Essere innocenti - Juliana Buhring, Celeste & Kristina Jones

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Edizione originale: Not Without My Sister

© Copyright 2007 Green Shirt Limited, all rights reserved Traduzione a cura di Erica Prisco Revisione del testo a cura di Menthalia S.r.l.

© Copyright 2013 Menthalia S.r.l. Tutti i diritti sono riservati in tutti i Paesi. Nessuna parte del presente volume può essere riprodotta, tradotta o adattata con alcun mezzo (compresi i microfilm, le copie fotostatiche e le memorizzazioni elettroniche) senza il consenso scritto dell’Editore. ISBN 978-88-9777-403-7 Stampa su carta con certificazione FSC (Forest Stewardship Council) e con inchiostri vegetali. milano – firenze – napoli info@menthalia.it – www.menthalia.it


Per nostra sorella Davida Per mia sorella, compagna di sofferenze: troppo bene io comprendevo lo sguardo nei tuoi occhi spaventati; la sofferenza e il disincanto. Stavi combattendo una battaglia persa. Hai perso. Sei morta. Verserò per te le lacrime di una vita che non vivrai mai. Le lacrime che non verserai mai più. Madonna della sofferenza, avvolta nel gelido sudario della morte. Ho pianto con te. Ho pianto per te. Per te, io posso ancora piangere. Ma la marea di lacrime ora è cheta. Dormi, sorella, E non piangere più. (Scritto sulla lapide di Davida, Juliana 2005)



Le bugie scritte con l’inchiostro non possono cancellare i fatti scritti col sangue. Lu Xun (1881-1936)



Indice Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .IX Prologo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .XI Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XV Parte Prima La storia di Celeste Capitolo I La piccolina di papà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Capitolo II La Città dell’Amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Capitolo III ComUnione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 Capitolo IV Dietro le quattro mura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 Capitolo V Indottrinamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Capitolo VI Lacerata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 Parte seconda La storia di Juliana Capitolo VII Capitolo VIII Capitolo IX Capitolo X

Una famiglia divisa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 L’intruso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 Il bastone della correzione . . . . . . . . . . . . . . 133 Adottami, per favore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147

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Parte terza La storia di Kristina Capitolo XI Capitolo XII Capitolo XIII Capitolo XIV

Vivere una doppia vita . . . . . . . . . . . . . . . 157 Una missionaria vagabonda . . . . . . . . . . . . . . 175 Amore violento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 La fuga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203 Parte quarta Il viaggio verso la libertà

Capitolo XV Capitolo XVI Capitolo XVII Capitolo XVIII Capitolo XIX Capitolo XX Capitolo XXI Capitolo XXII Capitolo XXIII Capitolo XXIV Capitolo XXV Capitolo XXVI Capitolo XXVII Capitolo XXVIII Capitolo XXIX

Nascondino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217 Alla ricerca di Celeste . . . . . . . . . . . . . . . . . 239 Su lati opposti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253 Una riunione agrodolce . . . . . . . . . . . . . . . . 267 Impostori, eppure veritieri . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 La storia di due padri . . . . . . . . . . . . . . . . . 285 Riabilitazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297 La Casa della “corolla” aperta . . . . . . . . . . . . . 317 Anoressia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 337 Un sogno diventa realtà . . . . . . . . . . . . . . . . 353 La giustizia è un sogno? . . . . . . . . . . . . . . . . 357 La Perla d’Africa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 371 Essere liberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 387 L’aquila incatenata . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407 La forza dell’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 419

Epilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 423 Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 427

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Prefazione

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ella vita ci sono degli incroci obbligati e il mio incontro con Juliana è stato uno di questi. Quando ho conosciuto l’affascinante e dura storia raccontata in questo libro, mi sono subito reso conto che avrei dovuto in qualche modo partecipare al progetto di Juliana. Così abbiamo deciso insieme di pubblicare la versione italiana di Not Without My Sister, romanzo già tradotto in 11 lingue e che ha venduto ben 500.000 copie nel mondo, posizionandosi tra i best seller in alcuni Paesi come l’Inghilterra. La prima edizione, pubblicata nel 2007, racconta una storia molto intensa e toccante di avvenimenti realmente accaduti, pagine di vite parallele di tre sorelle, Juliana, Kristina e Celeste, raccolte in un unico “diario” che narra le loro vite a partire dall’infanzia di chi, come loro, è nato e cresciuto nel culto della setta dei “Bambini di Dio”. Questa setta è stata fondata con ispirazioni diverse da quelle che sono state le reali condizioni di vita di quelli che ne facevano parte, con una quotidianità diametralmente opposta all’amore cristiano, al perdono e alla libertà: valori professati alla base di questo culto. Infanzia violata, soprusi e condizionamenti psicologici appartenevano alla quotidianità

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di chi, come Juliana, Kristina e Celeste, ha avuto la condizione di nascere tra i “Bambini di Dio”. Questo libro ha avuto il ruolo di smascherare la vera natura della setta e di “liberare” quasi la totalità degli adepti. Anche se molti di loro, nonostante la setta sia stata dichiarata ufficialmente sciolta, continuano ancora a vivere in varie parti del mondo seguendo i dogmi di questa “fede”. Essere Innocenti racconta le storie di vita vissuta dalle tre sorelle all’interno della setta. In alcuni punti la narrazione è forte ma è stata lasciata inalterata rispetto all’originale per evitare di stravolgerne i contenuti. Un adattamento del testo si è reso necessario per migliorarne la fruibilità e per avvicinare un pubblico più ampio, perché questo libro vuole raccontare, denunciare e far luce su fatti che si spera non accadano mai più, senza sminuirne la carica emotiva dettata da una narrazione in alcuni punti molto difficile da leggere. In conclusione, la descrizione migliore è stata data dalle autrici stesse nel prologo originale che hanno definito la loro lotta per la libertà come quella di “butterflies caught in a spider’s sticky web”, “farfalle catturate in un’appiccicosa ragnatela”. L’Editore

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Prologo

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el gennaio 2005, nostra sorella Davida morì per overdose. Aveva ventitré anni. Lo shock per la morte di Davida ci toccò profondamente, poiché comprendevamo il suo dolore e la sua disperazione. Ognuna di noi, a modo proprio, ha dovuto lottare con ricordi dolorosi quali l’abbandono, l’essere trascurata e i maltrattamenti essendo, come altri bambini e bambine, nate e cresciute sotto l’influenza malefica di un culto religioso, la setta dei Bambini di Dio. Sin dalla più tenera età, siamo state sistematicamente sottoposte a violenze fisiche, mentali ed emotive, nonché sessuali. Precocemente separate l’una dall’altra, oltre che dai nostri genitori, siamo cresciute nelle comunità appartenenti a quest’organizzazione, conosciuta anche come la Famiglia. A differenza dei nostri genitori, che avevano volontariamente bruciato i ponti col passato e abbandonato le loro esistenze formali, a noi non è mai stata data una scelta rispetto al “cammino” che le nostre vite avrebbero dovuto seguire. Totalmente isolate dalla società e dal mondo esterno, eravamo controllate dalla paura – paura del governo, della polizia, dei dottori e degli assistenti sociali, ma soprattutto, da un’immensa paura della collera divina, qualora avessimo lasciato la protezione della Famiglia.

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La nostra infanzia è stata dominata da un solo uomo: David Berg – un uomo che non abbiamo mai conosciuto ma che era una sorta di onnipresente fantasma invisibile, tutto il tempo accanto a noi. Era la forza perversa e manipolatrice che si celava dietro i Bambini di Dio. David Berg amava vedersi come una benevola figura paterna e chiamava noi, i suoi seguaci, i Bambini di David. Si vedeva come il successore di Re Davide e del Profeta Mosè – facendosi chiamare Mosè David, oppure Mo’ come diminutivo. Ai bambini era detto di chiamarlo Nonno. Era il capo della nostra Famiglia, il profeta, la guida, la nostra “luce nel mezzo dell’oscurità”. Le regole che seguivamo, erano dettate dalle sue parole. Leggevamo di ogni dettaglio della sua vita, dei suoi sogni, di ciò che gli piaceva e che disprezzava, delle donne con cui andava a letto e dei bambini di cui abusava. Dalla più giovane età memorizzavamo le sue parole e alcune ore della giornata erano dedicate allo studio dei suoi precetti scritti, chiamati Lettere di Mo’. L’Ora della Parola – cioè il tempo speso a leggere le lettere e a studiare la Bibbia – era un’importante parte della vita quotidiana. Sarebbe difficile, se non addirittura impossibile, descrivere la nostra vita senza riconoscere l’influenza dominante di David Berg nelle nostre esistenze. Praticamente dalla nostra nascita, siamo state costrette a obbedire e seguire il percorso indicato dal culto. Non avevamo scelta e non conoscevamo altra strada. Non abbiamo mai sentito nostro padre esprimere una sua opinione personale; continuava a ripetere “Nonno dice…”; se venivamo punite, era sempre perché avevamo trasgredito le regole di Mo’, così come se venivamo lodate, era solo in quanto “fedeli seguaci” della sua Parola. La devozione di nostro padre per Berg e la totale fiducia nelle sue profezie e previsioni erano incrollabili. Laddove dubitasse che tutto ciò non fosse vero, o fosse solo una semplice chimera, non lo diede mai a vedere, nemmeno al riparo dagli sguardi degli altri.

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Prologo

Berg diceva che il controllo delle nascite era una ribellione contro Dio, così nel giro di pochi anni, migliaia di bambini nacquero all’interno del gruppo. Si vantò che eravamo “la speranza per il futuro” – una seconda generazione pura, incontaminata dal mondo esterno. Ci fu detto che essere nati e crescere nella Famiglia era il più alto privilegio, liberi dalle imposizioni del Sistema, come il mondo esterno veniva chiamato. Il nostro destino era diventare i soldati di Dio, quando sarebbe giunta la Fine dei Tempi, e donare la nostra vita per la causa. Berg predisse che il mondo sarebbe finito nel 1993 e che noi saremmo diventati le guide per il nuovo Millennio. Poiché le nostre vite sulla terra sarebbero state brevi, non ci era permesso di essere bambini. La nostra individualità fu annullata ed eravamo nulla più che semplici strumenti per il raggiungimento degli obiettivi comuni del gruppo. Il precetto religioso di Berg che più ci danneggiava era la Legge dell’Amore, secondo cui Dio è amore e l’amore è uguale al sesso. Condividere il proprio corpo con qualcun altro era considerato la più alta espressione dell’amore. L’età non era un ostacolo nella Legge dell’Amore e tutti i bambini della Famiglia furono coinvolti nella sua filosofia, perversa e pedofila. I suoi stessi figli e nipoti hanno sofferto delle incestuose predilezioni di Berg. In questo libro descriviamo il viaggio emotivo che abbiamo intrapreso dalla più tenera età, fino alla nostra adolescenza, quando cioè cominciammo, dapprima in segreto e poi sempre più apertamente, a interrogarci e, infine, a lottare per la libertà, come farfalle catturate in un’appiccicosa ragnatela. Questa è una storia di tenebre e luce, di prigionia dell’anima, di redenzione e libertà. Noi siamo sopravvissute, molti non ce l’hanno fatta. Migliaia di bambini nati all’interno del gruppo, in quanto seconda ge-

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nerazione della Famiglia, si sono dovuti confrontare con le devastanti conseguenze prodotte della cieca fede con cui i loro genitori si lasciavano guidare da colui che sosteneva di essere la voce di Dio in terra. Quei pochi che, con coraggio, parlavano apertamente delle proprie sofferenze, finivano con l’essere diffamati e denigrati dai loro stessi aguzzini. La nostra speranza è che, attraverso il racconto delle nostre storie, possiate sentire le voci di quei bambini che hanno provato a zittire. Juliana Buhring, Celeste e Kristina Jones Inghilterra, 2007

