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Indice Prefazione all’edizione italiana di Giandomenico Bagatin

Introduzione

– Debby (9 anni): Come fai a far stare meglio la gente? – Cosa vuoi dire? (naturalmente sto prendendo tempo). – Debby: Be’, quando la gente viene da te sta meglio. Cosa fai per farla stare meglio? È difficile?. – È come se volessi dirmi che forse stai meglio. – Debby: (annuendo energicamente) Sì! Ora sto meglio. Come mai?.

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Mi lancio in un’articolata spiegazione sul fare in modo che la gente parli delle sue emozioni, come ho fatto con lei e, alla fine, dico: “Debby, in realtà proprio non lo so con certezza”.

Ho scritto queste cose più di dieci anni fa e da allora ho passato un sacco di tempo a cercare di rispondere alla domanda di Debby. Oggi onestamente non posso dire di non sapere che cosa fa star meglio la gente, dato che sono più vicina alla risposta di quanto lo fossi allora. Ho un’idea molto più chiara del processo terapeutico con i bambini e come, con le giuste esperienze, l’organismo trova e percorre la via della crescita e del benessere. In questi dieci anni sono stata in contatto letteralmente con centinaia di bambini e famiglie, e probabilmente con migliaia di persone che lavorano con bambini in tutte le parti del mondo. Tutte queste persone mi hanno insegnato qualcosa e mi hanno aiutato a rispondere alla domanda di Debby. Questo libro ha viaggiato anche più di me, e dalle migliaia di lettere che ho ricevuto – alcune delle più toccanti che io abbia mai letto – io so che questo libro ha raggiunto lo scopo da me sperato. Mi sento privilegiata per aver trovato un modo concreto di aiutare i bambini ad attraversare i momenti difficili della loro vita. Il mondo non è stato tenero con i bambini in questi ultimi dieci anni. Ciò che trovo molto incoraggiante è la maggiore consapevolezza verso i loro bisogni. Ho scritto questo libro per condividere le mie esperienze con chi si rende conto di tali bisogni e cerca di aiutare i bambini a crescere forti nonostante i traumi che possono aver subito. Dieci anni sono tanti. Quando rileggo il mio libro sono ancora in sintonia con quel che ho scritto dieci anni fa. Tuttavia, sono perfettamente consapevole, per ogni pagina, di voler dire di più. Sono stata arricchita da tanti, tanti altri bambini, con cui ho avuto esperienze incredibili; ho allargato le mie tecniche qui descritte e ne ho sviluppate di nuove e meravigliose. Mi hanno entusiasmato nuovi concetti, e alcuni dei vecchi li ho rielaborati. Ho trovato molte nuove risorse – e adesso le insegno – che mi aiutano nel nostro lavoro. C’era da aspettarsi tutto questo. Mi piace il fatto che più invecchio, più continuo ad allargare i miei confini. Forse ci sarà un giorno in cui vorrò racchiudere questi nuovi apprendimenti in un nuovo libro. Nel frattempo, spero che questo vecchio continuerà a crescere e a ispirare.

