MilanoCittàAperta - Journal of urban photography - Issue#12 - Summer/2012 - www.miciap.com
Milano Città Aperta JOURNAL OF URBAN PHOTOGRAPHY
ISSUE #12 SUMMER/2012
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MilanoCittà Aperta Coordinatore Esecutivo Isacco Loconte Coordinatore Editoriale Filippo Ceredi Photoeditor Alberto Locatelli Thomas Pagani Editor Testi Nicola Bertasi Progetto grafico e impaginazione Daniele Pennati Redazione Nicola Bertasi, Alfredo Bosco, Filippo Ceredi, Alberto Locatelli, Isacco Loconte, Simone Keremidtschiev, Thomas Pagani, Daniele Pennati Fotografi Stefano Bergna, Mara Costantini, Chiara Galliaro, Anna Paola Montuoro, Matteo Seveso, Riccardo Tarantola Grazie a: Giampietro Agostini e Laura Losito per la collaborazione offerta dal CFP Bauer e per l’editoriale. Claire-Louise Watkins per le traduzioni.
SOMMARIO/CONTENT IN VISTA
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LA MORTE DELL’IPPICA OKTAGON Marco Casino
Edoardo Pasero
IDENTITÀ
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ORTI URBANI Giuseppe Fanizza
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MILAN CLOSETS Pietro Baroni
SQUARCI
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LUOGHI INATTESI Ambra Zeni
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THIS IS OUR YOUTH Anna Adamo
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EDITORIALE/EDITORIAL
Che succede a Milano? Che fanno i Milanesi? Alcuni difendono un’identità in via di estinzione, come i lavoratori del mondo dell’Ippica di Marco Casino; altri, come i ragazzi di Anna Adamo, sperimentano vite diverse alla ricerca di sé. Altri ancora si ribellano a luoghi che sviliscono l’identità, come gli ospiti del dormitorio Leibniz nei ritratti di Ambra Zeni, o mettono in pratica tentativi di riappropriazione del territorio e del rapporto con la natura, come gli “ortisti” di Giuseppe Fanizza. E se per alcuni si tratta di un tentativo individuale, indagato nell’intimità dei loro armadi, come per i protagonisti dei ritratti di Pietro Baroni, per altri l’identità si mette in gioco nel mondo sorprendente ed eterogeneo dell’Oktagon, fotografato da Edoardo Pasero. Ci sono mondi inesplorati e sorprendentemente vari oltre ogni visione superficiale. Sono queste le storie che ci raccontano di una Milano viva e altrimenti nascosta. Si ascoltano spesso (e negli ambienti più disparati) discussioni e opinioni contrastanti riguardo i mutamenti di Milano. E’ una città che vive un momento di transizione, un mutamento di identità, per diventare probabilmente più dinamica e cosmopolita. Tuttavia è difficile mettere a fuoco che cosa questo possa significare nel concreto delle vite, nella quotidianità delle persone, nella loro percezione di sé. In questa difficoltà, due macro-argomenti contraddittori sono la sintesi delle opinioni che sembrano godere del maggior credito: la nostra contemporaneità ci spingerebbe ad una sempre maggiore omologazione degli stili di vita. Oppure, secondo i più ottimisti, questa omologazione sarebbe soltanto il tratto più visibile di uno sguardo superficiale, incapace di riconoscere le nuove categorie metropolitane, che si sviluppano in resistenza anche alle tendenze più omologanti. Forse il problema sta proprio nell’impostazione generale del problema. Piuttosto che tentare di rispondere a grandi domande, la fotografia svela le realtà che compongono Milano e che la fanno vivere. MilanoCittàAperta ospita in questa pubblicazione estiva, sei storie che raccontano la realtà quotidiana di individui e di gruppi che cercano o difendono un’identità forte, una peculiare unicità. L’identità è qualcosa a cui non si può rinunciare; si tratta allora di decifrare i modi innumerevoli in cui si declina nel brusio della città contemporanea. Edoardo Mozzanega e Nicola Bertasi
We often hear contrasting discussions and opinions relating to changes that happen in Milan. Certainly it’s a city that is, although a little backwards with respect to other large European metropolises, living in a moment of transition. We are talking about a change of identity, heading towards a more dynamic and cosmopolitan character, one that is able, perhaps, to guarantee different lifestyle possibilities. Nevertheless, it’s difficult to bring light to what the change may bring to the concrete, daily lives of people, to their perceptions of themselves. In this difficulty, two contradicting macro-arguments are a good synthesis of the most diffused opinions: our current times would push us towards more standardised lifestyles; or, in the opinion of the optimists, this standardisation would only be visible to a superficial glimpse, unable to recognise new metropolitan categories which develop in resistance to those most approved tendencies. Perhaps the problem actually lies within the general formulation of the question. Through photographic coverage, we have the opportunity to dive deeper and discover the concreteness that hides itself under this generalness. Instead of trying to respond to great questions, photography reveals the realities that make up Milan and give it life. This summer edition of MilanoCittàAperta hosts six stories that widen the focus upon the concrete reality of individuals and of groups that search for or defend a strong identity, a particular “biodiversity”. Identity is something that one cannot renounce; you try to see the numerous modalities in which it is declined. In the common habitat of this erratic urban ecosystem, live together different stories of men and groups that, perhaps, will never meet but that together create a mosaic of an aspiring metropolis. In a non-stop dialogue between the need for recognition and the search of a non-standardised identity, different forms of “biodiversity” are born. Some defend an identity that is going extinct, like the workers in the world of horseracing by Marco Casino; others, like the Anna Adamo’s youth, they experiment with different lifestyles in the search for themselves; others again rebel against those places that debase identity, like the guests in the dormitories at Leibniz in the pictures by Ambra Zeni, or put into practice attempts of re-appropriation of territory and the rapport with nature, like the allotment owners by Giuseppe Fanizza. And if for some, it’s an individual attempt, which is intimately investigated through their own wardrobes like the protagonists of the photographs by Pietro Baroni, for others, identity is put to the test in the surprising and heterogeneous world of the Oktagon, photographed by Edoardo Pasero. There are unexplored and surprisingly various worlds that go beyond any superficial view. These are the stories that open your eyes to a lively Milan, that is otherwise hidden. Happy viewing
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LA MORTE DELL’IPPICA Marco Casino
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Preparazione alle corse. Un artiere effettua la vestizione del cavallo.
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Lo stadio del trotto di S.Siro
Scommettitore alla fine di una corsa di trotto
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Sala scommesse, ippodromo del trotto
La crisi dell’ippica, fotografata dalla prospettiva di chi vede il proprio mestiere diventare lentamente un frammento del passato.