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Introduzione

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a setta dei Bambini di Dio nasce in California verso la fine degli anni ‘60 del secolo scorso, tra gli hippies e i dissidenti dello Jesus Movement che si erano riuniti a Huntington Beach. Il fondatore, David Berg, era nato nel 1919, in Oakland, California. Sua madre, Rev. Virginia Lee Brandt Berg, era una famosa evangelista dell’Alleanza Cristiana Missionaria. Nel 1944 Berg sposò Jane Miller, una giovane catechista battista che operava con adolescenti e ragazzi. Dopo la nascita del loro secondo figlio, Berg divenne il pastore di una chiesa dell’Alleanza Cristiana Missionaria in Arizona. Comunque, dopo solo tre anni, ne fu espulso, probabilmente per uno scandalo sessuale. Quest’espulsione divenne il motivo di tutto il rancore e di tutta la disillusione che Berg provava contro i culti e le istituzioni religiose ufficiali, che lo accompagnarono per il resto della sua vita. Nel 1967, Berg si trasferì con tutta la propria famiglia – sua moglie Jane (poi conosciuta come Madre Eva) e i loro quattro bambini, Deborah, Faithy, Aaron e Hosea – a Huntington Beach, in California, dove si sistemarono a casa di sua madre, ormai ottantenne. Quest’ultima, aveva intanto avviato un piccolo ministero religioso, partendo da un coffee shop

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chiamato il Club della Luce, dove distribuiva panini per gli hippies, i surfisti e tutti gli “stravaganti” che si ritrovavano al molo. Ma quando l’immagine pulita del Club della Luce finì col non attrarre più i capelloni hippies e la signora Berg vide l’opportunità per suo figlio e i suoi nipoti di professare ai giovani attraverso la musica ed il fervore della loro generazione. In poco tempo, David Berg e la sua famiglia cominciarono ad attrarre frotte di giovani, grazie al cibo gratis e ai messaggi anti-sistema e contro la guerra, di cui erano accesi sostenitori. Il gruppo cominciò a girare attraverso tutti gli Stati d’America, raccogliendo sempre più giovani discepoli lungo la strada, e presto s’iniziarono ad aprire delle comunità, da una parte all’altra della nazione. Riuscirono così ad attirare una considerevole copertura mediatica; in alcuni articoli, gli autori cominciarono a chiamarli i Bambini di Dio, un nome che finì poi con l’essere adottato dal neonato gruppo. Dopo una serie di illecite relazioni con alcune giovani adepte, Berg trovò una devota compagna nella sua giovane e ambiziosa segretaria, Karen Zerby, ovvero Maria. Marchiando pubblicamente la sua ex-moglie e la sua anziana madre come parte della Vecchia Chiesa, Berg indicò Maria e i Bambini di Dio come la Nuova Chiesa e se stesso come l’ultimo profeta della Fine dei Tempi. Iniziò, inoltre, a usare lo pseudonimo Mosè David, identificandosi allo stesso tempo con Re Davide della Bibbia e il Profeta Mosè, che aveva portato i Figli d’Israele lontano dalla schiavitù in Egitto (il Sistema), verso la Terra Promessa. Berg decise di fondare una dinastia regale. Le sue residenze furono tutte ribattezzate La Casa del Re e incoronò se stesso e Maria, come Re e Regina. Per molti anni un consiglio di ministri guidò il culto, per lo più membri della famiglia allargata di Berg, meglio nota come Famiglia Reale. Berg pretendeva che i membri della Famiglia obbedissero a lui e agli altri leader,

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Introduzione

senza fare domande. L’unico contatto tra Berg e gli adepti del suo culto erano i suoi scritti, contenenti norme dettagliate, opinioni e istruzioni su come i membri avrebbero dovuto gestire le comuni, oltre a profezie e rivelazioni, che asseriva essere state promanate direttamente da Dio. Fin dal 1970, i Bambini di Dio finirono sotto la stretta sorveglianza dei media e delle autorità giudiziarie, a seguito delle denunce dei genitori di alcuni bambini, i quali riferivano dei radicali cambiamenti di personalità riscontrati nella propria prole dopo che questi si erano uniti alla pratica del culto. Ma ancor più preoccupante era che ogni contatto con loro fosse stato troncato e che, addirittura, alcuni bambini sparissero nella notte e non venissero più rivisti per anni. Sfuggendo alla cattiva pubblicità e alle citazioni in tribunale, Berg scappò in Europa, esortando i suoi seguaci a lasciare l’America. Il gruppo lasciò gli Stati Uniti con un esodo di massa, nel 1972, per evangelizzare e far opera di proselitismo in altri Paesi del mondo, a cominciare dall’Europa. Anche Berg e Maria arrivarono in Inghilterra nel 1972. La crescente paranoia per la sua sicurezza personale fece sì che Berg s’isolasse gradualmente dai suoi seguaci, mantenendo il più stretto riserbo circa la sua precisa posizione. Mentre erano in isolamento, Berg e Maria sperimentarono una controversa metodologia di apostolato seduttivo, dove il sesso era utilizzato per veicolare l’adesione di nuovi adepti e sostenitori, attraverso una squallida tecnica di adescamento malizioso, il flirty fishing. Berg introdusse, poco a poco, l’idea del flirty fishing ai suoi militanti attraverso alcune lettere che documentavano i loro stessi incontri. Intanto affermò di aver avuto una nuova rivelazione, chiamata appunto la Legge dell’Amore. Berg disse ai suoi seguaci che i Dieci Comandamenti erano ormai obsoleti. Ogni cosa fatta per amore (incluso il sesso) era gradita agli occhi di Dio. L’adulterio, l’incesto, le relazioni al

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di fuori del matrimonio e tra bambini e adulti non sarebbero state più delle colpe, se fossero stati compiuti in nome dell’amore. A tutti, impose l’assoluta fedeltà al radicale messaggio contenuto nella Legge dell’Amore e nel flirty fishing, chiedendo a ogni membro di porli attivamente in pratica, oppure di lasciare il gruppo. Conseguentemente i due terzi del gruppo lo abbandonarono, determinando così la fine dell’epoca dei Bambini di Dio e l’inizio di quella della Famiglia dell’Amore. Nel 1979, Berg scrisse una lettera intitolata “Il Sesso nella mia Infanzia” nella quale rivelava che, una volta, la sua tata gli aveva praticato del sesso orale quando era un bambino ai primi passi e che gli era piaciuto. Per lui era normale, naturale e salutare, non vi era assolutamente nulla di sbagliato in tutto questo, dando così a tutti carta bianca per fare la stessa cosa. Negli anni seguenti, altre Lettere di Mo’ e altre pubblicazioni della Famiglia rafforzarono l’idea che ai bambini dovesse essere consentita una certa promiscuità sessuale, sia tra di loro che con gli adulti – e molti adulti all’interno della Famiglia accolsero e perseguirono questo suggerimento. *** Christopher Jones è nato nel dicembre del 1951 in una città vicino a Hamelin in Germania, da Glen, un ufficiale militare britannico e Krystyna, una giovane polacca, conosciuta mentre lui era di base in Palestina. Seguì gli studi presso una scuola pubblica a Cheltenham e studiò teatro al Rose Buford College. Abbandonò la scuola al secondo anno per unirsi ai Bambini di Dio nel 1973. È padre di quindici bambini, tra cui Celeste, Kristina e Juliana, tutti avuti con sette donne diverse. Attualmente, rimane ancora membro del culto.

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Introduzione

Rebecca Jones è nata nel marzo del 1957 in un tranquillo contesto borghese nell’Inghilterra del sud. Suo padre, Bill, era un ingegnere civile e sua madre, Margaret, una casalinga devota. I suoi genitori non erano religiosi, ma all’età di cinque anni, la iscrissero comunque alla locale scuola di catechesi domenicale. A dodici anni, era già catechista e, due anni più tardi, venne battezzata. Direttamente dalla scuola, Rebecca entrò nelle fila dei Bambini di Dio, a soli sedici anni, incontrando e sposando nostro padre nel 1974. Insieme ebbero tre figli, tra cui Celeste e Kristina, prima che si separassero. Rebecca ha abbandonato il culto nel 1987. Serena Buhring è nata vicino Hannover, in Germania, nell’ottobre del 1956. Suo padre era un architetto e sua madre un’esperta musicista, capace di suonare il pianoforte, il violino e il violoncello. Serena, da giovane, era una hippie quando si recò in viaggio in India dove entrò a far parte dei Bambini di Dio. Successivamente incontrò nostro padre, che si era appena separato da Rebecca, ed ebbe tre figli con lui, tra cui Juliana. Serena è ancora un membro associato del culto.

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Parte Prima

La storia di Celeste



Capitolo primo

La piccolina di papà

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tavo giocando da sola, nel giardino antistante a una casa bianca situata nei pressi di Rafina, un piccolo villaggio di pescatori, in Grecia. Il nostro giardino aveva tre alberi d’ulivo, un albero di albicocche, uno di fichi e un pesco, dai quali pendevano frutti maturi. Sedevo al riparo di un grande e vecchio albero di pino che tutt’intorno proiettava ampie zone d’ombra. Il sole illuminava il terreno e asciugava le ossa, mentre io mi divertivo a disegnare immagini sul terreno riarso con una pietra bianca. Avevo cinque anni. Ricordavo a malapena mia madre, solo un breve ricordo di lei che suona la chitarra cantando “Gesù mi ama, io lo so, perché è la Bibbia che me lo dice”, mentre io e la mia sorellina, Kristina, giocavamo su di un letto a castello, in una piccola stanza, di un posto lontano. Ma io restavo tenacemente fedele alla mamma, parlavo di lei ogni giorno, anche se non la vedevo da due anni. Lei e mia sorella mi mancavano, a fatica riuscivo a ricordare mio fratello David. Ero disperatamente aggrappata alla speranza che mamma potesse tornare. Come un disco che non smette mai di girare, continuavo a chiedere a mio padre: “Perché ci ha lasciati?”.

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Essere Innocenti

Papà mi abbracciava e diceva: “La mamma ha deciso di stare con qualcun altro ed io non potevo lasciarti andare. Tu sei la più grande e noi siamo sempre stati vicino, non è vero?”. Io annuivo. Amavo papà quanto la mamma, pensavo fosse ingiusto dover fare una scelta tra di loro. “E Kristina e David, allora?” gli chiedevo. “Erano troppo piccoli. Avevano ancora bisogno di stare con la loro mamma”. Papà lavorava per lunghe ore, nell’improvvisato studio di registrazione che aveva allestito nella cantina di casa nostra, producendo e animando come dj lo show radiofonico Musica con Significato. Ecco perché io avevo una tata, Serena, una giovane ragazza tedesca. Provavo del risentimento verso di lei e, per quanto potessi, cercavo di renderle la vita sempre più difficile, rifiutandomi di cooperare e perfino di accettare la sua sola presenza. Serena aveva lunghi capelli, neri e lisci, e occhi color marrone evidenziati da un sottile paio di occhiali. Povera Serena. Qualsiasi cosa provasse a fare per conquistarmi, ero determinata a non farmela piacere. Trovavo buffo quel suo accento tedesco mentre lei cercava costantemente di farmi ingurgitare del germe di grano con yoghurt senza zucchero e cucchiaiate di olio di fegato di merluzzo, di cui odiavo l’odore e il sapore. Facevamo parte dei Bambini di Dio, un’organizzazione religiosa ossessionata dal riserbo, le cui propaggini si allungavano in tutto il mondo. Un uomo chiamato David Berg ne era il capo e profeta. Noi lo conoscevamo come Mosè David; mio padre lo chiamava Mo’, per me era Nonno. Era lui a stabilire tutto quello che dovevamo dire, pensare ed anche sognare. Ogni cosa delle nostre vite, anche il più piccolo e insignificante dettaglio – incluso il cibo che mangiavamo – era regolamentato da Mo’. Lui diceva che la nostra dieta doveva consistere di cibo salutare ed essere

