MilanoCittàAperta - Journal of urban photography - Issue#11 - Spring/2012 - www.miciap.com
Milano Città Aperta JOURNAL OF URBAN PHOTOGRAPHY
ISSUE #11 SPRING/2012
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MilanoCittà Aperta Coordinatore Esecutivo Isacco Loconte Coordinatore Editoriale Filippo Ceredi Photoeditor Alberto Locatelli Thomas Pagani Editor Testi Nicola Bertasi Progetto grafico e impaginazione Daniele Pennati Redazione Nicola Bertasi, Alfredo Bosco, Filippo Ceredi, Alberto Locatelli, Isacco Loconte, Simone Keremidtschiev, Thomas Pagani, Daniele Pennati Fotografi Stefano Bergna, Mara Costantini, Chiara Galliaro, Anna Paola Montuoro, Matteo Seveso, Riccardo Tarantola Grazie a: Giampietro Agostini e Laura Losito per la collaborazione offerta dal CFP Bauer e per l’editoriale. Claire-Louise Watkins per le traduzioni.
SOMMARIO/CONTENT ALTA VELOCITÀ
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HOMELESS Claudio Vitale
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IL GIORNO PIÙ BELLO DELLA MIA VITA Luca Napoli
LE BIANCHE
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WHITE MILANO SUD EST MILANO D’AMIANTO Emanuele Cremaschi
Chiara Diomede
AI MARGINI
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CHARLIE Lorenzo Martelli
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Edoardo Pasero
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EDITORIALE/EDITORIAL
Ama la gente e faglielo capire
Ama la gente e faglielo capire
Robert Capa
Robert Capa
Spendiamo più soldi per automobile e bollette che per il cibo. Gli ultimi dati che ci arrivano dai giornali sono impietosi.
We spend more money on cars and bills than on food. The latest figures exposed by newspapers are unmerciful.
La situazione di grave crisi fa ritornare la storia indietro di trent’anni e sembra davvero ci sia bisogno di risalire al 1980 per vedere l’irrisoria cifra di 2400 euro annui destinati in media alla spesa alimentare.
This crisis brings back memories of that which happened 30 years ago and it seems necessary to bring the 80’s crisis into the picture in order to understand the ridiculous sum of €2.400 per year destined towards food shopping.
La questione è difficile e un dubbio resta. Non è che questo sistema ci sta portando verso un ribaltamento delle priorità del vivere ? Questa nostra società che ha una fiducia enorme nel concetto di crescita in quanto “condizione sine qua non”, non si sta forse sbagliando? Viviamo anni duri, fra stage non pagati, lavori con contratti di due giorni, precarietà diffusa e risposte poco chiare ai problemi. In questo momento in cui il capitalismo naviga a vista, il pensiero liberista che ha prodotto questa crisi fa di tutto per salvarsi. Questo pensiero che ha imposto da tempo un modello di consumo inesorabile (oggi siamo tutti consumatori, prima che cittadini), sembra ripeterci continuamente il suo ritornello magico, il suo refrain scintillante: “Comprate, signori! Poco importa cosa. Soltanto così, si cresce. Soltanto ciò che ha un suo valore monetario merita attenzione.” E questo discorso vale spesso anche per le storie, le narrazioni, i reportages, le fotografie, che non sono immediatamente vendibili, vittime della legge della domanda e dell’offerta. Miciap presenta questa ISSUE 11 - Ai margini - proprio perché pensiamo che le storie, nonostante tutto, ci potrebbero salvare. Il raccontare potrebbe rimettere in discussione quelle strane priorità e aprire spazi nuovi di dubbi e riflessioni. Questa primavera Miciap vuole pubblicare quelle storie che restano spesso nascoste perché non stanno bene vicino a una pubblicità patinata. Storie che ci appaiono leggermente fuori fuoco e, raccontando quella frontiera tra chi sta dentro e chi sta fuori da questa società, ci ricordano anche la straordinaria umanità di quel fotografo, pioniere del reportage che con le sue Contax sbarcava in Normandia, alla ricerca dei volti. Per raccontare. E così arriviamo a Milano nel 2012, con le forti immagini dei clochards in bianco e nero di Claudio Vitale che sembrano ancora sorriderci con un po’ di sarcasmo, dal 1989, per il fatto di ritrovarsi simili a chi vive alla stazione Garbaldi oggi; ricordandoci che il tempo, a volte, sembra non passare. Ecco allora Rosaria e Giacomo, “senza tetto” di oggi, fotografati da Luca Napoli l’anno scorso. Due persone che hanno una
The question is a difficult one and doubts are high. Is it that this system is leading us to a capsized reality of life’s priorities? This, our society, that has enormous faith in the concept and idea of growth all in all the condition of “sine qua non”, is this belief failing us? We are living in tough times, from unpaid work experience to jobs with contracted work lasting the length of two days, this shakiness of the system has diffused out amongst all of us and our concerns and worries seem to be going unanswered and unaddressed. In times when capitalism is being questioned, free market thinking is trying to survive at any cost. Such economical framework has long established a societal model based on consumption (today, we are all first customers, then citizens). It seems to repeat itself with catchy slogans like “Buy it folks! Doesn’t matter what. Only this way we can grow. Only that which is monetised is worth paying attention too.” This issue also refers to stories, narrations, reports and photographs, which are not immediately profitable- victims of the “demand and offer” law of markets. Miciap presents this ISSUE 11- At the edges - because we believe that, after all, exposing those stories could save us. The exposure could re-raise the issue of those strange priorities and open up new spaces and doubts for reflection. This spring, Miciap wants to publish those stories that mainly remain under wraps because their exposure wouldn’t fit within the glamour advertising trends. Stories and reports that appear to be slightly out of focus and that expose a thin border between those who are inside and those who are outside of this society; we bring to mind the extraordinary humanity of that photographer, a pioneer of reportages, who with his Contax cameras, landed in the French region of Normandy in search of faces. In order to tell a story. With this, we arrive to the Milan of 2012, to those strong images of homeless people in black and white by Claudio Vitale that since 1989, still seem to make us sarcastically smile, for they are so similar to
vita normale alle spalle ma che adesso sono fuori dal mondo, sulla strada, pronti a parlare della loro storia a uno sconosciuto. Pubblichiamo le vite d’amianto di Emanuele Cremaschi e Chiara Diomede. Le White, case popolari alle porte di Milano, costruite con l’amianto prima che venisse messo al bando nel 1992, hanno visto morire 49 persone a causa dell’esposizione alla sostanza nociva. Si raccontano le lotte degli abitanti dello stabile, i loro sguardi d’amarezza, il terribile silenzio istituzionale durato venticinque anni, che si sente echeggiare nella canzone “Milano sud Est” di Oscar, abitante delle White. E ancora, la storia di Luca. E’ la storia di un uomo che viveva in una Punto scassata nel parcheggio di una multinazionale, dopo un divorzio devastante. La storia di qualcuno che molti chiamerebbero “matto” , semplificando le cose. E’ il bellissimo racconto del fotografo che si avvicina a quella frontiera tra chi sta dentro e chi sta fuori dalla società, rinunciando agli stereotipi. Edoardo Pasero ci lascia le sue immagini senza giudicare: Nei suoi comportamenti però, si avvertono quelle sfumature buie e profonde che tutti ci portiamo dentro anche se cerchiamo di tenerle lontane. E Charlie, infine. Con le sue origini nobili e il suo sguardo affascinante, viene ad aprire la porta della sua casa piena di gatti, accettando di essere fotografato da Lorenzo Martelli. Nei suoi occhi, nei dettagli del suo mondo si intravede la solitudine dell’uomo ma si sente anche la forza della scelta non conformista, dell’altra possibilità. Questa issue 11 è molto vicina alla chiusa del manifesto di Miciap, raccontare per cambiare. Questa primavera abbiamo deciso di buttare un sasso molto grande nello stagno.
