Paradiso pret a porter

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Alfredo Formosa

Un messaggio quasi rivoluzionario, eppure tanto semplice. È quello che insegnano i Kahuna, sciamani che tramandano le antiche tradizioni della popolazione delle Hawaii. Per trovare il Paradiso basta ricominciare a vivere in modo semplice, in armonia con noi stessi e con l’universo, liberando la nostra vita dai condizionamenti che l’hanno trasformata in un inferno. Ma come si fa? La ricetta dei Kahuna prevede l’applicazione dei Sette Principi della filosofia Huna e l’utilizzo dell’Ho-oponopono, una formidabile tecnica dal nome che sembra uno scioglilingua.

scienze. È da sempre appassionato di psicologia e filosofia, settori che ha esplorato attraverso approfonditi studi. Su queste tematiche ha scritto numerosi articoli e partecipato come relatore a conferenze. Per la collana Mental Fitness PUBLISHING ha scritto anche ”Stress? No grazie, sono resiliente!” e ”Med & Lunch”.

Paradiso prêt-à-porter

Alfredo Formosa Legale specializzato in ”Asset Protection”, è anche Direttore di CONSULNET

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Ma il fondamentale e segreto ingrediente dei Kahuna per il Paradiso prêt-à-porter è una regola, facile da ricordare, immensa nel contenuto e originale nel nome: ”Tutto ciò che è semplice funziona”, ovvero la ”Legge della Due Cavalli”! Pronti a scoprire il Paradiso?

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Alfredo Formosa

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Indice generale CAPITOLO I - ALOHA! 1. Hawaii: Natura, Musica, Colori ....................................................................... 7 2. Aloha! ................................................................................................................ 13 3. Briciole di Storia ............................................................................................... 16 4. Il Paradiso Perduto .......................................................................................... 21 CAPITOLO II - THE “SPIRIT OF ALOHA” 1. Shamani, Filosofi e Guaritori ......................................................................... 24 2. Tra Filosofia e Spiritualità............................................................................... 29 3. I Principi Fondamentali .................................................................................. 32 CAPITOLO III - “HUNA”, IL SEGRETO 1. La Filosofia “Huna” ......................................................................................... 43 2. I Sette Principi di Huna .................................................................................. 45 3. I Sette Poteri di Huna ...................................................................................... 76 4. “Semplicemente” Huna ................................................................................... 82 CAPITOLO IV - HO-OPONOPONO 1. Rimettere le cose a posto ................................................................................ 85 2. La Tecnica ......................................................................................................... 92 3. “Mi dispiace, perdonami, ti amo, grazie” ................................................... 100 CAPITOLO V - PARADISO “PRÊT-À-PORTER” 1. La “Legge della 2 Cavalli”.............................................................................. 108 2. Condizionamenti & Complicazioni ............................................................ 117 3. Inferno o Paradiso? ........................................................................................ 142 4. Paradiso “prêt-à-porter” .............................................................................. 147 CONCLUSIONI ....................................................................................................... 151 Tavole................................................................................................................... 155

