VENDEVA ANACARDI (di Carlo Cavicchi)

Page 1

DI CONSULTAZIONE

PDF

DI CONSULTAZIONE

Collana diretta da Giacomo Battara PDF
romanzi dello stesso autore: Però lo scoop è mio Rapiremo Niki Lauda PDF DI CONSULTAZIONE

Vendeva anacardi

CONSULTAZIONE

MINERVA CARLO CAVICCHI
romanzo PDF DI

DI CONSULTAZIONE

PDF

CONSULTAZIONE

Al mio amico Alessandro a cui ho rubato un po’ della sua vita

PDF DI

CONSULTAZIONE

Bislacco. Nel quartiere lo indicavano tutti così, ma non era un soprannome: era un inquadramento. Alto, non troppo giovane e non troppo vecchio, vestiva strano. Indossava camicie colorate come se vivesse nei Caraibi, calzoni tagliati sotto il ginocchio, calzettoni a larghe righe e sandali da frate. Di regola, a parte i mesi più freddi dove una felpa e un giaccone facevano il loro lavoro, così come degli stivaletti a protezione dei piedi. I capelli lunghi gli cadevano sulle spalle, baffi e barba alla Rasputin rendevano inquietante un viso che poteva anche essere bello. Serve dirlo? Quando era in giro non si vedeva che lui. Occupava la strada…

Era sempre gentile e incedeva con un’andatura elegante, la testa alta, gli occhi svegli, e se da lontano faceva impressione, già a un metro di distanza sorprendeva perché l’abbigliamento profumava, sapeva di pulito, mentre barba e capelli erano freschi di lavaggio e assolutamente curati.

Di lui si sapeva pochissimo, praticamente niente, se non che abitava in uno dei quattro appartamenti all’ul timo piano del grattacielo Meridiana fuori Massarenti, il palazzo più alto e per molti il più brutto di Bologna.

7 1
PDF DI

CONSULTAZIONE

Da qualche anno girava nel rione ma non frequentava nessun bar, non aveva amici, almeno nel senso che non lo si vedeva mai in compagnia di qualcuno; dal giornalaio, che poi era una signora bionda, magrissima e alta come un pioppo giovane, comprava quattro quotidiani tutti i giorni e un paio di riviste settimanali oltre alle parole crociate. Salutava con cor tesia e distacco, pagava e se andava via come se fosse uno di passaggio anziché una presenza costante. Non andava in chiesa, non aveva il nome sul campanello del portone di casa, ma aveva messo un numero al posto dell’etichetta: 1944. Forse era il suo anno di nascita perché, volendo essere ottimisti, in quella primavera del 1985 poteva anche avere quarantuno anni.

I curiosi lì intorno si sprecavano. Più viveva senza avere contatti con il mondo circostante, più la gente fantasticava su di lui. Di sicuro non lavorava, però non chiedeva prestiti in giro. Vestiva strano perché era strambo, ma aveva anche un’automobile niente male, una Lancia Delta 1300 beige metallizzato che non usava mai, lasciandola invecchiare a bordo strada sotto un grosso albero che in autunno la copriva di foglie nascondendo alla vista diversi strati di polvere sui cui tutti i ragazzini non resistevano a scrivere “lavami”.

A sentire Vittorio, meccanico in pensione e con un posto fisso su una panchina nel giardino di fronte al palazzone, era un’auto vecchia di quattro anni, all’in circa il tempo che il Bislacco abitava lì.

Il grattacelo Meridiana era un parallelepipedo di 22 piani fuori terra, con in cima un terrazzo condominiale che circondava due ambienti multiuso: le sale macchi

PDF

8
DI

ne degli ascensori e uno stenditoio coperto. Era l’edificio più alto di Bologna eccezion fatta per la torre degli Asinelli, in pieno centro storico.

Il Bislacco viveva lassù perché dominava la città e perché gli veniva più facile per parlare con quel Dio in cui non credeva, però… però. «Come va in Paradiso?», gli chiedeva ogni mattina mettendo la testa fuori dalla finestra senza avere paura di guardare alle colline in fondo al cielo e anche in basso, dove i passanti sem bravano formiche.

