Menthalia Magazine - Gennaio 2014

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Periodico d’informazione sulla comunicazione e dintorni

© Marco Iazzetta

NUM. 1 - ANNO III GENNAIO 2014


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numero 1 - gennaio 2014

Editoriale

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Registrazione al Tribunale di Napoli N. 27 del 6/4/2012 Direttore Responsabile: Fabrizio Ponsiglione Direttore Editoriale: Stefania Buonavolontà Art Director: Marco Iazzetta Grafica & Impaginazione: Diego Vecchione Hanno collaborato in questo numero: Valeria Aiello, Stefania Buonavolontà, Flaviana Cimmino, Riccardo Michelucci, Andrea Ponsiglione, Marco Quadretti, Elena Serra, Diego Vecchione Menthalia srl direzione/amministrazione 80125 Napoli – 49, Piazzale V. Tecchio Ph. +39 081 621911 • Fax +39 081 622445 Sedi di rappresentanza: 20097 S. Donato M.se (MI) – 22, Via A. Moro 50132 Firenze – 17/A, Via degli Artisti Tutti i marchi riportati appartengono ai legittimi proprietari. La pubblicazione delle immagini all’interno dei “Servizi Speciali” è consentita ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca.

Le buone notizie, si sa, non fanno quasi mai notizia. Figuriamoci quelle legate al fisco. Eppure nella bufera di fine anno che ha visto il governo varare provvedimenti restrittivi, aumenti e altre misure poco piacevoli per le nostre tasche, c’è scappata anche una decisione talmente bella e innovativa da apparire quasi insolita. Stiamo parlando degli sgravi fiscali sulle spese sostenute per l’acquisto di libri. Sì, avete capito bene, d’ora in avanti e per i prossimi tre anni chi comprerà libri di qualunque genere avrà diritto a una detrazione del 19% con un tetto annuo di duemila euro a persona. Mille euro per i testi scolastici, altri mille per tutti gli altri libri. Per una famiglia, magari con un paio di figli, si tratta di un risparmio tutt’altro che trascurabile. In un paese che, stando agli ultimi dati Istat, sembra aver perso il gusto di leggere per motivazioni economiche e culturali (con le uniche eccezioni del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige), il governo cerca finalmente d’incentivare la lettura e di dare un sostegno concreto a un settore in difficoltà come l’editoria e a un altro in grande crisi, come quello delle librerie indipendenti sempre più soffocate dalla concorrenza delle grandi catene. La nuova misura, prevista dall’articolo 17 del decreto Sviluppo, è passata quasi inosservata ma rappresenta una vera e propria manna anche per un lettore medio. A noi sembra inoltre un segnale politico estremamente significativo e in assoluta controtendenza col passato. Certo, non siamo ancora ai livelli della Francia, che riserva da sempre grande attenzione alla cultura e continua a varare piani di sostegno per le librerie indipendenti e l’editoria cartacea e digitale, ma rappresenta comunque un ottimo punto di partenza. Soprattutto perché adesso anche in Italia i libri potranno essere definiti a pieno titolo “medicine dell’anima”. L’acquisto sarà infatti certificato più o meno come quello dei farmaci, utilizzando la carta d’identità con codice fiscale invece della tessera sanitaria. In attesa del decreto ministeriale che chiarirà le modalità con cui farsi rimborsare il 19% della spesa in libri, per accedere alla detrazione è sufficiente già da adesso presentare “un’idonea documentazione fiscale” come lo scontrino parlante, che rende evidenti i codici Isbn dei volumi acquistati. È stato stabilito però un grosso paletto, che consiste nell’aprioristica esclusione degli ebook. Considerando che i lettori di libri digitali rappresentano l’unica fetta di popolazione italiana in crescita e che i libri elettronici piacciono soprattutto ai più giovani, lasciarli fuori dal paniere dei beni culturali detraibili è stato da molti considerato un grave errore. Ma se le promesse del ministro dello sviluppo economico saranno mantenute, nel corso del 2014 sarà perlomeno ridotto il divario fiscale sui libri digitali prodotti in Italia. E allora che dire? Buona lettura.

Marco Iazzetta General Manager Menthalia


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I miei Baci per te! di Elena Serra, Events Management

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l più classico dei baci al cioccolato da sempre apostrofa il giorno di San Valentino. Un sapore unico che al croccante della sua nocciola centrale unisce un dolce pensiero racchiuso dal bigliettino: quell’oggetto di culto e da collezione che racconta dell’amore con le parole dei più grandi autori o recita, come nel grande spot degli anni ’50…