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PREFAZIONE Sono stato alle Hawaii nel 2007. Più che un viaggio era stato un pellegrinaggio sulle orme del mitico Magnum P.I., il noto investigatore privato protagonista di un serial televisivo molto popolare negli anni Ottanta. Chi non sarebbe stato affascinato dalla vita spregiudicata di questo aitante omone, al secolo Tom Selleck, che scorrazzava per Honolulu su una velocissima Ferrari 308 GTS, rigorosamente rossa, sempre attorniato da amici devoti e ragazze bellissime? I maschietti sognavano di essere Magnum, le fanciulle sognavano di essere con Magnum! Avevo prenotato una camera per me e per la mia compagna al Moana Surfrider1, il più antico hotel di Honolulu, proprio sulla mitica spiaggia di Waikiki sulla cui sabbia misi piede con la stessa emozione con cui Armstrong aveva appoggiato il suo piedone sulla Luna molti anni prima. Devo confessare che la delusione fu abbastanza cocente quando mi resi conto che l’epopea del prode detective era ormai scivolata nel dimenticatoio. Di Ferrari neanche l’ombra, della villa e del Sig. Higgins nessuna traccia e i superbi Apollo e Zeus, i due dobermann che la custodivano, probabilmente ricoverati in un pensionato per cani. Trovai solo la camicia di Magnum, quella storica, rossa con tanto di pappagalli multicolori, che pagai il triplo delle classiche camicie hawaiane, anche loro ormai marchiate “made in China”. Però qualcosa mi diceva che questo viaggio non poteva essere un fallimento. C’era sicuramente lo zampino di “qualcuno”. A Honolulu mi sentivo come a casa. Una sera, mentre sorseggiavo un Mai Tai2 nel bar sulla spiaggia dell’hotel, cullato dalla morbida e avvolgente musica di un quartetto locale dai coloratissimi costumi, di fronte a un tramonto sull’oceano da togliere il fiato, ebbi la netta sensazione di un relax che non mi apparteneva più da anni. E poi un’atmosfera incredibile. Fiori e colori ovunque, la gente del posto cordiale, sorridente, dai ritmi talmente lenti e a misura d’uomo da fare invidia a un bradipo siciliano (so che non ne esistono, ma rende l’idea). Ovunque riferimenti allo stretto contatto con il mare, al surf, alle divinità dell’oceano. 5

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Infine, una domenica mattina, l’evento determinante per lo scatenarsi della mia curiosità sul popolo delle Hawaii. Mentre eravamo a zonzo per Honolulu, fui attratto da una chiesa cattolica, all’interno della quale si stava svolgendo la classica funzione della domenica. La curiosità di entrarci fu enorme e l’impatto incredibile. All’interno solo musica e colori, gente con collane di fiori che ballava e cantava con grande gioia e allegria, un prete enorme nelle dimensioni, avvolto in paramenti sgargianti ad officiare il rito e pronto a precipitarsi fuori dalla chiesa a salutare i propri fedeli. Immediatamente il paragone con le nostre tristissime e noiose funzioni domenicali fu immediato. Ma poi un pensiero iniziò a insinuarsi nei meandri della mia mente suggerendomi che in quel popolo doveva esserci qualcosa di molto speciale e che alle Hawaii non ci ero finito per caso. Magnum mi avrebbe perdonato, in fondo la sua camicia l’avevo comprata e al mio ritorno in Italia me ne sarei vantato con parenti e amici, ma non ero lì per lui!

1. Moana Surfrider Chiamato anche la “First Lady of Waikiki”, questo leggendario hotel fu costruito nei primi anni del 1900 per accogliere, con le sue 75 stanze, i primi turisti in visita ad Honolulu. Nel corso degli anni ha subito numerosi ammodernamenti e ampliamenti mantenendo però intatto il fascino del suo stile vittoriano e della posizione prestigiosa di fronte all’oceano. 2. Mai Tai È un cocktail a base di rum, curaçao e succo di lime presentato, in pieno stile polinesiano, con un ombrellino di carta. La sua paternità è sempre stata contesa tra Victor Bergeron detto “the Trader”, il quale aveva negli anni ’30 un ristorante a Oakland chiamato “Trader Vic’s”, e un suo collega ristoratore di Los Angeles, tale “Don the Beachcomber”, grande esperto di rum. È un drink molto diffuso alle Hawaii e deve molta della sua popolarità al film “Blue Hawaii” con Elvis Presley.