La fantasia

Fra un minuto chiederò a tutti voi di chiudere gli occhi e vi porterò con l’immaginazione a una gita di fantasia. Quando avremo finito, aprirete gli occhi e disegnerete quel che vedrete alla fine di questo viaggio. Ora mettetevi più comodi che potete, chiudete gli occhi e prendete posto: entrate in quello che chiamo “il vostro spazio”. Voi occupate sempre questo spazio in questa stanza e ovunque voi siate, ma normalmente non ci fate caso. Con gli occhi chiusi, potete avere la percezione di questo spazio – dove si trova il vostro corpo e l’aria che vi circonda. È bello trovarsi lì, perché è il vostro posto. Notate cosa succede nel vostro corpo, se ci sono tensioni da qualche parte. Non cercate di rilassarle. Limitatevi a notarle, percorrendo il corpo dalla testa ai piedi. Come state respirando? Fate respiri profondi oppure piccoli e affrettati? Ora vorrei che faceste un paio di respiri molto profondi. Fate uscire l’aria con un suono. Aaaah. OK. Adesso vi racconterò una storiella e vi porterò a una gita di fantasia. Immaginate ciò che vi dico e vedete come vi sentite mentre lo fate, se vi piace fare questa gita oppure no. Se incontrate posti che non vi piacciono, non dovete andarci per forza. Limitatevi ad ascoltare la mia voce, seguite se volete, e vediamo cosa succede. Immaginate di camminare nel bosco. Ci sono alberi tutt’attorno e gli uccelli cantano. Il sole penetra attraverso gli alberi e c’è ombra. È molto bello passeggiare in questo bosco. Ci sono dei fiorellini, fiori selvatici, lungo il margine. Voi state camminando per il sentiero. Ci sono rocce ai lati del sentiero e di tanto in tanto vedete sgattaiolare un animaletto, forse un coniglio. Continuate a camminare e presto notate che il sentiero si fa ripido e che state salendo. State scalando una montagna. Quando arrivate in cima alla montagna, vi sedete a riposare su una grande roccia. Vi guardate attorno. Il sole splende; gli uccelli volano intorno. Dall’altra parte, al di là di una vallata, c’è un’altra montagna e lassù c’è una grotta e voi vorreste essere su quella montagna. Notate che gli uccelli volano in quella direzione e voi vorreste essere un uccello. A un tratto, poiché questa è una fantasia e può succedere qualunque cosa, vi accorgete che vi siete tramutati in un uccello! Provate a muovere le ali: potete volare davvero. Così spiccate il volo e senza difficoltà volate dall’altra parte. (Pausa per dare il tempo di volare). Atterrate su una roccia e istantaneamente ritornate voi stessi. Salite fra le rocce alla ricerca di un ingresso alla grotta e vedete una porta piccola piccola. Vi abbassate per aprirla ed entrate nella grotta. Dentro c’è tanto spazio da poter stare in piedi. Osservando le pareti della grotta, d’un tratto notate un passaggio, un corridoio. Lo percorrete e presto vi accorgete che ci sono tantissime porte, ognuna con su scritto un nome. All’improvviso, arrivate a una porta con su scritto il vostro nome. Rimanete lì, di fronte alla vostra porta, e pensate che presto l’aprirete e la oltrepasserete. Voi sapete che quello sarà il vostro posto. Forse un posto che ricordate, un posto che state per conoscere ora, uno che sognate, uno che nemmeno vi piace, un posto che non avete mai visto, un posto chiuso o all’aperto. Non lo saprete finché non aprirete quella porta. Ma qualunque esso sia, sarà il vostro posto. Così, girate la maniglia ed entrate. Guardatevi attorno! Siete sorpresi? Guardatelo bene. Se non lo vedete, inventatene uno adesso. Vedete cosa c’è, dove si trova, se è al chiuso oppure fuori. Chi c’è? Ci sono persone, persone conosciute o sconosciute? Ci sono animali? O non c’è nessuno? Come vi sentite in questo posto? Fateci caso. State bene o non tanto bene? Guardatevi attorno, muovetevi nel vostro posto. (Pausa) Quando sarete pronti, aprirete gli occhi e vi ritroverete in questa stanza. Quando avrete aperto gli occhi, prendete carta e pastelli o penne a feltro o pastelli a olio e disegnate il vostro posto. Vi prego di non parlare nel frattempo. Se dovete dire qualcosa, parlate sottovoce. Se non avete i colori adatti per il vostro posto, venite pure a prendere in silenzio quello che vi serve o prendetelo in prestito da qualcun altro. Disegnate il vostro posto come meglio potete. O, se volete, potete disegnare le vostre emozioni che il posto vi dà, usando colori, forme e

linee. Decidete se mettervi in questo posto, dove e come – come figura o colore o come simbolo. Non è necessario che dal disegno io capisca tutto del vostro posto; avrete la possibilità di spiegarmelo. Credete a ciò che avete visto aprendo la porta, anche se non vi piace. Avete circa 10 minuti. Quando vi sentite pronti, potete incominciare.

Una fantasia come questa va raccontata con voce da fantasia, lentamente, con molte pause, per dare ai bambini l’opportunità di “fare” le cose che diciamo loro di fare. Spesso io stessa chiudo gli occhi e percorro la fantasia mentre la racconto. Ho usato questo tipo di disegno-fantasia con singoli bambini così pure nelle sedute di gruppo e con una vasta gamma di età, dai 7 anni circa fino all’età adulta. Ecco alcuni “posti” di bambini e qualche esempio di come lavoro.

