ABITARE CONDIVISO PRIGIONE A CIELO APERTO .PRESENZE. PENDOLARI WORKING CLASS TRANSUMANZA
ISSUE #2 - WINTER/2010
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La fotografia è l’ombra proiettata sulla pellicola di ciò di cui non avremo mai l’esperienza concreta, oggettiva, e di cui neppure conosceremo mai la fonte luminosa, proprio come i prigionieri della caverna platonica, i quali del mondo esterno e della propria esistenza non conosceranno mai altro che il riflesso. (Jean Baudrillard) Fin dalla sua nascita, la Fotografia ha avuto la straordinaria possibilità di rendere visibile ciò che fino a quel momento era destinato a restare invisibile, nascosto o addirittura sconosciuto. Con la rivoluzione operata dalla riproducibilità tecnica delle immagini, il mondo intero divenne documentabile e l’età moderna cominciò così a prendere piede. L’essenza della Fotografia, la rappresentazione del reale, è quindi da sempre indissolubilmente legata alla nozione di realtà, proprio come il concetto di luce non può esistere senza il concetto di buio, l’immagine della cosa senza la cosa in sé, il visibile senza l’invisibile. La ricerca di ciò che è nascosto muove da sempre gli uomini lungo il percorso della conoscenza e all’interno di questo lungo cammino, l’arte (e quindi anche la Fotografia) possono aiutarci a fare qualche passo in avanti. Ed eccoci a noi. I reportage di questo secondo numero di Milano Città Aperta esplorano da diversi punti di vista un tema ad essi comune: l’invisibilità. L’invisibiltà sociale di quelle minoranze civili che ancora non godono di molti dei diritti che noi tutti diamo per scontati oggi. L’invisibilità economica di chi ha perso il lavoro e con esso la speranza di costruirsi un futuro. L’invisibilità abitativa di chi non ha la possibilità economica di possedere una casa propria ed è costretto, nel bene e nel male, a ricavarsi uno spazio dove può. L’invisibilità fisica di quei lavoratori che ogni mattina e ogni sera della loro settimana attraversano gli stessi non-luoghi di passaggio tra casa e lavoro. L’invisibiltà spaziale di quei luoghi nascosti al cielo delle metropoli all’interno di intricati e bui labirinti sotterranei. L’invisibilità storica di quegli antichi mestieri giunti dai tempi della preistoria ad oggi ma sempre più minacciati dal dilagare della civiltà industriale. Buona visione (dell’invisibile).
Niccolò de Mojana
IDENTITÀ ABITARE CONDIVISO Daniele Pennati
PRIGIONE A CIELO APERTO Filippo Ceredi
SQUARCI .PRESENZE. Thomas Pagani Roberto
PENDOLARI Luca Napoli
OLTRE MILANO WORKING CLASS Cristina Mian e Marco Frigerio
TRANSUMANZA Marco Costa
ABITARE CONDIVISO
Daniele Pennati
Novantatre anni, vedova Quarantatre anni, rumena Prima abitavo con altre rumene: 300 euro per un letto in stanza tripla Ora ho vitto e alloggio in cambio di poche ore di compagnia
ISSUE #2 - WINTER/2010
La coabitazione è la condivisione di uno stesso alloggio ad opera di due (o più) nuclei famigliari (mono- o pluri-componente). È partendo da questa definizione (quella classica delle scienze sociali) che è iniziato il mio viaggio nel mondo dell’abitare condiviso. Un mondo molto più vasto di quello legato agli studenti fuorisede (tipica e quasi unica popolazione cui si pensa quando si parla di coabitazione) che spazia tra forme di vera e propria divisione dell’alloggio tra estranei fino ad arrivare a nuove e non scontante forme di convivenza. Un mondo strettamente interconnesso ai fenomeni che stanno cambiando la nostra società: la precarietà e temporaneità lavorativa, la crescente solitudine degli anziani, la difficoltà dei giovani a lasciare le famiglie di origine, la speculazione economica e finanziaria sul mercato della casa. Per entrare in questo mondo e raccontare gli effetti di processi di ampissima portata ho deciso di guardare alla storia dei singoli. In un ribaltamento di scale ho scelto di guardare al minuto, di utilizzare un approccio diretto che mi portasse al centro delle storie personali e collettive e mi aprisse le possibilità dell’osservazione e del racconto. È così che mi sono trovato ad entrare in appartamenti estranei, a violare l’intimità personale e ad ascoltare i vissuti e le storie dei singoli, della casa e della condivisione. La narrazione di questi racconti, privati e collettivi al tempo stesso, avviene tanto attraverso il testo, il racconto biografico vero e proprio, quanto attraverso l’immagine fotografica. Una fotografia, una sola fotografia che fosse in grado di raccontare, al contempo, le relazioni tra coabitanti e quelle con lo spazio abitato. Un’immagine che non fosse una mera illustrazione per racconto testuale, ma che fosse anch’essa narrazione. Questo è stato l’intento che ha guidato il mio sguardo e col quale, alla fine di ogni chiacchierata, mi sono accostato alla macchina fotografica. Questo l’obiettivo del lavoro fotografico che vi apprestate a guardare.