“Ogni grande amore comincia con un bacio”. Ancora oggi, dopo ’90 anni di gloriosa tradizione e dolce romanticismo, il Bacio Perugina è messaggero d’amore. Con “I miei baci per te” lo storico marchio lancia un’iniziativa di personalizzazione del messaggio. Sull’onda del successo della campagna della Coca Cola, la prima a sperimentare questo tipo di strategia, tutti coloro che vorranno regalare le proprie emozioni potranno personalizzare il mitico bigliettino che avvolge il bacio, al quale sarà possibile affidare il messaggio d’amore, quel pensiero che forse

a voce non si è mai detto. Un’idea che dal trend lanciato dalla bibita analcolica, passa dalla “follower” Nutella per affermarsi quale vera e propria operazione di marketing con quel pizzico di dolcezza in più. “Da oggi” spiega Nestlè, proprietaria del marchio, “per raggiungere il cuore del partner, destinare un pensiero a genitori o figli, o esprimere i propri sentimenti agli amici, basterà collegarsi a www.shop.baciperugina.it e decidere se scrivere un unico messaggio, tanti o una composizione. Si creerà così un’esclusiva dedica per raccontare i propri sentimenti, e la propria scatola verrà confezionata a mano con cura e dedizione presso la fabbrica del cioccolato Perugina e arriverà direttamente a destinazione”. Un regalo unico e personalizzato, dunque, per conquistare il cuore della persona amata ma anche per dedicare un pensiero a chi vogliamo bene. Un modo nuovo per lo storico marchio di reinventarsi a quasi un secolo da quei primi messaggi d’amore che Luisa Spagnoli scambiava con il suo amato Giovanni Buitoni.

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Single Page Website di Marco Quadretti, Web Development

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l continuo flusso di informazioni via web pone quotidianamente gli sviluppatori davanti a un aggiornamento costante della tecnica e della grafica che permettano una nuova distribuzione dei contenuti in modo da offrire agli utenti un’esperienza innovativa e veloce, ma allo stesso tempo piacevole ed efficace. Proprio dall’esplorazione di nuove modalità nasce la tendenza a ridurre i classici siti web, sviluppati su più pagine, in una soluzione capace di focalizzare l’attenzione dell’utente sugli aspetti principali del progetto, unendo l’essenzialità alla funzionalità e ad un forte impatto estetico. Caratterizzati da una navigazione orizzontale o verticale, i Single Page Website incarnano proprio questa tendenza diff usasi negli ultimi anni in grado di far “dimagrire” i classici siti web rendendoli più snelli, semplici da navigare e con il giusto numero di contenuti. Si tratta di una scelta non necessariamente adatta a tutti i tipi di business ma che, quando possibile, si dimostra una valida opzione per rendere l’esperienza di navigazione più veloce e dinamica. È una soluzione efficace e creativa che si sofferma attentamente sull’esperienza di navigazione che si desidera far vivere all’utente puntando sull’effetto sorpresa di un design distintivo e accattivante, capace di portare l’utente da un punto all’altro della pagina in maniera chiara e scorrevole, senonché sequenziale, dando un filo logico e temporale del contenuto. Il riunire in un’unica pagina le informazioni relative ai prodotti e ai servizi, permette così al visitatore di comprendere con un unico colpo d’occhio le caratteristiche e i benefici di una determinata offerta. La progettazione e lo sviluppo di un Single Page Website accessibile non significa necessariamente dover rinunciare a un qualcosa, bensì richiede che le diverse componenti si trasformino a partire dai canoni classici verso soluzioni dove la re-

attività e la fruizione del contenuto stesso diventano più libere e orientate alla navigazione mobile. Un trend che Menthalia ha pensato di rendere attraverso il nuovo sito web www.menthalia.com: un’esperienza con cui sperimentare le nuove metodologie attraverso le più moderne tecniche di design. Il risultato è un sito web semplice e diretto, capace di portare l’utente attraverso una navigazione divertente e dinamica alla scoperta del contenuto dove l’ordine e la chiarezza la fanno da padrona. L’integrazione delle immagini full-size con un design pulito e abbastanza minimale ha permesso l’inserimento di una buona dose di contenuti che generalmente richiedono una struttura web molto differente: il tutto riuscendo a comunicare tutto ciò che si ha da dire nel minor spazio possibile. La nuova percezione permette, in pochi click, di raggiungere tutti i contenuti senza dispersione, offrendo una visione immediata da parte del visitatore. Una navigazione veloce che premia la qualità del contenuto riducendo drasticamente i tempi di attesa dettati dal caricamento delle pagine. Una semplificazione che pone non poche sfide al progettista e al web designer a partire dall’ottimizzazione dei contenuti in termini di dimensioni dei file stessi fino alla personalizzazione del layout in sezioni che permettano spostarsi con facilità da una all’altra passando per l’uso di script che se non ottimizzati possono diventare un ostacolo all’accessibilità e all’usabilità. Una soluzione quindi non semplice dal punto di vista progettuale ma il cui risultato porta a una strategia comunicativa di sintesi senza precedenti in uno spazio facilmente consultabile dal design minimal e moderno, capace di evocare attraverso le combinazioni di colore un’emozione specifica, quello dell’amore per ciò che si fa. Perché, come diceva Steve Jobs…“L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai”.