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CAPITOLO I - ALOHA! 1. Hawaii: Natura, Musica, Colori Vi tranquillizzo subito su un punto molto importante: non state per leggere il noioso resoconto di un viaggio, Dio me ne scampi e liberi! Oggi, fortunatamente, per sapere tutto di un certo paese, ci si collega a Internet e, dopo un’oretta, sembra di esserci stati di persona. Io tra l’altro appartengo a quella generazione di persone che ha subito dei traumi psicologici molto pesanti legati al rientro dalle vacanze o dai viaggi in genere. I giorni critici e di maggiore stress erano la prima quindicina del mese di settembre; ogni volta che squillava il telefono (quello grigio, grosso, con la rotellona) poteva essere lui, il Mario della situazione che con voce trionfante ti gridava entusiasticamente nella cornetta: “Ehilà, sono Mario, come va? Tutto bene? Passate bene le vacanze? Io sono tornato la settimana scorsa dal viaggio in Brasile! Mi raccomando, questo sabato tieniti libero, ci vediamo tutti a casa mia, tutti portano qualcosa da mangiare e da bere e poi vi faccio vedere le diapositive del viaggio!”. Le “diapositive”, le famigerate “diapositive”! Tutti al buio dopo cena in un salotto rallegrato dal ronzio sornione della ventola del proiettore che sparava con rumore di plastica la sequenza di mini-pellicole incorniciate di bianco o grigio scuro, inserite come proiettili su una serie inquietante e infinita di caricatori. 7

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Ogni tanto una era montata al contrario o di lato e il pubblico si piegava immediatamente in pose plastiche per ripristinare la spazialità dell’immagine. Tutto era poi condito dalle risate dei partecipanti al viaggio al “ti ricordi lì che Luigi è caduto nella pozzanghera, che forte!”. Col passare del tempo il resoconto diventava sempre più una questione privata tra i pochi eletti che avevano vissuto personalmente le varie scene, mentre per gli altri calava il pesante sipario di una noia mortale, peraltro acuita dai primi e inequivocabili segni dell’inizio della digestione. Invece quello che mi interessa raccontare è che “la prima volta alle Hawaii” aveva in sé qualcosa di molto speciale. Non sono delle isole qualsiasi, e non parlo solo della loro incredibile bellezza dal punto di vista del paesaggio e della natura. C’è un’energia veramente particolare. Già l’arrivo all’aeroporto di Honolulu non è come atterrare al Charles De Gaulle a Parigi o alla Malpensa. Ci si immerge subito in un ambiente particolare e accogliente. La gente del posto è rilassata. Ci sono ovunque fiori che ti inebriano con il loro profumo, come la Plumeria, il bellissimo fiore multicolore tipico delle Hawaii di solito usato per creare le famose ghirlande messe al collo dei turisti in segno di benvenuto. Negli atrii dell’aeroporto trovi complessi musicali locali che suonano e cantano canzoni dai morbidi ritmi con musicisti vestiti con abiti dai colori vivaci e sgargianti. Arrivi e ti senti subito accolto, ti senti tornato a casa, anche se ci arrivi per la prima volta. In città la gente non ha ritmi frenetici. Lavorano, si danno da fare, sono efficienti, ma con calma. Non mi davano l’aria di essere come i brasiliani che ballano, cantano e si divertono come per rassegnazione, per la consapevolezza che tanto le cose non possono cambiare e quindi tanto vale 8

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spassarsela. Gli Hawaiani sono diversi. Sono proprio tranquilli, rilassati. Avranno sicuramente i loro problemi, le rate del mutuo da pagare, la suocera con l’alzheimer, i figli da mantenere, ma sembra che tutto scivoli via nello sguardo magnetico e misterioso dei loro occhi a mandorla e nel sorriso dai denti bianchissimi che spiccano sulla pelle abbronzata. Da Honolulu mi ero poi imbarcato su una nave che mi aveva portato a spasso tra le varie isole. Avevo visitato Big Island e Kauai, tutte vulcani, cascate e foreste, la bellissima Maui, il regno dei surfisti. Proprio a Kauai avevo visto e fotografato la più bizzarra stazione meteo che avessi mai incontrato. Era sulla spiaggia dell’Hotel Kauai Marriott e consisteva in una noce di cocco legata e appesa al ramo di un albero. Di lato un cartello riportava le seguenti “previsioni” in tempo reale: 1 Se la noce di cocco è bagnata: PIOVE 2 Se la noce oscilla: VENTO 3 Se la noce è calda: SOLE 4 Se la noce è fredda: NUVOLOSO 5 Se la noce trema: TERREMOTO 6 Se la noce non c’è più: URAGANO Naturalmente era una simpatica provocazione, ma che “sotto-sotto” rifletteva la filosofia di una popolazione abituata a demandare a Dio la soluzione di vari problemi. In fondo il ragionamento è semplice e non fa una piega: se è stato Dio a mettermi in una certa situazione, chi meglio di Lui sarà capace di togliermi dai guai? Affidandomi a Lui qualcosa succederà di sicuro. E se non capiterà niente, probabilmente quella è la soluzione! Quante volte nella nostra vita sarebbe stato meglio non aver fatto nulla, piuttosto che aver preso quelle iniziative che poi si sarebbero dimostrate 9

