Hanno rubato tutti i pancesare

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Anche questo libro – come i precedenti Il collezionista di orologi e Il coriandolo della Quaderna – è stato scritto con l’esclusivo sistema custom made, cioè “su misura”. L’idea infatti parte dalle persone, che hanno prestato volto, nome e cognome a personaggi immaginari. Sono quindi uomini e donne veri, reali, autentici. È il racconto che li rende diversi, trasformandoli negli attori di una storia completamente immaginaria. Amici fra di loro, a volte magari solo conoscenti, ma tutti mossi da un unico intendimento: divertirsi e far divertire. Sono fotografati nelle prime pagine del libro… buon divertimento!

Roberto Raisi, nato nel 1964 a Santa Maria Codifiume, vive a Molinella. Agente di commercio, ha il pallino della buona cucina e della lettura di libri gialli o comici. Non è quindi un caso che abbia scritto alcune opere allineate proprio su questi argomenti: da Scusi mi porta il conto? – repertorio dei migliori ristoranti dell’Emilia-Romagna – a Il collezionista di orologi e Il coriandolo della Quaderna, i gialli semiseri con cui ha dato il via alle indagini del commissario Passerini.

€ 15.00

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Dall’incredibile, straordinaria e rocambolesca rapina effettuata in una delle gioiellerie più prestigiose di Bologna prende vita una serie di vicende e circostanze che, sviluppatesi a Molinella, porteranno il commissario Passerini a risolvere un caso davvero difficile e inquietante. Infatti, non solo deve capire perché il cadavere di un ricchissimo avvocato viene trovato in una rotoballa di erba per mucche, bello confezionato come una tonda pralina di cioccolato e menta, ma deve anche risolvere un vero rompicapo, un fatto stranissimo: la sparizione di tutte le confezioni di Pancesare – un dolce tipico di Molinella, una vera delizia per il palato – pronte per le festività natalizie. Chi può aver rubato il Pancesare e perché? Le indagini sono molto complesse e portano il nostro commissario addirittura in Inghilterra! Anche questa volta, comunque, Passerini può contare sull’aiuto dell’amico Santo Merendino mentre, sullo sfondo, si avvicendano gli scherzi e le burle dei frequentatori della bottega del barbiere Enrico, detta Monte Citorio, adulti anagraficamente, goliardi nell’animo, allegri per vocazione. Monte Citorio è un vero e proprio universo, un mondo a parte, una piccola fetta di paradiso in terra, un luogo dell’anima in cui la vita, fortemente connotata della cultura padana, si dipana con serena e trionfante allegria.

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Cosa collega Molinella con Buckingam Palace? E perché la regina Elisabetta è interessata alla Bassa padana? Un’altra mirabolante – e internazionale! – avventura del commissario Passerini!

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pancesare Giallo umoristico

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pancesare


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di Roberto Raisi Si ringrazia Giorgio Grassi per la gentile concessione delle foto presenti nel volume. Direttore editoriale: Roberto Mugavero Grafica di copertina: Ufficio grafico Minerva Edizioni ©2013 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.

ISBN: 978-88-7381-5-242 Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2- 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 – Fax 051.897420 www.minervaedizioni.com e-mail: info@minervaedizioni.com


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Caro Lettore, eccomi qui con il mio terzo giallo umoristico. Chi ha letto i primi due titoli nella collana, Il collezionista di orologi e Il coriandolo della Quaderna, conosce già i meccanismi del mio metodo custom made, cioè su misura, che ha lo scopo di soddisfare l’esigenza – che hanno molti lettori – di dare un volto ai personaggi del romanzo, ma non un volto qualunque, bensì la precisa connotazione fisionomica che l’autore stesso intendeva dare. In tal modo, i personaggi di fantasia prendono vita e si intrecciano con quelli veri, in un mix che ritengo – forse immodestamente – unico nel suo genere. Contestualmente, desideravo anche “giocare” con i volti, con le espressioni, con le persone. Sì, giocare, per creare un meccanismo con cui un intero paese potesse divertirsi coralmente, sdrammatizzando così anche la difficile realtà socio-economica che tutti noi stiamo vivendo. A dire il vero, a Molinella è facile sdrammatizzare, basta entrare nella bottega del barbiere Enrico, detta Monte Citorio, per trovarsi catapultati, quasi per miracolo, in una realtà totalmente ludica e festosa. Monte Citorio è indubbiamente lo sfondo ideale di tutte le mie storie, è un universo piccolo e allo stesso tempo grande, connotato di cultura padana, in cui la burla, lo scherzo, il divertimento assumono un valore assoluto e quasi magico. È il mondo degli eterni ragazzi, di uomini adulti che vogliono vivere con la stessa felicità che, nel cuore, hanno i fanciulli.

