FERRARI SEGRETO. IL MITO AMERICANO di Italo Cucci

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Ha insegnato giornalismo alla LUISS di Roma e all’Università di Milano-Bicocca e Sociologia della comunicazione sportiva alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo.

Italo Cucci

Un ritratto diverso, intimo e segreto dell’Ingegnere, tracciato dalla penna di Italo Cucci e dalle foto d’autore di Walter Breveglieri. Un Ferrari inedito come mai l’abbiamo letto e che vale la pena di incontrare.

Ferrari segreto il mito americano

€ 15,00

Per Minerva Edizioni ha pubblicato Bad Boys (2012), Elettroshock (2013, scritto insieme al figlio Ignazio) e Il capanno sul porto. Storia di Alberto Rognoni, il Conte del calcio (2014, vincitore del Premio Nazionale Letteratura del Calcio “Antonio Ghirelli” e del 49° Concorso Letterario CONI).

italo cucci

Ferrari segreto

Italo Cucci (Sassocorvaro, classe 1939) è stato allievo di grandi giornalisti come Severo Boschi, Gianni Brera, Aldo Bardelli, Enzo Biagi. È stato direttore del “Guerin Sportivo” (per tre periodi diversi, rinnovandolo totalmente nel 1975 e portandolo al record delle vendite), del “Corriere dello Sport-Stadio” (ancora tre volte), del “Quotidiano Nazionale - il Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno”, del settimanale “Autosprint” e del mensile “Master”. È direttore editoriale dell’agenzia di stampa “Italpress” e del mensile “Primato”, editorialista della Rai e di vari quotidiani. Ha vinto i premi letterari “Dino Ferrari” e “Testimone del Tempo”.

MINERVA

MINERVA

Enzo Ferrari si è dato da fare, sempre, per non corrispondere allo stereotipo suggerito dai suoi soprannomi: dal “Drake” al Mago di Maranello per finire - dopo un duro e amaro conflitto con Santa Madre Chiesa - a una sorta di (s)qualifica... divina, Saturno, ma solo perché, secondo un illustre gesuita, “mangiava i suoi figli”, ovvero mandava a morire i suoi piloti, tanti, senza piangerli. Non meritava tanto, naturalmente, anche se certi suoi atteggiamenti suggerivano in lui durezza d’animo e cinismo; ma l’Ingegnere (ecco come gli piaceva esser chiamato, lui gran lavoratore e sportivo di origini semplici e autodidatta, dopo che la prestigiosa Università di Bologna, la più antica del mondo, l’Alma Mater, gli aveva consegnato la laurea ad honorem) aveva sofferto e continuava a soffrire per quella pesante accusa come uno scomunicato, sicché alternava alle sfuriate un forte senso dell’umorismo che piaceva soprattutto ai giornalisti, ai suoi amici/ nemici. Italo Cucci, aderendo a sua volta a una sorta di condanna professionale (“Parlo volentieri con lei di tutto, perché non capisce niente di auto”) poté vivere decine di incontri con un Ferrari diverso, intimo e segreto, sempre sorridente e sereno. Un Ferrari inedito che vale la pena incontrare, in queste pagine scritte col cuore e in una ricca galleria fotografica, anch’essa senza precedenti, realizzata da un altro Mago di quei tempi, Walter Breveglieri.


A Luciano Conti, editore di Autosprint e Guerin Sportivo per vent’anni, che mi ha aiutato a fare il giornalista come sognavo, rendendo indimenticabile la Tentacolare San Lazzaro.



italo cucci

Ferrari segreto il mito americano

Minerva


INDICE

Prefazione Premessa

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Guerra e pace La rivoluzione americana Un fil rouge Quasi cent'anni fa... Lauda e Pertini Maranello, la Mecca Biagi e il fascistone Quando morĂŹ Giunti Enzo & Vasco Pianse per Castellotti Morire con Dino Spettegolando L'amico Italo Balbo

p. 15 p. 19 p. 21 p. 25 p. 29 p. 35 p. 39 p. 43 p. 49 p. 53 p. 57 p. 61 p. 63

Sezione fotografica

p. 65

Villeneuve, un figlio Giornalisti che gente Ecco Autosprint Indianapolis e Roma Gli volevo bene Appendice Il Gran Premio di Roma L'autista del Drake Breveglieri, Ferrari, Maserati

