di rotta nel lavoro di medici di famiglia e pediatri convenzionati: si dovranno occupare anche dell’educazione sanitaria del paziente e dei suoi familiari e di una vera e propria attività di sostegno per la gestione della malattia, della disabilità e per prevenire le complicazioni. I medici di base dovranno anche attivare percorsi assistenziali con valutazioni delle singole situazioni, il consulto con lo specialista e l’assistenza continua anche al momento del ricovero, durante la degenza e alla dimissione dall’ospedale. Centrale sarà il modello di assistenza «h24» presentato di recente dal ministero del Welfare,in cui l’assistenza primaria si organizza in forme associative tra più professionisti che dovranno assicurare le prestazioni territoriali “non differibili” anche di sera, di notte e nei giorni festivi e prefestivi. Sul territorio poi saranno razionalizzate visite specialistiche, indagini radiologiche e analisi, prescrivibili solo in caso di reale necessità. Per l’assistenza ospedaliera è previsto che ben 107 prestazioni erogate nei nosocomi dovranno passare all’assistenza in day hospital e day surgery. Tra queste figurano le tonsillectomie, una serie di interventi su fratture e lussazioni e tutti quelli sulle articolazioni e la chirurgia plastica del seno Almeno altre 25 prestazioni, che oggi sono curate in day surgery saranno assistite solo in ambulatorio. In
(Sanità news).
La prescrizione dei farmaci oppioidi. Finalmente la prescrizione su ricettario regionale
Il provvedimento del ViceMinistro della Salute Fazio rappresenta un momento decisivo nella terapia del dolore ed elimina gli ostacoli burocratici. Tutte le società scientifiche e i sindacati della medicina generale hanno accolto con entusiasmo il provvedimento del Vice Ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che permetterà la prescrizione su ricettario regionale dei farmaci oppioidi, vincolati ad oggi da norme penalizzanti il loro utilizzo. La firma del Decreto
Ministeriale che prevede la detabellizzazione dei farmaci oppioidi segna un evento di portata storica. Questo successo è il frutto di una azione sinergica tra l’ottimo lavoro della Commissione Terapia del Dolore e Cure Palliative, e i Medici di Medicina Generale, che hanno motivato in modo chiaro e unanime la richiesta al Consiglio Superiore di Sanità, che ha espresso parere favorevole all’iniziativa del ViceMinistro. (5/09).
Esofago di Barrett
una nuova terapia, l’ablazione a radiofrequenza può eliminare le cellule potenzialmente precancerose associate all’esofago di Barrett: questo procedimento è efficace in più del 77 percento dei casi. L’esofago di Barrett è di solito il risultato del reflusso gastroesofageo, nel quale il reflusso acido ripetuto determina la sostituzione delle normali cellule esofagee con linee cellulari di solito presenti
nell’intestino: si tratta di un fenomeno che avviene nel 10 percento circa dei casi di reflusso. La patologia di per sé non è pericolosa per la sopravvivenza, ma una piccola proporzione dei pazienti con esofago do Barrett procede verso lo sviluppo di adenocarcinomi esofagei, una delle forme tumorali più letali in assoluto. (N Eng J Med 2009; 360: 2277-88).
Dipartimenti di Medicina Generale. Il futuro...
contestuale creazione di un Dipartimento della medicina generale. I docenti stessi dovranno essere medici di medicina generale, e il corso dovrebbe essere almeno quinquennale, con un adeguato finanziamento. In ogni caso - conclude Milillo - va creato un tavolo di confronto con ministero, professione ed università”. (AGI) - Roma, 4-giu-09.
Il segretario nazionale della Fimmg, Giacomo Milillo, apre all’ipotesi della creazione di una scuola universitaria per i medici di medicina generale, avanzata qualche tempo fa dal sottosegretario Fazio, ma pone alcune condizioni. “Sì all’apertura all’Università - spiega il leader del principale sindacato dei medici di famiglia - ma è necessaria la Anno III • n. 8 • maggio / giugno 2009
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diagnosi
Celiachia o enteropatia glutine-dipendente Una malattia subdola sempre più diffusa che causa se non diagnosticata serie conseguenze a cura della redazione
Che cos’è la celiachia?
