MilanoCittàAperta - Issue#13 - Autumn/2012

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MilanoCittàAperta - Journal of urban photography - Issue#13 - Autumn/2012 - www.miciap.com

Milano Città Aperta JOURNAL OF URBAN PHOTOGRAPHY

ISSUE #13 AUTUMN/2012


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MilanoCittĂ Aperta Coordinatore Esecutivo Isacco Loconte Coordinatore Editoriale Filippo Ceredi Photoeditor Alberto Locatelli Thomas Pagani Editor Testi Nicola Bertasi Edoardo Mozzanega Progetto grafico e impaginazione Daniele Pennati Isacco Loconte Redazione Nicola Bertasi, Alfredo Bosco, Filippo Ceredi, Alberto Locatelli, Isacco Loconte, Edoardo Mozzanega, Simone Keremidtschiev, Thomas Pagani, Daniele Pennati Fotografi Carolina Guerra, Ana Cecilia Rivera, Artan Kacani, Ana Elisa Segato, Claudia Guzman, Christian Flores Grazie a: Popoli, mensile internazionale. Claire-Louise Watkins per le traduzioni.



SOMMARIO /CONTENT SACRO

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VOLONTARI

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Carolina Guerra

COMUNITÀ

Ana Cecilia Rivera

IDENTITÀ

CLASSMATE Artan Kacani

CITTADINI

Ana Elisa Segato

PUBBLICO/ PRIVATO

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UNA FAMIGLIA

Claudia Guzman

PERMANENZE

Christian Flores

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EDITORIALE /EDITORIAL

Questo è un numero speciale.

This is a special edition.

Innanzi tutto perché nasce dalla collaborazione di MiCiAp con il mensile internazionale Popoli (www.popoli.info). Nel marzo 2012 riceviamo, infatti, da Popoli la proposta di provare a raccontare fotograficamente la multiculturalità a Milano. Il lavoro si sarebbe inserito poi nel quadro più ampio del festival Milano al Plurale che si svolgerà dal 3 al 6 Ottobre 2012. La domanda sorse subito spontanea: è possibile raccontare la "Milano al plurale" usando solo lo sguardo di uno o più fotografi professionisti? Oppure si rischia di affidarsi a un punto di vista esterno che cerca di rendere conto di una differenza culturale di cui i fotografi non possono essere che spettatori?

First of all because it was born from the collaboration between Miciap and the International review Popoli (www.popoli.info). In march 2012 we got the proposal to try to describe the multiculturalism of Milan by Photography. This work will be included in the wider scene of the "Milano al Plurale" Festival, which is going to take place from the 3rd to the 6th of October 2012. A question came out right spontaneously: is it possible to tell "Milano al Plurale" just through the eye of one or more professional photographers? Don't we risk to trust in an outsider-point-of-view trying to tell a cultural difference of which photographers can just be the spectators?

Per raccontare la Milano al Plurale abbiamo quindi deciso di intraprendere una strada nuova e differente che si chiama fotografia partecipativa. L'obiettivo non è più solamente raccontare una realtà multiculturale, ma anche e soprattutto darle voce, chiedendo a chi vive e crea questa multiculturalità di mettersi in gioco in prima persona. Così, alcuni giovani immigrati residenti a Milano, che sapevano poco o nulla di tecnica fotografica, sono stati accompagnati nel difficile lavoro di costruire una narrazione autobiografica attraverso le immagini. Durante un mese e mezzo, sotto la guida di Daniele Pennati (ideatore e coordinatore del progetto), hanno messo a nudo le loro vite per poi concentrarsi man mano su singoli aspetti o eventi specifici da raccontare organicamente. Sono così emersi dei racconti personali. Schegge di vite differenti. Questo, quindi, è un numero molto speciale. Soprattutto perché è fatto da "non fotografi" che, nonostante abbiano prodotto immagini naif e non tecnicamente perfette, sono comunque riusciti a costruire dei racconti veri del loro essere stranieri e del loro modo di vedere, guardare e vivere la città. Racconti in cui inaspettatamente emerge una fortissima differenza nel "linguaggio" usato. Una differenza capace di dar pienamente conto delle molteplici individualità che li hanno prodotti. Le immagini realizzate durante il corso di fotografia partecipativa oltre ad esser pubblicate sulla nostra rivista online saranno pubblicate sul numero di Novembre del mensile internazionale Popoli e proiettate il 6 Ottobre durante la conferenza conclusiva del festival Milano al Plurale. Un grazie, quindi, a Popoli che ci ha permesso di sperimentare portando avanti questo progetto.

