FERRUCCIO LAMBORGHINI. La sfida, l’avventura, la Miura

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TONINO LAMBORGHINI

Coordinatore editoriale

Giuliano Musi

MINERVA


RITRATTI Collana

Tonino Lamborghini

FERRUCCIO

Lamborghini

la sfida, l'avventura, la miura

Direttore editoriale: Roberto Mugavero Coordinatore editoriale: Giuliano Musi © 2016 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna. Le immagini di questo volume sono dell’Archivio personale di © Tonino Lamborghini, ad eccezione di: pagg. 42, 44, 47, 53, 57, 75, 76, 77, 79, 150 (in alto) Archivio © Walter Breveglieri Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge. Finito di stampare nel mese di aprile 2016 per i tipi di Tecnostampa Pigini Group Printing Division, Loreto-Trevi. ISBN 978-88-7381-843-4

Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 info@minervaedizioni.com www.minervaedizioni.com


Indice

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Prefazione

6 I primi passi

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L a giovinezza

18

L a Guerra

24 U n trattore per tutti

42

54 Mister L amborghini! Mister L amborghini!

64

Cambiamento nell’Italia domestica

68

L’età del piombo

72 U na terra di HP

94

120

130 Dalla terra alla terra

136 Il nuovo Ferruccio L amborghini Museo

140 Note

142 Note bibliografiche

L’età dell’oro

L’auto del 2000 Le grandi trasformazioni



Prefazione

I

l 28 aprile 2016 sono iniziati i festeggiamenti per i 100 anni dalla nascita di Ferruccio Lamborghini, industriale che ha operato con successo in molteplici settori produttivi ma è ricordato principalmente per la svolta innovativa impressa alle auto di lusso.

Originario di Renazzo, primogenito di un agricoltore della Partecipanza Agraria, grazie ad un’ottima preparazione tecnica (appresa in uno dei numerosi istituti specializzati che hanno fatto la fortuna dell’Emilia-Romagna nella meccanica e nel packacing) ha ampiamente compensato il livello culturale di partenza sfruttando al meglio le opportunità offerte dal clima particolare che si andava creando nell’immediato dopoguerra. Ferruccio aveva curiosità, senso del rischio, dell’avventura e la rara abilità di trasformare in ricchezza i debiti contratti con le banche. La maggior dote su cui ha costruito la sua fortuna è stata però quella di saper studiare e migliorare prodotti già esistenti, andandoli a cercare ovunque fossero. Ha sempre lottato per assicurarsi un posto nella storia mescolando passione, orgoglio, tenacia nel lavoro e l’abilità di compiere miracoli nel modo più semplice, senza farlo pesare a chi collaborava ai suoi progetti. Solo un uomo dal temperamento così particolare poteva lanciarsi in iniziative anche abbastanza distanti tra loro. È stato inizialmente assemblatore di auto e trattori sfruttando i residuati bellici, poi creatore di trattori considerati le Rolls-Royce dell’agricoltura, industriale nel campo dei bruciatori e dei condizionatori d’aria, costruttore di celebri granturismo, pioniere nel settore degli elicotteri, fondatore di una fabbrica di pompe oleodinamiche e infine il ritorno alla terra come coltivatore e creatore di un’impresa vinicola. Ha costruito un “gruppo economico” sempre operando in prima persona ma anche puntando su dirigenti capaci che selezionava personalmente. Il suo fiore all’occhiello resta comunque la fabbrica di automobili, inaugurata il 26 ottobre 1963, che gli ha dato celebrità mondiale. Le sue auto sono state acquistate dai “big” del globo che ne apprezzavano la bellezza e la grande innovazione. Al settore delle auto di lusso infatti Lamborghini ha dato un evidente impulso tecnico imponendo evoluzioni che in precedenza erano rare perché il mercato andava benissimo e non c’era bisogno di rischiare investendo ingenti capitali. Il periodo d’oro è durato fino al 1974 quando la “Guerra del petrolio” ha messo in crisi il settore delle supercar. Una vera rovina che non ha risparmiato nemmeno la Lamborghini. Tutto ciò che Ferruccio ha fatto è stato raccolto nel museo di Funo, voluto e realizzato dal figlio Tonino. L’esposizione e questo libro ne perpetuano il ricordo alle migliaia di appassionati che non hanno avuto la possibilità e la fortuna di incontrare personalmente il “fenomeno di Renazzo”. 5


