Diario di una vecchia checca

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Narrativa Minerva collana diretta da Giacomo Battara



Nino SpirlĂŹ

Diario di una vecchia checca

Minerva Edizioni


Diario di una vecchia checca di Nino Spirlì

Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Editor: Giacomo Battara Illustrazione di copertina: Alessandro Battara © 2012 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. ISBN: 978-88-7381-442-9 Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 http://www.minervaedizioni.com e-mail: info@minervaedizioni.com


A me stesso, figlio di mio padre e mia madre



Prefazione Alcune donne lo temevano, in molte lo sospettavano, numerose lo avevano dovuto ammettere magari dopo l’avviso dello psicoterapeuta che faceva notare come quel fuggire dei fidanzati di turno e quel calo del desiderio alla seconda settimana senza che la prima avesse toccato mai punte notevoli voleva dire una sola cosa. E no, non si trattava solo di un problema di autostima: l’altro è sempre altro, ma qualche volta è ancora più altro. Poi è arrivato Ozpetek che ha aperto gli occhi, le sue fate ignoranti che hanno messo la pulce nell’orecchio. Rimane però per certo una notevole quantità di ignare, di illuse, di ottocentesche romantiche e di cultrici delle naturali attrazioni ormonali. Ma siccome perfino alla scienza capita di fare balzi in avanti smentendo se stessa, arriva il Diario a raccontar loro, ma anche a qualche uomo, la vita quotidiana di cui non si sono ancora accorte. E a fornire una definizione che, con ironico paradosso, dissolve ogni nebbia: eterofroci. L’ironia accompagna il percorso di questa educazione sentimentale che arriva fino ai nostri giorni, dove il coming out, il dichiararsi, sta diventando un 7


obbligo sociale quasi quanto un tempo lo erano la discrezione e la vergogna, corollario questo sempre attuale, per essere accettati. Da chi, però, si fa piuttosto fumoso. Un’ironia che passa dalla sfrontata freschezza della giovinezza, alla malinconia della maturità, fino alla cupezza impaurita dalla solitudine, eppure non si trasforma mai in cinismo, ma in qualcos’altro come spiega il protagonista quando scrive il 13 luglio, giorno di Sant’Enrico Imperatore: ho imparato “l’autoironia dopo l’ironia e prima della perfidia”. Il Diario di una vecchia checca, si rivela fin dal titolo. Non è un inno, non è un manuale, è solo un diario, talvolta scarno, aneddotico, in altre occasioni riflessivo perfino filosofico, oppure narcisistico e autoreferenziale, come lo devono essere gli appunti sparsi di chi ha bisogno di svuotare l’anima con se stesso, nel silenzio di una pagina bianca, se non tutti i giorni almeno nei momenti salienti delle emozioni. Perché di emozioni si tratta, sempre, come emozione è il sesso, filo conduttore del racconto, che da gioco e scoperta giovanile passa per diventare ossessione o àncora di salvezza con la quale, anche in 8


modo frenetico, il protagonista ribadisce la propria esistenza. O trattiene un amore. D’altronde cosa c’è di più personale e privato di un Diario, cosa di più sincero e diretto di quelle righe che costringono alla riflessione, alla pausa, al tirare le somme di una giornata, di una stagione della vita, di una storia sentimentale. Al lettore non rimane che abbandonarsi allo scorrere scadenzato dal calendario dell’indiscreto, del clandestino, magari leggendo tutto d’un fiato prima di essere scoperto. Eppure chi cerca la sensazione, peccaminosa o cialtrona, di spiare i segreti di un uomo attraverso il buco della serratura, si troverà invece una porta spalancata su una vita fatta di pranzi, vacanze, lavoro, amori e delusioni, dolori e famiglia, speranze e passioni. “Incapace di accontentarmi di amare ho cercato di rubare la felicità di essere amata”, scrive ad un certo punto il protagonista nel suo Diario prendendo in prestito le parole di Shoko ne “Il fucile da caccia”. Nulla viene nascosto, in questo Diario sconcio e perbene, dove il valore morale di riferimento è l’onestà, dove il protagonista ama la vita di coppia, dove il massimo della trasgressione sono gli incontri 9


occasionali, quelli tanti, magari con sacerdoti e fruttaroli ma senza bondage o pratiche astruse. Dimenticate gli aspetti morbosi perché il diario racconta una persona con la quale il lettore si identificherà di volta in volta per la forza o la fragilità, per i desideri e le disillusioni, scordando perfino che si tratti di un maschio a cui piacciono gli uomini. Sarà il protagonista ad avvisare se stesso che “un frocio di 40 anni comincia a diventare ridicolo nella maggior parte dei suoi atteggiamenti”, ma anche a sottolineare che “sappiamo ridere di noi stesse, noi Vecchie Checche”. Mimosa Martini

