Notiziario Meeting giugno 2013

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eeting m Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane S.p.A. - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma DCB Rimini valida dal 01/06/98” - € 1,00

NOTIZIARIO

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ANNO XXXIII

R I V I S TA D E L L A F O N D A Z I O N E M E E T I N G P E R L ’ A M I C I Z I A F R A I P O P O L I

GIUGNO 2013

Il desiderio di esplorare


m o s t r e

A N N O

D E L L A

F E D E

Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio Gesù Cristo? Fëdor Dostoevskij

9 MOSTRE ITINERANTI

Le mostre che proponiamo costituiscono una occasione unica per approfondire e testimoniare ciò a cui il Papa ci richiama oggi, nell’Anno della Fede. Visita il nostro sito per scoprire i dettagli delle nove mostre, suddivise in tre percorsi: Testimoni della fede - L’anno della fede - I luoghi della fede Meeting Mostre, offre tutta la propria esperienza e collaborazione per l’organizzazione, l’allestimento della mostra, e la realizzazione di eventi ad essa connessi. Informazioni e prenotazioni: 0541.728565 - Fax 0541/765206 - info@meetingmostre.com

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EDITORIALE

Con occhi nuovi «

Non smetteremo di esplorare / E alla fine di tutto il nostro andare / Ritorneremo al punto di partenza / Per conoscerlo per la prima volta». Rubiamo questa frase al Professor Marco Bersanelli che, con le parole di Eliot ha concluso il suo articolo sui risultati straordinari del Progetto Planck sulla nascita dell’Universo, per descrivere quello che leggerete sfogliando questo Notiziario. Perché il Meeting è questa instancabile ricerca, è questo desiderio di esplorare, di incontrare, di interrogare. Nonostante la crisi, anzi proprio dentro la crisi, immersi nell’emergenza, non vogliamo smettere di esplorare, non vogliamo fermarci. Una sfida che quest’anno ci porterà a proporre una mostra sull’Europa, a far conoscere la vita dei martiri russi, ad ascoltare la testimonianza di Claire Ly sulla sua lotta per sopravvivere all’orrore dei campi di lavoro di Pol Pot in Cambogia o l’esperienza di Paul Bhatti, fratello di Shahbaz Bhatti, assassinato per la sua difesa delle minoranze religiose in Pakistan, di entrare nella casa di Chesterton e di dialogare IL MEETING È QUESTA con il grande maestro del teatro russo, Lev Dodin. INSTANCABILE RICERCA, Uomini che nell’emergenza storica, nell’emergenza poÈ QUESTO DESIDERIO litica o culturale e nelle situazioni più disumane, hanno affermare la propria identità che ogni potere DI ESPLORARE, DI INCONTRARE, saputo cerca di sgretolare, di attaccare, di annientare per doDI INTERROGARE. minare quell’identità dell’uomo che è invece rapporto assoluto, sciolto da qualsiasi determinazione, cioè semIMMERSI NELL’EMERGENZA, plicemente rapporto con il Mistero. Per arrivare a queNON VOGLIAMO FERMARCI. sto giudizio però, serve un cammino, serve una ricerca, serve il desiderio di esplorare. Ed è proprio questo che ci interessa documentare, testimoniare, raccontare nella prossima edizione del Meeting. Impegnati a creare, come ha richiamato Papa Francesco: “una cultura dell’incontro, una cultura dell’amicizia, dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un’altra fede, che non hanno la stessa fede. Incontrare tutti, senza negoziare la nostra appartenenza” certi che l’altro è un bene e che la diversità di cultura o di tradizione è ultimamente segno di quella ricerca di senso ultimo della vita che ogni uomo ha nel cuore. Saranno molte le occasioni di incontro, dove poter sperimentare che una positività del vivere che sembra impossibile, è invece possibile, dove toccare con mano esperienze di vera libertà vissuta, perché il rapporto con l’infinito, la religiosità, non è semplicemente una consolazione, ma al contrario, inizio di un percorso che ci farà guardare con occhi nuovi… E alla fine di tutto il nostro andare / Ritorneremo al punto di partenza / Per conoscerlo per la prima volta.

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SOMMARIO

w w w . m e e t i n g r i m i n i . o r g «DOBBIAMO CREARE CON LA NOSTRA FEDE UNA “CULTURA DELL’INCONTRO”, UNA CULTURA DELL’AMICIZIA, UNA CULTURA DOVE TROVIAMO FRATELLI, DOVE POSSIAMO PARLARE ANCHE CON QUELLI CHE HANNO UN’ALTRA FEDE. TUTTI HANNO QUALCOSA IN COMUNE CON NOI: SONO IMMAGINI DI DIO, SONO FIGLI DI DIO. ANDARE ALL'INCONTRO CON TUTTI, SENZA NEGOZIARE LA NOSTRA APPARTENENZA». [PAPA FRANCESCO]

EDITORIALE

Con occhi nuovi

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TESTIMONI

C’è bisogno di persone che vivono

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di Maria Acqua Simi

Nel male assoluto il dialogo con Dio

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di Anna Pozzi In copertina: Il desiderio di esplorare

SPETTACOLI 2013

San Pietro, una storia d’amore

Un’immagne del telescopio spaziale Planck

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di Erika Elleri

Speranza o vuoto?

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di Erika Elleri

CINEMA

Che cinema al Meeting!

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di Antonio Autieri

IN MOSTRA 2013

L’Unione Europea, luogo delle libertà, dello sviluppo e della pace

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di Giorgio Vittadini

Il mondo in casa Chesterton

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di Stefano Pichi Sermolli

La consolante bellezza di quel volto

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di Raffaella Zardoni

AMICI

meeting

Il bene che non si accetta CONVEGNI

NOTIZIARIO

Anno XXXIII - N. 2, Giugno 2013 Questo numero è stato chiuso il 22/05/2013

Il telescopio spaziale Planck

PUBBLICITÀ: Evidentia Communication (società a direzione e coordinamento di Fondazione Meeting): Tel 0541/18.32.501 Fax 0541/78.64.22

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di Marco Bersanelli

Proprietario/Editore: Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli Autorizzazione del Tribunale di Rimini n. 2008 del 2/11/82 DIRETTORE RESPONSABILE: Alver Metalli COORDINAMENTO REDAZIONALE: Stefano Pichi Sermolli REDAZIONE: Vanni Casadei, Erika Elleri, Piergiorgio Gattei, Walter Gatti, Valentina Gravaghi, Rosanna Menghi, Daniela Schettini FOTO: Roberto Masi, Angelo Tosi PROGETTO GRAFICO: Davide Cestari, Lucia Crimi VIDEOIMPAGINAZIONE: IMMpAGINA - Rimini STAMPA: Pazzini - Villa Verucchio - Rimini REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE: Via Flaminia, 18-20 - C.P. 1106 - 47923 Rimini Tel 0541/78.31.00 Telefax 0541/78.64.22. email - meeting@meetingrimini.org www.meetingrimini.org

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di Erika Elleri e Valentina Gravaghi

SPETTACOLI 2013

Che spettacolo!

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AMICI

Un grande uomo che ci è stato amico

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di Emilia Guarnieri

Ciao Enzo

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di Otello Cenci

Il fascino di Lejeune a Pesaro

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di Valentina Gravaghi

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TESTIMONI

C’è bisogno di persone che vivono Abbiamo intervistato Paul Bhatti, ministro per l’Armonizzazione nazionale in Pakistan che interverrà alla Conferenza Internazionale sulla Libertà Religiosa al prossimo Meeting. di Maria Acqua Simi

Paul Bhatti è un medico chirurgo, partito giovanissimo dal Pakistan per studiare Medicina in Italia e imparare il mestiere, specializzandosi poi in campo pediatrico. E il prendersi cura dei più indifesi è una caratteristica di famiglia. Lo faceva suo fratello, Shahbaz, più piccolo di lui ma che si era buttato in politica per il desiderio di giustizia e libertà che lo muoveva. I fratelli Bhatti crescono «in un villaggio molto cattolico. Con nostro padre e nostra madre andavamo quasi tutti i giorni a messa, frequentavamo la parrocchia, in casa c’era la recita quotidiana del rosario. Una fede semplice, ma radicata. A volte a me sembravano perfino troppe tutte quelle preghiere. E invece erano necessarie», come ci racconta Paul in questa intervista. Mentre lui vola in Italia a studiare, Shabhaz diventa ben presto Ministro per le minoranze religiose del Pakistan. Per questo suo impegno a fianco dei cristiani, continuamente perseguitati nel Paese, sarà ucciso il 2 marzo 2011 a Islamabad. I talebani rivendicheranno il suo assassinio come atto dimostrativo nei confronti di “un infedele blasfemo”. È lo stesso Paul, oggi ministro per l’Armonizzazione in Pakistan, a raccontarcelo. È un amico del Meeting (venne proprio pochi mesi dopo l’uccisione del fratello) e ci tornerà ad agosto «perché ho bisogno di incontrare gente viva». 8

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Com’era il rapporto con suo fratello? Lui aveva una fede forte. L’avevamo ereditata tutti noi fratelli dai nostri genitori. Una fede fatta di rosari quotidiani, messa, vita parrocchiale, volontariato e scout. Il nostro era un villaggio molto cattolico. Ma Shahbaz aveva iniziato a vedere che in molte altre zone del Pakistan la situazione per i cristiani era invece drammatica: specialmente per quelli accusati di blasfemia. Basti pensare che nei processi, quando l’imputato è un cristiano, servono almeno due testimoni per confermare la sua versione. Mentre quan-

Paul Bhatti al Meeting 2011.

do è musulmano, ne basta uno. Per non parlare delle difficoltà delle donne cristiane. Mio fratello ha così deciso di entrare in politica: io non ero d’accordo, perché sapevo che la sua vita era in pericolo e sapevo che la politica pachistana ha solitamente esiti molto tragici. E poi era mio fratello minore, per lui desideravo che mettesse a frutto in un altro modo la sua intelligenza. Invece ha iniziato a lavorare al dialogo interreligioso in modo da far convivere le diversità. Un lavoro particolarmente difficile, in una parte del mondo dove regnano l’estre-


TESTIMONI

Un’immagine di Paul Bhatti durante il suo incontro.