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Capitolo I – La piccolina di papà

priva di zucchero bianco e Serena abbracciò con entusiasmo le salutistiche linee guida alimentari di Mo’. “Ti darà ossa e denti forti”, mi diceva – ma ciò non riusciva a rendere migliore il sapore. Lei non era mai crudele, ma era molto rigorosa, ed io la vedevo come un’indesiderata intrusa nella mia vita. Inizialmente papà mi disse che sarebbe rimasta per tre mesi ed io iniziai a contare i giorni che mancavano alla sua partenza. In quel giorno pieno di sole, mentre giocavo sotto il pino, volsi uno sguardo e vidi mio padre e Serena uscire sulla veranda. Stavano lì, molto vicini l’uno all’altra, e immediatamente percepii una certa elettricità tra loro. “Tesoro. Devo dirti qualcosa d’importante”, mi chiamò mio padre. Appena parlò, il mio papà, alto e bello, che io adoravo più di chiunque altro al mondo, si girò e abbracciò Serena. Mentre mi avvicinavo a loro, notai che i loro volti erano illuminati da un sorriso smagliante. “Oh no”, gemetti. Tutto ciò non promette nulla di buono. “Amore, Serena ed io abbiamo deciso di stare insieme”, papà lo disse con un tono di voce eccessivamente felice, per i miei gusti. “Lei sarà la tua nuova mamma”. “No, lei no!” gridai. “Io la odio!”. Non riuscivo nemmeno a sopportare di dover pronunciare il suo nome. “Io voglio la mia mamma. Perché lei non può tornare a vivere con noi? Non è giusto!” singhiozzai. Mi girai e corsi fuori verso un angolo del giardino, dove rimasi, rivolgendo loro la schiena. Papà mi seguì e, preoccupato, si abbassò verso di me. Mi appoggiò la sua mano sulla spalla. “Dolcezza, tu lo sai, la tua mamma è andata via. Non è mai più tornata”. “Ma io voglio mia sorella e mio fratello qui. Non è giusto” dissi mentre mettevo il broncio, col labbro inferiore. “Ma qui hai tanti fratelli e sorelle con cui giocare” disse papà.

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“Non è lo stesso”, protestai. “Tesoro, noi siamo tutti un’unica famiglia. Guarda un po’ quel labbro inferiore… finirai con l’inciamparci dentro se non stai attenta”. Accennai un sorriso, solo per far sentire meglio papà. Mo’ diceva che non eravamo stati concepiti per far parte di singole famiglie. La nostra vera famiglia erano i fratelli e le sorelle dei Bambini di Dio. Dovevamo addirittura riferirci a noi stessi come alla Famiglia. Ma io mi rifiutavo di dimenticare sia mia madre, sia Kristina che il piccolo David, nonostante mi spaventasse il fatto che cominciavo a dimenticare il loro aspetto. L’unica fotografia che papà conservava di mamma, la ritraeva in piedi dietro un doppio passeggino, con me e la mia sorellina sedute l’una accanto all’altra. Studiavo quella foto attentamente. La mamma aveva biondi capelli ramati, lunghi fino alla vita, occhi blu e un gran sorriso. “È bella”, pensavo. “E questa, è mia sorella?”. Non riuscivo a vedere chiaramente il suo volto a causa della scarsa qualità dell’immagine. Kristina era appena una frugoletta, con due piccoli codini, aveva circa un anno nella foto. Io ero più grande di soli diciotto mesi e le somigliavo molto. Entrambe eravamo vestite con graziosi abitini di cotone e avevamo dei cappellini da sole. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a riportare a galla il loro più fievole ricordo e ne ero affranta, sentendo come un enorme vuoto nel mio essere. Papà mi raccontava di come lui e la mamma avessero l’abitudine di portarci con loro quando andavano a predicare per strada. “Manovravo il passeggino, fino a intercettare la traiettoria delle persone che camminavano sul lato opposto, dopodiché gli allungavo un volantino e condividevo con loro la mia testimonianza, parlandogli di Gesù e di come avrebbero potuto salvarsi. Gli indiani amano i bambini e voi due eravate così tenere

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Capitolo I – La piccolina di papà

e carine. Vi pizzicavano le guanciotte e chiacchieravano teneramente con voi. Sentivano di non poter essere scortesi con quelle due bimbe sedute lì che continuavano a fissarli, simili a due piccoli angeli”. “Hai una foto di David?” chiesi. “Qui è quando aveva appena tre mesi”, rispondeva papà, mostrandomi una piccola fotografia in bianco e nero. “È così carino. Guarda quelle guance!” dicevo orgogliosa. Lui era sdraiato sul pancino, teneva la testa sollevata facendo forza sulle sue braccia paffute e aveva un largo sorriso sulla faccia. Le mie prime memorie personali erano brevi, una serie di piccoli scatti veloci, come delle finestre che si aprivano davanti agli occhi della mia mente. La maggior parte di quanto ero riuscita a mettere insieme mi era stato raccontato da papà nella quiete dei nostri rari momenti da soli. Gli sedevo in grembo mentre lui mi raccontava alcuni aneddoti che lentamente andavano a formare un’immagine più grande. Ma era pur sempre un’immagine incompleta; non mi raccontava quasi mai nulla della mamma. Quasi fosse un metodo per continuare a tenere in vita il suo ricordo, mentre cercavo di aggrapparmi tristemente alle reminiscenze di una vita familiare, chiedevo spesso a papà di raccontarmi di come lui e la mamma si fossero conosciuti e poi sposati, e della mia nascita. Lui non mi diceva mai molto, fu solo quando diventai più grande che mi raccontò l’intera storia. “Tua madre era giovane e bella – aveva appena diciassette anni quando ci sposammo. Mentre io ne avevo ventidue”. Io gli facevo sempre un sacco di domande. “E il tuo papà?”. Papà mi raccontò che suo padre era un avvocato e un giudice militare dell’esercito inglese. Ma di sua madre non aveva alcun ricordo, poiché era morta quando lui aveva solo quattro anni. Suo padre, invece, si risposò

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Essere Innocenti

molto presto. Lui e il fratellastro furono entrambi spediti presso un convitto a Cheltenham. “A scuola ero un vero ribelle. Sono stato anche espulso, dopo aver guidato una protesta, durante la quale un gruppo di noi si chiuse nella sala principale”. “Perché? Per cosa protestavate?” gli chiesi. “A scuola i sorveglianti erano soliti picchiarci per ogni futile motivo, qualsiasi cosa accadesse. Arrivavano di notte con le loro torce elettriche e ce le puntavano in faccia per farci svegliare. Eravamo stati allevati nell’ingiustizia e ad essa ci opponevamo”. Dopo esser stato buttato fuori, s’iscrisse a una scuola di teatro a Londra e durante le vacanze viaggiava in giro per l’Europa. “Stavo cercando di dare un senso alla mia vita”, mi spiegò. Con molta attenzione, lo ascoltavo mentre mi raccontava che, durante la sua ricerca sul significato della vita, aveva letto molti testi relativi alla spiritualità e si era dilettato anche con l’occulto e la meditazione. Trasalii. A furia di ripeterlo, Mo’ aveva inculcato nelle nostre teste, quanto potessero essere pericolose sia le droghe che la tavola di Ouija (la tavoletta usata nelle sedute spiritiche, N.d.T.) perché potevano aprire le porte della nostra mente al Diavolo. Quando mi raccontava di quegli anni, papà diceva: “Finii con l’essere profondamente deluso e frustrato dalla vita”. “La scuola di teatro non era ciò che volevi?” domandai. “Non aveva senso. Senza il Signore era tutto privo di significato. Era come un guscio vuoto, tesoro”. Fu proprio mentre stava per toccare il fondo, che un giorno ricevette la telefonata di un suo compagno, appena rientrato da Istanbul. Quest’amico aveva progettato di arrivare a piedi in India invece, lungo la strada,

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Capitolo I – La piccolina di papà

era stato convertito dai Bambini di Dio ed era tornato in Inghilterra per diffondere la loro parola. Papà fu colto alla sprovvista dal radicale cambiamento del suo amico che fino a poco prima era stato un tossico e uno squilibrato. Adesso sembrava sicuro di sé, aveva un obiettivo e una strada da seguire. “Mi disse che era tutto merito dei Bambini di Dio. Mi incuriosii”. Nell’epoca hippie di pace e amore, il messaggio proclamato dai Bambini di Dio poteva sembrare davvero attraente: trovare una nuova vita in Cristo, prendere le distanze dalle convenzioni sociali, vivere in comune, boicottare il materialismo e dividere ogni cosa, così come avevano fatto i primi apostoli. Non era uno dei tanti gruppi di fanatici evangelisti provenienti dall’America – era l’Esercito della Fine dei Tempi, l’élite che avrebbe guidato il mondo, inesorabilmente perso e bisognoso di salvezza, nella sua ora più buia. I Bambini di Dio pensavano che con la fine del mondo, ormai incombente, perseguire in vita qualsiasi altra cosa non avesse più senso. Papà si era convinto. Diede via la maggior parte dei suoi averi e, con solo una piccola valigia, varcò la soglia di una comune a Hollingbourne, nel Kent, pronto per la sua nuova vita da discepolo. I suoi occhi s’illuminavano a questo ricordo, poi papà mi diceva: “Era divertente. Vivevamo tutti insieme sotto lo stesso tetto e condividevamo ogni cosa, proprio come i primi cristiani del Vangelo. Era la famiglia che avevo sempre desiderato”. Ai neofiti veniva chiesto di scegliere un nome dalla Bibbia che rispecchiasse la loro nuova vita. Papà scelse Simon Pietro. Adesso il suo lavoro a tempo pieno era andare per le strade a testimoniare – era la parola che usavano per indicare l’opera di proselitismo. Distribuire i volantini per le donazioni era chiamato litnessing, ovvero testimoniare attraverso la letteratura, una sorta di propaganda culturale.

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Sempre pieno di nuove idee, papà s’inventò un altro modo di fare litnessing. Quando me lo raccontava, rideva. “Mi vestivo come un clown, con un grosso e lucido naso rosso e un buffo cappello sulla cui cima rimbalzava un piccolo uccellino di plastica”. Allora iniziava a ondeggiare le dita dietro alla sua testa e a fare una smorfia. Io ridacchiavo. “Scommetto che dovevi sembrare proprio ridicolo!”. “Oh, lo ero – ma ero un clown. Ai clown è permesso essere ridicoli. Saltavo davanti ai passanti e li facevo ridere prima di dar loro un foglietto e chiedere una donazione. Ero la star del litnessing e della raccolta fondi – facevo migliaia di pound alla settimana per la Famiglia”. Ridevo cercando di immaginare mio padre che faceva il clown per le strade di Londra, una città che non ricordavo, nonostante ci fossi nata. Ad ogni modo, questuare per strada era contro la legge e papà cominciò ad avere problemi con la polizia. Ovviamente lui non vedeva nulla di male in ciò che stava facendo. Stava obbedendo a Dio. Papà mi disse di aver incontrato la mamma a Hollingbourne quando si erano entrambi uniti come nuovi discepoli della comunità, lo stesso giorno. Lei era appena sedicenne ed era stata reclutata direttamente a scuola. Giovane e idealista, in buona fede pensò che i Bambini di Dio fossero un gruppo missionario. I miei genitori furono uniti in matrimonio dal gruppo, prima di essere legalmente sposati in Chiesa. Dopo una luna di miele di tre giorni nella Regione dei Laghi, in Inghilterra, si sistemarono in una grande casa che i Bambini di Dio avevano occupato abusivamente, nel sobborgo di Hampstead. Papà sfruttò le sue capacità interpretative sul palco per delle performance in cui recitava teatralmente le Lettere di Mo’ – lettere del profeta che erano regolarmente spedite a ogni comunità come delle linee guida

