Periodico d’informazione sulla comunicazione e dintorni
©Marco Iazzetta
N. 10 - ANNO IV NOVEMBRE 2015
in questo numero Netflix, welcome to Italy Italiani: digitale, informazione e… Facebook! “Spectre”, il ritorno di James Bond Lorenzo è campione, Valentino è il campione! Expo Milano 2015: è finita la festa, superate le aspettative... ...Expoi? DiCaprio: il ragazzo diventato star… senza Oscar
Colesterolo: è veramente una storia di buoni e cattivi? Maestro, bis? «No!» Dracula: la storia di Vlad, il primo e più famoso vampiro al mondo
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Intelligenza, genio e falsi miti… perché genio si diventa, non si nasce
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Registrazione al Tribunale di Napoli N. 27 del 6/4/2012 Direttore Responsabile: Fabrizio Ponsiglione Direttore Editoriale: Stefania Buonavolontà Art Director: Marco Iazzetta Grafica & Impaginazione: Diego Vecchione Hanno collaborato in questo numero: Michele Botti, Luciana Cameli, Riccardo Catapano, Laura Cristaldi, Enrico De Pompeis, Federica Milano, Elena Mittino, Mangiamo Naturalmente, Stefano Rossi Rinaldi, Loredana Romano, Diego Vecchione Menthalia srl direzione/amministrazione 80125 Napoli – 49, Piazzale V. Tecchio Ph. +39 081 621911 • Fax +39 081 622445 Sedi di rappresentanza: 20097 S. Donato M.se (MI) – 22, Via A. Moro 50126 Firenze – 20, Via Cardinal Latino Tutti i marchi riportati appartengono ai legittimi proprietari. La pubblicazione delle immagini all’interno dei “Servizi Speciali” è consentita ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca.
È questo il modo con cui avevo voglia di aprire l’editoriale di questo numero del Menthalia Magazine perché qualche giorno fa, immerso nella nostra quotidiana operatività con smartphone, tablet, pc e tonnellate di e-mail, ho riflettuto sul fatto che ormai nessuno più di noi scrive una lettera. Era bello quell’isolarsi completamente dal mondo, con quel foglio bianco davanti, prendere la penna e buttar giù tutti i propri pensieri. Frasi cancellate, scarabocchi, fogli stracciati. Tutto quello probabilmente aiutava a far emergere il senso reale di quello che si voleva esprimere al destinatario. Oggi non è così. La tastiera non dà quelle emozioni, il “delete” è troppo semplice da utilizzare, non ti permette di vedere cosa avevi cancellato. A volte mi sembra di essere più occupato a sentir il suono dei tasti che batto che delle parole che “scrivo”. Forse è un pensiero banale, ma forse non lo è per niente considerato che il pensiero è saltato fuori nel leggere una notizia relativa al ritrovamento di manoscritti, lettere (appunto) e diari di centinaia di anni fa. A quel punto ho pensato che di noi “ritroveranno” i post su Facebook, troppo spesso messi lì per raccattare like piuttosto che per esprimere quello che davvero pensiamo, le foto su Instagram o i tweet disparati per esprimere la propria opinione sull’ultimo trend o per prendere le parti della nostra fazione nell’ultimo argomento di discussione. Oggi non scriviamo più lettere ma inviamo messaggi, ed è tutta un’altra storia. Le nostre sono vere e proprie conversazioni e, credetemi, ho provato a leggere vecchie conversazioni digitate invece che scritte ma la sensazione, le parole, le emozioni non sono quelle che ritrovo nelle lettere che ho scritto ed in quelle che ho ricevuto. Ricordo che quasi riuscivo a sentire l’odore del posto da cui i miei amici mi spedivano le cartoline delle proprie vacanze, oggi al massimo ce la caviamo con un tag in una foto o un check-in sui vari social network.. ed è tutta un’altra storia (si, di nuovo). Considerate questo mio editoriale come un pensiero ad alta voce, un pensiero su cui riflettere e un invito per tornare a scrivere, per tornare a trasmettere emozioni.
Marco Iazzetta General Manager Menthalia
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Netflix, Welcome to Italy di Stefano Rossi Rinaldi
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er gli amanti delle serie TV, e non solo, lo scorso 22 Ottobre non è stata una data qualsiasi lasciata trascorrere praticamente inosservata sul calendario. Contrassegnato con il circoletto rosso, il giorno dell’appuntamento tanto atteso è finalmente giunto: Netflix ha aperto i battenti nel Bel paese. Lanciato nel 1997 in America come servizio di noleggio di DVD e videogiochi, dal 2008 si è progressivamente trasformato nel servizio di streaming online, rivoluzionando l'attuale mercato dell’intrattenimento. “I nostri veri avversari siamo noi stessi nella capacità di convincere il pubblico”, recita uno degli slogan del colosso americano. Netflix, che conta qualcosa come 65 milioni di abbonati in più di 50 paesi, e finalmente è approdato anche in Italia portando con sé critiche (dei soliti arcigni conservatori) ma soprattutto gustose novità e un’aria di innovazione. C’è innanzitutto la possibilità di scegliere fra tre diversi abbonamenti, a partire da un minimo di €7,99 a un massimo di €11,99 mensili, a seconda di quanti dispositivi tra tablet, pc e smartphone si vogliano collegare contemporaneamente al servizio. Il primo mese è gratis, senza clausole di rinnovo automatico, e occorre solamente avere una normale connessione internet per potersi iscrivere e godere del prodotto. Bisogna precisare, come frainteso da molti nostri connazionali, che non sono presenti nel catalogo tutte le serie televisive possibili e immaginabili, per logiche ragioni di diritti TV. Tuttavia possiamo trovare alcuni pilastri come The Walking Dead, The 100, Prison Break, Agent of Shield, Star Wars: The Clone Wars, Once upon a time, Hemlock Grove, Jane The Virgin, Suits e The Originals. Inoltre Netflix può
contare su produzioni proprie, autentici gioielli che hanno spopolato in giro per il mondo: da House of Cards a Narcos, passando per Orange is The New Black, a Sense8. Un catalogo destinato ad ampliarsi sempre più, prendendo nota e analizzando le preferenze degli italiani. Oltre alle serie TV sono presenti anche film di vario generieper accontentare un po’ tutti i gusti del vasto pubblico, come Sharknado 1 e 2, Una settimana da dio, Un amore in fuga, Bad Night o Mean Girls 2. Come si può intuire, dunque, una vera e propria videoteca multimediale a portata di mano, da visionare in qualunque momento della giornata. La fase di startup del servizio, considerando anche la concorrenza del già consolidato Infinity (Mediaset) o del servizio OnDemand di Sky, non regalerà quel boom di abbonati che invece, facendo un paragone musicale, ha caratterizzato il lancio di Spotify. L’arrivo di Netflix rappresenta comunque una grande evoluzione per l'utente italiano per restare al passo con i tempi, in un mondo dove i contenuti in streaming stanno lentamente (mica tanto!) soppiantando i tradizionali strumenti d’intrattenimento. Per le considerazioni attendiamo ancora un po’, nel frattempo… Welcome to Italy, Netflix!