Buona visione.
those who live in Garibaldi Station today: to remember that time itself sometimes seems to stop. We remember the people of today, Rosaria and Giacomo, homeless, who were photographed last year by Luca Napoli. Two people who have a normal life weighing down on their shoulders have been outcast, left to survive on the streets but are now ready to tell their story. We’ve published the photographic experiences of Emanuele Cremaschi and Chiara Diomede. Le White, council houses on the doors of the city, painted with asbestos before it was banned in 1992, lead 49 people to their deaths after exposure to this hazardous substance. They share the struggles of those who were unfortunate enough to reside there, their bitter outlooks, the terrible institutional silence that lasted for 25 years, echoes of that which that occurred can be heard through the rap “Milano sud Est” by Oscar, a resident of Le White. And again, the story of Luca. It is the story of a man that lives in one abandoned Fiat Punto in a multi-storey carpark, after a devastating and tough divorce. The story of someone who many would call crazy, simplifying the issue. It is the amazing story of a photographer who is drawn in by the frontiers between who is in and who is out of our society, readdressing the typical stereotypes. Edoardo Pasero leaves us to appreciate his images without justifying them: in his behaviour, one can notice those dark and profound shades that we all have deep inside, even though we try to keep them far away from us. And Charlie, to end. With his noble origins and his enchanting look, he opens the doors of his house full of cats, accepting to be photographed by Lorenzo Martelli. In his eyes, in his detailed world, we take a glimpse at the lonely life of a man but, you can also sense his determination not to conform- somewhat of another possibility. This ISSUE 11 is close to the vision of Miciap, exposure in order to create change. This spring, we’ve decided to cause ripples by throwing a big rock in the stagnant pond.
Happy reading.
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HOMELESS Claudio Vitale
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Gino Stampella e Marco sotto il manifesto pubblicitario di Armaduk, cibo per cani
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Stazione Centrale
Stazione Centrale
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Stazione Centrale
Stazione Centrale
Dal 1989 i senza tetto delle stazioni milanesi ci sorridono. Un po’ sarcastici.
Since 1989, those who are homeless, dwelling in Milanese stations are smiling at us. Sarcastically.
Claudio Vitale, fotografo dall’occhio inesorabilmente sensibile e dal taglio forte, vive tra Milano, Roma e Napoli. Questo lavoro sui barboni di Milano risale a più di una ventina di anni fa, ma rimane un servizio culto. Crude ma gentili, le fotografie vanno dritte al soggetto. Spesso il fotografo si avvicina molto alle persone fotografate, dimostrando la voglia di capire davvero e di essere solidale con gli esseri umani.
Claudio Vitale, a photographer who is inexhaustibly sensitive (with strong views) spends his time living between Milan, Rome and Naples. This project is on the homeless people of Milan, which dates back over 20 years but still remains a cult reportage. Raw but gentle, his photographs give meaning to the subject. Often, the photographer is very drawn into the lives of the people that he’s photographing, demonstrating the need to truly understand what it means to sympathise with other human beings.
Testo di Valentina Carmi
Text by Valentina Carmi
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Boris, slavo
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Antonio
Gino Stampella con i suoi amici. Tutti morti.
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Stazione Centrale
“Rimozione� di un homeless da parte di vigili urbani, alla stazione della metropolitana Cadorna
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Stazione Centrale
Antonio mostra il suo occhio di vetro che, all’alba, toglie e lava.
Cludio Vitale Nato a Bologna nel 1961, dopo la maturità classica conseguita a Napoli e 18 mesi trascorsi in Perù, dove si consolida definitivamente la passione per la fotografia, dal 1980 al 1983 frequenta l’Istituto Europeo di Design di Roma, da cui esce con tanti complimenti ed il minimo dei voti...
Cludio Vitale He was born in Bologna in 1961 and after attending a Classical Studies school in Naples, he spent 18 months in Peru, where he consolidated his passion for photography. From 1980-1983, he was enrolled at the Instituto Europeo di Design in Rome, from which he left with many compliments but achieved minimum grades...
Si occupa prevalentemente di reportage sociale e documentaristico.
He predominantly works on reports to do with social welfare as well as on documentaries.
