L'ISOLA IL CUI NOME È ISCRITTO NEL MIO di Raffaele La Capri e Lorenzo Capellini

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Se lì, nella campagna ai piedi del Solaro tu avessi vissuto un autunno ancora luminoso della vita e avessi avvertito, proprio per questo sentimento del tempo, più intenso l’amore per la tua bella giornata che stava per finire. E dissi addio all’isola il cui nome è iscritto nel mio.

Goffredo Parise Raffaele La Capria Lorenzo Capellini Lorenzo Capellini

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L’ISOLA IL CUI NOME È ISCRITTO NEL MIO L’ISOLAIL CUI NOME È ISCRITTO NEL MIO

I luoghi dei sentimenti

Raffaele La Capria

I luoghi dei sentimenti

Raffaele La Capria

L’ISOLA IL CUI NOME È ISCRITTO NEL MIO con le fotografie di

LORENZO CAPELLINI

con le fotografie di

Minerva

LORENZO CAPELLINI

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MINERVA

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Leggere La Capria mi ha sempre incantato. Un giorno venne a presentare la mia mostra sul Veneto di Goffredo Parise e disse: “Guardando le fotografie di Lorenzo, sento la voce di Goffredo dietro di me che mi parla di quei luoghi, di quei momenti”. Pensai quanto mi sarebbe piaciuto fare con lui un libro sui suoi luoghi amati. Pensai a Capri. Andammo insieme nell’isola ai primi di giugno. Ascoltarlo e fotografare i luoghi dove lui trascorse anni felici fu un altro incanto. Spero di poter trasmettere le emozioni provate in quei giorni a chi leggerà e guarderà questo libro. Lorenzo Capellini


L’isola il cui nome è iscritto nel mio Raffaele La Capria Collana editoriale: I luoghi dei sentimenti diretta da Lorenzo Capellini Testi di: © Raffaele La Capria Le didascalie sono tratte prevalentemente da Capri e non più Capri Fotografie di: © Lorenzo Capellini www.lorenzocapellini.it lorenzo.capellini@tin.it Le fotografie di un tempo passato sono state fornite dall’archivio privato di Raffaele La Capria. Retro di copertina: La casa di Duddù “Ricordo”, Giosetta Fioroni, Capri 2012

Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Impaginazione: Edizioni Minerva

Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge. © 2012-2016 Minerva Soluzioni Editoriali srl - Bologna ISBN: 978-88-7381-856-4

edizioni MINERVA Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 info@minervaedizioni.com www.minervaedizioni.com


RAFFAELE LA CAPRIA

L’isola il cui nome è iscritto nel mio Con le fotografie di LORENZO CAPELLINI

MINERVA



IndIce L’ isoLa isola

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Le mie tre epoche a c Capri di Raffaele La Capria

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Capri c di Goffredo Parise

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1980

2002


L’isoLa iL cui noMe è iscritto neL Mio di Raffaele La Capria

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’idea di questo libro è di Lorenzo Capellini che già aveva fatto con Goffredo Parise un libro simile “Veneto barbaro di muschi e nebbie” pubblicato anch’esso dalla Minerva Edizioni. Conoscendo l’amicizia che mi legava a Goffredo, Lorenzo ha pensato che lo stesso tipo di libro fotografico avrebbe meglio sottolineato l’affinità sia umana che letteraria che c’è stata tra me e Goffredo. Entrambi abbiamo amato nello stesso modo i luoghi ed i paesaggi dove siamo vissuti e dove sono nate in noi le prime impressioni, entrambi abbiamo trasferito il rapporto che ci legava a questi luoghi nei libri che abbiamo scritto e ancor più nella scrittura e nello stile di questi libri. Lui il Veneto, Venezia e Vicenza, il Piave e la sua casa di Salgareda a due passi dal greto del fiume; io Napoli, Capri, il mare e le rocce di Capri e la mia casa ai piedi del monte Solaro. Anche Goffredo era innamorato di Capri, e uno dei racconti più belli dei Sillabari, “Estate”, racconta proprio di una vacanza caprese con la ragazza che aveva appena sposato. Lì in quel racconto si sente la felicità e insieme la fugacità del momento che la giovinezza e quel breve soggiorno nell’isola aveva donato ad entrambi. Tra le rare e straordinarie poesie scritte da Goffredo prima di morire ce n’è una dedicata a Capri: Sul bacino blu/ sventazza il mare/ di Capri, scrive, e quello “sventazza” è belissimo, fa vedere l’increspatura che produce il vento sull’acqua; e più avanti, nella stessa poesia, ricorda il sapore di zolfo del vino genuino di Capri, e poi: “Immerso l’occhio/ nel fondo archeo/ mura romane/ intravedi/ nette da muschio alghe e degrado”. È uno sguardo altrettanto netto il suo, che 7