Linda, 13 anni, disegnò una stanza da letto con un letto, un tavolo, una sedia, tre cani sul pavimento e il quadro di un cane sul muro. Il disegno era molto ordinato e aveva tanti spazi vuoti. Linda descrisse il disegno. Poiché faceva parte di un gruppo, gli altri bambini le facevano domande del tipo: “A cosa serve questo?” e lei rispondeva. Chiesi a Linda di scegliere una parte del disegno che le sarebbe piaciuto far finta di essere. Scelse il cane del quadro sul muro. Le chiesi di parlare come il cane di quel quadro, dicendo chi era e cosa stava facendo. Linda descrisse se stessa: “Sono un quadro appeso qui al muro”. Le chiesi come si sentisse a stare lassù. – Linda: Mi sento solo, molto solo. Non mi piace vedere quei cani che giocano. – Parla a questi cani quaggiù e diglielo. – Linda: Non mi piace stare qui a vedervi giocare. Vorrei venire giù e unirmi a voi. – Linda, la ragazza, si sente mai in questo modo, come il cane del quadro? – Linda: Sì! Quel cane sono proprio io. Me ne sto sempre al di fuori. – Vorrei sapere se ti senti così anche qui, ora. – Linda: Sì, mi sento così anche qui. Ma forse ora non tanto. – Cosa stai facendo per non sentirti così ora? – Linda: (con voce molto pensierosa) Be’, sto facendo qualcosa. Perlomeno non sto qui seduta a fare solo il cane del quadro sul muro.

Chiesi a Linda una frase da scrivere sul suo disegno e che meglio lo sintetizzasse. “Vorrei venire giù dal muro e unirmi agli altri.” Chiedo spesso ai bambini di dirmi una frase da scrivere sul disegno e le loro frasi spesso riassumono molto succintamente la loro situazione nella vita. Il mio obiettivo era proprio quello di offrire a Linda un modo per diventare più consapevole della sua situazione, per potersene appropriare. A una maggiore consapevolezza segue la possibilità del cambiamento. In questo lavoro, Linda non solo diede voce ai suoi sentimenti di solitudine e di isolamento, ma permise a se stessa di sperimentare qualcosa di diverso, di unirsi agli altri. Inoltre, credo che in lei si sia fatta strada l’idea di potersi prendere la responsabilità della sua vita, di poter fare qualcosa per vincere la sua solitudine.

Tommy, 8 anni, fece un disegno del Bambino Gesù, Maria e i Re Magi (era quasi Natale). Dopo che ebbe descritto il suo disegno, gli chiesi di stendersi sui cuscini e di fare il Bambi-

no. Con molte risatine, lo fece. Gli altri bambini avrebbero fatto i Re Magi e io la Madonna. Improvvisammo tutti una scenetta in cui si portavano doni e si parlava di questo splendido bambino. L’enfasi entusiastica della mia recitazione costituì un buon modello da seguire per gli altri bambini. Tommy diventò molto calmo. Via via che si abbandonava sui cuscini, il corpo rilassato e il viso sorridente e sereno davano prova di un completo godimento del momento. Gli chiesi se gli piaceva fare il bambino. Disse che gli piaceva moltissimo poiché sentiva l’attenzione degli altri su di sé.

– Ti piace davvero attirare l’attenzione? – Tommy: Sì! – Ti piacerebbe averne più di quanta non ne hai di solito? – Tommy: Sì!

Tommy mi chiese di scrivere come frase: “Mi piace essere al centro dell’attenzione e ricevere regali e così sono felice”. Nelle sedute precedenti, Tommy doveva scegliere fra lo stare in gruppo e aspettare in un’altra stanza, a causa del suo comportamento molto turbolento. Spesso sceglieva di andare nell’altra stanza, poiché sentiva di “non potersi controllare”. Per il resto di questa seduta, Tommy partecipò e ascoltò gli altri bambini e non fu turbolento in alcun modo. Rimase calmo e rilassato (questo bambino era stato diagnosticato come “iperattivo”) e le domande e i commenti che fece agli altri bambini sui loro disegni furono sensibili e perspicaci. In qualche modo Tommy era sempre riuscito ad attirare l’attenzione degli altri con la sua iperattività. Il tipo di esperienza fatta in questa particolare seduta fu molto importante per lui; da quel momento in poi, la sua iperattività si ridusse sensibilmente e Tommy attirò l’attenzione su di sé con l’amabile saggezza che riuscì a dimostrare nel nostro gruppo. In una seduta individuale con me, Jeff, 12 anni, disegnò un castello con le facce di Paperino e Topolino che facevano capolino dalle finestre. Chiamò questo posto Disneyland. Me lo descrisse, dicendomi quanto amasse Disneyland. Gli chiesi una frase da scrivere sul disegno e che riassumesse il suo posto e le sue emozioni verso di esso. Dettò: “Il mio posto è Disneyland perché MI DIVERTO e mi piacciono i personaggi. Là tutto è felice”.

Focalizzai l’attenzione sull’enfasi di “MI DIVERTO” e sulle parole “Là tutto è felice”. Parlammo un po’ di Disneyland e dei suoi personaggi, poi gli chiesi di parlarmi di quella parte della sua vita che non era molto divertente. Lo fece senza difficoltà, contrariamente alla sua precedente

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