Helen Fitzgerald Helen Fitzgerald, docente universitaria, è stata tra le prime in America ad affrontare il tema dei bambini di fronte alla morte. Ha diretto il “Programma del Dolore” al Mt. Vernon Center per la Salute Mentale della Comunità ad Alexandria, in Virginia.
In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
MI MANCHI TANTO! Come aiutare i bambini ad affrontare il lutto
MI MANCHI TANTO!
L’inizio di un cono gelato fino ad assaporarne le ultime leccate, l’inizio di una gita emozionante fino all’assonnato arrivo alla lontana destinazione, l’alba seguita dal tramonto. La nostra vita consiste di inizi e conclusioni, la maggior parte dei quali viene condivisa dai bambini. E poiché la morte è la conclusione naturale della vita, anch’essa dev’essere condivisa coi propri bambini se si desidera che essi abbiano la possibilità di maturare. La morte distrugge il mondo apparentemente sicuro e protetto dell’infanzia. Spiegare la morte a un bambino, pertanto, è uno dei compiti più complessi che un adulto è chiamato ad affrontare. Spesso, dinanzi a tale difficoltà, gli adulti preferiscono il silenzio o la bugia, inconsapevoli che, privando i bambini di una corretta esperienza del vuoto generato dalla morte, possono produrre dei disturbi profondi nella crescita. Se si sceglie di dire loro la verità, in modo affettuoso e premuroso, e se gli si consente di esprimere la loro sofferenza, si scopre che i bambini sono capaci di accettare anche le perdite più dolorose e sconvolgenti in cui spesso ci si imbatte nella vita. Questo libro è uno strumento, semplice e immediato, ma altrettanto profondo e indispensabile, per quei genitori che non vogliono eludere il dovere di aiutare i loro bambini a gestire la morte di una persona cara, dal problema del linguaggio da usare a quello della visita alle persone malate, dalla questione della presenza al funerale alle spiegazioni dei casi difficili come l’omicidio o il suicidio.
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ISBN 978-88-87507-47-3
Euro 13,00 (I.i.)
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Traduzione italiana di Rosalba de Pinto
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Indice
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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Una comunicazione di carattere personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Guida alla lettura del libro . . . . . . . . . . . . . .12 Avvicinare il bambino alla realtà della morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14 La reazione dei bambini alla morte . . . . . . . .18 Affrontare la realtà della morte . . . . . . . . . . .27 Occuparsi della reazione emotiva del proprio bambino . . . . . . . . . . . . . . . . . . .42 Adattarsi a una nuova vita . . . . . . . . . . . . . . .60 Non è mai troppo tardi . . . . . . . . . . . . . . . . .70 Superare da adulti le sofferenze della propria infanzia . . . . . . . .73 Suggerimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . .81
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Una comunicazione di carattere personale
Ciò che condivido con voi in questo libro non deriva tanto da libri o da attività accademiche ma dalla vita, cioè dalla mia esperienza come moglie di un malato di cancro, come vedova e madre di quattro bambini senza padre e, infine, come terapista che cerca di aiutare la gente che soffre. Sono una persona la cui carriera è iniziata con una tragedia: la lunga malattia e la morte del mio primo marito. Un giorno, mentre mio marito era in coma in ospedale, un medico notò che leggevo un libro sulla morte e sul trapasso. Sapendo che la malattia di mio marito era andata avanti per anni, il giovane medico mi chiese se volessi condividere le mie esperienze con un gruppo di medici e assistenti sociali. Sorpresa e compiaciuta acconsentii ma poi mi chiesi se non avessi perso la ragione. Non avevo mai parlato prima davanti a un pubblico e non avevo mai condiviso con degli estranei qualcosa di così personale. Nonostante questi timori riuscii ad affrontare questo primo discorso e trassi da esso la consapevolezza che avevo qualcosa da dire: qualcosa che avrebbe potuto aiutare altri in simili situazioni. Anche se allora non me ne resi conto, la mia carriera cominciò in quel momento. Quando mio marito morì dopo quasi
tre anni di malattia terminale, Patti aveva quindici anni, Sarah ne aveva tredici, Chuck dodici e Mary otto. Guardando indietro rabbrividisco di fronte agli errori che ho commesso con i miei figli. Solo ora capisco perché si arrabbiarono con me quando tardivamente dissi loro che il loro padre stava morendo. Come tantissimi genitori avevo supposto di doverli proteggere da notizie tristi o inquietanti. Mi sbagliavo. Il primo segno che mio marito potesse avere un problema era apparso dodici anni prima quando, leggendo la ricevuta di un medico, scoprii che aveva fatto un elettroencefalogramma. Quando gli chiesi spiegazioni, egli rifiutò di approfondire la questione dicendo che non era nulla. Di tanto in tanto, da allora, notai che aveva un attacco o un accesso di qualche tipo, ma questi episodi erano brevi e non sembravano granché preoccupanti. Si schiariva la gola, si massaggiava il capo e a volte smetteva di parlare nel mezzo di una frase. Qualche volta diventava molto pallido come se stesse per svenire. Poi ritornava a ciò che stava facendo. Passarono anni senza che nulla fosse detto riguardo a queste anomalie. Mio marito era contrario a discuterne e io, a mia volta, non dicevo nulla ai bambini, in parte perché egli si rifiutava di ammettere che tali episodi avessero luogo e in parte perché io stessa non sapevo cosa pensarne. Poi durante l’estate del 1971, mentre eravamo in un villino in riva a un lago con dei parenti, gli attacchi divennero visibilmente più gravi e non duravano più pochi minuti, ma un’ora o più. Gli venne infine diagnosticato un tumore al cervello probabilmente benigno per via della sua crescita lenta. Tuttavia dicemmo molto poco ai bambini, anche quando mio marito subì un’operazione chirurgica al cervello per asportare quello che si rivelò un tumore maligno piuttosto esteso. Forse era un atteggiamento tipico del passato che ora – così spero – è cambiato ma il medico mi dissuase dal dire a mio marito che aveva il cancro. Naturalmente ciò significava non dirlo neanche ai bambini perché non ci si poteva aspettare che mantenessero un simile segreto. Quando tornò a MI MANCHI TANTO!