I PRIMI PASSI

Un giovane Ferruccio Lamborghini per le strade di Renazzo (Fe) 6


La sfida, l’avventura, la Miura

“V’

è un tratto della pianura emiliana solcata dal Reno dove bolognese e ferrarese e, più in generale, pedemonte e bassa padana sono venuti a contatto fin da epoca molto antica... Questo lembo dì territorio che si conviene chiamare Centese... si propone come regione unitaria chiaramente individuabile e nettamente distinta sia dalle terre circostanti ferraresi che dalle larghe bassure renane bonificate... la regione ha potuto contare sulla particolare posizione geografica, al tempo stesso centrale nella bassa pianura renana e periferica nel quadro etnico e politico-amministrativo dello stesso settore”1. Alcuni elementi culturali come l’aspetto architettonico dal centro più importante, Cento, la cadenza dialettale, il complesso delle tradizioni, associano la zona al bolognese, ma la secolare lotta contro le acque richiama immediatamente la vicina Ferrara. L’ambivalenza storico-culturale ha fatto del Centese una terra periferica, ma questa marginalità non ha nuociuto, bensì ha messo in azione autonome possibilità di sviluppo, facendo oggi della regione un’isola industrializzata in una zona rurale2. La sua economia è caratterizzata dalla fusione tra una fiorente agricoltura ed un’industria che nasce all’inizio del secolo, si sviluppa in maniera graduale durante il fascismo, assume i toni di fenomeno industriale negli anni immediatamente successivi la fine della Seconda Guerra Mondiale3. La storiografia contemporanea è concorde nel sostenere che la presenza dell’istituto della Partecipanza agraria4, con all’interno il suo inconsueto ordinamento della proprietà terriera, è l’elemento fondamentale per la comprensione della dinamica dei fatti economici e sociali, nonchè delle trasformazioni ambientali del Centese5. Nello specifico, l’incolato ha scatenato una serie di fattori che, interagendo fra loro, hanno favorito il nascere di quello spirito d’intraprendenza decisivo per l’industrializzazione della zona. In primo luogo la densità della popolazione e la sua fissità al territorio, contrapposte al secolare squilibrio tra risorse e bisogni vitali, hanno portato ad una continua ricerca di nuove fonti di reddito. Nel 1951 la maggior parte dei lavoratori era impegnata nel settore agricolo, ma nel 1971 il settore primario risultava essere quello industriale. In secondo luogo è stato determinante lo scambio da un settore occupazionale all’altro. Nel secondo dopoguerra, infatti, si andava sempre più diffondendo la figura 7


del piccolo coltivatore, che era contemporaneamente operaio della locale industria, spinto in questa direzione dalla grave crisi che attraversava l’agricoltura in quel periodo. Le caratteristiche stesse di quest’ultima, fondata sulla canapicoltura e sulla frutticoltura, favorirono il crearsi di una manodopera sempre più specializzata, con base piccolo-imprenditoriale, socialmente omogenea e con deboli tensioni interne. È questo l’insieme di elementi che ha favorito lo sviluppo dell’industria locale. “Quest’ultima, per la velocità e l’intensità con cui è cresciuta e soprattutto per l’essersi inserita in maniera non traumatica nella realtà preesistente, sfruttando appieno tutte le opportunità che essa offriva, ha costituito un fatto eccezionale nel panorama economico emiliano”6. Anche la scuola di formazione professionale “Taddia” di Cento contribuì al processo d’industrializzazione. Sorta nel 1925 per volere dei fratelli Taddia, proprietari terrieri centesi, rispondeva alla richiesta di operai con un’elevata preparazione professionale nel campo industriale. La formazione tecnica della scuola non solo qualificò la manodopera, ma contribuì alla preparazione degli imprenditori stessi. La maggior parte di loro, infatti, ha frequentato l’Istituto; alcuni vi hanno anche insegnato. La scuola, inoltre, favorì la nascita di quel