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Italiani: digitale, informazione e… Facebook! di Diego Vecchione
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n un mondo sempre più digitale, la rete è ormai diventata lo strumento principe per ciò che riguarda la comunicazione. In Europa ci sono 584 milioni di persone (70% di penetrazione) che utilizzano quotidianamente internet, di cui 387 hanno almeno un account social attivo. E gli italiani? Secondo l’indagine svolta da We Are Social, gli utenti italici trascorrono 2 ore e 29 minuti (effettive) di media al giorno sui social network, superando i ben più tecnologici statunitensi che sui social ci passano “solo” 2 ore e 17 minuti. Altro dato molto interessante è relativo al fatto che circa il 92% degli italiani in possesso di una connessione internet ha almeno un account sui social network. Fra le piattaforme più utilizzate primeggia ovviamente Facebook (l’83% di utenti del web ha un account attivo sulla piattaforma social di Mark Zuckerberg), Google+ (53%), Twitter (41%), Linkedin (24%), Instagram (17%). L’utilizzo dei social network è in crescita esponenziale e gli utenti sempre più spesso li utilizzano per tenersi informati, condividendo e commentando le notizie con i propri amici. La condivisione è ormai entrata a far parte della quotidianità con una crescita importante soprattutto nell’ultimo biennio, con addirittura un balzo in avanti del 185% dal 2013 al 2015 secondo i dati diffusi dallo studio di Newsruption. Un risultato importante e frutto della progressiva diminuzione della lettura dei giornali come li abbiamo conosciuti fino ad oggi. Di fronte alla possibilità di scegliere su quale canale leggere le notizie, nel 75% dei casi la scelta ricade
sull’online e solo la minoranza si affida al buon vecchio cartaceo. Superano le 30 milioni di unità le condivisioni mensili da parte degli utenti (più di 1 milione al giorno), per un totale di oltre 100mila articoli prodotti dalle cento principali testate giornalistiche online. Altro aspetto interessante, sottolineato nella ricerca di Newsruption, riguarda la modalità con cui avviene la condivisione dalla testata (via web o app) al social network. Come sospettabile, fra i principali social media utilizzati per la condivisione delle notizie, la quota principale è detenuta da Facebook con il 96%. Del rimanente 4%, Twitter busca poco più del 2,5% mentre le restanti briciole sono ripartite fra Google+ e Linkedin. La variazione più significativa riguarda quindi Facebook. Negli ultimi quattro anni il social più famoso al mondo ha raggiunto uno share, in qualità di “organo d’informazione”, del 12,5% che gli assegna di fatto la leadership del settore. Da solo infatti, Facebook mostra di avere una capacità informativa paragonabile a quella di tutto il sistema dei quotidiani online messi insieme, stabilizzato al 13% da diversi anni. In che direzione andrà il sistema informativo mondiale? Con l’ora della carta stampata che sembra ormai segnata, il digitale nel giro di qualche anno potrebbe prendere definitivamente il monopolio dell’informazione. Ma quali i canali di condivisione? Citofonare a Mark Zuckerberg!