Trying to tell "Milano al Plurale" we decided to follow a new and different way called Participatory Photography. The aim is not only to describe a multicultural reality, but to give it some voice, asking to those who live and create such a multiculturalism to get involved personally. In this way some young immigrants living in Milan, who knew little or nothing about Photography, have been followed in the difficult work of building up an autobiographic narration using images. For one month and half, under the eye of Daniele Pennati (creator and coordinator of this project), they showed their lives and then slowly they concentrated about one single aspect or event to be told in an organic way. That's how personal stories emerged. Pieces of different lives. This one is a very special edition, then. Most of all because it is done by "non-photographers" who could anyway build up some real narrations about their being foreigners and about their way of looking and living the city, even if they produced some naif and technically unperfect images. Stories where it suddendly comes out a very strong difference in the used "language". A difference which is perfectly able to tell the many individualities that produced these stories. The images realised during the Partecipative Photography course will be published on our online magazine and on the next editorial of Popoli in November; they will also be showed on October 6th, during the closing event of "Milano al Plurale" Festival. Many thanks then to Popoli who helped us to experiment doing this project.

Buona visione. Have a nice vision. Daniele Pennati Daniele Pennati

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VOLONTARI Carolina Guerra

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Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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© Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

Chi vive lontano dalla sua famiglia si porta dietro una malinconia. Carolina ha trasformato il suo peso in entusiasmo per l'Incontro Mondiale delle Famiglie.

Those who live far away from the family carry some melancholy with themselves. Carolina transformed it into enthusiasm for the World Family Meeting.

L'Italia si è convertita in una sorella Patria per me, e anche se abito lontano dalla mia famiglia, loro sono sempre presenti nel mio cuore e mi accompagnano in ogni giorno della mia vita. Questo lavoro rappresenta le meravigliose ed estenuanti giornate vissute al VII Incontro Mondiale delle Famiglie 2012. Con queste immagini volevo condividere il sorriso e la disponibilità dei volontari che hanno accolto le famiglie che da tutto il mondo hanno raggiunto Milano per vivere questa grande festa. Essere volontario al Family 2012 ha voluto dire essere il volto dell'incontro. Il lavoro dei volontari è stato festa per gli altri. Queste immagine raccontano la giornata conclusiva del Family 2012, la gioia del popolo dei pellegrini e la soddisfazione dei volontari che si sono messi a disposizione dell'organizzazione.

Italy became a Sister Home for me, even if I am living far away from my family, and they always walk with me every day of my life and stay in my heart. This work represents the wonderful and exhausting days lived at the VII World Family Meeting 2012. Through these images I wanted to share the smile and availability of the volunteers who welcomed families from all over the World, reaching Milan to live this great event. Being a volunteer at Family 2012 meant to be the face of the Meeting. The work of the volunteers has been the festival of the others. These images tell the last day of Family 2012, the happiness of pilgrim people and the satisfaction of the volunteers who were available for the organisation.

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Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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Š Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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© Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

© Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

© Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

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© Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

Carolina Guerra Mi chiamo Carolina Guerra, ho 26 anni e sono nata a Riobamba in Ecuador. Sono arrivata in Italia nel febbraio 2009. La mia bella famiglia si trova in Ecuador. Quando sono arrivata in questo paese, ho cominciato a lavorare come baby sitter e adesso lavoro in ufficio come centralinista telefonica. In Ecuador ho frequentato per 3 anni "L'Università Tecnica Particular de Loja" gli ultimi due anni li ho finiti a Milano sempre nella stessa Università del Ecuador ma con sede in Italia. Mi manca di finire la tesi per raggiungere il mio obiettivo.