Studentesse e lavoratrice straniera Lavoro part-time da McDonald’s per 600 euro, la metà va nell’affitto 400 euro per una stanza singola e 275 a testa per la doppia Prima vivevo con degli amici, poi sono sorti dei problemi di relazione...
Ingegneri: 26, 39 e 49 anni La famiglia è a Torino, torno nei fine settimana Ora mia moglie è incinta del secondo figlio La coabitare è la scelta più razionale Vivere lontano da casa è difficile e pesante, ma in parte è una vacanza dalle responsabilità
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Neolaureati
Ottantasette anni, vedovo
Milanesi
Amici
Trentadue anni, ucraina
Ci conosciamo da pochi mesi
Neolaureate 1000 euro al mese di stipendio e 400 di l’affitto
Mia madre è contenta che non viva da sola
Devo tutto al signor Alberto e alla moglie, quando sono arrivata mi hanno insegnato tutto
Solo 300 euro per una singola, e abbiamo anche il contratto!
Tutte le mattine mi accompagna nel mio solito giro per il quartiere
Coabitazione come prova di autonomia
La casa è della mia famiglia, ora ci vivo con due ragazze Abbiamo sempre affittato una stanza ad amici del paese Faccio il dottorato senza borsa... vivo con i 400 euro che mi danno loro due per l’affitto Finché non si laureano non le caccio, poi magari vivrò da solo
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Siamo amiche da più di dieci anni Finita l’università ci è sembrato naturale cercare casa insieme La casa era di mia nonna, paghiamo solo le spese... per fortuna Essendo così amiche la coabitazione è più difficile...
Daniele Pennati Daniele Pennati nasce a Milano nel 1982. È appassionato di fotografia e di stampa in camera oscura fin da bambino. Durante gli anni di studio universitario, alla formazione in pianificazione territoriale si è affiancata una profonda riflessione sulla fotografia come strumento di indagine ed interpretazione del territorio. Attualmente continua il suo percorso partecipando al Dottorato in Urbanistica presso lo IUAV a Venezia e collabora come assistente e ricercatore presso il Politecnico di Milano. Per saperne di più...