Nel 1987 si trasferisce a Milano, lavorando per tre anni da assistente free-lance, facendo esperienza con più di 60 fotografi, tra cui David Bailey, Toni Thorimbert, Aldo Fallai, Giampaolo Barbieri. Dal ‘90 inizia a lavorare per le principali testate italiane, diventando (‘92-’95) inviato speciale del mensile “King”. Collabora col quotidiano francese “Liberation” dal 1994. Dal ‘92 al ‘97 è stato membro del settore produzione dell’agenzia “Grazia Neri”, da cui esce, con tanti complimenti, per divergenze filosofiche sul mestiere e per l’irrilevante
In 1987, he moved to Milan, and worked as a freelance assistant for three years, gaining experience from more than 60 photographers including the likes of David Bailey, Toni Thorimbert, Aldo Fallai and Giampaolo Barbieri. In 1990, he started working for primary Italian newspapers, becoming (from 1992-1995) a special correspondent for “King”monthly. From 1994 he started working with the French daily newspaper “Liberation”
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Cascina Campazzo, Milano
Cascina Campi, Trenno
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Cascina Campi, Trenno
peso nel fatturato dell’agenzia. Premiato al Kodak European Award per giovani fotografi, ha esposto alle gallerie “il Diaframma”ed “Enzo Nocera”, alla “Triennale”, allo “Spazio Consolo” ed alla “Permanente” di Milano, al “Fabbricone” di Prato ed al Museo della Fotografia di Torino. Ha pubblicato su diversi magazines nazionali ed esteri, dal “D2 di Repubblica a “Max”, “Sette”, “Lo Specchio”, “L’Espresso”, “Das Magazin”, “Geo”, “Brutus”, “Vogue” etc etc... Sue fotografie sono nei volumi: “Storia Fotografica d’Italia” (Einaudi), “60 anni di Fotogiornalismo in Italia” e Le Grandi Fotografie della Nostra Storia” (Hachette/Contrasto). Il 24 marzo 2012 sarà presente alla “One Piece gallery” di Roma nell’ambito della collettiva “la Verità è nuda”. A maggio esporrà i suoi porno “SexTex” alla “Pier Art gallery” di Milano. E’ in preparazione la sua prima personale: “Full Frame”. Vive e lavora a Roma, indipendente. Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: claudiovitalephoto@gmail.com
From 1992-1997 he was a member of the production sector of the agency “Grazia Neri” from which he left, with many compliments, because of ‘philosophical divergences’about his profession and for the irrelevant pressure of sales turnovers at the agency. Winner of the Kodak European Award for young photographers, he has exhibited his work in galleries including: “il Diaframma” and “Enzo Nocera”, at the “Triennale”, at the “Spazio Consolo”, at the “Permanente” in Milan, at the “Fabbricone” in Prato and at the Museum of Photography in Turin. He has been published in different national and international magazines, from the “D2” di Repubblica a “Max”, “Sette”, “Lo Specchio”, “L’Espresso”, “Das Magazin”, “Geo”, “Brutus”, “Vogue” etc. His photographs are in the volumes: “Storia Fotografica d’Italia” (Einaudi), “60 anni di Fotogiornalismo in Italia” e “Le Grandi Fotografie della Nostra Storia” (Hachette/Contrasto). On the 24th March 2012, his work will be presented at the “One Piece Gallery” in Rome in the field of the collective “la Verità è nuda”. In May, he will exhibit his porn movies “SexTex” at the “Pier Art Gallery” in Milan. He is currently in preparation for his work named “Full Frame”. He lives and works independently in Rome. To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: claudiovitalephoto@gmail.com
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IL GIORNO PIÙ BELLO DELLA MI Luca Napoli
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IA VITA
Un momento di intimità . Rosaria e Giacomo dormono abitualmente sotto un ponte all’esterno della stazione di Porta Garibaldi a Milano.
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Gli anelli di plastica. Ultimi residui di vanitĂ
La borsa viola in finto coccodrillo ricevuta in regalo da una passante.
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Il cellulare. Contiene una SIM trovata per strada e disattiva. È l’unico gadget a cui Rosaria è legata.
Milano, 2011. Rosaria e Giacomo raccontano la loro storia, vicino al rumore dei treni.
Milano, 2011. Two homeless sweethearts tell their story with the sound of trains heard in the background.
Ho chiesto a Rosaria quale fosse stato il più bel giorno della sua vita. Lei ha risposto, di getto, il 14 febbraio 2011, San Valentino: festeggiava con Giacomo il sedicesimo anno di convivenza.
I aksed Rosaria what the most beautiful day of her life was. She quickly replied, February 14th 2011, St. Valentine’s Day: she celebrated 16 years of living with Giacomo.
Rosaria, 58 anni. Originaria di Napoli, una vita trascorsa a Milano. Tre figli ed un matrimonio finito.
Rosaria is 58 years old. She comes from Naples but has spent her life in Milan. She has three children and is divorced.
Giacomo, nato a Milano nel dicembre del 1940. Un passato di musicista, di assessore circoscrizionale a Baggio, quartiere di origine. Cinque figli.
Giacomo was born in Milan in December in 1940. A leap from being a musician and an assessor in Baggio, his town of origin. He has five children.
Insieme da 16 anni, per strada, a Milano.
They’ve spent the last 16 years together on the streets of Milan.
Rosaria e Giacomo, stazione Garibaldi, figure in fuga fra i finestrini del treno.
Rosaria and Giacomo, in Garibaldi Station, figures on the run between the windows of the train.
Sempre lì a quell’ora, invisibili come un murales.
Always there at the same time, as invisible as the graffiti.
Accostati con timoroso languore, mi soppesano sorpresi. Esame superato. Da quell’istante sono un amico e basta. Nessun sospiro, nessun lamento, nessuna richiesta: la loro condizione di disagio sembra una mia suggestione. Assecondano le mie istanze fotografiche, unico contatto a cui mi sento pronto, sorpresi dell’interesse suscitato. Poi mi dicono del passato, per dettagli e avventure, come se, da vecchio conoscente, già sapessi tutto. E gli occhi, talvolta, dicono rimpianto. Tutto è subito superato e avvolto nell’affetto reciproco che sembra rendere agibile qualunque condizione.
Drawn in by fearful weaknesses, they weigh up my presence. Exam passed. From that moment they’ve allowed me to become a friend. No sighs, no moaning and no requests: their uneasy condition seems to be a suggestion. They agree with my photographic requests, the only contact that I feel ready about, surprised by the generated interest. They then tell me about their past, the details of their adventures as if I were an old friend who already knew everything. Their eyes, at times, expressed regret. Everything is at once surpassed and wrapped up in reciprocated affection which seems to make any condition easy to deal with.
Offro il caffè, e lo sproporzionato conforto che ne ricavano mi riporta
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Il cibo freddo comperato al supermercato della stazione oppure ricevuto in regalo da qualche ristoratore di corso Como.
Le sigarette MS. Le immancabili economiche compagne delle loro giornate.
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Luigi ha regalato a Rosaria il suo golfino grigio.
ad una condizione umana semplice e primordiale, priva di inutili bisogni accessori, in cui un tempo, anonimi antenati sopravvivevano, procreavano, amavano e morivano. Vivere di nulla. Rosaria e Giacomo in realtà vivono di nulla. Un caffè, qualche sigaretta, i bagni della stazione, un pasto freddo consumato per strada o nella mensa della Caritas. Ci penso dopo, da lontano, da casa. Li immagino per terra, sottozero, avvolti in una coperta consunta e lercia, nei panni di sempre, le malandate scarpe calzate, scossi dal fragore di un treno notturno. Guardo le foto al pc. Lontano dalla serenità e dal decoro di quegli occhi, tutto mi appare più reale del vero: le unghie sporche, i visi rugosi e sofferenti, i fumi consolatori del vino a digiuno, l’abbandono di ogni cura formale. Tutto mi appare ingiusto e doloroso. E comunque da seguire, da rivelare, da denunciare. Quelle foto rinchiuse nell’hard disk gridano la loro volontà di esporsi, raccontare, turbare. Ora possono farlo.