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che i discepoli dovevano seguire e in base alle quali avrebbero dovuto vivere. A lui piaceva il brivido della recitazione e il suo talento fece sì che ben presto si distinguesse, come una sorta di celebrità, all’interno del gruppo. Spronato dal successo, registrò più Lettere di Mo’ per una collezione di audiocassette chiamate Vento di Libertà, distribuite attraverso le comuni per farle ascoltare ai discepoli. Mentre papà era impegnato e soddisfatto, mamma era incinta e terribilmente ammalata; deve essere stato un gran sollievo quando, il 29 gennaio 1975, dopo un difficile travaglio di tre giorni, vidi la luce nel piccolo attico al terzo piano della casa di Hampstead. Essere diventati genitori non dissuase mia madre e mio padre dal perseguire la loro nuova missione per salvare il mondo. Vari gruppi di missionari partirono ed ai miei genitori toccò “la profezia” di andare in India. Al discepolo non era concesso di avere una propria volontà, doveva seguire la volontà di Dio, attraverso la preghiera e aspettando che Lui gliela rivelasse in una profezia. Queste profezie avallavano con l’approvazione del divino ogni piano o decisione che dovevano essere prese. In realtà le autorità britanniche avevano cominciato a investigare sulle attività della Famiglia, soprattutto per il loro proselitismo aggressivo e per la richiesta di donazioni, e Mo’ disse a tutti di lasciare il Regno Unito e di raggiungere più verdi pascoli, come l’India, il Sud America e l’Estremo Oriente – posti dove le autorità sarebbero state molto meno disposte a indagare su cosa facesse un gruppo di “rifugiati” occidentali. Quando la nostra famigliola arrivò in India, inizialmente, andammo in un appartamento di un quartiere di Bombay progettato per i benestanti sebbene avesse la stessa grandezza di un appartamento in un condominio inglese. C’erano tre camere che condividevamo con altre due coppie e un paio di fratelli single. Dopo poche settimane i miei genitori trovarono

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un appartamento, al pian terreno, con due camere da letto, a Khar, una frazione di Bombay. C’erano molte persone che si fermavano lì, i discepoli andavano e venivano da molti posti dell’India. Era sempre affollato. Avevano pochi mobili, ad eccezione di due letti singoli, un tavolo e alcune sedie in soggiorno. Mamma era nuovamente incinta e di molti mesi ma, fino al momento della nascita, lei e papà dormivano su di un lenzuolo messo sul pavimento della nostra piccola casa in condivisione, perché i materassi erano infestati dalle cimici. Spesso c’erano più di venti persone in casa e mamma cercava di nasconderle al proprietario. La mia sorellina nacque in una clinica privata lì vicino e fu chiamata Kristina, come la madre di papà. Io avevo appena diciotto mesi in più, ma l’adorai dal primo momento che la vidi. Avrei voluto stendermi vicino a lei sul pavimento, sopra al lenzuolo di mamma, cingerla con un braccio e coprirla con tanti bacetti. Diventai un’affettuosa sorella maggiore e mi piaceva sia abbracciarla che guardare la mamma mentre le cambiava il pannolino o si prendeva cura di lei. Avevamo quasi la stessa età e il nostro legame era indistruttibile. Io la chiamavo Nina. Per papà, molte cose dell’India furono un profondo shock culturale. Malgrado fosse stato un hippie e avesse viaggiato da Cipro a Israele ed anche attraverso l’Europa, lui odiava il caldo, la sporcizia e il degrado che aveva trovato a Bombay. Contrasse inoltre una brutta forma di epatite che lo costrinse in ospedale per alcune settimane dopo la nascita di Kristina. “L’acqua e il cibo mi avevano fatto ammalare, una dissenteria così forte da farmi perdere un mucchio di peso. Mi sentivo umiliato dal dover essere uno straniero obbligato a vendere pamphlet per strada, come un accattone, quando intorno a me c’erano tanti mendicanti e tanti bambini senza un tetto sopra la testa e senza cibo da mangiare” diceva.

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L’alimentazione quotidiana di papà e della comune era una costante fonte di angoscia. All’inizio disponevano di poco denaro poiché tutto quello che guadagnavano doveva provenire dalla vendita dei volantini per le strade per piccolissime somme. A quei tempi potevano permettersi solo di comprare riso e lenticchie, giorno per giorno, oppure implorare per gli scarti di frutta e verdura dei mercati. Certo i Bambini di Dio non lo chiamavano mendicare; loro stavano facendo provviste – ne avevano il diritto, perché Dio aveva donato liberamente al mondo ogni bene. Ma chiedere sostegno a dei poveri contadini per papà era umiliante. Comunque, finì col credere che la sua repulsione verso il compito affidatogli, ovvero testimoniare tra i poveri, fosse la voce del Diavolo che lo tentava a lasciar perdere e ad abbandonare i propri doveri. Continuando stoicamente a militare nell’asfissiante calura di Bombay, papà si sforzò di dare più significato al suo ruolo personale. Era intelligente e istruito. Vendere i pamphlet gli sembrava il modo più lento di persuadere le anime, prima della Fine dei Tempi. Secondo Mo’ mancava davvero poco tempo alla battaglia finale, l’Armageddon, e così papà cercò di trovare una soluzione per la brulicante massa di persone che non sarebbe stata salvata, già nella sola India. All’improvviso si ricordò delle vecchie audiocassette di Vento di Libertà che gli avevano fatto guadagnare così tanto pregio a Londra. A suo tempo si era anche parlato del potenziale della radio, in quanto mezzo di divulgazione del messaggio. Gli venne così l’idea di registrare una serie di programmi, di mezz’ora circa, che lui avrebbe chiamato Musica con Significato. Questo show sarebbe stato trasmesso dalle stazioni radio locali. Poteva farlo praticamente da solo, ne avrebbe curato i testi e ne sarebbe stato il conduttore e il dj. Fin dall’inizio i Bambini di Dio avevano utilizzato la musica come un’esca per catturare l’interesse e l’attenzione. I canti di gruppo per ve-

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nerare Gesù erano chiamati “ispirazioni” ed erano parte quotidiana della vita del discepolo. La Famiglia attirò molti musicisti e artisti di successo, tra cui l’ex chitarrista dei Fleetwood Mac, Jeremy Spencer – che un giorno era stato letteralmente convertito per strada e aveva interrotto un tour di concerti, per unirsi a una comune vicino a San Francisco. Invece del rock ’n’ roll, scrivevano canzoni basate sulla Bibbia e sulle Lettere di Mo’. Papà decise che avrebbe utilizzato questo talento nel suo show per aiutare a divulgare la parola. Lavorare a qualcosa che fosse in grado di appagarlo gli diede la forza per rimanere in India. Con orgoglio, papà mi descriveva le sue imprese. “Offrivamo gratuitamente Musica con Significato alle stazioni radio. Sapevo che uno spettacolo di musica dal vivo sarebbe stato un modo forte di diffondere il messaggio e che avrebbe attratto i giovani ascoltatori. In un solo colpo, invece di continuare a sforzarmi nella foga di testimoniare per un manipolo di persone al giorno, riuscendo magari a redimere solo una o due anime a settimana, così avrei potuto raggiungerne milioni!”. “Quest’idea era geniale, papà” esclamavo pensando che lui fosse meraviglioso. Quando Mo’ venne a sapere dello show, elogiò papà per il suo spirito pioneristico e lo aiutò a finanziare il progetto. Papà non aveva mai conosciuto il profeta – pochi dei suoi seguaci ci erano riusciti – le sue istruzioni e i suoi messaggi, erano dettati nelle Lettere di Mo’ che venivano trasmesse tramite i leader del gruppo, meglio noti come pastori. Papà lavorava giorno e notte allo show, mentre mamma fu lasciata ad accudire me e la mia neonata sorellina. All’epoca la mamma era incinta per la terza volta e stava di nuovo terribilmente male. Ma, malata o no, doveva pur sempre uscire per guadagnare qualche soldo, vendendo i libelli nella calura, camminando ogni giorno per delle miglia e scarrozzandoci nel passeggino.

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Molti seguaci di Mo’ – come i miei genitori – erano fedeli l’uno all’altra e vivevano come una famiglia unita, anche se si trovavano nella promiscuità di affollate comuni. Ma nel 1976, poco dopo la nascita di Kristina, Mo’ decretò che eravamo “Unica Sposa di Dio” e che non potevano esistere cose tipo l’adulterio nella Famiglia di Dio. Il sesso era la più alta espressione dell’amore e del donare, veniva chiamato “condivisione”. I Bambini di Dio erano adesso la Famiglia dell’Amore, nel vero senso della parola. Alcuni discepoli ebbero difficoltà ad adattarsi alle nuove libertà, mentre altri esultarono per l’opportunità di avere esperienze sessuali con partner diversi. Entrambi i miei genitori iniziarono a condividere con altri – anche se credo che in questo papà sia stato più appassionato della mamma. Con due bambine quasi della stessa età e un terzo in arrivo, il sesso non era tra le sue priorità. Ma mamma era una credente devota che voleva obbedire al profeta, anche se si struggeva di gelosia per il fatto di dover condividere papà. Ad ogni modo, iniziò a sentirsi sola e non amata, finendo col cadere in depressione dopo la nascita di mio fratello Davide nell’aprile del 1978. Una delle donne pastore della loro area, notò che mamma era silenziosa e apparentemente triste e così le chiese che cosa non andasse. Mamma a scuola era stata educata con metodo – fatti e personaggi doveva impararli a memoria – e non era abituata alle discussioni, ai dibattiti e alle conversazioni. Così rispose semplicemente: “Sono infelice”. Invece di provare compassione, le fu detto che probabilmente doveva fare una pausa. Fino a un momento prima mamma era lì e un istante dopo, se n’era andata, portando David con sé in una comune a Madras. Quando mamma ritornò dalla sua pausa a Madras sei settimane più tardi, un giovanotto venne con lei. Si chiamava Joshua, un fratello dall’Au-

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stralia, ed era innamorato di lei. Ciò complicò ulteriormente la relazione dei miei genitori e ne determinò infine la separazione. Poi una mattina, inaspettatamente, la polizia di Bombay si presentò alla porta della comune, dicendo a tutti gli stranieri che avrebbero dovuto lasciare immediatamente il paese. Sembra che alcuni dei nativi che erano stati convertiti alla causa, fossero rimasti sconvolti ed allarmati dalla promiscuità di cui erano stati testimoni. Alcuni dei nuovi convertiti erano delle belle ragazze indiane, semplicemente tutto ciò non faceva parte della loro cultura, e le loro famiglie l’avevano denunciato. Anche l’Interpol era stata coinvolta dalle richieste ufficiali di alcuni genitori nell’India dell’ovest che stavano cercando di rintracciare i loro figli scomparsi. Ci fu una tale frenesia di fare le valige mentre i pastori chiudevano le comuni. Mamma e Joshua decisero di tornare in Inghilterra con Kristina e David. “Ma io insistetti per tenere te”, disse papà, “tu sei la mia piccolina”. Il mio giovane papà era così bello che non avrei mai potuto immaginare che qualcuno potesse lasciarlo. Ma anche se aveva scelto me, ero devastata dall’idea di aver perso mia madre. Papà mi abbracciò e disse: “Tu eri una cosina così piccola, triste e infelice. Soffrivi così tanto che nulla avrebbe potuto renderti felice. Alla fine, ti promisi che avrei aspettato prima di scegliere un’altra compagna, proprio in caso la mamma avesse cambiato idea”. Credevo nelle sue rassicurazioni, vere o false che fossero, e le sue parole mi davano la speranza che la nostra famiglia si fosse “divisa” solo temporaneamente, una tormentosa speranza che portai dentro il mio cuore nei due anni successivi e attraverso due continenti. Due settimane dopo, papà ed io scappammo a Dubai. Papà era distrutto perché aveva imparato ad amare l’India e il futuro avanti a lui era

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incerto. A Dubai, ricevette una telefonata inaspettata da Faithy, la figlia più giovane di Mo’. Stava perlustrando la Grecia, alla ricerca di un nuovo posto, per iniziare un nuovo progetto. Faithy aveva eleganza, carisma e un modo di esprimersi che avrebbero potuto convincere quasi chiunque. Stava provando a riunire tutti i musicisti, i cantanti, gli autori e gli artisti di talento e ad usarli come un’attrazione, per presentare la causa al mondo esterno e conquistare più seguaci. “Simon Pietro” cominciò, “Mo’ è molto compiaciuto da tutto ciò che hai realizzato. Ha deciso di sostenere la produzione e la distribuzione dello show Musica con Significato in tutto il mondo”. Lo show avrebbe dovuto essere più grande e commerciale di prima. Sarebbe stato un’esca per attirare gli ascoltatori, che si sarebbero iscritti. Li avrebbero invitati a presentarsi presso il più vicino club di Musica con Significato della zona. Ci sarebbero state spedizioni regolari, una rivista e convenzioni per i soci. Ricevere una telefonata personale da Faithy era un grande onore. Papà era elettrizzato dall’avere pieno sostegno e supporto economico per il suo programma. Il suo scopo era sempre quello di convertire le anime e in questo era molto fervente. Non essendo una persona dotata di senso pratico, fu felice di consentire al direttivo di subentrargli per farsi carico di tutta l’organizzazione, così da potersi concentrare solo sullo show. E fu così che arrivammo ad Atene verso la fine del 1979. La scenografica vista di alte e candide montagne che s’innalzavano verso il cielo azzurro, ci mozzava il fiato, mentre attraversavamo l’antica penisola per raggiungere la costa dalla parte opposta, a un paio d’ore di distanza. Percorrendo con l’auto il tratto in discesa, tra macchie di scuri alberi di pino, riuscivo a scorgere lo scintillio del mare e le barche da pesca che andavano su e giù nella darsena del vecchio porto di Rafina.