p. 97 p. 99 p. 123 p. 125 p. 129 p. 131 p. 135 p. 139 p. 153



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Prefazione

(Agenzia Italpress – 15 agosto 2015) Il 14 agosto 1988 moriva Enzo Ferrari. A 27 anni dalla sua scomparsa, il presidente della Ferrari Sergio Marchionne ha voluto ricordarlo sulla pagina speciale del sito “Ferrari.com”. Sono passati 27 anni da quando Enzo Ferrari ci ha lasciato, ma oggi i suoi principi e i suoi insegnamenti sono ancora più forti e attuali. La determinazione con cui ha affrontato le tante sfide della vita, il coraggio di prendere rischi e andare contro corrente, l’avida curiosità che lo ha portato a innovare costantemente sono solo alcuni degli esempi che guidano la quotidiana attività di chi lavora in Ferrari. Personalmente vivo questa eredità come un costante punto di riferimento, uno stimolo a fare sempre meglio. Ho avuto la fortuna e il privilegio, nel corso della mia carriera, di conoscere da vicino grandi personaggi del mondo della politica, dell’economia, della finanza e dell’industria. Ho conosciuto uomini che hanno avuto la forza di perseguire i propri sogni fino a realizzarli per poi trasformarli nei sogni di molti. Tutte queste persone condividevano una forza speciale, la capacità di vedere oltre l’orizzonte della gente comune e quella di inventare qualcosa che prima non era quasi pensabile. Enzo Ferrari entra senza dubbio nel ristretto gruppo di queste figure straordinarie, quelle alle quali nulla è precluso. Anche per questo sono sicuro che, se fosse qui, apprezzerebbe lo sforzo che stiamo facendo per rendere la Ferrari ancora più moderna e condividerebbe con noi la rabbia agonistica che mettiamo ogni giorno per riportare la Scuderia ai vertici. Un’eredità importante quella di


Enzo Ferrari, ma che non è gravosa se viene vissuta con la stessa passione e voglia di eccellere che ha caratterizzato tutta la vita del fondatore.


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Premessa

In queste pagine si leggerà come uno dei giorni più difficili della vita di Enzo Ferrari fu il 12 maggio 1957 quando, durante lo svolgimento delle Mille Miglia, in località Guidizzolo, in un rettilineo fra Mantova e Brescia, la Ferrari 335S guidata dal nobile spagnolo Alfonso De Portago e dal copilota Eddie Nelson, americano, uscì di strada a 250 chilometri all’ora per lo scoppio di un pneumatico, piombò in un fossato, ne balzò fuori e finì addosso agli spettatori assiepati sul ciglio della strada uccidendone nove, fra i quali cinque bambini. Morirono anche i piloti. L’Italia piombò nel lutto, le corse automobilistiche su strada furono in gran parte abolite, così le Mille Miglia. Lo scrittore Lorenzo Montagner dedicò alla tragedia un libro, “De Portago, il pianto del Drake”, le cui pagine rappresentarono l’unica serena testimonianza del dolore e del lutto di Enzo Ferrari, travolto dalle polemiche suscitate dalle forze politiche, dal Governo e dalla Chiesa. Si parlò, allora, di tragedia annunciata, perché solo due mesi prima, sulla pista dell’Aerautodromo di Modena, la città del Drake, era morto Eugenio Castellotti, il più popolare dei ferraristi, appena ventisettenne, l’innamorato della più nota soubrette italiana, Delia Scala. Al suo funerale, l’obiettivo indiscreto di Walter Breveglieri colse Ferrari in lacrime, lacrime vere, non letterarie. Alla fine di quella triste primavera il Drake fu anche definito “Saturno che divora i suoi figli” e raccontato come se fosse lui – il creatore della Rossa – il mostro dipinto da Francisco Goya, la tela che ho collocato nella mia memoria insieme alla “Fucilazione” come le più belle di sempre. Come racconterò, da quell’ingiu-