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“Spectre”, Il ritorno di James Bond di Riccardo Catapano
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’agente 007 è di nuovo in azione. L’eroe tratto dai libri di Ian Fleming torna sul grande schermo con “Spectre”, 24° film della cine-saga più lunga della storia. Dopo il grande successo ottenuto da Skyfall, sarà ancora Sam Mendes a dirigere la nuova pellicola su James Bond, intepretato da Daniel Craig (alla 4a apparizione nei panni dell’agente inglese). 2h30 intense in cui 007 sarà alle prese con la solita dose di azione, sparatorie e acrobazie, spaziando in scenari esclusivi e travolgenti: da Città del Messico, nel bel mezzo delle celebrazioni per il Giorno dei Defunti, al centro di Roma. È proprio dalla rievocazione della morte messicana che “Spectre” riprende il filo narrativo interrotto da “Skyfall”, che si era concluso con la dipartita di Judy “M” Dench. La fine di un ciclo dove l’agente è chiamato a siglare il passaggio dalla tragicità alla rinascita. “Il mio nome è Bond, James Bond” – Nato dalla penna di Ian Flaming, ripercorriamo le sfaccettature di quello che è considerato il primo grande eroe della letteratura contemporanea: per la prima volta sullo schermo nel 1962, l’agente dell’MI6 assume il volto del leggendario Sean Connery. Sguardo magnetico, l’attore scozzese entra nell’immaginario collettivo: inizialmente non ben visto da Fleming, Connery fu però talmente bravo ad immedesimarsi nella spia inglese da far cambiare idea allo scrittore, che in suo onore inventò le origini scozzesi di Bond. Fu sostituito nel 1969 da George Lazenby che inevitabilmente ne pagò il confronto: il suo unico film, nonostante una trama eccellente, viene stroncato dal pubblico orfano dello charme di Connery. Dal 1973 al 1985 è il turno di Roger Moore: l’interpretazione più sopra le ri-
ghe, regalò al personaggio una qualità da uomo d’azione con la battuta pronta e dall’aria bonaria. Il registro cambiò nuovamente con la scelta di Timothy Dalton: i produttori tentarono così di modernizzare Bond per renderlo un giustiziere più risoluto, maggiormente vicino al personaggio del romanzo. Il risultato fu una via di mezzo tra vecchio e nuovo. Dalton incarnò al meglio questa direzione, diventando l’attore più simile alla spia ideata da Fleming, inscenando però più action anni ‘80 che film di 007. Con la successiva scelta di Pierce Brosnan fu chiaro il tentativo di un ritorno al “classico”: il suo fascino e la sua eleganza furono il segno distintivo dell’attore irlandese. Questa sua peculiarità è da molti considerata l’incarnazione perfetta di James Bond: portare a termine imprese rocambolesche con freddezza e self control. Giungiamo così allo 007 del nuovo millennio, interpretato da Daniel Craig: il più duro tra quelli visti, che conta meno sul fascino e più su un pugno ben assestato. Nonostante ciò è anche considerato il più umano: cinico, si innamora, soffre, può fallire ma resta sempre ligio a quei precetti patriottici e di fedeltà che da sempre sono il “cuore” della spia più amata di tutti i tempi e che, nonostante le generazioni, continua a conquistare il mondo cinematografico.
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Per il centenario della rivolta irlandese del 1916 finalmente in vendita
A cura di Riccardo Michelucci Traduzione di Enrico Terrinoni
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Lorenzo è campione, Valentino è il campione! di Laura Cristaldi
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Valencia non arriva il miracolo e il campione del Mondo 2015 di MotoGp è Jorge Lorenzo. Valentino l’impresa l’ha tentata, risalendo dall’ultimo al quarto posto in pochi giri, e per certi versi compiuta registrando la più grande rimonta nella storia del motociclismo. A tutto questo però era necessario anche un piccolo aiuto da parte delle Honda di Marquez e Pedrosa. Più che di aiuto vero e proprio, probabilmente, sarebbe bastato che il ruspante Marc Marquez conducesse la propria gara sportivamente piuttosto che indossare i panni dello scudiero di turno senza mai tentare un sorpasso (e che fosse uno!) al connazionale. Lorenzo vince, Marquez e Pedrosa concludono il podio e il povero Vale, in quarta posizione, vede fuggir via il decimo mondiale della sua carriera alla venerabile età di 36 anni. “È stata una stagione veramente bella, ci siamo costruiti questa possibilità di lottare per il campionato già dalla prima gara – ha dichiarato Valentino Rossi al termine della gara. Sono stato sempre competitivo e bravo in gara, senza mai sbagliare. Nonostante nella seconda parte della stagione Lorenzo sia stato molto bravo, sono rimasto in testa al mondiale finché le cose sono andate normalmente poi, da Phillip Island in avanti, è successo qualcosa di strano e che nessuno si sarebbe mai aspettato. Il comportamento di Marquez è stato imbarazzante, una bruttissima figura per il nostro sport, costringendomi a lottare contro due piloti invece che uno. Sarebbe stato bello giocarsi il Mondiale ad armi pari, in pista. Avrei potuto vincere o perdere ma così è veramente brutta e penso che neanche lui (Lorenzo, ndr) possa essere troppo contento”.
Dichiarazioni dure, sentite ma impossibili da ribattere. Applausi per Valentino, e non solo dal pubblico italiano. Tutta (o quasi) la MotoGp si è schierata al fianco del ‘Dottore’ con la commovente passerella, con applausi e congratulazioni, che tutte le scuderie gli hanno riservato al rientro nella pit lane al termine della gara. La congiura spagnola ha vinto o, più propriamente, Marquez ha vinto nel suo intento di ostacolare Valentino Rossi consegnando di fatto il mondiale nelle mani di Jorge Lorenzo, indiscusso penta campione del mondo ma reo di non aver saputo tacere quando avrebbe dovuto al termine della gara di Sepang. Dalla Honda giurano che nessun complotto è stato mai inscenato anche se dovranno però spiegare, agli sponsor, come sia stato possibile che un pilota dal talento e dall’aggressività di Marquez in trenta giri non abbia tentato neanche un sorpasso alla Yamaha di Lorenzo, sfoderando gli artigli solo per difendersi dall’attacco del sempre onesto Dani Pedrosa. L’ammissione “di colpa” è arrivata proprio dal neo campione del mondo che al termine della gara dichiara: “Pensavo di rischiare di finire terzo e perdere il Mondiale ma loro, sapendo che mi giocavo il titolo, sono stati rispettosi perché il titolo rimanesse in Spagna”. La stagione di MotoGp termina qui, il Mondiale più bello degli ultimi dieci anni deciso dal capriccio di Marquez, che è certamente riuscito nell’intento di far perdere il mondiale a Valentino ma che si è schiantato (e non solo in senso figurato, vedi Sepang!) con l’immagine del più grande pilota di tutti i tempi che l’anno prossimo, ad anni 37, sarà di nuovo lì alla ricerca della decima perla della sua infinita carriera.