Casa natale di Ferruccio Lamborghini 8


La sfida, l’avventura, la Miura

clima di vivacità culturale che è stato uno degli elementi che ha portato al profondo cambiamento di Cento, sottraendolo al dominio della Partecipanza agraria e della coltivazione della canapa7. Modesto, invece, rispetto ad altre realtà, fu il ruolo svolto dalla Cassa di Risparmio di Cento nella fase iniziale del processo di industrializzazione. Fino ai primi anni ’50 il coinvolgimento con le varie aziende fu minimo, preferendosi sostenere la ripresa dell’agricoltura, scelta dettata dall’origine agraria dei suoi capitali8. Ferruccio Lamborghini e la sua storia d’industriale presentano tutti gli elementi del quadro descritto. Figlio di un agricoltore partecipante, di modesto livello culturale ma con un’ottima preparazione tecnica, respirò nell’immediato dopoguerra il clima particolare che si andava creando e sfruttò appieno le opportunità che esso offriva. Si snoda così la sua storia o meglio, “una lunga storia emiliana, cresciuta sotto il sole a picco e nell’inverno nebbioso della Bassa, una storia che appartiene a una prospettiva comune di queste terre, di queste zolle, di questi alberi che partoriscono motori e trattrici”9. Ciò che segue, quindi, va costantemente interpretato in questa chiave di lettura.

9


LA GIOVINEZZA

Foto in posa di Ferruccio Lamborghini prima della partenza per la guerra 10


La sfida, l’avventura, la Miura

F

erruccio recupera le cose più diverse che utilizza o adatta per costruire “macchine” o attrezzi per gli usi più disparati, ripara qualsiasi attrezzo domestico: macchine per cucire, per filare la lana, cordaineri per filati di canapa, biciclette, i calessi del padre, costruisce trappole per la cattura di animali e persino centrifughe per separare il miele; li costruisce e ne fa pure un piccolo commercio.Renazzo è una piccola frazione di Cento, una manciata di case intorno ad una chiesa. Un’infinita distesa di campi delimitati da polverose strade di campagna, quasi una distesa lunare: qui il 28 aprile 1916 nasce Ferruccio Lamborghini, mio padre. Sarà il primo di cinque fratelli: Edmondo (1919), Giorgio (1925), Maria Pia (1927) e Silvio (1930). Antonio ed Evelina, i genitori, possiedono un podere e abituano Ferruccio ed i fratelli, fin da giovanissimi, a vivere e comprendere il lavoro nei campi. In questi luoghi si coltiva la canapa e la vita di tutti è scandita dalla sua produzione, ogni cosa dipende dalla terra, dai suoi millenari cicli. Ferruccio, però, non sembra avvertire il legame con questa cultura che domina incontrastata, antica cultura contadina, rafforzata qui dal sistema della Partecipanza agraria. A quest’ultima appartiene anche la famiglia di Ferruccio; il padre, oltre al podere di proprietà, ha un “capo” sui terreni di Malaffitto e come succede da secoli, i figli, all’indomani della sua morte, parteciperanno alla spartizione ventennale di queste antichissime proprietà collettive. Mio nonno, come pure mio bisnonno, si è sempre occupato di agricoltura e di allevamento di bestiame con un interesse, o meglio, una passione particolare per i cavalli. Papà frequenta la scuola elementare e il suo insegnante è il maestro Cesare Lenzi, personaggio che nella zona è quasi una leggenda. Lo si vede sempre vestito di nero col nastro al collo, con la cappa in inverno, col calesse o in bicicletta su quelle strade polverose di campagna, avvolte dalle nebbie in autunno ed invece silenziose, assolate e circondate da spighe dorate in estate. È considerato il saggio del paese, ha una filosofia tutta sua che esprime anche attraverso poesie e zirudeli, patrimonio oggi quasi disperso di un’antica cultura contadina. Il Maestro, come tutti lo chiamano, pensa spesso a Ferruccio, quel ragazzino che trascorre i pomeriggi in un piccolo laboratorio che ha creato in un’ala della stalla attigua alla casa paterna, sfuggendo al lavoro nei campi. Recupera gli oggetti più diversi, che poi adatta come attrezzi, per riparare ferri da stiro e trappole per topi. 11