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Avete provato a curarvi con i libri? di Riccardo Michelucci, Giornalista

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ualunque sia il vostro disturbo, la ricetta è semplice: un romanzo (o due), da prendere a intervalli regolari. Ecco qualche esempio. Mal di denti? Leggete Anna Karenina di Tolstoj. Allergici al polline? Provate con Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne. Problemi di impotenza? Ricorrete al Bell’Antonio di Vitaliano Brancati. Sembra uno scherzo, una trovata da buontemponi, eppure in molti, anche in Italia, stanno cominciando a prendere molto sul serio la biblioterapia, una disciplina che negli ultimi anni si è affermata al punto da spingere molti psicologi e psicoterapeuti a promuovere corsi e sedute di gruppo incentrate sulla lettura di un buon testo letterario. Il primo a proporre questo innovativo e curioso metodo omeopatico fu il sociologo Alain De Botton, ormai una quindicina d’anni fa, con il suo noto volume Come Proust può cambiarvi la vita (edito in Italia da Guanda). Ma ormai la disciplina sta prendendo sempre più piede anche grazie al un recente saggio Curarsi con i libri (Sellerio), che sta letteralmente spopolando in libreria. Le autrici, Ella Berthoud e Susan Elderkin, chiariscono nell’introduzione che la letteratura guarisce i dolori dell’anima ma anche gli acciacchi fisici, medicando cuori spezzati e – non senza un pizzico d’ironia – anche gambe rotte. Lo scrittore italiano Fabio Stassi ha supervisionato e curato l’edizione italiana integrando e modificando da par suo alcuni rimedi. Nella versione originale del libro, di autori nostrani erano presenti infatti soltanto Tomasi di Lampedusa, Baricco e Tabucchi. Stassi ha ritenuto opportuno allungare la lista di “rimedi” inserendo alcune opere di Primo Levi, Calvino, Palazzeschi, Camilleri e il citato Brancati. Il proposito di base, ripreso a suo tempo anche da De Botton, è semplice: ogni libro ci parla di noi e quindi non esiste letteratura che non abbia effetti sulla nostra vita. Ne è venuto fuori un originalissimo prontuario di medicina in cui ogni tipo di malanno, fastidio, idiosincrasia o inconveniente può essere guarito e risolto con la lettura di un romanzo. Ecco allora decine

di elenchi dei migliori libri per tutte le occasioni, “ricette” capaci di alleviare i nostri malanni – dalla miopia alla misantropia, dalla gelosia al raffreddore, senza scordare la balbuzie e la claustrofobia – grazie al potere curativo della letteratura. Una recente ricerca dell’Università di Goteborg, in Svezia, condotta su un gruppo di donne affette da patologie che riducevano la loro capacità lavorativa, ha dimostrato che la lettura di romanzi porta in breve a miglioramenti psicofisici e a passi avanti nella riabilitazione. Finora però, la scelta era stata lasciata ai gusti personali, o al passaparola tra amici e conoscenti. Il saggio di Berthoud ed Elderkin, già tradotto e pubblicato in tutto il mondo, si spinge dunque oltre, spiegandoci per esempio che se si è perso il lavoro potrebbe servire la lettura di Bartleby lo scrivano di Herman Melville oppure L’uccello che girava le viti del mondo di Haruki Murakami. Se invece ci si sente sopraffatti dallo stress e dalla mancanza di ideali si può ricorrere a Tess dei D’Urbervilles di Thomas Hardy, oppure curare la mancanza di speranza con Uomini e topi di John Steinbeck. Ma esistono “medicine” anche per disturbi come l’omofobia (da risolvere con il primo romanzo omosessuale moderno, cioè Maurice di E.M. Forster) e il razzismo, che può invece essere curato con L’uomo invisibile di Ralph Ellison, un’opera che dimostra la povertà di spirito di chi discrimina sulla base della provenienza geografica o del colore della pelle. E se i libri sono la cura, viene da sé che spetta ai librai calarsi nei panni dei farmacisti. È proprio a loro che la casa editrice Sellerio ha lanciato un appello, chiedendo di fornire cure ad hoc da includere nel volume. “Pensiamo che nessuno meglio di un libraio, di un bibliotecario, di un lettore attento conosca il potere e la magia di un buon romanzo o racconto – recitava il curioso appello lanciato via web – quale migliore farmacista letterario, biblioterapeuta, specialista della cura con i libri, se non voi, grazie alla vostra formidabile esperienza quotidiana? È arrivato il momento di condividere la vostra saggezza e conoscenza”.