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1 Febbraio 2012. Ore 15.05. Amen. Roma. Quartiere Appio Latino. Via Britannia. Salgo per le scale con le sue chiavi in mano. In un silenzio irreale. Fermo, davanti alla porta dell’appartamento continuo a fissare le sue iniziali incise nell’argento. Non apro. Non sono deciso. I suoi cani non mi hanno sentito arrivare. Non li sento abbaiare. La piccola finestra vicino alla porta d’ingresso non si è illuminata. Nessuno ha aperto la porta sorridendo. Accendo una sigaretta ed indugio sul pianerottolo. Non riesco ad entrare. Mi sembra di violare la casa che diventerà la mia casa. Tacchi frettolosi e rumorosi scendono per le scale. È Margherita. Vive al piano di sopra. Mi conosce. Non sa che lui è partito… Mi saluta. Sorride e passa. Abbasso gli occhi. Quasi mi vergogno a farmi trovare fermo davanti alla porta. La apro. Granitico. Sono avvolto dal silenzio granitico. Mi opprime. La casa è buia, nessuno dei suoi lumi sparsi ovunque dà luce. Credo di non aver mai acceso una luce prima di adesso. Ci pensava lui a tenere tutto illuminato. Perdo una lacrima. L’ingresso: le foto, il quadro che ci raffigura con il gatto, i vasi di ebano con i grani di inebriante incenso, il libro di Pinocchio, il geco, gli specchi. Verso la cucina: il centrino sardo sulla madia, i quadri delle pro-nipotine, il cartello “rispettate il pane”, le spezie. L’odore. 11


In camera da letto: i rosari, la bibbia in cuoio, cento statuette di santi, le camicie colorate, i profumi, l’armadio aperto, il quadro della sacra famiglia sulla testa del letto, i ventagli, il copricapo tibetano con i turchesi ed i coralli, la collana di filigrana araba. La cameretta: i libri, la bandiera tricolore, il mattone del muro di Berlino, le candele profumate. Il salotto: le uova di struzzo, i bicchieri d’argento, la foto di sua madre bambina, la ciotola con le stecche di cannella spezzettate. Nello sgabuzzino: le pentole di rame, i piatti di coccio, i mocassini cuciti a mano, le essenze di agrumi. In bagno: la lettiera del gatto, i lettini dei cani… I saponi profumati… Non c’è più nulla. Non c’è più lui. Non c’è più vita. Non ci sono più io. Non so vivere in questa casa che non è più La Casa. Ma gliel’ho promesso. Siedo al centro dell’ingresso, per terra, con le braccia abbandonate e fumo l’ennesima sigaretta. Anche gli occhi mi abbandonano e vagano da soli per tutto l’appartamento; il congelatore è staccato e aperto, il frigo vuoto, lo stendino sul balcone regge solo vecchi stracci da spolvero, alle pareti i chiodi dei quadri sembrano anime perse, sulla scrivania della cameretta la lista di oggetti da vendere (se vuoi, mi scrive). E, lì, sul pavimento polveroso, vicino alla finestra, uno scatolone – dimenticato? – pieno dei suoi diari, delle sue agende. Lo conosco troppo bene: lui non dimentica. Mai.

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4 Ottobre 1982 – San Francesco d’Assisi Fossano – Caserma Perotti Arrivo a Fossano, Sottotenente di Cavalleria, con la mia nuova Fiesta color ghiaccio, dopo un viaggio lungo quanto tutta l’Italia, dalla Calabria a qui. La caserma è vecchia, ma ben tenuta. Costruzioni basse coi tetti spioventi: non c’è un primo piano a pagarlo oro. Tutto è basso, tranne il pennone della bandiera… le costruzioni sono ordinatamente allineate e affiancate, a formare una cornice perfetta attorno al piazzale di battaglione. Qui, come ti muovi, ti vedono… Buona parte degli ufficiali e dei militari è impegnata in una cerimonia solenne in Romagna. Meno male, così noi nuovi arrivati ci salviamo dagli scherzi degli ufficiali di Calotta, l’organismo goliardico dei subalterni. Il Circolo Ufficiali è un salotto molto elegante. Rapporti formali, etichetta esasperata, buono il whisky. Antipatico il Capitano Cappellano: sembra Mister Magoo. Quando passo per i viali, tutte le reclute scattano sull’attenti. Ci dovrò fare l’abitudine. Ho nausea da ansia da prestazione… E questo è solo il primo giorno. 20 Novembre 1982 – S. Ottavio Fossano – Caserma Perotti A 21 anni sono già ufficiale di cavalleria! Che ficata!!! 15


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Mio Dio, ma, allora, ci credo proprio! Cosa mi sta succedendo? Non ero io che cercavo in tutti i modi di farmi riformare? E come mai, poi, ho implorato mio padre perché mi raccomandasse col suo amico generale per partire? Se penso alla pazienza e allo spirito di adattamento che ho tirato fuori durante i cinque mesi di corso a Cesano, mi viene da pensare: da cosa sto scappando? Da chi? Lo so bene da chi: da me. Dalla mia noia, dalla ripetitività di una vita che in Calabria, ormai, mi sta strettissima. Più passa il tempo e più mi rendo conto che, non solo non ci voglio morire in quella terra, ma non ci voglio neanche più vivere. Non è bello, alla mia età, svegliarsi al mattino e conoscere già il novantacinque per cento delle cose che accadranno durante la giornata, le persone che incontrerò, le cose banali che condividerò con loro, i progetti di cui continuerò a parlare passeggiando stancamente per il Corso allo stesso orario, sullo stesso marciapiede, con la stessa compagnia. E gli stessi cibi, gli stessi odori, profumi, aromi, come se tutto si svolga dentro ad una piccola bolla uguale a se stessa e che non evolve mai. Ecco a cosa serve questa partenza: a rendermi nuovo, a rendermi vivo, a costringermi a lottare per essere sempre diverso e non somigliare mai a ieri. In macchina, da solo, durante il viaggio dalla Calabria a qui, ho rivisto tutti i miei giorni di questa breve esistenza. Certo, di casini ne ho già combinati abbastanza, ma riflettendoci, sono solo goliardate di 16