The crisis of horseracing, photographed from the perspective of those who see their profession slowly becoming a memory of the past.
Il mondo dell’ippica in Italia affronta una crisi strutturale, forse irreversibile.
The world of horseracing in Italy is facing a structural crisis, which could be, perhaps, irreversible.
Uno scarsissimo ricambio generazionale degli scommettitori e anni di gestione scriteriata e di giochi politici da parte dell’Unire (Unione nazionale incremento razze equine), di recente sostituita dall’Assi, hanno portato a una crisi spaventosa, resa ancora più grave da quella generale del Paese. Tutte le cifre di bilancio sono drammatiche, a cominciare dal dimezzamento per il 2012 del montepremi, cioè dei soldi distribuiti nelle varie corse ai proprietari dei cavalli meglio piazzati al traguardo. Anche il flusso di scommesse è in continuo calo, registrando solo negli ultimi sei mesi del 2011 un negativo del 25% rispetto allo stesso periodo del 2010.Non fa eccezione l’ippodromo di S.Siro a Milano, fulcro geografico di questo reportage. Queste immagini raccontano lo stato di crisi generale del settore, visto dalla prospettiva degli addetti ai lavori. Percepire, tramite il loro vivere quotidiano, come sia stato possibile mettere in ginocchio uno sport secolare in poco meno di una decade. Il rischio concreto è che scompaia per sempre un mondo pittoresco e suggestivo, certamente responsabile di innumerevoli tracolli economici personali e familiari, ma capace nel contempo di popolare l’immaginario di intere generazioni, ispirando letterati, pittori, stilisti, registi, e alimentando i sogni di piccoli proprietari e di tanti scommettitori.
With a scarce generational turnover of betters, years of ‘daredevil’ management and political games on behalf of the ‘Unire’ (Unione Nazionale Incremento Razze Equine) recently substituted by ‘Assi’, they have been exposed to an appalling crisis which has been rendered worse again due to the general state of country. All budget figures are dramatic, starting from the halving of the 2012 Jackpot, that is, the money that was distributed for various runs between the proprietors of the top horses. The flux of bets is also continuously falling registering a loss ratio of 25% in the last six months of 2011 with respect to the same period in 2010. The racecourse of San Siro in Milano, the geographical fulcrum of this report, isn’t an exception. These images tell the story of the current general crisis of the sector, seen from the perspective of those that work within it. To perceive how it has been possible that this centuries-old sport has been brought economically to its knees in little less than a decade, we look through the eyes of those involved. The concrete risk is that this picturesque and attractive world could disappear forever; a world that is certainly responsible for countless economic downfalls of individuals and whole families, but capable at the same time of filling the imaginations of entire generations; inspiring scholars, painters, stylists, directors and fuelling the dreams of small proprietors and many betters.
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Vestizione di un fantino
Interno di un laboratorio di mascalcia
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Fasciature e protezioni applicate alle zampe di un cavallo, prima degli allenamenti mattutini
Sala del peso, ippodromo del galoppo
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Artiere pulisce un cavallo della propria scuderia
Riccardo Parola, 67anni. Maniscalco da quando ne aveva 14
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Radiografie dei cavalli in cura presso una clinica veterinaria
Tensione di un fantino prima di una corsa
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Spalti vuoti, ippodromo del trotto
Sergio Urru, fantino, nella sua abitazione all’ interno dell’ippodromo del galoppo
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Area scommesse in stato di degrado dopo oltre un mese di sciopero
Marco Casino Marco Casino è un fotografo freelance specializzato in fotografia di moda e reportage sociali. Nella primavera del 2009 si diploma al “Master In Fotografia Professionale” alla “Scuola Di Fotografia”, a Fuorigrotta, Napoli.
Marco Casino Marco Casino is a Freelance Photographer who specialises in Fashion Photography and Social Reports. In the Spring of 2009, he gained his diploma in “Master in Professional Photography” at the “School of Photography” in Fuorigrotta, Naples.
Dall’ottobre ‘11 collabora regolarmente con la rivista Gioconews. Nel Marzo ‘12, con il reportage “La Morte Dell’ Ippica”, vince il Leica Talent 24x36, grazie al quale inizia una collaborazione con Vanity Fair Italia.
Since October 2011, he has regularly collaborated with the magazine Gioconews. In March 2012, with a report entitled “The Death of Horseracing”, he won the Leica Talent 24x36 and thanks to this he started to work at Vanity Fair Italia.
Nell’Aprile ‘12 viene onorato dall’associazione Y’Art Project con la borsa di studio completa, sponsorizzata da Hasselblad, per il Photo Workshop in St. Petersburg con i fotografi delCollettivo TerraProject. Le sue fotografie sono state pubblicate da riviste italiane ed estere, tra cui Corriere Della Sera,Napoli Monitor, Bookmoda, Gioconews, Kurier e Fotocult. Ha 25 anni e vive a Milano. Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: marcocasino@gmail.com web: www.marcocasino.com
In April 2012, he was awarded a full scholarship by the Y’Art Project which was sponsored by Hasselblad, to attend the ‘Photo Workshop’ in St. Petersburg along with photographers from the Colletivo TerraProject. His photographs have been published by Italian and international magazines, namely, Corriere Della Sera, Napoli Monitor, Bookmoda, Gioconews, Kurier and Fotocult. He is 25 years old and he lives in Milan. To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: marcocasino@gmail.com web: www.marcocasino.com
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OKTAGON Edoardo Pasero
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Dietro le quinte dell’Oktagon si cela un mondo sorprendente e trasversale. Storie e uomini diversi, che si incrociano su un ring per “darsele di santa ragione”
Behind the stage at the Oktagon, there lies a surprising and transverse world. Stories of different people that meet in the ring to “beat each other up”.
Vivo a Milano da quasi 13 anni ormai e i manifesti dell’Oktagon sono una presenza che mi accompagna con regolarità. Per un profano degli sport di combattimento, che vedeva la Kick boxing come un fenomeno del tutto esotico, l’Oktagon suonava addirittura come esoterico. In realtà ormai è da molti considerato commerciale e i fan dell’MMA lo ritengono un po’ un circo di serie B.
I’ve lived in Milan for almost 13 years and the events at the Oktagon are a presence that brings regularity to me. For a profane of combat sports, that saw kickboxing as an exotic phenomenon, the Oktagon really sounded esoteric. In reality, it’s considered by many to be commercialised and the fans of the MMA consider it to be like a second class circus.