CONSULTAZIONE

Un bell’appartamento, per quanto in un edificio costruito a fine anni Cinquanta dall’Ina Casa, secondo un preciso piano urbanistico di edilizia popolare che contava su ben sei poli nell’estrema periferia della città: Borgo Panigale, Barca, San Donato, Cavedone, Due Madonne e, appunto, La Meridiana fuori Massarenti. Quartie ri disegnati a tavolino e pensati da urbanisti alle prese con un urgente problema di ripopolamento. Un edifi cio nato come un fungo con attorno tante case molto più basse, a loro volta tirate su con i mattoni ancora caldi di fornace per fare il più in fretta possibile. Una sequenza di facciate tutte differenti, com’erano le facce delle persone che ci passavano davanti per raggiungere la fermata di un autobus che non arrivava mai, e dove si moriva di freddo d’inverno e ci si arrostiva d’estate.

Il grattacielo, come tutti i quartieri Ina Casa, era nato per ospitare una popolazione operaia, con un basso reddito e rimasta senza dimora dopo la Seconda guerra mondiale. Un edificio così alto, però, rappre sentava un evento eccezionale, e un modo di vivere totalmente diverso rispetto a quanto si era abituati.

PDF

9
DI

Per questo, in poco tempo, il fabbricato venne scelto da una popolazione più eccentrica e fiduciosa del domani. Artisti, pittori, architetti, e pure persone bene stanti, trovarono alloggio nei piani più alti di tutta la provincia. Il Bislacco era tra questi.

Viveva in cento metri quadrati molto ben disposti, con una cucina, un bagno e tre stanze indubbiamente vivibili: un lusso per una persona sola, quasi uno spreco per uno che andava in giro vestito a quel modo. La casa era tenuta benissimo, in un ordine perfetto. In parte merito della Franca, una donna di servizio scelta con cura perché piena di referenze, tra cui quella di essere molto discreta. Veniva due volte la settimana per mezza giornata, ma aveva ben poco da fare perché il padrone di casa era accuratissimo, oltre che di zero parole.

CONSULTAZIONE

Nella stanza da letto c’erano due armadi a muro pieni di vestiti raffinati, camicie e cravatte a volontà, ma anche maglioni di cachemire come in giro non se ne ve devano spesso, figurarsi poi in quella zona. Lo studio, infine, era pieno di libri e non passavano inosservati un giradischi Thorens con base in legno e due gigantesche casse JBL che sparavano la musica verso una comoda poltrona di pelle, consunta in diversa parti, il che lasciava intendere che fosse usata spesso. Non mancava un mobile con chiusura a chiave, ma senza chiave. La Franca non lo aveva mai aperto e nemmeno le interessava farlo. Una volta soltanto aveva osato chiedere al padrone, a quello strambo padrone, se avesse mai lavorato, immaginando che, vivendo di rendita, qualche cosa avesse fatto o almeno ereditato.

«Vendevo anacardi», fu la risposta.

PDF

10
DI

La Franca restò zitta senza capire molto. Provò a immaginare che cosa potevano essere questi “anacardi”, spaziando dai ricambi per le officine ai me dicinali generici senza arrivare a capo di niente, fin quando la sera a casa ne parlò con Osvaldo, suo marito, che faceva il muratore: un tipo di poche parole, tendente al serioso spinto, con dei muscoli onesti che non sapevano di palestra ma di lavoro continuato. Non avevano figli e nemmeno una gran cultura, però erano sopra la media dei loro amici perché un giorno avevano comperato la Garzanti na : una piccola enciclopedia in volume unico e formato tascabile, dove ogni tanto trovavano risposte ai loro dubbi.

Il marito, con una mascella da osteria che gli lambiva il colletto della camicia, lesse ad alta voce: «Anacar dio, genere di alberi delle anacardiacee dell’America tropicale. L’Anacardium occidentale, alto 12 metri, produce un frutto carnoso e commestibile».

Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi l’uo mo se ne uscì con una sintesi che non ammetteva repliche: «Per me ti ha preso per il culo».

11 2
PDF DI CONSULTAZIONE

Non affrontarono più l’argomento, ma la Franca non volle credere alla sintesi del suo uomo. Lavorava già da anni dal Bislacco e lui era stato sempre educa tissimo per quanto estremamente riservato. Non era il tipo da dirle una cosa sgradevole e poi quel «Ven devo anacardi» suonava bene. Se lo fece bastare. Anzi le fece anche comodo, perché a tutti i curiosi che la tormentavano per sapere qualcosa sul suo padrone di casa, ripeteva quella risposta quasi fosse il ritornello di una canzone. È il mio refrain, si diceva goduta vedendo i pettegoli restare senza parole e con un grosso interrogativo ben in vista sulla faccia.