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un giovanotto di provincia, e non provinciale, che sta tentando, in vari modi, di disegnarsi il proprio cammino. Però, onestamente, così non lascerei traccia di me oltre i confini del mio paesello e non è questo che voglio. Anche in amore, temo di fare cazzate. Al momento, ho solo una grande confusione in testa ed ecco perché, qui, a mille e cinquecento chilometri circa di distanza avrò modo e tempo per riflettere e decidere. Da oggi sono anche responsabile dell’armeria! Che freddo, nelle Langhe… Se comincia ora, a febbraio, che succederà? Mi cadranno naso, mani e piedi??? Ma chi cazzo me l’ha fatto fare? Se avessi fatto l’obiettore, magari, sarei andato a lavorare al caldo di qualche biblioteca… 22 Dicembre 1982 – S. Flaviano Fossano – Caserma Perotti Incredibile! Non ci voglio credere! Che cazzo sta succedendo? 23 Dicembre 1982 – Santa Vittoria Fossano – Caserma Perotti H: 05.17 Allora, palle ferme! 17


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Ero seduto nel mio ufficio, stavo scrivendo degli appunti e risistemando le schede del poligono. L’ottanta per cento dei miei militari non sa sparare e passi… La porta di comunicazione tra il mio ufficio e la fureria era aperta. Erano passate le 22.30. Fuori c’era un buio pesto, rotto solo da qualche riflesso bianco della neve ghiacciata sul piazzale di battaglione. Anche il vecchio cannone era coperto di neve. Scrivevo e fumavo. Ad un certo punto, Goffredo, il mio furiere, è entrato con la scusa più banale: «Signor Tenente, vuole un thè caldo?» «Non bevo il thè di sera, io: non mi fa dormire!». Però, ci siamo messi a chiacchierare. Passata una mezz’oretta e due sigarette, avevo voglia di un caffè. Goffredo lo ha preparato in fureria e me lo ha portato. La conversazione è slittata sulla sua ragazza che lo aspetta all’Isola d’Elba e sul fatto che, da lì a poco, dopo il suo congedo, sarebbero andati a vivere insieme. «Tu? Goffrè, ti chiami come Mameli, ma più che Fratelli d’Italia tu avresti potuto scrivere Sorelle d’Italia, col rossetto e sullo specchio del bagno. Sei ricchione, fattene una ragione!». E lì, tutta una manfrina sulle apparenze e sui contenuti, su ciò che sembra e non è, e ciò che è, ma non appare. Goffredo ha difeso la sua inossidabile eterosessualità da ogni possibile attacco, esterno ed interno. Salvo, poi, preso forse dalla stanchezza – oppure in un rigurgito di coraggioso puttanesimo – farsi sfuggire un biascicato: «Potrei farlo solo con uno come lei, Signor Tenente» e, senza darmi 18


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il tempo per una preghiera o l’ultima sigaretta del condannato, mi ha calato quindici centimetri di lingua in gola tenendomi fermo sulla mia poltrona. Ho subìto? No, ho risposto. È un segnale di disponibilità? Mi sale un conato di vomito… H: 14.30 Che rovello! Ma sono frocio? Oggi a pranzo, a mensa, mi sono tartassato l’anima. Forse sì, forse no. Quel bacio, in fondo, non mi è dispiaciuto, ma non c’è stato altro e credo che non ci sarà altro, perché non so quanto coraggio avremmo entrambi, eventualmente, per andare oltre. Sta lavorando alla sua scrivania, in fureria. Lo guardo. Ho lasciato di proposito aperta la porta dell’ufficio. Non è brutto. Non è bello: ha la faccia da figlio di puttana. Secondo me, lui lo desiderava da tempo, mentre per me è stato un fulmine a ciel sereno. Non ci avevo mai pensato ad una possibile tendenza omosessuale, anche se, per anni ho giocato con l’ambiguità. Non sono io quello che se ne va in giro, in Calabria, con i ventagli in mano? Non sono io che adoro i caftani e le tuniche arabe? Non sono io quello che usa profumi indifferentemente da uomo e da donna? H: 21.00 Questo bastardo mi agita. Fortunatamente a gennaio va via. E pensare che al mio paese ero considerato addirittura quasi un playboy. 19