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catastrofiche? È la cultura di un popolo capace di osservare con consapevolezza tutto ciò che gli sta attorno e di convivere con una natura con la “N” maiuscola, vera, autentica, una natura che sicuramente dà tanto, ma che chiede in cambio molto. Non penso sia facile vivere in una delle zone più vulcaniche del mondo, dove eruzioni e terremoti sono all’ordine del giorno. Il mare è sicuramente meraviglioso, ma spesso si scatena in tutta la sua maestosa violenza: è un mare pericoloso perché abitato da esseri non del tutto rassicuranti e sbadati, visto che ogni tanto gli squali scambiano i surfisti per otarie, uno dei loro spuntini preferiti! L’isola di Kauai è famosa non solo perché è stata il principale set del film “Jurassic Park”, ma perché è il luogo più piovoso del mondo: piove ogni giorno e in abbondanza: c’è un’umidità da massacrare di reumatismi anche un’anguilla di Comacchio. A proposito di cinema, queste isole sono state il set naturale di film famosissimi: “Il vecchio e il mare” con Spencer Tracy, “10” con Bo Derek, “Da qui all’eternità” con Montgomery Clift e Frank Sinatra, “I predatori dell’Arca Perduta” con Harrison Ford, “Pearl Harbour” e “Midway”, fino ad arrivare ai più recenti “Waterworld” e “Six days, seven nights”. La natura è il vero fascino delle Hawaii. Una natura così forte, così genuina, ancora incontaminata si condisce di una bellezza da togliere il fiato. Non fa pensare ad altro, si trasforma in meditazione. Ricordo i tramonti sulla spiaggia di Waikiki a Honolulu. Non erano solo meravigliosi, erano un rito giornaliero di saluto al sole che se andava via. Sulla spiaggia arrivavano improvvisamente un sacco di persone. Il cielo si tingeva di tutte le sfumature possibili di rosso e arancio, tutto veniva investito da una luce gialla talmente bella da sembrare irreale. Anche i grattacieli, simboli 10

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del progresso e della tensione dell’uomo ad arrivare sempre più in alto, investiti dal caleidoscopio del tramonto riflettevano e proiettavano lame infuocate in un gioco affascinante di acciaio e cristallo, quasi a voler partecipare anch’essi alla cerimonia di saluto. Quando l’enorme disco infuocato del sole scendeva lentamente verso il mare, c’era quasi da aspettarsi uno sbuffo di vapore al momento del suo contatto con l’acqua, e continuava a immergersi lentamente nelle onde dell’oceano solcate dai profili neri in controluce delle barche e delle navi in transito. E che cosa fai in venti minuti del genere? Pensi a tutti i tuoi casini passati e futuri? No di certo, se non sei psicolabile! Ti rilassi, entri in una dimensione diversa, un trattamento antistress naturale che si ripete ogni giorno, nuvole permettendo. E quando il sole sparisce completamente, regalando ancora una tavolozza di colori incredibili che vanno a colorare di svariate tonalità di rosso e di rosa il cielo e le nuvole, ecco che inizia la pace e il relax della sera. Di giorno Honolulu è una specie di Montecarlo gigante. Ci sono grattacieli, centri commerciali enormi, boutique con tutte le griffe americane ed europee possibili, mercati, negozi di tutti i tipi. C’è anche un bel traffico e un bel viavai di taxi. Ma quando cala la sera tutto sembra cambiare. Sulla spiaggia si accendono le fiaccole, i musicisti dei complessini locali iniziano a suonare e cantare canzoni hawaiane nei bar all’aperto dei vari hotel. C’è chi mangia sulla terrazza dei ristoranti, chi sul tronco di una palma, la gente beve, balla, canta, tanti giocano ancora in acqua. Vi garantisco che passeggiare sulla battigia con i piedi a mollo nell’acqua tiepida dell’oceano è una cosa che rigenera l’equilibrio psichico, anche il più compromesso! Sicuramente da buon turista ho visto il meglio delle varie isole. Anche lì ci sono quartieri tristi, zone industriali, ma la cosa im11