Il Bislacco aveva naturalmente anche un nome e un cognome, Raffaele Dalmasso, radici nel basso Piemonte, dove era cresciuto tra gli agi di una famiglia benestante che possedeva terre ai confini con la Ligu ria e diverse proprietà immobiliari in regione. Figlio unico rimasto orfano di madre mentre frequentava il liceo, e poi di padre pochi anni dopo aver raggiunto la laurea in Agraria. Una storia familiare a cui non faceva mai cenno.

CONSULTAZIONE

La casa dov’era cresciuto era una bella villa costruita a inizio Novecento, quando il vicino paese di Nucetto viveva i suoi tempi migliori. Sistemata sulla collina, e quasi immersa in un bosco di noci, si affacciava sul ponte romano che scavalcava il Tanaro ed era l’orgoglio della zona, perché antico e perché pieno di fascino. Purtroppo lui non lo ricordava, pur avendone sempre sentito parlare in casa, perché era andato distrutto durante la Seconda guerra mondiale, poco prima che lui nascesse.

PDF

12
DI

La villa era ancora sua, ma era ridotta male perché disabitata da troppi anni, oltretutto con il bel parco lasciato nelle mani impietose della natura. «Non vale la pena di metterci dei quattrini – si diceva ogni tanto parlando da solo – perché non la comprerebbe nessuno, e tenerla come meriterebbe costerebbe una fortuna. Magari tra qualche anno ci ripenserò.»

Si chiamava Villa Eulalia, un nome che gli piaceva. Nell’appartamento dove il Bislacco viveva, c’era at taccata al muro una fotografia piuttosto grande della casa di Nucetto, esaltata da una di quelle cornici sottili e scure che andavano per la maggiore negli anni Trenta. Il color seppia l’appiattiva, confondendo la villa con gli alberi sullo sfondo, però sapeva d’incanto, e la Franca, quando la spolverava, si chiedeva puntualmente perché fosse lì, che cosa potesse mai rappresen tare. Lui non glielo aveva mai detto e lei fantasticava inventandosi storie, immaginando retroscena.

CONSULTAZIONE

D’altronde cos’altro poteva fare? Ogni stanza dell’appartamento era piena di oggetti curiosi che sapevano di vita vissuta e contrastavano con la “non vita” del suo padrone dall’abbigliamento bizzarro e dal mutismo inspiegabile. Da lui riceveva comandi sempre educati e veloci, poche parole che non lasciavano nemmeno capire se la sua voce avesse inflessioni dialettali: le ricordava quel tizio del telegiornale che leggeva in televisione le notizie ogni sera quando lei e suo marito stavano mangiando.

In realtà, due anni prima, quando si era votato per il sindaco di Bologna, aveva osato chiedergli se si ricordava di recarsi al seggio. Lei e suo marito erano

PDF

13
DI

schierati con passione sincera per il Partitone, che era sempre quello che vinceva a Bologna, anche se dopo Renato Zangheri che era di Rimini, adesso si presen tava sulla scena uno di Modena, Renzo Imbeni, che peraltro ai due piaceva tanto.

«Grazie Franca, ma io non sono residente in città. Domenica non devo votare.»

CONSULTAZIONE

Poteva essere una buona occasione per capire almeno da che parte stava, se era dei loro o di quegli altri. Invece niente. Poi si era tirato dietro la porta della stanza dove c’erano tanti scatoloni pieni di non si sa che, ordinati uno sull’altro lungo due pareti e chiusi con un nastro adesivo fissato con una precisione da lasciare sgomenti. Lì c’erano anche attrezzi da ginnastica di cui la Franca capiva poco la necessità: pesi, elastici, una panca. Ogni tanto orecchiava e lo sentiva sbuffare. Ovviamente non lo aveva mai visto nudo, però fiutava che sotto quelle camicie svolazzanti ci fossero braccia piene di muscoli e un petto che aveva il suo perché. Considerato che era alto quasi un metro e novanta, il Bislacco era comunque, per dirla con lo slang del quartiere, un bel susanello, anche se la faccia scavata e sepolta dal lunghissimo barbone confondeva le idee.

Franca aveva 35 anni e niente figli. Mai arrivati perché così aveva voluto Dio, oppure perché c’era qualche problema suo o di suo marito, loro però non avevano mai indagato per paura di scoprire la verità. Lavorava in giorni differenti presso tre famiglie e faceva que sto mestiere da quando aveva vent’anni, forse anche qualcuno di meno. Nessuno si era mai lamentato di

14
PDF DI

lei perché sapeva stare al suo posto, faceva poche domande e lavorava sodo. A servizio si presentava senza curare troppo l’abbigliamento, anzi quasi niente, e sul viso non c’era mai traccia di trucco.