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casa dopo sei settimane trascorse in ospedale i bambini videro un padre molto diverso, cambiato nell’aspetto e, dolorosamente, nel carattere. Adesso doveva portare una tracolla per il braccio sinistro. La sua gamba sinistra aveva bisogno di un sostegno e doveva usare un bastone per camminare. Peggio ancora, era diventato molto irritabile e attaccava spesso me e i bambini. Sebbene fosse tornato a lavorare part-time per un periodo, egli vedeva venir meno il suo ruolo di marito, padre e sostentatore della famiglia e ciò contribuiva ad accrescere la sua rabbia e la sua frustrazione. Quando divenne evidente che egli non era più in grado di lavorare e fu costretto a ritirarsi, la vita in casa peggiorò ulteriormente. Tuttavia, pur in quella situazione, ai bambini fu detto poco o niente. Sebbene io sapessi che aveva il cancro e che egli non poteva non rendersene conto, quella parola tra me e lui non fu mai pronunciata. I bambini furono tenuti all’oscuro. In base a quel po’ che sapevano, il padre avrebbe ancora potuto guarire e tornare a essere se stesso. Questo è il modo in cui allora la maggior parte delle persone affrontavano le malattie mortali. Adesso so che i nostri bambini allora avvertivano che stesse accadendo qualcosa di più di quel che veniva loro detto. Erano spesso irritabili, manifestavano rabbia e mi facevano richieste che mi sembravano impossibili. Quando finalmente, poco dopo l’ultimo ricovero in ospedale di mio marito, dissi loro che stava morendo, ci fu quasi un senso di sollievo. Mi dissero che avevano capito che c’era qualcosa che non andava ma, dal momento che non sapevano cosa fosse, non sapevano come essere d’aiuto. Da allora cominciammo a fare fronte comune, a collaborare, e all’interno della nostra famiglia un senso di intimità si sostituì alla tensione. Dopo due mesi mio marito entrò in coma e, sette mesi più tardi, morì. Fu in quel periodo che mi fu chiesto di tenere quel discorso. Come ricompensa fui invitata a un pranzo informale con la dottoressa Elisabeth Kübler-Ross, l’au10
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trice del libro che stavo leggendo. Durante il pranzo, a base di tramezzini e consumato sugli scatoloni posti dietro il palco su cui lei stava per parlare, avevo molte domande da rivolgerle. Volevo sapere cosa fare con i miei figli e come aiutarli ad attraversare questo momento terribile. La sua risposta coincide con l’inizio della mia consapevolezza dell’importanza della franchezza e della sincerità nel rapporto coi propri figli. Mi disse che i bambini hanno bisogno di essere informati delle cose importanti che accadono a coloro che amano. Mi raccomandò inoltre di dare ai miei figli l’opportunità di visitare il loro padre in coma e morente, se possibile, quella notte stessa. Poi, parlando al gruppo di persone lì riunite, disse che aveva appena incontrato qualcuno che voleva usare la propria esperienza di moglie di un marito morente per aiutare altre persone in simili circostanze. Solo Mary scelse di far visita a suo padre ma, poiché eravamo nel periodo natalizio, tutti i ragazzi aiutarono a decorare un piccolo albero di Natale per esprimere il loro affetto. Qualche tempo più tardi anche Sarah andò a visitarlo. Fu l’ultima volta che qualcuno di loro vide il padre ancora in vita. Morì circa tre mesi dopo. Ispirata dalla dottoressa Kübler-Ross, mi offrii come volontaria per lavorare con pazienti terminali nell’ospedale in cui allora lavoravo. Lì un oncologo mi conosceva per via dell’assistenza prestata a mio marito l’anno precedente e mi consentì di fare visita ad alcuni dei suoi pazienti. All’incirca nello stesso periodo organizzai il terzo capitolo del gruppo di autosostegno Make Today Count, costituito per aiutare le persone che soffrono di malattie mortali come il cancro. Ho continuato a lavorare con quel gruppo per anni. Nel 1977 veniva offerta a qualcuno l’opportunità di dirigere un programma del dolore nella grande contea in cui vivo; in tutta la nazione fu il primo programma di tal genere in un centro di salute mentale della comunità. Cercavano qualcuno con un dottorato o con una laurea di secondo grado ma, per via del lavoro come
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volontaria che avevo fatto, insieme a parecchi anni di lavoro come terapista della creatività in un’unità psichiatrica, per via della mia formazione specializzata da parte di professionisti, attraverso lo studio autodidattico e la mia personale esperienza tragica, il direttore del centro decise di correre il rischio con me. Sono ancora lì e gestisco un programma che comprende consulenza individuale, seminari per vedovi/e, conferenze, scrivere e guidare gruppi di autosostegno di vario tipo. Durante i primi anni in cui svolgevo questo lavoro divenni consapevole della necessità di aiutare i bambini che soffrono, ma si supponeva che ai bambini mancasse la maturità per aiutarsi l’un l’altro in situazioni di gruppo. Allora sviluppai ciò che io chiamo un modello educativo di sostegno. Esso consiste nell’usare strumenti educativi per istruire i bambini riguardo al processo del dolore, consentendo poi loro di interagire l’uno con l’altro in un contesto di gruppo. Ha avuto molto successo, tanto che ho ricevuto richieste di informazioni e consigli da parte di professionisti di tutto il mondo. Esso forma l’anima di questo libro. Guardando la mia vita a partire dal terribile giorno in cui mio marito morì, sento che egli con la sua morte mi ha fatto un dono che non avrebbe mai potuto prevedere: un compito da portare a termine nella mia vita. Ho scoperto che, se da un lato le persone amate che ci hanno lasciati non si dimenticano mai, la vita di chi resta può essere ricca, gratificante e felice. Mi auguro che sia lo stesso anche per voi.