Studentesse e dottorande Pavia spaventa meno delle grandi città Coabito per non trovare la casa vuota quando torno La stanza? Piuttosto piccola, ma singola
Il lavoro presentato è parte di una più ampia ricerca sul tema della coabitazione. Questo progetto di ricerca, che mi ha coinvolto per oltre un anno, è sfociato nel luglio 2008 nella mia tesi di laurea magistrale. Nello specifico, il lavoro fotografico, corredato dalle storie di vita delle coabitazioni, costituisce il corpo centrale della tesi. È possibile scaricare questo capitolo in modo da poter leggere i racconti e potersi, quindi, meglio fare un’idea della complessità di situazioni e relazioni vissute da chi sceglie la coabitazione come tattica abitativa. Scarica il capitolo (2,5mb) Guarda il servizio online Commenta il servizio sul blog di MilanoCittàAperta Contatti: sito web email Pubblicato su MiCiAp: Frange Abitare condiviso
Ottantaquattro anni, vedova Cinquantuno anni, moldava Mia sorella lavora qui accanto, la domenica mangiamo insieme, come in famiglia Ora che non cammino più è come avere in casa una figlia
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PRIGIONE A CIELO APERTO
Filippo Ceredi
Niki e i suoi familiari sono cittadini rumeni. Vivono a Milano dal 1995 e dal gennaio del 2007 si sono installati, in accordo con il Comune di Milano, in due container del ‘campo nomadi’ di via Triboniano, accanto al cimitero maggiore. A partire dallo stesso gennaio 2007, la vita del campo è regolamentata da un decreto del prefetto di Milano - nominato “commisario per l’emergenza nomadi in Lombardia” - che prevede l’espulsione dell’intero nucleo familiare dal container nel caso in cui anche uno solo dei componenti commetta un reato, qualsiasi esso sia. È così che uno dei figli di Niki, avendo commesso un furto per poche decine di euro in un supermercato, sconta una pena di cinque mesi di carcere e 20 mesi più tardi tutti i familiari che abitano nello stesso container - tra cui due donne incinte e due bambini - vengono sottoposti ad un provvedimento di sgombero immediato. Il bambino più piccolo è stato fatto rientrare in Romania, ospitato da altri parenti, e gli altri abitano in sei stretti in un camper donato loro da un medico italiano, senza la possibilità di trovare accoglienza in un altro campo (lo stesso decreto lo vieta) e con il terrore che anche questo ultimo rifugio possa scomparire, portato via dalla polizia locale che sorveglia via Triboniano. In mancanza di fonti di riscaldamento se non quella dei loro corpi, notte dopo notte il gelo invernale si fa più intenso e le loro vite sono assalite dall’incubo ricorrente di non arrivare al giorno dopo. Eppure il caso di Niki e dei suoi familiari è solo la punta dell’iceberg. La politica degli sgomberi messa in atto dalla giunta comunale Moratti – in spregio a tutti gli sforzi di volontariato delle associazioni che operano su Milano - non solo non risolve il problema della criminalità che si annida nei campi, ma peggiora ulteriormente le condizioni di vita di tutta la popolazione rom, donne e bambini compresi, in quanto non propone alcuna reale alternativa. Le famiglie rom soffrono e alla fine trovano rifugio altrove. Si spostano ma continuano a esistere, a dispetto di chi vorrebbe cancellarle dalla mappa della città.
Niki. Padre di Iulian, Franci e Alina. Diabetico. Sgomberato.
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La moglie di Franci e madre di Annabella. Incinta. Sgomberata.
Franci. Sgomberato.
Annabella. 6 anni. Frequenta la prima elementare. Sgomberata.
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La moglie di Iulian. Incinta.
Iulian.
Sgomberata.
Sgomberato.
Fabiola. 6 anni. Frequenta la prima elementare.
Alina. Madre di Fabiola, Esmeralda e Marco (neonato)
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Filippo Ceredi Filippo Ceredi nasce a Locarno (Svizzera) nel 1982, ma da sempre vive a Milano. Dopo essersi laureato in Filosofia alla Statale di Milano, frequenta un corso di regia cinematografica a New York e da un anno é impegnato nella realizzazione di prodotti video per riviste online e per gruppi musicali emergenti. Per saperne di più... Nel gennaio del 2007 il prefetto di Milano, nominato “commissario per l’emergenza nomadi in Lombardia”, emette il decreto che regolamenta la vita dei campi rom nel territorio del Comune di Milano. Tale decreto stabilisce, tra le altre cose, la revoca dell’autorizzazione all’uso di un container per l’intero nucleo familiare nel caso in cui solo uno dei suoi componenti sia imputato di un reato qualsiasi (art.12). Le deroghe contenute nell’articolo in questione non sono state applicate nel caso di Niki e della sua famiglia. Scarica il pdf Il 19 novembre e il 26 dicembre il Comune procede allo sgombero dei campi di via Rubattino e di via Forlanini. “Milano città aperta”, un gruppo di cittadini omonimo a questa rivista e da essa del tutto autonomo, promuove subito alcune iniziative per protestare contro questi ultimi sviluppi della questione rom. Guarda il servizio online Commenta il servizio sul blog di MilanoCittàAperta Contatti: email Pubblicato su MiCiAp: U-Mani Prigione a cielo aperto
Esmeralda. 5 anni. Frequenta l’ultimo anno della scuola materna.