Carolina Guerra My name is Carolina Guerra, I am 26 years old, I was born in Riobamba in Ecuador. I arrived in Italy on February 2009. My beautiful family is in Ecuador. When I first arrived in Italy I started working as a baby sitter and now I am working in an office as a receptionist. In Ecuador I have been attending the "Universidad Tecnica Particular de Loja" for three years; I finished the last two years of my career in the same Ecuadorian University here in Italy, in the Italian Dept. I just miss finishing my Graduation Thesis to reach my goal. To learn more:

Per saperne di più... Guarda il servizio online, www.miciap.com Contatti: email: krito_guerra@hotmail.com

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COMUNITA' Ana Cecilia Rivera

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Carolina Guerra, 2012, Milano, Volontarizi

Ana non può dimenticare le sue radici salvadoregne, e ha documentato la vita della Comunità del suo paese d'origine a Milano. La comunità è il ponte che permette di attraversare due sponde di un fiume, da un lato le radici salvadoregne, dall'altro il presente in Italia. Ed è quando si sono conosciute entrambe che il ponte si apre per compiere un viaggio nelle acque del fiume, dove le culture si mescolano, dove l'identità si forma. In queste fotografie potrete guardare il mio ponte, il gruppo Monsignor Romero della Comunità Salvadoregna di Milano che ho contribuito a fondare e cui dedico il mio tempo per mantenere vive non solo le mie radici, ma anche la solidarietà con El Salvador, l'integrazione dei miei connazionali in Italia e la curiosità delle seconde generazioni, i nuovi cittadini italiani, per il paese dei loro genitori.

Ana can't forget her Salvadoran origins, and she documented the life of her Home Country in Milan. Community is the bridge that lets you reach two sides of the same river, on one side the Salvadoran origins, on the other side the Italian present. It is just when you get to know both of them that the bridge opens and lets you make a trip into the waters of the river, where cultures melt, where identity takes form. In these pictures you can give a look at my bridge, the Monsignor Romero Group of the Salvadoran Community in Milan, a group that I helped founding and to which I dedicate my time to keep alive not just my roots but also my solidarity with El Salvador, the integration of my compatriots in Italy, and the curiosity of the Second Generations, Italian citizens, for the Country of their parents.

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

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© Ana Cecilia Rivera, Comunità, 2012

Ana Cecilia Rivera Ana Cecilia Rivera, 34 anni, nata in El Salvador è arrivata in Italia all'età di 11 anni. Cittadina italiana con radici salvadoregne, è una delle fondatrici del gruppo Monsignor Romero della Comunità Salvadoregna di Milano. Si è laureata in mediazione interculturale e lavora come operatrice nel Centro per Cittadini e Famiglie Migranti di Soleterre Strategie di Pace Onlus. Si avvicina alla fotografia grazie a suo padre, mentre il viaggio e la curiosità verso le altre culture la portano a sceglierla come mezzo per raccogliere e comunicare le proprie impressioni. Per saperne di più... Guarda il servizio online, www.miciap.com Contatti: email: chechilin78@yahoo.com

Ana Cecilia Rivera Ana Cecilia Rivera, 34 years old, was born in El Salvador and arrived in Italy at the age of 11. Italian citizen with Salvadoran origins, she is founder of the Monsignor Romero Group of the Salvador Community in Milan. She graduated in Intercultural Mediation and she's working as operator in the Centre for Migrant Families and Citizens at the Soleterre Peace Strategy Onlus. She got close to photography thanks to her father first, while travelling and curiosity towards other cultures led her to choose photography as the way to collect and communicate her impressions.

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CLASSMATE Artan Kacani

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Š Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

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Š Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

Š Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

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© Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

AL'università è la fucina del futuro e uno dei primi luoghi d'incontro delle diversità. La speranza di Artan Kacani è di vedere avverata la profezia della "Razza Arcobaleno" a partire dai corridoi della sua università.

University is the forge for the future and one of the first places of meeting for diversity. The hope of Kalkani is to see realised the prophecy of the "Rainbow Race" starting from the hallways of his University.