La celiachia è una condizione di permanente intolleranza al glutine. Nel soggetto geneticamente predisposto l’introduzione di alimenti contenenti glutine quali pasta, pane e biscotti, ecc. determina una risposta immunitaria abnorme a livello dell’intestino tenue, cui consegue una infiammazione cronica con alterazioni morfologiche dei villi intestinali che vanno incontro ad atrofia . Il danno che ne consegue a livello della mucosa dell’intestino prossimale è entità variabile dipendente anche, ma non solo, dalla durata dell’esposizione alla proteina “tossica”. Qual è l’incidenza nella popolazione?
L’incidenza in Italia è stimata in un soggetto ogni 100/150 persone. E’ una patologia sottodiagnosticata perché a causa del suo polimorfismo clinico rimane sconosciuta.La prevalenza della malattia negli ultimi anni è notevolmente aumentata per l’utilizzo dei nuovi test sierologici. Ogni anno vengono effettuate cinque mila nuove diagnosi ed ogni anno nascono 2.800 nuovi celiaci, con un incremento annuo del 9%. Un Medico di Medicina Generale con 1000 assistiti può presentare da 5 a 10 pazienti celiaci non manifesti. Quante forme di celiachia ci sono?
osteoporosi precoce, aborti ricorrenti); • forma silente: senza sintomi associata a patologie o gruppi a rischio per malattia celiaca (parenti di 1º grado, diabete mellito insulino-dipendente, tireopatie autoimmuni); • forma latente: senza sintomi ma con presenza di lesioni istologiche (come si verifica in alcuni pazienti diagnosticati durante le campagne di screening di massa); • forma potenziale: senza sintomi e lesioni istologiche ma che caratterizza i pazienti che appartengono a categorie a rischio per malattia celiaca (parenti di 1º grado, ecc). Un paziente affetto da malattia celiaca non riconosciuto ha una probabilità superiore di andare incontro a complicanze in particolare malattie autoimmuni, linfomi e tumori del tratto digerente (Petaros et al,1999). Come si diagnostica?
Non sempre i sintomi prevalenti sono gastrointestinali per cui bisogna fare molta attenzione alla presenza di anemia o/a astenia inspiegabile in quanto si è visto che spesso sono queste le prime manifestazioni cliniche. Di fronte a un paziente con sospetta ce-
liachia le indagini di primac. vello da effettuare sono: dosaggio degli Ac. Antiendomisio (EMA) e Ac. Antitransglutaminasi anti tTG). L’EMA rappresenta l’anticorpo più importante con una sensibilità del 92% e una specificità del 100%, mentre l’Ac. Anti tTG ha una sensibilità del 93%, ma una specificità del 98%. E’ un esame di basso costo che può essere richiesto come primo livello. Solo in caso di deficit di IgA si può associare l’Ac. Antigliadina (AGA). Se il sospetto è confermato allora bisogna far eseguire l’esame istologico della mucosa intestinale. Attualmente la diagnosi di celiachia può essere certa solo se si riscontrano le lesioni digiunale (atrofia dei ville e iperplasia delle cripte) mentre il paziente assume il glutine , e vi è la completa remissione della malattia se la proteina viene eliminata dalla dieta (Walzer-Smith et al, 1999). Qual è l’approccio terapeutico?
La terapia consiste nella eliminazione totale del glutine dalla dieta. Bisogna essere molto attenti a non assumere alimenti che contengono glutine sia come alimenti sia come additivi. E’ importante conoscere i vari alimenti sul mercato per poter sciegliere con tranquillità. Bisogna fare attenzione ad alcuni farmaci che possono contenere
La manifestazioni cliniche variano in base all’età di insorgenza. Nell’età pediatrica sono frequenti le manifestazioni classiche, nel bambino più grande e nell’adulto le manifestazioni cliniche sono di vario tipo. Distinguiamo: • Forma classica: con sintomi da malassorbimento (diarrea, steatorrea, calo ponderale) e lesioni istologiche (mucosa con atrofia dei villi intestinali); caratterizzata da una e conseguente sindrome da malassorbimento; • a subclinica: con sintomi esclusivamente extraintestinali (anemia sideropenica, 38
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diagnosi Alimenti in cui si trova il glutine
glutine come additivi. Il medico di famiglia ha un ruolo importante nella gestione della malattia celiaca sia come educatore del paziente informandolo dei rischi e pericoli che corre se assume una dieta non corretta, sia rendendolo cosciente della necessità che la malattia sia gestita autonomamente. Se il paziente accetta ed esegue correttamente la dieta senza glutine i risultati sono eccellenti, i sintomi scompaiono e vi è un miglioramento complessivo della malattia. Ormai il mercato riferimento a cui rivolgersi. Il paziente che inizia una dieta senza glutine deve effettuare controlli?