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La reazione dei bambini alla morte
I bambini soffrono davvero? I genitori fanno spesso questa domanda quando si trovano a dover decidere se includere o meno il loro bambino nei rituali che accompagnano una morte. Credo che questa domanda sorga anche perché, benché ci siano delle somiglianze, il dolore nell’infanzia è diverso da quello che si prova da adulti. Gli adulti hanno un’idea più chiara del carattere definitivo della morte. Quando un coniuge muore, ogni minuto del giorno richiama quella perdita alla mente del coniuge rimasto in vita. Alzarsi al mattino, scegliere gli abiti da indossare o il cibo da portare in tavola, occuparsi di faccende che un tempo venivano svolte insieme, decidere come trascorrere la serata, e soprattutto le ore notturne ricordano costantemente che manca qualcuno. Gli adulti sentono il dolore in modo più intenso e concentrato. I bambini, al confronto, non sono in grado dal punto di vista cognitivo di capire la morte come noi. Quindi essi soffrono senza lo stesso livello di comprensione di ciò che sta accadendo loro, perché non hanno ancora avuto esperienza di qualcosa di definitivo come la morte di qualcuno. I bambini si rattristano più sporadicamente degli adulti. I bambini che soffrono per la morte di un genitore proveranno quel dolore per molti anni ma 18
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senza l’intensità dell’inizio. Essi sentiranno il dolore specialmente quando nella loro vita si verificheranno grossi eventi, quando otterranno un successo scolastico o quando vinceranno una gara di nuoto, quando andranno al campeggio o avranno il primo appuntamento. Questo processo continuerà mentre avanzano verso l’età adulta, ricordando loro ciò che hanno perso, man mano che si avvicinano al diploma o alla laurea, al matrimonio, alla nascita dei loro figli, a nuove promozioni sul lavoro: tutti momenti che avrebbero voluto condividere con la persona che è venuta a mancare quando erano giovani. I bambini sono più capaci degli adulti di accantonare il dolore. Poiché l’emozione del dolore è per loro così difficile da affrontare, i bambini spesso si concentreranno per un po’ di tempo su cose più piacevoli. Quando a una ragazzina di tredici anni fu detto che suo padre era morto, lei rispose «Possiamo tenere un micino?» In seguito mi disse che aveva voluto pensare a qualcosa di “divertente” che la distogliesse dalla sofferenza che stava provando. Mentre lavoravo con dei bambini in un quartiere dove era stata uccisa una ragazzina, osservai una bambina di otto anni che disegnava scene del suo recente compleanno: ancora una volta un tentativo di concentrare la mente su qualcosa di piacevole. Ciò non è atipico per bambini che si trovano di fronte a una così dura realtà. I bambini non devono affrontare i tanti elementi che richiamano la perdita allo stesso modo degli adulti. Ai bambini vengono risparmiati i fastidiosi dettagli che accompagnano la morte: l’organizzazione dei funerali, il testamento, i conti bancari, le polizze di assicurazione e tutte le questioni pratiche che sommergono gli adulti sopravvissuti alla morte di una persona amata. Non dovendo occuparsi di tali faccende, tuttavia, i bambini perdono qualcosa della realtà della morte. Ciò crea in loro il bisogno di affrontare
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quella realtà al proprio livello e i genitori devono aiutarli in questo. I bambini subiscono importantissimi cambiamenti evolutivi. A ogni stadio dello sviluppo i bambini percepiscono la morte in modo differente. Un bambino di età prescolare non può comprendere l’espressione “per sempre”. Si può dire a un bambino che ha appena imparato a camminare che papà è morto e che quando qualcuno muore se ne va via per sempre. Il bambino andrà fuori a giocare e dopo un’ora tornerà dalla madre per chiederle «Quando torna a casa papà?» Per questo bambino una sola ora equivale a “per sempre”. Questa convinzione è ulteriormente favorita dai cartoni animati che il bambino guarda in televisione. Si prenda la classica situazione del cartone animato in cui un animale si schianta o viene gettato giù da una rupe, e quindi resta ucciso, per poi tornare alla vita nella scena successiva, senza alcun problema causato dalla precedente esperienza. In questo modo i bambini possono essere indotti a credere che la morte sia reversibile. Potete aiutare vostro figlio evitando programmi di questo genere e spiegandogli la differenza tra televisione e vita reale. Rispondete coerentemente alle domande sulla realtà della morte. Il vostro bambino ha bisogno di sentire e risentire la stessa informazione più volte prima che questa cominci a essere assimilata. «Papà è morto e quando una persona muore non può mai tornare indietro. È andato via per sempre». I bambini della scuola materna stanno cominciando a imparare che la morte è reale. Forse la loro insegnante ha letto loro un libro sulla morte. Tuttavia finché la morte resta fuori dal circolo dei loro familiari e amici, è probabile che essi vengano fuorviati dalla fantasia e credano che, se si è abbastanza attenti e scaltri, si può evitare la morte. I bambini di quest’età possono sentirsi molto potenti. Se qualcuno muore potrebbero sentirsi in colpa nella con-