mismo, il fanatismo, il terrorismo e la violenza. Ma lui ha avuto coraggio, si è impegnato con convinzione per perseguire la pace e lo ha fatto senza mai nascondere la sua fede cristiana: la sua preghiera quotidiana era la sua forza. E a lei oggi cosa dà forza? Perché ha seguito le orme di suo fratello? Io ho studiato in Italia, a Padova, per diventare medico. Poi sono stato in Belgio. Mi sono specializzato in chirurgia pediatrica. Non volevo certo tornare in Pakistan. Poi mio fratello è stato ucciso. Sono rientrato e dopo i funerali ho visto la sua opera, ho conosciuto le persone che lavoravano con lui e quanto bene stava avvenendo. Così in quel momento ho preso la decisione di restare, una scelta guidata da Dio e forse da mio fratello. Qualcosa era cambiato e così sono rimasto. Oggi continuo il suo lavoro e ne sono soddisfatto. Abbiamo fatto alcuni passi in avanti nel dialogo interreligioso, lavorando insieme ai musulmani per costruire una società di pace e di libertà religiosa. Per pro-

muovere questo dialogo abbiamo appena avviato un nuovo Istituto, il Centro della pace e armonia interreligioso. Ci lavorano tante persone dal Pakistan e poi cristiani, indù e sikh. Lavoriamo alla pace e per una società dove tutti possano vivere rispettando la libertà dell’altro. Questi sono i nostri obiettivi, ma per questo serve l’educazione, perché spesso la povertà e l’ignoranza dominano. Pensiamo che l’educazione sia prioritaria per diminuire la discriminazione. Cerchiamo di aiutare i più poveri e siamo riusciti ad ottenere dallo Stato oltre quattro mila borse di studio per i ragazzi delle scuole medie. Di educazione si parla spesso anche al Meeting. Lei a Rimini è venuto nel 2011 e tornerà quest’estate. Perché, cosa si aspetta? Al Meeting spero di incontrare persone che abbiano esperienza della discriminazione religiosa. Persone con cui potermi confrontare, a cui chiedere, domandare, con cui dialogare e imparare. Il Meeting è un posto pri-

vilegiato dove poter fare questi incontri. Io desidero conoscere gente viva e imparare sempre di più come fare per lavorare a una società più libera e più giusta per me e il mio Paese. E cosa le suggerisce in questo senso il titolo dell’edizione 2013, “Emergenza uomo”? Il titolo di quest’anno è molto appropriato, visto lo scenario internazionale. Anche in Pakistan è un momento molto duro, ci sono le elezioni e vengono messe bombe tutti i giorni. Ma tutto il mondo è in difficoltà. Per questo è importante che l’uomo ci sia, ci sia nella sua natura religiosa e umana. Serve che il singolo ci sia. Perché se crediamo che tutte le religioni sono venute per portare un messaggio particolare, di pace, ecco… le religioni hanno bisogno delle persone che le vivono. Dio non ha creato l’uomo uno uguale all’altro: ma ci ha creati per amore. E noi, da cristiani o anche da musulmani, giusti e moderati, dobbiamo farci portatori del suo messaggio d’amore. GIUGNO2013

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TESTIMONI

Nel male assoluto il dialogo con Dio La testimonianza di Claire Ly sulla sua lotta per sopravvivere all’orrore dei campi di lavoro di Pol Pot in Cambogia, negli anni in cui la follia dei khmer rossi uccide due milioni di persone e altrettante vengono deportate nei campi di sterminio. Quest’anno sarà al Meeting di Rimini per raccontarci la sua storia. di Anna Pozzi

ono passati quasi quarant’anni. Eppure quella ferita continua a sanguinare. Un dolore profondo per chi personalmente ha vissuto quella tragedia e ha perso i propri cari. Ma anche una lacerazione insanabile per un intero popolo, che ancora ne subisce le conseguenze e fa fatica a voltare pagina. Sono gli anni che vanno dal 1975 al 1979. La follia mortifera dei khmer rossi spazza via dal-

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Un’immagine di Claire Ly.

la Cambogia due milioni di persone su sette milioni di abitanti. Altrettante vengono deportate nei cosiddetti killing fields i “campi di sterminio”. La sua lotta per la sopravvivenza Tra di loro c’è una giovane donna, un figlio per mano e un’altra in grembo. Il padre, il marito e i due fratelli sono stati fucilati. Perché intellettuali. Per-

ché borghesi. Lei, insegnante di filosofia, capodipartimento presso il ministero dell’istruzione, poliglotta e viaggiatrice è costretta a riconvertirsi in semplice contadina. Deve spogliarsi di tutto, persino della sua lingua khmer più raffinata e colta, e allora si rifugia nel silenzio. Per oltre due anni Claire Ly lotta ostinatamente per sopravvivere a quell’orrore. Nei campi di lavoro di Pol Pot, tra esecuzioni sommarie, malnutrizione, privazioni, indottrinamento, conduce una lotta fisica e spirituale contro l’abbruttimento del corpo e dell’anima. La sua tradizione spirituale buddhista vorrebbe che praticasse l’impassibilità e il distacco. Ma dentro di sé fa sempre più fatica a tenere a bada i cattivi sentimenti. Non ha nessuno con cui può parlare. Nessuno con cui confidarsi e di cui fidarsi. Il dialogo con il “Dio degli occidentali” e l’esilio Comincia allora un dialogo con quello che lei chiama a quel tempo il "Dio degli Occidentali". Un essere distante, straniero, ma potente, contro cui scaglia la sua collera, il suo dolore, la sua ribellione. Per la sua rabbia enorme le serve un Dio-gigante. Che diventa, a poco a poco, un bastone a cui appoggiarsi, sempre più indispensabile, un compagno di viaggio in quella lunga attraversata del male. Le si apre un nuovo cammino che la condurrà in Francia e che la porterà dalla saggezza di Buddha verso quella che Claire chiama «la follia d’amore di Gesù Cristo». «Nel male assoluto il Dio degli Occidentali per me si è fatto presenza», racconta. «Chiusa nella sofferenza non riuscivo a fare posto agli altri. Finché Lui non mi ha fatto prendere coscienza che appartenevo ancora a un’umanità». Dal 1980, Claire vive nel sud della Francia. Qui ha ricevuto il Battesimo, ma qui ha anche vissuto la difficile condizione dell’esule. Provando a gettare ponti tra la sua cultura buddhista d’origine e l’Occidente. «PerGIUGNO2013

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ché questo dialogo a partire dalla vita - spiega - ci permette di poter dire Gesù Cristo con maggiore forza». La Mangrovia, il suo nuovo libro Ed è quanto racconta nel suo nuovo libro La Mangrovia, pubblicato da PimEdit nel 2012. Un romanzo di fantasia, in cui due donne Ravi e Soraya - cambogiane, esuli in Francia dopo la drammatica esperienza del regime di Pol Pot - tornano per un viaggio nel loro Paese d’origine. Ma se Ravi è rimasta fedele al suo credo buddhista, Soraya si è convertita al cattolicesimo. E come per i discepoli di Emmaus, il viaggio diventa un dialogo a viso aperto. Un racconto in cui è facile vedere la storia di Claire Ly. «Ravi e Soraya - spiega la stessa autrice - tornano insieme nel Paese d’origine in cerca di una riconciliazione possibile con la loro storia personale e con quella del loro Paese. Il viaggio diventa così occasione di scambio e

arricchimento reciproco. Una prospettiva che ciascuno, sia a livello individuale sia a livello collettivo, dovrebbe maggiormente sviluppare. Anche perché, in un mondo globalizzato in cui le persone si muovono e si mischiano, l’incontro e il confronto diventano un’esigenza e una sfida che non possiamo più eludere». E aggiunge, spiegando il titolo un po’ misterioso per noi Occidentali di questo libro: «La mangrovia è una pianta che cresce nel territorio di frontiera tra le acque dolci e le acque salate, ha bisogno di entrambe. Proprio per questo nell’immaginario cambogiana la mangrovia è un luogo mistico di protezione e di purificazione. Credo che sia un’immagine che ci parla anche dell’incrocio tra due culture in chiave di speranza. Matrice di una nuova generazione dove le culture e le religioni imparano a conoscersi nella verità e a fecondarsi a vicenda. Ricordando che Gesù ci aspetta sempre in

Galilea, crocevia delle nazioni». Un dialogo tra le religioni Da qui, secondo la scrittrice cambogiana, può partire anche un fecondo dialogo fra le religioni, in un’epoca in cui sembrano invece prevalere le contrapposizioni e gli scontri. «È la mia esperienza e la mia speranza - dice convinta -. Ma questo dialogo può avvenire solo se ciascuno accetta di guardare le sue fratture e le sue lacerazioni. Spesso non vogliamo vedere gli ostacoli o gli aspetti negativi dentro e fuori di noi. Anche tra le religioni sovente non si va a fondo o si dicono solo cose di convenienza. Noi immigrati viviamo alla frontiera tra due culture e talvolta tra due fedi. Possiamo essere molto d’aiuto in questo dialogo, a condizione di non dimenticare da dove veniamo e di sviluppare una curiosità positiva verso la cultura che ci accoglie». GIUGNO2013

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SPETTACOLI 2013

San Pietro, una storia d’amore Quest’anno al Meeting, nella Sala Teatro D7, sbarcherà lo spettacolo dal titolo “Il mio nome è Pietro”, scritto da Giampiero Pizzol, con la regia di Otello Cenci e interpretato da Pietro Sarubbi, l’attore che aveva rivestito i panni di Barabba nel film “La passione di Cristo” di Mel Gibson. Ma come è nato tutto, come verrà raccontata questa grande storia d’amore e in cosa consiste la sua attualità? Lo abbiamo chiesto direttamente a Pietro Sarubbi. di Erika Elleri

d un certo punto nel copione Pietro afferma: «Vi è mai capitato che succeda qualcosa a metà frase? Qualcosa che vi incanta, vi ruba gli occhi e toglie il fiato... Per esempio che passi una bella ragazza... oppure che si posi un passero o che abbocchi un pesce... Insomma, un fatto che si posa su una parola? E quella sera vedendo Gesù ho detto “Messia” proprio come Messia, così come andava detto perché Lui era lì! Il Messia lì, che guardava me. Dovevate vederlo! E dovevate vedere me, che guardavo Lui a bocca aperta come una tinca!». Quali sono per lei i tratti particolari di Pietro e quali di essi se li sente più vicini, tanto da aiutarla ad una maggiore immedesimazione con lui? Pietro è un uomo semplice, un cuore semplice, fa simpatia e provoca l’immedesimazione. Pietro è il cristiano per eccellenza, con tutti i suoi dubbi e le sue fragilità, è quello più vicino all’uomo di oggi, che tenta, fa il possibile, poi si smarrisce davanti alla sua inadeguatezza ed infine è affascinato, come un bambino, dal-

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la grandezza dell’amore di Cristo. Io mi sento molto così e mi ritrovo tantissimo in questo San Pietro appassionato, ma pasticcione. La facilità nell’immedesimazione è stata quasi naturale, man mano che studiavo lo spettacolo e il regista mi faceva cogliere le particolarità del personaggio, scoprivo la grandezza di Pietro, semplice, ma eccezionale e per questo scelto da Cristo. Dal copione emerge dunque come per Pietro il cristianesimo fosse una storia d’amore, un rapporto, quello con Cristo, che lo ha travolto e conquistato. Ma come è nato tutto, ovvero come è nata la collaborazione con Giampiero Pizzol e cosa l’ha spinta ad accettare di interpretare il ruolo di un tale personaggio? Dopo diversi anni, in cui ho girato l’Italia ed altre nazioni, raccontando della mia esperienza come Barabba nel film “La passione di Cristo”, avevo deciso di ritornare al teatro e creare uno spettacolo che parlasse di Barabba e che mi permettesse di continuare a viaggiare e incontrare tanti cari amici, facendo il mio lavoro

Un’immagine di Pietro Sarubbi.

di attore. Parlando con Giampiero Pizzol, che è un esperto di scrittura teatrale, gli chiesi di aiutarmi a scrivere appunto uno spettacolo su Barabba, lui lesse il mio libro, ascoltò una mia testimonianza, venne ad un mio spettacolo e un giorno mi telefonò dicendomi che secondo lui stavo sbagliando tutto, lo spettacolo era da fare su San Pietro, ed ha avuto ragione. Mi diverte che io, per un sacco di tempo, ho sfinito Mel Gibson chiedendogli di fare San Pietro invece di


SPETTACOLI 2013 interpretare, ma per il ritmo incalzante con cui si sviluppa è certamente divertente, poi termina con un momento di grande emozione, con un grande gesto d’amore di Gesù per San Pietro. Lei mi chiede: «Tuttavia si risolve con la presenza di Gesù!». Beh, tutto nella vita si risolve con la presenza di Cristo.