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Povera Sandra. Per colpa mia è passata di bocca in bocca, per tutto il paese. Ingiustamente. Il nostro, sì, è stato un vero amore: Amore puro, sincero, senza volgarità, senza impudicizie… Una profonda e sentimentale Amicizia, senza pregiudizi. Forte della debolezza degli Altri, Umile davanti alla tracotanza dei soloni di quartiere, Divina nella sua Generosità d’affetti. Eppure, ha scandalizzato molti. Forse troppi. Come la signora della presunta borghesia palmese che ciceronava davanti a mio padre, basito, sull’amoralità della mia frequentazione, mentre sua nuora la dava via per un pacchetto di sigarette... Vabbeh… Ricordi… Bastardo! Mi guarda! Che cazzo sorride? Entra. È andata. 25 Dicembre 1982 – Natale Fossano – Caserma Perotti Li adoro! Mio padre e mia madre sono veramente inimitabili ed eccezionali. Pur di passare il Natale in mia compagnia, hanno affrontato oltre venti ore di treno, in questi giorni freddi e nevosi. Li ho sistemati al calduccio in un piccolo albergo in paese e, da ieri, sono miei ospiti a pranzo e a cena al Circolo Ufficiali. Oggi, nella saletta riservata a noi, il personale di mensa ha imbandito una tavola principesca: mamma e papà avevano 20


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gli occhi che scintillavano di soddisfazione, ed io con loro. Mi piace renderli felici, mi riempie di orgoglio. Devo così tanto a loro che anche queste piccole gioie sono solo delle tappe in attesa di poter regalare la Felicità Grande, quella vera, con qualcosa di eclatante. Mia madre, che vive umilmente il suo ruolo di moglie e mamma, si è sempre accontentata di quel poco che la vita le ha concesso, anche quando avrebbe potuto avere molto di più. Non ha mai recriminato e non è mai stata capace di invidiare nessuno, anche se, molto spesso, derubandola del suo, altri ne hanno goduto al suo posto. Papà, addirittura, si priva di quanto la vita gli regali, giorno dopo giorno, mettendolo a disposizione di chi ne ha, dice, più bisogno di noi. Ed eccoli arrivare in caserma con i loro dignitosissimi cappotti di lana, semplici, senza colli di pelliccia o bordature di pelli raffinate, con le loro scarpe imbottite e non firmate, caldi solo di sentimenti e infuocati di amore per me. È stato il nostro Natale, il Natale voluto e vissuto come un regalo vero del Cielo. Stasera, dopo cena, li ho riaccompagnati in albergo: mi mancano già. Non vedo l’ora che sia domani, che sia l’ora di andarli a riprendere per riportarmeli in caserma e sentirli respirare e palpitare vicino a me. Tutto il resto sparisce. I miei dubbi, le mie angosce, le paure di queste settimane, i fremiti delle mutande e il tremore del cuore. Solo noi. Dormo al Corpo di Guardia, Ufficiale di Picchetto.

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30 Dicembre 1982 – S. Eugenio Fossano – Caserma Perotti H: 23.15 Sandra non risponde al telefono. Le avrei voluto augurare buon anno e salutarla. Mi odia! Come darle torto? Dopo averla trascinata in una storia coraggiosa, seppur platonica, lunga tre anni, dopo averla costretta a lottare contro tutte le malelingue, soprattutto quelle puttane vestite da sante parrocchiane che tra un Padre Nostro ed un Salve Regina sarebbero pronte a crocifiggere la Maddalena a fianco di Gesù Cristo, non ho avuto pietà nell’abbandonarla dicendole semplicemente: «Avevi ragione tu, meglio fermarsi qui!». Ma che ci posso fare se, appena partito per questa nuova avventura, mi sono reso conto che il ragazzino spavaldo e sicuro di sé ha ceduto il posto ad un giovane uomo che, tra dubbi, incertezze e paure, sta forse cercando il Suo cammino? Me ne sono reso conto qualche giorno fa guardando la cassiera della pasticceria sotto i portici e anche la ragazza che è entrata, quasi assieme a me, nel negozio di cappelli di via Roma. Le guardo tutte. E non solo loro… Goffredo è in licenza. Maledetto. 2 Febbraio 1983 – Presentazione del Signore Fossano – Caserma Perotti La sensualità in caserma si taglia con il coltello. 22


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Gli ufficiali, i sottufficiali, i militari in generale, sono una bomba di testosterone portato a mille. Le stesse uniformi hanno un taglio che istiga pensieri sconcissimi! Queste maledette uniformi disegnano i corpi in maniera sensuale. Sono turbato. Tento di sorriderci sopra, ma sono preoccupato. Telefono a papà? Mi mancano le nostre chiacchierate. La sera prima del suo congedo, Goffredo è venuto in camera mia a salutarmi. Devo dire che gli uomini baciano gli uomini meglio di come le donne bacino gli uomini. Abbiamo fatto sesso fino a farci male. Questo furbacchione ha fatto il pieno per i prossimi tre inverni. Mi ha lasciato svuotato sul letto solo alle quattro del mattino. Se ci avessero scoperto, ci avrebbero fucilati sul piazzale di battaglione… (o, forse, ci avrebbero decorati al Valore…). 7 aprile 1983 – S. Ermanno Fossano – Caserma Perotti Penso a Goffredo tornato alla sua isola, al suo lavoro, alla sua donna. E ai suoi cessi pubblici. Chissà quanti ne visiterà in pellegrinaggio! Dio mio, non farmi mai essere approssimativo in nessuna delle mie scelte. Spero che la mia esperienza omosex si sia conclusa con lui… Figurati!!!