vinzione che, se fossero stati sul posto e avessero agìto per tempo, avrebbero potuto impedire quella morte. Generalmente i bambini di quest’età credono che la morte riguardi solo le persone anziane e, per via di questa convinzione, potrebbe capitare che vostro figlio vi chieda se voi siete già vecchi. Se un lontano parente o un parente di mezz’età morisse, questa potrebbe essere un’opportunità per mostrare al bambino un funerale e il definitivo allontanamento che la morte comporta. I bambini della scuola elementare tendono a vedere la morte come un essere tangibile, come un fantasma, uno spettro, una figura incappucciata con la falce. Questa è l’età delle storie di fantasmi, di immaginarie e solitarie avventure notturne nei cimiteri dove una mano può spuntare fuori da una tomba e afferrare una persona. I bambini di questa età sanno che la morte può capitare a una persona giovane come a una persona anziana e che essa può avere molte cause. Tuttavia credono ancora che la morte di solito riguardi altre persone. Intorno ai dieci anni circa i bambini cominciano a temere davvero che un genitore possa morire e possono avere degli incubi riguardo a questo. A questa età il bambino può avere provato la morte di un animale domestico. Questa è un’opportunità per continuare a insegnare ai bambini cosa sia la morte. Non sostituite immediatamente un animale con un altro nella speranza che il vostro bambino sia meno colpito dalla perdita. Permettete al bambino di essere coinvolto in decisioni riguardanti la morte dell’animale. Discutete le diverse possibilità per disfarsi del corpo: avvolgerlo in qualcosa e metterlo nell’immondizia, lasciare che sia il veterinario a disfarsi del corpo oppure fare un funerale con dei rituali. Gli adolescenti sono affascinati dalla morte e spesso trascorrono il tempo fantasticando sulla loro morte, spesso con sgomento dei loro genitori. Si chiedono chi andrebbe ai loro funerali, come tutti soffrirebbero e quali rituali avrebbero luogo durante la cerimonia. Perfino a MI MANCHI TANTO!
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questa età, tuttavia, non si rendono ben conto del carattere definitivo della morte e della loro reale impossibilità di andare al proprio funerale. La morte è romanzata in molti dei libri che leggono. Possono persino trovarsi a sfidare la morte, guidando ad alta velocità, sperimentando droghe, correndo inutili rischi o praticando attività potenzialmente pericolose.
Spiegare la morte Cos’è la “morte”? Questa è una delle domande a cui è più difficile rispondere, una di quelle che i genitori temono di più. Come spiegare la morte? A me piace invertire la domanda e chiedere al bambino: «Che cos’è la vita?». Di recente, lavoravo con un gruppo di bambini e con i loro genitori, turbati dall’omicidio di una ragazzina del vicinato. Cominciai a spiegare la morte in questo modo. «Io sono viva», dissi. «Posso respirare». Procedemmo il lavoro tenendo a mente questa idea. Ogni persona, inclusi i genitori, riprese lo stesso tema. «Io sono vivo. Posso vedere». «Sono vivo. Posso ballare». «Sono vivo. Posso ascoltare la musica», e via dicendo. Dopo che tutti ebbero parlato dissi: «Quando tutto ciò viene meno, allora uno è morto». Improvvisamente nella stanza piombò il silenzio mentre bambini e genitori comprendevano il significato di quella parola. Quindi spiegare cosa sia la “vita”, così come noi la conosciamo a questo mondo, ci aiuta a spiegare ai bambini cosa sia la morte.
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La religione può giocare un ruolo nella spiegazione della morte. La morte vi fornisce l’opportunità di insegnare a vostro figlio le credenze religiose che voi desiderate che osservi nel corso della sua vita. Se credete che ci sia vita dopo la morte, questa può essere una fonte di grande sollievo per vostro figlio. Ma ci sono certe comuni spiegazione religiose che fareste meglio a evitare. Per esempio: «Dio amava tuo padre così tanto che ha deciso di portarlo in paradiso». Un bambino potrebbe pensare che Dio ha portato via suo padre perché non amava lui abbastanza. Una bambina potrebbe pensare che adesso lei venga punita perché non ha amato suo padre abbastanza. Un’altra espressione da usare con prudenza è «Fa, tutto parte del progetto di Dio». Quale progetto? Fa parte del progetto di Dio che la propria madre resti uccisa da un aeroplano che precipita sulla sua auto (si tratta di un episodio realmente accaduto)? La maggior parte dei genitori vuole insegnare ai propri figli che Dio è un Dio che ama, non un Dio che permette agli aeroplani di cadere sulle automobili. Molti bambini (e adulti) si ritrovano ad essere arrabbiati con Dio perché ha permesso che qualcuno morisse. Essi si sentono frustrati e mettono in discussione la loro fede. Ricordo un padre che stava morendo di cancro. Aveva tre figlie e una moglie che spesso mi dicevano piene di fiducia: «Mio marito si rimetterà; preghiamo Dio ogni giorno e Dio risponde sempre alle preghiere». Il marito, un giorno, mi convocò nella sua stanza d’ospedale e disse qualcosa che non dimenticherò mai: «Lei deve aiutarmi a parlare con la mia famiglia. So che Dio risponde alle preghiere ma non sempre lo fa’ nel modo in cui noi glielo chiediamo. Può rispondere alle mie preghiere mandandomi in paradiso». Sfortunatamente non esistono facili risposte per domande di questo tipo e non si dovrebbe esitare a cercare l’aiuto del proprio pastore o un rabbino quando se ne sente il bisogno. A volte il paradiso viene descritto come un luogo talmente meraviglioso che potreste sen-
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tire vostra figlia o vostro figlio esprimere il desiderio di morire per poterci andare anche loro. Si tratta di una reazione abbastanza comune e non dovrebbe destare eccessiva preoccupazione. Se li sentite dire questo, dovete sottolineare tre cose: quanto anche voi sentiate la mancanza del papà, quanto li amiate e quanto avete bisogno di averli qui con voi. Tuttavia, se continuano a parlare in questo modo, fareste meglio a ricorrere alla consulenza di un professionista. Di recente, in uno dei gruppi da me seguiti, i bambini hanno realizzato dei burattini con dei sacchetti di carta. Un burattino doveva rappresentare il bambino e l’altro il genitore defunto. I bambini hanno avuto l’opportunità di avere una conversazione “simulata” con il genitore deceduto. Ripetutamente ho sentito la marionetta-bambino chiedere alla marionetta-genitore «Com’è lassù?», «C’è Disney World lassù?», «Il cibo è buono come dice mamma?», «Mangi il gelato tutti i giorni?», «È vero che anche se cadi non ti fai male?» e «È vero che lassù non ci sono i compiti a casa?» Potreste usare questa tecnica con vostro figlio, dando a lui l’opportunità di fare alcune di quelle domande che altrimenti non verrebbero mai poste, e a voi stessi quella di proporre delle risposte realistiche.