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Spero che questa mia rutilante storia di omicidi, rapine, tradimenti e fantasmi ti piaccia, caro Lettore, e nell’augurarti «Buona lettura!» ti saluto con un auspicio, quello di vederci presto, molto presto con il mio prossimo romanzo, che sarà il più bello, perché è quello che deve ancora nascere. Roberto Raisi

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GLI ATTORI

L’inossidabile commissario Gianni Passerini, nella vita nonno a tempo pieno.

Mauro Bolognesi, l’efficientissimo piantone del Commissariato, pensionato pendolare fra Cervia e Molinella.

Il magico Raoul Romano Burnelli, il vice commissario, in realtà pensionato e insigne politologo di Monte Citorio.

L’agente scelto Alberto Osti, in realtà cuoco nella Casa di riposo di Molinella, brodini leggeri tòt i dè.... VII


GLI ATTORI

Il diligente tecnico della Scientifica Gianluca Vogli, ingegnere, che ora si dà al tango. Vai con il caskè!

L’elettrico fotografo Giorgio Grassi, pendolare fra Budrio, dove abita – e di cui decanta i fasti politici nonché amministrativi – e Molinella.

Il dottor Mauro Tura, medico nella vita, patologo nella finzione. Adesso ha una gamba di gesso dovuta a un maldestro incidente sulla banchina di un porto, auguri dottore!!!

L’ex commissario di Medicina Pietro Brini, grande, grandissimo, incomparabile cuoco! VIII


GLI ATTORI

Mauro Ballarini detto Valvola, tecnico top secret, praticamente una mezza spia. Eccolo alla ricerca di nuovi mondi, disperso tra i Paesi arabi, forse...

La vittima, Paolo Ghedini, avvocato nella realtà e nella finzione, grande amante dell’avventura.

Athos Draghetti, il ragioniere del Bed and breakfast Cesare Magli & Figli. Nella vita conta i soldi tutti i giorni, proprio come nella finzione, infatti è bancario.

L’architetto Gustavo Bertuzzi, amico della vittima e collega di Draghetti. Nella vita è un vero architrave, pardon, architetto! IX


GLI ATTORI

Anna Lidia Golinelli, ex collaboratrice domestica del vice commissario Raoul, ha finalmente venduto il negozio Anna Lidia Intimo e ora si dĂ alla pazza gioia!!

La nuova collaboratrice domestica del vice commissario, Roberta Pezzulli, grande tifosa, soprattutto di uomini belli...

Roberto Mazzacurati detto Rufo, il maggiordomo del vice commissario Raoul, amante della bella vita e delle belle donne.

La giornalista Anna Zappaterra, pensionata con l’hobby della bici. X


GLI ATTORI

Il questore Amanda Alborghetti, co-titolare della Caffetteria degli Artisti, infaticabile mangiatrice di uomini.

Fabrizio Festa, amante del questore Alborghetti. È un sublime compositore e un famoso direttore d’orchestra.

Alberto Gualanduzzi, eccellente contadino nella realtà e nella finzione. È un tradizionalista e segue veramente gli antichi e saggi principi dell’agricoltura!

Moreno Spiga, contadino e socio di Gualanduzzi, grande appassionato di trattori su cui sfreccia veloce nelle campagne. XI


GLI ATTORI

Silvia Monti, barista del Leon d’Oro di Molinella nella realtà e nella finzione. Inoltre, gran bella gnocca!

Continua la saga delle gnocche! Romina Biondo, raffinata venditrice di proprietà immobiliari.

L’affascinante e conturbante ballerina Erika Cacciari, barista del Bar Snoopy di Molinella con la passione del ballo.

La meravigliosa ballerina Monica Sartini. Nella vita quotidiana segue con pignoleria le pratiche infortunistiche e coltiva una grande passione per il ballo. XII


GLI ATTORI

Letizia Mimmi, nella finzione è la contessa-ladra, nella realtà è una bella insegnante che svolge con passione il proprio mestiere.

Alba Fregna, l’abbiamo fatta resuscitare nella parte di un fantasma... Non se ne poteva più!

Raimondo Balboni detto Mondo, il giornalaio più indiscreto e pettegolo di Molinella.

