Con il sole dentro - Valentina Ronzino

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Copyright Š2016 Edizioni Milella di Lecce Spazio Vivo s.r.l

ISBN 978-88-7048-601-8 II ristampa luglio 2016

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Ai miei sette angeli, che, insieme a tutta una schiera ed ai miei genitori, hanno saputo e voluto scorgere il sole che ho dentro ed hanno reso la mia vita preziosa e migliore.



Prefazione

Esistono narrazioni autobiografiche che ti rapiscono, fin dalle prime righe, e ti trasportano, insieme allo scrittore, nel suo mondo emotivo, nei suoi fatti, nel suo particolare vissuto. Esistono racconti che ti agganciano profondamente al treno dei ricordi e, quasi stranamente, ti interessano proprio, come si trattasse di un fatto tuo, come se ciò che viene detto ti riguardasse da così vicino da non poterti esimere dal vedere dove si va a finire. Perché quella strada percorsa la senti un poʼ anche tua, cogliendone la dimensione universale che proprio perché tale, c’è poco da fare, certamente ti appartiene. Questo è il caso di questo scritto. E quando accade ciò si è in presenza di uno scrittore. Valentina Ronzino, al suo esordio letterario, ha proprio questa capacità: tradurre in parole idee ed emozioni così da legare chi legge a sé, facendogli sentire e vedere ciò che anche lei ha sentito e visto. Abilità interessante, se si pensa che è la storia di una non vedente dalla nascita. Valentina racconta le sue vicende, una dopo l’altra, per come le ha vissute dentro. E si aprono, come sipari diversi di una pièce teatrale, scenari, immagini, vividi affreschi di una realtà colorata che la sua penna riesce a rendere tangibile a chi legge. Sono descrizioni che consentono al lettore di affacciarsi sulla profondità della sua anima, facendo nettamente percepire che alla fin fine quello che c’è dʼimportante, nella sua come in ogni altra vita, è davvero e solo là che si trova. Vi sono molte occorrenze della parola anima, in questo racconto, quasi si trattasse di un refrain necessario, all’autrice, per restare, insieme al lettore, nel luogo nel quale tutto avvie-

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ne. Nel luogo nel quale, alla fin fine, tutto assume la giusta importanza. Nel luogo nel quale, è una evidente ed indiscutibile certezza, risiede il senso. È da questo collocare tutto in quella sede che scaturisce per il lettore la possibilità di affiancare il proprio punto di vista a quello dellʼautrice e a tratti immedesimarsi, altre volte stupirsi, indignarsi, gioire, magari un poʼ anche soffrire. Una scrittura autobiografica come questa di Valentina Ronzino merita di essere letta, perché fa riflettere su cose sulle quali magari non ci si è mai soffermati. Pur raccontando emozioni universali, lʼautrice le veste di inedito, utilizzando la sua cifra stilistica e scegliendo, quasi si trattasse di una melodia, i passaggi esistenziali che maggiormente ci restituiscono il suo vissuto che, se pur non facile, trascorre illuminato, come lei stessa spiega, da una abbagliante luce interiore. Il motivo per il quale vale la pena di leggere la storia di Valentina, insomma, è che questo testo è vivo, reale, coinvolgente. Ci si ritrova a viaggiare con lei alla volta della sua città preferita, ad ascoltarla mentre suona il piano, a relazionarsi con il mondo non solo accogliente, ma anche delle volte crudele. Ci si ritrova con lei. Una manciata di pagine che sono un ponte tra la nostra e la sua vita. Un biglietto valido per un viaggio al centro delle ragioni per le quali tutti noi esistiamo. Silvia Cazzato

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Introduzione Un raggio di sole oggi ti ha illuminato il viso, seduta al banco, piccola, delicata, sembravi un angelo. Ti guardavo per capire se il sole che si rifletteva in te era fuori o dentro di te. Valentina, amica mia, ti sei accorta di me. Mi hai fissato e mi hai sorriso: i tuoi occhi scavano nelle cose e vedono oltre qualunque ostacolo. Entrano nell’anima. Siamo tante storie a colori: c’è chi ne nota l’intensità e chi giudica dalle sfumature; ma se si partisse dall’anima, che è ciò che ci anima veramente, si capirebbero molte più cose! Se si partisse dal cuore di un bambino, che con una naturalezza da lasciare senza fiato, del tutto inaspettatamente e limpidamente, riesce a dire ciò che i grandi non riescono a dire, ciò che i nostri occhi non vogliono e non sanno vedere, il mondo, questo nostro mondo, sarebbe diverso. Quasi a conclusione di questa storia, mi chiedevo quale potesse essere un titolo che aiutasse a capire di quale sostanza fosse fatta sin dalla copertina, ma non trovavo nulla che mi soddisfacesse, niente era mai abbastanza. È stato un po’ come scegliere un paio di scarpe: riuscire a trovare la scarpa che calza a pennello, si sa, non è mai facile. Poi, facendo ordine tra i ricordi, mi sono trovata tra le mani questa letterina. Il bambino che ha scritto questa meraviglia era un mio grande Amico e compagno di classe ed aveva solo nove anni.