Le foto che seguono non propongono con il loro contenuto visivo, una rappresentazione complessiva della diversità culturale, ma sono solamente una produzione riduttiva dei cambiamenti politici e culturali che vivo in prima persona all'interno dell'università. Raccogliere una tale informazione attraverso queste fotografie pare un'assurdità, ma bisogna pensare come l'università sia ormai un vero e proprio "bollitore" di scambio interculturale e di conseguenza. Uno tra i primi luoghi nella città dove queste diversità vengono raccolte e rispettate reciprocamente. Sembra che la profezia della "Razza dell'Arcobaleno", secondo gli indiani pellerossa, abbia finalmente trovato un rifuggio dove speriementare la sua esistenza. Come i ragazzi che hanno adderito volontariamente a questo progetto anch'io sogno che questa profezia possa essere esportata anche al di fuori da questo "bollitore", in quella che si chiama città multietnica.

The following pictures do not propose a general representation of cultural diversity through their visual content, but they're just a

"La Razza dell'Arcobaleno" porta la pace grazie alla comprensione che tutte le razze sono una. Quando tutti i sentieri che conducono all'unità saranno rispettati da tutte le culture, allora la profezia dell'Arcobaleno Rotante si avvererà. A volte bastano anche piccole iniziative, come questi foto-rittratti, per mostrare un amore verso la diversità culturale.

reductive production of the political and cultural challenges which I am living myself inside University. Collecting such informations through the pictures might seem absurd, but we have to think about University as a real and unique "boiler" of intercutlural exchange. One of the first places in the city where this diversity raises and is respected. It seems that the Rainbow Prophecy of the American Indians has found a shelter where to experiment its existence. Like all the guys who partecipated to this project voluntarily, I am dreaming too. I dream that this prophecy can be exported also outside of this "boiler", in what we call the multiethnic city. The "Rainbow Race" brings peace thanks to the comprehension that all races are one. When all the paths that lead to unity will be respected from all the cultures, then the prophecy of the Rolling Rainbow will come true. Sometimes it's just about little steps, such as these photoportraits, to show some love towards cultural diversity.

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© Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

© Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

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Š Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

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© Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

© Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

© Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

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© Artan Kacani, Classmate, 2012, Milano

Artan Kacani Artan Kacani nasce a Durazzo (Albania) nel 1988. Nel 2007 si iscrive per la prima volta al Politecnico di Milano, dove frequenta tutt'oggi il Corso di Laurea in Urbanistica presso la Facoltà di Architettura e Società. Un corso che, grazie al suo approccio non solo tecnico ma soprattutto sociologico, lo spinge sempre più verso una lettura attenta delle moltitudini-politiche e delle diversità culturali. Solo di recente si appassiona alla fotografia come strumento di esplorazione della realtà.

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Ana Cecilia Rivera Artan Kakani was born in Durazzo (Albania), in 1988. In 2007 he enrolled for his first time at Politechnic University of Milan, where he's nowadays following the Urbanistic Graduation at Architecture and Society Faculty. A graduation which is bringing him more and more to a careful reading of the political moltitudes and of the cultural differences, thanks to his mostly sociological and not only technical approach. Just recently he got passioned for Photography as a mean to explore reality.

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CITTADINI Ana Elisa Segato

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Š Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

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Š Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

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© Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

Il parco è un luogo neutro dove si possono incontrare volti e persone avulsi dalla loro storia e immersi nel loro semplice "esser cittadini".

A park is a neutral place where you can meet faces and people outside from their stories and absorbed from their just "being citizens".

Attraverso il parco vicino a casa quando vado a prendere la metropolitana o quando vado fare volontariado. Fa parte della mia vita e di molti altri cittadini italiani o stranieri. È la strada per chi va e per chi torna, rivelare la sua identità. Penso che in un parco non sia possibile sapere l'origine di ogni uno. Tuttavia si può conoscere il grado di consapevolezza di chi, straniero o italiano, non esclude l'esercizio della cittadinanza. Questo parco significa per me l'incontro con la città e con

I cross the park near my home everytime I take the metro or go to work as a volunteer. It is part of my life, and of many other Italians or foreigners. It is the way to reveal its own identity, for those who leave and those who come back. I think that it's not possible to know the origins of each one in a park. Although it is possible to know the level of consciousness of who is not excluding the exercise of citizenship, Italian or not. This park represents to me the meeting with the city and with somebody who's bringing his story together.

qualcuno che porta con se la sua storia.