Daniele Sgarzi, assieme a Mondo forma una coppia vincente di giornalai. Cercateli su Facebook, alla voce Edicola Molinella, ne vedrete delle belle... XIII


GLI ATTORI

Luisa Parmeggiani e Valerio Pazi, titolari della gelateria Ponti in cui si produce il dolce piĂš buono del mondo, il Pancesare!

Gianni Giordani e Raffaele Zuccheri del ristorante Ai Cortili, in cui la buona cucina si coniuga con tradizione e cortesia. Ehi, voi due, quanto mi date per questa sviolinata?

Pietro Fantazzini titolare della maison Giuseppe Menzani di via Orefici, a Bologna, grande gioielliere nella realtĂ e nella finzione.

Il barbiere Giuseppe Enrico Roncarati, la grande anima di Monte Citorio, ma oramai lo conosciamo bene... XIV


GLI ATTORI

Loris Corinno Sallioni, attivista di Monte Citorio e ripetitore-umano di gossip, gli manca la parabola e schizza sul digitale...

Illustre politologo di Monte Citorio, Fabrizio Bolognesi il Bolo, è un perenne fanciullo buono e galante, sempre in giro per la Bassa in cerca di belle gnocche da corteggiare.

Vasco Cacciari detto Basèn, è un provetto imbianchino che si spaccia per grande pittore... di nudi femminili, ovviamente!

Lo spiritato Gino Pezzoli detto al Chèp, noto frequentatore di Monte Citorio e di mercatini di cui è il re indiscusso. XV


GLI ATTORI

Giacomo Giacomino, il perfido campanaro.

Piera Cipriani, l’editor di questo libro, grande fan del commissario Passerini e... del Bolo! Boione di un Bolo!

L’agente di commercio Santo Merendino, sotto le cui spoglie si nasconde Roberto Raisi, l’autore dell’opera, qui fotografato con la moglie Sabrina e con la figlia Beatrice. E bravo Merendino!

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Ai miei genitori, ai miei nonni, ai miei zii e zie. A tutta la mia grande e cara famiglia!!!

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e r a s e c n pa



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Il Circolo Morfeo – Venerdì 28 settembre, ore 14,10 È proprio vero, nei locali pubblici non si vedono più quei bei nuvoloni nebbiosi, carichi di fumo di sigaretta, che rendono i luoghi misteriosi. La prova ne è il Circolo Morfeo, una volta patria di queste mitiche nuvole di cui, ora, non c’è più traccia, non si trova più nemmeno un filino di fumo. Anche se, per la verità, un po’ di fumo è rimasto, ma altri non è se non quello che esce dalla tazzina di caffè appoggiata sopra al banco del bar. Oggi il locale è affollatissimo, fuori la pioggia non accenna a smettere, anzi, continua con insistenza. È Morgana, la perturbazione che arriva dal Nord Atlantico, così tutti si sono rifugiati qui, al Circolo Morfeo. L’uomo sembra abbia alzato la spalla, forse ha la regina, no forse ha il cavallo. Però le labbra sono chiuse in fuori, quasi a lanciare un bacino, poi una strizzatina d’occhio, ma certo! Ha l’asso di briscola! Occhi al cielo, porca miseria, ha il re di briscola! Infatti, un urlo ad alta voce scandisce: «Briscola!!!» «Soccia, che busòn!» Altro giro, altre dodici carte sul tavolo. Il volume della televisione è alto, ma nessuno ci fa caso e per tutta la sala rimbomba la voce della giornalista del TG3 Regionale Anna Zappaterra, che racconta le avventure e le sventure di questa giornata. Uno dei quattro giocatori fissa bene le carte, che tiene tra le mani sudate per la tensione. Saranno quelle giuste per vincere? Lui spera di sì, d’altronde si dice che la speranza è