con una sola parola “archeo”, si misura col tempo e la natura dell’isola, ne fulmina la profondità abissale e il mito. Nella bellissima prefazione a questo libro di poesie Silvio Perrella scrive che “un guizzo della sua agilissima mente” gli fa inventare un modo tutto personale per “significarla”. Quando comprai la mia casetta di Capri cui tanti sogni affidai ho pensato alla casetta di Goffredo, alla quale anche lui aveva dedicato molti sogni. Goffredo era già molto malato quando mi telefonava per dirmi che voleva venire a trovarmi, che voleva vedere la casa che gli avevo descritto e il paesaggio che da quella casa io contemplavo. Mi chiedeva: “Ma a Capri c’è un centro per la dialisi?”. Non c’era, allora non c’era. E dunque Goffredo dovette rinunciare alla visita che mi aveva promesso. A tutto questo pensavo quando ho accolto la proposta di pubblicare questo libro con Lorenzo Capellini. Anche Lorenzo è stato un caro amico di Goffredo, e non solo di Goffredo. È stato con Moravia in Africa, a lungo ha frequentato Hemingway e l’ha accompagnato in quell’Estate pericolosa che vide il confronto nell’arena tra Dominguin e Ordonez, ha scattato le sue fotografie riprendendo i personaggi più importanti del momento, ed è sempre innammorato del suo mestiere. Fa tutto con entusiasmo. Quando siamo arrivati a Capri per fare le fotografie che appaiono in questo libro, Lorenzo mi ha confessato che non veniva a Capri da quarant’anni! Lui aveva conosciuto quella Capri lì, quella era rimasta nella sua memoria, e arrivando con me in piazzetta, vedendo la fiumana dei turisti, le vetrine dei negozi agghindate secondo la moda milanese, e tutte le novità che questi 8


quarant’anni hanno portato a Capri, era rimasto piuttosto deluso. Ma quando siamo andati per vie solitarie, fuori dal flusso turistico, a cercare i posti da fotografare, l’Arco Naturale, la Grotta Verde, la strada Krupp, la discesa dei Faraglioni, la Grotta Bianca, le spiaggette di Cala Ventroso, e tutto quel che si vede nelle fotografie di questo libro, posso assicurare il lettore che ad ogni scatto ho sentito un’esclamazione di Lorenso: Che bello! Oh, guarda, Dio mio! Oh che meraviglia! Gli era ritornato l’entusiasmo, aveva ritrovato la Capri di quarant’anni fa che, nonostante tutto, ha resistito. Spero che l’entusiasmo che Lorenzo ha messo nei suoi scatti si veda anche attraverso queste foto, e che le didascalie che le accompagnano, tratte quasi tutte (per gentile concessione di Mondadori) dal mio libro “Capri e non più Capri”, appaiano al lettore non solo come didascalie ma dotate di vita propria, e perché no? Come un invito a riaprire quel libro, dal quale vengono riportati due racconti, per sottolineare l’intento narrativo di queste sequenze fotografiche.

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Palazzo donn’Anna

Se penso al mio rapporto con Napoli mi sembra di poterlo esprimere soltanto per immagini. E la prima è quella di Palazzo donn’Anna, dove ho trascorso gran parte della mia infanzia e della mia giovinezza. ...Ah, il tempo in cui il Golfo di Napoli era la mia Polinesia, e ogni scogliera la mia barriera corallina, ogni spiaggia il mio atollo, ogni approdo quello del Capitano Cook! Il tempo in cui andavo a caccia di spigole come il Capitano Achab, e ancora ne arpionavo qualcuna grossa come Moby Dick! Il tempo in cui battevo il crawl come Johnny Weissmüller e mi accostavo ad ogni ragazza con la stessa inesperienza di Tarzan con Jane! Ogni giovinezza certo è lontana per chi la ricorda nell’età più tarda, ma la nostra giovinezza è più lontana di quella di ogni altra generazione, perché tutto per noi è mutato in modo più rapido e sconvolgente, e tutto è diventato irriconoscibile, le città, i luoghi, gli scogli, le isole, la terra, il mare, le stagioni, il sapore di un’arancia...