Barabba nel film. Mentre proprio ora che mi ero convinto a fare Barabba mi ritrovo a fare San Pietro… e mi piace un sacco. Ci sono parti del copione con un registro tragico-comico come quando Pietro afferma: «Vi siete mai chiesti qual è l'unico miracolo non riuscito a Gesù? Il mio: la famosa camminata sull'acqua. Ha fatto camminare, sciancati, zoppi e lebbrosi e Pietro affonda come un sasso». Una scena molto forte e che tuttavia si

risolve con la presenza di Gesù. Come pensa di affrontare questa scena? Non è uno spettacolo dissacrante o irrispettoso, la forbice tra comico e tragico è ampissima e mille sono le sfumature. Pietro è un uomo e gli uomini sono fatti di mille sfumature e mille emozioni. Pietro è umanamente divertente con i suoi dubbi e le sue fragilità, col suo tentativo continuo di essere all’altezza dell’amore di Cristo, che lo ama nonostante la sua inadeguatezza. Questa scena è molto difficile da

Ci sono altri passaggi forti, dal tradimento all’incontro con Gesù risorto, al primo miracolo di Pietro il giorno della Pentecoste… A suo parere dove sta l’attualità di tutti questi fatti accaduti più di 2000 anni fa? All’inizio ero partito con l’idea di fare uno spettacolo comico, un po’ leggero, con un San Pietro che era una sorta di Peppino De Filippo della Galilea, mi piaceva questa idea del “giocare amorevolmente” con qualcosa che comunque mi era molto caro, un modo forse per avvicinarmi con più facilità al mio cammino di fede. Man mano che si lavorava sullo spettacolo, diventava sempre più evidente la grandezza e la bellezza di quello che stavamo raccontando, era un continuo rimando all’Anno della Fede, alla scuola di comunità di Comunione e Liberazione, alle parole nuove di Papa Francesco; l’evidenza che tutto c’entra con Cristo e Cristo è sempre presente in tutti i momenti della nostra vita. San Pietro è un uomo del 2000, un uomo sicuro delle sue certezze, che incontra Cristo e si scopre di colpo bambino, fragile e smarrito ed attraverso un lavoro di attenzione arriva alla conclusione della necessità di rimanere aggrappati a Cristo per essere compiuti e realizzati.

“Il mio nome è Pietro” Testi di Giampiero Pizzol. Interpretato da Pietro Sarubbi. Regia di Otello Cenci. Sala Teatro D7 - Giovedì 22 Agosto 2013 - Ore 19.45 GIUGNO2013

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SPETTACOLI 2013

Speranza o vuoto? Un dialogo tra speranza e vuoto, l’uomo con tutta la sua libertà di scelta di salvezza o baratro saranno al centro della scena di Sunset Limited, tratto dal libro di Cormarc McCarthy, che avrà luogo al Meeting il 21 agosto 2013. Sotto ai riflettori ci saranno i due protagonisti, Bianco e Nero, due personalità diametralmente opposte, che si sfideranno con la parola senza giungere mai ad un accordo. Per entrare meglio nel cuore dello spettacolo abbiamo intervistato il regista Fabio Sonzogni. di Erika Elleri

ome è nato il suo coinvolgimento con l’opera dello scrittore americano Cormac McCarthy dal titolo “Sunset Limited”, tanto da prenderne la regia e la scena? Ho conosciuto McCarthy romanziere da Meridiano di sangue. Mi trovavo a casa di Raul Montanari, era il 1995. Mi fece leggere alcuni passi di quel libro che stava traducendo. Erano parole dense, materiche, erano cose. Da allora ho letto tutto ciò che è stato pubblicato fino ad arrivare a Sunset Limited. Poco prima uscì La Strada, capolavoro assoluto. Questi due testi, scritti contemporaneamente, hanno stessa matrice ma trame diverse. Il primo ha come protagonisti un figlio e un padre, sullo sfondo un mondo incenerito. Nel secondo i protagonisti sono Bianco e Nero; la consapevolezza del fallimento della tradizione occidentale - la morte di dio, il nichilismo – in Bianco, la proposta di riscatto, di rinascita, di attesa, in Nero. Il padre de La Strada insiste a trasmettere la vita col fuoco, nonostante la decomposizione nichilista di tutti i valori. Nero ha strappato Bianco dalle rotaie del Sunset Limited e

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l’ha portato nel suo misero appartamento. Vuole dissuaderlo dal suo intento, il suicidio. La loro lotta è l’azione di due cosmi contrapposti. Due sfondi contrari e antitetici che non approderanno ad alcuna sintesi, a nessuna conciliazione. Il loro dialogo separa, allontana, mai unisce. È scontro perpetuo, in movimento. È conflitto tragico. Mi appassionano i testi che raccontano del conflitto insanabile tra desiderio di Speranza e cielo apparentemente vuoto. In una recensione fatta sul Corriere dello Spettacolo, in seguito alla prima nazionale avvenuta a gennaio a Milano, c’era scritto: «Perché qui non è in gioco solo la questione di credere o no in Dio, anche se la sua presenza è costante e assidua, ma anche e soprattutto la libertà dell’uomo di disporre della sua vita. La libertà di credere nella luce o nelle tenebre, nella felicità o nella disperazione, nella vita o nel suo contrario. Il suicidio come prova dell’esistenza del libero arbitrio». Cosa ne pensa di questa affermazione e cosa aggiungerebbe? Il suicidio oggi – così attuale – è pra-

tica desacralizzata perché non rituale. “Il suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate” scrive Schopenhauer, mentre Leopardi, nelle Operette Morali, ha scritto che i suoi contemporanei lo fanno perché sono “stanchi e disperati di questa esistenza”. La scelta di Bianco è libera e cosciente, «Le cose in cui credevo non esistono più … La civiltà occidentale è andata definitivamente in fumo nelle ciminiere di Dachau, ma io ero troppo infatuato per accorgemene. Me ne accorgo adesso». E Nero chiede: «Ed è questo che ha spinto a buttarti giù dal binario. Non una questione personale» e Bianco: «Ma è una questione personale. È questo l’effetto dell’istruzione. Rende il mondo intero qualcosa di personale». La scelta è quindi politica, l’atto non viene compiuto all’interno delle mura domestiche, in privato, ma fuori, nello spazio pubblico, è il sacrificio rituale. Ma la cerimonia, tuttavia, non ha nulla di sacro perché è priva del simulacro divino. È il tempo del silenzio di dio. Bianco poco prima di andarsene dirà: «Adesso mi resta solo la speranza del nulla, e a quella mi aggrappo». Il Meeting di quest’anno dal titolo “Emergenza uomo” desidera in particolar modo mostrare come in qualsiasi circostanza sia possibile l’emergere dell’umano e mostrare esempi di uomini che «hanno trovato un punto di forza nella scintilla del proprio desiderio, riaccesa da un incontro, da un fatto, da una circostanza attraversata». Come questa scintilla si respira nel testo, in particolar modo nell’incontro tra Bianco e Nero? La duplicità di significato della parola Emergenza, peraltro associata a Uomo, è assai stimolante. In Sunset Limited ciò che emerge è qualcosa di bello e fortunato quanto qualcosa di pericoloso e catastrofico. Considerato come eufemismo di allarme, potremmo dire che Nero, con piglio eroico, sottrae Bianco alla morte, lo salva risolvendo l’emergenza. Il successivo confronto drammatico delle due > GIUGNO2013

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SPETTACOLI 2013

Un’immagine dello spettacolo Sunset Limited.

posizioni è il motore della pièce. E da quello scontro emergeranno, verranno alla luce, due uomini trasformati? È lì, nel dialogo, che si affrontano i nodi dell’intricato tessuto del vivere contemporaneo, è quello il terreno dove i due sguardi si fronteggiano, si sfidano, si riconoscono. L’incontro sembra lasciare immodificati Nero e Bianco, non è così. Bianco uscirà dall’appartamento, per andare dove? Nero ha messo a dura prova la sua virtù (Giobbe), e da questa lotta, come n’è uscito? A queste domande la regia ha risposto con luce bianca accecante e musica di Bjork, Heaven. Qual è stata la sua esperienza nelle precedenti rappresentazioni, ci sono episodi significativi che potrebbe raccontarci? Il pubblico segue con estrema attenzione e sembra non perdere una sola virgola del testo. La regia ha messo in evidenza il dialogo - scritto come una partitura musicale dall’architet-

tura perfetta – tralasciando ogni ipotesi di sovrapposizione formale e ideologica. Bianco e Nero si affrontano in una partita a scacchi dove le pedine, le parole, e il loro movimento sono l’arma più tremenda. All’apice della propria chiarezza, della propria posizione, manifestano l’incapacità di comprendersi e accogliersi, svelando la loro impotenza all’ascolto. Il pubblico prende posizione ma alla fine dello spettacolo, si sentirà un po’ Bianco e un po’ Nero. Una piacevole sorpresa, accaduta spesso – soprattutto con la presenza in sala di giovani studenti - è stata quella di aver suscitato ilarità in alcuni passaggi del testo, risate a scena aperta. Un dono meraviglioso. Qual è secondo lei la scena più bella, che può aiutarci ad entrare direttamente nel cuore dello spettacolo? La scena più significativa credo sia quella del pranzo. Nero invita Bianco a mangiare con lui, unico momen-

to di vicinanza. Il dialogo si allenta. È un pranzo eucaristico. Bianco sembra sul punto di tornare ad amare il mondo. È invece l’anticipazione della stoccata che Bianco infligge al suo salvatore, con una tragica arringa finale. E questo accade perché il pranzo non è stato salvifico, sacrificale. Al banchetto c’è il pane ma manca il vino, c’è il corpo ma non il sangue. Bianco: «Non pensa che un bicchiere di vino ci sarebbe stato bene?». Nero: «Per carità, ci sarebbe stato benissimo» ma invece non c’è e quindi non ci sarà la transustanziazione, necessaria affinché possa essere evocato il sacrificio e quindi la salvezza.