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CES 2014, il futuro parte da Las Vegas di Valeria Aiello, Project Manager

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a 47esima edizione del CES (Consumer Electronic Show), la fiera dell’elettronica più importante al mondo, è un’imperdibile occasione per le aziende del settore di presentare in anteprima i loro ultimi prodotti. Concentrata principalmente su due principali fi loni, quello della personalizzazione e contestualizzazione delle informazioni digitali con un occhio particolare all’ottimizzazione dei consumi e sul risparmio ambientale, l’edizione 2014 ha visto protagonista migliaia di accessori intelligenti. Dagli occhiali agli orologi, passando per elettrodomestici di ogni tipo: la tendenza del CES 2014 è quella di rendere qualsiasi oggetto “smart”. Una rivoluzione inarrestabile che dalla capacità di miniaturizzare processori e memorie porta a qualsiasi tipo di gadget elettronico da inserire nella propria quotidianità. A darne un primo assaggio è Intel, con il prototipo di smartwatch. A differenza di tanti dispositivi presentati a Las Vegas, questo orologio non richiede un collegamento ad uno smartphone: dotato di una connessione indipendentemente, integra un sistema di localizzazione GPS. Un prototipo che non è ancora chiaro se sarà prodotto sotto il marchio Intel o se la società americana deciderà di lasciare che venga utilizzato da altri produttori. Discorso che certamente vale per un altro dispositivo “indossabile”, Jarvis, presentato da Big Blue. Si tratta di un set di cuffie “smart” in grado di interagire con lo smartphone grazie alla connessione Bluetooth e, attraverso un sistema di riconoscimento vocale, consente di ottenere informazioni in tempo reale semplicemente dialogando con il telefono. Altro innovazione presentata da Intel è Edison, un computer grande come una scheda SD. Le dimensioni ridottissime lo fanno entrare di diritto nella categoria degli “indossabili” pur essendo un vero e proprio computer della Pentium-class, alimentato da un processione Quark SOC Dual Core gestito da Linux e dotato di moduli Bluetooth e Wi-Fi. Per mostrarne le potenzialità, Intel ha presentato un

concept realizzato su un neonato: si tratta di una tutina dotata di alcuni micro sensori tramite i quali è possibile rilevare la temperatura e il battito cardiaco, oltre che visualizzare le informazioni elaborate dai sensori stessi. È ovviamente solo l’inizio di una rivoluzione che apre numerose possibilità di utilizzo di questa tecnologia che farà sembrare i Google Glass a dir poco obsoleti. Ma il vero tsunami del CES 2014 è firmato Android. Infatti dopo le indiscrezioni di Intel, confermate in occasione dell’evento di Las Vegas, anche AMD ha annunciato di lavorare su una linea di computer in grado di utilizzare contemporaneamente due sistemi operativi: un progetti che prevede la collaborazione con BlueStarcks, la soft ware house che con App Player permette di aprire applicazioni Android anche su PC Windows. Secondo alcuni rumors, la compatibilità dovrebbe essere garantita da una modifica che interessa l’hardware della macchina. I nuovi sistemi AMD, infatti, andrebbero a integrare un processore Arm, lo stesso che viene normalmente utilizzato nei dispositivi Android cui verrebbe delegata la gestione degli applicativi in ambiente Windows. Praticamente un ambiente ibrido su cui il sistema operativo Microsoft andrebbe a convivere con quello sviluppato da Big G sempre che dalle parti di Redmond non si decida di porre un eventuale veto ai produttori di PC. Altra sorpresa del CES 2014 riguarda il settore dei videogiochi. Valve, la società di videogame che è riuscita a monopolizzare il mercato del gioco online per PC con la piattaforma Steam, dopo l’annuncio della Steam Machine, una sorta di progetto open source da sviluppare su una console Linux based, a Las Vegas è riuscita a presentare 13 console Steam Machine, coivolgento altrettanti produttori, tra cui un mostro sacro come Alienware, la sussidiaria della Dell specializzata nell’assemblaggio di PC per videogiochi particolarmente apprezzata dai fruitori di videogame su PC. E nonostante le aziende coinvolte si limitino a parlare di un


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PC game-oriented, negando una diretta concorrenza a Xbox e Playstation, sembrerebbe che esserci qualcosa in più. A suggerirlo è Nvidia che presenta un prototipo di smartphone con chip Tegra K1 integrato di processore grafico: un puro concentrato di potenza capace di trasformare sia smartphone che tablet Android in piattaforme per videogames. Una rivoluzione da cui le stesse Microsoft e Sony devono guardarsi per prevedere un trend che farebbe competere ulteriori dispositivi con le consolle di gioco vere e proprie. Sempre per quanto riguarda il mondo dei tablet e degli smartphone, sembra proprio che il futuro sia fatto di curve: e se i cellulari si piegano davanti alla rivoluzione del “round” con il Samsung Galaxy in prima linea, dotato di monitor OLED “bombato” per una migliore fruizione delle immagini, al fianco della multinazionale sudcoreana ecco spuntare la concorrente LG che brucia i tempi con il G Flex, già disponibile in Sud Corea dallo scorso novembre, proponendo sul mercato il primo smartphone curvo, molto probabilmente disponibile per l’Italia in esclusiva dei negozi Vodafone, già a partire dal prossimo febbraio. Sempre Samsung propone una nuova linea di smartphone, Galaxy Hit, capace di integrarsi con uno schermo più grande, trasformandosi in un tablet, proprio come il Padfone dell’Asus. Sempre dal mondo della telefonia, la novità più interessante che riguarda il Li-Wi, il corrispondente ottico del Wi-Fi: una tecnologia che sfrutta i raggi di luce, anziché le onde radio delle reti Wi-Fi, per la trasmissione dei dati, garantendo maggiori velocità e un minore consumo di energia. Schermi curvi anche per i televisori e i tablet, a partire dagli LG da 105 pollici SuperHD “CinemaScope”, con i quali si appresta a lanciare la sfida ai tv da 4K della Samsung. E anche se i televisori SuperHd, protagonisti delle due precedenti edizioni del CES, non hanno ancora raggiunto i risultati sperati dai produttori, principalmente per il loro costo e per penuria di contenuti, a Las Vegas sono già presenti i prototipi dei tv 8K e, soprattutto, una nuova generazione di camere e accessori 4K.