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Le Mie tre epoche a capri di Raffaele La Capria

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o vissuto a Capri tre epoche della mia vita che corrispondono a tre epoche della vita di Capri. La prima, la più bella, fu nel tempo della squattrinata giovinezza, negli Anni Cinquanta, quando Capri era ancora elitaria e non era diventata un oggetto di consumo, quando ancora sopravvivevano alcuni personaggi della Capri d’una volta, come Norman Douglas, Roger Peyrefitte o Graham Greene, e Malaparte, Moravia, la Morante; quando il mare era ancora una specie di Equoreo Eldorado vivo di pesci, e c’era ancora la barchetta e il sandolino che si affittavano per poche lire alla Marina Piccola. Bastavano pochi colpi di remo per trovarsi in una rada silenziosa circondata da altissime rocce strapiombanti, soli in mezzo a un mare trasparente dove per una misteriosa alchimia i verdi smeraldo, i blu cobalto e i teneri azzurri formavano sequenze musicali. E quando approdavi su una di quelle spiaggette candide come la neve nascoste tra gli scogli e ti sdraiavi nel bagliore accecante del sole, ti pareva di essere sbarcato su un atollo deserto. Così era un mattino di Capri in quegli anni. Quando dal mare si saliva in Piazzetta, la sera, all’ora dell’aperitivo, i tavoli dei caffè erano tutti occupati, e iniziava lo spettacolo. Il nuotatore si trasformava in viveur, il viveur in voyeur. Nulla di quel che avveniva in Piazzetta sfuggiva al suo occhio, vedere era un piacere sessuale misto a quel sentimento più ambiguo e complesso (che René Girard avrebbe chiamato “desiderio mimetico”, cioè il desiderio di essere come l’altro Dalla lettera a Dieter Richter, curatore del libro Lettere da Capri, Edizioni La Conchiglia, 2012

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1961, con Ilaria a Capri

1948, al tempo della squattrinata giovinezza

1948, un tuffo a Marina Piccola


che attirava il tuo sguardo). Al centro dello spettacolo c’era il Divo Dado (Dado Ruspoli) e il Divo Rudy (Rudy Crespi) con la loro corte. E che raffinatezze, che stravaganze, quali eleganze! Pantaloni aderenti da torero con gilet in lamé, o a guaina con scarpa incorporata come in un quadro del Pisanello, sandali dorati da schiavo ed eventuale corvo sulla spalla, ogni sera una sorpresa. Il bel Piero Verbinschiak faceva strage di cuori senza muovere un dito, e non mancavano le apparizioni delle piccole dee dell’estate: Consuelo la moglie di Rudy, graziosa e perfettina come la bamboletta al centro di una torta matrimoniale, Carlottina la nostra Bardot, e Graziella la Lyz, Bianchina la svedesina... A un tavolo del caffè Vuotto, malinconico come una figura del periodo blu di Picasso, sedeva lo charming Malaparte, e a un altro arrivava in portantina, tutto vestito di bianco, il nababbo Rizzoli. In piedi come una sentinella, ai margini della piazza, in tenuta balinese con collane e bracciali e altri aggeggi orientali, il piccolo Hans Spiegel svolgeva il suo ruolo di gnomo tutelare. Oggi quella Capri non esiste più, ma non la rimpiango. Rimpiango semmai la mia giovinezza e le stupide trepidazioni che lo spettacolo della Piazzetta mi comunicava, rimpiango la natura e il mare di Capri ancora intatti. Sono tornato a Capri con Ilaria negli Anni Sessanta e già tutto era cambiato, tutti gli dèi erano fuggiti, non era più possibile l’incanto, il silenzio, le trasparenze; era cominciata l’età del disincanto col rumore di un fuoribordo e lo scoppiettio dei cavalli a motore che solcavano il mare. L’anfora, pescata nel mare coperta di alghe, già non era più riconoscibile, e solo pochi ostinati come me ne intravedevano la forma nascosta. Adesso i 13


1961, Valentino Bompiani, Ilaria Occhini e Raffaele La Capria al Premio Strega

1966, con Alberto Moravia

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vaporetti erano stati sostituiti dagli aliscafi che arrivavano carichi come le barche degli extracomunitari. Se si escludevano il sabato e la domenica, gli altri giorni della settimana erano vivibili. Bisognava evitare le strade più battute dai turisti e dedicarsi alle passeggiate, a Tiberio, Pian delle Noci, al Passetiello, a Tragara, la Migliara, Pizzolungo coi belvederi a picco sui Faraglioni. Belle passeggiate e buoni ristoranti, bagno di mare non più alla Marina Piccola, affollatissima e destinata brutalmente allo sfruttamento turistico, ma ai Faraglioni, alla Canzone del Mare, al Faro... Da Luigi ai Faraglioni era bello dopo il bagno sedersi a mangiare gli spaghetti alle vongole. Goffredo Parise ci ha lasciato un bel racconto dei Sillabari per farci sentire come poteva essere ancora godibile Capri in quegli anni. In Piazzetta adesso incontravi solo gente di passaggio, si preferiva l’invito a cena da Tirelli, da Mondadori, da Ruspoli, dalla Fenech. Graziella, la nostra Lyz, aveva inventato il Premio Malaparte che attirava ogni anno i più famosi scrittori del momento. Arrivarono Saul Bellow, Nadine Gordimer, la Allende, Manuel Puig, insomma a settembre non mancava la vita intellettuale e i grandi nomi arrivavano, sia pure artificialmente, col pretesto di un premio. I ricevimenti di Graziella in quei giorni del premio erano memorabili, il cibo eccellente, e perfino l’accigliato e annoiato Moravia se ne compiaceva. Così ricordo gli Anni Settanta e Ottanta. Poi vengono per me gli Anni Ottanta, che furono per me e Ilaria gli anni dell’invasione in massa dei turisti, che arrivavano la mattina e partivano la sera, lasciando dovunque le tracce del loro passaggio. Sono gli anni in cui chi, come me, non 15