Diverse situazioni di morte Quando la morte colpisce senza preavviso. Un conto è quando la persona che è morta è anziana o quando c’è stata una lunga malattia, come il cancro, e il bambino è stato coinvolto nel processo del dolore prima che la morte
sopraggiungesse. In questa situazione il bambino avrebbe visto il naturale avanzare dell’invecchiamento o il naturale deperimento della persona che soffriva di una lunga malattia. Una parte della sofferenza può essere stata elaborata prima che sopraggiungesse la morte e, forse, la morte potrebbe aver portato un senso di sollievo. Una bambina, di sette anni il cui padre stava morendo per un cancro al cervello, durante le feste natalizie disse: «Non sarebbe bello se papà morisse il giorno di Natale, il giorno in cui è nato Gesù?» Poiché questa bambina non era stata esclusa da ciò che stava accadendo, aveva elaborato molto del suo dolore e ora era pronta a lasciar morire suo padre. Diverso è, invece, quando la morte è avvenuta più o meno senza preavviso, come per un infarto o un incidente d’auto. In casi del genere non c’è stata alcuna opportunità di osservare cambiamenti fisici nella persona che sta per morire e che aiuterebbero il bambino ad accettare l’avvicinarsi della morte. L’intera famiglia potrebbe vacillare sotto un tale colpo e avere poco tempo per pensare ai particolari bisogni di un bambino. A volte si lascerà che il bambino se la cavi da sé, a meno che un adulto della famiglia non si renda conto che ha bisogno di aiuto, e che un bambino, non avendo la prospettiva di un adulto, essendo molto vulnerabile, ha bisogni grandi almeno quanto quelli degli adulti che lo circondano, se non maggiori. È necessario che il genitore rimasto in vita, il nonno o un altro parente prenda il bambino da parte e gli dica precisamente ciò che è avvenuto, risponda alle sue domande, lo incoraggi a esprimere i suoi sentimenti, gli spieghi cosa significa morire, gli dia l’opportunità di dire addio a suo modo alla persona che è morta, lo includa nei progetti per il funerale e nel funerale stesso e gli offra l’amore e il sostegno di cui ha così disperatamente bisogno per poter superare il dolore della perdita che anche lui ha subito.
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Occuparsi della reazione emotiva del proprio bambino
Come accade negli adulti, anche nei bambini il dolore segue percorsi diversi ed essi hanno reazioni differenti in momenti differenti. Anche se avete parecchi figli che stanno affrontando la stessa perdita, il processo del dolore sarà differente per ogni bambino. In una famiglia di mia conoscenza, che aveva vissuto la morte del padre, la figlia maggiore rifiutava di mostrare qualsiasi emozione o di piangere, rivelando invece una forte rabbia e un grande stoicismo; una seconda figlia, molto più emotiva e facile alle lacrime, desiderava condividere con altri alcuni dei suoi sentimenti ma ne reprimeva altri, tendendo alla depressione; il figlio diventò molto tranquillo e riservato, rivelando poco di ciò che sentiva o pensava ma mostrando segni di un senso di colpa; e la figlia più piccola era colei che aveva maggiormente accettato la situazione, sentendo che il suo papà era al sicuro in paradiso e che la famiglia poteva adesso andare al campeggio o intraprendere altre attività messe in attesa da lungo tempo. Questo è un esempio abbastanza tipico della diversità delle reazioni della gente al dolore. I sentimenti più comuni provati dai bambini 42
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come reazione nei confronti della morte sono rifiuto, rabbia, colpa, depressione e paura. Essi possono anche sviluppare reazioni psicosomatiche. È possibile che possiate notare una o più di queste reazioni emotive nel vostro bambino, ma probabilmente non tutte. Solo perché vostra figlia non ha vissuto una reazione che comporti senso di colpa o rifiuto non convincetevi che una simile reazione stia in agguato dietro l’angolo in attesa di manifestarsi. Vostra figlia potrebbe non provare mai quel particolare sentimento. O potrebbe provare tutti i sentimenti elencati in un singolo giorno e ricominciare tutto daccapo il giorno seguente. Tenete semplicemente a mente che il dolore è diverso per ciascuno e usate questo capitolo come una guida per informarvi su quali siano i sentimenti che i vostri bambini possono provare o su come aiutarli a esprimere tali sentimenti. I bambini hanno bisogno di aiuto per esprimere i loro sentimenti. Poiché hanno la gran parte della vita ancora davanti a sé, i bambini stanno appena incominciando a identificare i sentimenti e a imparare come gestirli. Per lo più i bambini affrontano i sentimenti attraverso delle specie di rappresentazioni, che a volte si manifestano in maniera dirompente. Tuttavia ci sono dei modi semplici in cui potete aiutare i vostri bambini a identificare e a esprimere i propri sentimenti. Guardatevi intorno quando siete nella stanza, per esempio, di vostra figlia, osservate gli oggetti con cui si trova a suo agio e vedete se possono essere usati come strumenti per insegnarle qualcosa sui sentimenti. Questi oggetti possono includere della carta, pastelli, pennarelli, creta, sacchetti di carta, burattini, bambole, vecchie riviste, album, palloncini, un diario, un registratore, libri, musica. La chiave è che questi oggetti le siano familiari e che si senta a suo agio nell’usarli. Con alcuni suggerimenti da parte vostra lei può trasformare questi oggetti in disegni, testi, collage, sculture, scenette, album o registrazioni: tutti incentrati sui suoi sentimenti relativi alla morte di una per-
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sona cara, aiutandola a esprimere quei sentimenti e ad affrontarli nel modo appropriato. Nel corso di questi esercizi imparerà delle lezioni che porterà con sé nell’età adulta e che probabilmente trasmetterà ai suoi figli.