Per quanto riguarda il mondo dell’“internet of things”, ovvero del web che entra in oggetti di uso quotidiano come bracciali, orologi, vestiti o occhiali, il settore dell’automotive strizza l’occhio all’integrazione di servizi di bordo con la rete. Non a caso Google ed Android guardano alle quattro ruote con particolare interesse: l’obiettivo è quello di portare i loro sistemi operativi sviluppati per smartphone all’interno dell’abitacolo. Primo assaggio arriva dalla partnership con Audi che presenta l’Audi Smart Display, un tablet da 10,2 pollici capace di connettersi direttamente ai sistemi di infotainment del veicolo, offrendo funzioni multimediali e di navigazione web, oltre ad essere particolarmente resistente alle temperature estreme e agli incidenti automobilistici. Per chi invece è un appassionato del fai da te 2.0, l’edizione 2014 del CES è la prima con uno spazio dedicato alle stampanti 3D. Un mercato che secondo le stime dovrebbe toccare i 3,7 miliardi di dollari nel 2015 per raggiungere 10,8 entro il 2020 attraverso la produzione in larga scala delle prime stampanti 3D dalle dimensioni delle periferiche da tavolo comuni. Tra gli accessori presentati, anche l’ultima versione della penna 3Doodler, la penna in grado di disegnare oggetti in tre dimensioni.

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L’alba del nuovo Winner Taco di Stefania Buonavolontà, Marketing & Communication

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rano gli anni ‘90 quando gustavamo uno dei gelati più buoni dell’Algida: il Winner Taco. Ma qualche anno dopo, la stessa Algida decise di ritirarlo dal mercato. Non si sa bene il perché di questa scelta, molto probabilmente guidata da risultati commerciali non troppo soddisfacenti. Da quel giorno le papille gustative di milioni di italiani smisero di farsi accarezzare dalla dolcezza della vaniglia variegata al caramello avvolta dal quel croccante biscotto bagnato nel cioccolato con le noccioline. E tutto sarebbe restato così se non fosse stato per Alessandro e Daniele che nell’aprile 2011 decisero di dare vita a una pagina di Facebook dall’inconfondibile nome: Ridateci il Winner Taco. Da quel giorno la pagina dei due ragazzi comincia a farsi notare, raccogliendo le proteste degli aficionados del Taco, accompagnandole con slogans, parodie e bizzarri fotomontaggi. Un divertimento per i due che non avrebbero mai immaginato quello che sarebbe accaduto. Dalle poche centinaia di fan, la pagina gestita dai due ragazzi passa giorno dopo giorno a numeri importanti fino a superare i 10.000 “Mi piace” ma soprattutto mettendo in rete talmente tanto materiale che spesso, troppo spesso, viene veicolato dagli utenti sulla pagina ufficiale dell’Algida. E così, post dopo post, commento dopo commento, l’Algida ha letteralmente perso il controllo della propria pagina Facebook, sommersa da commenti sarcastici o di protesta con l’esplicita richiesta

di ritorno alla commercializzazione del Winner Taco. Un vero e proprio spam che mette alle strette l’Algida, costretta a rivedere le proprie scelte commerciali. E così, improvvisamente, qualcosa è cambiato. Una fredda mattina di gennaio, infatti, sulla pagina dell’Algida compare un orso, ma non un orso qualsiasi, ma l’amatissimo orso polare mascotte del Winner Taco. “Sarà proprio lui?” il commento al post. La stessa mattina, a Roma sul Ponte Milvio, un enorme Winner Taco si fa notare dai passanti. Ebbene sì, è proprio l’orso polare a lasciare piccoli indizi sparsi qua e là che lasciano presagire un ritorno del Winner Taco, fino a quando sulla pagina ufficiale dell’Algida compare un altro post: “Avete fatto così tanto rumore da risvegliare un orso polare dal suo letargo. Winner Taco è tornato! #winnertaco”. Insomma, un caso di social guerrilla marketing riuscitissimo e talmente unico nel suo genere tanto da sembrare una strategia pilotata dalla multinazionale, in considerazione del ritorno pubblicitario. E invece no, è tutto vero. È una delle prime grandi vittorie della rete conquistata a suon di commenti e messaggi privati. È la prima vera rivalsa in campo alimentare, laddove il consumatore suggerisce all’azienda il prodotto e fa sì che il mercato si direzioni verso ciò che gli piace davvero. Non ci resta quindi che aspettare marzo, mese dal quale sarà possibile acquistare nuovamente il gelato dell’orso polare.