1980, ... la vista dal mio terrazzo

può fare a meno di Capri, deve inventarsi un’isola-nell’isola e sopravvivere in quella come quei giapponesi che continuavano a fare la guerra quando la guerra era finita. La mia isolanell’isola fu una casetta di contadini nell’arruffata campagna ai piedi del Monte Solaro. Una casetta che per raggiungerla dovevi salire duecento scalini, e che io nonostante ciò, con un ottimismo davvero eccessivo a sessant’anni, decisi di comprare. Era una casa piccola ma dotata di un panorama esorbitante che dall’alto dominava l’isola e includeva due golfi, quello di Napoli (in parte) e quello di Salerno. Nelle giornate più chiare sul filo dell’orizzonte appariva il profilo del Capo Palinuro. Col binocolo potevi leggere l’ora sull’orologio della Piazzetta e vedere da lontano i caffè e la gente che li affollava. Ma ormai non mi interessava più vedere chi c’era. È stata quella casa il mio rifugio, il mio piccolo Tibet, per più di 15 anni, fino a quando non ce l’ho fatto più a salire i duecento scalini. Lassù in quel romitaggio ho scritto il mio libro Capri e non più Capri, dove ho segnato “i pensieri del terrazzo” che andavano e venivano come le nuvole sul Solaro, e il passaggio delle ore, la luce e l’ombra, il mutare dei colori sul mare. Lassù ho ricreato un po’ della Capri di una volta, lassù c’era silenzio, solitudine, contemplazione della natura. E poi costruire una casa a Capri è un’esperienza particolare, fatta di continui ritocchi e abbellimenti, e non è un caso che quelli che hanno voluto la16


1980, sul terrazzo della mia casa caprese


1965, un omaggio alla bellezza di Ilaria


1968

sciare un segno della loro presenza nell’isola, Fersen, Munthe, Malaparte, e tanti altri, hanno costruito una casa a loro immagine e somiglianza. Anch’io nel mio piccolo e entro i miei limiti economici sono riuscito a farlo, ed è stato bello vederla crescere pezzo per pezzo, e quando l’ultimo pezzo fu sistemato, lasciarla senza rimpianto, grato della felicità che aveva dato a me e Ilaria. E dissi addio all’isola il cui nome è iscritto nel mio.

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1968, con le mie figlie Roberta e Alessandra

1980, a Capri con Ilaria e Alessandra nella nostra casa

1980, Alessandra e Ilaria


1980, Guappo

Il cane se ne sta più in là sul bordo del terrazzo. Sembra assorto nella contemplazione del paesaggio, lo sguardo un po’ perduto e il muso da lupo, teso a cogliere gli odori e i rumori per me impercettibili provenienti dalla campagna. La sua sagoma si disegna precisa contro l’azzurro che prende il pallore della sera. Rassomiglia al suo progenitore Anubi, l’egizio. Ha la stessa linea da sciacallo, le stesse orecchie ritte da dingo, e lo stesso aspetto ieratico del cane dei faraoni. Ma l’occhio quando si posa su di me è quello affettuoso di un bastardino dal ruvido pelo tigrato. Crede di essere un cucciolo, anche se ha tre anni. È un cane infantilito il mio Guappo, che guappo non è, lo dico spesso a Ilaria, si vede da come si comporta con gli altri cani, sempre un po’ sventato, pronto a partecipare a qualsiasi scorribanda, come Pinocchio quando segue le cattive compagnie. Profilato sull’azzurro della sera rassomiglia ad Anubi, il cane sacro, e aggiunge qualcosa alla sacrallità dell’ora. Poi volge la testa verso di me, con le sue orecchie da dingo puntate in su come le dita di una mano nel segno della V di Victory.

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