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La nostra casa era una tipica villa greca moderna, dipinta di bianco e con un tetto di tegole rosse. Il giardino circostante aveva alberi da frutta, un raso prato di erbetta pungente, un albero di mimosa e alberi d’ulivo. Eravamo situati, a breve distanza di cammino, nei pressi di un grande campeggio vicino al mare, chiamato Campo Coco. Una metà era destinata ai normali vacanzieri, l’altra era totalmente riservata per il nostro gruppo, la Famiglia. Le famiglie cominciarono ad arrivare nei loro caravan e nelle loro roulotte, fin quando non fummo raggiunti da circa duecento nuove persone. Erano tutti musicisti o tecnici che erano stati scelti appositamente per lavorare nello show di papà. Durante il giorno avrei potuto correre libera, giocare con i bambini nei pressi del campeggio, o lungo la spiaggia. C’erano sassolini grossi e colorati da raccogliere, stelle marine morte, conchiglie e ricci di mare. C’era così tanto da vedere e non smettevo mai di giocare dall’alba al tramonto. I miei capelli non venivano pettinati per giorni. Mi ricordo di una donna americana chiamata Windy, una cantautrice dello show, che mi faceva sedere e con un pettine mi districava laboriosamente le mie spesse ciocche di riccioli. Talvolta la sera potevo restare per ore sul mio letto, annoiata, mentre papà registrava fino a tarda notte nello studio con Faithy Berg e Jeremy Spencer, la cui fama l’aveva seguito fin qui. Faithy aveva deciso di usarlo come punto di forza per promuovere lo show tra le emittenti radiofoniche. Per risolvere il problema della piccola puledra selvaggia che stavo diventando, Faithy inviò una serie di tate a prendersi cura di me. La prima fu una donna sposata di nome Rosa. Poi Crystal, un’irascibile donna americana, la sostituì. Crystal era una donna minuta dalle labbra serrate, con una lunga chioma castano chiaro che le arrivava all’altezza delle spalle. Non aveva il benché minimo istinto materno e bestemmiava come un

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militare, non proprio il tipo di linguaggio che i buoni cristiani dovrebbero usare, e spesso finiva nei guai per il troppo bere. Crystal si riferiva spesso a me come alla “ragazza col ricciolo in mezzo alla fronte. Quando è buona, è veramente buona, ma quando è cattiva, è orribile”. Lo ammetto, avevo un piglio testardo soprattutto con lei. La odiavo, perché sapevo che aveva intenzione di accaparrarsi papà come marito, ed ero determinata a fare tutto ciò che potevo, per fermare qualsiasi idillio tra loro. Non ebbi successo. Papà ebbe un’avventura con lei, ma la loro relazione amorosa era destinata ad avere vita breve. L’unico a cui avrei dato ascolto era papà. Lo amavo più di ogni altra persona al mondo e facevo del mio meglio per fargli piacere. Non prestavo attenzione a nessun altro, sperando che mamma tornasse in qualsiasi momento, anche se c’eravamo dette addio e se n’era andata da un’eternità, o almeno così mi sembrava. Ma perché, perché, non riuscivo a ricordarla? Perché riuscivo solo ricordare quell’orribile momento finale della nostra separazione a Bombay? Mi disperai così tanto che alla fine papà organizzò una telefonata per farmi parlare con la mamma, un’interurbana per Londra. Stavo per avere un cedimento dallo shock e presi il telefono, a malapena in grado di credere che stessi per ascoltare di nuovo la sua voce. “Quando arriverai, mamma?”, chiesi ansiosamente mentre gli anni di desiderio riempivano la mia voce. “Ti voglio bene, Celeste. Proverò a venire al più presto” udii dire, da una voce che non riconoscevo, dall’altro capo della linea. “Tua sorella Kristina e tuo fratello David, ti vogliono bene ed anche loro hanno voglia di vederti”. Aveva detto che stava per tornare a vivere di nuovo con noi! Ero così eccitata.

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“È tutto sistemato” mi disse papà alla fine della telefonata. “I biglietti sono prenotati e tutto il resto. Non ci vorrà molto tesoro”. Guardai verso Crystal, che sedeva lì vicino, e trionfante pronunciai: “Non c’è più bisogno che tu resti qui. La mia mamma sta per arrivare”. Crystal mi guardò in cagnesco. Alcune settimane più tardi, i capi – che avevano l’ultima parola su tutto, anche sull’amore – ruppero la loro relazione, pensando che lei non fosse sufficientemente all’altezza per mio padre, la nuova star dei media. Certamente io non pensavo questo. Tutto quel che sapevo era che la mia mamma presto sarebbe stata lì e che mi sarei riunita a lei, mia sorella e mio fratello. Morivo dalla voglia di averla qui, a coccolarmi, a spazzolarmi i capelli, ed essere di nuovo la mia mamma. Ma più il tempo passava e più non ne sapevo nulla. Aspettavo in un’impaziente frenesia. Ogni giorno parlavo – e pensavo – alla mia mamma. Quando, quando, quando? Un giorno, chiesi a papà per l’ennesima volta “Quando torna la mamma?”. E lui non poté ulteriormente evitare di dirmi ciò che sapeva e che avrebbe mandato il mio mondo in frantumi. “Ha cambiato idea. Ha deciso di restare con Joshua”. Lo fissai, sconvolta, sentivo il mio cuore saltare e battere all’impazzata, in panico, come un uccellino agitato. Non capivo. Perché aveva cambiato idea? Chi era quest’uomo Joshua che l’aveva portata via da noi? Per me non aveva senso e non potevo accettarlo come finale. I miei ricordi di lei erano sbiaditi dal tempo e non mi ricordavo neppure più come fosse fatta – ma era la mia mamma ed era l’idea cui mi sono aggrappata per metà della mia vita. Non m’importava di nulla, ero ferocemente ostinata a far sì che nessun altro prendesse il suo posto.

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Capitolo secondo

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vevamo una piccola macchina, o meglio un catorcio che a malapena riusciva ad andare avanti. I sedili posteriori erano stati divelti dai vecchi proprietari (ecco perché la comprammo a un prezzo stracciato) per cui dovevi sederti sul pavimento. Sedevo dietro con il mio compagno di giochi, Nicki, stavamo ridacchiando mentre sperimentavamo ciò che noi immaginavamo fosse fare sesso, così come avevamo visto fare agli adulti, con gli indumenti intimi calati, e sobbalzando continuamente l’uno sull’altra. Avevamo entrambi solo cinque anni. Ovviamente, le cose non stavano funzionando nel modo giusto e quello era semplicemente un gioco. “Mi stai facendo il solletico!”. “Non è vero!”. “Sì, è vero. Ahi! Mi si è bloccata la gamba!”. Sentii una risata soffocata e alzando il volto, vidi la mamma di Nicki, Patience, fare capolino su di noi attraverso il finestrino dell’auto, con la faccia illuminata dal divertimento. In un lampo, mi misi a sedere e spinsi via Nicki. Lui vide sua madre e arrossì.

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Essere Innocenti

“È tutto ok, voi ragazzi potete continuare” disse. Ma io mi sentivo veramente imbarazzata e sciocca. Ciò che fino a un momento fa mi sembrava divertente non lo era più. Il senso di colpa era l’unica cosa che non avevo provato. Tra tutti i peccati che dovevamo evitare, il sesso non era compreso. Secondo Mo’, Dio voleva che ognuno di noi, anche i neonati, godesse della piena esperienza sessuale. A chiunque avesse acceso la radio e ascoltato una puntata dello show Musica con Significato, il messaggio sarebbe sembrato idilliaco: l’amore era la risposta a tutti i problemi del mondo – condividere l’amore, vivere l’amore e fare l’amore. Mo’ suggerì a papà di non usare la parola “Gesù” nello show. Questa strategia era molto importante perché molti ascoltatori non avevano idea su cosa si fossero sintonizzati, o che lo show avesse un’affiliazione religiosa, senza considerare quanto fosse già tristemente noto. Ma in alcune canzoni dello show era quasi impercettibile. Jeremy Spencer cantava una canzone intitolata Troppo giovane per amare basata sulla Lettera di Mo’ “La Sposa Bambina” dove Mo’ illustrava la sua convinzione, secondo cui le ragazzine tra gli undici e i dodici anni fossero già pronte per il matrimonio, il sesso e avere figli. Una parte del piano di Mo’ era produrre una seconda generazione di bambini, come me, nati all’interno della Famiglia dell’Amore e che non avessero mai conosciuto il Sistema del mondo esterno. Essi sarebbero stati totalmente privi dei peccati di una vita formale. Per dimostrare quanta fede stesse riponendo in questo paradiso terrestre, Berg lo chiamò Loveville, Città dell’Amore, e inviò membri della sua stessa famiglia a vivere con noi. Ovviamente c’era Faithy, la sua più giovane e devota figlia, che era così fanatica da leggerlo dai suoi intensi occhi blu. Mo’ fece venire anche sua nipote, Mene, di nove anni, che divenne una star dello show. Quando la

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Capitolo II – La Città dell’Amore

vidi per la prima volta, pensai che fosse un angelo, con i suoi luminosi occhi blu, candida pelle color latte, e biondi capelli vaporosi. Aveva una voce delicata e dolce, nei suoi occhi uno sguardo sognante. Si comportava da perfetta bimba della Famiglia, era ubbidiente e sorridente, sempre pronta a leggere e citare la Parola. Difficilmente passavamo del tempo insieme, ad eccezione dello studio di registrazione e durante le prove generali. Non sono mai stata fuori a giocare con Mene, come fanno normalmente i bambini – non credo le fosse stato mai nemmeno concesso di giocare. Ognuno doveva contribuire in qualche modo agli show radio e video di Musica con Significato. Era divertente e come ogni bambino amavo mettere in mostra le mie capacità. C’erano musicisti, artisti, tecnici, sarte e segretarie. Alcuni degli interpreti principali erano Peter Pioneer e Rachel, una coppia sposata, e un duo canoro dalla Danimarca, Joan e Windy, una cantante e un compositore chiaramente bisessuali. Zack Lightman, dalla Norvegia, era il tecnico delle luci e il cameraman, e sua moglie Lydia disegnava i costumi e gli sfondi. Sue, un’americana che parlava a bassa voce con tono leggero e delicato, dagli occhi color marrone e un sorriso persuasivo, era la segretaria del club. La moglie di Jeremy Spencer, Fiona, era la Regina Madre del campo, mentre il capo era un esuberante italiano chiamato Antonio. Loro vivevano una relazione amorosa a tre e Fiona ebbe sette figli da questi due uomini. Al centro del campo, un’ampia tenda in tela militare era usata come punto di aggregazione per gli incontri e come salone da pranzo durante i mesi invernali, quando le notti erano fredde. Due grandi stufe a gas riscaldavano l’area e usavamo delle lampade a cherosene. Per sfamare così tante persone, c’era un’intera squadra di persone il cui compito era “procacciare” cibo gratis dai mercati delle aziende locali.