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EXPO Milano 2015: è finita la festa, superate le di Loredana Romano
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xpo Milano 2015 è stato un giro del mondo emozionale. La promessa di fare in ogni Padiglione un viaggio nella cultura, nei profumi, nei colori e nelle tradizioni di un popolo è stata più o meno mantenuta, anche se talvolta la forzatura nella promozione turistica eludeva completamente il claim “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”. Ad ogni buon conto, attrazioni e spettacoli, architettura e design, accoglienza più o meno tipica, sapori, immagini, simboli, natura e scienza si sono incrociati in un unico spazio per un’esperienza, se non unica, quanto meno di successo, stando ai bilanci ufficiali. Finita la festa, si scopre che non tutti hanno avuto tempo e modo per pensare al «dopo». Certo, sono molti i padiglioni che un piano lo avevano sin dall’inizio: quello di Monaco diventerà un centro della Croce Rossa in Burkina Faso, quello dell’Angola sarà portato a Luanda per diventare centro culturale, degli Emirati Arabi diremo più avanti. L’altro padiglione che non avrà problemi di trasloco e nemmeno di smontaggio è quello Vanke. La splendida spirale rosso fuoco del gruppo immobiliare cinese, progettata
dall’archistar Daniel Libeskind, mesi fa aveva annunciato il suo piano: ognuna delle 4.000 «scaglie di drago», le mattonelle che rivestono l’edificio, sarebbe stata venduta. In questo caso, chiusa proficuamente l’asta, il ricavato verrà usato per riqualificare l’area intorno al Guangrenwang Temple, un tempio taoista nella provincia dello Shanxi. Ma altrove si segna il passo: «Stiamo esplorando una serie di opzioni», dicono a casa Stati Uniti. E in Polonia ammettono: «Per ora non abbiamo idea di come smonteremo tutto». Entro il 30 giugno 2016 l’area dovrà essere consegnata pulita, tranne Palazzo Italia, l’Albero della Vita, Cascina Triulza e Padiglione Zero, destinati a rimanere in piedi. Di certo c’è che vendere subito, anche a prezzi stracciati, sarà meglio che dover trasportare o smaltire poi. Gli svizzeri, ad onor della fama, sono stati i più precisi: mobili, lampade e arredi risultano già tutti venduti. Anche il Brasile preferisce portarsi avanti con il lavoro e sceglie di mettere tutto all’asta online. Per consultare il catalogo basta registrarsi su http://bit.ly/astaexpobrasile. Nella lista, dalle panche in vimini ai
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aspettative... tavoli da caffè in legno, dagli arredi del ristorante al primo piano fino alle lampade di perline a forma di serpente. Ma anche monitor, mobili d’ufficio e persino alcuni elementi della struttura. Gli oggetti andranno tutti al miglior offerente: trasloco risolto. Expo Milano 2015, dunque, passa il testimone. La prossima Esposizione Universale si svolgerà nel 2020 a Dubai, il più famoso dei 7 emirati che formano gli Emirati Arabi Uniti, precisamente dal 20 ottobre al 10 aprile 2021. “Connecting Minds, Creating the Future” sarà il tema, “Collegare le Menti, Creare il Futuro”, quindi dalla discussione sul futuro dell’alimentazione a quella su temi intorno a cui la comunità globale si raccoglierà per siglare nuove collaborazioni, per trovare soluzioni a questioni fondamentali e lasciare il segno di una forte trasformazione sociale ed economica in tutto il mondo. Quello degli Emirati Arabi Uniti è stato uno dei Padiglioni più visitati di Expo Milano 2015: nelle sue forme che ricordano le dune di sabbia dei deserti verrà ricostruito a Masdar City, una delle smart city più avveniristiche al mondo, proprio in quanto ne rappresenta i principi racchiusi nell’etica di sostenibilità della città stessa. L’Esposizione Universale di Dubai avvierà le celebrazioni del Giubileo d’oro per il 50º anniversario dalla fondazione degli Emirati Arabi Uniti e sarà il trampolino di lancio per inaugurare una visione sostenibile e progressista per i prossimi decenni, richiamando lo spirito di collaborazione e cooperazione che ha portato gli Emirati Arabi Uniti all’esplorazione di nuovi percorsi di sviluppo e innovazione. Attraverso questo tema l’Evento fungerà da catalizzatore, collegando le menti di tutto il mondo e ispirando i
partecipanti a mobilitarsi su sfide condivise, declinando il tema generale in tre sottotemi. Sostenibilità: progresso e prosperità senza compromettere i bisogni delle generazioni future. Mobilità: sbloccare nuove possibilità per persone e comunità, contribuendo con successo al futuro. Opportunità: creare collegamenti più intelligenti e produttivi. Di certo, le risorse economiche per realizzarlo al meglio lì non mancano. La speranza è che in questi cinque anni dalla “nostra” Esposizione Universale, venga quantomeno riconosciuta all’Italia una solida capacità di problem solving, competenza non propriamente associata al “bel Paese”, nell’affrontare un’organizzazione partita sotto auspici di scarse risorse disponibili (ricordiamo en passant le polemiche suscitate dalla presenza di sponsor non del tutto coerenti con il concetto di nutrizione sana…) ed il contesto torbido in cui si sono assegnati gli appalti, laddove il risultato finale è sembrato invece superare le aspettative più rosee. Foto credit: Marco Iazzetta
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...EXPOI? di Federica Milano