I offer them a coffee and a disproportionate amount of comfort which they never get, it takes me back to a basic and primordial condition which is often robbed by the useless need for things and at one time, anonymous ancestors survived, pro-created, loved and died. We don’t need anything to live. The reality is that Rosaria and Giacomo live off nothing. A coffee, some cigarettes, the station toilets, cold pasta found on the street or eaten at the Caritas shelter canteen. I think about it after, from afar, at home. I imagine them on the floor, in sub-zero temperatures, rolled up in a filthy, worn-out cover wearing the same old clothes and shabby shoes, shaken by the roaring of the night trains. I look at the photos on my computer. Far from the serenity and from the grace of those eyes, everything appears more real to me:: their dirty fingernails, their lined and suffering faces, the consoling fumes of wine on an empty stomach, every form of neglect. Everything appears unjust and painful to me. It is however to be followed, to be revealed and to be reported on. Those photos stored on my hard disk shout out their need to be displayed, to tell their story and to upset the peace. Now they can.
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La coperta grande marrone.
Il caffè.
La vecchia radio.
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Il vecchio orologio. Fermo.
Rosaria segue il fluire dei pensieri.
Il vino in cartone. Uscire dal mondo con pochi centesimi.
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Giacomo, ubriaco.
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L’attesa.
Luca Napoli Luca Napoli nasce a Taranto il 25 Agosto 1972. Lascia la sua città natale nel 1991 per dedicarsi agli studi universitari in Ingegneria Elettronica a Ferrara dove, nel 1998, si laurea. L’anno successivo, per motivi di lavoro, si trasferisce a Milano. Ormai sposato e con un figlio, nel 2004 lascia la Città per spostarsi in provincia: a Legnano. La passione per la fotografia, nata già nell’infanzia, torna in maniera insistente nel 2004 e lo porta a partecipare a numerose mostre collettive. Attualmente lavora in una multinazionale di telecomunicazioni e utilizza il mezzo fotografico (fotocamere digitali sia reflex che compatte) come diario quotidiano dei suoi viaggi sui mezzi pubblici. Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: napoli.luca@gmail.com web: http://www.flickr.com/photos/luca_napoli
Luca Napoli Luca Napoli was born in Taranto in 1972. He left his hometown in 1991 to study Electronic Engineering in Ferrara, where he graduated in 1998. The following year he moved to Milan for working reasons. Married and with a son, in 2004 he left the city and moved to the countryside, in Legnano. His passion for photography, which started when he was a kid, comes back in 2004 when he starts taking part in many collective expositions. Currently he works for a communication multinational and he uses photography (digital reflex as well as compact) as a daily diary of his journeys on public transports. To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: napoli.luca@gmail.com web: http://www.flickr.com/photos/luca_napoli
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WHITE MILANO SUD EST Emanuele Cremaschi
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Uno scorcio delle White, edificio popolare di proprietà del Comune di Milano. Il palazzo, che sorge in Via Carlo Feltrinelli 16 nel quartiere Rogoredo, è rivestito da 3.5 tonnellate di amianto ed è abitato da 800 persone.
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Rosa, 52 anni, casalinga, da 24 vive alle White.
Giovanni, 47 anni, da 23 vive nelle White; porta 6 by pass e ha problemi di udito e vista; nonostante gli sia stata riconoscuta un’invalidità pari all’80%, non gli è ancora stata concessa la pensione.
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Giovanni, 26 anni, da 24 alle White.
Un enorme parallelepipedo, soffocato dal traffico della tangenziale da un lato e dal cantiere di Santa Giulia - la città ideale, dall’altro.
An enormous parallelepiped building, suffocated by the dual carriageway traffic on one side from the building works of Santa Giulia, the ideal city, to another.
Lo chiamano White, per via del colore bianco dei pannelli che rivestono la superficie esterna dell’edificio. Si tratta di una casa popolare di proprietà del Comune di Milano: 3,5 tonnellate di amianto, materiale ampiamente utilizzato per la coibentazione edilizia fino alla messa al bando, nel 1992, a causa della sua accertata nocività.
They call the area White partly because the panels from which they are built and the entire outlook of the building has been coloured white. They are council houses, property of the Comune of Milan: made with 3.5 metric tonnes of asbestos, a material that has been extensively used in the insulation of these buildings, which became prohibited in 1992, in order to ascertain the safety of this noxious substance.
152 famiglie, 800 persone di cui 80 bambini, convivono ormai da 25 anni con una strage silenziosa: sono infatti 49 i decessi e le insorgenze di patologie di varia natura potenzialmente riconducibili all’esposizione all’amianto tra gli abitanti delle White. Il percorso fotografico intrapreso in Via Carlo Feltrinelli ha inteso essere l’inizio di un viaggio all’interno di una comunità di cittadini invisibili per restituire loro la dignità che la Milano patinata, fresca vincitrice dell’Expo 2015 pare avergli negato. In seguito alla sempre più crescente attenzione mediatica al caso delle White, nel corso del 2010 il Comune di Milano ha disposto il trasferimento di gran parte delle famiglie residenti, grazie a programmi di mobilità abitativa per avviare la bonifica dall’amianto.
152 families, 800 people, of which 80 are children, are still, after 25 years, living as part of a silent massacre: 49 people deceased and the onset of other pathologies of various natures amongst the residents in reference to exposure to the asbestos at White. This photographic reportage, which started in Via Carlo Feltrinelli, intends to be the start of a journey inside a community of invisible citizens in order to re-establish their dignity that the glossy Milan, fresh winner of the Expo 2015, seems to have rejected. In pursuit of growing media attention in the case of the White, in the course of 2010, the Council of Milan planned transfers of the majority of those resident families, thanks to housing mobility programmes, and set out to begin an asbestos clearance operation.
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Annalisa, 20 anni, al sesto mese di gravidanza: quando ha scoperto di essere incinta, ha deciso di lasciare le White e di trasferirsi a casa del suo fidanzato. Torna spesso a far visita alla madre e ai fratelli.
Federica, 56 anni, impiegata, ha perso il figlio Gianmarco, morto per un tumore al cervello a 27 anni.