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.PRESENZE.
Thomas Pagani Roberto
La città chiude gli occhi, non sente. Negazione, rigetto, apatia. Milano non conosce ciò che si muove sotto la sua pelle, o non lo vuole sapere, così come i suoi perfetti cittadini, intrappolati dentro un fittizio benessere televisivo d’appartamento, mentre fuori, sotto casa, è malessere. I margini della società, un concetto chiaro a tutti, che definisce luoghi, persone, atteggiamenti ben precisi, ma troppo spesso idealizzati e mitizzati sono zone aventi una concreta forza d’attrazione per coloro che vivono ai limiti di quel reale messo in piedi dalla nostra società: disperati metropolitani, i nemici della città, che trovano la propria culla dove l’esclusione urbana incontra l’esclusione sociale. Tragici spazi di una metropoli che rinnega, espelle e colloca ai confini uomini, le cui vite di passaggio, di sottopassaggio, vagano erranti, esiliate dal mondo che transita sopra le loro teste. Sono ormai presenze, senza distinzione né forma, creature prive di un’identità, negata dalle fantasie della gente “comune”, che normalmente percorre e condivide quelle vie, quei sottopassaggi, durante le ore diurne, ma che di notte rifiuta e disdegna, rendendoli luoghi inaccessibili, d’emarginazione e rifugio. Ecco così il duplice volto di questi angoli avvolti nel cemento, che parlano di vite ignorate, di rinuncia alla comunicazione, alla comprensione. In questo contesto, il ruolo della fotografia è quello di dare forma alle visioni astratte delle masse, consegnando concretezza a quegli spazi, ma pur sempre senza rinunciare al lato onirico e suggestivo che tali posti evocano: il fascino dell’abisso, l’inquieto, il disagio e le sue presenze.
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Thomas Pagani Roberto Thomas Pagani Roberto nasce a Rho (Milano) nel 1983. Laureando in Scienze Umane dell’Ambiente presso l’Università Statale di Milano, attualmente lavora come tecnico GIS al Bosco Wwf di Vanzago dopo un periodo di volontariato. Inizia ad approcciarsi seriamente alla materia fotografica solo nell’inverno del 2008 puntando l’attenzione sugli ambienti urbani notturni che definisce “aspetti di arte contemporanea”, senza tralasciare, però, l’osservazione naturalistica. Per saperne di più... Guarda il servizio online Commenta il servizio sul blog di MilanoCittàAperta Contatti: email Pubblicato su MiCiAp: .Presenze.