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C’è il sole. La giornata è tiepida, dalla finestra guardo i militari dentro le loro uniformi. Hanno dei culi pazzeschi. Sì, ormai li guardo tutti con un altro occhio. Non lo definirei un interesse sessuale, ma una curiosità sensuale. 20 Maggio 1983 – S. Bernardino Fossano – Caserma Perotti Oggi pomeriggio, anziché andare al bar del Circolo Ufficiali per il mio solito cocktail, ho preferito lo spaccio della truppa, dove si incontrano i militari. Che ridere! Non sapevano se mettersi sull’attenti o salutarmi dandomi del tu: lo spaccio è territorio loro ed io ero assolutamente fuori luogo. Questi ragazzi mi amano e mi temono. Posso farli marciare per ore, per punizione, per un alzabandiera fatto male, ma posso anche uscire con loro, la sera, in pizzeria e trascendere fino a farli arrossire. Mi chiamano Comandante, Signor Tenente, Gargamella e chissà in quanti altri modi che non conosco. Per sardi e pugliesi resto “Capo”, ma parlando, mi danno del tu. H: 23.50 La vita militare è veramente molto strana. Durante le ispezioni notturne, le ombre vagano da una caserma all’altra, da una branda all’altra, da un cesso all’altro. Chi si fa le canne, chi osa un tiro di cocaina, chi va oltre. Le caserme, anche le più controllate, mantengono i loro angoli oscuri. 24


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24 Maggio 1983 – Santa Maria Ausiliatrice Fossano – Caserma Perotti H: 09.15 Sono in ufficio. Squilla il telefono: «Buongiorno, hai già letto i quotidiani stamattina?». Gabriele ha uno strano timbro di voce, non passa un minuto e scoppia a ridere. E ci credo! Il ristorante dove abbiamo cenato sabato sera “tutto a base di capriolo!” è stato chiuso, sigillato, tumulato, coperto di calce, disintegrato dai carabinieri perché “nei frigoriferi, le forze dell’ordine hanno trovato solo carcasse di cane” mortacci loro... Anche se, devo dire, che era cucinato proprio bene. Gabriele. Che sagoma! Con lui scopro valori antichi dell’amicizia. Il Maresciallo Gabriele, delicato omosessuale, gentiluomo, devoto alla Madonna dello Sterpeto, di cui conserva un’immaginetta in auto, buongustaio a tavola, coraggioso pioniere delle notti gay piemontesi. Assieme a lui e ad Antonello, la più grande zoccola pugliese in stellette, viaggiamo per le notti torinesi lambendo froci e travestite canterine. Mi diverto e mi appassiono. 21 Giugno 1983 – S. Luigi Gonzaga Nel cuore delle Langhe Che serata fuori di testa! Mai vista una cosa del genere! Omar ha praticamente sfondato il tettuccio della sua fuoriserie color prugna saltandoci sopra con 25


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rabbia. E pensare che il suo fidanzato gliela aveva regalata per il compleanno. Omar! Il Sibarita delle Langhe… Vive in un antico palazzo al centro del paese con l’anziana madre fuori di testa, che si aggira per le sale coperta solo da una pelliccia di leopardo, e con il vecchio domestico, a cui cola costantemente l’hennè al lato della fronte. Omar cicca le sigarette in un enorme blocco di cristallo, abbandonato a fianco a uno dei tanti divani del salotto. I suoi pappagalli volano liberamente per un’intera ala della casa e sensualissimi giovani magrebini trasportano la loro mercanzia da un letto all’altro, da una poltrona all’altra. Gli ospiti sono talmente a loro agio, che abbandonano ogni inutile formalismo… Un piccolo eden incastonato nel cuore del Piemonte “faus e curteis”… Che dire? Mi diverte frequentare questo speziato Caravanserraglio che beve come una spugna del Pacifico, che parla tutto al femminile: la telefona, la trena, la tappeta, la divana, e che, invece, mascolinizza ogni epiteto nei confronti delle donne: il troione, il puttanone, il vaccone. Veste abiti tessuti rigorosamente con bave di seta frusciante, fili di cachemere o rughe di lini d’alto lignaggio… E gli anelli? Corniole, ametiste, rubini, zaffiri, smeraldi, circondati, affiancati, incorniciati da diamanti e ori. E platino. Mediamente coprono due dita. E i pendenti da collana? Serpenti, teste di Medusa, draghi con gli occhi di rubino, diavoli con le lingue di smeraldo… 26