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Quando faceva caldo, mangiavamo tra file di panche e tavoli, sotto gli alberi. Il nostro cibo era fresco e, nel complesso, delizioso. La nostra colazione consisteva di semolino, addolcito con zucchero di canna, miele o melassa. Antonio tendeva a cucinare cibo all’italiana, il tipo di pasto che si prepara velocemente per circa duecento persone affamate. Grandi zuppiere di pasta con un ricco sugo al pomodoro o stufati con spezzatino di carne, patate e carote. I bambini erano soggetti a una rigorosa disciplina e tenuti a comportarsi bene. Anche i più piccoli, dovevano sedere sulle dure panche allineate sotto la grande tenda e ascoltare, durante le lunghe riunioni che facevamo la sera. Queste sedute erano incredibilmente noiose che finivo col rinchiudermi nei miei pensieri, un mondo immaginario, come via di fuga. Trovavo così incredibilmente difficile tenere gli occhi chiusi, durante le lunghe preghiere, che dovevo coprirmi gli occhi con la mano per dare una sbirciata attraverso le dita, senza che nessuno mi cogliesse sul fatto. Una volta stabilita l’organizzazione del campo, Faithy lasciò la guida di Loveville a una coppia sposata, Paul Peloquin, un franco-canadese del Québec, e sua moglie Marianne, per poi ripartire alla volta della sua nuova destinazione, con una nuova missione, ovvero realizzare una versione spagnola dello show, Musica con Vida, a Puerto Rico. Paul e Marianne presero il loro compito seriamente, troppo seriamente. Erano una coppia senza figli e per molti anni, avevano pregato a lungo e disperatamente, pur di averne uno. Paul aveva i capelli neri corvino e gli occhi castani, parlava inglese ma con un forte accento francese. Era un vero seduttore ma aveva anche un temperamento violento e poteva infiammarsi all’improvviso. Marianne era francese – una donna ben messa, di corporatura robusta, alta quasi un metro e ottanta, con gli occhi

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Capitolo II – La Città dell’Amore

infossati e un naso pronunciato. Parte delle loro responsabilità era redigere la programmazione giornaliera e assegnare ad ognuno il proprio compito per il giorno seguente. La sveglia era alle 7:30 del mattino. Dopo la colazione, dovevo recarmi presso una vicina casa che chiamavamo la Casa Blu perché era di un gradevole azzurro sbiadito, lo stesso colore che avevano le barche dei pescatori. Questa era la nostra scuola in comune, dove studiavamo l’Ora della Parola e dell’Istruzione, impartitaci dai nostri abituali insegnanti, Fiona, la moglie di Jeremy Spencer, e Patience, la madre di Nicki. Ci mostravano dei pannelli in flanella che si animavano mentre leggevano i Fumetti della Verità – le Lettere illustrate di Mo’ per i bambini. Per posta arrivava un flusso continuo di libri e lettere di Mo’ e Maria, di solito, almeno una volta ogni due settimane. Ogni Casa doveva avere una casella postale e il capo di ogni Casa era l’unico a conoscerne l’indirizzo e ad averne la chiave. Funzionava come una specie di servizio di spionaggio, con una parola d’ordine segreta. Nei giorni di sole, l’Ora della Parola aveva luogo sotto l’ombra dei pini nel campeggio. I catechisti del mondo esterno sarebbero svenuti se avessero aperto un Fumetto della Verità. Molti di essi mostravano scene di sesso esplicito, nudità o demoni orribili e sogni bizzarri che Mo’ credeva avessero sempre un significato e che fossero messaggi di Dio. “Mo’ è il profeta di Dio nel nostro tempo, il Suo portavoce, che ci trasmette la sua Nuova Parola” ci dicevano le nostre insegnanti. “I fedeli cristiani del Sistema non hanno più lo spirito, sono vecchie bottiglie che non possono essere colmate di vino nuovo”. Dio, Gesù, gli angeli e il Diavolo, erano reali e parte della nostra vita quotidiana. Gesù ci avrebbe ricompensato, se fossimo stati bravi, o il Diavolo ci avrebbe punito, se fossimo stati cattivi. Il nostro era un costante

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indottrinamento e il solo dubitare di qualcosa avrebbe aperto le nostre menti ai dubbi del Diavolo. Un’immagine di uno dei Fumetti della Verità è rimasta impressa nella mia mente. C’era un tavolino, con un servizio da the e il Diavolo che era dipinto come un piccolo elfo, con le corna e il forcone. Una ragazzina era seduta sulla sedia accanto a lui e a quattro diavoletti, i “dubbietti”, mentre il Diavolo le versava una tazza di the. L’immagine successiva la mostrava intrappolata nelle sabbie mobili, mentre sprofondava nel Sistema, perché il Diavolo e i suoi dubbi l’avevano assalita. “È pericoloso prendere un the col Diavolo e i suoi dubbi” diceva il fumetto. Alcuni Fumetti della Verità erano basati sulle storie dei Bambini della Famiglia Reale, Davidito, Davida e Techi. Già li conoscevamo dalle “Lettere di Davidito”, quale esempio di come crescere un bambino “rivoluzionario” secondo il volere di Dio. La segretaria di Mo’ e sua seconda “moglie”, Maria, ebbe due bambini, Davidito e Techi. Davidito nacque nel 1975, dopo un incontro di apostolato seduttivo con un cameriere d’albergo a Tenerife. Era solo tre giorni più grande di me ed io ero molto orgogliosa di questo fatto. L’amante di Maria e braccio destro di Mo’, Timothy, era il padre di Techi. Mo’ scrisse che Timothy “era stato scelto per il suo seme”, ma lui considerava Techi sua figlia. Affermò di aver ricevuto l’inusuale nome di Techi in una visione, quando lo spirito di una ragazzina era andato a trovarlo mentre era malato (e prima che lei nascesse nel 1979). Decise che Techi era una reincarnazione e tentò d’infilare questa dottrina buddista in accostamento alle dottrine cristiane. Davida era la figlia di Sarah Kelly, la tata a tempo pieno di Davidito. Lei si era nominata Sarah Davidito. Tutti e tre i bambini erano membri della Famiglia Reale e vivevano in isolamento nella Casa di Mo’. I Bambini della Famiglia Reale erano destinati ad avere molta influenza nella nostra

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vita. Erano gli idoli cui dovevamo guardare, e seguivamo le loro vite dalle Lettere di Mo’ che leggevamo con grande interesse e curiosità. Dopo il riposino pomeridiano, c’era consentito giocare all’aperto. Le mie compagne di giochi abituali erano due sorelle, Renee e Daniella. Mi piaceva la loro mamma, Endureth, e pensavo a lei come alla mia seconda mamma. Ancora non accettavo che Serena fosse la mia matrigna e spesso la ignoravo. Suppongo che la mia mentalità infantile mi facesse credere che se l’avessi cancellata dalla mia mente, non sarebbe più esistita. Serena aveva anche il suo bel da fare nel prendersi cura della figlioletta di sei mesi, Mariana, mentre era evidentemente incinta di mio padre. Per facilitare la situazione, conclusi di dover andare a stare indefinitamente con Endureth e suo marito Silas. Mia sorella Kristina avrebbe dovuto avere la stessa età di Daniella, e volevo sempre parlare di lei come se la conoscessi, solo che lei era “in India con mia madre e col piccolo David”. Stare con i miei amici in quell’atmosfera familiare mi aiutò a far finta di avere molte sorelle. Durante il giorno giocavamo insieme e la notte dormivamo in uno spazioso letto matrimoniale nella parte posteriore del caravan. Armi era un’altra mia amica. Non avremmo potuto essere più differenti. Aveva i capelli scuri, neri e lisci, e gli occhi color marrone proprio come sua madre che era per metà nativa americana. Lei era tra i primi bambini a essere nati all’interno dei Bambini di Dio, nel febbraio del 1972. Suo padre, Geremia Russell, era stato uno dei primi discepoli a unirsi al gruppo di Mo’, a Huntington Beach, quando c’erano solo quindici membri. Era un musicista e scriveva le canzoni che sarebbero state suonate durante lo show Musica con Significato. Armi aveva ereditato il talento musicale di suo padre, era una stella che si esibiva nello spettacolo ed io volevo essere proprio come lei, cantare come lei, e andare in giro con lei e col suo gruppo di amici. Ridevamo alle stesse battute, ci raccontavamo i nostri segreti,

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e sarebbe stata lei ad aiutarmi e a insegnarmi alcune cose, come il modo per disegnare un corpo in proporzione, invece di un triangolo per il collo e di un cerchio per una mano. E fu anche quella che mi aiutò a perdere il mio stretto accento inglese e a parlare americano, come la maggior parte dei bambini. Armi e Mene, la nipote di Mo’, si legarono come sorelle di sventura. Ai loro rispettivi genitori era stato chiesto da Mo’ di inviare le proprie figlie a Loveville con la promessa che sarebbero ritornate dopo sei mesi. Ciò non accadde mai. Invece, Paul Peloquin e Marianne diventarono i loro tutori. Nessuno di loro osò andare contro le richieste di Mo’, cui si obbediva come a degli ordini. Eravamo obbligati a credere che obbedire agli ordini di Mo’ equivalesse a fare la volontà di Dio. Ripensandoci adesso, è evidente, che eravamo semplicemente i suoi giocattoli, i suoi seguaci, usati per soddisfare le sue ambizioni, i suoi piaceri e le sue fantasie. Quando Mo’ chiese alle donne di danzare nude per lui in video, Paul ci radunò tutte, perfino le bambine di tre anni, una riunione straordinaria per leggere le Lettere di Mo’ “Glorifica il Signore con la Danza” e “I Nudi Possono Essere Belli”. “Grazie a Dio! Non è un privilegio speciale essere in grado di danzare per il Signore?” disse. Eccitate, le donne adulte risposero con molti “Gloria al Signore” e “Amen” alla domanda di Paul. Paul continuò: “In queste Lettere, Lui ci ha dato precisi suggerimenti sul come farlo. Gloria al Signore!”. Guardavo le donne mentre prendevano la loro musica e i loro veli trasparenti per poi esibirsi nei loro spogliarelli. Quando fu il turno delle ragazzine, Paul disse: “Adesso questo è per Davidito – sorridete per lui”.