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Un bambino speciale e non aggiungo altro, le sue parole bastano da sole a definirlo. Quando rileggo la sua lettera, ho ancora i brividi, nonostante siano passati anni dalla prima volta. Ripercorrendo le sue parole, non ho potuto fare a meno di pensare che aveva ragione: ognuno di noi ha un sole dentro, occorre solo che qualcun altro lo veda, che sia disposto e predisposto a vederlo. Ho pensato di riproporla, perché credo sia di una bellezza e di una profondità infinita. È da qui, proprio da qui, che nasce il titolo di questa storia. Spesso le emozioni più belle si vivono quando chiudiamo gli occhi. Vi siete mai chiesti perché chiudiamo gli occhi quando il vento ci soffia in volto, quando una persona cara ci accarezza, quando le lacrime scorrono lungo il viso o quando si bacia con amore? Pensate all’abbraccio, alla preghiera, alla musica, ai sogni. Si, gli occhi sono importanti, ma l’ascolto, il silenzio e la vista del cuore donano decisamente tanto di più, tanto che Antoine de Saint Exupéry, al capitolo XXI del suo Piccolo principe, ha espresso questa grande verità, per bocca del protagonista, il quale afferma: “Ci sono le attese, e io devo diminuire i miei preconcetti, per creare legami,” e della volpe che svela il suo segreto al piccolo principe: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare.”. Sono per le cose che vanno fino in fondo, io. Per le conoscenze che hanno il sentire per spingersi. Per un’altra verità che si cela dietro apparenze ingannevoli. Sono per la ricerca di ciò che c’è dentro, io.

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Non mi interessa la scatola. Quella, la scatola dico, finisce nei bidoni della differenziata. Il resto invece rimane. Un’anima resta. Ti resta dentro, molto più che accanto. E la senti. La senti, oltre tutto, oltre il tempo, tra le stagioni del cuore, infilata tra le pieghe dell’anima. Dicono che il mare sia profondo. Se però ci si immerge in una persona, nella sua interiorità, se si prova a lambirne le pareti e a toccarne i limiti, a scrutarne i confini ed a sfiorarne i margini, ci si accorge che non è necessario volgere lo sguardo al mare per scorgere l’infinito e l’immenso. Questo libro nasce da fogli di carta sparsi qua e là, tra un collage di emozioni e parole troppo ingombranti da tenere per sé, troppo veloci da trattenere nel cuore. È stato il calderone delle mie notti insonni, passate a scrivere, aspettando e sperando un’alba nuova, diversa, migliore. È stato la quiete per i miei pensieri impazziti, la culla dei miei sogni più belli, l’emozione a caldo di esperienze appena gustate o vissute fino in fondo. Ma, soprattutto, è stato un gioco che si è trasformato in qualcosa di più, un film che sembrava assumere, giorno dopo giorno, le sembianze di una storia vera, la mia. Raccontare la mia vita? Come se si potesse! È un’idea che mi portavo dentro da un po’ ormai, ma non credevo fosse il caso: a chi potrebbe mai interessare leggere la mia storia, la storia di una ragazza qualunque? Chi leggerebbe di me la sera prima di dormire? Poi però ho capito. Raccogliere la mia storia in un libro avrebbe aiutato me. Mi avrebbe aiutata a fare chiarezza e magari a ricomporre un puzzle dai tanti pezzi mancanti o a far quadrare i conti di un’operazione che non sempre quadra o che, forse, non quadra quasi mai.