Comunque sia, mi pare che se le diano di santa ragione e, seguendo incontri e allenamenti, ho scoperto che l’ambiente dietro le quinte è ricco, interessante e a dir poco trasversale. Tra i lottatori si possono incontrare dai dottorandi in Storia della Sapienza ai ragazzi che fanno un lavoro a mezza giornata per dedicare tutto il resto del tempo agli allenamenti. I campioni mirano al successo, ma per molti l’obbiettivo è semplicemente arrivare a lottare su un ring importante, mentre per altri ancora l’Oktagon è sopratutto un’occasione di riscossa.
However it is, it seems to me that they enjoy beating each other up. Attending meetings and training sessions, I discovered that the environment behind the stage is rich, interesting and quite transverse. Between the fighters, you can meet people who are studying for their PhD’s in History at the University ‘La Sapienza’ in Rome, to those who work half days in order to dedicate their time to training. The champions strive to succeed, but for many the objective is simply to fight in an important ring, whilst for others still, the Oktagon is above all an occasion to kick back.
L’Oktagon è la diramazione italiana di un campionato internazionale di arti marziali, il K1, inventato nel 1980 in Giappone. Mix di diverse discipline come Kick boxing, Muay thai e Boxe tradizionale, l’Oktagon riesce a regalare uno spettacolo indubbiamente emozionante. I colpi si possono portare con calci, pugni e ginocchiate e, come nella Boxe, si vince per knock out o ai punti.
The Oktagon is the Italian offering of an International Championship of Martial Arts, namely the K1, invented in Japan in 1980. With a mix of diverse techniques such as Kickboxing, Muay Thai and traditional Boxing, the Oktagon is able to deliver an undoubtedly emotional event. Hits can be made by kicking, punching and blows made with the knees, and like in boxing, one can win through knock-outs or via a points system.
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Edoardo Pasero Nato nel 1978 ad Alessandria, mi trasferisco a Milano per studiare filosofia. Sono cresciuto con la fotografia ma ho iniziato a coltivarla seriamente solo dopo l’università; divenne presto il miglior modo per esprimere concretamente i miei interessi in campo umanistico. Al momento mi occupo prevalentemente di temi come il corpo, l’identità sessuale e le modificazioni corporee. Dal 2011 lavoro con l’agenzia prospekt photographers: www. prospektphoto.net Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: edoardopasero@gmail.com web: www.edoardopasero.com
Edoardo Pasero I was born in 1978 in Alessandria and I moved to Milan to study Philosophy. I grew up with Photography but it was only after I finished University that I started to make the most of this upbringing: it quickly became the best way in which to concretely express my interests in humanistic fields. At the moment, I predominantly deal with themes related to the body, sexual identity and body modifications. I’ve been working with the agency Prospekt Photographers since 2011. (www.prospektphoto.net) To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: edoardopasero@gmail.com web: www.edoardopasero.com
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WHITE MILANO SUD EST Emanuele Cremaschi
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Gli orti urbani sono un fenomeno spontaneo nelle periferie di Milano, che svela una volontà di ritorno all’autosufficienza, alla dimensione rurale e, forse, ad modello alternativo di cittadinanza.
Urban allotments are a spontaneous phenomenon on the outskirts of Milan that present a need to return to the roots of being self-sufficient, to rural dimensions and, perhaps, to an alternative way of living.
Gli orti urbani sono piccoli lotti di suolo pubblico di circa 50 mq, che vengono coltivati dai cittadini. Nelle forme regolarizzate, gli orti sono utilizzati in comodato e il raccolto resta di proprietà dei coltivatori, che possono decidere di gestirlo individualmente o in forma cooperativa con gli altri “ortisti”. Tuttavia gli orti urbani regolarizzati costituiscono solo una piccola parte di un fenomeno che ha origine in forme di occupazione
Urban allotments are little patches of public soil that measure around 50mq and are cultivated by citizens. Under formal regulations, the allotments are loaned and the harvesting rests with the owners/ cultivators who can decide to manage them individually or in cooperative groups with other “allotment owners”. Nevertheless, regularised urban allotments constitutes for only a small part of a phenomenon which has origins in the form of abusive occupation of public soil for personal sustainment.
abusiva di suolo pubblico per ragioni di sussistenza. La regolarizzazione di questo fenomeno, nell’ottica della amministrazione del territorio, ha uno scopo collaterale di intervento nel processo di trasformazione delle periferie urbane. Convertire aree periferiche in orti risponde a diverse finalità. Innanzitutto delega ai cittadini una parte del mantenimento di queste aree, altrimenti in stato di abbandono. Il lavoro dei cittadini supplisce alle mancanze dell’amministrazione comunale in aree che, per la loro ubicazione periferica, difficilmente ottengono fondi destinati all’arredo urbano e al verde. Inoltre, il fatto di mantenere dei cittadini nelle aree urbane residuali intorno alle loro case costituisce una forma di controllo del territorio ed evita che tali aree siano sfruttate irregolarmente, ad esempio da coltivatori irregolari, o che siano occupate da insediamenti irregolari di tipo nomade.
The regulation of this phenomenon, in the eyes of the territorial administration, has the goal of intervening in the process of transforming the suburbs. Converting peripheral areas into allotments responds to different aims. First of all, it delegates these areas to each citizen to partially maintain areas that are otherwise in a state of neglect. The work of the citizens substitutes the missing communal administration in areas that, because of their peripheral location, gain hardly any funds destined towards preserving a decent urban and rural space. Moreover, the idea of maintenance by citizens of urban areas surrounding their houses constitutes a form of control of the territory and avoids those areas to be used irregularly, for example by irregular cultivators, or used as illegal camps by travellers. On a topographical and social level, this phenomenon brings about a
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A livello topografico che sociale questo fenomeno comporta uno spiazzamento nella percezione del rapporto fra le periferie delle città e le zone agricole: i cittadini vogliono essere agricoltori; la periferia vuole diventare (o tornare ad essere) rurale; l’agricoltura, almeno per quel che riguarda gli orti “legali”, perde definitivamente il suo ruolo nel sostentamento degli uomini e si converte in un hobby, o in un’attività terapeutica. La città sperimenta un surrogato di una vita agreste idealizzata, il suo inverso irraggiungibile. E’ una conferma della crisi del sistema? E’ un buon compromesso? E’ un pentimento, un ritorno ad una dimensione perduta? Certamente è un mutamento del paesaggio urbano e forse il principio della formazione di un sottogenere sociale di cittadini che negano la propria condizione.
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confusion in the perception of the relationship between the peripheries of the city and agricultural zones: citizens want to be farmers and the periphery wants to become (or go back to being) rural; agriculture, at least for what regards those legal allotments, definitively loses its role as a means of sustenance and becomes more of a hobby, or a therapeutic activity. The city lives off an idealised rural life, its unreachable opposite. Is it a confirmation of a crisis within the system? Is it a good compromise? Is it a regret, a return to a lost dimension? It’s certainly a shift of an urban landscape and perhaps the beginning of the formation of a social sub-type of citizens that are in denial about their condition.