Il paziente che inizia una dieta senza gluti-
Consigli per il paziente celiaco
negradualmente presenta una remissione della sintomatologia e una riduzione dei valori degli anticorpi (3-6 mesi), se questo non accade probabilmente la dieta non è stata eseguita correttamente. I pazienti che già presentano una manifestazione autoimmune generalmente presentano la remissione della malattia celiaca ma non
della patologia autoimmune. Come si possono ottenere gli alimenti senza glutine?
La legislazione attuale consente l’erogazione gratutita dei prodotti senza glutine: decreto ministeriale del 1 Luglio 1982, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nº 217. I prodotti senza glutine sono venduti nelle farmacie, ai soggetti celiaci purché la diagnosicon biopsia intestinale sia stata effettuata presso un centro ospedaliero o universitario. La prescrizione delle quantità mensili per fasce di età viene rilasciata dal medico curante e convalidata dalla ASL o farmacie private. Per informazioni dettagliate è possibile consultare il sito dell’associazione dei celiaci www.celiachia.it L´associazione A.I.C (www.celiachia.it ) mette a disposizione dei soci un prontuario dei prodotti del commercio “sicuri” per i celiaci. Nel prontuario sono elencati tutti i prodotti alimentari appartenenti a categorie a potenziale rischio o vietate per un celiaco, le cui aziende produttrici ne dichiarano l’assenza di glutine (ad es. caramelle, gelati, salumi ecc.). Provincia di Foggia: La Farmacia S. Rita è specializzata nella vendita dei prodotti specifici per questi pazienti.
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rubrica INIZIATIVE
Novità editoriale. IJPC – Italian Journal Primary Care
Dopo una lunga fase di preparazione è uscito il primo numero del Giornale Italiano delle Cure Primarie. L’ Italian Journal of Primary Care - IJPC è una rivista trimestrale pensata e prodotta da professionisti delle cure primarie con la collaborazione di esperti afferenti al mondo ospedaliero ed universitario, in cui vengono pubblicate esperienze e ricerche da varie parti del mondo e che ha l’obiettivo di essere orientata alla medicina di famiglia ed a tutti i professionisti che operano nel campo delle Cure Primarie. E’ una rivista scientifica indipendente, dedicata alla ricerca clinica, all’aggiornamento scientifico ed allo sviluppo professionale continuo nell’ambito delle cure primarie e in particolare della Medicina di Famiglia. L’ Italian Journal of Primary Care - IJPC è un giornale “peer reviewed” che punta al riconoscimento ed alla “indicizzazione” da parte dei database e motori di ricerca più importanti, e dare così voce internazionale alla medicina di famiglia italiana oltre che dare loro la possibilità di confrontarsi con i colleghi di tutto il mondo. (www.ijpc.it)
Concorso per l’ammissione al Corso triennale di Formazione Specifica in Medicina Generale 2009-2012. Ammissione dei candidati alla prova d’esame del 17 settembre 2009 Risale a pochi giorni la stipula dell’accordo con il Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Foggia da parte del responsabile del Corso di Formazione Specifica della Provincia di Foggia. Lo scopo è di iniziare una collaborazione con il laboratorio di comunicazione esperienziale presente diretto dal Prof. Antonello
Bellomo con lo scopo di approfondire le tematiche sulla relazione medico paziente che rappresentano gran parte del lavoro del medico di famiglia con l’obiettivo di privilegiare l’attività di laboratorio che riguarda le problematiche comunicative, dedicando una serie di seminari per far acquisire delle competenze specifiche.
Corso Tutor Regione Puglia
dell’ordine dei Medici e degli Odontoiatri della Provincia di Foggia, sede del corso. Il titolo acquisito con la frequenza al corso rappresenta la condizione obbligatoria per l’iscrizione alla lista dei tutor della Regione Puglia da cui saranno scelti i candidati per il tutoraggio dei Medici del Corso di Formazione Specifica.