Quando puliva lo faceva passando delicatamente sopra le cose, le sfiorava, le lasciava lucide ma non indagava. Però in quell’appartamento così vicino al cielo faceva più fatica che nelle altre case, perché il Bislacco la incuriosiva e non poteva essere altrimenti. Lei lo vedeva più da vicino e aveva un’impressione diversa rispetto alla gente del quartiere, che quasi lo scansava perché temeva che fosse un po’ fuori di testa, che potesse rivelarsi pericoloso.

CONSULTAZIONE

Lei sapeva che non era così, lo sapeva e soprattutto lo sentiva. Nella sua esagerata riservatezza, lui aveva modi gentili, le mani erano curate a dispetto dell’im magine bizzarra di sé che dava in giro e si metteva un profumo caldo e legnoso che, secondo la Franca, ave va un nome da contadini: “Tabacco d’Harar”. Ogni volta che si occupava di pulire il bagno ne leggeva l’etichetta sul flacone che campeggiava sul lavandino e, spesso, le scappava di annusarlo perché era buono e poi perché lo usava lui.

Quando lei si guadagnava la pagnotta, lui di solito usciva e per chi è a servizio era sempre un bel segno, significava che il proprietario si fidava e che non voleva controllare chi lavora, come lavora e quanto lavora. Insomma, dietro quel comportamento da orso ci doveva essere del buono. Il Bislacco, diciamolo pure, le piaceva, addirittura la stuzzicava un po’, come tutte le cose che sono vicine ma scantonano via.

PDF

15
DI

Ormai in banca non si preoccupavano più quando lo vedevano entrare. Da anni era un cliente fisso e andava sempre a parlare direttamente con il diretto re, che lo faceva accomodare con molto rispetto. Le prime volte, invece, era stato un problema: un tizio con la barba e i capelli lunghi, pantaloni fino a metà gamba, calzettoni a righe e sandali pareva uno sban dato, di quelli che con un taglierino in mano cercano soltanto una cosa, quello che c’è in cassa. Insomma, inquietava gli impiegati.

La banca era abbastanza lontano dal grattacielo: almeno un paio di chilometri verso la campagna. Curiosamente occupava la sede di un vecchio dazio, ed era una costruzione rotonda all’incrocio con via Bassa dei Sassi, fuori dagli occhi curiosi di quelli del quartiere. Era una filiale della Cassa di Risparmio. In zona, sorridendo, si raccontava che lì accettassero soltanto assegni circolari.

Il direttore si chiamava Paolo Massimelli, ed era un tipo cordialissimo dalla faccia allegra, uno che dava fiducia. Conosceva mezza Bologna, ma sapeva farsi i fatti suoi. Era un tipo ciarliero, ne sapeva di ogni

16 3
PDF DI CONSULTAZIONE

argomento: politica, donne, sesso, pesca delle trote, movimenti intestinali, del suo viaggio in Francia, gin e vodka, volo a vela, Adriano Celentano, religione, Giovanni Guareschi, Don Camillo e Peppone, le puttane di porta Lame e quelle di Amburgo, mercato azionario, oro e diamanti, pena di morte (lui credeva che fosse giusta) calcio e pallacanestro… di tutto.

Raffaele Dalmasso per lui era un buon cliente e basta. Aveva aperto un conto e dentro ci arrivavano puntualmente dei quattrini che si aggiungevano ai tanti che aveva depositato all’inizio. Erano i pagamenti degli affitti di una ventina di appartamenti che rendevano bene. E c’erano altre rendite, come pochi altri clienti potevano vantare in quella zona.

DI CONSULTAZIONE

Da un anno il Bislacco possedeva anche un oggetto che ancora non aveva quasi nessuno: una carta pla stificata che permetteva di ritirare del denaro direttamente da bocche metalliche che cominciavano a fio rire fuori dagli istituti di credito. Un sistema comodo per chi non voleva farsi notare troppo in coda agli sportelli. Lo chiamavano Bancomat ed era una novità recentissima. Così, una sera di fine inverno, quando il lungagnone del grattacielo era andato a prelevare duecentomila lire, restò sorpreso mentre rientrava procedendo con il suo passo svelto. Si accorse che c’era qualcosa di strano in via Massarenti, praticamente sotto casa sua.