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Anna, 13 anni, studentessa, figlia di Rosa e di Giovanni
Elena, 43 anni, da 22 alle White: le è stato diagnosticato un nodulo al seno.
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Peppe, 22 anni, nato e cresciuto alle White.
Fabio, 30 anni, da 24 abita alle White. Tre anni fa è stato colpito da un tumore ai testicoli che lo ha costretto a un intervento chirurgico e a tre cicli di chemioterapia: è sotto costante controllo medico.
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Sandro, 39 anni, da sempre alle White.
Nunzia, 21 anni, una delle poche giovani ad aver lasciato le White, torna spesso a trovare la sua famiglia.
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Oscar, 30 anni, da 24 alle White, il rapper e MC che per primo ha denunciato pubblicamente la questione amianto grazie ai suoi testi e ad alcuni passaggi televisivi.
Emanuele Cremaschi Staff photographer di LUZphoto, erede della storica agenzia fotografica Grazia Neri, è nato a Sanremo nel 1980. Si avvicina alla fotografia non perché uno zio gli abbia regalato una Nikon F per la sua cresima, ma solo dopo gli studi in Giurisprudenza, grazie a un corso presso il CFP Bauer di Milano. Si occupa di tematiche di attualità italiana con particolare riguardo alle questioni ambientali, sociali e di costume. Collabora regolarmente con il settimanale l’Espresso dal 2009, anno in cui ha ricevuto, insieme ad altri, il premio Giornalistico Enzo Baldoni Sezione Fotografia per un lavoro collettivo sul terremoto in Abruzzo. Sue fotografie sono state pubblicate da Der Spiegel, Internazionale, L’Europeo, Le Monde, Newsweek, Vanity Fair e Wired ed esposte e proiettate a Milano, Roma, Arles, Londra e Washington. Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: emanuele.cremaschi@gmail.com web: www.emanuelecremaschi.com
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Emanuele Cremaschi Staff Photographer at LUZphoto, heiress to the historical photographic agency Grazia Neri, she was born in Sanremo in 1980. He was drawn in by photography, not because his uncle gave him a Nikon F for his Confirmation, but only after he studied Law, thanks to a course he took at CFP Bauer in Milan. He is concerned by current themes in Italy paying particular respect to environmental and social matters. Since 2009, he has regularly collaborated with the weekly issue of l’Espresso, the same year in which he recieved, along with others, the award for Journalism (Enzo Baldoni)- Photographic section for a collective project on the earthquake in Abruzzo. His photos have been published in Der Spiegel, Internazionale, L’Europeo, Le Monde,Newsweek, Vanity Fair and Wired and has exhibited and screened his work in Milan, Rome, Arles, London and Washington. To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: emanuele.cremaschi@gmail.com web: www.emanuelecremaschi.com
Uno scorcio delle White, edificio popolare di proprietà del Comune di Milano. Il palazzo che sorge in Via Carlo Feltrinelli 16 nel quartiere Rogoredo, è rivestito da 3.5 tonnellate di amianto ed è abitato da 800 persone.
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MILANO D’AMIANTO Chiara Diomede
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Un reportage dentro le White per dare voce a chi combatte l’ingiustizia.
A reportage into the White to give voice to those who fight injustice.
Molti edifici a Milano hanno bisogno ancora di bonifica dall’amianto, una sostanza molto nociva, addirittura mortale specie se l’esposizione a questa materia è prolungata nel tempo.
Many buildings in Milan still need to be cleared of asbestos, an extremely noxious substance, because of the deadly consequences of being exposed to it for long periods of time.
Nella periferia sud est, in via Feltrinelli sorgono le “Case bianche” dette “le White” di Rogoredo, case popolari costruite nel 1986 e abitate da 150 famiglie.
In the South-East periphery of Milan, in Via Feltrinelli, the “White Houses” or the White, rise up in Rogoredo, council housing built in 1986 - in which 150 families live.
Il nome deriva dal colore dei pannelli d’amianto di cui sono rivestite.
The name derives from the colour of the asbestos built panels of which the houses have been covered in.
Oscar, giovane abitante delle case bianche, nel 2008, dopo aver visto che l’amianto si portava via alcuni degli amici più cari, comincia a combattere nel quartiere, sui giornali e con la musica. Incide il brano “Milano sud Est”, in cui denuncia la situazione di degrado dei
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In 2008, Oscar, a young resident of the White, after having seen that the asbestos had taken away some of his closest and dearest friends, went to battle for his neighbourhood through the media and through his
condomini. Oscar e altri inquilini sono l’anima del Comitato delle White che nel corso degli anni ha informato gli abitanti del condominio del pericolo legato alla sostanza cancerogena e che ha condotto un’ostinata battaglia con le istituzioni per ottenere la bonifica dello stabile. Una battaglia che soltanto ora, dopo venticinque anni, sembra finalmente vinta.
music. He recorded the track “Milano sud Est”, in which he raps about the degraded state of the area. Oscar, along with other residents, are the voices of the committee of White that, in the last few years, has informed those residents of the area of the dangers associated with the cancerous substance and they’ve conducted a persistent battle with the State in order to start clearing up the situation. A battle that seems only now, after 25 years, to finally have been won.
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Chiara Diomede Chiara Diomede nasce a Milano nel 1972. Si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti e poi si specializza in arte-terapia. Dopo aver lavorato per qualche anno come responsabile in un day hospital di arte terapia presso Anffas e come insegnante di scultura all’Istituto dei Ciechi di Milano, trasforma la sua passione in professione ed inizia a lavorare come fotografa di cronaca per i principali quotidiani italiani. Dopo questi primi sei anni di scuola di strada, comincia a dedicarsi al reportage di indagine e analisi sociale in Italia e all’estero per poi arrivare ad una ricerca, quella attuale, più intima e personale che passa attraverso la relazione con gli altri e la curiosità verso ciò che più l’attrae. Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: chiaradiomede@gmail.com
Chiara Diomede Chiara Diomede was born in Milan in 1972. She graduated in Art at the Accademia di Belle Arti and then specialised in Art Therapy. After having worked for a few years as a supervisor in a day hospital of Art Therapy at the Anffas and as a Sculpture teacher at the Institute For The Blind in Milan, she transformed her passion into another profession and began to work as a Photo Reporter for leading Italian newspapers. After these six years of learning on the road, she began to dedicate herself to investigative reportages and social analysis in Italy and abroad which then made her arrive to her research - research which was more intimate and personal which jumps between relationships between her curiosities and that which she is captured by To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: chiaradiomede@gmail.com
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CHARLIE Lorenzo Martelli
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La vita di Charlie con i suoi animali. Io non sono casa mia dice, prima di farsi fotografare.