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Giuseppe Fanizza Nato a Fasano (BR) il 4 febbraio del 1979, si occupa di fotografia. Attualmente collabora con Apricot srl, Milano; Forma, Centro Internazionale di Fotografia di Milano; NABA, nuova accademia di belle arti di Milano. Fra il 2009 e il 2010 si è occupato di ricerca iconografica presso la sede di Milano della Agenzia Fotogiornalistica Contrasto e ha collaborato con il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Milano Bicocca in progetti di fotografia e video applicati alla ricerca sociale. Quest’anno presenta i suoi lavori presso: I Dialoghi di Trani - Festival di Letteratura, Trani (BA), giugno 2012; Habitat, Ram Studios, Milano, aprile 2012. Per saperne di più... A Milano l’intervento dell’amministrazione comunale nello studio e regolarizzazione degli orti urbani è relativamente recente. I primi studi di settore risalgono agli anni novanta e vennero condotti per cercare di capire e istituzionalizzare un sistema fino ad allora disordinato e anarchico. Basti considerare che da uno studio del 2005 risulta che la superficie di orti urbani nel comune di Milano era di 1.800.000 mq, quasi tutti abusivi, e che dai dati comunali del 2010 risulta che la superficie totale di orti “legali” supera di poco i 100.000 mq. La nascita degli orti urbani in Italia è dunque da considerare come un fenomeno spontaneo, e a Milano un fenomeno sicuramente legato all’enorme migrazione che, tra il 1955 e il 1971, vide circa 9 milioni di italiani spostarsi dalle regioni agricole del sud a quelle industriali del nord. Possiamo ipotizzare che questi uomini, pur avendo scelto il lavoro in fabbrica, non abbiano potuto abbandonare del tutto le radicate abitudini contadine e abbiano convertito gli spazi urbani intorno ai palazzi operai in piccoli orti. Tuttora molti “ortisti” sono pensionati di origine meridionale, giunti a Milano da giovani in cerca di lavoro, e che ora si considerano milanesi a tutti gli effetti. Originariamente gli orti urbani costituivano una reale alternativa al sistema produttivo industrializzato, e la costituiscono tuttora nelle economie in via di sviluppo. In Europa sono presenti dalla fine della seconda guerra mondiale ed erano uno strumento della cittadinanza per riuscire a sopravvivere con un sistema di produzione devastato dalla guerra. In una pubblicazione del 2009 intitolata Food for the Cities, la FAO individua la agricoltura urbana e peri-urbana come una reale potenzialità per le metropoli dei paesi con livelli di povertà molto elevati, rilevando che nel 2008, per la prima volta nella storia, la popolazione urbana ha superato come numero quella rurale. L’accezione che hanno gli orti urbani “regolari” nel sistema occidentale industrializzato è completamente diversa. E diversi sono i bisogni che spingono un cittadino di Milano, Parigi o Francoforte ad affittare 50mq di terreno in cui passare il suo tempo. Forse si cerca di ristabilire un contatto con valori primordiali, con la terra. O ci si vuole appropriare del suolo cittadino come reazione alla sensazione di dis-appartenenza che si prova nelle grandi città. Mi pare che entrino anche in campo istanze di reazione al sistema metropolitano in cui, per come è organizzata produzione, si ha tal volta difficoltà a capire il proprio ruolo nel sistema e il proprio apporto alla comunità-città. Come se si volesse dimostrare di essere ancora in grado di sopravvivere, letteralmente di produrre cibo per mangiare e nutrire i propri cari. Anche se non se ne ha realmente bisogno. Inoltre, a conferma del carattere assolutamente urbano di
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Giuseppe Fanizza Born in Fasano (Brescia) on the 4th February 1979, he works as a Photographer. He actually collaborates with Apricot srl, Milan; Forma, The International Centre of Photography in Milan; NABA and the “Nuova Accademia di Belle Arti di Milano”. Between 2009 and 2010, he worked on Iconographic Research at the centre of the “Photojournalistic Agency” (Contrasto) in Milan and he collaborated with the Department of Sociology at the Bicocca University of Milan in photographic and video projects applied to social research. This year, he presented his works at: I Dialoghi di Trani - Festival di Letteratura, Trani (BA), June 2012; Habitat, Ram Studios, Milan, April 2012. To learne more... The intervention of the municipality of Milan regarding the study and regulation of urban allotments is a relatively recent procedure in Milan. The first studies of this sector came about in the 1990’s and were conducted to search, understand and institutionalize a system that was until then disorganised and anarchic. From a study conducted in 2005, results conveyed the surface area of the urban allotments in the Milan area to be equivalent to 1,800,000mq (most of this spaces were illegal) and from communal data collected in 2010, the surface area of ‘legal’ allotments only measured in slightly higher than 100,000mq. The birth of these urban allotments in Italy is then to be considered as a spontaneous phenomenon, and in Milan, the phenomenon was definitely due to the enormous migration that, between 1955-1971, saw approximately 9 million Italians move from agricultural regions in the South to industrial areas in the North. We can hypothesise that these men, after having chosen to work in factories, weren’t able to neglect their deep-rooted ‘farming ways’ and they converted urban spaces, within the area in which they worked, into little allotments. Still now, many allotment owner are retired individuals from the South. They arrived as youth in Milan to find work and all of whom now consider themselves 100% Milanese. Originally, urban allotments constituted a real alternative to the industrial production system, and they continue to do so in developing economies. They came to exist in Europe from the end of the Second World War and they became essential for citizens to utilise in order to survive the devastation of the War. In a 2009 publication, entitled ‘Food for the Cities’, the FAO identified that urban and urban-peripheral agriculture offers real potential for those metropolises found in countries with high levels of poverty, reporting that in 2008 for the first time in history, the urban population had surpassed the rural population. The interpretation of ‘regular’ urban allotments in the Western industrialized society is completely different. The needs that push citizens of places like Milan, Paris or Frankfurt to rent 50mq of land in which to pass their spare time are different. Maybe they are trying to re-stabilise contact with their primordial instincts and the land. Or they want to embezzle citizen soil as a reaction to the feeling of ‘not belonging’, something that many people can relate to when they are part of a large city. It seems to me that a reaction to the metropolitan system comes into play. For how the production is organised, it’s sometimes difficult to understand one’s role within the system and how to contribute to the community/city. One would want to demonstrate