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sto soprannome nacque la mia amicizia con Ferrari, l’uomo che non dimenticherò mai. Nonostante i tanti libri e i film che gli sono stati dedicati, oggi quando si dice “Ferrari” si pensa più al marchio che regge la storia della Formula Uno e la vivifica, mentre l’uomo va quasi perdendosi nella leggenda, quando in realtà è un vero Padre della Patria che meriterebbe d’apparire nei testi scolastici perché più d’altri ha segnato la rinascita dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Non dico degli adulti, dei vecchi come me che lo portano nella mente e nel cuore, ma dei giovani che ne ignorano la grandezza, compresi quelli che sventolano le bandiere del Cavallino Rampante e glorificano Schumacher, Alonso, Vettel, forse anche l’indimenticabile Gilles Villeneuve che Ferrari rimpianse come un altro figlio perduto. Questo è un Paese che dedica da sempre tante strade e piazze a decine di eroi tragicamente perduti – da Giulio Cesare a Amatore Sciesa, da Attilio Regolo a Cesare Battisti, fino agli eroi civili Moro, Falcone, Borsellino – spesso tuttavia dimentico di coloro che hanno costruito con intelligenza, energia e passione il benessere dei contemporanei e dei loro eredi finendo i giorni nella propria casa insieme ai famigliari. Questo è il Paese che considerò il grande Tazio Nuvolari “sfortunato” perché non era morto in pista ma nel suo letto! Ferrari non è stato solo un grande sportivo e un importante imprenditore e credo che dalle sue opere, dai suoi pensieri, dalle sue parole si possa trarre anche la figura di uno straordinario maestro di vita. Quando gli proposero di accettare la nomina di senatore a vita rifiutò ironicamente il laticlavio, tuttavia anticipando – con una scelta politicamente non facile, lui che si vantava di non aver partito, di non partecipare alle risse che spesso si trasferiscono dalla strada al Parlamento – la prossima


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fine del Senato della Repubblica, diventato negli anni fucina di perditempo, fabbrica di complicazioni e ritardi operativi; gli uomini come Ferrari – la storia è lì a confermarlo – sono invece paragonabili ad Alessandro, il decisionista magno che tagliò con un colpo di spada l’intricatissimo nodo di Gordio. Profeta in politica, lungimirante imprenditore guardò presto agli Stati Uniti immaginandovi lo sviluppo della sua passione di costruttore di un mito moderno, l’Automobile. Se rispettava sportivamente i rivali tedeschi, la Mercedes, la Porsche (“Mi pungolano, sollecitano il mio impegno a crescere per batterli”, mi disse, ma aggiungeva sorridendo che se il suo simbolo era il Cavallino Rampante quello della Porsche era una giumenta) sognava di conquistare il mercato americano dove già la mitica Rossa aveva clienti/ammiratori ricchi e appassionati come quel Holger Schubert che era riuscito, spendendo milioni di dollari, a parcheggiare una bellissima Ferrari 512 BBi del 1984 nella sua villa di Hollywood, in un ampio salotto collegato con la strada tramite un aereo ponte: l’originale opera fu definita dalla rivista d’arredamento ‘AD-Architectural Digest’ “il più bel garage d’America”. Oggi la Ferrari è anche e soprattutto americana e il suo successo contribuisce a far crescere la potenza dell’antica Fiat che un giorno, auspice Gianni Agnelli, l’adottò. Questo è il Ferrari che voglio ricordare raccontando i giorni della nostra amicizia: l’uomo terribile che ingaggiava sfide sportive a volte proibitive, lotte quotidiane con il mondo spesso torbido dell’automobile, ma sapeva anche essere un tenerissimo nonno, come dice il figlio Piero, rammentandolo accanto al nipotino Enzo jr; il Grande Vecchio che mi commosse quando, presentandogli mio figlio all’Autodromo di Imola, lo salutò con una carezza.