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hiusi i cancelli di EXPO Milano 2015 che tante critiche ha sollevato in quanto ad organizzazione, ma tante prospettive dovrebbe aver lasciato aperte nel corso di sei mesi, con 145 Paesi partecipanti, tre Organizzazioni internazionali aderenti (ONU, Unione Europea e CERN), tredici organizzazioni della società civile, tra cui Caritas, Oxfam, WWF e Save the Children, 58 padiglioni, circa 1.300 operai impegnati giorno e notte nei cantieri, un totale di 4.000 operatori coinvolti nella realizzazione del progetto. Questi i numeri, al netto delle cifre più interessanti, cioè gli incassi, ancora mistero non svelato mentre scriviamo. “Un progetto planetario mai sperimentato prima: 184 giorni unici e irrepetibili, fatti di cultura e scienza, innovazione e tradizione, sostenibilità e solidarietà”, recita il sito ufficiale di Expo, abbondantemente criticato anch'esso, ma tant’è… Conclusa la kermesse, il momento è topico per i dovuti bilanci oltre i numeri, a partire dal contributo fornito dalla ricerca scientifica ai temi dell’Esposizione Universale. Qualche giorno prima dell’archiviazione definitiva di Expo Milano 2015, gli attori principali della comunità scientifica che hanno animato questo semestre si sono riuniti in conferenza stampa, con l’obiettivo di sintetizzare i contenuti affrontati e le innovazioni emerse dai numerosi incontri, seminari, conferenze ed eventi organizzati nei sei mesi dell’Esposizione Universale. I protagonisti: Claudia Sorlini, Presidente del Comitato Scientifico per Expo Milano 2015 del Comune di Milano, Gianluca Vago, CRUI Conferenza Rettori Università Italiane, Francesco Loreto, CNR Consiglio Nazionale delle Ricerche, Marcello Donatelli, CREA
Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, Massimo Iannetta, ENEA Agenzia Nazionale per le Nuove tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile, e Giancarlo Caratti, Vice Commissario per il Padiglione dell’Unione Europea a Expo Milano 2015, a moderare Simone Molteni, Direttore editoriale di ExpoNet, magazine ufficiale di Expo Milano 2015. Dalla conferenza è emerso che Expo Milano 2015 ha permesso di fare sistema tra i vari centri di ricerca. “Non si può fare solo ricerca applicata - ha sottolineato Caratti - ma va sempre accompagnata da quella di base. Bisognerebbe favorire il trasferimento di conoscenza e creare un Intergovernmental Panel sulla Food Security, che possa interagire con il lavoro svolto con quello sul cambiamento climatico”. Sorlini ha dichiarato fondamentale la continuità nel mantenere concreta l’attenzione su alcuni temi evidenziati da Expo Milano 2015, come quello di genere con WE-Women for Expo e la Carta di Milano. “L’impegno a proseguire con l’approccio territoriale, che ha reso possibile la proficua collaborazione tra le istituzioni scientifiche, va oltre questa Esposizione Universale. L’approccio sistemico ha permesso di esaltare i risultati di ricerche, come quelle sui geni e piante resistenti a parassiti e siccità sviluppate nel Nord Africa”. “Expo Milano 2015 – ha spiegato Vago – ha rappresentato una presa di coscienza del ruolo della ricerca, e l’unico obiettivo che dobbiamo porci è di dare continuità a questa collaborazione tra organi scientifici”. “Grazie alle 24 conferenze scientifiche e quelle organizzate insieme alla Cooperazione Internazionale siamo riusciti in maniera anche divertente –ha rimarcato Loreto a far passare i messaggi chiave legati alla
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food quality e food safety (…) metà dei brevetti sono sfruttati commercialmente, a evidenziare il nostro apporto verso il trasferimento scientifico. Le cinque tematiche sono: intensificazione della produzione sostenibile, ottimizzazione delle risorse, multifunzionalità, difesa e bio-sicurezza, nuove frontiere alimentari”. Durante il semestre, il Crea ha contribuito con 12 incontri. “La produzione di cibi sani e sicuri per tutti, la conservazione delle risorse naturali, la vitalità delle aree rurali, la redditività e la sostenibilità dei sistemi agricoli, e l’educazione alimentare sono i temi attorno ai quali ruota il dibattito sul futuro modello di agricoltura – ha affermato Donatelli - E non è un caso che siano gli stessi alla base della Carta di Milano, il documento che rappresenta l’eredità culturale di Expo 2015, in cui la
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ricerca ha un ruolo essenziale, ponendosi come fondamento scientifico per affrontare le sfide del futuro”. Iannetta, concludendo i lavori, si è soffermato sull’apporto delle nuove tecnologie “come l’esempio di vertical farm all’interno del Future Food District, che permette di ridurre il consumo di acqua o la pubblicazione di studi che pongono l’accento sui terreni da non sottrarre alla coltivazione di cibo”. “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”, ce la possiamo fare Expo ci dice, dunque. Sempre che si riesca ad attivare circuiti virtuosi in grado di recepire quanto stilato in sede istituzionale e a concretizzare le operatività. Per non restare solo sulla Carta, insomma. Foto credit: Marco Iazzetta
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DiCaprio: il ragazzo diventato star… Senza Oscar di Michele Botti