Rifiuto o blocco Trovandosi di fronte a una realtà che essi non sono in grado di gestire, spesso i bambini escono dal mondo reale, preferendo un mondo che trovano più accettabile. I bambini hanno un’eccezionale padronanza della loro immaginazione, dal momento che la usano nei giochi quotidiani. Essi hanno la capacità di leggere un libro o guardare un programma televisivo dando l’impressione di entrarvi dentro. Escludere ciò che è spiacevole è quindi una cosa naturale da fare, quando una persona che amano ha incontrato una morte traumatizzante. Possono semplicemente far finta che non sia successo. Spesso i bambini diranno: «Non possiamo semplicemente far finta che sia in viaggio?». Ho incontrato bambini che possono concentrarsi così bene su un particolare oggetto da escludere ciò che accade intorno a loro. Per esempio, una bambina di otto anni con cui ho lavorato non riusciva a ricordare molto del funerale del proprio genitore, ma sapeva disegnare una bara nei minimi dettagli. Se i bambini hanno questa capacità di escludere le immagini dolorose, è importante, però, che col tempo essi siano riportati alla realtà e che non si permetta loro di ingannare se stessi credendo a cose che non sono vere. Il modo per farlo è rifornire loro informazioni basate sui fatti.
Il carattere definitivo della morte è sconvolgente. L’espressione «Non tornerà mai più» è impossibile da comprendere per i bambini. Nel mondo di ogni giorno le cose vengono sostituite. Quando qualcosa si rompe, la ripariamo; quando una cosa si consuma o si perde, ne compriamo una nuova. A questo proposito, ricordo di aver incontrato un bambino di quattro anni, la cui madre era morta. Egli osservò: «Papà non può semplicemente andare al supermercato e comprare una Mamma nuova?». Dopo aver ridetto ancora una volta che non si poteva, che Mamma era morta e che quando si muore, non si può mai tornare indietro, non potei trattenermi dal chiedergli: «Ma se fosse possibile quanto pensi che costerebbe una nuova Mamma?». Rispose pensieroso: «Forse un dollaro». Tecniche da adottare in caso di rifiuto o blocco. È normale che le persone colpite da un lutto siano in uno stato di choc per un certo periodo, durante il quale è difficile credere davvero alla morte di una persona che si ama. Si aspetta che quella persona ritorni, che la macchina ripercorra il vialetto di casa, che la porta si apra e che quella voce familiare gridi: «Sono a casa». La durata di questa fase varia dalle due alle svariate settimane e dipende dal fatto che la morte sia stata improvvisa o meno, dalla causa della morte, dal coinvolgimento nella malattia prima della morte, dalla comunicazione tra genitore e bambino, da cambiamenti delle abitudini e da altri simili fattori. Quindi è difficile sapere quando il normale periodo di choc sta sfociando in un meno sano periodo di rifiuto. Qui di seguito vengono forniti dei suggerimenti sul modo in cui accertarsi di questo e sul modo di aiutare i vostri bambini se percepite che sono alle prese con questo tipo di problema. Parlate al vostro bambino. La parola è sempre lo strumento migliore da usare quando trattate con il vostro bambino. Adoperate un lessico MI MANCHI TANTO!
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Adattarsi a una nuova vita
Per quanto vorremmo che così non fosse, la vita di un figlio, dopo la morte di una persona amata, sarà diversa da com’era prima. Nei giorni immediatamente dopo la morte la sua vita sembrerà definitivamente cambiata in peggio; tuttavia sappiamo che questo non è necessariamente vero. La vita ha molti aspetti, può prendere molte pieghe diverse e col tempo vostro figlio potrà trovarla tanto ricca quanto essa gli è sembrata in passato. Il periodo di adattamento dalla vecchia alla nuova vita rappresenta una sfida che voi e il vostro bambino dovete affrontare insieme.