GUERRA E PACE

Sergio Marchionne – l’Uomo in Pullover – ha realizzato il tormentoso Sogno Americano di Enzo Ferrari. Diciamo che l’ultimo Signor Fiat ha messo solo il suggello – con la FCA, Fiat Chrysler Automobiles – a un’impresa già avanzata: alla conquista del mercato americano che il Grande Vecchio aveva moralmente e materialmente compiuto con le sue superbe vetture simbolo di un’Italia a volte sottovalutata, se non disprezzata, infine esaltata per il suo Stile; la stessa Italia ingegnosa che aveva prodotto – auspice proprio il giovane Enzo Ferrari – l’Alfa Romeo Spider 8C 2900 oggetto dell’ammirazione di Henry Ford senior che nel ’39 aveva detto “Quando vedo un’Alfa Romeo mi tolgo il cappello”. Il vecchio Ford, morto nel 1947 a ottant’anni avendo racimolato un capitale di 199 miliardi di dollari, si è sovrapposto per troppo poco tempo alla vita di Ferrari, col quale avrebbe formato una coppia di giganti non solo del motore ma dell’ingegno moderno che comunque hanno proiettato nella storia del Progresso, riuscendo a colpire l’attenzione del mondo intero anche se privi dei più moderni strumenti di comunicazione. Se il Drake ha lasciato un inalienabile testamento di imprese e pensieri, dell’antico pioniere dell’automobile restano – insieme a una Casa storica sempre dominatrice del mercato americano – anche pillole di ironica saggezza mescolate a discutibili sparate razziste frutto della sua amicizia con Adolf Hitler, del quale fu generoso sostenitore e finanziatore. Dal repertorio “leggero” è divertente trarre alcune battute che indicano una rivalità non solo formale ma ideologica con Ferrari. A cominciare da un


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principio... cromatico: “Ogni cliente può ottenere un’auto colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero”. Ma come la Ferrari, che da Rossa ha via via acquisito altri colori per ragioni di mercato, così il nero della mitica “T” ha conosciuto l’arcobaleno. E ancora dice Ford: “C’è una regola per l’industriale: fare il miglior prodotto possibile al minor costo possibile, pagando i massimi stipendi possibili”; e invece Ferrari dà inizio all’era del lusso producendo auto costosissime in fabbrica, preziose sul mercato. Un altro pensiero del magnate americano, “Non amo leggere libri, mi scombussolano la mente”, è palesemente contraddetto da Ferrari che legge libri e addirittura ne scrive. Il contrasto ideologico diventa invece scontro imprenditoriale durissimo – la Guerra Ferrari-Ford – dopo l’ultimo conflitto mondiale, quando Henry Ford II nipote, rivoluzionando l’azienda del nonno – che nel frattempo aveva convertito se stesso e la fabbrica di Detroit a produrre mezzi bellici per l’esercito Usa – si convince che l’attività sportiva avrebbe aiutato la crescita della Ford, fornendole un clamore pubblicitario indispensabile per affrontare il moderno mercato dell’auto. L’approccio fra il Vecchio di Maranello e il giovane di Detroit (Henry nasce vent’anni dopo e muore un anno prima di Enzo, nell’87) comincia con una lettera: “Caro Ferrari, questa mattina ho visto che alla vittoria della Ferrari a Sebring è stata dedicata dai giornali una colonna e mezza in prima pagina. Come ha fatto? Io, per averla, devo spendere migliaia di dollari...!”. E Ferrari risponde: “Sa, io costruisco poche macchine e non do fastidio a nessuno. Ma se lei compra una delle mie macchine, forse i giornali scriveranno in prima pagina che Henry Ford va in Ferrari”. Ford comprò una Ferrari, finì davvero in prima pagina e subito pensò che sarebbe stato più bello, e utile, se invece di una vettura si fosse comprato la fabbrica. L’incarico di effettuare l’acquisto fu dato all’italoamericano Lee Iacocca (che divenne poi famoso salvan-