questo fenomeno, proprio nei paesi dell’Europa mediterranea, dove le tradizioni agricole sono più forti, il fenomeno ha avuto più difficoltà ad attecchire. Ed è ovviamente assente nelle zone realmente rurali di tutti gli stati europei. Questo è il paradosso più interessante: i “gardeners” degli orti urbani delle città europee vogliono soddisfare bisogni tipicamente cittadini, uguali a quelli de chi va in palestra o in teatro. I rappresentanti dei vari enti e organizzazioni nazionali che si occupano della diffusione della cultura degli orti urbani, riunitisi in Polonia in occasione del XXXV (sic!) International Congress of Allotment and Family Gardens, hanno pubblicato una risoluzione comune in cui affermavano la necessità di politiche da parte dei governi volte a incentivare l’agricoltura urbana. Nella risoluzione si afferma che “gli orti urbani assurgono a una missione sociale: sono un luogo di incontro e relazione fra giovani e adulti, famiglie, persone di diverse generazioni, disoccupati, e persone professionalmente attive di provenienze sociali e nazionali diverse. [...] Sono un elemento essenziale per la salute fisica e mentale [...] Frutta e verdura genuina, coltivata nel loro giardino, arricchisce i loro menù. Il contatto con la [...] natura e la creatività nel giardinaggio stimolano i sensi. Le relazioni e le amicizie aiutano ad prevenire la solitudine.” Nessun riferimento al fatto che questa gente stia producendo cibo è presente nel testo. Ovvero, la concezione dell’agricoltura come mezzo di sostentamento viene eliminata. Essa ha a limite una funzione sociale. In Francia, Germania, Inghilterra, e nell’Europa del Nord, dove gli orti urbani “regolari” hanno una storia più lunga che in Italia, il processo è molto più istituzionalizzato che da noi. Il programma Capital Growth, patrocinato dall’amministrazione comunale di Londra, promette negli slogan di creare 2012 nuovi orti entro il 2012. Networks, associazioni di consumatori, enti della pubblica amministrazione organizzano i lotti disponibili e offrono servizi ai conduttori di orti urbani. A Londra il London Allotment Network, a Parigi laFédération Nationale des Jardins Familiaux et Collectifs, a Berlino il Kleingarten bund. Esiste un Resource Centre on Urban Agriculture & Food Security e un Office International du Coin de Terre et des Jardins Familiaux con sede a Lussemburgo coordina i vari enti nazionali. Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: info@giuseppefanizza.com web: www.giuseppefanizza.info
that they are still capable of surviving by literally producing food to eat and nourishing their loved ones. Even if they really don’t need to. Moreover, to further confirm the absolute urban character of this phenomenon, in those Mediterranean-European countries where the traditional agriculture of growing foods is most prevalent, the phenomenon is more difficult to implant. And it’s obviously absent in zones that are truly rural in all European states. This is the most interesting paradox; the ‘gardeners’ of the urban allotments in European cities want to satisfy those typical needs that city residents have, like going to the gym or to the theatre. Representatives from various national entities and organisations that deal with spreading the urban allotments culture, reunited in Poland at the XXXV International Congress of Allotment and Family Gardens, published a communal resolution which affirms the necessity of political intervention by the government to incentivise urban agriculture. The resolution argues that “urban allotments take on a social mission: they are a meeting place in which to build relationships between adults and the young, families, people from different generations, the unemployed and professionally active people that come from different social or national backgrounds. […] They are an essential part of staying healthy, physically and mentally […] real fruit and vegetables, cultivated in their own gardens enrich their diets and menus. The contact with….nature and the creativity of a garden can stimulate the senses. Relationships and friendships help combat loneliness.” In France, Germany, England and Northern Europe, where regularised urban allotments have been around for much longer than they have been in Italy, the processes are more institutionalised in comparison to ours. The ‘Capital Growth’ program, sponsored by the communal administration in London, promises, through its slogans, to create 2,012 new allotments in 2012. Networks, associations of consumers and entities of public administration organise funds and lotteries and also offer services for the keepers of urban allotments. In London they have the London Allotment Network, in Paris there is the Fédération Nationale des Jardins Familiaux et Collectifs and Berlin is home to the Kleingarten bund. A research centre on ‘Urban Agriculture and Food Security’ exists as well as the ‘Office International du Coin de Terre et des Jardins Familiaux’ with its headquarters in Luxemburg which coordinates various national entities. Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: info@giuseppefanizza.com web: www.giuseppefanizza.info
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MILAN CLOSETS Pietro Baroni
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GP e Alicia, body mod artists. Adorano il the verde.
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Massimiliano, giornalista. Legge un libro al giorno e trova anche il tempo per la palestra.
Fabrizio “Bixio� Braghieri, artista. Odia essere posseduto dalle cose. Quindi ne ha poche.
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Davide, cantante e stilista / Alejandro, architetto. Si sono conosciuti nell’auto di un amico comune prima di una sfilata.
Un’incursione fotografica fra le identità nascoste negli armadi dei milanesi.
A photographic raid of the hidden identities that lie within the wardrobes of the Milanese.
Per il resto del mondo Milano è uno dei principali riferimenti per la moda e per tutto ciò che la rappresenta.
For the rest of the world, Milan is one of the principle players in the fashion industry and all that it represents.
La visione della quotidianità è quasi preclusa, nascosta da grandi firme del lusso, del fashion e del design.
Vision of daily life is almost blocked, hidden by large luxurious fashion and designer brands.
In questo mio progetto fotografico ho voluto fotografare i milanesi (di sangue o “adottati”), gente comune, davanti al loro armadio aperto.
In my photographic project, I wanted to photograph the Milanese (those with Milanese blood or “adopted”), in front of their open wardrobes.
Diverse età, sesso, estrazione sociale o professione creano un collage eterogeneo di una città che nasconde i suoi lati più intriganti nelle case.
Different ages, genders, social statuses or professions that create a heterogeneous collage of a city that hides its diverse and intriguing sides inside its homes.
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Roberta, pittrice. Ama scansionare. Anche l’anima delle persone.
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Martina, studentessa. Adora l’abbraccio di Neve, il suo gatto, e la musica elettronica.
I Contini, pensionati. Lui colleziona migliaia di miniature napoleoniche. Lei lo sopporta.
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Adelmo, impiegato in una compagnia assicurativa. Vive a Milano durante la settimana e torna a Genova nel we. Pensa che K. Lorenz abbia detto molto riguardo gli esseri umani.
Francesca, giornalista. Balla il Tango, adora Eduardo De Filippo e dirige una rivista di teatro.
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Gianfranco, consulente. Gira il mondo per lavoro e il suo armadio è una valigia. Vive nelle case di amici.
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Barnaba, consulente ed esperto musicale. Assiste ad almeno 100 concerti all’anno.
Alessandro e Barbara, impiegati. Amano le loro piante frangipane come dei figli.
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Alessia, marketing analyst. Adora la sua terrazza, soprattutto mentre magia cibo cinese.