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portante, almeno per me, è che esiste la possibilità di poter avere dei momenti, come quelli sopra descritti, quando si vuole, perché sono per tutti, sono di tutti. E questo genera un senso di pace e di rilassamento incredibile. Forse per questo la gente del posto è così gentile e disponibile. La capacità di accogliere i visitatori è sempre stata una consuetudine e una caratteristica di questo popolo. La famosa parola “aloha”, che accompagna da sempre la corona di fiori messa al collo dell’ospite, ha un significato ben più profondo del semplice “benvenuto”, “ciao”! Se oggi la vita sulle isole è così, immagino che cosa doveva essere quei due-tremila anni fa, a quando si fanno risalire i primi insediamenti alle Hawaii. Doveva essere veramente il Paradiso Terrestre, l’Eden. Chissà che cosa doveva essere vivere in una natura incontaminata e generosa, dalla quale poter attingere qualsiasi risorsa per vivere, sia dalla terra, sia dal mare, passando le giornate in un clima mite, vestiti di corone di fiori, mangiando frutta fresca e pesci grigliati sul fuoco. E nel caso di malattia? Nessun problema, c’erano i Kahuna, esperti guaritori e shamani, depositari di una scienza e di una sapienza che si è tramandata fino ai giorni nostri. Per questo gli Hawaiani non sono stati dei grandi esploratori: ma chi-glie-lo-faceva-fare di andarsene da un luogo del genere! Sono stati invece molto esplorati e tante volte massacrati, sorpresi nella loro ingenua disponibilità ad accogliere con corone di fiori chiunque arrivasse dal mare.

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2. Aloha! Proprio “Aloha” mi disse una giovane e sorridente hostess dell’hotel Moana Surfrider, mettendomi al collo una splendida ghirlanda di fiori. Io in quel periodo avrei detto volentieri “aloha” allo stress terribile che mi stava rovinando la vita e la collana di fiori gliel’avrei stretta ferocemente intorno al collo fino a strangolarlo, maledetto stress! Quando decisi di partire per le Hawaii non ero proprio in uno dei momenti più felici della mia esistenza: una vita sentimentale turbolenta, una vita lavorativa faticosa e ricca di impegni, una serie di piccoli problemi quotidiani difficili da risolvere, mi avevano portato a un livello di pressione difficile da gestire. Il viaggio alle Hawaii fu deciso in tempi rapidissimi come ultima spiaggia prima di cedere alle lusinghe della psicoterapia o dei farmaci. Intendevo resistere, tenere duro. Un bel viaggio dall’altra parte del mondo poteva essere un buon punto di partenza per una rinascita. Ormai ero sull’orlo del baratro. Lo stress, quello cronico, è molto subdolo, ma devastante. Si impossessa di te lentamente, ti dà sempre l’illusione di poterlo gestire in qualche modo, e così ti frega. Devo confessare che inganna più facilmente noi maschietti, noi che siamo molto “machi” e difficilmente ci abbassiamo a chiedere aiuto a qualcuno fino a quando non siamo piegati in due. Non lo facciamo con le informazioni stradali, figuriamoci con lo stress! Io ormai ero alla frutta. A livello psicologico ero veramente intrattabile, convinto che tutti al mondo ce l’avessero con me, vittima di qualsiasi tipo di truffa e sopruso. Sì, io che mi fidavo forse un po’ troppo, ero diventato estremamente diffidente. La mattina mi alzavo più stanco del giorno prima, i problemi apparivano insormontabili, sentivo aleggiare una perenne “sfiga” su qualsiasi mia 13