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Armi, Mene, Renee e Daniella ballarono per il piccolo principe e poi fu il mio turno. Paul scelse due canzoni per me e mi allaccio un velo intorno al collo che avrei dovuto togliere durante la danza. Mi dirigeva da dietro la telecamera. “Ondeggia!” e mimò il movimento. “Ondeggia dolcemente ed strofinati il sedere, tesoro”. Copiai semplicemente i movimenti che avevo visto fare, poco prima, alle donne adulte. “Bene, molto bene. Adesso manda dei baci a Davidito così lui saprà che lo ami veramente”. A fatica cercavo di sorridere e allo stesso tempo di ascoltare ciò che lui mi diceva di fare da dietro la telecamera. Questo video esiste ancora oggi, e l’adulta che sono diventata guarda indietro nel tempo, alla dolce e sorridente bambina di sei anni che ero stata. Avevo lo sguardo fisso in camera, la stavo seducendo: ma la cosa più sconvolgente era lo sguardo innocentemente consapevole nei miei occhi. A peggiorare le cose, in retrospettiva, c’è che Davidito aveva solo sei anni all’epoca – quindi questa richiesta era l’idea malata di Mo’. Il suo epigono sarebbe dovuto crescere come lui, mentre il vecchio sporcaccione si godeva questi balletti per il proprio piacere. Da allora in poi, foto di nudo venivano regolarmente scattate a noi bambine e inviate a Mo’. Ci aveva detto che le avrebbe affisse in giro nella sua stanza per l’ispirazione quotidiana – un eufemismo per masturbazione. Mi sembra abbastanza ovvio, adesso, che Mo’ avesse trovato il proprio divertimento nel voyeurismo. Comunque, non avevamo capito che si stesse per avvicinare la fase in cui avrebbe scelto le sue ragazze preferite allo scopo di farsele portare per la sua gratificazione personale. I loro genitori credevano ingenuamente che fossero in “buone mani” pur essendo all’oscuro di dove si trovassero esattamente le loro figlie e inca-

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paci di comunicare con loro. Ma tutto ciò accadde successivamente e, fortunatamente per me, ancora non sapevo dove avrebbero spedito alcune delle mie amiche. Il sesso era totalmente aperto e trasparente nel nostro mondo. Gli adulti non avevano inibizioni nel fare l’amore di fronte a noi e ci incoraggiavano attivamente a masturbarci e a esplorare i nostri corpi. Di conseguenza veniva sfruttata la nostra curiosità infantile, anche se ci era sempre detto di non farlo mai, mai farlo davanti agli estranei, o di palarne quando altri avrebbero potuto sentire. “Il Sistema odia il sesso” ci ammonivano. “Pensano che sia una cosa sporca e peccaminosa”. Quando faceva veramente caldo, tutti andavano in giro in costume da bagno o in pantaloncini. Io non mi facevo nessun problema ad andare in giro con solo le mutandine, come tutti i bambini. All’età di cinque o sei anni ero molto sessualizzata ed estroversa. Mio padre non ebbe mai con me approcci sessuali, né tantomeno gli vidi fare qualcosa d’inappropriato con i miei coetanei, ma credo sapesse cosa stava accadendo. Il suo migliore amico era un batterista, Solomon Touchstone, che spesso veniva a pranzo con noi in città la domenica in una piccola taverna che dava sul porto. Come papà, anche Solomon veniva da Londra e insieme parlavano con un finto accento londinese, scherzandoci su. Solomon era basso, poco oltre il metro e sessanta, bello e piaceva molto alle donne. Anche a me piaceva, perché era divertente, e mi prestava attenzione. Il corteggiamento sessuale per noi era normale e accadeva ovunque. Tutti si abbracciavano, baciavano ed erano affettuosi l’uno con l’altro. Per me era solo un gioco. Ma la mia disponibilità e il mio desiderio di avere attenzione, amore e approvazione furono orribilmente strumentalizzati. L’amichevole e giocherellone Solomon, il miglior amico di mio

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padre, fu solo uno fra i tanti uomini ad aver sfruttato l’acerbo e naturale affetto che avevo per lui. Quando eravamo da soli nella sua stanza, mi chiedeva di danzare per lui nuda mentre si masturbava sul letto. “Sei così sexy”, gemeva. Allora, non c’è da meravigliarsi che in quel video girato apposta per Mo’ avessi uno sguardo così innocentemente consapevole. Ero innocente, ma stavo imparando come far eccitare gli uomini. Le uniche attenzioni positive che ricevevamo dagli adulti erano limitate a quando facevamo ciò che volevano, cioè a quando assumevamo un atteggiamento vezzoso e sexy. I bambini desiderano il consenso ed io non ero diversa. Saremmo stati premiati se fossimo stati “arrendevoli” e se avessimo mostrato l’amore per il Signore. Essere ostinati, dire di no ed essere pudichi, veniva dal Diavolo ed era il male. Imparai presto a comportarmi in maniera leziosa, per avere attenzione e non sapevo come comportarmi diversamente con gli uomini. Un altro uomo che correva dietro alle ragazzine era Manuel il Peruviano. Lui e la sua moglie tedesca, Maria, ci insegnavano le nostre sequenze di passi. Erano un’altra coppia senza figli. Lui aveva gli occhi scuri e uno sguardo così intenso e penetrante, da non farmi sentire a mio agio; rivolgeva sempre a noi ragazzine delle attenzioni speciali, soprattutto a Mene e Armi. Maria si divertiva nell’esibirsi in scene saffiche con le altre donne ed entrambi dicevano alle due ragazze di imitare le loro azioni per il piacere degli uomini che stavano a guardare. Poiché ero più piccola, non ero coinvolta in molte delle esperienze sessuali in cui le mie amiche venivano incastrate. Mi sono sempre ritenuta più fortunata di loro. Ma non riuscii a scamparla del tutto. Un pomeriggio Manuel il Peruviano venne nel caravan di Silas ed Endureth, dove Renee, Daniella ed io dormivamo in fondo. Conoscevo bene il caravan e lo consideravo come la mia seconda casa. Le tende rosse

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erano abbassate. Mi chiese di stendermi, poi mi abbasso le mutandine e indugiò un po’ di tempo prima di baciarmi. “Così è come fanno le donne adulte” mi spiegò, mentre si metteva sopra di me e iniziava a strofinarsi, senza la penetrazione completa, fin quando non ebbe l’orgasmo. Quando sentii arrivarmi addosso quella roba bianca e appiccicosa, provai repulsione. Non avevo mai visto lo sperma prima di allora. Mi sembrava disgusto ed era un vero pasticcio. Prese alcuni fazzolettini e mi ripulì poi andò nel piccolo bagno del caravan a pulirsi. Restai sul letto confusa e frastornata. Era la stessa sensazione di quando ci si trova in un incubo e si vuole urlare o dire qualcosa e la voce non viene fuori. Avevo così tanti pensieri, domande e sensazioni ma non ero in grado di esprimerli. Anche se gli adulti mi chiedevano direttamente a cosa stessi pensando, mi bloccavo, e la mia lingua restava attaccata al palato. Quando guardavo gli adulti fare sesso, sembrava che gli piacesse, quindi perché a me no? Questi uomini cercavano d’inculcarmi la consapevolezza che una piccola ragazzina come me potesse provocare in un uomo le stesse attenzioni sessuali e lo stesso eccitamento di una donna. La mia auto-percezione era distorta e non avevo idea della mia vulnerabilità o che fossi diversa dalle donne adulte. Sebbene per tanti aspetti ci si aspettasse che ci comportassimo da adulti, eravamo pur sempre dei bambini piccoli. Almeno una volta a settimana, Loveville si radunava per una notte danzante, che culminava in un’orgia. Come di solito, eravamo lasciati a fare le nostre cose mentre gli adulti – cioè tutti coloro al di sopra dei dodici anni – si univano in coppie per il sesso. Una notte in particolare, Renee, Daniella ed io guardavamo come gli adulti ballavano nudi, palpeggiandosi l’uno con l’altro. Decidemmo di combinare una marachella, facendo a turno, cominciammo ad avvicinarci

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furtivamente alle coppie più indaffarate e cogliendoli alla sprovvista, gli pizzicavamo il sedere. Pensavamo che fosse divertentissimo, quando facevano un salto per lo stupore. Ma nel momento in cui si giravano intorno per provare a vedere chi fosse stato, noi eravamo andate via già da un pezzo a ridacchiare dietro l’angolo. Non dovevamo dire a nessuno al di fuori della Famiglia della nostra libertà sessuale, così come la chiamavano gli adulti. Mi fu detto che chi era parte del Sistema non avrebbe capito la verità e la libertà che avevamo, imparai così ad avere una doppia vita. Ricordo di aver cantato una mattina in un orfanotrofio e poi di aver fatto un riposino pomeridiano nel nostro camper, prima di andare in uno studio televisivo di Atene per interpretare una canzone di Natale durante uno show televisivo locale. Parcheggiammo sulla strada, chiudemmo le sottili tendine del camper e facemmo ciò che gli adulti chiamavano Amiamoci o il Momento delle Coccole. Il mio insegnante, Johnny Appleseed, si era sdraiato accanto a me, mi accarezzava, mentre mi baciava sulla bocca. Si aprì i vestiti e guidò la mia mano verso il suo pene, aiutandomi a masturbarlo. Alla fine, concluse da solo mentre io gli giacevo accanto. Ero consapevole che le persone intorno a noi stessero facendo sesso. I suoi occhi erano chiusi, la sua bocca era aperta mentre ansimava e gemeva. Quando ebbe finito, recitò una preghiera. “Grazie Signore, poiché possiamo condividere il nostro amore gli uni con gli altri” recitò, e poi si girò sul fianco per un breve pisolino. Per tutto il tempo, io rimasi terrorizzata – era il mio insegnante – e anche perché c’erano delle fessure tra le tende. Potevo sentire il rumore dei passi delle persone di passaggio e pensavo che in qualsiasi momento qualcuno avrebbe potuto guardare dentro e vederci.

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Quando fu l’ora del nostro appuntamento, come se nulla del sesso pomeridiano fosse realmente accaduto, gli adulti ci sistemarono i capelli e ci fecero un piccolo discorsetto. “Quando entreremo lì dentro, ricorda di sorridere e dimostrare l’amore di Dio. Non preoccuparti delle telecamere, come dice Nonno, canta col cuore e pensa alle anime perdute che ti staranno a guardare”. Ci raggruppammo fuori dal camper in direzione dello studio. Il presentatore televisivo pensava che fossimo grandiosi e noi ci facemmo notare in un’esibizione già ripetuta altre volte. Di sicuro, nessuno nel guardarci avrebbe mai potuto avere idea di cosa fosse successo, appena un’ora prima, dietro le tendine rosse del camper. Quando i visitatori venivano al campo per stare con noi, tutti ci vestivamo con un po’ di prudenza in più e presto imparai che c’erano argomenti di cui non si poteva parlare con gli “estranei” – come il sesso e di Mo’, il nostro profeta – e le Lettere di Mo’ e le pubblicazioni della Famiglia, come le Lettere di Davidito, venivano fatte sparire dalla circolazione. “Tesoro, i miei genitori stanno venendo a trovarci dall’Inghilterra” disse papà una mattina, dopo aver ricevuto una loro lettera. “Ma noi chiamiamo Nonno già Mo’” gli dissi “Questo è un altro Nonno?”. “Sì, il suo nome è Glen ed è mio padre”. “Oh! Potrei confondermi se dovessi chiamare anche lui Nonno” risposi. Un momento dopo, avevo già immaginato come risolvere il problema. “Potrei chiamarlo nonnino, in modo tale da non confondermi. L’ho mai conosciuto prima?” gli chiesi. “Sì, ti hanno visto quando eri piccolina e stavamo a Londra” rispose papà. “Avrei voluto portare loro la mia testimonianza. Mio padre non è stato ancora salvato, è sempre stato un testardo, ma forse stavolta pregherà”.