Charlie’s life with his animals. I’m not my house- he says, before accepting to be photographed.
“Ciò che vedeva era soltanto questo: comicità e miseria, comicità e miseria. E allora, insieme con la pena e l’orgoglio della conoscenza, venne la solitudine, perché gli riusciva intollerabile la vicinanza degli inetti con lo spirito gaiamente ottenebrato, e il marchio che lui recava sulla fronte li respingeva.” (Thomas Mann, Tonio Kröger)
“What we saw was just that: humor and misery, laughter and misery. And then, together with the pain and the pride of knowledge, was the solitude, because he found it intolerable, a closeness of the spirit cheerfully and ineptly darkened- he fought against the mark that was put on him.” (Thomas Mann, Tonio Kröger)
So che fu suo nonno a rinunciare ai beni e al titolo nobiliare, lasciando a Charlie il desiderio ideale di amministrare quelle che furono le terre di famiglia. Un tempo fu un brillante autore radiofonico, gli amici di allora lo chiamavano il Conte in riferimento ai suoi modi, un esile palliativo di quel Barone che è suo di diritto.
I know that it was his grandfather who had renounced his aristocratic title, leaving Charlie the ideal desire to manage his families’ properties. One time, he was a brilliant radio broadcaster and friends used to call him ‘The Count’ in reference to his manner, a feeble palliative of a Baron who knew his rights.
Dagli anni settanta Charlie ha condiviso la sua esistenza con più di trenta cani di strada, oggi ne ha quattro e quasi quaranta gatti. Da quando ha cominciato ad occuparsi di loro non ha più lasciato Milano e di rado si allontana dal quartiere in cui vive. Mai un giorno di vacanza - mi ha spesso fatto notare senza celare una punta di orgoglio - mai un giorno a letto, ma adesso sono molto stanco, Â fisicamente e psicologicamente. Nella primavera del 2010 ho chiesto a Charlie se potevo fotografarlo. Prima del mio ingresso, l’appartamento dove è nato e cresciuto, era una fortezza inviolata da decenni - io non sono casa mia - mi ripeteva continuamente. Poi scelse di aprirmi la porta.
From the 1970’s, Charlie shared his life with more than 30 homeless dogs, of which today he only has 4 left as well as nearly 40 cats. When he started to care for them he stayed in Milan; he seldom left the area in which he lives. Never had a day off –he made me often notice, showing a bit of pride – never a day in bed, but now I’m very tired, both physically and psychologically. In the spring of 2010, I asked Charlie if I could photograph him. Before I entered the apartment in which he was born and raised in, it was a fortress which had been left untouched for decades- I’m not my house- he continuously told me. He then decided to open his door to me.
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Lorenzo Martelli Lorenzo Martelli nasce a Milano nel 1986. Dopo la maturità artistica si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Brera che però non conclude per dedicarsi interamente alla fotografia. Studia con Mark Steinmetz, Joakim Eskildsen, Dana Lixenberg, Bruno Ceschel e Ernesto Bazan, con il quale collabora dal 2007 per la casa editrice di recente fondazione Bazan Photos Publishing. Nel 2011 presenta il suo primo lavoro “Charlie” che vince una serie di premi internazionali e nello stesso anno viene esposto in una collettiva presso la Porch Gallery di Durham NC, negli Stati Uniti. Per saperne di più... Leggi l’intervita a Lorenzo Martelli realizzata a cura del Center for Documentary Studies at Duke University [link]. Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: lorenzomarte@gmail.com web: www.lorenzomartelli.org
Mara Constantini Lorenzo Martelli was born in Milan in 1986. After Art School, he enrolled at the Accademia delle Belle Arti di Brera which, however, didn’t conclude in order to dedicate himself entirely to Photography. He studied with Mark Steinmetz, Joakim Eskildsen, Dana Lixenberg, Bruno Ceschei and Emesto Bazan, the latter of whom he has worked with since 2007 at Bazan Photos Publishin a recently established editing house. In 2011, he presented his first project named “Charlie†for which he won a series of international prizes and recognition and, in the same year, his work was exhibited in a collection held at the Porch Gallery of Durham NC, in the USA. To learne more... Read the inteview to Lorenzo Martelli realizzata made by the Center for Documentary Studies at Duke University [link]. Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: lorenzomarte@gmail.com web: www.lorenzomartelli.org
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LUCA Edoardo Pasero
Cascina Travaglia.
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Luca viveva in una Punto scassata nel parcheggio di una multinazionale, con le fotografie della donna che ama.
Luca lived in an abandoned Punto in a car park with the photographs of the woman that he loves.
Due anni fa, dopo un lungo periodo passato senza lavoro, cominciai un nuovo rapporto lavorativo con una delle più note aziende americane del settore informatico, che ha una filiale in un enorme centro commerciale dell’hinterland milanese.
Two years ago, after passing a long period of time without a job, I started a new contract of work with one of the many well noted American companies in the Informatics sector, which has a branch in an enormous shopping centre in the Milanese hinterland.
Per accedere al centro commerciale occorre attraversare un parcheggio quasi sconfinato, e qui ho notato la presenza costante, a qualsiasi ora, di una Punto un po’ sgangherata, coperta da stracci e da fogli di carta con scritte che sembravano messaggi di denuncia.
In order to access the shopping centre he had to pass through a car park almost oceanic, and here he noted the constant presence of an abandoned and rickety Fiat Punto, covered with scratches and streams of paper with writings that seemed to be notices from the local council.
Era l’auto/casa/rifugio di Luca che un giorno, nel suo peregrinare da un luogo all’altro, è arrivato in quell’enorme parcheggio assolato, senza benzina e con pochissimi soldi in tasca, e ha deciso di fermarsi.
It was that car/house/refuge, in which one day, Luca found himself stopping in after wandering from one place to the other with little money in his pocket and no fuel.