“Sunset Limited” Cormarc McCarthy Scena e regia Fabio Sonzogni. Con Fausto Iheme Caroli (Nero) e Fabio Sonzogni (Bianco). Sala Teatro D7 - Mercoledì 21 Agosto 2013 – ore 19.45 GIUGNO2013

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SPETTACOLI 2013

Che cinema al Meeting! Anche quest’anno al Meeting ci sarà una grande sala cinematografica con una programmazione di film di successo per intrattenere tutta la famiglia. di Antonio Autieri *

o scorso anno, al Meeting il cinema ha ricevuto uno spazio importante. Per la prima volta una sala cinematografica vera e propria era stata allestita dentro i padiglioni della Fiera di Rimini. E fu un’esperienza molto bella, per gli spettatori grandi e piccoli (ci fu anche un’anteprima assoluta, per Ribelle – The Brave della Pixar/Disney), con film che parlavano a diversi livelli e in vari modi dell’esperienza umana. Ma anche per noi di Sentieri del Cinema che tenevamo le fila dell’iniziativa, insieme all’ufficio Spettacoli del Meeting e in particolare a Otello Cenci, e che presentavamo i film e li commentavamo alla fine. Una grande possibilità di confronto per tutti, per approfondire tutto ciò che ci sta più a cuore anche grazie al cinema. Che per noi è un fatto di mestiere ma ancor prima di passione. E che come ogni altra forma artistica o espressiva riesce a dar conto di tutta la ricerca di significato che alberga nel cuore umano. Quest’anno il bis, anche se in uno spazio differente (al padiglione D3) e con qual-

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che spettacolo in meno, ma in una sala ancora più grande con oltre 900 posti. Dal lunedì al giovedì, sempre di sera alle 21, tre film per “grandi” e uno di animazione, per tutta la famiglia e in grado di parlare ai bambini, agli adolescenti, ai genitori (o educa-

tori in genere). Per ogni film abbiamo cercato una connessione, non forzata, con il titolo del Meeting di quest’anno: “Emergenza uomo”. Ci siamo trovati in difficoltà nella scelta dei titoli, perché sono stati tanti quelli nell’ultimo anno o poco più che avrebbero meritato una visione insieme. La scelta è caduta su alcuni film che, oltre a essere molto belli e “provocanti” e a presentare una perfetta aderenza al tema, sono stati meno visti di altri pur altrettanto belli. Si partirà con Il figlio dell’altra che cala questa “emergenza” in uno dei contesti più difficili e che come nessun altro tocca il tema dell’amicizia tra popoli, culture e religioni così caro da sempre al Meeting. Il film della regista francese Lorraine Levy è infatti ambientato in Israele e mette in scena una storia paradossale nel contesto delle relazioni tra palestinesi e israeliani: il giovane Joseph, mentre affronta gli esami fisici per entrare nell’esercito israeliano, scopre che è stato scambiato in culla con Yacine, cresciuto con una famiglia palestine- > GIUGNO2013

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SPETTACOLI 2013 se… La crisi di identità dei due ragazzi va di pari passo con le reazioni delle famiglie: i padri che reagiscono male, le madri aperte a un figlio che pure non sarà più il loro; e un fratello che grida il suo odio per chi non è più suo fratello… Il film evita le scelte banali e, grazie alla forza dell’apologo sotteso a una storia in apparenza assurda, va oltre la possibile lettura storico-politica, e interroga sulla propria identità. E sul naturale desiderio di pacificazione e accettazione dell’altro, in modo semplice e sorprendente. Vedremo poi Cosa piove dal cielo? dell’argentino Sebastián Borensztein. Anche qui una storia surreale e paradossale, con avvenimenti apparentemente impossibili e incroci del caso o del Destino, a seconda della lettura che ne vogliano dare i personaggi. Il protagonista, Roberto, vive da solo a Buenos Aires: cinquantenne scontroso e arrabbiato con il mondo, rifiuta l’amore di una donna (che sa leggerlo nel profondo oltre tutta la sua misantropia) e preferisce l’isolamento da tutti, tra tic e manie; come la collezione di articoli su morti assurde e tragicomiche. Ma quando si imbatte in un cinese che non sa una parola di spagnolo, la tentazione di liberarsene si scontra con l’impossibilità di farlo; involontariamente, quel

ragazzo spaesato gli rimane incollato. E provocherà un’ondata di problemi a catena. Ma non solo… Una commedia, dai tratti dolorosi e sorridenti a un tempo, che punta alto: per Roberto, la vita non ha senso. E tutto, anche un ritaglio di giornale, ne è la conferma. Non sveliamo nulla delle mille sorprese di cui è ricco questo film semplice e profondo. In sala cinema assisteremo alla premiazione dei corti del Meeting Rimini Film Festival e subito dopo guarderemo insieme, To the wonder di Terrence Malick. Che dopo The Tree of Life, torna a raccontare l’uomo in tutta la sua complessità e profondità. Qui ci presenta un uomo che non sa amare (come vediamo dalle sue storie con donne diverse) e un sacerdote in crisi con la sua fede, che sente false le sue stesse parole. Due strade destinate a incrociarsi in un finale commovente, in cui risuona ancora una volta, come in The Tree of Life, la presenza di un Altro (qui chiamato esplicitamente per nome). Con uno stile non facile, fatto di ellissi e pensieri invece che dialoghi, ma con la rarissima capacità di guardare in faccia il bisogno umano in maniera radicale e vertiginosa. Infine, un film di animazione per tut-

ti: Kiki – Consegne a domicilio di Hayao Miyazaki. Film non nuovo, ma del 1989, ma riproposto nella sua versione più fedele solo adesso in Italia (in precedenza era stato “rovinato” da una versione poco fedele in dialoghi e testi delle canzoni). La storia di una ragazza con un dono magico, volare su una scopa, che sotto la metafora della magia “da strega” nasconde una delicatissima storia di crescita, di talenti che ci vengono donati e che bisogna saper riconquistare. Con la sua consueta genialità, Miyazaki – maestro ammiratissimo dai colleghi della Pixar, anche per la sua capacità di toccare temi seri in film anche per bambini; da lui hanno imparato con Up e altri film… – suscita domande all’altezza di tutti i cuori e tutte le età. Anche quest’anno, quindi, noi ci saremo al Meeting. Per cogliere insieme agli spettatori, commentando insieme i film, spunti e riflessioni da trattenere al termine di ogni proiezione. Sorpresi come, a saper guardare, dal cinema possiamo continuamente imparare.

* direttore di Sentieri del Cinema

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IN-MOSTRA 2013

L’Unione Europea, luogo delle libertà, dello sviluppo e della pace Vi proponiamo l’articolo del Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini sulla mostra che verrà allestita al Meeting 2013 presso il padiglione A1. di Giorgio Vittadini

«

Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide» è quello che Konrad Adenauer, Robert Schuman, Alcide De Gasperi e Jean Monnet devono aver tenuto caro durante tutto il lungo processo di unificazione europea post-bellico. Questa apparentemente semplice, ma in realtà dirompente, considerazione rappresenta la sconfitta delle ideologie totalitarie. Affermazione del valore unico e irripetibile di ogni essere umano, libertà di espressione religiosa, d’educazione, d’impresa, cooperazione tra i popoli: questi sono solo alcuni degli elementi che essi vollero affermare, insieme al desiderio di una pace duratura. Domandiamoci che cosa è rimasto, oggi, della visione dell’Europa dei padri fondatori, in una fase di profonda crisi economica, ma anche culturale e politica. Quell’intuizione originaria ha prodotto un metodo positivo, una mentalità e una cultura alla base di politiche che hanno consentito sessantacinque anni di pace

e di sviluppo, il più lungo periodo della storia d’Europa senza conflitti (ad eccezione delle guerre nei Balcani, frutto della disgregazione dei regimi dell’Est). Prende le mosse da queste considerazioni la prima parte della mostra Sinfonia dal “nuovo mondo”. Un’Europa unita, dall’Atlantico agli Urali realizzata per il prossimo Meeting di Rimini dalla Fondazione per la Sussidiarietà insieme a un gruppo di studenti universitari: una ricognizione sul pensiero dei fondatori dell’Europa che ha portato a un’idea di Unio-

ne Europea come luogo delle libertà, dello sviluppo e della pace. Il vero dramma del progetto politico europeo, nato per sovvertire il clima tragico della fine degli anni Quaranta, consiste oggi nel non saper più declinare il pensiero che lo ha fondato. Eppure, non mancano segni di speranza, che nella seconda parte della mostra saranno messi in luce da alcuni video che raccontano esperienze relative, ad esempio, all’accoglienza degli immigrati, a grandi progetti di cooperazione scientifica, all’aiuto alimentare, all’aiuto alla crescita di aree in crisi o in via di sviluppo, alle opportunità offerte dalla libera circolazione di studenti, professori, lavoratori e merci. Altre novità nascono nel clima di pace che la nascita dell’Europa ha permesso: un dialogo profondo e di portata storica tra cattolici e ortodossi russi nel solco di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, un’amicizia imprevista tra esponenti della gerarchia e del mondo anglicano e cattolici. La terza parte della mostra mette in luce alcune proposte di ordine economico, sociale e istituzionale che potrebbero favorire il sostegno e il moltiplicarsi di questi fatti. Si tratta di riconsiderare il valore del nesso tra l’uomo singolo, con tutti i suoi ideali, le formazioni sociali, a cui appartiene e le istituzioni improntate a sussidiarietà orizzontale e verticale. Dalla mostra emerge un segnale di speranza e una direzione per l’avvenire, inevitabilmente europeista, del nostro Paese.

Domenica 18 agosto 2013 - Sabato 24 agosto 2013 RiminiFiera Pad. A1 Sinfonia dal “nuovo mondo”. Un’Europa unita, dall’Atlantico agli Urali. A cura della Fondazione per la Sussidiarietà. GIUGNO2012 GIUGNO2013

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Il mondo in casa Chesterton “Il cielo in una stanza. Benvenuti a casa Chesterton” è la mostra che sarà allestita al prossimo Meeting dedicata alla vita, al pensiero e alle opere del più celebre saggista e apologeta inglese del XX secolo. Abbiamo posto alcune domande ad alcuni curatori della mostra dedicata a Chesterton e qui riproponiamo le loro risposte. di Stefano Pichi Sermolli

baldo Casotto, la mostra ha un titolo molto particolare: “Il cielo in una stanza. Benvenuti a casa Chesterton”. Da dove nasce questo titolo, cosa vuole evidenziare e sottolineare fin da subito dell’opera Chestertoniana? Associando il titolo del Meeting “Emergenza uomo”, a due libri di Chesterton, all’inizio era venuto fuori “L’uomo è vivo perché è eterno”. Bello, paradossale, ma un po’ didascalico. Poi Annalisa ha tirato fuori l’idea della casa: il salotto, la cucina, lo studio... perché tutto Chesterton può essere raccontato con gli oggetti di casa sua; Edoardo ed io iniziamo a rincorrerci con citazioni sull’intuizione Chestertoniana del limite come condizione dell’opera d’arte (se vuoi fare un quadro devi avere una cornice, una poesia è chiusa nella metrica del verso), passiamo al “materialismo” di Chesterton per cui l’infinito è incontrabile solo nel finito, quindi ricordiamo che Innocenzo Smith, l’uomo vivo esce dalla porta di casa, cammina sempre dritto, fa il giro del mondo e torna a casa. Ora è più casa di prima e ha qualcosa a che fare con il paradiso perché Innocenzo ci ha portato dentro il mondo: il

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Un ritratto di G.K. Chesterton.

mondo in una stanza... ci mettiamo a cantare Gino Paoli... «questa stanza non ha più pareti» ... Il cielo in una stanza. Benvenuti a casa Chesterton. Edoardo Rialti, il titolo del Meeting di quest’anno sarà“Emergenza Uomo”. Come Chesterton nella sua vita di uomo e di artista sentiva questa emergenza? Come sentiva l’umano, la sua identità, il suo bisogno di esistere, che nessuna menzogna e riduzione dentro e fuori di noi può eliminare? «Qualunque cosa abbia il potere di far

sentire all’uomo di essere vecchio, è fatalmente misera e meschina, sia essa un impero o una squallida bottega. Qualunque cosa lo faccia sentir giovane è un portento, sia essa una guerra immane o una storia d’amore». Come al solito Chesterton con il lampo di una sua battuta risponde alla domanda assai meglio di quanto lo possa fare io. Tutta la vita, e di conseguenza la scrittura, di Chesterton ha avuto come centro infiammato sempre e solo questa domanda: cosa permette all’uomo di non perdere ciò che egli già ama, fuori e dentro di sé, cosa gli permette di non veder sbiadire il “mattino eterno del mondo”? Egli sentiva, avvertiva con tutto sé stesso che forse la cosa più preziosa che abbiamo è non smarrire questa segreta, perenne sorgente di gratitudine, gioia, libertà ed umorismo di cui ci sorprendiamo già dotati, un sorriso che ci accompagna dalla nascita, dentro tutte le esperienze più forti. Egli ha denunciato tante menzogne, tante coltri di nebbia che hanno cercato di ottunderlo, ridurlo ed offuscarlo, sostenuto in questo non dallo stoicismo di una volontà isolata, ma dalle consolazioni grandi e piccole e ancor più dagli sguardi e dai rapporti di amore, amicizia e verità che non hanno mai smesso di farsi strada fino a lui. Annalisa Teggi, visitare la mostra sarà come letteralmente intrufolarsi nella casa di Chesterton, nella sua cucina, nel suo salotto, nel suo studio. Perché avete pensato a questo tipo di allestimento? Che immedesimazione sarà chiesta al visitatore? Il visitatore dovrà sentirsi in tutto e per tutto un ladro. Ma deve anche aver chiaro che andrà a rubare in casa propria: è vero infatti che chi visiterà la mostra s’intrufolerà a casa Chesterton, ma ancor di più si addentrerà nel modo con cui Chesterton guardò la sua casa (il suo io, tanto quanto la trama di vita che lo circondava). I comandamenti ci insegnano a non