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PENDOLARI Luca Napoli
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L’attesa Stazione di Legnano [andata]
Colti nel viaggio, fra treno e metrò, da Legnano a Cassina de Pecchi. Fotografati in un momento di sospensione muta, priva di considerazioni, sorrisi, risentimenti. Nello scorrere di paesaggi ipnotici. Attesa pura. Minuti, mezze ore di condizione umana insondabile. Pezzi di vita, per così dire, connettivi. Fra sonno e lavoro o, al ritorno serale, fra livida noia e attesa del prossimo tepore domestico. Solo da poco mi sento guarito dall’insensibilità catatonica del viaggio, sensazione che, pendolare anch’io da anni, condividevo con i soggetti delle mie foto. Suggestionato dal pallore dei neon che rendevano quei volti anonimi e universali, ho lasciato spazio al privato bisogno di raccontare per immagini quegli ambienti e quella scheggia di quotidianità: priva di eventi eclatanti, di parole e di memoria. Si è trattato anche di descrivere una parte della mia storia personale che non volevo restasse “temp perdu”. Con i miei furtivi scatti ho retto l’illusione di essere uscito dallo schermo, di disporre di un altro destino. Ma forse fotografare me stesso non avrebbe condotto a risultati diversi. L’aspetto più sofferto dell’operazione, perché meno “leale” del dovuto, è stato quello di rendere discreto e “mimetizzato” l’atto fotografico, cosa che è stata possibile grazie all’utilizzo di una fotocamera digitale di piccole dimensioni ed estremamente silenziosa. Per temperamento, ho sempre considerato e praticato la fotografia come gesto di socializzazione e coinvolgimento. Questa volta non avevo alternative: la consapevolezza del soggetto, il suo rinvenire ad una coscienza formale, avrebbero completamente vanificato il senso della ricerca. L’idea di mostrare questo lavoro, che mi piace considerare ancora in itinere, nasce da un naturale bisogno di condivisione e di confronto, strumenti, questi, necessari per affinare modalità espressive e trovare eventuali punti di contatto o di contrasto fra la mia sensibilità e quella degli osservatori (e osservati). Credo che confronto e dialogo siano indispensabili nell’esercizio di un’attività creativa.
Ancora nel letto... Regionale Porto Ceresio – Milano porta Garibaldi [andata]
Oggi non ho voglia Stazione Milano Porta Garibaldi [andata]
Controtendenza Stazione del passante ferroviario di Milano Porta Garibaldi [andata]
Finzione e realtà Metropolitana MM2 fermata Caiazzo [andata]
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Assenza momentanea Metropolitana MM2 fermata Garibaldi [andata]
Metropolitana MM2 [andata]
Zombi metropolitani Metropolitana MM2 fermata Cascina Gobba [ritorno]
Da sinistra Riposo e curiosità Metropolitana MM2 fermata Crescenzago [ritorno] L’ombra Treno regionale per Varese, Parabiago. [ritorno]
Un operaio Metropolitana MM2 Cernusco sul Naviglio [ritorno]
Sveglia! Treno regionale per Varese [ritorno]
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Un eroe moderno Stazione Milano porta Garibaldi [ritorno]
Luca Napoli
Non posso perderlo! Stazione del passante ferroviario di Milano porta Garibaldi [ritorno]
Luca Napoli nasce a Taranto il 25 Agosto 1972. Lascia la sua città natale nel 1991 per dedicarsi agli studi universitari in Ingegneria Elettronica a Ferrara dove, nel 1998, si laurea. L’anno successivo, per motivi di lavoro, si trasferisce a Milano. Ormai sposato e con un figlio, nel 2004 lascia la Città per spostarsi in provincia: a Legnano. La passione per la fotografia, nata già nell’infanzia, torna in maniera insistente nel 2004 e lo porta a partecipare a numerose mostre collettive. Attualmente lavora in una multinazionale di telecomunicazioni e utilizza il mezzo fotografico (fotocamere digitali sia reflex che compatti) come diario quotidiano dei suoi viaggi sui mezzi pubblici. Per saperne di più... Guarda il servizio online Commenta il servizio sul blog di MilanoCittàAperta Contatti:
Letto e riletto Stazione di Rho [ritorno]
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WORKING CLASS Cristina Mian e Marco Frigerio
Ex Fabbrica di Sanitari I Saronno (MI), 2005
ISSUE #2 - WINTER/2010