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L’oro! I profumi lasciano la scia per almeno due settimane. Intensi, di magnolia, tuberosa, vaniglia. Comodo essere froci così! Manco te ne accorgi! Il cazzo è il primo pensiero e l’ultima preoccupazione. Mi mancherà questo mondo? Bah! 20 Luglio 1983 – S. Elia Fossano – Caserma Perotti – Cena d’addio Ho ancora le lacrime agli occhi. È finita. Domattina parto con Gabriele per qualche giorno di vacanza in Calabria. Lascio la caserma, l’uniforme e la vita militare. È stato un periodo molto controverso, sono cresciuto, morto e rinato, ma soprattutto ho una coscienza in più. Non mi piacciono solo le donne. Ieri sera, alla cena d’addio, mi sono regalato un’ultima soddisfazione. Il cameriere del ristorante era stato militare nella nostra caserma e si era congedato due mesi dopo il mio arrivo. Aveva intuito, più o meno, tutto di me e Goffredo: l’ho capito dalle battute che mi rivolgeva ogni volta che si avvicinava per servirmi. Poi l’ho stretto al cesso. A fine cena quel cretino mi ha seguito mentre andavo a pisciare: avevo la vescica piena come un pallone e non avevo neanche chiuso la porta della cabina (chissà come si chiama quel cretino? Non me lo ricordo proprio!), lui è entrato e con aria strafottente ha fatto l’ennesima battuta sui froci. Mi 27


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ha fatto arrivare il sangue al cervello e l’ho invitato provocatoriamente ad entrare nel cesso con me e lui spavaldo è venuto. Era quello che volevamo entrambi per tutta la serata. Ci siamo strofinati come bestie in calore l’uno all’altro per non concludere: troppa gente mi aspettava. Troppo lavoro lo aspettava. 10 Agosto 1983 – S. Lorenzo Roma Adesso, lavoro al Ministero delle Poste. Questo posto mi serve per mantenermi gli studi di recitazione. Litigo tutti i giorni con questa gente banale e mediocre, che non mi piace. Il primo battibecco l’ho avuto con la zitella acida, responsabile della segreteria tre giorni fa: «Signor Spirlì, il termine “cangianti” per definire i suoi occhi è una parola calabrese? Deve correggere la scheda informativa: qui si parla italiano». Puttana! Ho fatto le fotocopie della pagina dello Zingarelli e gliel’ho sbattuta sul muso quando il suo ufficio era pieno di gente: «Signorina carissima, i suoi studi si sono fermati alle materne in periodo di guerra in casa di qualche maestrina di periferia? L’aggettivo cangiante è di pura lingua italiana e significa che un colore cambia sfumatura, a seconda del punto d’osservazione…». Che faccia che ha fatto. Primo match: Io – Loro 1 a 0 Uff!!! Mi annoio! 28


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Nessun amico… qualche conoscenza banale. Ho voglia di una storia. Dopo i dieci giorni di vacanza con Gabriele tra Calabria e Puglia, questa prima settimana romana mi sembra una galera. La città è vuota, angosciante, girano solo turisti sudati e grassi come ippopotami. Non si vede una fica decente neanche a pagarla oro. 31 Agosto 1983 – S. Aristide Roma Forse sarebbe stato meglio fermarsi in caserma. Qui non ho una mia identità. Sono uno dei tanti ventenni che arrivano in questa enorme città, che fa finta di essere una madre accogliente e di abbracciarti, quando, invece, ti soffoca senza pietà. O sono fatto male io, che non mi fido di nessuno, oppure qui è proprio difficile trovare degli amici. Fanfaroni, parolai, inconcludenti, opportunisti e potrei continuare fino all’ultima goccia di inchiostro questo amaro elenco. Il romano di oggi ti si presenta con la solita frase: «Che, c’hai ‘na sigaretta?» Che può cambiare, a volte, in «Che c’hai ‘na monetina?». E, di che c’hai in che c’hai, ti si affianca fino a rubarti l’anima. Sembrano simpatici, ma non lo sono poi tanto. Perché, se, caso mai, ti dovessi sentir male per strada ed avere un mancamento, ci potresti rimanere per ore, per anni, senza che nessuno muova veramente verso di te. Al limite, passando, ti sganciano distrattamente un “porello...” e continuano il loro cammino. No, non mi piace questa gente. Io sono abituato in altro modo. 29


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Oggi pomeriggio, mi ha gelato una signora sulla cinquantina che, passando davanti ad un barbone in evidente alterazione, si è girata verso di me e mi ha detto: «Se la ripulissero questa città, ‘sti politici magnoni, non farebbero un soldo di danno». Mi ha gelato, le avrei voluto rispondere: «Se la ripulissero da loro o da te? Brutta stronza!». E quella era una madre di famiglia, un’educatrice. Ecco cosa mi sconvolge, la dabbenaggine e la superficialità. 10 Settembre 1983 – Santa Pulcheria Roma Il cinema non mi interessa, amo il teatro. Riprendo i miei contatti con le Compagnie. Fra poco parte un Malato immaginario. Mi proporrò per il ruolo di Diafoirus figlio, del resto sono a Roma solo per questo: voglio fare l’attore. L’attore di teatro. Ogni sera vado davanti ai teatri più importanti della Capitale, sperando di incontrare attori, registi, produttori… Questo è il periodo delle prove degli spettacoli della nuova stagione: prima o poi, qualcuno devo pure beccarlo, cazzo! Dove si rifugiano? Dove si nascondono? Ma esistono anche a Roma, o no? Ne incontravo di più andandoli a cercare in camerino in Calabria… 28 Ottobre 1983 – San Simone Roma Sempre rogne! Questa, poi, è rischiosissima! 30