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Scoprire Lisbona di Flaviana Cimmino, Account Office

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a scelta di Lisbona quale capitale europea dove organizzare un evento farmaceutico per il lancio di prodotto è una possibilità, per chi non l’avesse mai visitata, di arricchire le proprie esperienze di viaggio di un ricordo unico, legato alla tradizione culturale portoghese e al colore di una città di pescatori. Adagiata sulla riva destra dell’immenso fiume Tago, Lisbona costituisce una delle mete più visitate al mondo. Da secoli incanta i viaggiatori che vi sono transitati grazie al fascino multiculturale ereditato dai tanti marinai che hanno solcato i mari portoghesi. Il Portogallo è stato infatti il primo e il più longevo degli imperi coloniali d’oltremare e Lisbona conserva importanti tracce del suo grandioso passato. In ogni angolo è possibile ammirare il vasto patrimonio culturale influenzato da diversi popoli. Simbolo per eccellenza di questa epoca d’oro è il quartiere di Belém dove si può ammirare il meraviglioso porto dal quale partivano le caravelle alla conquista dei nuovi mondi. Il periodo dell’impero coloniale oltre al patrimonio architettonico ha donato alla città anche un fascino malinconico e al tempo stesso fiero e indomito. Il Fado, canto popolare portoghese, ne esprime in pieno le caratteristiche. Le origini del Fado, si ricollegano, infatti, ai canti nati sulle navi per esprimere la nostalgia dei marinai che, dopo lunghi mesi trascorsi in mare, vagheggiavano di ritornare in patria. Il Fado è oggi uno dei simboli più conosciuti del Portogallo. Il luogo migliore per ascoltarne una versione autentica è sicuramente il quartiere dell’Alfama, cuore storico della città. L’Alfama è un suggestivo dedalo di stradine magiche e poetiche, un quartiere popolare di pescatori e di artigiani, disseminato di ristoranti e locali di fado. L’Alfama è il quartiere più antico della città ed è anche l’unica parte della città sopravvissuta al terremoto del 1755. Il passato di questa meravigliosa città è infatti segnato da una amara tragedia che ne ha contrassegnato il destino. All’inizio del XVIII secolo, Lisbona era una delle città più grandi d’Europa ma alle 9:40 circa della mattina del 1° novembre 1755 si verificò

una scossa di terremoto di magnitudo stimata attorno al 9° grado della scala Richter con epicentro in mare a circa 200 km al largo di Cabo de São Vicente. La scossa di terremoto provocò il crollo di molti edifici e numerosi incendi che si propagarono per la città a macchia d’olio; i sopravvissuti, per sfuggire al fuoco, si radunarono nella Baixa, vicino al fiume. Circa 40 minuti dopo uno tsunami, generato dalla stessa scossa, colpì Lisbona distruggendo tutta la parte bassa della città. L’unico quartiere di Lisbona che superò praticamente indenne il terremoto fu l’Alfama. I portoghesi definiscono questo periodo come il “Tramonto” e considerano la loro storia divisa tra il prima del tramonto e il dopo, poiché successivamente al terremoto il Primo Ministro del tempo, il Marchese di Pombal prese in mano la situazione e guidò la ricostruzione della città. L’intera Lisbona, tra l’altro, porta la firma di Pombal poiché egli stesso introdusse l’innovativo metodo di pavimentazione delle strade (calçada portuguesa) che consiste in un assemblaggio a secco di piccole pietre di recupero in calcare, che formano magnifici disegni. A tutt’oggi nei grandi viali di Rossio e lo Chiado basta abbassare gli occhi camminando per ammirare questi autentici capolavori che brillano al sole. Un altro splendido monumento su pavimentazione e l’enorme e meravigliosa rosa dei venti, posta alle spalle del Monumento alle scoperte, di 50 metri di diametro che contiene al centro le rotte scoperte dai navigatori portoghesi. Non si può che concludere la descrizione di questa eccezionale città utilizzando i versi del poeta portoghese Fernando Pessoa: “Su sette colline che sono altrettanti punti di osservazione da cui si possono ammirare magnifici panorami, si estende, vasta, irregolare e multicolore, la massa di case che costituisce Lisbona. Per il viaggiatore che arriva via mare, Lisbona, già da lontano, appare come un’incantevole visione da sogno e si staglia nitida contro l’azzurro intenso del cielo che il sole riscalda con il suo oro. Le cupole, i monumenti, i vecchi castelli spiccano dal groviglio di case”.