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a sua interpretazione in Shutter Island è stata semplicemente magnifica, in Wolf of Wall Street è stato un perfetto ed eccessivo uomo d’alta finanza, non parliamo poi di Inception o di Gangs of New York in cui ancora una volta si dimostra attore di grido e tra i migliori del cinema moderno. Ma d’altronde il luogo di nascita vorrà dire pure qualcosa. Se chi nasce a Broadway probabilmente avrà qualche talento per canto e ballo, chi nasce a Las Vegas magari è portato alla vita notturna, chi, come il protagonista in questione, nasce ad Hollywood bè, il cinema lo ha nel sangue. Scusate la lunga introduzione, ma stiamo parlando di Leonardo “Leo DiCaprio” classe 1974, nato direttamente nel quartiere "In" della città californiana. DiCaprio esordisce giovanissimo nel mondo della televisione, si ricordano sue apparizioni nel telefilm “Genitori in Blue Jeans”, ma raggiunge il top della sua popolarità qualche anno dopo quando nel 1997, James Cameron lo seleziona per interpretare il ruolo dello sfortunato protagonista di quello che sarebbe diventato il film con il più alto incasso nella storia del cinema: Titanic. Quello che sembrava poter essere un fenomeno di un solo film, trascinato dalla faccia d’angelo e dallo sguardo magnetico, ha però smentito la critica e l’opinione pubblica, dimostrandosi attore poliedrico capace di interpretare ruoli dal comico al drammatico passando per il thriller. Il ragazzino di Hollywood ormai è cresciuto, lo scorso 11 novembre Leo ha spento sulla propria torta la bellezza di 41 candeline. Leo è ormai un’icona del cinema mondiale, il degno erede di mostri del calibro di Robert De Niro, Al Pacino e Dustin Hoffman, e sinonimo di garanzia per i film diretti
dai più importanti registi come Christopher Nolan, Steven Spielberg, Ridley Scott, Quentin Tarantino e soprattutto Martin Scorsese. Una carriera costellata di successi, di riconoscimenti da parte della critica e del pubblico ma che non ha trovato, almeno per il momento, la stessa soddisfazione per quanto riguarda i premi. Nonostante le 32 nomination complessive, sono soltanto tre i riconoscimenti portati a casa da DiCaprio: 2 Golden Globe, ottenuti con The Aviator e The Wolf of Wall Street, e un Critics’ Choice Movie Awards, conquistato sempre grazie al ruolo di Jordan Belfort nel già citato The Wolf of Wall Street. È in particolare il mancato conseguimento dell’Oscar, per cui vanta comunque cinque nomination per Buon Compleanno Mr.Grape, The Aviator, Blood Diamond e due (manco a dirlo) per The Wolf of Wall Street, che hanno reso uno dei più grandi attori viventi oggetto di ironia e derisione sulla rete. Dalle immagini alle frasi in effetto, fino a strani fotomontaggi insieme a Lady Oscar, l’unico Oscar che Leo può ricevere. Noi intanto aspettiamo il prossimo capolavoro che il ragazzo di Hollywood saprà regalarci perché Oscar o non Oscar, il numero uno è lui: Leonardo DiCaprio.
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Intelligenza, genio e falsi miti… perché genio si diventa, non si nasce di Enrico De Pompeis
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n talento colpisce un bersaglio che nessun altro può colpire; un genio colpisce un bersaglio che nessun altro può vedere» cit. Arthur Schopenhauer. L’intelligenza, la genialità, sono temi che hanno da sempre suscitato l’interesse non solo di studiosi, filosofi e ricercatori ma anche delle persone più comuni. Nell’immaginario collettivo l’etichetta di “genio” è molto spesso assegnata a persone particolarmente brillanti, dalla spiccata attitudine alla risoluzione di problemi arrivando a soluzioni, per riprendere la citazione di Schopenhauer, a cui altri non avevano nemmeno pensato. I primi studi scientifici sulla genialità risalgono ai primi del ‘900 quando lo psicologo Alfred Binet ideò il primo test di intelligenza con l’intenzione iniziale di identificare i bambini che avevano bisogno di sostegno nelle materie scolastiche. Successivamente, il tedesco William Louis Stern coniò il termine I.Q. (abbreviazione di “Intelligence Quotient”, dal tedesco Intelligenz-quotient) e lo definì come la risultante della formula (età mentale/età biologica)*100; L’utilizzo del test, così come lo conosciamo oggi, si deve tuttavia allo studio di David Wechsler che nel 1939 pubblicò il primo test d’intelligenza appositamente realizzato per la popolazione adulta, la Wechsler Adult Intelligence Scale (o WAIS). Ma cos’è la genialità? Il genio è davvero così più intelligente degli altri? Sono sempre più gli studi che propendono per una risposta negativa a questa domanda. Il genio non è un uomo (o donna che sia) più intelligente o abile rispetto ad altri, ma uno che pensa in modo diverso, fuori dagli schemi e, molto spesso, anche in
maniera insolita. Se possibile, esistono varie tipologie di geni o diversi modi di manifestarsi. Ci sono quei soggetti che individuano problemi e soluzioni in tempo breve e che sono particolarmente propensi alla trasparenza ed alla volontà di sottolineare il raggiungimento di un loro risultato rispetto al gruppo. Diametralmente opposta invece quella tipologia di genio che da il meglio delle proprie capacità se lavora in totale isolamento, lontano dal gruppo, caratteristica piuttosto comune nelle menti brillanti della scienza o dell’informatica. Imprevedibili, capaci di sviluppare idee innovative, molto creativi e spesso affetti da un brutto carattere, in alcuni casi addirittura affetti da un disturbo bipolare, sono quei geni che hanno invece rivoluzionato le regole ed il tradizionale modo di pensare di certe materie. Esempi iconici sono quelli di Mozart o Beethoven per la musica, oppure Michelangelo e Leonardo - quest’ultimo universalmente riconosciuto come il più grande genio di sempre - per la pittura e l’arte in generale. Geni si nasce o si diventa? L’intelligenza è sicuramente frutto di capacità intellettive, gentilmente elargite da madre natura, ma un ruolo importante lo giocano anche aspetti quali bagaglio culturale ed estrazione sociale. Secondo un recente studio svolto dall’Università di Cambridge, la genialità deve essere coltivata giorno dopo giorno con lavoro, impegno e abnegazione nelle attività di proprio interesse. Stando a quanto prodotto dalla ricerca, le straordinarie capacità di questi cervelloni sono il frutto di un massiccio ricorso alle proprie doti naturali, corredate da un altissimo livello di istruzione e da uno stimolo a
