BAR TOLETTI. Così ho sfidato Facebook di Marino Bartoletti

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MARINO BARTOLETTI

BAR TOLETTI Prefazione di

VITTORIO MACIOCE Tavole di

MATITACCIA

MINERVA


Indice Prefazione 10 Ciao Anna 14 Le ragazze con la bandiera 15 Grazie Federica 16 Un bravo poliziotto 18 Elia, il profeta 20 Scavare nel coraggio 22 Un’eroina Vera 24 Niki e io 25 Gaetano e Giacinto 27 29 Freddie, he is a champion L’8 settembre di un ragazzo 32 Rossi, the original 34 La freccia d’Italia 38 E nacque Pablito 39 Lui canta positivo 41 Silvio e la mia sfida 45 Guarda Omar, quant’è bello! 48 Trieste, il Giro e la Libertà 51 Sempre Fratelli 54 Dario d’un anarchico! 56 Viola d’amore 60 Voglio però ricordarti com’eri... 61 Il padrone del Destino 62 Non lasciamoli soli 65 Giggi er bello 66 Il silenzio della dignità 68 Non eravamo angeli 69 Sandro, il gigolo della voce 72


Rombodituono 73 Leo, Suzanne takes you down 75 Mike, il bimbo e la roccia 76 Quando Bob s’inchinò al Papa 78 JFK, la radio quella sera 80 L’inverno non aspetta 81 La fatica di Ercole 84 Such a lovely place 88 John, you may say... 89 Frank, your way 90 Glenn, e il mondo ballò 91 Alberto, la normalità dell’oro 92 Enzo, il Maestro di tutto 94 Musica di pace 96 George, last Christmas 97 Un qualunque mattino di dolore 98 Ivan, è stata una svista... 101 Giorgio, ma per fortuna o purtoppo... 102 Renato, guaglione forever 104 Pino e la tristezza di un sorriso 105 I cento anni di Dolfo, l’eroe 106 Ezio, la solitudine dell’ala sinistra 108 Adrian Pan 109 Tutto avrei pensato fuorché... 110 Fabrizio, Luigi e il Paradiso 111 Il mio Pirata buono 114 Luciano, lo scherzo della vita 116 Mario, il motore e la poesia 118 Sic, non dire “diobò”! 120 Diego e l’amicizia 121 Giro, la rinascita rosa 122 Ci farà ripensare ai suoi occhi 123 Arpad: il tricolore, la gloria, l’oblio 126 Raciti, l’onore e l’esempio 128


Carosello, non solo nostalgia Io, Biagio e l’Ariston da casa Occidentali’s Festival Fausto, ottant’anni di grazia Robibaggio, un’assenza che affascina Maestro e Paron Johnny? No, chiamatelo Frank Perché lui è lui... Dj Fabo, il tempo di morire Capitano e gentiluomo Il talento e la pazzia Le braccia tese della poesia Quando “mito” vuol dire mito Mortacci e bontà Le sue mani e il suo cuore Quel pomeriggio di dolore Mario e quelle braccia al cielo Zurlì, più uomo che mago Un coatto in Paradiso Franco, il peccatore della poesia Vai, grande campione Il Principe del sorriso L’uomo ucciso per la sua bontà Il talento della goliardia Nino, Fratello d’Italia Prima genio e poi principe L’aquila che ci ha fatto maledire il cielo Silenzio, si parte Mimì, ancora tu nell’universo Gilles, il candore e la follia La Sicilia che sa vincere

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Il padrone del Destino 23 ottobre 2016 Buon compleanno, Alex Zanardi. Tutti noi che abbiamo conquistato i primi 50 anni ci abbiamo messo qualcosa per arrivarci: chi il coraggio, chi la fortuna, chi la tenacia, chi la passione, chi la pazienza, chi la normalità, chi persino l’eroismo. E qualcosa di loro ci metteranno anche quanti, prima o poi, vi approderanno. Ma tu ci hai messo di più; molto di più! Tu hai battuto la Morte! Non è una foto macabra quella che mi piace allegare a questo mio modestissimo pensiero: è una foto di sfida, una foto di vittoria! L’ha realizzata Andrea Bardi su commissione del dottor Costa, l’“amico decisivo” per la tua Seconda Vita. Si ispira al Settimo Sigillo di Ingmar Bergman: un capolavoro, una pietra miliare. Ma nel film il protagonista, Antonius, pur arrivandoci più preparato, più sereno e più forte, perde la sfida a scacchi con quella che Roberto Vecchioni chiama la Nera Signora. Tu, Alex, no. Tu hai schivato la falce. Tu hai accettato l’appuntamento che ti aveva dato, ma ti sei fatto beffa di lei, lasciandole solo una parte di te: il trofeo della sua sconfitta. Non ho citato a caso Roberto Vecchioni, perché su questa partita a scacchi dell’Uomo con l’Eterna Nemica ha scritto una delle sue canzoni più belle, più profonde, eppure non da tutti immediatamen-