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Tra tante ragazze carine e disponibili proprio con una donna sposata mi dovevo mettere? Però, quant’è bona. Arianna. Ha sette anni più di me, il vizio non mi è passato. Le scelgo più grandi perché sono più maturo della mia età o perché cerco la mamma? Comunque vado avanti. Chi se ne frega! Con lei, però, a letto ci vado. Eccome! 30 Ottobre 1983 – S. Germano Roma Il marito è in Kenya e ci resterà più di una settimana. Gli si è rotto l’aereo… Meglio così. 4 Novembre 1983 – San Carlo Roma Se ci avessero beccati, ci avrebbero licenziati. Non si tromba in ufficio. Soprattutto in orario di lavoro. Però avevamo il diavolo nelle mutande. Arianna è una porca che la metà basterebbe. Mi stuzzica, mi mette in uno stato di eccitazione costante, mi si siede sul pisello e poi scappa. Stavolta, l’ho bloccata, le ho spostato le mutande e l’ho fatta mia seduta stante. Lei, mia, o io, suo? Le donne! Si prendono sempre quello che vogliono. Sembrano le prede, ma sono loro i veri cacciatori. E tu non puoi farci nulla: devi solo far finta di averla conquistata e parlarne con gli amici, a cui racconti di come l’hai fatta cadere ai tuoi piedi (sapen31


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do benissimo che stai perdendo il sonno, cercando di convincerla a rivederti “almeno una volta”)… Già! Le vere registe di questo enorme spettacolo della seduzione, ormai, sono loro! 20 Gennaio 1984 – S. Sebastiano Roma È finita! La stronza è una squilibrata mentale! Ma come si permette di andare a raccontare all’analista i fatti nostri, i fatti miei, senza neanche avvisarmi? Non posso accettarlo! A che servono gli analisti? Io dico: se hai un problema parlane con un amico, col tuo compagno, con un fratello, con i tuoi genitori. Ma che cazzo vai a pagare un estraneo che non gliene fotte niente di te e che senza conoscere chi ti sta accanto ti dice quello che devi o non devi fare. Ma vaffanculo! Tu e il tuo analista di merda! I sensi di colpa… Mi parla di sensi di colpa nei confronti del marito, della madre (che non riesce più a guardare negli occhi), della sorella... Ma di cosa stiamo parlando? Di me non ha detto una parola; anzi, la vigliacca, cerca di scaricare su di me la responsabilità di questo “rapporto malato”. La cretina lo ha definito “un rapporto malato”. Ti odio! Stupida, deficiente e ladra! Sì, perché, a questo punto, sono convinto sempre di più che la stilografica d’oro che mi ha regalato mio papà l’abbia rubata proprio tu! Ladra fottuta! Sei l’unica che abbia potuto farlo. Sai quanto ci tenessi e non hai 32


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neanche il coraggio di restituirla e con questo addio burrascoso mi ti levi anche dai coglioni. Ficcatela su per l’anima, la penna! Donne? Mai più! Squilibrate, matte e ladre! 6 Marzo 1984 – Carnevale Roma Vado con Paola ad una festa in maschera. Che tristezza il Carnevale! Tutti vogliono divertirsi per forza; e che tristezza le feste in maschera povere. Il locale era in Centro, pieno bussato; le maschere, approssimative: quasi tutti vestiti da arabi con le barbe dipinte con il sughero bruciato, quattro o cinque pompieri, due Zorro, una decina di diavolesse, (tutte le femmine che vogliono scopare in queste sere si vestono da diavolesse), qualche suora, due papi. Io ho preso in affitto un vestito da dama del ’700 (ma ho mantenuto la barba). Inutile dire che ero la più bella. Quando è passata a prendermi in macchina, e sono uscito di casa, Paola è esplosa in una risata che ha quasi svegliato il vicinato. Il vestito non entrava dentro la 112 e ho dovuto sudare sette camicie per non rovinarlo. La parrucca, coi fagiani imbalsamati, a metà serata, l’ho dovuta levare. Sono stato premiato come migliore maschera. Gli amici di Paola non mi piacciono affatto. Tutti con la puzza sotto al naso: intellettuali di sinistra, ma 33


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col portafoglio a destra e la carta igienica di cachemere in bagno. Io rimango pur sempre un ragazzo di provincia con delle idee sia sulla morale, che sui valori della persona e della famiglia. Per loro, tutto è borghese e convenzionale: se non te la prendi nel culo da uno sconosciuto, sei borghese e convenzionale, se non ti ubriachi e non ti impasticchi sei borghese e convenzionale, se non leggi il manifesto, l’unico giornale di cui non ho mai capito un cazzo (come tutti del resto), sei borghese e convenzionale, se non conosci a memoria l’Ulisse di Joyce sei ignorante, borghese e convenzionale. Praticamente, mi dovrei sparare. Si fanno le canne già al mattino al posto di spazzolino e dentifricio, vanno al mare solo al Buco a Castelporziano, lasciando le mutande nell’armadio di casa e bevono la birra sotto al sole diretto mangiando panini col salame semirancido e la mozzarella e il pomodoro inaciditi dal caldo. Però... secondo loro, so’ fichi così! 25 Aprile 1984 – S. Marco Evangelista Roma Non esco di casa per tutta la mattina, poi decido di andare a San Pietro in Vincoli per vedere la statua del Mosè. C’è un prete bellissimo... Mi turbo.