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migliorarsi e mettersi continuamente alla prova. È quanto dimostrato dal neurologo, psichiatra e neuroscienziato Eric Kandel, il quale dimostrò, nella ricerca che gli valse il premio Nobel, di come lo studio e il continuo allenamento incrementassero le connessioni cerebrali associate alla memoria, costituendo di fatto una base su cui costruire il proprio genio. Un allenamento che sembrerebbe produrre effetti dopo circa 10 anni di duro lavoro. La “regola dei 10 anni”, elaborata dallo psicologo Benjamin Bloom dell’Università di Chicago, suggerisce infatti che per quanto il talento sia solido e innato, occorrono almeno dieci anni di pratica per raggiungere l’esplosione. Nello studio, che esamina atleti, attori, artisti e scienziati, sono citati casi famosi come quello di Mozart che nonostante avesse imparato a suonare il violino a 3 anni, e a comporre sinfonie a 7, soltanto da adulto iniziò a produrre la prima musica; Ancora Einstein che da scolaro svogliato, rivoluzionò il mondo della fisica solo dopo i 25 anni d’età. Ma come si riconosce un genio e quali sono i suoi tratti comuni? Sono diversi i luoghi comuni legati alle persone dallo spiccato intelletto. Tra i più frequenti sicuramente quello legato alle ore di sonno. Stando a leggende metropolitane sembra che una prerogativa di due tra i più grandi geni della storia come Leonardo Da Vinci e Albert Einstein fosse quella di dormire giusto un paio d’ore a notte ritenendo il sonno, più che altro, una “perdita di tempo”. Recenti studi, in ultimo quello della London School of Economics, hanno addirittura riconosciuto l’insonnia come un vero e proprio disturbo delle menti geniali a causa dell’iperattività del proprio cervello. Dal
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pediatra austriaco Hans Asperger il riconoscimento di una vera e propria sindrome – poi riconosciuta come Sindrome di Asperger. Secondo questo studioso, molte personalità geniali, soprattutto in campo matematico e scientifico sono afflitte da forme di autismo “ad alto funzionamento”, e ne sarebbero portatori anche i geni dell’informatica come Steve Jobs e Bill Gates, entrambi dotati di un Q.I. pari a 160. Stesso identico risultato dei più illustri Albert Einstein e Stephen Hawking ma comunque inferiore al genio di Galileo (185) e all’indiscusso numero uno della storia Leonardo Da Vinci (205).
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Il Microbiota: uno, nessuno e centomila
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Colesterolo: è davvero una storia di buoni e cattivi? a cura di Mangiamo Naturalmente
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arlando di colesterolo, la prima cosa che va detta è che un suo eccesso è correlato ad un aumento del rischio cardiovascolare; il valore maggiormente in grado di prevedere l’aumento di questo rischio è il rapporto Colesterolo Totale/HDL (che dovrebbe essere <5 negli uomini e <4,5 nelle donne). Vanno però chiariti tre aspetti sul colesterolo: non sappiamo misurarlo (infatti dosiamo le proteine che lo trasportano, HDL ed LDL), ne esiste uno solo (non ce n’è uno buono e uno cattivo) ed è “semplicemente” indispensabile alla vita. Infatti è un componente degli acidi biliari, serve a rendere flessibili le membrane cellulari, a produrre gli ormoni steroidei e la vitamina D. Tanto è importante che lo produciamo: il nostro fegato (in parte anche intestino e pelle) si prende la briga di sintetizzarne circa l’80% del fabbisogno, mentre il resto viene assunto con la dieta. I valori ematici del colesterolo possono essere innalzati dall’assunzione di sostanze (per es. farmaci) o cibi poco tollerati dall’organismo; in questo caso aumenta il livello di HDL ed LDL circolanti nel sangue che trasportano queste sostanze nel fegato, che si preoccupa di metabolizzarle e poi le elimina. Inoltre, sorprendentemente, il controllo della riduzione della produzione di colesterolo coinvolge in buona parte l’insulina. Quindi tentare di ridurre l’ipercolesterolemia semplicemente riducendo l’apporto di grassi animali e senza analizzare le abitudini alimentari spesso risulta fallimentare, perché si finisce per mangiare una maggiore quantità di zuccheri (per esempio quelli contenuti nella frutta fresca) aumentando, di conseguenza, la produzione di insulina.
Un ultimo motivo per cui si osservano valori nettamente più alti rispetto a quelli di riferimento è l’ipercolesterolemia familiare, una patologia genetica dovuta all’alterazione dei recettori per le LDL, che conseguentemente aumentano. Solo in questo caso, più precoce è l’inizio della terapia farmacologica, più questa è efficace e riesce a ridurre il rischio cardiovascolare, altrimenti la terapia farmacologica dovrebbe essere istituita solo se il cambiamento dello stile di vita non dà risultati. Per supportare l’approccio alimentare, può essere utilizzato un integratore a base di riso rosso fermentato, in grado di ripristinare più velocemente il quadro lipidico. Questi integratori vanno comunque sempre assunti sotto il controllo di un Professionista, in quanto possono avere delle controindicazioni.