Mi sono deciso, e gli ho chiesto di raccontarmi la sua storia - o almeno quella che Luca vuole lasciare intendere. Nel corso di ripetute chiacchierate ho scoperto che ha poco più di quarant’anni e una vita rovinata, a causa di un divorzio che lo ha dilaniato e per le molte ossessioni che lo abitano. Il divorzio, gli anti divorzisti, la solitudine. Vive in macchina, estate ed inverno. Passa tutta la sua giornata dentro
I had decided to ask him to tell me his story- or at least that which Luca had wanted to speak of. In the course of repeated chats, I discovered that he’s in his 40s, his life has been ruined by a divorce that had ripped him to pieces and he still lives haunted by it. The divorce, the anti divorcees, the solitude. He lives in his car come summer or winter. He spends all of his day in that Punto. He picks up his tobacco from the butts of cigarettes he finds in the bins of the shopping centre and
quella Punto. Raccatta il tabacco dai mozziconi delle sigarette spente
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nei posacenere del centro commerciale e se lo fuma in una pipa che ha ricavato dal ramo di un albero. Addobba la sua casa con la stessa foto di una donna, Roberta, e scrive il suo nome su amuleti che posiziona nell’area intorno alla macchina”, “per tenere lontane le influenze negative di chi lo odia”. Roberta è probabilmente la causa del suo divorzio, forse l’unico suo vero amore, ma non la vede e non la sente più.
smokes it through a pipe that he has carved out from the bark of a tree. His house is decorated with the same photo of that woman, Roberta, and her name is written as a charm that takes up the entire inside of the car as a way in which to “keep as far away as possible those negative thoughts of those who hate him”. Roberta is probably the cause of his divorce, maybe his only love, but he doesn’t see her or speak to her anymore.
Luca è un misto di follia, antisocialità, solitudine estrema, disillusione. In un certo senso, apaticamente e in maniera distaccata, odia tutto e tutti, odia la società. Siamo due persone completamente diverse, ma non posso fare a meno di identificarmi in parte con lui. Molto ci accomuna, tendenze e tentazioni. Quando lo sento parlare non posso che filtrare e confrontare tutto quel che dice con le idee di “normalità” che mi sono state inculcate nei miei 32 anni di vita e al tempo stesso sento di capirlo profondamente. Nelle sue parole c’è quello che solitamente definiremmo malattia mentale. Nei suoi comportamenti però, si avvertono quelle sfumature buie e profonde che tutti ci portiamo dentro anche se cerchiamo di tenerle lontane.
Luca is a man mixed up by madness, antisocial behaviour, extreme solitude and disillusion. In one sense, apathetically and in a disattached manner, he hates everything and everyone, he hates society. We are two completely different people, but I can’t help identifying a part of myself in him. We have a lot in common, tendencies and temptations. When I heard him speak it was hard not to filter and confront all that which he claimed about ideas on ‘the norm’ and I was left feeling inculcate, in all of my 32 years of life, and at the same time I profoundly understood him. He spoke words that we usually associate with someone who has a mental illness. However, his behaviour warned of dark undertones and depths of which we all, as people, keep inside but try to stay away from.
Ora Luca non ha più la macchina, sequestrata perché senza assicurazione. Ha passato un mese in un ospedale psichiatrico e altri due mesi in un albergo popolare.
Luca no longer has his car, it had been seized as it didn’t have any insurance. He spent one month in a psychiatric unit and another two months in a shelter.
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Edoardo Pasero Nato nel 1978 ad Alessandria, mi trasferisco a Milano per studiare filosofia. Sono cresciuto con la fotografia ma ho iniziato a coltivarla seriamente solo dopo l’università; divenne presto il miglior modo per esprimere concretamente i miei interessi in campo umanistico. Al momento mi occupo prevalentemente di temi come il corpo, l’identità sessuale e le modificazioni corporee. Dal 2011 lavoro con l’agenzia prospekt photographers: www. prospektphoto.net Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: edoardopasero@gmail.com web: www.diaframe.it
Edoardo Pasero Born in Alessandria in 1978, he transferred to Milan to study Philosophy, He grew up with Photography but only started to really cultivate his passion after finishing University, which soon became the best way he found to concretely express his interests in a more humanistic way. At the moment, he is predominantly concerned with themes to do with the body, sexual identity and augmentation of the human body. Since 2011, he has been working with the agency Prospekt Photographers. To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: edoardopasero@gmail.com web: www.diaframe.it
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MANIFESTO/MANIFESTO MilanoCittàAperta
MilanoCittàAperta
Durante la seconda guerra mondiale, alcune città europee furono dichiarate “aperte” dalle forze in campo. L’esercito nemico lasciava così la possibilità agli occupanti di abbandonare il centro abitato, evitando di distruggere completamente il patrimonio storico e artistico (promessa in realtà raramente mantenuta). Tra le “città aperte” di quegli anni: Roma, Firenze, Parigi, Atene. Milano non fu mai dichiarata “città aperta”. Forse anche per questo motivo il monte Stella, simbolo della ricostruzione milanese del dopoguerra, nacque proprio dalla necessità di sotterrare un milione di quintali di macerie recuperate in seguito ai bombardamenti anglo-americani.
During World War II, some European cities were declared “open” by military forces. This way, foreign armies left the inhabitants the possibility of abandoning their houses, without completely destroying the historical and artistic resources and architecture (a promise which was rarely kept). Among the “open cities” were Rome, Florence, Paris, Athens. Milan was never declared an “open city”. This partly explains why the (Stella mountain), a symbol of post-war reconstruction, was born from the burial of over a million hundred kilos of rubble resulting from the English-American bombings.