Si è concluso il corso per tutor organizzato dalla Regione Puglia per Formazione Specifica in Medicina Generale della provincia di Foggia. Considerato l’elevato numero di iscritti si sono svolte due edizioni: 14 marzo e 13 giugno, ognuno con 40 iscritti. Le relazioni e i lavori a piccoli gruppi di apprendimento si sono svolte presso la sala didattica
Ci scrivono...
Il minimaster “psychology” del Cardiopneumo Aimef ha rappresentato un interessante momento di confronto tra cardiologi, pneumologi ,psichiatri e MMG su tematiche poco dibattute in congressi ed eventi ECM. Nel nostro mondo scientifico ed assistenziale tende sempre più a prevalere la tendenza alla superspecializzazione, alla settorializzazione e alla disgregazione delle singole specialità in aree subspecialistiche. E’ invece necessario riconquistare la unitarietà del paziente malato con la capacità di cogliere varie interelazioni nelle singole manifestazioni cliniche. L’argomento in discussione al minimaster ha rappresentato un esempio della necessità di tale integrazione. Emerge in maniera evidente da molti studi epidemiologici il ruolo dei disturbi psico affettivi come importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari e respiratorie: è segnalato un aumento della incidenza di infarto, di asma , di BPCO nei pazienti con disturbi depressivi; vi è un aumento di
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mortalità cardiovascolare nei pazienti colpiti da eventi cardiaci, che presentano disturbi psico affettivi. Tutto ciò a causa di meccanismi fisiopatologici comuni che hanno a che fare con l’iperattivazione del sistema adrenergico, con lo sviluppo di processi infiammatori , di stimolo dell’aggregazione e dell’aterosclerosi. Diventa quindi indispensabile per gli specialisti e per i MMG riconoscere e considerare i sintomi che possano far sospettare la presenza di disturbi psico affettivi, specie in soggetti che siano stati colti da eventi cardiovascolari; un persistente stato di disinteresse verso le cose della vita, una voglia di non fare, un’astenia insolita devono indurci ad una valutazione più approfondita, anche mediante l’ausilio di questionari predisposti a fornire score clinici. Forse è proprio vero che “Il cuore è nel cervello”. Complimenti al comitato scientifico di Cardiopneumo 2009. Pasquale Caldarola
rubrica CONVEGNI
Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma
gruppati in Moduli: della Bioetica generale e delle Metodologie, Antropologico, Filosofico, Biogiuridico, della Sessualità e della Vita nascente, al primo anno; della Fase terminale della vita, della Sperimentazione clinica, della Genetica, della Consulenza etica e della Bioetica clinica, della Bioetica e Pastorale sanitaria, della Bioetica applicata ai sistemi sanitari, della Bioetica dell’ambiente, della Bioetica e Formazione, al secondo anno. Il Master universitario di II livello in Bioetica e medicina centrata sul paziente ha lo scopo di formare persone che siano in grado di sviluppare un’attività sanitaria che sia centrata sul paziente quale protagonista della relazione clinica, che tengano conto delle molteplici dimensioni dell’assistenza (medico-scientifica, etica, socio-culturale, spirituale, ecc.) e che siano a loro volta in grado di trasmettere una tale formazione. Il Master è inoltre professionalizzante in quanto prepara esperti nel campo della bioetica (specialmente per l’idoneità alla ricerca e all’insegnamento) e fornisce le competenze essenziali per svolgere attività di consulenza etica specialmente in ambito clinico, sanitario in genere e all’interno dei Comitati Etici.