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Š Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

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Š Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

Š Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

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© Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

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© Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

© Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

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Š Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

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Š Ana Elisa Segato, Cittadini, 2012, Milano

Ana Elisa Segato Ana Elisa Segato nasce nel 1982 a Santa Maria, Rio Grande do Sul, in Brasile. Psicologa, cittadina brasiliana ed italiana, vive nella provincia di Milano, a Cernusco Sul Naviglio, dal 2010, dove esercita il suo diritto di cittadinanza.

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Ana Elisa Segato Ana Elisa Segato was born in 1982 in Santa Maria, Rio Grande do Sul, Brasil. Psychologist, Italian and Brasilian citizen, she's living in the province of Milan since 2010, in Cernusco sul Naviglio, where she's exercising her citizenship.

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UNA FAMIGLIA Claudia Guzman

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Š Claudia Guzman, Una famiglia, 2012, Milano

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Š Claudia Guzman, Una famiglia, 2012, Milano

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© Claudia Guzman, Una famiglia, 2012, Milano

© Claudia Guzman, Una famiglia, 2012, Milano

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Š Claudia Guzman, Una famiglia, 2012, Milano

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© Claudia Guzman, Una famiglia, 2012, Milano

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Claudia Guzman Sono Claudia ho 31 anni e vengo dall'Ecuador, la mia permanenza in Italia è di circa dodici anni. Sono sposata con un lodigiano e abbiamo un bimbo di cinque anni che fa l'ultimo anno di scuola materna. Attualmente faccio la casalinga a tempo pieno.

Claudia Guzman My name is Claudia, I am 31 and I come from Ecuador, I have been living in Italy for about 12 years. I am married with a guy from Lodi and we have a child of 5 years old who's attending the last year of Infant School. In this moment I am a full time housewife.

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Contatti: email: claurodo2003@hotmail.com

Contacts: email: claurodo2003@hotmail.com

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PERMANENZA Christian Flores

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Š Christian Flores, Permanenze, 2012, Milano

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© Christian Flores, Permanenze, 2012, Milano

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© Christian Flores, Permanenze, 2012, Milano

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Š Christian Flores, Permanenze, 2012, Milano

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Š Christian Flores, Permanenze, 2012, Milano

Ana Elisa Segato Ana Elisa Segato nasce nel 1982 a Santa Maria, Rio Grande do Sul, in Brasile. Psicologa, cittadina brasiliana ed italiana, vive nella provincia di Milano, a Cernusco Sul Naviglio, dal 2010, dove esercita il suo diritto di cittadinanza.

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Ana Elisa Segato Ana Elisa Segato was born in 1982 in Santa Maria, Rio Grande do Sul, Brasil. Psychologist, Italian and Brasilian citizen, she's living in the province of Milan since 2010, in Cernusco sul Naviglio, where she's exercising her citizenship.

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MANIFESTO /MANIFESTO

MilanoCittàAperta

MilanoCittàAperta

Durante la seconda guerra mondiale, alcune città europee furono dichiarate “aperte” dalle forze in campo. L’esercito nemico lasciava così la possibilità agli occupanti di abbandonare il centro abitato, evitando di distruggere completamente il patrimonio storico e artistico (promessa in realtà raramente mantenuta). Tra le “città aperte” di quegli anni: Roma, Firenze, Parigi, Atene. Milano non fu mai dichiarata “città aperta”. Forse anche per questo motivo il monte Stella, simbolo della ricostruzione milanese del dopoguerra, nacque proprio dalla necessità di sotterrare un milione di quintali di macerie recuperate in seguito ai bombardamenti anglo-americani.

During World War II, some European cities were declared “open” by military forces. This way, foreign armies left the inhabitants the possibility of abandoning their houses, without completely destroying the historical and artistic resources and architecture (a promise which was rarely kept). Among the “open cities” were Rome, Florence, Paris, Athens. Milan was never declared an “open city”. This partly explains why the (Stella mountain), a symbol of post-war reconstruction, was born from the burial of over a million hundred kilos of rubble resulting from the EnglishAmerican bombings.