Abbiamo cominciato a lavorare a questa serie di immagini verso la metà del 2004, quando gli effetti dell’entrata nel WTO della Repubblica Popolare Cinese hanno cominciato a farsi sentire sul tessuto industriale europeo. Molte imprese, alcune delle quali probabilmente a partire dal secondo dopoguerra già spostate dalle zone urbane a quelle dell’hinterland, avevano cominciato a delocalizzare le proprie unità produttive sul territorio cinese: è stato subito chiaro che ci sarebbero stati enormi sconvolgimenti nell’assetto produttivo e commerciale europeo. Qui in Italia, in particolare, l’area della produzione tessile ha vissuto momenti di intensa crisi, una crisi che poi si è estesa anche ad altri settori industriali, a tal punto che oggi è diventata una triste e quotidiana consuetudine apprendere della chiusura di un’altra azienda e del conseguente licenziamento dei suoi lavoratori, e questo mentre in Cina continuano invece a sorgere migliaia di nuove aziende a capitale europeo ed in cui i lavoratori cinesi vengono sottopagati, la manodopera sfruttata e le condizioni di lavoro sono inaccettabili. E’ molto difficile prevedere le conseguenze sociali ed economiche che questa situazione porterà sul lungo periodo, specialmente ora che a questa situazione si è anche aggiunta la grave crisi economica che ha colpito il mondo nell’autunno del 2008. Da parte nostra sappiamo solo che, attratti come magneti, abbiamo cominciato ad esplorare le aree industriali abbandonate di Milano e dell’hinterland, forse perché abbiamo forte la sensazione che questi luoghi rispecchino in qualche modo il futuro del nostro attuale tessuto industriale, che siano gli inquietanti presagi di ciò che dovrà inevitabilmente accadere, e con una maggiore frequenza rispetto al passato, a moltissime altre aziende oggi attive. Per quanto riguarda la città di Milano, tutte le immagini sono state realizzate all’interno dei capannoni della enorme area industriale abbandonata della ex Immse, a Rubattino, area che oggi è oggetto di un importante intervento di riqualificazione. Invece nell’hinterland ci siamo concentrati maggiormente sulle ex aziende tessili che sorgevano di fianco al fiume Lambro, nelle zone periferiche di Monza e nelle prima cerchia della Brianza, a volte spingendoci anche nell’area di Saronno. Oggi come allora, quando abbiamo realizzato questa serie di immagini, affiora forte in noi la convinzione che qui, in questi luoghi abbandonati, si celi un destino condiviso, che questi siano luoghi pervasi da destini comuni che si riflettono uno nell’altro e che ci ricordano di scegliere il nostro futuro con molta attenzione, ora, mentre forse è ancora possibile.
Ex Fabbrica di Sanitari II Saronno (MI), 2005
Ex Fabbrica di Sanitari III Saronno (MI), 2005
Ex Fabbrica di Sanitari IV Saronno (MI), 2005
Ex Fabbrica di Sanitari V Saronno (MI), 2005
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Ex Conceria I Monza (MI), 2006
Ex Conceria II Monza (MI), 2006
Ex Conceria III
Ex Immse I
Ex Immse II
Monza (MI), 2006
Milano, Via Rubattino, 2005
Milano, Via Rubattino, 2005
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Ex Immse III
Cristina Mian e Marco Frigerio
Milano, Via Rubattino, 2005
Cristina Mian (nata nel 1967) e Marco Frigerio (nato nel 1966) sono moglie e marito. Formano, quindi, una coppia sia nella vita che nella fotografia. Lavorano esclusivamente con macchine fotografiche a grande formato 8x10” (20x25cm.). La loro formazione artistica ha origine nella poesia e nella pittura. E’ solo in anni recenti che hanno scoperto la fotografia ed è stato l’inizio di un’inarrestabile e divorante passione, tanto che oggi si dedicano esclusivamente a questa forma di espressione artistica. Per saperne di più... Leggi l’intervista su MagnaChrom Guarda il servizio online Commenta il servizio sul blog di MilanoCittàAperta Contatti: sito web email Pubblicato su MiCiAp: Working class
Ex Immse IV Milano, Via Rubattino, 2005
Ex Immse V Milano, Via Rubattino, 2005
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TRANSUMANZA Marco Costa
Milanofiori (Assago - MI)
ISSUE #2 - WINTER/2010