Chiara, studentessa. Vorrebbe poter indossare le sue scarpe tutte nello stesso momento.
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Klodian, artista. Una tartaruga è la sua coinquilina. Spazio per altre ce n’è.
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Denise, cosplayer. Lavora anche come segretaria quando smette i panni manga.
Marina, ebook editor. Adora la rakjia, giocare con grandi gatti e leggere le istruzioni per l’uso.
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Paolo, professore di neuroscienze. Sangue napoletano, la sua passione è la fotografia di strada con camere dal medio e grande formato.
Pietro Baroni Oggi lavora come fotografo e artista a Milano ma in passato si è laureato in Scienze Naturali con una tesi sui leoni in Tanzania, dove ha passato 8 mesi. Ha fatto per anni la guida geologica in Islanda e Marocco, prima di aprire, con un amico regista, Càctus, un’agenzia di comunicazione visiva. Ora si guadagna da vivere con fotografia corporate e di reportage, portando avanti progetti personali di ricerca tra cui uno legato al confronto della percezione della realtà tra vedenti e non vedenti.
Pietro Baroni Today, he works as a photographer and artist in Milan but he actually graduated in Natural Sciences with a thesis based on lions in Tanzania, where he lived for 8 months. He worked for many years as a Geological guide in Iceland and Morocco, before he opened Cactus, a visual communications agency, with a director friend. He’s now making a living as a photo-reporter, bringing forward personal research projects, one of which is to do with the perception of reality between the visually handicapped and the non-visually handicapped.
Adora il profumo della pioggia sull’asfalto, Totò, e baratterebbe la sua vita solo con quella di alpinisti da spedizioni estreme.
He adores the smell of the rain on the asphalt, (totò?), and would only be willing to swap his life with extreme mountaineers.
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Contatti: email: info@pietrobaroni.com web: www.pietrobaroni.com
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LUOGHI INATTESI Ambra Zeni
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Ci immaginiamo le residenze studentesche come luoghi pieni di vita. Entrando in Leibniz colpiscono, invece, l’anonimato, l’apatia e l’inospitalità.
We immagine student residences to be full of life. Instead, the anonymity, apathy and the inhospitable hits us as we enter the Leibniz.
Questo lavoro nasce da una collaborazione con il Politecnico di Milano per la realizzazione di un progetto fotografico sul tema degli studentati, che avrebbe dovuto essere inserito in una loro pubblicazione. Tramite l’università sono entrata in contatto con uno studente che viveva alla residenza Leibniz, dove viene realizzato “Luoghi Inattesi”.
This work was born out of a collaboration with the Politecnico University in Milan in order to realise a photographic project on the theme of student residences which, in turn, had to be inserted in one of their publications. Through the University, I got in contact with a student who lived at the Leibniz residence the place in which this work, “Unexpected Places”, was realised.
Presentato il lavoro al Politecnico, come risposta mi è stato detto che bisognava “rivederlo” e “alleggerirlo”, facendo altre foto in uno studentato “meno devastato”. Ho deciso di non modificarlo e il lavoro è stato rifiutato. La residenza si trova a Milano in via Monneret de Villard, una traversa di via Rombon, appena prima del fiume Lambro e della tangenziale est. Alla realizzazione del progetto la gestione è della Fondazione Cariplo, che fornisce anche i servizi di portineria e pulizia, mentre è a cura dell’università l’assegnazione delle stanze, occupate da un centinaio di studenti, prevalentemente stranieri e di sesso maschile, iscritti o in Erasmus al Politecnico. Entrando in Leibniz colpiscono l’anonimato, l’apatia e l’inospitalità. Pare di trovarsi in una sala d’aspetto, non particolarmente curata, né vissuta, sfruttata da persone di passaggio, che si alternano in attesa di andare altrove. L’unico luogo in cui si trova qualche traccia personale sono le camere, che tuttavia hanno delle dimensioni talmente limitate da rendere difficile qualsiasi altra attività oltre il dormirci. Ovunque traspare un forte abbandono nella gestione, che inevitabilmente si riflette sulle
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I presented the piece to the Politecnico and as a response to it I was told that I needed to “revise it”, “make it lighter “and take more photos of a “less devastated” student residence. I decided not to modify it and the work was rejected. You can find the residence in Milan, in Via Monneret de Villard just off Via Rombon before the River Lambro and the Highway to the East of the city. From the realisation of this project, [makes no sense] the management belongs to the Cariplo Foundation, that also provides reception and cleaning services, whilst it being the University’s duty to assign the rooms, occupied by a hundred students. These are mainly male foreigners, enrolled at or in an Erasmus program at the Politecnico. When you enter Leibniz, the anonymity, the apathy and the inhospitable hits you. It feels like being in a waiting room, one that is not particularly well maintained or used, exploited by passers-by who, one after the other, come and go. The only place in which you can find traces of personal spaces are the rooms, that nonetheless, are so limited in size
persone che lo abitano, provocando in loro disaffezione e disinteresse nel prendersi cura e nel personalizzare gli spazi. Ho cercato di trasferire queste sensazioni nelle immagini scattate virandole in bianco e nero, con una grana visibile, quasi sporca, e ho scelto la forma del dittico per accostare ai luoghi fotografati le persone in essi residenti. Come nella realtà vi è il tentativo di sopravvivere alla mancanza di accoglienza del luogo evitandolo, così nei dittici questo malessere viene sottolineato proprio dall’unità forzata delle due immagini. Prima di iniziare il progetto avevo sempre immaginato gli studentati come luoghi pieni di vita e confusione. Al contrario ho trovato l’abbandono e persone resistenti alla richiesta di farsi ritrarre per l’imbarazzo dell’essere associate al luogo. Disagio espresso tramite ritratti dai colori acidi, decontestualizzati e con le spalle al muro. Il layout tipo Polaroid, l’istantanea per eccellenza, vuole sottolineare la fugace relazione tra spazi e persone. La residenza si è svuotata come ogni anno per la pausa estiva a luglio 2010. A settembre non ha più riaperto
it makes it difficult to do any other activity other than sleep in them. A strong neglect by the management is transpired everywhere, and it’s inevitably reflected upon the people that live there, provoking in them a sense of disaffection and disinterest in taking care of their personal space. I tried to transfer these sensations and feelings to my photographs by mainly using black and white with a visible grana, almost dirty and I chose the form of the “dittico” to pull in the pictures of the places and those people who lived in them. As well as in the case of reality there’s an instinct to survive the lack of hospitality by avoiding the place, the style I adopted reflects this unease which is underlined by the forced unity of the two images. Before starting this project I had always imagined student residences to be places full of life and confusion. On the contrary, I found a state of neglect and people who were resistant to the idea of being associated with the place, even in a photograph. Disappointment expressed with sharp colours, de-contextualised, with nowhere else to turn. A Polaroid-like layout, the perfect snapshot, wants to highlight the transient relationship between space and people. The residence was emptied out like it is every year for the summer break in July 2010. In September it didn’t re-open.