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iniziativa. Per non parlare di un sonno irrequieto e disturbato, come se tutte le sere mi fossi ingozzato di “impepata di cozze” prima di mettermi a letto, con un nervoso tremendo al solo pensiero che il giorno dopo sarei stato intrattabile e stanco, cosa che non faceva che aumentare l’ansia rendendo il sonno una mera utopia. E poi erano iniziati i problemini fisici: mal di stomaco, tensioni muscolari al collo e alla schiena, dolorini intercostali, allergie e intolleranze varie che spuntavano come funghi. In pratica mi stavo ammalando. I campanelli d’allarme erano tanti e inequivocabili. Ma non volevo arrendermi: strizzacervelli e psicofarmaci non mi sono mai piaciuti più di tanto. Allora decisi di studiare il mio nemico, lo stress, per capire i suoi meccanismi, le sue caratteristiche, per verificare se ci fossero delle tecniche, dei metodi per poterlo gestire. Lo sapevo che con lo stress occorre convivere, non lo si può eliminare, ma non volevo che nel frattempo mi portasse verso il baratro della depressione, come era capitato a tanti. Lo stress cronico ci rovina la vita, ci fa ammalare e ci può anche uccidere. E io non volevo nulla di tutto ciò. Incominciai a leggere l’impossibile sullo stress, scoprii che tutti noi abbiamo una facoltà innata che si chiama resilienza, ovvero la capacità di affrontare le difficoltà della vita, superarle e uscirne addirittura rafforzati: una sorta di potente antidoto antistress! E poi la scoperta della meditazione, della “mindfulness”, la riscoperta dell’attività fisica non solo come divertimento, ma come medicina. Qualcosa avevo anche letto su Internet di alcune tecniche delle antiche popolazioni delle Hawaii, ma sinceramente ogni suggerimento finiva in un triste tentativo di vendita di miracolosi DVD dal titolo: “Come diventare felici e milionari in dollari in soli 25 minuti”. La scelta di partire per un viaggio estivo lontano da tutti e da tutto mi sembrò una sorta di medicina alternativa per dimenticarsi 14

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per qualche settimana di tutti i guai: mettere tra me e i miei problemi 7-8 mila chilometri mi sembrò la soluzione giusta. La scelta cadde sulle Hawaii veramente per colpa del mitico Magnum P.I. Erano tanti anni che mi sarebbe piaciuto andare di persona a vedere quei posti che mi erano diventati così familiari nel piccolo schermo del televisore. Sicuramente non sapevo che in quel viaggio avrei avuto l’occasione di conoscere una filosofia, una cultura, una spiritualità, chiamatela come volete, che mi avrebbe letteralmente cambiato la vita, aiutandomi in modo incredibilmente semplice a risolvere i miei grandi problemi di stress. Appena arrivato alle Hawaii sentii immediatamente una vibrazione di fondo fortemente familiare e accogliente, una sorta di ritorno alle origini. Ero stato due settimane in California prima di spostarmi a Honolulu, ma era stato tutto diverso. Lì ero un semplice turista in viaggio con la propria fidanzata, alle Hawaii ero ritornato a casa! Probabilmente questo era dovuto alla cordiale e proverbiale gentilezza della gente del luogo, alla loro filosofia di vita. Dovevo sicuramente saperne di più, e il destino ci mise immediatamente lo zampino.

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3. Briciole di Storia Mentre stavo passeggiando tranquillamente sul lungomare di Kona, su Big Island, la mia attenzione fu attirata da un pittoresco hawaiano, dall’età indecifrabile, ma sicuramente segnata da lunghi anni di sole, mare e vento. Aveva deciso di guadagnarsi da vivere raccontando ai turisti la storia delle Hawaii utilizzando un rudimentale sistema di slide, una sorta di Powerpoint manuale, ma funzionale e affascinante. Dei bellissimi disegni multicolori ruotavano su un rullo, mentre lui raccontava storie di tremila anni or sono.