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“G.K. Chesterton ha vissuto qui 1922-36”, negli ultimi anni della sua vita.

desiderare la roba d’altri e Chesterton li prese sul serio, deducendone in modo perfettamente logico che è doveroso guardare le proprie cose desiderandole. Si può essere ladri a casa propria e forse - per mantenersi vivi e sani - si deve proprio esserlo. Questa è la chiave con cui si apre casa Chesterton, e anche casa nostra. Ogni uomo abita un tempo e un luogo particolare, conosce se stesso e il mondo dentro un recinto di cose; questo non è un limite, è - anzi - un entusiasmante punto di forza. Perché la conoscenza non è qualcosa di generico che semplicemente si espande, ma è qualcosa di prepotente e profondo che s’innesca a tu per tu con ogni dettaglio di vita che incontriamo. Dunque, bisogna stare all’erta e avere una smisu-

rata voglia di avventura, perché non si sa mai cosa può accadere tra quattro semplici e ordinarie mura domestiche. Andrea Monda, cos’ha da dire all’uomo di oggi Chesterton? Sono ancora attuali le sue opere? Se Chesterton fosse solo una colorita “espressione del suo tempo”, non si spiegherebbe il continuo interesse che le sue opere suscitano anche a quasi 80 anni dalla sua morte. Questo vale per GKC ma per ogni vero artista: Dante non è solo una bella espressione del ‘300. È chiaro che attraverso Dante o GKC comprendiamo molto della Firenze medioevale e dell’Europa a cavallo tra XIX e XX secolo, ma, per fortuna, l’arte

non è sociologia bensì rovesciamento della nostra prospettiva solita, rassicurante. Da questo punto di vista GKC, ad un tempo cavallo selvaggio e umile asinello della Verità, è artista sommo, prezioso oggi più di ieri, visto che il nostro oggi è così appiattito sul dogma dell’attualità e della verità (mal) ridotta dall’intellettualismo scientista o moralista. Lo schiaffone (o il calcione equino), pieno di energico buon umore, che GKC molla al lettore è così sonoro e carico di amore per la vita che risuona ancora oggi e lo farà fino alla fine dei tempi ogni volta che un lettore proverà ad avvicinarsi a qualsiasi sua pagina, uno schiaffone che, per dirla con la O’ Connor, ci fa ri-vedere il mondo da un’altra angolazione. GIUGNO2013

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La consolante bellezza di quel volto Raffaella Zardoni, una delle principali curatrici della mostra del Meeting di quest’anno “Il volto ritrovato”, ci racconta il percorso personale che l’ha portata ad approfondire la sua conoscenza del ritratto di Cristo di Manoppello in Abruzzo. di Raffaella Zardoni

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sé la vita lascia. Scoprii che tutti gli antichi ritratti di Cristo chiamati “acheropiti” (non fatti da mano d’uomo) sono considerati perduti: la Camulia durante l’iconoclastia, il Mandylion col Sacco di Costantinopoli e la Veronica romana nel corso del 1500. Scoprii anche che Nel 2010, ho casualmente saputo di Benedetto XVI, appena eletto, aveva un ritratto di Cristo, dipinto/impresvisitato Manoppello. Proposi quindi so su entrambe le facce di un Velo a un’amica di andare in Abruzzo. Presemitrasparente, conservato a Manopnotammo per pello, in una settimana, Abruzzo. La libere di tordescrizione nare prima se corrispondeva l’immagine si a ciò che avefosse rivelata vo vagamente una bufala. studiato circa Restammo il prototipo del tutta la settivolto di Crimana. sto. Stupita di Nessuna foto non averne rende la conmai sentito solante bellezparlare, mi za di quel viso mossi per che rispetta c o n o s c e r l o, ogni caratteriforse facilitata stica dei volti dal fatto che di Cristo ma ero appena torresta imparanata dalla Tergonabile a rasanta dove qualsiasi ritratavevo sperito. Porta i mentato quansegni della te impronte di L’immagine simbolo della mostra. Clio (cioè la storia) trascorre il suo tempo a cercare delle impronte, delle vane impronte, e una ebrea da nulla, la piccola Veronica, tira fuori il suo fazzoletto e sul volto di Gesù prende una impronta eterna.» Charles Peguy

Passione: il naso disassato, le labbra gonfie e insanguinate, il colpo sulla guancia. Incontrando il suo sguardo si sperimenta cosa significa che Dio si fa specchio dell’uomo assumendo su di sé tutte le sue porcherie; mentre l’uomo, nell’incontro, riguadagna la vita: la Chiesa nel 1200 legò un’indulgenza alla recita di una preghiera davanti alla Veronica (la prima indulgenza connessa a un’immagine). La Veronica m’incuriosiva, già nel nome che indica sia il Velo conservato in San Pietro sia la donna che incontrò Gesù sulla Via del Calvario. In un saggio di André Chastel lessi che della Veronica abbiamo un numero infinito di copie. Mi parve esagerato e iniziai a cercarle creando una mappa con Google: sono innumerevoli, disseminate su ogni via di pellegrinaggio fino alla Finlandia. Non so come potrà Cristo riconquistare il cuore degli europei, ma è bello vedere come ci sia già riuscito e quanti nostri padri abbia messo in cammino per il desiderio di vedere il Suo Volto! Chiamavo questo mio studio “Il Volto perduto” - in nessuna epoca come la nostra il volto umano è stato sfigurato e svalutato -, ma un giorno capii che sbagliavo: oggi non è “perduto”, è “trovato”. Il momento del suo ritrovamento si può legare alla visita del Santo Padre: perduto da Costantinopoli durante lo Scisma d’Oriente e perduto da Roma negli anni della Riforma Protestante, il suo “lasciarsi trovare” in questo nostro tempo è una promessa di consolazione e di speranza per gli uomini. Domenica 18 agosto 2013 - Sabato 24 agosto 2013 RiminiFiera Pad. C5 Il Volto Ritrovato I tratti inconfondibili di Cristo Ideazione del progetto di Raffaella Zardoni. Comitato scientifico: Paul Badde, Emanuele Colombo, Giovanna Parravicini, Fr. Paolo Martinelli, Cristina Terzaghi. GIUGNO2013

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AMICI

Il bene che non si accetta Cosa succede ogni giorno alla comunità per tossicodipendenti “L’imprevisto” di Pesaro? Com’è strutturata? Come è nata? Abbiamo incontrato la comunità e il fondatore Silvio Cattarina con queste ed altre domande e siamo tornati a Rimini con negli occhi la bellezza di quelle facce. Quest’anno saranno presenti al Meeting con una mostra, un’occasione per incontrarli ed ascoltare le loro testimonianze. di Erika Elleri e Valentina Gravaghi

n una giornata di sole splendente partiamo dal Meeting di Rimini alla volta della comunità maschile de “L’Imprevisto”, situata alle porte di Pesaro, a ridosso della spiaggia e della ferrovia. Volevamo incontrarli, guardare le loro facce e ascoltare i loro racconti. Infatti, proprio quest’anno saranno al Meeting con una mostra per parlare di quello che sta accadendo ogni giorno in quella comunità nata ben 23 anni fa dall’intuizione di Silvio Cattarina. Una mostra che racconterà - attraverso testimonianze e immagini - la vita della comunità e le tappe del cammino che i ragazzi si trovano a vivere in essa, scegliendo come singolare punto di osservazione l’esperienza della ‘messa in vita’ (più che ‘in scena’) di Amleto di William Shakespeare, che dal 2009 ha luogo tra le mura dell’Imprevisto. I cinque atti dell’opera diventano così anche altrettanti spazi di riflessione sul percorso terapeutico ed educativo della comunità. Un interesse, quello di Silvio per la tossicodipendenza, nato da giovane e che è maturato grazie all’incontro con due sacerdoti, don Gianfranco Gaudiano di Pesaro e don Luigi Giussani e poi con alcuni amici che lo hanno in qualche modo indirizzato verso quel percorso, che lo avrebbe portato a fondare quest’opera.

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Ci si spalanca un mondo Entrati nel suo ufficio ci si spalanca un mondo, che ha a che fare con lui e la sua storia: pareti colorate, farfalle e uccellini e decine di foto di amici e personaggi, che sono passati di lì o che semplicemente lui ha incontrato. È con la stessa semplicità e trasparenza, senza alcun distacco, che lui si propone ai ragazzi che arrivano in comunità. «Non c’è separazione – ha affermato – tra noi e i ragazzi. Non forniamo loro un servizio, ma gli proponiamo un’amicizia che dura per sempre». Il contrario delle tecniche pedagogiche insegnate in Università. «Per noi responsabili – ha continuato - ogni ragazzo è sempre un imprevisto, un incontro, un’avventura che dura tutta la vita». Ed è proprio dagli ultimi versi della poesia di Montale “Prima del viaggio” che prende il nome la comunità, esemplificando l’attesa del cuore di ogni uomo: “Un imprevisto è la sola speranza”. «Se chiedi ai ragazzi l’origine di quel nome – ci ha raccontato con un sorriso - ti rispondono che è una bella poesia di don Giussani. E questo mostra come loro siano in grado di andare subito alla fonte delle cose».

re all’origine di tutto. «Vogliamo comprendere, capire e giudicare assieme quello che è la vita e la persona. È un lavoro di giudizio che implica due incontri al giorno (uno al mattino e l’altro al pomeriggio) e i ragazzi sono chiamati a giudicare e a raccontare verbalmente e per iscritto la loro vita». Perché per loro la parola è importante. È un modo per far venir fuori la persona. «Vogliamo scavare nel cuore delle persone per capire sempre di più il mistero della vita. Desideriamo che accada una grande cosa tra noi e i ragazzi, fare un’esperienza forte di vita insieme, di novità e scoperta. Non ci basta uscire dal male della droga. Vogliamo incontrare tutto, desideriamo il miracolo». Questo è il modo in cui Silvio si pone davanti ai ragazzi, è la sfida che lancia loro fin dall’inizio. Il percorso di recupero dura circa due anni, anche se va valutato caso per caso, e all’inizio si toglie loro tutto: dal piercing al telefonino, al contatto con le morose, perfino la scuola. Gli orari sono rigidi, scanditi da assemblee, dalle mansioni quotidiane. «Tutto serve perché la vita dei nostri centri sia un continuo, grande struggimento».