La seconda guerra si è conclusa da alcuni decenni e Milano, come tutte le principali città italiane, si è data da fare per ricostruire ciò che aveva perduto. Sotterrati morti e detriti, lo sviluppo si è imposto come il primo obiettivo della popolazione. Ancora oggi la maggioranza delle persone ritiene che il progresso di una società sia legato più alla sua crescita quantitativa piuttosto che alla qualità delle risorse di cui già dispone. Ecco allora che la ricostruzione non si accontenta di ri-costruire, ma vuole espandersi, ingigantirsi, svilupparsi all’infinito. La Storia non si può fermare. Un conflitto sociale resta dunque ancora in atto: quello tra l’oggi e il domani, tra le necessità (presunte) e le speranze (reali). Questo conflitto non ha né principio né fine, non ha confini, né prospettive. È inesorabile. Se volessimo nominarlo con una parola, potremmo chiamarlo “Tempo”. Al Tempo e alla sua opera di creazione e distruzione si relaziona l’Uomo, che non accetta di essere sconfitto senza avere prima combattuto con le armi di cui dispone. Di fronte alle rovine e alle macerie del passato, l’Uomo ha da sempre progettato il proprio futuro in funzione di una nuova Storia. E oggi l’Uomo si è fatto Cittadino per poter portare avanti la propria battaglia all’interno di un luogo apparentemente più adatto: la metropoli. La fine della Guerra, nonostante tutto, è ancora lontana. Come scrive Benjamin, a proposito dell’Angelus Novus dipinto da Klee: “L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi (…) Ma una tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle (…) Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.” La storia, dice Benjamin, non è una lineare catena di eventi in successione e il progresso dell’era capitalista non conduce necessariamente verso il paradiso. Nel mondo della modernità, la dimensione esistenziale dell’Uomo coincide sempre più con l’essenza della Città industrializzata e il passato di uno è ormai racchiuso nel tempo dell’altro. L’alienazione del singolo individuo confuso nella massa indistinta della folla, costituisce infatti da Baudelaire in poi uno dei temi fondanti la poetica della cultura occidentale. Cosa resta dunque del paradiso perduto? Come salvarsi dalla tempesta? Italo Calvino risponde così, in chiusura delle Città invisibili:
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World War II had recently ended and Milan, as all the major Italian cities were doing, was working hard to rebuild what was lost. After burying its dead and debris, development was the first thought in people’s mind. The majority of the population still thinks a society’s progress is determined more by the quantity than the quality of its resources. That’s why reconstruction wasn’t only about re-building, but also infinitely expanding, enlarging, developing. History can’t be stopped. A social conflict is still happening: one between the past and the present, between the (presumed) needs and the (real) hopes. This conflict has no beginning nor an end, no conflicts or perspectives. It’s inexorable. If we could give it a name, it would be “Time”. Man relates himself to Time and its work of creation and destruction, unable to accept defeat before fighting, using all the weapons he has. Looking at the ruins of the past, Man tries to create a future imagining a new History. Today, Man has become a Citizen to carry on his battle inside a more apt environment: the big metropolis. The end of the War, despite everything, was still very far. As Benjamin wrote about Klee’s painting of the Angelus Novus: “The angel of history must have this characteristic: his face must be turned towards the past. Whereas we see a chain of events, he sees only one catastrophe that accumulates ruins on ruins and throws them at his feet (…) But a tempest pushes him towards the future, despite him turning his back to it (…) This tempest is what we call progress.” History, says Benjamin, is not a linear chain of events and the capitalist era’s progress doesn’t necessarily bring to Paradise. In the modern world, Man’s existential dimension coincides more and more with the essence of the industrialized City and one’s past is contained in the other’s time. The individual’s alienation, confused in the crowd, constitutes one of the fundamental themes of Western culture, from Baudelaire on. What’s left of our lost paradise, then? How to save oneself from the crowd? Italo Calvino answers at the end of Invisible Cities: “Hell is already here. There are two ways to avoid suffering from it. The first is easy for many: accepting hell and becoming a part of it until one doesn’t see it anymore. The second is risky and needs continuous attention and learning: Trying to understand and being able to understand who and what, amongst hell, is not hell, and make it last, and give it space”. Good, but how is it possible to give space to what deserves to be
“L’inferno è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Già, ma in che modo si può dare spazio a ciò che merita essere salvato? E soprattutto, come possiamo “farlo durare”? Siamo arrivati al punto del nostro discorso. Da questa domanda ha inizio il viaggio che la nostra rivista spera di poter intraprendere. Proviamo quindi a rispondere: L’essenza del passato passa di sfuggita ma nell’immagine, che balena una volta per tutte nell’attimo della sua conoscibilità, si lascia fissare. “La verità non può scappare”, scrive Benjamin. Ecco allora una risposta: la Fotografia eccede la Guerra. Come dice il filosofo Giorgio Agamben, tutto ciò che si fotografa è chiamato a comparire nel Giorno del Giudizio. L’immagine fotografica è dunque sempre più che un’immagine: è il luogo di uno scarto, di uno squarcio sublime fra il sensibile e l’intellegibile, fra la copia e la realtà, fra il ricordo e la speranza. Se dunque non possiamo possedere il presente ma solo il passato, se possiamo possedere della realtà solo un’immagine a testimonianza del nostro stato di mortalità, allora il fotografo è chiamato a diventare il “flâneur”, poeta della modernità e nomade dell’eternità. Ricorda Henri Cartier-Bresson: “Vagavo tutto il giorno per le strade, sentendomi molto teso e pronto buttarmi, deciso a prendere in trappola la vita, a fermare la vita nell’attimo in cui veniva vissuta”. Il fotografo è come un cacciatore e la sua macchina è un fucile. Ad ogni scatto/sparo, un frammento di realtà viene catturato per sempre, sottratto al divenire e consegnato all’eternità. Il fotografo ha così la possibilità di offrire alla società il proprio sguardo etico attraverso quello estetico e viceversa. La nostra rivista si pone proprio questo obiettivo. Eredi della tradizione del fotogiornalismo d’inchiesta nato grazie alla Magnum negli anni ’50 e consapevoli della ricerca sociale e artistica delle avanguardie del Novecento, tentiamo così di inscriverci all’interno del cammino della Fotografia con lo sguardo (e l’obiettivo) rivolti verso il futuro. Desideriamo discendere nella realtà, liberarne i segreti, utilizzare il gesto fotografico per concretizzare l’azione vissuta in prima persona. Dichiariamo così finalmente Milano “città aperta” e accettiamo la nostra guerra all’interno del divenire caotico della città. Questa stessa città che, in quanto fotografi, desideriamo conoscere e far conoscere. E far conoscere per poter cambiare.
saved? Most of all, how can we “make it last”? We’ve reached the topical point of our discussion. This question is the beginning of the journey that our magazine wants to undertake. [Let’s try to answer: the essence of the past is in passing but it’s possible to fix it in the image flashing once and for all in a moment where it’s possible to know it.] “The truth can’t escape” says Benjamin. This is a possible answer: Photography goes beyond War. As the philosopher Giorgio Agamben says, everything that is photographed will be called to appear on Judgment Day. The photographic image is the place of a sublime break between what’s substantial and what isn’t, between a copy and a reality, between memory and hope. If we can’t possess the present but only the past, if all we can have is an image of our mortality, then the photographer becomes the new “flâneur”, the poet of the modern age and the vagabond of eternity. Henri Cartier-Bresson remembers: “I used to hang around the streets all day, feeling very tense and ready to throw myself into things, determined to “trap” life, to stop life in the moment it’s being lived.” A photographer is like a hunter, his camera is like a rifle. In every shot, a fragment of life is captured forever, taken away from possible changes and given to eternity. A photographer, then, has the opportunity of offering to society his ethical vision through an aesthetic vision, and vice versa. That’s the aim of our magazine. Heirs to the tradition of photojournalism born in the ‘50s thanks to Magnum cameras, and aware of the social and artistic research of the past century, we’re trying to insert ourselves in this path with our eyes (and our lens) looking at the future. We want to delve into reality, freeing its secrets, using photography to make our first-person experience concrete. We finally want to declare Milan an “open city” and we accept our war within the chaotic continuous changes of our city. This city that we, as photographers, wish to understand and be understood. So that we can change it.
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