Dalle Pleiadi a “MU” Non so se dovuto al tasso alcolico o all’alzheimer incipiente, ma il simpatico vecchietto faceva risalire la storia della popolazione hawaiana addirittura alla discesa su questa terra di entità extraterrestri, abitanti delle Pleiadi, sfuggiti alla distruzione della loro patria. Come fossero arrivati sulla Terra dopo un viaggio di circa 440 anni luce veniva lasciato alla fervida fantasia del pubblico presente; comunque, appena giunti sul nostro pianeta, gli alieni adocchiarono un continente di cui oggi non vi è più alcuna traccia, un continente chiamato MU piazzato nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, un territorio ricco di vegetazione tropicale, fiumi, laghi e grandi animali, abitato da alcune specie di dinosauri intelligenti e da 60 milioni circa di abitanti sereni e pacifici che si godevano questo gran bel posticino, una sorta di gigantesco Eden, esteso da est a ovest per ben 5.000 chilometri, e da nord a sud per 8.000. Gli extraterrestri si integrarono perfettamente con la popolazione locale. Erano venuti in pace e volevano solo tranquillità e prosperità. Visto che erano tecnologicamente molto avanzati e dotati 16

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di rare capacità psichiche, misero a frutto la loro conoscenza e le loro facoltà insegnando alla gente del posto la propria filosofia e il proprio sapere, che chiamarono “Huna”, e inventarono anche una nuova lingua, semplice, ma capace di contenere tutta la loro sapienza, lingua che sarebbe poi diventata quella polinesiana. Secondo il nostro amico hawaiano le cose andarono per il meglio per un sacco di tempo, addirittura secoli, durante i quali si arrivò a una società prospera e molto efficiente. Ma a un certo momento, come in ogni storia mitologica che si rispetti, ecco che capita qualcosa di grosso e imprevisto. E anche qui il narratore deve prendere le distanze dalla sicurezza che aveva dimostrato nell’accompagnare le slide precedenti e ci offre un paio di possibilità per motivare la scomparsa repentina e improvvisa di MU. E tira in ballo Atlantide! Atlantide ci sta un po’ come il prezzemolo, visto che nessuno sa se sia mai esistita e dove sia andata a finire. Quindi la si può adattare a qualsiasi situazione, tanto chi si azzarda a provare il contrario? Bene, pare che MU nell’Oceano Pacifico e Atlantide in quello Atlantico avessero sviluppato delle tecnologie talmente avanzate da scatenare un delirio di dominio sul mondo tale da innescare un furioso conflitto tra le due mitologiche civiltà che si sarebbero scambiate in dono “ordigni nucleari” provocando una serie di esplosioni tanto devastanti da fare inabissare i rispettivi continenti. Se l’idea di liquidare contemporaneamente sia MU, sia Atlantide poteva sembrare ai più un po’ esagerata, il simpatico hawaiano ci offriva l’opzione del più probabile asteroide o dell’ancora più probabile serie di eruzioni vulcaniche che avrebbero sconquassato il continente di MU facendolo inabissare. Solo pochi frammenti 17

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delle due terre sarebbero rimasti, dando origine alle isole Hawaii, alle Fiji e all’Isola di Pasqua. I pochi sopravvissuti alla catastrofe si sarebbero rifugiati proprio su queste isole, dove ricostruirono il tessuto socio-culturale di MU e iniziarono a diffondere la conoscenza Huna. Dopo aver barattato il sorriso riconoscente del narratore con un biglietto da cinque dollari, ricordo che rientrai in hotel e mi impossessai subito della prima postazione Internet disponibile per vedere che cosa era veramente successo al popolo hawaiano dall’arrivo degli alieni dalle Pleiadi ai giorni nostri. Google anche questa volta fece il suo lavoro e mi fece sapere che, con buona approssimazione, i primi insediamenti erano di origine polinesiana, probabilmente dalle Isole della Società, e risalenti a due-tremila anni fa. Penso che il viaggio di avvicinamento sia stato una gran bella sfacchinata per i polinesiani, visto che le Hawaii sono isolate nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ricordo che ci erano volute cinque ore e mezza di volo da Los Angeles per arrivare a Honolulu e altrettante per arrivare a Tahiti. Le isolette più vicine sono a circa 1.000 chilometri di distanza, distanza che a colpi di pagaia diventava una vera “mission impossible”.