La seconda guerra si è conclusa da alcuni decenni e Milano, come tutte le principali città italiane, si è data da fare per ricostruire ciò che aveva perduto. Sotterrati morti e detriti, lo sviluppo si è imposto come il primo obiettivo della popolazione. Ancora oggi la maggioranza delle persone ritiene che il progresso di una società sia legato più alla sua crescita quantitativa piuttosto che alla qualità delle risorse di cui già dispone. Ecco allora che la ricostruzione non si accontenta di ri-costruire, ma vuole espandersi, ingigantirsi, svilupparsi all’infinito. La Storia non si può fermare.

World War II had recently ended and Milan, as all the major Italian cities were doing, was working hard to rebuild what was lost. After burying its dead and debris, development was the first thought in people’s mind. The majority of the population still thinks a society’s progress is determined more by the quantity than the quality of its resources. That’s why reconstruction wasn’t only about re-building, but also infinitely expanding, enlarging, developing. History can’t be stopped.

Un conflitto sociale resta dunque ancora in atto: quello tra l’oggi e il domani, tra le necessità (presunte) e le speranze (reali). Questo conflitto non ha né principio né fine, non ha confini, né prospettive. È inesorabile. Se volessimo nominarlo con una parola, potremmo chiamarlo “Tempo”. Al Tempo e alla sua opera di creazione e distruzione si relaziona l’Uomo, che non accetta di essere sconfitto senza avere prima combattuto con le armi di cui dispone. Di fronte alle rovine e alle macerie del passato, l’Uomo ha da sempre progettato il proprio futuro in funzione di una nuova Storia. E oggi l’Uomo si è fatto Cittadino per poter portare avanti la propria battaglia all’interno di un luogo apparentemente più adatto: la metropoli. La fine della Guerra, nonostante tutto, è ancora lontana. Come scrive Benjamin, a proposito dell’Angelus Novus dipinto da Klee: “L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi (…) Ma una tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle (…) Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.” La storia, dice Benjamin, non è una lineare catena di eventi in successione e il progresso dell’era capitalista non conduce necessariamente verso il paradiso. Nel mondo della modernità, la dimensione esistenziale dell’Uomo coincide sempre più con l’essenza della Città industrializzata e il passato di uno è ormai racchiuso nel tempo dell’altro. L’alienazione del singolo individuo confuso nella massa indistinta della folla, costituisce infatti da Baudelaire in poi uno dei temi fondanti la poetica della cultura occidentale.

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A social conflict is still happening: one between the past and the present, between the (presumed) needs and the (real) hopes. This conflict has no beginning nor an end, no conflicts or perspectives. It’s inexorable. If we could give it a name, it would be “Time”. Man relates himself to Time and its work of creation and destruction, unable to accept defeat before fighting, using all the weapons he has. Looking at the ruins of the past, Man tries to create a future imagining a new History. Today, Man has become a Citizen to carry on his battle inside a more apt environment: the big metropolis. The end of the War, despite everything, was still very far. As Benjamin wrote about Klee’s painting of the Angelus Novus: “The angel of history must have this characteristic: his face must be turned towards the past. Whereas we see a chain of events, he sees only one catastrophe that accumulates ruins on ruins and throws them at his feet (…) But a tempest pushes him towards the future, despite him turning his back to it (…) This tempest is what we call progress.” History, says Benjamin, is not a linear chain of events and the capitalist era’s progress doesn’t necessarily bring to Paradise. In the modern world, Man’s existential dimension coincides more and more with the essence of the industrialized City and one’s past is contained in the other’s time. The individual’s alienation, confused in the crowd, constitutes one of the fundamental themes of Western culture, from Baudelaire on.


Cosa resta dunque del paradiso perduto? Come salvarsi dalla tempesta? Italo Calvino risponde così, in chiusura delle Città invisibili:

What’s left of our lost paradise, then? How to save oneself from the crowd? Italo Calvino answers at the end of Invisible Cities:

“L’inferno è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

“Hell is already here. There are two ways to avoid suffering from it. The first is easy for many: accepting hell and becoming a part of it until one doesn’t see it anymore. The second is risky and needs continuous attention and learning: Trying to understand and being able to understand who and what, amongst hell, is not hell, and make it last, and give it space”.