Un taxi era fermo con la portiera aperta e uno squilibrato stava colpendo con violenza l’autista, usando un bastone o qualcosa di simile che aveva in mano. La scena volgeva al peggio, col malcapitato che urlava e

17
PDF

l’altro che sfogava una rabbia esagerata. Il Bislacco era alto e con muscoli allenati: non ci pensò un momento e, invece che farsi i fatti suoi, entrò con decisione nella scena prendendo l’assalitore per la schiena gridandogli di smetterla con i colpi.

L’aggressore poteva ribellarsi, attaccare ancora briga ma la sorpresa gli aveva confuso le idee, in più quel tipo alto gli aveva stretto le spalle con artigli che parevano di ferro. Valutò che non ne valesse la pena e se la diede a gambe.

CONSULTAZIONE

L’autista era ancora seduto e aveva la testa fracassata, intorno era tutto sporco di sangue. Il buio la faceva da padrone, nei paraggi non c’era una cabina del telefono e bisognava fare in fretta. Il Bislacco spostò l’autista sul sedile di fianco e si mise al volante del taxi correndo a tutta velocità verso il pronto soccorso dell’ospedale Sant’Orsola che, a quell’ora, poteva distare non più di 10 minuti, o anche meno per come pestava sull’acceleratore attraversando i semafori col clacson a mo’ di sirena. Dal sedile di fianco l’autista dolorante, ma ancora presente, lo guardava incredulo e si domandava che tipo curioso fosse, da dove poteva essere saltato fuori un angelo fatto così.

Arrivato all’ospedale, un paio di infermieri caricarono il malcapitato su una barella e si precipitarono all’interno senza fare troppe domande. Giusto il tempo perché il guidatore improvvisato lasciasse le chiavi inserite nel cruscotto e abbandonasse l’auto e il luogo. Quando assieme a un carabiniere di turno lo andarono a cercare per avere chiarimenti, il buon samaritano non c’era più, inghiottito dalla notte e

PDF

18
DI

dalla lunga strada da percorrere a piedi per tornare a casa.

Fu il ferito a raccontare l’accaduto: aveva dato il passaggio a un tizio che voleva essere portato a Budrio e, siccome non aveva l’aria molto consapevole (i tassisti hanno naso per i clienti senza i soldi), si era fermato per avvisarlo che la tariffa sarebbe stata piut tosto costosa. Una mossa che aveva mandato su di giri il passeggero, sicuramente alterato per aver assun to roba forte, che l’aveva assalito con violenza finché poi, armato di un martello che aveva pescato nella tasca della portiera sinistra, aveva iniziato a percuoterlo sulla testa e sulle spalle. Ovviamente si diede credito alla sua versione, perché per la polizia il lavoro notturno dei guidatori di taxi è una delle professioni più a rischio, così l’indagine finì lì e chissenefrega del soccorritore.

CONSULTAZIONE

Tempo una ventina di giorni e la vittima di quell’as salto sconsiderato fu dimesso. Armandino Coggi, per tutti Dino, era una persona perbene, e di chiudere con questa terra appena passati i cinquanta non gli sarebbe andata proprio a genio. Così, ripulito il suo taxi da quelle antiestetiche macchie rosso brune ormai quasi nere, decise di mettersi sulle tracce del suo benefattore.

Di lui non sapeva nulla ma, visto che durante il trasporto in ospedale le cattive condizioni non avevano compromesso il suo sguardo grato, si ricordava che era alto, mefistofelico e vestiva in maniera eccentrica. Non era molto, ma sufficiente per iniziare una ricerca partendo dal luogo dove era stato soccorso. Comin

19
PDF DI

ciò dall’edicola dei giornali e la sua descrizione trovò subito corrispondenze nella donna dentro il chiosco.

«Ho capito chi intende, è per forza quello che abita nel grattacielo. È un mio cliente, anche se non viene mai a un orario fisso. Se vuole gli dico che lei lo ha cercato. Mi lasci un suo telefono e glielo passerò di sicuro. Ma non credo che la richiamerà, potrebbe non avere tutte le rotelle a posto, anche se devo ammettere che si comporta come una brava persona.»

«Brava? Io direi bravissima: a rischio di farsi male mi ha salvato la vita. Le lascio il mio numero e gli dica che se mi telefonerà mi farà felice. Vorrei sdebitarmi in qualche modo con lui.»

La mattina dopo il Bislacco era a prendersi i suoi giornali e si mise in tasca anche il foglietto col telefono del tassista. Al solito non disse una parola, ma l’edicolante notò tra i lunghi peli sulla faccia un sospetto di sorriso.

CONSULTAZIONE

PDF

20
DI

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.