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Ambra Zeni Nel 2006 si laurea in Comunicazione presso la facoltà di Scienze Politiche e si iscrive al corso serale di fotografia dello IED. Oggi fa da assistente a diversi fotografi di design e di architettura e ha cominciato ad avere propri clienti come fotografa free lance. Nel 2008 espone Famiglia che vai, frigo che trovi presso lo spazio Polifemo – Fabbrica del Vapore. Nel 2009, durante il Salone del Mobile, espone presso la galleria Bettinelli4 il progetto SottoSale, realizzato con Marta Carboni e Sabrina Piediferro. Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: ambrazen@gmail.com web: www.ambrazeni.it
Ambra Zeni Ambra Zeni graduated in 2006 in Communication at the Università di Scienze Politiche di Milano and joined the IED photography course. Now she is working as an assistant for several design and architecture photographers and as free lance. In 2008 she exhibited One Family, One Fridge in Polifemo - Fabbrica del Vapore. In 2009, during the Salone del Mobile, she exhibited SottoSale (together with Marta CArboni and Sabrina Piediferro) in the gallery Bettinelli4. To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: ambrazen@gmail.com web: www.ambrazeni.it
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THIS IS OUR YOUTH Anna Adamo
Cascina Travaglia.
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Storie dei figli di questa città, che offre poco e nulla. Cinisello Balsamo, 2012. Cerco di raccontare una realtà comune, la normalità vissuta dalla maggior parte dei giovani del nostro Paese, attraverso la loro quotidianità: la noia, lo sballo, il lavoro, le paure, l’arte dell’arrangiarsi e il fregarsene di tutto. Tra scelte giuste o sbagliate, questi ragazzi fanno vivere delle città, che spesso offrono poco o nulla
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Stories of the children of this city, which offers little and nothing at all. Cinisello Balsamo, 2012. I tried to tell the story of a shared reality, the normality of life lived by a major part of the youth of our country: the boredom, the buzz, the work, the fears, the art of living by one’s wits and not giving a damn about anything. Between right and wrong choices, these teenagers make the city come alive, which often offers little or nothing at all to them.
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Anna Adamo Anna Adamo nasce nel 1991 a Sesto San Giovanni, nella provincia di Milano. Ha frequentato l’Istituto d’Arte di Monza, dove all’età di 15 anni, dopo aver ricevuto in regalo una Nikon D50 dalla madre, inizia a trovare nel mezzo fotografico il suo canale espressivo privilegiato. Da allora Anna non ha mai smesso di ritrarre tutto ciò che la circonda, sua madre, gli amici, il suo quotidiano. Nel 2012 Anna è tra i 6 vincitori del concorso organizzato da Leica su territorio nazionale, con il suo progetto “This is our youth”. Ora lavora come stagista presso Cesuralab. Per saperne di più... Guarda il servizio online: www.miciap.com Contatti: email: MISSING web: www.annins.tumblr.com
Anna Adamo Anna Adamo was born in 1991 in Sesto San Giovanni, in the province of Milan. She attended the Institute of Art in Monza, where at the age of 15, after having received a Nikon D50 from her mother as a present, she started to find her own privileged expressive channel in photography. From that moment, Anna has never stopped capturing all that she is surrounded by, her mother, friends and her daily life. In 2012, Anna was one of 6 winners of a competition organised by Leica on national territory, with her project entitled “This is our Youth”. She’s now working as an apprentice at Cesuralab. To learne more... Thake a look to the online version: www.miciap.com Contacts: email: MISSING web: www.annins.tumblr.com
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MANIFESTO/MANIFESTO MilanoCittàAperta
MilanoCittàAperta
Durante la seconda guerra mondiale, alcune città europee furono dichiarate “aperte” dalle forze in campo. L’esercito nemico lasciava così la possibilità agli occupanti di abbandonare il centro abitato, evitando di distruggere completamente il patrimonio storico e artistico (promessa in realtà raramente mantenuta). Tra le “città aperte” di quegli anni: Roma, Firenze, Parigi, Atene. Milano non fu mai dichiarata “città aperta”. Forse anche per questo motivo il monte Stella, simbolo della ricostruzione milanese del dopoguerra, nacque proprio dalla necessità di sotterrare un milione di quintali di macerie recuperate in seguito ai bombardamenti anglo-americani.
During World War II, some European cities were declared “open” by military forces. This way, foreign armies left the inhabitants the possibility of abandoning their houses, without completely destroying the historical and artistic resources and architecture (a promise which was rarely kept). Among the “open cities” were Rome, Florence, Paris, Athens. Milan was never declared an “open city”. This partly explains why the (Stella mountain), a symbol of post-war reconstruction, was born from the burial of over a million hundred kilos of rubble resulting from the English-American bombings.