Già, ma in che modo si può dare spazio a ciò che merita essere salvato? E soprattutto, come possiamo “farlo durare”?

Good, but how is it possible to give space to what deserves to be

Siamo arrivati al punto del nostro discorso. Da questa domanda ha inizio il viaggio che la nostra rivista spera di poter intraprendere. Proviamo quindi a rispondere: L’essenza del passato passa di sfuggita ma nell’immagine, che balena una volta per tutte nell’attimo della sua conoscibilità, si lascia fissare. “La verità non può scappare”, scrive Benjamin. Ecco allora una risposta: la Fotografia eccede la Guerra. Come dice il filosofo Giorgio Agamben, tutto ciò che si fotografa è chiamato a comparire nel Giorno del Giudizio. L’immagine fotografica è dunque sempre più che un’immagine: è il luogo di uno scarto, di uno squarcio sublime fra il sensibile e l’intellegibile, fra la copia e la realtà, fra il ricordo e la speranza. Se dunque non possiamo possedere il presente ma solo il passato, se possiamo possedere della realtà solo un’immagine a testimonianza del nostro stato di mortalità, allora il fotografo è chiamato a diventare il “flâneur”, poeta della modernità e nomade dell’eternità. Ricorda Henri Cartier-Bresson: “Vagavo tutto il giorno per le strade, sentendomi molto teso e pronto buttarmi, deciso a prendere in trappola la vita, a fermare la vita nell’attimo in cui veniva vissuta”. Il fotografo è come un cacciatore e la sua macchina è un fucile. Ad ogni scatto/sparo, un frammento di realtà viene catturato per sempre, sottratto al divenire e consegnato all’eternità. Il fotografo ha così la possibilità di offrire alla società il proprio sguardo etico attraverso quello estetico e viceversa. La nostra rivista si pone proprio questo obiettivo. Eredi della tradizione del fotogiornalismo d’inchiesta nato grazie alla Magnum negli anni ’50 e consapevoli della ricerca sociale e artistica delle avanguardie del Novecento, tentiamo così di inscriverci all’interno del cammino della Fotografia con lo sguardo (e l’obiettivo) rivolti verso il futuro. Desideriamo discendere nella realtà, liberarne i segreti, utilizzare il gesto fotografico per concretizzare l’azione vissuta in prima persona. Dichiariamo così finalmente Milano “città aperta” e accettiamo la nostra guerra all’interno del divenire caotico della città. Questa stessa città che, in quanto fotografi, desideriamo conoscere e far conoscere. E far conoscere per poter cambiare.

saved? Most of all, how can we “make it last”? We’ve reached the topical point of our discussion. This question is the beginning of the journey that our magazine wants to undertake. [Let’s try to answer: the essence of the past is in passing but it’s possible to fix it in the image flashing once and for all in a moment where it’s possible to know it.] “The truth can’t escape” says Benjamin. This is a possible answer: Photography goes beyond War. As the philosopher Giorgio Agamben says, everything that is photographed will be called to appear on Judgment Day. The photographic image is the place of a sublime break between what’s substantial and what isn’t, between a copy and a reality, between memory and hope. If we can’t possess the present but only the past, if all we can have is an image of our mortality, then the photographer becomes the new “flâneur”, the poet of the modern age and the vagabond of eternity. Henri Cartier-Bresson remembers: “I used to hang around the streets all day, feeling very tense and ready to throw myself into things, determined to “trap” life, to stop life in the moment it’s being lived.” A photographer is like a hunter, his camera is like a rifle. In every shot, a fragment of life is captured forever, taken away from possible changes and given to eternity. A photographer, then, has the opportunity of offering to society his ethical vision through an aesthetic vision, and vice versa. That’s the aim of our magazine. Heirs to the tradition of photojournalism born in the ‘50s thanks to Magnum cameras, and aware of the social and artistic research of the past century, we’re trying to insert ourselves in this path with our eyes (and our lens) looking at the future. We want to delve into reality, freeing its secrets, using photography to make our first-person experience concrete. We finally want to declare Milan an “open city” and we accept our war within the chaotic continuous changes of our city. This city that we, as photographers, wish to understand and be understood. So that we can change it.

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