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Giorgio, ma per fortuna o purtoppo... 1 gennaio 2017 … e oggi non si può neanche non ricordare Giorgio Gaber. Alla cui immensità culturale offro solo l’omaggio del (mio) silenzio e di una (sua) canzone. Gaber è stato allegria, ironia, commozione, innovazione, riflessione, rabbia, profondità; è stato la “mia” Milano, quella che mi ha accolto, provinciale, a vent’anni aprendomi gli occhi verso un oceano artistico (di cui lui e Dario Fo erano le onde più alte) che non potevo immaginare fosse così fertile e straordinario. Mi offro e vi offro il suo testamento politico-poetico-musicale, Io non mi sento italiano (testamento in tutti i sensi perché è uscito tre settimane dopo il suo addio). Non l’ha scritto quindici anni fa: l’ha scritto OGGI. E sta a noi saperne cogliere la lezione di collera, ma anche di orgoglio e forse di speranza.

ASCOLTA IL BRANO



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Il mio Pirata buono 13 gennaio 2017 Oggi compirebbe 47 anni. Faccio fatica a immaginarlo. L’ho sempre visto giovane, innocente, disarmato anche nei momenti più dolorosi: anche quando la vita lo ha piegato con una crudeltà che lui ha vissuto come fanno i bimbi increduli, che sgranano gli occhi quando si trovano davanti alla gratuita cattiveria dei “grandi” e sembrano chiedere: “Perché mi fate questo?”. Marco mi è rimasto nel cuore come un figlio, come un fratello, come un amico. Tutti abbiamo una parte di Marco dentro di noi. E allo stesso tempo, abbiamo il pudore di voler tenere per noi questi ricordi: spesso così intimi, così importanti, così difficilmente condivisibili. Quando le parole mancano o, peggio, corrono il rischio di diventare retorica, per nostra fortuna c’è sempre un poeta che ci aiuta. In questo caso Francesco Guccini: «Voglio però ricordarti com’eri, sapere che ancora vivi. Voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi». Ecco, se puoi, continua a sorridermi, Marco. Come quel giorno di 14 anni fa, alle Canarie, quando volesti festeggiare assieme a me il mio compleanno. Avevi ancora il lampo della vita negli occhi. Un anno dopo non ci saresti stato più. Noi romagnoli abbiamo strani pudori nel dirci le cose. A volte preferiamo il silenzio per capirci! Come furono spesso silenziosi i nostri lunghi colloqui di notte, in quell’isola così dolce dell’Atlantico. Ma ora voglio che tu lo sappia: sei stato il più grande! E soprattutto ti ho voluto un sacco di bene. Come non ne ho mai voluto a un altro uomo di sport. E tu eri molto di più: eri un Campione! Un Campione purissimo!


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@bartolettimarino

L’aquila che ci ha fatto maledire il cielo 22 aprile 2017 Dire che sono sconvolto è poco. Dire che non trovo le parole è inutile. Mentre si stava allenando è morto in un incidente stradale, travolto da un furgone nella sua Filottrano, Michele Scarponi. Era l’allegria e la simpatia applicate al ciclismo. Aveva levato le braccia al cielo appena cinque giorni fa. Era un campione di una lealtà straordinaria. Un uomo che aveva fatto dell’ottimismo la sua (contagiosa) bandiera. Avrebbe dovuto correre da capitano dell’Astana, al posto di Aru, il Giro d’Italia: la sua ultima, insperata, inattesa, ma sacrosanta, meritatissima occasione. Ma, a volte, Dio dove guarda?

25 aprile 2017 Lo sono andato a salutare. Perché sì. Ma su questa bacheca non uscirà una sola parola dei sentimenti che ho provato. Michele ci ha lasciato il suo sorriso. Proviamo a ripartire da lì. Tutti!



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