Cook e Pearl Harbour Per arrivare al primo contatto “registrato” con il resto del mondo dobbiamo aspettare addirittura il 18 gennaio 1778, quando il noto esploratore James Cook, capitano della Marina di Sua Maestà Giorgio III, Re d’Inghilterra, mise piede sul suolo hawaiano. La prima idea che gli passò per la testa fu quella di chiamare quelle bellissime isole che lo ospitavano “Sandwich Islands”, in onore del 18

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suo armatore, John Montagu, 4° conte di Sandwich. La seconda fu quella di ripartire per esplorare la costa degli Stati Uniti dalla California fino allo Stretto di Bering. La terza, e malsana, fu quella di ritornare alle Hawaii, visto che lo stretto di Bering risultava inaccessibile. Questo ritorno gli costò molto caro: nel corso di una violenta baruffa con la popolazione locale per il presunto furto di una scialuppa, si prese una bella coltellata che mise fine alla sua carriera di esploratore e di capitano. Correva l’anno domini 1779. Seguirono anni difficili per le Hawaii. L’eredità di Cook e dei suoi marinai, e degli altri europei che lo seguirono, furono una serie di virus sconosciuti che decimarono la popolazione locale. I nativi, infatti, non avevano alcun tipo di anticorpo per malattie come la varicella o il morbillo, e anche una semplice influenza poteva essere letale. Il risultato fu che circa il 50% della popolazione locale fu sterminato. In quegli anni il re Kamehameha, detto Kamehameha il Grande, unificò i territori devastati delle isole nel Kingdom of Hawaii (1810), fondando una dinastia che sarebbe durata fino al 1872. Molto peggio dei virus fecero i missionari protestanti provenienti dal New England che sbarcarono nel 1821. Non so perché ma immagino splendide fanciulle seminude e avvolte in corone di fiori nell’atto di raggiungere con delle piroghe ricolme di frutta e altri doni di benvenuto le navi in arrivo, sulle quali delle orrende megere dagli occhialini rotondi e con il classico neo peloso sulla guancia cercavano di tenere a bada marinai con gli occhi fuori dalle orbite pronti a buttarsi in acqua, totalmente incuranti delle minacce di scomunica e di fuoco eterno. I missionari cercarono, senza grande successo, di convertire la popolazione alla religione cattolica. Riuscirono benissimo invece 19

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a “educare” i nativi, rivestendo le leggiadre fanciulle e barattando il perdono divino con latifondi e posti di potere. Iniziò in quel periodo la coltivazione e la trasformazione della canna da zucchero, attività che attirò investitori europei e manodopera da molti paesi. Nel 1893 proprio un gruppo di stranieri imprigionò la regina dell’epoca, la Signora Liluokalani, consegnando il paese agli Stati Uniti, allo scopo di rendere molto più convenienti i dazi doganali sulla canna da zucchero. Ci vollero alcuni anni prima che i territori fossero annessi, con la conseguenza di diventare un punto strategico molto importante, sia per il commercio, sia per le attività militari. Tanto è vero che gli americani piazzarono proprio sull’isola di Ohau, nel primo decennio del XX secolo, la base navale di Pearl Harbour, poco distante da Honolulu. Erano le 7 e cinquanta circa del 7 dicembre 1941 quando la base subì il devastante attacco degli aerei e dei sommergibili giapponesi, segnando, peraltro, l’ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. E infine, tornata la pace, il 21 agosto 1959 le Hawaii diventarono il 50° stato dell’Unione. Il vecchio hawaiano aveva percorso soltanto alcuni punti salienti della storia di queste bellissime isole, ma non a caso aveva descritto situazioni ed eventi legati a un comune denominatore. Questa gente, che ha avuto la fortuna di vivere per tanti anni in paradiso, con una vita semplice ma al tempo stesso ricca, non è stata capace di tutelarsi da svariate forme di immigrazione, da cui poi è stata distrutta. Non era nel loro DNA. Gli Hawaiani erano gente ospitale, generosa, disponibile, e tutto ciò impediva loro di reagire a chi si presentava a complicargli la vita, fosse costui un inglese, un missionario o un virus! 20

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