La seconda guerra si è conclusa da alcuni decenni e Milano, come tutte le principali città italiane, si è data da fare per ricostruire ciò che aveva perduto. Sotterrati morti e detriti, lo sviluppo si è imposto come il primo obiettivo della popolazione. Ancora oggi la maggioranza delle persone ritiene che il progresso di una società sia legato più alla sua crescita quantitativa piuttosto che alla qualità delle risorse di cui già dispone. Ecco allora che la ricostruzione non si accontenta di ri-costruire, ma vuole espandersi, ingigantirsi, svilupparsi all’infinito. La Storia non si può fermare. Un conflitto sociale resta dunque ancora in atto: quello tra l’oggi e il domani, tra le necessità (presunte) e le speranze (reali). Questo conflitto non ha né principio né fine, non ha confini, né prospettive. È inesorabile. Se volessimo nominarlo con una parola, potremmo chiamarlo “Tempo”. Al Tempo e alla sua opera di creazione e distruzione si relaziona l’Uomo, che non accetta di essere sconfitto senza avere prima combattuto con le armi di cui dispone. Di fronte alle rovine e alle macerie del passato, l’Uomo ha da sempre progettato il proprio futuro in funzione di una nuova Storia. E oggi l’Uomo si è fatto Cittadino per poter portare avanti la propria battaglia all’interno di un luogo apparentemente più adatto: la metropoli. La fine della Guerra, nonostante tutto, è ancora lontana. Come scrive Benjamin, a proposito dell’Angelus Novus dipinto da Klee: “L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi (…) Ma una tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle (…) Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.” La storia, dice Benjamin, non è una lineare catena di eventi in successione e il progresso dell’era capitalista non conduce necessariamente verso il paradiso. Nel mondo della modernità, la dimensione esistenziale dell’Uomo coincide sempre più con l’essenza della Città industrializzata e il passato di uno è ormai racchiuso nel tempo dell’altro. L’alienazione del singolo individuo confuso nella massa indistinta della folla, costituisce infatti da Baudelaire in poi uno dei temi fondanti la poetica della cultura occidentale. Cosa resta dunque del paradiso perduto? Come salvarsi dalla tempesta? Italo Calvino risponde così, in chiusura delle Città invisibili:
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World War II had recently ended and Milan, as all the major Italian cities were doing, was working hard to rebuild what was lost. After burying its dead and debris, development was the first thought in people’s mind. The majority of the population still thinks a society’s progress is determined more by the quantity than the quality of its resources. That’s why reconstruction wasn’t only about re-building, but also infinitely expanding, enlarging, developing. History can’t be stopped. A social conflict is still happening: one between the past and the present, between the (presumed) needs and the (real) hopes. This conflict has no beginning nor an end, no conflicts or perspectives. It’s inexorable. If we could give it a name, it would be “Time”. Man relates himself to Time and its work of creation and destruction, unable to accept defeat before fighting, using all the weapons he has. Looking at the ruins of the past, Man tries to create a future imagining a new History. Today, Man has become a Citizen to carry on his battle inside a more apt environment: the big metropolis. The end of the War, despite everything, was still very far. As Benjamin wrote about Klee’s painting of the Angelus Novus: “The angel of history must have this characteristic: his face must be turned towards the past. Whereas we see a chain of events, he sees only one catastrophe that accumulates ruins on ruins and throws them at his feet (…) But a tempest pushes him towards the future, despite him turning his back to it (…) This tempest is what we call progress.” History, says Benjamin, is not a linear chain of events and the capitalist era’s progress doesn’t necessarily bring to Paradise. In the modern world, Man’s existential dimension coincides more and more with the essence of the industrialized City and one’s past is contained in the other’s time. The individual’s alienation, confused in the crowd, constitutes one of the fundamental themes of Western culture, from Baudelaire on. What’s left of our lost paradise, then? How to save oneself from the crowd? Italo Calvino answers at the end of Invisible Cities: “Hell is already here. There are two ways to avoid suffering from it. The first is easy for many: accepting hell and becoming a part of it until one doesn’t see it anymore. The second is risky and needs continuous attention and learning: Trying to understand and being able to understand who and what, amongst hell, is not hell, and make it last, and give it space”. Good, but how is it possible to give space to what deserves to be
“L’inferno è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Già, ma in che modo si può dare spazio a ciò che merita essere salvato? E soprattutto, come possiamo “farlo durare”? Siamo arrivati al punto del nostro discorso. Da questa domanda ha inizio il viaggio che la nostra rivista spera di poter intraprendere. Proviamo quindi a rispondere: L’essenza del passato passa di sfuggita ma nell’immagine, che balena una volta per tutte nell’attimo della sua conoscibilità, si lascia fissare. “La verità non può scappare”, scrive Benjamin. Ecco allora una risposta: la Fotografia eccede la Guerra. Come dice il filosofo Giorgio Agamben, tutto ciò che si fotografa è chiamato a comparire nel Giorno del Giudizio. L’immagine fotografica è dunque sempre più che un’immagine: è il luogo di uno scarto, di uno squarcio sublime fra il sensibile e l’intellegibile, fra la copia e la realtà, fra il ricordo e la speranza. Se dunque non possiamo possedere il presente ma solo il passato, se possiamo possedere della realtà solo un’immagine a testimonianza del nostro stato di mortalità, allora il fotografo è chiamato a diventare il “flâneur”, poeta della modernità e nomade dell’eternità. Ricorda Henri Cartier-Bresson: “Vagavo tutto il giorno per le strade, sentendomi molto teso e pronto buttarmi, deciso a prendere in trappola la vita, a fermare la vita nell’attimo in cui veniva vissuta”. Il fotografo è come un cacciatore e la sua macchina è un fucile. Ad ogni scatto/sparo, un frammento di realtà viene catturato per sempre, sottratto al divenire e consegnato all’eternità. Il fotografo ha così la possibilità di offrire alla società il proprio sguardo etico attraverso quello estetico e viceversa. La nostra rivista si pone proprio questo obiettivo. Eredi della tradizione del fotogiornalismo d’inchiesta nato grazie alla Magnum negli anni ’50 e consapevoli della ricerca sociale e artistica delle avanguardie del Novecento, tentiamo così di inscriverci all’interno del cammino della Fotografia con lo sguardo (e l’obiettivo) rivolti verso il futuro. Desideriamo discendere nella realtà, liberarne i segreti, utilizzare il gesto fotografico per concretizzare l’azione vissuta in prima persona. Dichiariamo così finalmente Milano “città aperta” e accettiamo la nostra guerra all’interno del divenire caotico della città. Questa stessa città che, in quanto fotografi, desideriamo conoscere e far conoscere. E far conoscere per poter cambiare.
saved? Most of all, how can we “make it last”? We’ve reached the topical point of our discussion. This question is the beginning of the journey that our magazine wants to undertake. [Let’s try to answer: the essence of the past is in passing but it’s possible to fix it in the image flashing once and for all in a moment where it’s possible to know it.] “The truth can’t escape” says Benjamin. This is a possible answer: Photography goes beyond War. As the philosopher Giorgio Agamben says, everything that is photographed will be called to appear on Judgment Day. The photographic image is the place of a sublime break between what’s substantial and what isn’t, between a copy and a reality, between memory and hope. If we can’t possess the present but only the past, if all we can have is an image of our mortality, then the photographer becomes the new “flâneur”, the poet of the modern age and the vagabond of eternity. Henri Cartier-Bresson remembers: “I used to hang around the streets all day, feeling very tense and ready to throw myself into things, determined to “trap” life, to stop life in the moment it’s being lived.” A photographer is like a hunter, his camera is like a rifle. In every shot, a fragment of life is captured forever, taken away from possible changes and given to eternity. A photographer, then, has the opportunity of offering to society his ethical vision through an aesthetic vision, and vice versa. That’s the aim of our magazine. Heirs to the tradition of photojournalism born in the ‘50s thanks to Magnum cameras, and aware of the social and artistic research of the past century, we’re trying to insert ourselves in this path with our eyes (and our lens) looking at the future. We want to delve into reality, freeing its secrets, using photography to make our first-person experience concrete. We finally want to declare Milan an “open city” and we accept our war within the chaotic continuous changes of our city. This city that we, as photographers, wish to understand and be understood. So that we can change it.
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