La comunità La comunità accoglie ragazzi di età compresa tra i 15 e i 21 anni e il tentativo degli educatori è quello di anda-

Il metodo Nel tempo il metodo di Silvio è cambiato. All’inizio rimaneva molto colpito dalle storie drammatiche dei


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Un’immagine delle prove della rappresentazione teatrale dell’Amleto (©Cesare Duri).

ragazzi e delle famiglie e cercava di trovare una soluzione per aiutarli. Pian, piano ha smesso di essere colpito da loro, ha smesso di studiarli e ha cominciato a pensare a sé, a parlare con loro apertamente e a dire loro: «Pensiamo ad un’avventura che sia per sempre e che ci prenda totalmente». Infatti, la sfida è che attraverso tutte le cose che devono fare - il lavoro, le attività, il teatro, lo sport - possano scoprire se c’è qualcosa che va loro incontro e che li solleva. Il contrario della logica della droga, che si esprime emblematicamente con il termine “mi faccio”, come se la soluzione fosse dentro di sé e quindi come se bastasse immettere una sostanza. La grande scoperta, invece, è che la soluzione sta al di fuori di noi. «Quello che vi distrugge – dice Silvio ai ragazzi - e che vi ha fatto soffrire non è il male, ma il bene che non si accetta». Poi aggiunge: «E qui cerchiamo di mostrargli come il bene non sia solo in questo luogo, ma che c’è sempre stato nella loro vita, semplicemente non l’hanno saputo accettare». Molti ragazzi se la prendono con i genitori, perché non sono mai stati guardati, considerati da loro. Silvio li sprona dicendo loro: «smettetela di andare contro voi stessi e i vostri genitori, tutto il combat-

timento vivetelo contro Dio». In modo che possano esprimere al meglio il grido che c’è al fondo di loro. All’altezza del grido del cuore «Desidero – ha continuato - che siano all’altezza del grido che agita il loro cuore. Invitandoli a parlare è come se dicessi loro: impara a gridare, non temere di tirare fuori quello che hai nel cuore, tutte le domande di verità, di senso religioso, gli interrogativi che riguardano il senso della vita, il valore dello studio e del lavoro, il perché della droga, della malattia, della morte». Qui si comprende bene il loro bisogno di avere qualcuno da guardare, qualcuno che sia per loro una presenza. «Tuttavia, diciamo loro di non guardare noi, ma dove noi guardiamo, così da imparare a gridare come facciamo noi». Cosa troveranno dopo? “E quelli che escono cosa troveranno?” è la domanda di molti genitori. E la risposta di Silvio è sempre la stessa: «Qui imparano che la realtà viene loro incontro e quindi verranno trovati e non devono trovare niente. Tutto accade nell’istante e si impara a scoprire di essere trovati, chiamati». Da qui sono passati circa 900 ragaz-

zi e la maggior parte ce l’ha fatta ad uscire dal tunnel. Alcuni di essi hanno deciso di rimanere. C’è perfino un appartamento che accoglie i ragazzi che dopo il percorso hanno deciso di restare e per l’occasione ci hanno invitato a pranzo per offrirci un piatto di pasta preparata da loro. Facce solari e sorridenti di chi ha vissuto un dramma, ma che ora è pronto ad affrontare tutto. Eugenio, ad esempio, ci ha confidato «Ho sempre avuto questo pensiero, se ci potesse essere veramente un posto dove poter essere libero, me stesso. Qui ho imparato ad accettare i limiti miei e degli altri, ad avere fiducia in me stesso e negli altri, nel gruppo». Oppure Stefano ha parlato dell’“emozione sana” che emerge nel recitare: «La positività di quell’esperienza ci ha tirato fuori il bello che ciascuno di noi ha dentro di sé. Oltre la fatica, l’impegno». La mostra al Meeting servirà a raccontarci di loro, dei loro drammi e di quello che vivono ora, dal teatro all’esperienza nella comunità. E saranno proprio loro – alcuni di quelli che hanno concluso il proprio percorso – a guidarci. E lo faranno con quel sorriso sulle labbra di chi ora sa chi guardare.

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CONVEGNI

Il telescopio spaziale Planck Quest’anno alcuni dei principali protagonisti del progetto Planck ci racconteranno particolari sull’impresa, sul suo significato scientifico, sull’avventura che per oltre vent’anni ha messo insieme centinaia di ricercatori in Italia, in Europa e in tutto il mondo. Una grande occasione di vedere in diretta l’universo neonato con una definizione mai vista prima. di Marco Bersanelli

l 21 Marzo 2013 l’Agenzia Spaziale Europea ha reso pubblica un’immagine che in poche ore ha fatto il giro del mondo: la più accurata mappa mai ottenuta dell’universo neonato. È il primo fondamentale risultato del telescopio spaziale Planck, un gioiello della tecnologia europea concepito nel lontano 1992 e lanciato quattro anni fa in un’orbita a 1,5 milioni di chilometri. Al Meeting di quest’anno vi racconteremo questa impresa, il suo significato scientifico, la lunga e impegnativa avventura che per oltre vent’anni ha messo insieme centinaia di ricercatori in Italia, in Europa e in tutto il mondo. Avrò il piacere di condividere questa occasione con Reno Mandolesi, con il quale ho condiviso questi 21 anni

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di lavoro e di passione, insieme a tanti altri amici e colleghi in Italia e nel mondo. Il progetto Planck ha portato l’Italia a giocare un ruolo di leadership internazionale in un settore scientifico di punta, grazie soprattutto al talento di molti giovani ricercatori che tutto il mondo ci invidia e che meriterebbero ben migliori prospettive nel nostro Paese. Una macchina del tempo Planck è una sorta di macchina del tempo. I suoi strumenti catturano la più antica luce dell’universo, luce che riceviamo come microonde – le stesse lunghezze d’onda che scaldano le vivande nei forni delle nostre cucine. Questa luce ha viaggiato nello spazio per quasi 14 miliardi di anni e ci

La mappa dell’universo neonato dal telescopio Planck.

restituisce un’istantanea di come si presentava il cosmo all’inizio della sua storia, quando la sua età era appena lo 0,003% di quella attuale. Rispetto a un adulto di 50 anni, è come risalire alle sue prime ore di vita. Gli strumenti di Planck sono i più potenti ricettori di microonde mai costruiti. Grazie alla loro sensibilità abbiamo potuto registrare con estrema precisione le piccole “increspature” che agitavano l’universo infuocato degli inizi, a una temperatura di circa 3000 gradi. Quelle fluttuazioni appena percettibili (paragonabili a increspature di un millimetro sulla superficie di un lago profondo 100 metri) ci mostrano i semi di tutte le strutture che si sono formate nell’universo: galassie, stelle, pianeti. E quelle increspature primordiali, che Planck osserva con precisione senza precedenti, sono vere e proprie oscillazioni acustiche (onde sonore) generatesi nelle prime frazioni di secondo dopo il big bang. Per la prima volta Planck ha captato per intero questa “sinfonia cosmica” in tutte le sue tonalità, dai suoni più acuti a quelli più gravi. L’universo iniziale era di una semplicità disarmante L’analisi rivela un intrigante misto di conferme e di sorprese. Anzitutto abbiamo verificato in modo spet- > GIUGNO2013

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CONVEGNI

Un’immagine del telescopio spaziale Planck.

tacolare la validità del cosiddetto modello cosmologico standard. Significa che i tratti essenziali dell’universo neonato sono descritti molto bene da una manciata di parametri: sei numeri in tutto. L’universo iniziale era di una semplicità disarmante. È impressionante pensare che da un inizio così umile e quasi indistinto abbia potuto prender forma un universo così diversificato e complesso come quello che ci circonda oggi. Come è incredibile che da un embrione di poche cellule in nove mesi possa svilupparsi un bimbo pronto per venire alla luce, così è prodigioso che da quel semplicissimo mare incandescente appena mosso da una lieve brezza cosmica in 14 miliardi di anni si sia sviluppato un universo tanto ricco e ospitale da accogliere la vita e la nostra stessa esistenza. Dall’osservazione delle increspature primordiali è possibile estrarre le caratteristiche del mezzo nel quale esse si sono propagate, cioè gli ingredienti di materia e di energia dell’universo. Per analogia, è come comprendere le proprietà di un liquido senza poter-

ne fare un’analisi diretta, ma studiando le onde che si propagano sulla sua superficie. I dati di Planck ci mostrano che la materia “ordinaria” – della quale sono fatte le galassie, le stelle e tutto il mondo conosciuto – costituisce appena il 4,9% del totale. Il 95,1% di quanto esiste è sotto forme di materia e di energia ancora sconosciute. Davvero è il caso di ripetere con Shakespeare «Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che nella tua filosofia». Inoltre troviamo che il tasso dell’espansione dell’universo (la famosa “costante di Hubble”) ha un valore inferiore al previsto, e tutto ciò fornisce una data di nascita ben precisa per il nostro universo: 13,82 miliardi di anni, con la pazzesca precisione dello 0.4%. Indizi di qualcosa di inatteso Ma non è tutto. La mappa di Planck ha anche rivelato alcuni indizi – quasi impercettibili – che potrebbero essere sintomo di qualcosa di profondo e inatteso. Uno dei pilastri della cosmologia moderna è che su grande scala l’universo è in sostanza ovunque ugua-

le a se stesso – il cosiddetto “principio cosmologico”. Planck ha rivelato qualche crepa in questa assunzione fondamentale. Ad esempio si osserva una lieve ma misurabile asimmetria tra un emisfero e l’altro del cielo; inoltre si nota la presenza di un’ampia regione “fredda” difficile da spiegare come semplice fluttuazione statistica. Come spesso succede nella scienza, non si fa in tempo a consolidare un passo che già urgono nuove domande. Una definizione mai vista prima Planck ci sta dando l’opportunità straordinaria di vedere in diretta l’universo neonato con una definizione mai vista prima. È un po’ come sbarcare per la prima volta su un continente ignoto. Oppure, più propriamente, è come tornare a stupirci nel rivedere il nostro vecchio continente con occhi nuovi. Come scriveva Eliot, «Non smetteremo di esplorare / E alla fine di tutto il nostro andare / Ritorneremo al punto di partenza / Per conoscerlo per la prima volta.» GIUGNO2013

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SPETTACOLI 2013

Che spettacolo!

Sul palco del Meeting vanno in scena S. Agostino e S. Pietro, gli omaggi a Gaber e Testori, il romanzo di Chesterton e tanti altri immancabili appuntamenti nel ricco cartellone degli spettacoli teatrali e musicali, con concerti folk e swing, musica classica fino a quella popolare.

AUDITORIUM D5 ore 21.45 > 18 AGOSTO 2013 Le “Confessioni” di Agostino Lo spettacolo inaugurale del Meeting porterà sul palco un uomo del tutto eccezionale: Sant’Agostino d’Ippona. Attraverso l’interpretazione di brani dalle sue Confessioni, si potrà rivivere l’interpretazione drammatica dell’esperienza di Agostino per immedesimarsi con un percorso personale in cui emerge la verità dell’esistenza di ognuno di noi. Un recital-evento con un interprete eccezionale come Sandro Lombardi, uno degli attori più importanti della scena italiana contemporanea.

> 21 AGOSTO 2013 Chiedo scusa al Signor Gaber Omaggio di Enzo Iacchetti all’amico e maestro Giorgio Gaber nel quale rivisita con particolare ironia il primissimo repertorio che precede la nascita del Signor G. Uno spettacolo che è molto più di un “concerto”: le canzoni vengono stravolte, riscritte e “contaminate” con citazioni e riferimenti alla musica italiana contemporanea. Massimo Bernardini guiderà il post spettacolo con video e racconti del grande Gaber.