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do dal fallimento la Chrysler negli anni Ottanta, guarda caso precursore di Marchionne); la trattativa iniziò nel 1963 e in breve fu raggiunto un accordo che prevedeva la trasformazione della Ferrari in due aziende distinte in società con la Ford, una produttrice di veicoli commerciali, l’altra prettamente sportiva. Per quest’ultima Ferrari pretendeva ovviamente autonomia decisionale e quando invece la Ford s’impuntò nel chiedere di conoscere, valutare e approvare i programmi sportivi, tutto andò all’aria. Henri II e Enzo Ferrari cominciarono una vera guerra sulle piste, gareggiando con i migliori piloti, e nella Federazione Internazionale dell’Automobile, sul fronte dei regolamenti. In questa sede gli americani ebbero la meglio quando nelle stagioni agonistiche ’64 e ’65 la FIA impose alla fabbrica di Maranello, prestigiosa ma piccola, di omologare un numero esagerato di vetture Gran Turismo. Il Vecchio, indignato, rispose alla Federazione restituendo la licenza sportiva italiana e iscrivendosi alla North American Racing Team, una scuderia fondata nel ’58 in America dal pilota Luigi Chinetti (va detto – per inciso – che la gestione ferrarista, oculatissima, non si preoccupava minimamente della pubblicità commerciale, a pagamento, forte dell’enorme ritorno gratuito che le dava l’attività sportiva; questo aveva capito Ford, che tuttavia voleva rispettare le regole pubblicitarie del potente mercato pubblicitario americano e avrebbe fatto investimenti importanti; mentre il Vecchio, in Italia, s’appoggiava ai produttori della componentistica; la Magneti Marelli prenotava spazi a pagamento su quotidiani e periodici con la clausola “in caso di vittoria Ferrari”; ricordo che i telai metallici giacevano polverosi per mesi sui banconi delle tipografie: ma le vendite della preziose Rosse crescevano anche senza vittorie nei GP). Ma torniamo alla... Guerra Ferrari-Ford che finì sul piano commerciale quando il primo marzo del 1965 fu sancito l’ac-


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cordo con la Fiat che “salvò” la piccola ma preziosa azienda di Maranello, atto di cui Ferrari fu sempre grato all’Avvocato Agnelli; dal matrimonio progettuale e produttivo nacque una prima vettura sperimentale battezzata “Dino” in memoria del giovane figlio perduto dal Drake.


LA RIVOLUZIONE AMERICANA

L’operazione NART è stata rievocata nel 2014, in occasione dei 60 anni della Ferrari in Usa, alla vigilia del passaggio di consegne presidenziali fra Montezemolo e Marchionne, con l’annuncio della produzione di una 12 cilindri da nababbi, la Ferrari Blue NART, dal valore di due milioni e mezzo di euro, in soli dieci esemplari. Già tutti esauriti. Intanto la Ferrari ha consolidato proprio in America il suo primo mercato mondiale, con una crescita cospicua e continua che ha convinto la Fiat Chrysler a quotarla in Borsa a Wall Street. Il Mito Americano Enzo Ferrari ha vinto la sua personale guerra. La sfida sulle piste dei GP si è spenta dopo fasi alterne, con la Ford inizialmente illusa da alcune vittorie a Les Mans nel ’66-’67 con le sue GT40 Mk II e Mk IV e il nuovo prototipo Ford 3L con propulsore Cosworth, mentre Enzo Ferrari riusciva a tornare in pista nella categoria monoposto con la Ferrari 312P. Tracce successive della grande sfida riguardano l’avvento della Brabham Ford che conquista successi nel ’69 con Jacky Ickx – più tardi ferrarista – e con l’avvento di un nuovo proprietario della scuderia inglese, Bernie Ecclestone, che decise di abbandonare la Ford e iniziare la collaborazione tecnica, peraltro non definitiva, con l’Alfa Romeo. Il marchio del biscione torna all’attenzione del mondo Ford quando nel 1986 gli americani tentano di acquistare la fabbrica italiana che tuttavia l’IRI, che ne era proprietaria, preferisce cedere alla Fiat. Molti – compreso Luca di Montezemolo diventato presidente della Ferrari – giudicarono negativa quella scelta, ennesimo schiaffo alla ricca e potente Ford, ma il tempo ha sanato molte delle


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difficoltà sorte dopo il matrimonio (che comprendeva anche la Lancia): anche l’Alfa, appartenente al gruppo FCA presieduto da Marchionne, è sbarcata in America con una bellissima Giulia che ha subito incontrato un buon successo; il ritorno è stato salutato con sportivissimi Tweet dalla Mercedes (“Bentornata Alfa, finalmente torniamo a correre insieme!”), dalla Ford (“Ogni volta che vedo un’Alfa mi tolgo il cappello, diceva Henry Ford. Benvenuta Alfa Romeo Giulia. Ci vediamo in pista!”). Singolare la risposta dell’Alfa alla Ford: “Grazie! Così ci fai arrossire...”. Un’altra Rossa, nella tradizione sportiva italica, va alla conquista dell’America.