Di nuovo a scuola Il ritorno a scuola. Probabilmente vostro figlio vorrà tornare a scuola appena possibile. Dopo tutto, la scuola è una parte importante della sua vita. In effetti, 60
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essa rappresenta un’estensione della sua famiglia, in cui ci sono amici con cui condividere notizie di tale importanza. Inoltre ritornare a scuola lo rassicura sul fatto che la vita continua, nonostante la morte di una persona. Abbiamo bisogno di queste rassicurazioni lungo il nostro cammino perché, quando qualcuno muore, a chi resta può sembrare che il mondo si sia fermato. La routine della scuola aiuta il bambino a riacquistare quella sicurezza che molto spesso si perde con la morte di qualcuno. Sarà necessario dedicare del tempo a preparare il vostro bambino per il ritorno a scuola. Discutete con lui di ciò che egli desidera che voi diciate agli insegnanti e di cosa dire ad amici e compagni di scuola. Trovo che i bambini abbiano le idee molto chiare a proposito di quali informazioni condividere con i compagni, ma li dissuaderei dall’idea di non dire nulla alla classe. Cercherei di convincere mio figlio a non tenere “segreti” di tal sorta. Durante questo periodo di adattamento a una vita diversa vostro figlio avrà bisogno del sostegno di compagni che sappiano cosa è successo. Fategli sapere che, per il primo o i primi due giorni, se sente il bisogno di rincasare prima, qualcuno potrà andare a prenderlo. Specificate che potrà farlo solo per “il primo o i primi due giorni”, in modo che non inizi a usare la morte come pretesto per uscire prima e bighellonare per una o due settimane. Parlare con l’insegnante. Prima che vostra figlia ritorni a scuola, parlate con il suo insegnante. L’esperienza di una bambina a cui era morta la madre indica l’importanza di agire in questo modo. Quando tornò a scuola fu allarmata da un inaspettato annuncio sulla morte di sua madre, fatto attraverso il sistema di altoparlanti della scuola. Credo che sarebbe stato meglio se la bambina fosse stata consultata, in modo che l’annuncio non l’avrebbe sorpresa tanto. Tali “notizie” non dovrebbero essere semplicemente annunciate, ma sarebbe più opportuno fare una specie di premessa che prepari i bambini per qualcosa
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che è fuori dall’ordinario: una notizia triste e importante che va loro comunicata. Inoltre è necessario prendere in considerazione le circostanze della morte e chi è morto. Il messaggio stesso, comunicato in classe dallo stesso consulente scolastico della bambina, dovrebbe essere breve, magari seguito da un momento di silenzio e di serena discussione. Parlando con l’insegnante, suggerisco di iniziare col riferirgli cosa è successo e ciò che avete detto a vostra figlia. Fate sapere all’insegnante che credete che la struttura scolastica sarà utile al suo recupero e che vi aspettate che l’insegnante proceda come al solito. Date all’insegnante delle idee su come gli altri bambini della classe possano esserle di sostegno. I bambini non hanno conoscenza innata di come essere d’aiuto l’uno all’altro, specie in circostanze insolite come una situazione luttuosa. Una delle più grandi paure dei bambini è che una persona che amano possa morire. Possono sentirsi talmente a disagio, da dire cose molto dolorose. Ricordo un ragazzino la cui madre era morta che disegnò un compagno che lo canzonava dicendogli: «Ha, ha, tu non hai una madre!». Dubito però che questo compagno di scuola avesse idea del dolore che stava causando. Prima che vostra figlia torni a scuola potrebbe essere una buona idea che l’insegnate discuta con la classe di ciò che è successo e di come esserle d’aiuto al suo ritorno. Per esempio, si potrebbe chiedere ai compagni se hanno delle idee su cosa fare se Susanna dovesse iniziare a piangere. I bambini potrebbero esprimere le loro idee su come essere di conforto e poi vedere in che modo queste idee potrebbero aiutare Susanna. Potrebbero suggerire di abbracciarla, di darle un fazzolettino o anche di piangere insieme a lei. Un altro elemento di discussione potrebbe essere: cosa possiamo fare se Susanna fa un sacco di errori di ortografia? I bambini dovrebbero di discutere del perché dovrebbero essere comprensivi se ciò accade e di come aiutarla nello studio. L’insegnante potrebbe anche sollevare la que-
stione di cosa dire a Susanna quando ritorna e suggerire frasi come: «Mi è dispiaciuto di sapere della morte di tuo nonno»; oppure «Mi è dispiaciuto per te quando ho saputo della morte di tua sorella». Questo potrebbe essere tutto ciò che è necessario dire. I bambini più grandi potrebbero voler aggiungere: «Se vuoi parlare della sua morte, io sarò qui ad ascoltarti». I compagni potrebbero desiderare di preparare un cartellone di benvenuto o disegnare individualmente delle cartoline di benvenuto da dare a Susanna al suo ritorno. Tale gesto d’affetto sarebbe molto gradito. Fate sapere all’insegnante che avrete bisogno del suo aiuto e che vorreste sapere qualsiasi osservazione riguardo al comportamento scolastico dei vostri bambini. Programmate di telefonargli/le regolarmente per sapere del rendimento e del comportamento scolastico dei vostri figli. I compiti a casa devono essere impostati più schematicamente. Come avviene agli adulti che soffrono per una morte recente, anche i bambini al principio trovano difficoltà a concentrarsi. Si può leggere un’intera pagina di un libro e alla fine non avere alcuna idea del suo contenuto. Si può essere così preoccupati per quella morte, che può risultare difficile focalizzare l’attenzione su qualunque altra cosa. La mente vaga senza meta e ci si ritrova a sognare a occhi aperti. Naturalmente questo comporta dei problemi a completare i compiti. Per potersi rimettere in carreggiata, il bambino che soffre ha bisogno di un’impostazione più schematica delle sue attività, rispetto a prima. Potreste aiutarlo stabilendo degli orari per i compiti a casa e contenendo al minimo le distrazioni durante quel tempo. In ogni caso non siate sorpresi se i voti si abbassano per diverse settimane. Le festività. Le scuole per tradizione osservano le festività, tuttavia festività che un tempo venivano pregustate con piacere possono adesso essere temute. MI MANCHI TANTO!