TEATRO ERMETE NOVELLI ore 21.30 > 19 E 20 AGOSTO 2013 Manalive Un uomo vivo L’opera dello scrittore inglese G.K. Chesterton “Manalive” andrà in scena in prima nazionale al Teatro Ermete Novelli di Rimini per due serate consecutive. Un giallo senza delitto, con colpi di scena ben studiati e un vero processo che tiene viva l’attenzione del pubblico. Al centro della scena c’è Innocenzo Smith, l'uomo che vuole vivere e non si accontenta di sopravvivere, determinato a lottare contro il nichilismo, il relativismo e lo scetticismo imperante ai suoi come ai nostri tempi. 36

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> 22 AGOSTO 2013 A te come te A vent’anni dalla morte e novanta dalla nascita, la grande attrice Ermanna Montanari infrange con questo spettacolo un tabù, portando in scena il Testori giornalista con una scelta di suoi memorabili interventi sull’attualità. Storie drammatiche, vicende spesso disperate che l’occhio pietoso e insieme lucidissimo dello scrittore illumina, cogliendo, in fondo alla tragedia, i segni di una Speranza che nemmeno l’ingiustizia più atroce riesce a spegnere del tutto.


SPETTACOLI 2013

SALA TEATRO D7 ore 19.45 > 19 AGOSTO 2013 Concerto Pianistico di Lukáš Vondráček Una serata speciale con il virtuoso pianista di origine ceca Lukáš Vondráček, Primo Premio della V edizione dell’International Piano Competition “Repubblica di San Marino”, che in occasione del Meeting eseguirà un programma musicale d’eccellenza con brani di Brahms, Mandelssohn, Chopin e Prokofiev.

> 20 AGOSTO 2013 La piccola speranza Melologo teatrale dedicato a Giuseppe Gulotta, un uomo innocente che per 36 anni ha vissuto in galera da ergastolano con l’accusa di un omicidio mai commesso e che, al giornalista che gli chiede come ha fatto a non impazzire in mezzo a questo assurdo equivoco, lui risponde: “Un uomo che perde la speranza perde tutto”.

> 21 AGOSTO 2013 Sunset Limited Il teatro Elsinor mette in scena un testo – romanzo in forma drammatica tratto dal libro di Corman McCarthy dove due uomini, Bianco e Nero, si sfidano dopo il tentato suicidio di Bianco. Spietato, lucido. L’attacco con l’arma più tremenda, la parola, svela la loro impotenza all’ascolto.

> 22 AGOSTO 2013 Il mio nome è Pietro Chi era San Pietro? Un semplice pescatore della Galilea, che da quell’incontro con Gesù sulla spiaggia del lago di Genezareth è diventato un uomo nuovo. Pietro Sarubbi, già interprete di Barabba per Mel Gibson, porterà in scena il primo degli apostoli che, meditando sul significato del suo nome racconta del rapporto che gli ha cambiato la vita.

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SPETTACOLI 2013

MUISLAND SPAZIO PISCINA OVEST ore 22.00 > 19 AGOSTO 2013 Donne! La musica è viva! Uno straordinario progetto musicale che pone al centro della scena la donna. Un concerto incentrato sulla figura femminile e sull’amore in tutte le sue sfaccettature. E così un concerto di Ensemble Amarcanto diventa una coinvolgente esplorazione dell’anima, un viaggio nella geografia del cuore, grazie al tappeto volante della musica popolare.

> 20 AGOSTO 2013 The Swing Stars Orchestra La band The Swing Stars renderà il pubblico del Meeting protagonista, ballando e cantando insieme lo swing e il folk della tradizione americana, ma anche il gospel e alcuni pezzi funky riarrangiati.

> 21 AGOSTO 2013 Swing Tonic Uno spettacolo coinvolgente e simpatico, adatto a tutti, grandi e piccini che attraverso la musica dello swing italiano e internazionale dei primi del Novecento, intende riproporre il pensiero e la cultura dell’epoca.

> 23 AGOSTO 2013 E’ festa

> 22 AGOSTO 2013 Highway 61

Sarà la prima edizione open air de “La mia Festa” a chiudere il cartellone degli spettacoli. Per i ragazzi e per le famiglie, per gli amanti del liscio e per gli irriducibili rocchettari, per gli instancabili ballerini e per gli affezionati del karaoke, c’è solo una festa da non mancare: La mia festa open air!

La band di giovani musicisti propone un tributo a Jhonny Cash, il cantautore americano considerato uno dei maggiori interpreti della musica folk.

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SPETTACOLI 2013

SALA CINEMA ore 21.30

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> 21 AGOSTO 2013 Premiazione Meeting Rimini Film Festival ore 19.00

Proiezione dei finalisti della VI edizione del concorso di cortometraggi e premiazione. A presiedere la giuria, il giovane regista Tim Reckart candidato come miglior cortometraggio animato agli Academy Awards 2013 con Head over Heels. In collaborazione con Made Officina Creativa, School of Visual Arts di New York, ACT multimedia di Cinecittà Roma, Radio Cinema, Sentieri del Cinema e Best Movie. Ingresso gratuito.

> 19 AGOSTO 2013 Il figlio dell’altra Un film di Lorraine Lévy (Francia 2012) con Emmanuelle Devos, Pascal Elbè, Jules Sitruk, Mehdi Dehbi. Genere drammatico.

> 20 AGOSTO 2013 Cosa piove dal cielo Un film di Sebastián Borensztein (Spagna - Argentina 2011) con Ricardo Darín, Huang Sheng Huang, Muriel Santa Ana, Enric Rodriguez, Ivan Romanelli. Genere Commedia.

> 21 AGOSTO 2013 To the wonder ore 21.00

> 22 AGOSTO 2013 Kiki – Consegne a domicilio

Un film di Terence Mallick (USA 2012) con Ben Affleck, Rachel McAdams e Javier Bardem. Genere drammatico.

Un film di Hayao Miyazaki (Giappone 2013). Genere animazione, fantasy, avventura.

SALA NERI ore 19.00 > 19-21-23 AGOSTO 2013 Spirito Gentil Tre serate all’insegna della musica classica con i preludi di S. Rachmaninov guidati da Pier Paolo Bellini, la sinfonia incompiuta di F.P. Schubert a cura di Luca Belloni e i concerti per pianoforte e orchestra di W.A. Mozart a cura di Chris Vath.

CHIESA DEL SUFFRAGIO Rimini ore 21.30 > MARTEDÌ 20 AGOSTO 2013 Coro “San Nicola” Diretto da Guya Valmaggi e Batyrzhan Aleksander Smakov, il Coro nasce dall’esperienza di coristi ortodossi e cattolici che hanno manifestato il desiderio di cantare insieme. Il coro propone un repertorio in cui il nuovo e l’antico hanno generato un timbro originale, frutto dell’incontro armonioso di diverse tecniche e consuetudini vocali. Un serata che documenta come la Musica possa essere un importante terreno d’incontro, che consente di superare barriere d’origine storica, etnica o religiosa. GIUGNO2013

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AMICI

Un grande uomo che ci è stato amico Riportiamo l’articolo del presidente del Meeting Emilia Guarnieri pubblicato su Il Resto del Carlino di Rimini, in seguito alla scomparsa del senatore Giulio Andreotti avvenuta il 6 maggio scorso. Il ricordo affettuoso “di un grande uomo che ci è stato amico e al quale siamo grati per tutto ciò che ci ha insegnato”. di Emilia Guarnieri

a prima volta fu nel 1980, con Claudio Martelli (dirigente nazionale del PSI) e Guido Fanti (già sindaco di Bologna e deputato al Parlamento), l’ultima è stata nel 2009 per la festa di compleanno dei suoi 90 anni. Dopo avere tenuto a battesimo la prima edizione del Meeting, quando ancora i riflettori mediatici non si erano accesi sulla manifestazione rimi-

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nese, il presidente Andreotti è tornato al Meeting 22 volte, sospendendo la sua presenza solo negli anni duri e crudeli delle tormentate vicende giudiziarie. Le sue giornate al Meeting Arrivava normalmente in treno, accompagnato dal fedele maresciallo dei Carabinieri; a Rimini, talora a Falconara, lo accoglieva l’avvocato De

G. Andreotti con Emilia Guarnieri al Meeting 2004.

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G. Andreotti al Meeting 1980 con W. Congdon.

Sio, storico PR del Meeting, trascorreva al Meeting non più di un paio di giorni, quanto gli serviva per tenere l’incontro programmato, per incontrare noi e girare per la Fiera e le Mostre, e per visitare la casa di Torre Pedrera dove erano ospitati i ragazzi di Maddaloni, che il suo amico don Salvatore accoglieva. Le giornate iniziavano di buon mattino con la partecipazione alla S. Messa e proseguivano in maniera sobria ma intensa. Andreotti anche al Meeting non perdeva la sua tempra di lavoratore, faceva ciò che c’era da fare, non si sottraeva a nessuna proposta di incontro, di rapporto, di dialogo. Grandi personalità Politico navigato, Ministro degli esteri, uomo di ampio spessore culturale, Andreotti per primo portò al Meeting grandi personalità della politica internazionale, dal Vice cancelliere e Ministro degli Esteri della Repubblica Federale Tedesca, Dietrich Hans Genscher a Catherine La Lumiere, Sottosegretario per gli affari esteri del Governo francese.


AMICI

G. Andreotti durante i festeggiamenti del suo 90° compleanno al Meeting 2009.

Una spinta ideale Stimava la nostra esperienza, forse vedeva in essa quella stessa spinta ideale che aveva mosso la sua generazione nella difficile stagione del dopoguerra e della ricostruzione. Era solito dire che la partecipazione alla vita pubblica, la presenza nel sociale e nel politico, ancor prima che un diritto, è un dovere e lo è soprattutto per i cattolici. Spesso ricordava che la politica è l’arte del compromesso, non dei sogni, è la capacità di fronteggiare situazioni complesse e difficili. La sua era umiltà e concretezza «noi dobbiamo essere umili, individualmente e anche collettivamente, nei confronti delle limitazioni che vi sono nella conduzione della vita di un popolo, in tutti i suoi campi, in tutte le sue direzioni. Ma dobbiamo nello stesso tempo non essere mai soddisfatti, perché mai avremo potuto e saputo dare tutto quello che, invece, la provvidenza di Dio ci ha dato come potenzialità da mettere in atto», come ebbe a dire proprio al Meeting nel 1989.