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L’idea di scrivere qualcosa, o meglio qualcosa su di me, che riguardasse me direttamente, non mi allettava tanto. Sono una persona che non ama mostrarsi o mostrare, io, ma forse scrivere poteva servire a conoscermi meglio e a mettere ordine tra le varie stanze della mia esistenza. Poteva servire, forse, a far cadere quelle cateratte dagli occhi indifferenti e pregiudicanti di chi ormai giudica e giudica naturalmente come respirasse, senza più nemmeno rendersene conto. Probabilmente mettere la propria vita per iscritto non è facile quanto si possa pensare. Credo che per me sarebbe stato più semplice infilarmi nei panni di un affascinante personaggio, facendolo vivere attraverso i miei racconti, piuttosto che infilarmi nei miei. A volte non ci riesco, non mi ci sento, non mi ci trovo, non mi ci ritrovo. Scrivere. Probabilmente lo faccio da sempre. Non ricordo ci sia mai stato un inizio. Sono sempre stata abituata a riflettere su tutto ciò che accadeva intorno e dentro di me, e mentre riflettevo, assimilavo. E mentre assimilavo, scrivevo. Sembra una cosa naturale scrivere ma… no, non lo è affatto. Non si tratta di saperlo fare o di avere delle specifiche competenze o particolari abilità in merito. Scrivere, per me, coincide con una specifica parola: talento. Ma ci vuole talento ad avere talento, ci vuole coraggio ad avere talento. È un talento strano, però, l’arte di scrivere, un talento che sgomita per prendersi l’appellativo sui generis di instabile. Lui non c’è sempre, a volte se ne va e credi di averlo perso e ti senti smarrita o mancante di qualcosa; altre volte invece

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ritorna con l’irruenza di chi non vuole aspettare, ritorna con la prepotenza di chi vuole cogliere al volo quel carpe diem come fosse l’ultimo. Ritorna quando meno te lo aspetti. Torna. Può tornare di notte, quando i pensieri fanno troppo chiasso, mentre sei senza pensieri, torna quando non lo cerchi e non ti dà il tempo di capire niente, di pensare, ti costringe ad alzarti, ad uscire, a chiamare, a cercare. Hai necessità di mettere immediatamente nero su bianco tutti quei fiumi e fiumi di parole che albergano nella tua testa e passano dall’anima e dal cuore. Ti trovi a scrivere, non importa dove, un foglio, un computer, un pezzo di cielo, una striscia di sabbia, un pianoforte… Sai che le parole che scrivi vengono fuori, una ad una, perfettamente infilate e sistemate una dopo l’altra, senza bisogno di essere riscritte o riviste, perché quando segui il flusso dell’anima, quando è l’anima a dettarle alla tua mano, attraverso i moti del cuore, non c’è errore grammaticale o di battitura. Sono quelle, quelle e basta. Questa è sempre stata la certezza che mi ha accompagnata sin da piccola, sin da quando facevo i temi a scuola. Un pensiero, quello reale, è davvero tale solo e soltanto se e quando viene scritto di getto. Altrimenti si altera ad essere rivisto o addirittura riscritto con altre parole, gli si cambia l’essenza, la forma e la sostanza prima, se si rimugina troppo. Con questo voglio dire che questo libro nasce, è nato così: di getto, quasi come una necessità fisiologica e terapeutica. Nasce dalla convinzione assoluta che una “cosa scritta” resta, rimane per sempre, qualunque cosa accada e comunque vada. Resta così come io ho voluto esprimerla ed esternarla, sicuramente opinabile, ma resta il mio pensiero, quel pensiero che io ho voluto e pensato così, non diverso, non immutabile o influenzabile, ma così come l’ho scritto.

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Questo libro nasce dall’esigenza di dire la mia, dopo che in ambito scrittorio, avendo fatto mie tante emozioni messe su carta da parte di alcuni scrittori e poeti profondissimi, ho capito che io stessa ero frutto e sostanza di quelle medesime emozioni che ormai sentivo parte di me. Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorron Le coincidenze, le prenotazioni, Le trappole, gli scorni di chi crede Che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, Erano le tue. (E. Montale) Montale. Sebbene egli stesso abbia definito a più riprese la sua, una vita strozzata che non riesce a conoscere l’esistenza in senso pieno, il senso della vita lo aveva capito davvero, lui. Un senso vero ed essenziale che ha espresso straordinariamente ed efficacemente in poche righe, arrivando al vero nucleo delle cose, entrando in una dimensione che va oltre. Solo un banale senso, in apparenza, che cela, invece, una grande ricchezza, sensibilità e grazia interiore. È stato proprio lui, sulla base di queste poche righe, a spingermi a credere che forse il mio pensiero de L’apparenza non è tutto poteva essere possibile, realizzabile e tangibile per davvero.

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Leggendo questi versi, ne sono rimasta folgorata all’istante. Il poeta, poco menzionato nei libri e dalla storia, rispetto ad altri, ha fatto sfoggio di quella sua preziosa, meravigliosa e quanto mai invidiabile sensibilità , rara a trovarsi, che invece a me ha colpito non poco.

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