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13 Luglio 1984 – S. Enrico Roma Auguriiiiiiiii!!!!!! Ho ventitré anniiiiii!!!!! Dopo la fine della storia con Arianna mi tengo lontano dalle donne. Mi fanno paura! So’ tutte matte! Mi convinco sempre di più che il femminismo le abbia gasate e, adesso, sono diventate vere e proprie collezioniste. Ti guardano e nei loro occhi leggi «ce l’ho, ce l’ho, mi manca, ce l’ho, ce l’ho, mi manca, ce l’ho, ce l’ho, mi manca». Così è imbarazzante! Si ammoscerebbe anche un cavallo da monta. Se continua così, per il maschio arriveranno anni difficili. Sono troppo aggressive. In questi mesi ne ho conosciute tante, sul lavoro, in Compagnia e anche grazie ad amici comuni; poi, però, alla fine non ho mai quagliato. O sono oche, sensualità zero, o sono “maestre di vita”, sensualità zero, o sono mignotte, sensualità zero. Meglio la mano. 18 Agosto 1984 – Santa Elena Palmi Ultimo giorno di vacanza a Palmi. Ho passato gli ultimi dieci giorni con Laura. Era dai tempi del liceo che non ci vedevamo. Non è cambiata molto. Sempre bella. Sempre bion35


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da. Sempre... Si è lasciata da poco con l’ultimo fidanzato. Ci siamo regalati delle meravigliose fughe d’amore. È stato simpatico ritrovare i nascondigli della nostra adolescenza: il Monte Sant’Elia, la grande distesa del porto di Gioia Tauro (chissà quando mai lo costruiranno), gli uliveti della Piana. Laura è diventata molto brava nel fare l’amore, ma io... non so cosa mi stia succedendo. Mi perdo nei preliminari e poi mi annoio. Dovrebbero essere gli anni più belli e, invece, mi rendo conto che sto perdendo tempo e smalto. 1 Novembre 1984 – Tutti i Santi Roma Ah, gli attori, che strana razza! Peggio degli amici snob di Paoletta… Sognano e non concretizzano mai… Certo, non parlo di Paolo Stoppa o Salvo Randone, ma di tutto questo sottobosco romano che ce la fa e non ce la fa, che deve diventare famoso e non lo diventa, che deve girare un film ed è una posa… Che sei costretto a frequentare se vuoi entrare nel giro… Ma che giro??? L’unica cosa certa è che bevono! E ribevono… E, a dirla tutta, a me, una buona bevuta non dispiace mai… Quindi torno a casa tutte le notti, dopo interminabili cene di lavoro (cazzata!), rischiando di buttare giù con la macchina qualche palo della luce. Poi, al mattino, vestito da ligio revisore ministeriale, mi guardo allo specchio e mi faccio schifo. 36


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Il Ministero! Altra nota dolente. Lunghi corridoi illuminati al neon, porte semichiuse che nascondono tra le pratiche, buste della spesa, e profumati sacchetti di boutique. Come sono cambiati i tempi dal giorno in cui impiegati ed impiegate statali avevano l’obbligo di indossare dei tristi camici uniformanti. Oggi, vedo arrivare le mie “colleghe” sommerse da gusci pelosi di poveri visoni e da resti morbidamente mortali di volpi argentate misteriosamente arrivate nei loro guardaroba. Chi mai avrà pagato cotanto sfarzo? Il marito cornuto? Il Direttore di Divisione soddisfatto? La tenutaria di qualche bordello illegale per casalinghe, impiegate e studentesse furbe ed insoddisfatte? Se ne leggono sui giornali... E gli uomini? Ancora pochi residui di sessantenni con i coprimanica di etamina: dinosauri in agonizzante via di estinzione. Il resto, trentenni abbronzati da lampade uva, uvb, uvc, fino alla z e ritorno, profumati come odalische in calore, palestrati e unti come culturisti in esposizione; oppure, insciarpettati e armati di borse di cuoio di tolfa ed infagottati in pantaloni di velluto a coste verde sottobosco o grigio antracite. Palesemente tenutari di misteri comunisti di cui non capiscono né l’origine né il punto di arrivo. Insomma, un esercito di femmine in evidente tempesta ormonale e battaglia di autoaffermazione e maschi in inconfutabile stato confusionale e perdita di identità. E, inutile cercare di negarlo, il luogo di lavoro è la spietata, agghiacciante, vetrina di tutto questo squallore. E io? Osservo, onanisticamente attratto da me stesso, unico personaggio interessante di questa tragicommedia iniziata con un concorso da operetta durante il quale non ho quasi aperto bocca. 37


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