Rileggendo i suoi interventi a Rimini, mi ha colpito che per più di una volta avesse concluso con la citazione di un salmo «se il Signore non costruisce la città, invano si affannano i costruttori». Evidentemente ne era certo. Della sua fede cristiana era certo, come ebbe a dire una volta rispondendo ad un giornalista che gli chiedeva se avesse mai avuto dubbi di fede «devo dire di no. Questo è un dono di Dio». Una testimonianza reale Nella frettolosità un po’ emozionata di queste ore è difficile ricordare compiutamente lo spessore dei suoi interventi al Meeting, che spaziavano dal Medio Oriente, all’Europa, dai grandi temi della pace e della collaborazione internazionale alla memoria della stagione giovanile che lo aveva visto passare dalla dirigenza della FUCI (gli universitari cattolici) alla vita politica a fianco di De Gasperi. Ma la sua partecipazione al Meeting era comunque sempre una certezza,

la certezza di una testimonianza reale, di un’esperienza di vita vissuta, sofferta, intelligentemente abbracciata e giudicata. «Ho imparato da tutti» Tanti in queste ore ricorderanno l’intelligenza, l’acutezza e il raffinato umorismo del Presidente Andreotti. Per chi come noi, come me, ha avuto l’onore ed il piacere di condividere con lui non solo lo spazio di momenti ufficiali, ma l’amabile piacevolezza di dialoghi e conversazioni libere, come quando lo si andava ad incontrare nel suo ufficio romano di San Lorenzo in Lucina, ricordarne l’accento della voce, quel suo particolare modo di voler fingere di non voler dire, quel suo spirito caustico, ma mai più di quanto la carità consentisse, sono l’affettuosa memoria di un grande uomo che ci è stato amico e al quale siamo grati per tutto ciò che ci ha insegnato, lui che diceva di sé, come titolava un incontro cui partecipò da protagonista al Meeting, «ho imparato da tutti». GIUGNO2013

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Ciao Enzo Sono felice e onorato di averti conosciuto. di Otello Cenci

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Vengo anch’io, no tu no!». L’ascoltavo da piccolissimo su un 45 giri di mio babbo, lo slogan poi era entrato nei modi di dire e negli scherzi quotidiani. Più grande, conoscendo già molte delle tue canzoni ed esibizioni, di cui tante in duetto con i mostri sacri del cabaret e della musica italiana, ti ho incontrato nel tuo locale di Milano, dove hai suonato per pochi minuti prima dell’esibizione di Ale e Franz, ancora sconosciuti,… Diversi anni più tardi, l’occasione che mi ha spinto a chiamarti per il Mee-

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ting di Rimini è nata da quell’articolo oramai famoso, del 6 febbraio 2009, uscito sul Corriere della Sera. Il fatto drammatico di Eluana Englaro pose una questione fondamentale a ciascuno. L’uomo di fronte alla morte, quindi l’uomo di fronte alla vita. E lì, tu te ne sei uscito con una tale limpidezza di giudizio e un così inusuale coraggio nel confessare pubblicamente ciò in cui credevi, da sconvolgere l’ordinata confusione, con cui procedeva il dibattito. Parole semplici, che dicevano però di un artista famoso, di un medico, di un padre e

di un uomo attaccato alla vita, a prescindere dalle sue condizioni: certo del valore misterioso che essa porta e desideroso di viverla tutti i giorni con quell’abbraccio e “carezza del Nazzareno”. Hai accettato immediatamente l’invito a venire al Meeting per l’amicizia fra i popoli ad eseguire il tuo concerto. Cosa non banale, sapendo che le tue condizioni fisiche non erano già più delle migliori e che la manifestazione ha un’origine e un cuore pulsante ben definito: Comunione e Liberazione. Così il 26 agosto del 2009, insieme a tuo figlio Paolo, da poco padre, e alla tua affezionata orchestra, davanti ad una platea di 3.000 persone entusiaste, si è svolto uno dei concerti più belli, divertenti ed intensi che si possano ricordare a Rimini. E pensare che la scaletta prevedeva pause, uscite e ancora acqua, asciugamani nascosti sul palco per darti modo di riposare, riprendere fiato,… Invece, la serata è partita come un treno giap-


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Un’immagine dello spettacolo di Enzo Jannacci al Meeting 2009.

ponese, ed è stata portata a destinazione senza fermate, dalla sua scoppiettante locomotiva: Enzo Jannacci. In quell’occasione siamo stati insieme, abbiamo cenato e conversato, tra le altre cose, anche dello squacquerone, tipico formaggio morbido romagnolo, da sempre motivo di stupore, confronti e riflessioni anche mistiche per i tanti artisti di passaggio nella capitale del turismo romagnolo. E Lou Marini dei Blues Brothers gli aveva dedicato addirittura un inno. Lo “squacquerono” hai detto di averlo conosciuto in quell’occasione, così come alcuni miei amici da sempre tuoi incredibili fans. L’amicizia negli anni è cresciuta, tanto che nel 2012 ci siamo rincontrati al Meeting: a tavola, con gli stessi amici e davanti ad un piatto di squacquerone. Insieme a tua moglie hai visitato la manifestazione, cogliendo l’occasione per vedere qualche mostra, assistere a qualche spettacolo e, in particolare, essere presente al con-

certo di Paolo: in prima fila con gli occhi sbarrati e a bocca aperta, non riuscendo a trattenere mani e piedi. In quel momento eri l’espressione fisica di quello stupore e gratitudine per il dono ricevuto che descrivevi nell’articolo del 2009 e che adesso nel 2013 così riprendevi in alcune interviste: «Paolo si esprime con la musica, io anche con le parole, le espressioni del viso, i movimenti del corpo, essere ad un certo punto della propria esistenza e sentire che ci viene donato questo, questa è una fede che mi interessa…». Ecco, ti ringrazio proprio di questa tua semplicità di cogliere il legame tra l’attimo che si vive e il Mistero; della tua capacità di dirlo in modo poetico a volte ermetico, con le tue frasi spezzate, quasi a proteggere l’aspetto di Mistero presente, non volendo esaurire il contenuto, ma preservare quel qualcosa d’Altro che sempre sfugge.

Quando ho saputo della tua morte mi è molto dispiaciuto perché non ti avrei più visto, ma sono stato anche lieto, sapendo che nell’ultimo periodo di malattia oltre alla famiglia sono stati con te alcuni amici a te molto cari, così come avevi auspicato. Il giorno del tuo funerale a Milano eravamo in tantissimi: artisti importanti e persone comuni, amici di vecchia data e gente che non ti ha mai incontrato. Abbiamo pregato per te ed è stata una festa eccezionale! Le note di ‘Vincenzina’ eseguita dai fiati a Sant Ambrogio rimangono indimenticabili. Con Paolo stiamo organizzando la festa per la prossima edizione del Meeting: è anche per te! «Io mi vedo in un mare molto profondo dove mi piace stare, poi ho anche paura, però non verrei mai via, perché c’è una religiosità molto profonda, con una sua luce, è la mia vita poi,…». Enzo Jannacci, agosto 2012 Rimini

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Il fascino di Lejeune a Pesaro Abbiamo incontrato la principale promotrice dell’allestimento della mostra “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune” al Palazzo Ducale di Pesaro. di Valentina Gravaghi

a mostra “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune” esposta al Meeting nel 2012 è stata allestita a Pesaro dal 24 aprile al 6 maggio, grazie alla collaborazione di svariate associazioni tra cui Medicina e Persona. Poi il 6 maggio ha avuto luogo un incontro pubblico con la ricercatrice Ombretta Salvucci e il professor Pierluigi Strippoli. Una tematica molto attuale in un contesto dove la ricerca sperimenta nuovi test genetici prenatali per diagnosticare la sindrome di Down, con l’esito prevedibile di aumentare l’aborto sistematico. Come diceva Jérôme Lejeune - lo scopritore dell’origine genetica della sindrome di Down nel 1969 , la questione si gioca tutta tra la decisione di “uccidere o non uccidere”. Infatti, per lui l’unico senso della medicina era per la vita e per la cura e lottò fino alla morte contro l’aborto. Una posizione che gli sarebbe costata l’ostracismo della comunità scientifica e il premio Nobel. Poco prima dell’apertura della mostra e subito dopo abbiamo incontrato la signora Ester Di Paolo, principale promotrice della mostra a Pesaro e mamma di una bimba con la sindrome di Down, e vi riportiamo di seguito l’intervista.

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Signora Ester, cosa l’aveva affascinata della mostra del Meeting su Lejeune, tanto da decidere di riproporla 44

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nella sua città? Il primo motivo è mia figlia Letizia, affetta dalla sindrome di Down, perché tutte le cose che la riguardano mi incuriosiscono e affascinano. Non conoscevo Lejeune prima che una giovane guida mi introdusse alla sua vita nella mostra allestita al Meeting 2012. Per me è stato un avvenimento e ora so che era impossibile che non lo incontrassi nella mia esperienza. Qual è stata per lei la grandezza di Lejeune? Davanti ai bambini malati capì che quella era la sua vita e la sua vocazione e le sue posizioni radicali hanno dimostrato una certezza. Lejeune fece

Un’immagine dell’incontro finale della mostra.

della sua vocazione, la sua vita. Ha portato avanti le sue convinzioni sapendo che per questo avrebbe perso un premio Nobel. La ricerca sulle terapie per la sindrome di Down langue e sembra che a un bambino che nasce con questa patologia lo aspetti solo una vita di sofferenza. Qual è la sua esperienza? Se qualcuno mi avesse chiesto se volevo un figlio Down, avrei risposto di no. Ma un conto è un pensiero astratto, un altro è averlo fra le mani. Perché quando nasce, è impossibile non provare, come diceva Lejeune, compassione. Avendo quella creatura fra le mani non potrai mai sentire di non


AMICI

Un’immagine di una visita guidata da Ester Di Paolo della mostra.

volerla. Se io avessi dovuto dire cosa sarebbe stato di mia figlia alla nascita, non avrei saputo dirlo. Come non lo avrei saputo per le sue sorelle. Ma per esempio, tra poco Letizia farà da testimone al matrimonio di sua sorella, leggerà le intenzioni indossando un vestito lungo bellissimo e scarpe col tacco. Qual è stata la sua esperienza nell’organizzare questa mostra? È stata un’esperienza bellissima con una grande risposta da parte della città. Inaspettatamente dieci associazioni hanno aderito in modo entusiasta alla proposta della mostra e hanno voluto contribuire economicamente al suo allestimento. Questa mostra potrebbe sembrare un’iniziativa pensata per le famiglie con figli disabili, ma non è così. Non c’è persona che non esca commossa e arricchita dalla mostra. Cosa si aspetta dall’allestimento di essa a Pesaro?

In un momento storico come questo, lo spazio della mostra offre la certezza di trovare una posizione, un pensiero, che ha dato senso a tante vite. Questa mostra offre un percorso dove ciascuno è coinvolto personalmente. Per esempio, una studentessa è uscita dalla mostra dicendo «Ho sempre pensato che avere un figlio disabile fosse una cosa insostenibile per un genitore e dunque anche per me un domani, oggi esco da questa mostra che non ho paura». A suo parere come può una mostra del genere aver inciso nella città di Pesaro e innanzitutto come ha cambiato lei? È stata una bellissima iniziativa, a cui hanno partecipato le istituzioni, le scuole e le famiglie. Per fare solo qualche esempio, cito il Presidente della Provincia, che nel suo il discorso fatto il giorno dell’inaugurazione ha affermato: «Lejeune ha lavorato e studiato la sindrome di Down come tro-

vandosi davanti al Mistero ed è per questo che ha potuto lavorarci per tutta la vita con passione e dedizione». È tornato poi all’incontro conclusivo contentissimo e commosso e ha comprato l’ultima copia del libro di Clara Lejeune. Oppure mi ha colpito la moglie del Sindaco, che era già venuta al pranzo di raccolta fondi con il dottor Strippoli ed è tornata all’incontro conclusivo, dove le ho proposto di vedere insieme la mostra che ancora non aveva visitato. Presa però dall’euforia del momento, me ne sono dimenticata. L’ho quindi chiamata dopo una mezzoretta dal termine dell’incontro per scusarmi e lei ha deciso di tornare indietro per vedere la mostra insieme al marito, impegnato fino a quel momento in Consiglio comunale. Per me la mostra è stata una grande opportunità per ricordarmi e commuovermi davanti al dono che è mia figlia, capire sempre di più chi è lei e il bene che le voglio. GIUGNO2013

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