Master Universitario di II Livello in Bioetica e Medicina centrata sul paziente Casa Sollievo della Sofferenza (San Giovanni Rotondo - Foggia) giornata di apertura
Si è svolta l’11 maggio presso il Cenacolo S. Chiara la Giornata Inaugurale del Master. Dopo il saluto delle Autorità è la manifestazione è proseguita con la Lectio magistralis su “Le sfide di fondo della Bioetica. Riflessioni sul pensiero di Benedetto XVI” del Prof. Mons. Ignacio Carrasco de Paula, Direttore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a cui ha fatto seguito la consegna dei Diplomi del Corso di Perfezionamento in Bioetica e Pastorale Sanitaria (2007-2008). Gli argomenti che saranno trattati nel Master sono ripartiti in Insegnamenti (Antropologia filosofica, Storia delle professioni sanitarie, Filosofia morale, Bioetica, Genetica medica, Istologia ed Embriologia, Ginecologia e Ostetricia, Anestesiologia, Radioterapia ed Endocrinologia), a loro volta rag-
Corso Teorico-pratico di Gestione Clinica dei processi diagnostici per Medici di Medicina Generale
gravità dell’asma e le linee guida diagnostico-terapeutiche. Nella seconda sessione la prof.ssa M.F. Caiaffa allergologa dell’Università di Foggia ha illustrato le modalità e l’esperienza del suo istituto sull’impiego di un farmaco innovativo l’ omalizumab, che ha dato risultati interessanti nella cura dell’asma grave. La dott. ssa A. Porcelli pediatra allergologa dell’Ospedale di Venere-Bari, ha delineato i i vari aspetti dell’asma nel bambino e ha definito le indicazioni, le controindicazioni e i rischi dell’immunoterapia allergene specifico (vaccino) nella pratica clinica. La giornata si è conclusa con l’intervento della dott.ssa Daniela Antonicelli sulle manifestazioni respiratorie in corso di enteropatie illustrando due casi clinici di diagnosi difficile con risvolti inaspettati, mentre il dott. G. Galasso ha concluso la sessione mettendo in evidenza l’importanza del Reflusso gastroesofageo con l’asma. Nella seconda giornata vi è stata la dimostrazione tecnica dei vari ausili utilizzati nel paziente respiratorio cronico che presenta ipersecrezioni bronchiali e sull’utilità di tali apparecchiature in ambito domiciliare che consentono di ridurre il numero delle riacutizzazioni e dei ricoveri e una migliore qualità di vita del paziente.
Diagnosi e terapia nei pazienti con BPCO ed asma bronchiale: interazione ospedale territorio nella gestione di tali pazienti
Sotto la direzione del dott. R. Ricotti e la segreteria scientifica del dott. Giovanni B. D’Errico e Salvatore Pesola si sono concluse con successo si sono concluse le due edizioni del corso di formazione full immersion tenutosi a Foggia e Bari. Nell’edizione Foggiana numerosi sono stati i temi trattati: il dott. E. Belardinelli pneumologo dell’Ospedale D’Avanzo di Foggia ha illustrato l’aspetto epidemiologico ed eziologico dell’asma che ancora oggi o sottodiagnosticata e trattata; il dott. Giovanni B. D’Errico medico di Famiglia ha illustrato due casi clinici interattivi sull’asma e i rapporti con la rinite allergica che rappresenta una patologia considerata innocua ma che spesso evolve nella malattia asmatica, la dott. Agnese Posca dell’Università di Bari ha delineato i vari stati di
Consensus Conference Fiuggi 8-9 maggio 2009. Convegno SICP Regione Puglia – Cure Palliative Revisione Linee – Guida Carcinoma della Vescica Il Dolore, i dolori. Giornata di studio della SICP Dopo un entusiasmante faccia a faccia con i maggiori esponenti Regionale - 16 giugno 2009 Bisceglie (Bari) delle varie società scientifiche sono state definite le ultime linee guida sul carcinoma della vescica. Alla Consensus sono intervenuti numerosi specialisti e medici di famiglia i quali si sono confrontati sui punti in cui la metodologia della Evidence Based Medicine non è di grande aiuto. Lo scopo della riunione stata di valutare quale sia l’atteggiamento prevalente in un campione di professionisti ( non solo urologi) coinvolti nel trattamento della patologia in questione. Come Medici di Famiglia sono intervenuti il Dr. Ciro Niro, Giovanni B. D’Errico e Nunzio Costa (Aimef).
Un’occasione di incontro dei soci SICP Regionali e di tutti quelli che si interessano di cure palliative. Il tema della giornata è stato il dolore non inteso come sintomo fisico ma nel suo significato più ampio di Dolore Totale. Inoltre sono state trattate le cure palliative nei pazienti non oncologici, l’importanza del volontariato e delle prospettive assistenziali di questi malati. Il comitato organizzativo: Rachele Carbonaro, Salvatore Di Brisco, Tommaso Fusaro. Michele Galgani, Lele Gargano, Michele Totano. 42
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