Ho trascorso una parte della mia infanzia, i primi anni ‘60, in un quartiere che stava sorgendo alla periferia nord ovest di Milano. Abitavamo in uno degli isolati che iniziavano allora a estendersi a macchia di leopardo, senza un preciso piano urbanistico. Questo processo risparmiava soltanto grandi prati un tempo destinati alla coltivazione. Qui, più di una volta l’anno, passavano i pastori e per ragazzini erano momenti di festa. Così io li ricordo. Questi stessi prati sono oggi divorati da un grande centro commerciale freddo, anonimo e identico a tanti altri. A queste immagini sono tornato quando, in un freddo pomeriggio dell’inverno 2005, ho casualmente incrociato un gregge alle porte di Milano. Così ho conosciuto Giuseppe Salvi. Pare siano qualche decina i pastori che dai primi di ottobre a fine maggio si muovono nel territorio compreso tra il Ticino e l’Adda. Arrivano dalle valli bergamasche e bresciane, dove trascorrono invece l’estate. Questo spostamento dalla montagna alla pianura e viceversa, non viene quasi più effettuato a piedi: la gran parte dei pastori carica oggi il gregge su modernissimi camion. Mestiere duro, il loro; non conosce soste, ferie, fine settimana. Conoscono il paesaggio meglio di un cartografo, sono la memoria vivente del territorio e delle sue trasformazioni. Con l’estate tornano agli alpeggi, oasi lontane dai rumori e dai fumi della pianura. Sono tre, quattro mesi tranquilli dove comunque non è possibile riposare. Giuseppe Salvi dalle prime avvisaglie d’autunno fino agli ultimi giorni di primavera si sposta nella pianura compresa tra il sud di Milano e il nord di Pavia. L’estate invece la passa tra i monti della Val di Scalve, dal Passo della Presolana al Passo del Vivione. Giuseppe è giovane, ma da più decenni espertissimo pastore. Questo lavoro è diventato per lui scelta di vita quando, appena quattordicenne, da Melzo decise di seguire un altro pastore per apprenderne il mestiere. L’ho accompagnato per alcune stagioni, condividendo una minima parte dei suoi 1.500 chilometri percorsi a piedi ogni anno. L’ultima volta che ho incontrato Giuseppe era il dicembre del 2005, in occasione del presepe vivente a Gudo, un piccolo borgo alla porte di Milano. Era, con venticinque pecore, un asino e una capretta, l’unico attore che interpretava la sua parte. Quando ci siamo salutati mi ha detto che il 2006 sarebbe stato, per lui, l’ultimo anno di transumanza.
Assago (MI)
Rozzano (MI)
Cascina Annone (Milano)
Rho (MI)
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Pieve Emanuele (Milano)
Ritratto ai pastori Giuseppe Salvi (in piedi) e Mario, nella roulotte dove vivono durante la transumanza
Valleambrosia (Milano)
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Da sinistra Lacchiarella (MI) Pero (MI) Tosatura
Settimo Milanese (MI) Controllo veterinario
Gudo Gambaredo (MI)
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Binasco (MI) Preparativi per la partenza dalla pianura alla valle
Marco Costa
Valle di Scalve (BG)
Marco Costa nasce a Milano nel 1959. Studia tre anni fotografia presso il C.F.P. Riccardo Bauer prima di conseguire la laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Dal 1987 abbina il mestiere di fotografo a un’intensa attività didattica. Ha viaggiato e realizzato reportage in Centro e Sud America, Africa, Maghreb, Medio Oriente, India e Cina. Consegue la menzione di merito a “Les Rencontres Internationales de la Photographie de Arles” nel 1991, con un lavoro sul Guatemala. Dal 1992 al 1997 ha collaborato con l’Archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione Lombardia. Con un gruppo di ricercatori ha realizzato un articolato reportage fotografico, pubblicato da “Abitare Segesta” in quattro volumi, su famiglie, ambienti e lavori di popolazioni emigrate nell’area di Milano. Sue fotografie sono conservate presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda (Cinisello Balsamo, Milano). Per saperne di più... Guarda la cartina con evidenziati i comuni del sud milano in cui sono stati realizzati gli scatti. Guarda il servizio online Commenta il servizio sul blog di MilanoCittàAperta Contatti:
Passo della Presolana (BG)
email Pubblicato su MiCiAp: Transumanza
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Filippo Ceredi
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Isacco Loconte
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