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I bambini colpiti da un lutto hanno ora bisogno di particolare attenzione, specialmente i giorni della Festa della Mamma o della Festa del Papà, se il bambino ha perso un genitore. Voi e/o l’insegnante dovreste parlare con vostro figlio per fargli sapere che questo potrebbe essere un momento difficile e per chiedergli se ha delle idee per affrontare questo momento in un modo migliore. Di recente ho incontrato un gruppo di bambini che stava progettando un party in occasione della Festa della Mamma, condividendo le proprie mamme con bambini orfani di madre – un gesto molto tenero e affettuoso. Gruppi di sostegno emotivo. Verificate se la vostra scuola offre gruppi di sostegno emotivo agli studenti colpiti da un lutto. Alcune scuole offrono ora questa possibilità durante i giorni di scuola e, stando a tutti i rapporti, essi hanno riscosso un notevole successo. Se la vostra scuola non offre nulla di simile, forse l’insegnante o il consulente scolastico di vostro figlio potrebbe essere interessato a intraprendere un’iniziativa di questo genere o a suggerirne una sulla stessa falsariga che interessi il sistema scolastico in generale. È anche possibile che il consulente scolastico abbia notizia dell’esistenza di un gruppo di questo genere all’interno della comunità. È stato a lungo un mio sogno veder sorgere gruppi di sostegno per ragazzi colpiti da eventi luttuosi nelle scuole, come anche nelle comunità in generale, e sono felice che questo inizi a realizzarsi. Secondo me non è mai abbastanza presto perché questo accada, in quanto i bambini hanno bisogno di essere aiutati nel loro dolore quando le ferite sono recenti, quando rabbia e senso di colpa dominano i loro pensieri e prima che si instaurino modalità di rifiuto e di depressione a lungo termine. Quando preoccuparsi. Dovreste impensierirvi se vostro figlio si rifiuta di tornare a scuola; forse il bambino ha paura di lasciarvi temendo che anche voi possiate morire 62
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o sparire. Oppure potrebbe trattarsi di un bambino che ha trovato il modo di usare la morte a suo vantaggio, evitando qualcosa che preferirebbe non fare. Dovreste preoccuparvi anche se vostra figlia non vuole che nessuno a scuola sappia cosa è successo e insiste perché non lo diciate a nessuno. È necessario dire qualcosa all’insegnante e ai suoi compagni di classe, non fosse altro che per evitare dolorose dicerie che altrimenti di sicuro emergerebbero e per risparmiarle il peso di tenere un segreto così grande. Se, a questo riguardo, incontrate una notevole ostinazione da parte di vostra figlia, dovreste cercare di scoprirne la ragione. È probabile che non voglia apparire diversa dai suoi amici e compagni di scuola. Oppure potrebbe non essere sicura della loro reazione e temere di non saper trattenere le lacrime in loro presenza e quindi di sentirsi in imbarazzo. Se, parlando con la bambina, riuscite a farle esprimere ciò che prova potete cercare di tacitare i suoi timori. Quando sia tornata a scuola, è importante parlare di tanto in tanto con lei delle sue esperienze scolastiche e scoprire cosa dicono i suoi compagni di classe e come essi la trattano. Se avvertite dei problemi, potete discuterne con l’insegnante di vostra figlia. Infine mi preoccuperei se, parlando con la bambina o con l’insegnante, notaste segni di regressione (come succhiarsi il pollice o non trattenere la pipì) che si protraggono per più di una settimana circa. Queste regressioni possono essere molto imbarazzanti per vostra figlia, specie se gli altri bambini ridono di lei. Ancora una volta, voi conoscete il comportamento dei vostri figli meglio di chiunque altro. Se qualcosa dovesse preoccuparvi, sarebbe molto utile consultare un professionista per calmare le vostre ansie o per intraprendere una necessaria terapia.
Helen Fitzgerald Helen Fitzgerald, docente universitaria, è stata tra le prime in America ad affrontare il tema dei bambini di fronte alla morte. Ha diretto il “Programma del Dolore” al Mt. Vernon Center per la Salute Mentale della Comunità ad Alexandria, in Virginia.
In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
MI MANCHI TANTO! Come aiutare i bambini ad affrontare il lutto
MI MANCHI TANTO!
L’inizio di un cono gelato fino ad assaporarne le ultime leccate, l’inizio di una gita emozionante fino all’assonnato arrivo alla lontana destinazione, l’alba seguita dal tramonto. La nostra vita consiste di inizi e conclusioni, la maggior parte dei quali viene condivisa dai bambini. E poiché la morte è la conclusione naturale della vita, anch’essa dev’essere condivisa coi propri bambini se si desidera che essi abbiano la possibilità di maturare. La morte distrugge il mondo apparentemente sicuro e protetto dell’infanzia. Spiegare la morte a un bambino, pertanto, è uno dei compiti più complessi che un adulto è chiamato ad affrontare. Spesso, dinanzi a tale difficoltà, gli adulti preferiscono il silenzio o la bugia, inconsapevoli che, privando i bambini di una corretta esperienza del vuoto generato dalla morte, possono produrre dei disturbi profondi nella crescita. Se si sceglie di dire loro la verità, in modo affettuoso e premuroso, e se gli si consente di esprimere la loro sofferenza, si scopre che i bambini sono capaci di accettare anche le perdite più dolorose e sconvolgenti in cui spesso ci si imbatte nella vita. Questo libro è uno strumento, semplice e immediato, ma altrettanto profondo e indispensabile, per quei genitori che non vogliono eludere il dovere di aiutare i loro bambini a gestire la morte di una persona cara, dal problema del linguaggio da usare a quello della visita alle persone malate, dalla questione della presenza al funerale alle spiegazioni dei casi difficili come l’omicidio o il suicidio.
Helen Fitzgerald
ISBN 978-88-87507-47-3
Euro 13,00 (I.i.)
edizioni la meridiana p a r t e n z e