UN FIL ROUGE

Risale infatti agli anni Venti la determinazione del colore nazionale da parte della FIA, che non riguarda tanto le auto quanto nei tempi le scuderie italiane Alfa, Ferrari, Maserati e Abarth. Esiste un Rosso Corsa, quello dell’Alfa è un po’ più scuro, quello della Ferrari brillante, tendente all’arancione... suggerito dal potente sponsor Marlboro (altri toni di rosso successivi sempre a richiesta di altri sponsor). Una Ferrari privata, pilotata da Olivier Gendebien, ha corso in giallo nel 1961 nel Gran Premio del Belgio mentre altre tre “156” di Phil Hill, Richie Ginther e Wolfgang Von Trips (poi morto tragicamente a Monza) erano rosse; nel ’64, come ricordato corse con la livrea della NART bianca e blu. Ecco, in pillole, la lunga marcia della Ferrari – vincitrice di 15 Mondiali Piloti e 16 Costruttori – da Maranello a Wall Street (dal Quotidiano Online Lettera). 1929. Enzo Ferrari fonda la scuderia omonima come filiale tecnico–agonistica dell’Alfa Romeo. 1937. La Scuderia viene sciolta. Al suo posto arriva l’Alfa Corse. A capo c’è ancora Enzo Ferrari. 1939. Il Drake lascia l’incarico in Alfa Romeo. Il 13 settembre nasce la Auto Avio Costruzioni, stessa sede modenese della precedente Scuderia Ferrari. Il nome, però, non può essere quello del suo proprietario e fondatore. Non ancora. C’è una clausola che lega ancora il Drake all’Alfa Romeo, impedendogli di mettere il proprio cognome sulle auto che produce per conto suo. Fino alla fine del 1942.


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1943. La sede trasloca da Modena a Maranello. Nel 1944 viene bombardata dagli Alleati, un anno dopo è ricostruita. 1947. Nasce finalmente la Auto costruzioni Ferrari. La 125 S è la prima vettura a portare il nome del fondatore. 1951. José Froilan González conquista la prima vittoria del Cavallino in Formula 1 sul circuito del GP di Gran Bretagna. 1952. Alberto Ascari conquista il titolo Mondiale. Il primo del Cavallino in Formula 1. 1960. L’Auto costruzioni Ferrari viene ribattezzata Sefac S.p.A (Società Esercizio Fabbriche Automobili e Corse). Solo nel 1965 diventerà semplicemente Ferrari S.p.A. 1969. La Ferrari entra nel gruppo Fiat, ma mantiene completa autonomia. 1988. Muore Enzo Ferrari. E il 90% delle azioni passa al gruppo Fiat e 10% al figlio Piero. Nasce anche il merchandise che continua a garantire lauti incassi anche oggi: cappellini, felpe, occhiali, profumi, orologi. 1991. Luca Cordero di Montezemolo viene eletto presidente. Resterà in carica per 23 anni e fino al 2006 sarà anche amministratore delegato. 2006. Il 5% delle azioni viene acquistato dalla società finanziaria degli Emirati Arabi Mubadala. 2010. Nasce il Ferrari World ad Abu Dhabi, il primo parco a tema dedicato al Cavallino. Fiat ricompra il 5% di Mubadala, che aveva contribuito fortemente alla costruzione. 2012. Inaugura a Shanghai il museo Ferrari. Il primo all’estero.


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2014. Montezemolo lascia la carica di presidente, di fatto sfiduciato da Sergio Marchionne. A prendere il suo posto è proprio l’amministratore delegato della Fiat. Viene annunciato lo scorporo da FCA, la divisione del 90% delle quote tra gli azionisti e la collocazione sul mercato del 10% di quel 90%. 2015. FCA presenta i documenti alla Sec per la quotazione in Borsa a Wall Street.


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