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Maestro, bis? «No!» di Elena Mittino
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uci spente, sono trascorse sicuramente più di due ore. Emozione e adrenalina alle stelle. Lui se ne è andato, ma tanto siate certi che salirà ancora e qualcosa ve lo concederà di nuovo. Funziona sempre più o meno così ai concerti: al termine dello spettacolo un bis la star lo fa sempre, soprattutto come forma di rispetto nei confronti di quelle migliaia di persone che sono lì apposta per lui. Nessuno si sognerebbe un rifiuto categorico. Eppure, qualcuno lo ha fatto. Non un vero «no», ma quasi: «Paganini non ripete», questa la frase che Niccolò, Paganini appunto (Genova 1872 – Nizza 1840), ha pronunciato quando gli è stato chiesto un bis. E non si è riferito a una persona qualunque: la risposta era indirizzata al re, Carlo Felice (Torino 1765 – Torino 1831). Era il 1818, mese di febbraio, teatro Carignano di Torino. Il compositore dà vita a uno dei suoi meravigliosi concerti, tanto che proprio il re, presente tra il pubblico, gliene rende merito e vorrebbe riascoltarlo. Ma la richiesta di colui che sarà il futuro re di Savoia non viene esaudita. Risultato? A Paganini è stato fatto divieto di eseguire il terzo concerto previsto dalla tournée. E per forza, come ci si può rivolgere così al re? Una sorta di scomunica? No, però a sua volta Paganini rilancia il boomerang e di suo pugno annulla i concerti a Vercelli e Alessandria. Ma perché tutto questo? È così corretto il motivo per cui oggi noi stessi utilizziamo la sua frase, divenuta ormai detto popolare?
Niccolò Paganini ha rifiutato il bis perché, come si dice, amava improvvisare, raggiungendo una qualità massima nelle sue opere, e non avrebbe potuto mai riproporre un’esecuzione identica alla precedente, e l’impegno era talmente oneroso che a volte arrivava a ledersi i polpastrelli della mano. Quindi «Paganini non ripete». Oggi il detto viene utilizzato con accezione diversa, o meglio con un’accezione che forse arriva proprio dal 1818, ma solo se se ne prende l’apparenza. Come se il più grande violinista, che ha influenzato tutti i musicisti a venire, avesse voluto peccare di superbia e forse anche di hybrys (il re allora aveva una forte considerazione), la frase è usata scherzosamente come a dire «Te l’ho detto una volta, spero tu abbia capito, anche perché non ho intenzione di ripetertelo» o anche per accompagnare una sorta di minaccia che sarebbe stata messa in atto dopo solo una prima avvisaglia. Paganini sicuramente, allora ne ha risentito, tanto da scrivere poi al suo avvocato e amico Germi dicendo: «In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire», una considerazione molto forte per il tempo data la fama sì europea, ma soprattutto il legame con quella che sarà l’Italia. Con molta probabilità però, tra il 1836/1837 Paganini torna in città proprio con un concerto per ringraziare Carlo Alberto per la concessione di legittimazione del figlio Achille. Ma comunque, non si è ripetuto.
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Dracula: la storia di Vlad, il primo e più famoso vampiro al mondo di Luciana Cameli
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l conte Dracula è un personaggio letterario dell’omonimo romanzo dello scrittore irlandese Bram Stoker, pubblicato nel 1897. Ispirato alla storia del vero conte Vlad III di Valacchia detto “l’Impalatore”, vissuto nel 1400, Stoker rende popolare Dracula evidenziando il suo carattere crudele e sanguinario. Pensando a lui ci vengono subito in mente i sui canini affilati per mordere sul collo e succhiare sangue agli essere viventi, nonché il maestoso castello, e la sua vita da vampiro. Il vero Vlad III fu chiamato Dracula con il significato in rumeno di “Figlio del Drago” o anche del Diavolo, nome derivato dal fatto che il padre era membro dell’Ordine del Drago. Ma mentre Stoker rappresenta un personaggio dark e gotico, il vero Dracula è stato un eroe patriottico che ha difeso con il sangue la sua Romania dai Turchi. Tra Dracula e Vlad III vi sono di certo differenze, ma molti fanno fatica a distinguere il personaggio dall’uomo realmente esistito. Stoker scrive vagamente delle origini del suo Conte ma si sa che prima di diventare spietato era un nobile proprio come Vlad e, una volta assassinato tra le guerre sante, fa un patto con il diavolo per ritornare in vita da vampiro. Tra i protagonisti che ruotano intorno a lui ci
sono il suo fedele Renfield e i nemici Van Helsing e Jonathan Harker, nonché Elizabeth Bathory, vampira anche lei grazie al Conte. Renfield è un pazzo che si nutre di animali, e si trova alle dipendenze di Dracula. Il professor Van Helsing invece tenterà di annientare il potere occulto del Conte, mentre il giovane avvocato Harker, trovatosi nel castello di Transilvania per conto di un’agenzia immobiliare per alcune proprietà di Londra, lotterà contro il vampiro fino alla morte di quest’ultimo. La Romania e la regione della Transilvania fanno da scenografia alle vicende di Dracula ma soprattutto al suo grande e temuto Castello. Ancora oggi è facile associarlo a questi luoghi. Tuttavia, il Conte Dracula è conosciuto e temuto da tutti come un vampiro pericoloso che animava le notti del Castello e si nutriva di sangue umano. È divenuto popolare in tutto il mondo probabilmente per il suo aspetto di “mostro” fuori dal comune e dai notevoli poteri mentali e fisici, in grado di guarire, trasformarsi, rigenerarsi e trasmettere il suo essere agli altri tramite i suoi morsi fatali. Addormentarsi nella tomba ed essere vivo ad ogni risveglio è la sintesi di un vampiro, e quando morirà veramente sarà finalmente in pace con se stesso e libero con il mondo.
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