“Un giorno - raccontava Ferruccio -, venne a trovarmi nella mia ‘piccola officina’ il Maestro. Per un po’, silenzioso, mi osservò lavorare, poi prese un pezzetto di carbone dal camino e volle che lo lasciassi solo. Mi chiamò poco dopo, indicandomi con un cenno del capo ciò che aveva disegnato su di una parete: una grande foglia di vite. Stupito lessi una scritta accanto al disegno: ‘E se lavorerai con buona voglia, il frutto verrà dopo la foglia’. Silenziosamente, come era apparso, sparì nella nebbia. Era il 1926... avevo allora dieci anni e capii il significato di quella frase tanti anni dopo”. Terminata la scuola elementare, Ferruccio frequenta l’Istituto di formazione professionale “Fratelli Taddia”, gloriosa fucina di imprenditori centesi. Ottenuta la licenza, il padre ha le idee molto chiare rispetto a quello che avrebbe dovuto fare. È il figlio maggiore e, come tale, dovrà subentrargli nella conduzione del podere. Ma Ferruccio ha tutt’altre intenzioni. È testardo, cocciuto e, nonostante l’opposizione paterna, entra come apprendista nell’officina di un fabbro della zona, Giuseppe Ferioli, un battiferro di classe che gli insegna, ad arte, i mille segreti della lavorazione del ferro e della saldatura.

I Lamborghini, da sinistra: Edmondo, mamma Evelina, papà Antonio, Ferruccio e Maria Pia 12


La sfida, l’avventura, la Miura

Con la sua prima motocicletta - una vecchia GD che aveva rimesso a nuovo - quando ha un po’ di soldi, va a Bologna, al pittoresco mercato della Montagnola, dove fioriscono i commerci più disparati. Ferruccio vi trova qualche attrezzo, quasi sempre usato, ma a volte è là solo per respirare l’aria del luogo o per discutere il prezzo di qualche oggetto per il puro gusto della contrattazione. Giuseppe Ferioli, ricordando “quel ragazzo che non stava mai con le mani in mano”, raccontava spesso questo episodio: “Un giorno tentò di inventare il moto perpetuo con due molloni applicati alle pedivelle della bicicletta; non raggiunse l’obiettivo, ma con poche pedalate riuscì ad arrivare da Cento a Renazzo in pochissimo tempo: una pedalata caricava l’altra”. Ferruccio è irrequieto. Vuole andare a Bologna per impratichirsi come meccanico, è disposto a lavorare a qualsiasi condizione, anche gratuitamente. Finalmente riesce a farsi assumere dal cavalier Righi, titolare dell’officina più importante della città, in viale Aldini, che in quel periodo ha in appalto la revisione degli automezzi dell’Esercito, in particolare Fiat 18 BL.

I genitori di Ferruccio 13


La sua paga è di quindici lire la settimana, purtroppo il lavoro dura solo per qualche mese, ma è fondamentale l’esperienza che si fa. “Ero finalmente nel mio regno. Non ero come gli altri operai che fatte le loro ore scappavano via. Io, se non tiravano giù il portone, non mi muovevo”, racconta Ferruccio.10 La notte è nel quartiere del “Pratello”, cuore della città vecchia e gaudente. Suona il mandolino in un’orchestrina che si esibisce eseguendo Parlami d’amore Mariù. Ma una sera si accorge che mentre il piano, la fisarmonica e il sassofono hanno finito il pezzo, a lui resta ancora una riga di spartito. “Non è la mia strada, mi sono detto, e buttai il mandolino”11. Conclusa l’avventura bolognese, a 18 anni apre una bottega a Renazzo, assieme all’amico di sempre, Marino Filippini che già aveva condiviso con lui il lavoro nell’officina bolognese e che molti anni dopo diventerà dipendente nelle fabbriche create da Ferruccio. “Il locale era molto piccolo, ma era una vera officina, c’era tutto”, raccontava di quegli anni. Quando può, acquista qualche vecchia automobile usata. Spesso lo fa in società con l’amico Marino e insieme le rimettono a nuovo.