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Pino Daniele & friends di Diego Vecchione, Graphic Designer

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l pubblico napoletano lo attendeva da oltre un anno ed i sold-out dei sei eventi previsti al Teatro Palapartenope ne sono la prova. “Napul’è – Tutta n’ata storia” racchiude tutta l’essenza del viaggio attraverso la memoria dell’esaltante carriera di Pino Daniele che, a quattro anni dallo storico concerto di Piazza Plebiscito con cui ha celebrato i suoi 30 anni di carriera, torna a suonare insieme ai grandi artisti napoletani che hanno condiviso la prima parte della sua storia musicale. Un omaggio al pubblico della sua città che Pino Daniele ha trasformato in un concertoevento dedicato al progressive napoletano, quella corrente musicale e culturale che ha portato Napoli ad essere protagonista della scena pop contemporanea a livello internazionale. Una storia musicale, e non solo, raccontata insieme agli “amici” che hanno reso grande lo stile nostrano in uno spettacolo corale, ricco di emozioni uniche. Uno spettacolo non solo per i fedelissimi del concerto di piazza del Plebiscito del 1981, ma soprattutto per le nuove generazioni, per tenere vivo e valorizzare un

patrimonio musicale che davvero in pochi possono vantare: “L’idea è quella di proporre una sorta di cronistoria della musica napoletana degli anni settanta, in linea con quello che accadeva nelle altre città d’Italia” aveva preannunciato Pino Daniele nell’intervista rilasciata a Repubblica, “Un passaggio di testimone a una generazione nuova, spiegando che la memoria è importante” a sottolineare la forza di un evento capace di superare anche il limite dell’età. Un aspetto da cui il “Mascalzone latino” è partito per preparare una scaletta capace di incantare una platea eterogenea con quell’istintiva veracità che si innesca quando si ritrova con gli amici della Superband. Un codice invisibile fatto di 39 canzoni per tre ore di concerto in cui Pino Daniele mette insieme la tradizione al simbolismo di una Napoli unica al mondo, consapevole dei problemi ma anche della magia che è capace di regalare. Dall’apertura dell’evento affidata alla Nuova Compagnia di Canto Popolare con “Tammurriata nera” e all’inimitabile voce di Fausta Vetere, l’evento è un crescendo di


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emozioni in un continuo scambio di energia con la platea: quindi “Terra mia” a “Je so pazzo” a “Che soddisfazione” passando per l’indimenticato Massimo Troisi e la poesia “O ssaje comme fà ‘o core” cantata da Daniele e recitata di Lina Sastri. Poi è la volta di “Assaje” che Pino scrisse per l’attrice in occasione del film “Mi manda Picone” fino al cambio di scena con Tony Esposito e la rilettura solo voce e percussioni di “Kalimba de Luna”. Anche Tullio De Piscopo, prima con la sola voce e poi con la sua batteria infiamma il pubblico con “Andamento lento”. Non è da meno James Senese che insieme al suo storico gruppo Napoli Centrale regala una performance dall’energia straordinaria. Quindi “Je so pazzo”, “O Scarrafone”, “Chi tene o mare” fino a “Quando” in un duetto piano e chitarra con Joe Amoruso capace di far salire le lacrime agli occhi. E poi ancora “Cu’mme” con Enzo Gragnaniello, i virtuosismi di Rino Zurzolo in “Che soddisfazione” fino a Raiz e agli Almamegretta con “Na bella vita” e “Sanacore”. Tanti i brividi lungo la schiena sulle note interpretate da Jenny Sorrenti, Osanna, gli A67,

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Pino Daniele & friends


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Tony Cercola, Antonio Onorato, Ernesto Vitolo, Agostino Marangolo, Gigi De Rienzo, Rosario Jermano, Elisabetta Serio e Eugenio Bennato, quest’ultimo in coppia con Daniele sulle note di “Lazzari Felici”, a fare eco ad una toccante interpretazione di “Je sto vicino a te” cantata in coppia con il fratello Nello Daniele. Finale inaspettato con la nuova leva, Clementino, il rapper napoletano, in una versione freestyle di “Yes I know my way” e l’immancabile “Napul’è” che coinvolge l’intero Teatro Palapartenope in una meritatissima standing ovation a ringraziare Pino, per tutta la sua musica, per tutta questa tua storia, per tutta la passione. (Foto a cura di M. Iazzetta e M. Quadretti)

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LA REUNION DELLA STORICA BAND E GLI AMICI DI SEMPRE L’idea di riassemblare la sua vecchia band dopo quattro anni dalla storica reunion di piazza Plebiscito è la conferma che Pino Daniele ama la musica corale quale mezzo per esaltare e celebrare la sua città. Quella Napoli che negli ultimi 50 anni è riuscita a contaminare ogni angolo del mondo con le proprie sonorità. E che da James Senese, il musicista che c’era già prima di Pino e che ha poi fatto incontrare i vari Rino Zurzolo, Tullio De Piscopo, Joe Amoruso e Tony Esposito si aggiungono gli amici di sempre, Enzo Avitabile ed Enzo Gragnaniello, è come se il tempo non fosse mai passato, proprio come succede tra moglie e marito, quando basta uno sguardo per capirsi e ritrovare la sintonia di sempre. Una reunion capace di riempire piazze e stadi e che al teatro Palapartenope ha dato un ulteriore assaggio del “Neapolitan Power”, quell’energia all’insegna dell’innovazione musicale della tradizione artistica campana con influenze rock, blues, funky e jazz che ha permesso a questi artisti di essere conosciuti e apprezzati in tutto in mondo.