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Papà parlava sempre delle anime da salvare. Lui credeva sinceramente che senza Gesù nei loro cuori, sarebbero stati destinati all’inferno. Papà non voleva che ai suoi genitori fosse riservato questo destino nell’aldilà. Quando li incontrai, immediatamente notai le differenze nel loro aspetto e nei modi, quanto fossero distaccati, e il modo in cui era vestita Penny, la matrigna di papà, che era diverso da come vestivano le donne della Famiglia. I suoi capelli erano tagliati corti e permanentati, indossava una camicia a maniche lunghe e un paio di pantaloni. Penny mi diede un bacio sulla guancia, ma non ci furono abbracci nonostante sembrassero felici di vedermi. “Accipicchia, quanto sei cresciuta dall’ultima volta che ti abbiamo visto, quando eri solo un bebè” disse Penny. La sera in cui arrivarono, Antonio preparò un delizioso piatto di pasta e noi sedemmo insieme a uno dei tavoli sotto gli alberi. Faithy Berg, che era venuta in visita, si presentò ai nonni e gli parlò con entusiasmo dello show radiofonico. Windy, Peter e Rachel suonarono la chitarra e cantarono alcune canzoni dello show. Papà diventò raggiante di orgoglio, come se fosse di nuovo un ragazzino, capace di mostrare ai suoi genitori, cosa era stato in grado di fare. Il giorno dopo, li accompagnammo per un giro della città. Ciò che ricordo di più della loro visita sono le storie di quando era giovane che raccontava il nonnino. Raccontò le storie delle sue avventure in Palestina durante la guerra, come ufficiale dell’esercito britannico. “Una volta mi svegliai la mattina e scoprii che mi avevano rubato il letto da sotto” ridacchiò. La visita dei miei nonni e ascoltare papà mentre parlava della sua vera mamma, mi fecero sentire speciale. Ero eccitata dall’idea di avere un’altra famiglia e che la mia carne e il mio sangue si distinguessero dalla Famiglia. Dopo che nonnino Glen e nonnina Penny se ne furono andati, scrivevo loro delle lettere, inviavo

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loro dei disegni e dei regali, piccoli oggetti che avevo fatto io, dicendogli che speravo di rivederli ancora. Forse tutte queste storie di famiglia avevano toccato le profonde corde nell’animo di papà. Voleva sapere qualcosa in più di sua madre ed ebbe il permesso da Mo’ di fare un viaggio in Polonia per cercare i parenti di sua madre. Riuscì a trovare un suo parente ancora in vita, a Cracovia, e ritornò con foto e storie di mia nonna Krystina. Sembrava così giovane e bella nella sua foto del matrimonio con gli occhi castani e dei bei capelli scuri. Papà mi disse orgogliosamente che avevo ereditato da lei la mia bella voce. La triste fine della sua storia fu una malattia degenerativa, una sorta di sindrome della mucca pazza, e morì nel giro di pochi mesi all’età di soli ventiquattro anni. Papà era un bambino di tre anni e non serbava alcun ricordo di lei, ma l’idealizzava, proprio come facevo io con la mia mamma. Sapevo che papà ed io avevamo un legame profondo e capivo il perché non mi avesse mai obbligata ad avere un rapporto con Serena, la mia matrigna. Intanto io dicevo ancora di voler andare a trovare mia madre in India ma papà rispondeva che era troppo costoso e che lui era indispensabile per lo show alla radio. Mi suggerì, invece, d’incidere una cassetta per loro. Cantai i motivetti e le mie canzoni preferite di Musica con Significato mentre agitavo un tamburello. Quando mi dimenticavo le parole, Solomon Touchstone era lì a suggerirmi cosa dire. Citavo inoltre alcuni passi di Mo’ e i versetti della Bibbia. Alla fine dissi a Kristina e David che gli volevo bene e di essere dei “buoni testimoni di Gesù”. Prima di salutarli dissi “Se non dovessimo incontrarci ora, allora ci incontreremo nella Nuova Era”. Questa era la scusa preferita di papà quando gli dicevo che mi mancava la mia famiglia. Lui diceva sempre: “Li rivedrai presto, se non qui sulla terra, poi nella Nuova Era”.

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La fine del mondo sarebbe potuta arrivare in qualsiasi momento e non ci sarebbe voluto ancora molto, prima che tornassimo a stare tutti insieme per sempre. Qualsiasi cosa dicesse mio padre era vera. Lui sapeva ogni cosa. Ed era anche un uomo molto importante, come scoprii una sera che eravamo tutti riuniti per una grande celebrazione. Era l’anniversario di Musica con Significato ed io ero raggiante di orgoglio quando seppi che stavamo per onorare Simon Pietro – mio padre! – in quanto autore dello spettacolo. Mo’ l’aveva dichiarato “il Giorno di Simon Pietro”. Non penso che papà riuscisse a credere che tutto ciò stesse accadendo realmente e che lui e il suo lavoro stessero ricevendo il riconoscimento del profeta in persona. In una lettera piena d’entusiasmo Mo’ l’aveva anche chiamato Santo Simon Pietro. Adorante, rimasi accanto a papà tutta la sera. Quando fu portata fuori la torta, Paul passò una busta a mio padre contenete un’ingente somma di denaro. “Simon Pietro, questo è per te, per farne ciò che vuoi, insieme a un’intera settimana di vacanza. È la tua giusta ricompensa per il tuo duro lavoro al servizio del Signore. Ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà (Galati 6:7. Versione Nuova Riveduta, N.d.T.). Gloria al Signore”. C’era un’ulteriore ricompensa a rimarcare quel lieto giorno. Ognuno ebbe tre giorni di vacanza. Ovviamente erano tutti contentissimi per papà e gli si fecero intorno per congratularsi. Lui si gongolava nella loro ammirazione e anch’io, a mia volta, mi beavo di gloria riflessa mentre gli stavo a fianco, aggrappandomi a lui e fissandolo – il mio papà. Dopo i nostri tre giorni di vacanza in famiglia, papà portò Serena, che era incinta di otto mesi, sull’Isola di Patmos, per la sua settimana di vacanza speciale, mentre io rimasi con Silas, Endureth e le mie amiche

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Renee e Daniella. Quando papà ritornò, mi mostrò alcune delle foto che avevano fatto durante il loro viaggio. “Eravamo in groppa a un asino. Era veramente scomodo, e sono rimasto dolorante per alcuni giorni”. Ridacchiò. “Cos’altro hai fatto?” chiesi, volendo sapere tutto quello che aveva fatto senza di me. “Beh, siamo andati nella grotta dove l’Apostolo Giovanni ricevette il Libro della Rivelazione. Pensa, era proprio il luogo in cui ebbe le visioni con gli ultimi eventi prima della Fine del Mondo!” rispose papà. Alcune settimane più tardi, il 2 giugno 1981, la mia sorellastra, Juliana, nacque in un piccolo ospedale greco di Rafina. Non vedevo l’ora di vederla. Solomon Touchstone guidò l’auto fino a casa, con papà e Serena sui sedili posteriori. La porta si aprì e tra le braccia di Serena c’era questa bimba piccola e carina, con gli occhietti chiusi. Eccitata, chiesi: “Posso tenerla?”. “Certo”, rispose Serena, “fa’ attenzione”. Con cautela pose la bambina tra le mie braccia. Io pensavo che somigliasse a una bambolina e la sollevai. Ma nel fare ciò, la sua testa urtò contro la portiera della macchina e la poverina iniziò un pianto disperato. “Ops!” dissi dispiaciuta. Serena subito la prese dalle mie braccia e la consolò. Non mi sgridò, il che era rassicurante. Papà mi diede un abbraccio ed entrammo tutti in casa. “Come si chiama?” domandai. “La chiameremo Juliana Faithful” disse papà. Ero così felice di avere una sorellina. Osservavo come Serena le cambiasse i pannolini e le dava il latte. Provai anch’io ad allattarla e il risultato furono alcuni succhiotti violacei. A causa della differenza d’età tra di noi, dopo l’euforia iniziale

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di avere una nuova sorellina, vedevo lei e Mariana molto raramente, ad eccezione della domenica. Preferivo trascorrere il tempo con Renee e Daniella. Non sono mai stata gelosa delle nuove aggiunte alla nostra famiglia. Io ero la preferita di papà e lui mi aveva assicurato che mai nessuno avrebbe occupato il mio posto. La domenica era il nostro Giorno di Libertà e l’unico momento che trascorrevo con papà e la nostra piccola famiglia. Aspettavo impazientemente i Giorni di Libertà, ma temevo gli incontri tradizionali della domenica pomeriggio. Una volta, durante una di queste riunioni, ognuno di noi si recò presso la grande tenda in comune e si sistemò sulle file di panche allineate di fronte al televisore. Paul condusse tutti in preghiera e per poi annunciare eccitato: “Questo è un privilegio molto speciale. Ho qui tra le mie mani una serie chiamata Il Giardino dell’Eden. Mo’ ha dato a noi di Loveville il permesso per guardare queste videocassette, ma nessuno deve farne parola con qualcuno, né tantomeno discuterne il contenuto”. Lo shock e il silenzio erano totali, poi si levò un brusio, l’euforico chiacchiericcio che accompagnava l’inizio del primo video. Ad eccezione di quei pochi e fidatissimi capi, nessuno sapeva che aspetto avesse David Berg. Il suo cognome non era mai menzionato nelle pubblicazioni interne al gruppo e le immagini di Mosè Davide mostravano sempre il suo volto coperto da una testa di leone disegnata da un artista. Tutto ciò si faceva per proteggere la sua identità e il luogo in cui si trovava, poiché era già un latitante. I media battevano regolarmente articoli che lo riguardavano – perlopiù negativi – che aumentavano la pubblica consapevolezza e allertavano le autorità governative in giro per il mondo. Tutte queste ragioni messe insieme avevano portato David Berg – Nonno Mo’ – a vivere una vita nell’ombra, protetto dalla ristrettezza della sua cerchia, scappando con passaporti falsi da un Paese all’altro.

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Ero curiosa di scoprire come fosse realmente il Nonno e avevo lo sguardo fisso sullo schermo quando comparve la sua immagine. Aveva degli occhi molto profondi, era stempiato e aveva una lunga barba bionda. Indossava una veste marrone scuro e attorno al collo portava, appeso a una catenella, un grande e splendido giogo, quella specie di affare in legno che indossano i buoi. Mo’ vestiva alla perfezione i panni del profeta, così come l’avevo immaginato. Era come se Gesù fosse apparso sulla terra. Fecero tutti un gran respiro, dopo aver lungamente sospirato cose come “oh!” e “ah!” per lo stupore. “È un tale privilegio!”. “Che onore!”. “Grazie al Signore!”. In sala si fece immediatamente silenzio mentre Mo’ cominciava a parlare. Nel momento in cui iniziò a pregare Dio, con un linguaggio incomprensibile, tutti si unirono a lui sbiascicando preghiere, e alzarono le braccia al cielo quando lui lo fece, eseguendo ogni suo movimento. Il mio sguardo vagava da una persona all’altra, mentre mi chiedevo cosa mai stesse accadendo. Non capivo cosa stessero dicendo. Io non sapevo come pregare Dio in quel modo. Quando iniziarono a piangere e disperarsi, m’iniziai a chiedere che cosa mi stessi perdendo. Talvolta, mentre ci univamo tutti nel canto, l’atmosfera diventava carica d’emozione ed io sentivo come un leggero brivido, come se avessi avuto la pelle d’oca. Era stato Gesù a toccarmi? Non saprei, ma le persone dicevano che era questo ciò che si provava. Sembrava che guardando quel video, ognuno fosse stato toccato da Gesù, desiderai perciò che accadesse anche a me – ma non fu mai così. Nelle settimane successive, passammo molto tempo a guardare quei video. Mo’ predicava sull’avvento della Fine, interpretando passi tratti dal

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Libro di Daniele e da Rivelazione e ci spiegava che un dittatore mondiale chiamato l’Anticristo sarebbe presto salito al potere e avrebbe guidato il mondo nei sette anni successivi. In base ai suoi calcoli, Cristo sarebbe tornato sulla terra nel 1993. Tutti resero grazie al Signore. Nessuno sembrava preoccupato o spaventato che la Fine del Mondo stesse per arrivare. Mo’ disse che l’Anticristo sarebbe apparso verso la metà del 1986, praticamente a distanza di cinque anni. Avevo appena sette anni. Per me, cinque anni erano un periodo di tempo lunghissimo. La serie Il Giardino dell’Eden segnò un grande esodo fuori dall’Europa. Mo’ ci ordinò di trasferirci nelle zone dell’emisfero australe, per sfuggire al disastro nucleare che avrebbe presto inghiottito l’occidente. Paul Peloquin annunciò che presto Loveville avrebbe levato le tende e che si sarebbe interamente trasferita in Sri Lanka. All’epoca non ci fu detto, ma poi scoprii che Mo’ e il suo gruppo si erano trasferiti dalla Francia, dove avevano girato la serie Il Giardino dell’Eden, prima in sud Africa e poi in Sri Lanka. Stavamo semplicemente seguendo i passi del nostro profeta. Alcuni giorni dopo papà mi disse che gli era stato chiesto di andare con un gruppetto in avanscoperta, prima di tutti noi, a cercare un posto adatto dove ricostruire Loveville. “Non voglio che tu vada via, papà” piagnucolai, “sentirò la tua mancanza”. “Non preoccuparti tesoro. Sarà solo per qualche mese”. Cercò d’incoraggiarmi. Mi aggrappai saldamente a lui quando mi disse arrivederci e Serena dovette trascinarmi via.

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