Le moto, da sempre passione di Ferruccio Lamborghini. Qui è con la sua Astra 350 14


La sfida, l’avventura, la Miura

Lo stesso avviene con le motociclette; ne cambia diverse. La più bella è sicuramente la Norton CS1 “Tourist Trophy”, una “500” che sfiora i 140 orari, costruita in un numero limitato di esemplari. Sono anni spensierati, di folli corse, di gare. Vederlo passare è un avvenimento su quelle strade sterrate di campagna. Ho sempre chiesto a mio padre dove si fosse procurato il denaro per acquistare così tante moto e auto: e lui, sorridendo ironicamente, rispondeva: “Chi non fa debiti non è invogliato a guadagnare per pagarli”. “Spesso ci sfidavamo in moto sulla strada che da Renazzo porta a Cento - raccontava Ferruccio - Un giorno facemmo una gara su quel percorso. Nel punto in cui c’è la curva più inclinata, mi si ruppe la molla del ritorno dell’acceleratore e fui costretto a fare la curva a grande velocità, nonostante la sua pericolosità. Vinsi la gara. Tutti si complimentarono con me per come avevo affrontato quella curva a quella velocità, quasi impossibile! Ci riuscii, per fortuna non per abilità, diventai un mito delle curve e delle moto; per molti anni si parlò di quella impresa, ignari tutti che fui obbligato dalle circostanze!”.

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Quell’amore per le moto durato un’intera vita Anche senza la “voglia di correre” della gioventù, la passione per le moto ha accompagnato Ferruccio Lamborghini per tutta la vita. Aveva poco più di 16 anni quando è riuscito ad acquistare una GD 175 di seconda mano, da lui stesso rimessa poi totalmente in ordine. La sede della GD era a Bologna, in viale Aldini 28 ed è quindi probabile che l’acquisto si sia perfezionato quando Ferruccio era stato assunto dalla ditta “Righi”, che operava a pochi metri. A poco più di 18 anni, arriva invece un mezzo ben più impegnativo, una Norton 500 CJ1 “Tourist Trophy”, una monocilindrica con distribuzione ad albero a cammes in testa e distribuzione a coppie coniche, che sfiora i 140 km/h. È la moto delle sue più accese sfide sulle strade bianche della bassa Centese. Durante la guerra, nell’isola di Rodi è invece alla guida di un’Astra 350, monocilindrica di qualità realizzata dall’azienda milanese di Max Türkheimer utilizzando la meccanica della inglese Ariel e affidando successivamente alla bolognese C.M. l’assemblaggio dei mezzi venduti con il proprio marchio. Non risulta invece che Lamborghini abbia guidato nel dopo-guerra moto o scooter, almeno abitualmente. Occorre attendere il 1968 per rivederlo in sella ad una moto, anche se per brevi percorsi a Milano Marittima durante le vacanze. Guida una nera Laverda 750 S bicilindrica, una delle prime maxi-moto italiane, arrivata quale parte del pagamento di una Lamborghini acquistata dallo stesso industriale Laverda. Diversi anni dopo, assieme al figlio Tonino, assiste ad una gara per moto storiche sul circuito di Imola, dominata - come lo stesso Campionato della categoria - da una Norton 500 Manx: in pratica la versione evoluta della sua T.T. personale. L’acquista all’istante e la porta in casa per ammirarla quale oggetto di culto. Negli Anni ’80 alla “Fiorita” lo si vede invece in sella ad una Honda Goldwing con motore a 4 cilindri, una tra le più massicce moto da viaggio mai costruite. Avrebbe certamente apprezzato che suo nipote, Ferruccio Jr (nato nel 1991) abbia vinto il Campionato Italiano di Velocità Moto2 (categoria 600 SK) nel 2012, dopo aver preso parte anche ad alcune gare del Motomondiale 125 e Moto2. 16


La sďŹ da, l’avventura, la Miura

Ferruccio Lamborghini in sella alla Honda Goldwing a Panicarola sul Lago Trasimeno

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