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numero 1 - gennaio 2014

Absolut Art di Andrea Ponsiglione, Events Management

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a vodka Absolut è un fenomeno contemporaneo nonostante abbia alle spalle una storia di oltre quattro secoli, che parte nel 1879 dalla mente dell’imprenditore Lars Olsson Smith che introdusse nella produzione industriale una tecnica di distillazione frazionata della Svezia del XV secolo: la cosiddetta “rectification”, tecnica capace di eliminare tutte le impurità conservando il sapore naturale della fermentazione del grano. Da un uso della tecnica per la produzione di preparati medicali fino alla polvere da sparo, Smith da vero imprenditore, riuscì così a veicolare quell’arte sul proprio prodotto, l’Absolut Rent Branvin, una vodka purissima, con la quale avrebbe dichiarato guerra commerciale al monopolio di Stato. L’Absolut Rent Branvin, era infatti venduta a prezzo più basso rispetto al prodotto del monopolio, appena fuori dai confini di Stoccolma, su un’isola al di fuori dai limiti imposti dal governo. Dopo un’avanzata tecnica di marketing per cui chi acquistava una bottiglia di vodka poteva fare un giro dell’isola in barca, Smith passò alla distribuzione internazionale, quella che lo avrebbe portato a essere l’uomo più ricco della regione: una fortuna che l’imprenditore svedese prima perse, per poi riconquistare, per poi perdere ancora, ma che ha portato l’Absolut ad essere oggi la terza marca di alcolici nel mondo,

dopo Bacardi e Smirnoff. Dal 1979, anno della prima esportazione, la celebre vodka svedese ha conquistato i mercati di 126 Paesi, tra cui gli Stati Uniti che oggi rappresentano il mercato più grande con oltre 70 milioni di litri venduti all’anno. Il senso di Smith per il business e la sua passione non sono andate perse con il successore, Lars Lindmark, bensì andarono fortificandosi. A partire dalla semplificazione del nome stesso, che venne ridotto a solo Absolut, fino alla scelta della bottiglia, scovata dal pubblicitario Gunnar Broman che, curiosando in un negozio di antiquariato di Stoccolma, trovò una vecchia bottiglia di vodka medicale, così differente e semplice che avrebbe legato indissolubilmente la caratteristica forma pulita ed elegante al brand della “piccola acqua” svedese. È il 1979 quando il sudafricano Geoff Hays, direttore creativo della TBWA di New York, riceve il brief per l’ideazione e la realizzazione della campagna pubblicitaria: raffigurare la bottiglia di Absolut Vodka in modo contemporaneo, non necessariamente legato al gusto del momento, evitando particolari legami con determinati stile di vita. Limitazioni non indifferenti che Hays e il suo team riescono a superare, focalizzandosi proprio sulla parola chiave, Absolut: un nome così diverso dai prodotti di ori-


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gine russa che invece erano caratterizzati da nomi come Moskovskaya e Stolichnaya a sottolineare la provenienza di un prodotto che, quando preparato in altre parti del mondo, portava comunque un nome di richiamo a quell’iconografia russa, come nel caso della Smirnoff di origini statunitensi. L’idea fu quella di usare Absolut come aggettivo, quindi sempre come prima parola, mentre la bottiglia sarebbe stata centrale, quale luogo di espressione dei diversi significati. Al fotografo Steven Bronstein i primi scatti fino al primo annuncio, datato 1980. Il primo soggetto, “Absolut Perfection”, è un successo immediato, da cui sarebbero nati tanti nuovi temi che avreb-

bero fatto la fortuna del marchio a partire dalla caratteristica forma della bottiglia stessa. Sono circa 350 gli artisti commissionati in questi anni per oltre 1500 soggetti: delle vere e proprie opere da collezione che ritraggono la bottiglia di Absolute in campagne di stampa dal grande impatto artistico, creatività e successo di critica e di vendite. La serie lunghissima di capolavori a firma di alcuni dei più grandi artisti del mondo, come Andy Wharol o il graffitista Keith Haring, è consultabile sul sito AbsolutAd.com, una vera e propria galleria d’arte pubblicitaria da cui sono tratti i lavori riportati a celebrare uno dei marchi più carismatici e conosciuti in tutto il mondo.

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