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l’ultima a morire! Ad onor del vero, si dice anche che chi vive sperando muore cagando, ma questa è un’altra storia... Le due coppie di giocatori si guardano negli occhi, concentrati. Nella briscola occorre molta concentrazione e vince la partita la coppia che ha totalizzato il maggior punteggio, cioè almeno sessantun punti. I professori, mi correggo, forse è più attuale dire i tecnici del gioco, sono tutti esperti di segni, per i quali servono movimenti rapidi, per non farsi notare dagli avversari. È infatti importante capire chi ha le carte più significative, per questo motivo tutti stanno attenti ai movimenti di tutti, sia del proprio compagno che degli avversari, al fine di intercettare i segnali, in particolare quelli che indicano le briscole. Questo gioco è ormai terminato, su di un foglietto che riporta il logo della pubblicità – in genere del meccanico locale – si trascrivono i punteggi realizzati. Il mazziere fa ancora le carte, poi le distribuisce e termina il giro, lascia una carta scoperta sul tavolo, coprendola per metà con il mazzo posto trasversalmente ad essa, in modo che la figura rappresentata rimanga visibile a tutti per l’intero gioco: è la carta di briscola, che sarà anche l’ultima ad essere pescata. Altro giro di smorfie: asso di briscola, labbra chiuse in fuori, strizzatina d’occhio; tre di briscola, lieve deformazione della bocca; re di briscola, occhi al cielo; regina o cavallo di briscola, alzata di spalla e via dicendo, in una fantasmagorica e infinita serie di facce, faccine, faccette, smorfie e smorfiette. Il gioco prosegue fino ad arrivare all’ultima mano, quella fondamentale per vincere la partita. Qui la vicenda si fa interessante, il tavolo viene circondato dai soci del Circolo Morfeo, sempre più curiosi di sapere come andrà a finire.

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A turno calano le carte e il rumore di un pugno sul tavolo fa capire chi porta a casa la vittoria. «Caro commissario, grazie per il caffè, adesso potete passare alla cassa te e il tuo compagno qui presente Raoul Romano Burnelli a versare l’eurino...!» Il commissario non si fa attendere con la replica: «Caro tua sorella! La vostra bravura sta solo nel avere un alto coefficiente di culo! Tò, vè!!», e mentre si alza dalla sedia per andare a versare l’obolo alla cassa, viene attirato dalla voce forte e squillante della tivù. Si avvicina incuriosito al mega schermo al plasma. È ancora lì ed è sempre lei, la giornalista del TG3 Anna Zappaterra, che annuncia un rocambolesco furto, avvenuto nel centro di Bologna, in via degli Orefici. La giornalista fornisce ampi dettagli della rapina che, a quanto si dice, è stata degna del migliore Arsenio Lupin o, se preferite, della banda di De Maria, quelli della rapina di via Osoppo a Milano negli anni Cinquanta, insomma un furto in piena regola, come si è soliti vedere solo nei film. Invece, è stata fatta questa mattina a Bologna, in via degli Orefici, dove si trova la maison Giuseppe Menzani – una griffe di ori e gioielli conosciuta in tutto il mondo e amatissima dai vip bolognesi – di proprietà di Pietro Fantazzini. «Sono stati momenti di terrore oggi, alle dieci, quando cinque rapinatori, molto distinti, vestiti elegantemente e, a quanto pare, ben truccati con parrucca, barba, baffi posticci e probabilmente qualche lente a contatto colorata, il tutto adeguatamente studiato per non essere identificati. «Sono entrati nella gioielleria sequestrando sei persone che hanno trattenuto in ostaggio per il tempo necessario a svaligiare il caveau. Poi, si sono dati alla fuga tramite un buco

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praticato ad hoc probabilmente la notte prima. Il bottino è valutato in sei milioni di euro. «Un colpo studiato nei minimi dettagli, sicuramente effettuato dopo settimane di lavoro, appostamenti e verifiche di ogni singolo spostamento in tutta la via Orefici. Nessuno, però, si è mai accorto di nulla, anche se probabilmente i rapinatori lavoravano giorno e notte per prepararsi al grande colpo. «Adesso è caccia ai basisti, qualora esistano, e si interrogano a tappeto tutti i dipendenti della maison, il personale dei negozi confinanti e gli operai che si stavano occupando di alcuni lavori di ristrutturazione proprio nei pressi del palazzo. «Nessuno sfugge alle domande degli inquirenti. Si scava anche nel passato della famosa Banda del buco, che ha messo a segno alcune delle rapine più spettacolari e rocambolesche proprio a Bologna. «Intanto, il rapporto della Squadra mobile di Bologna è arrivato sul tavolo del questore Amanda Alborghetti, il reato ipotizzato a carico di ignoti è di rapina aggravata; in un secondo momento, per l’intera banda, potrebbe essere formulata l’accusa più grave, quella di associazione a delinquere. Ora proseguiamo con lo sport: calcio, il Molinella viene battuto dal...» La notizia non passa certo inosservata: «Mo’ soccia, commissario, che colpaccio! Quelli si sono sistemati per tutta la vita!» Impalato davanti alla televisione, mentre si sistema i baffi, il commissario Passerini scuote la testa guardando il vice commissario che gli si è avvicinato: «Certo, Raoul, oggi per fare un colpo di quel genere servono dei veri ragionieri

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della rapina, bisogna architettare tutto. Ma l’importante è che nessuno ci abbia rimesso la pelle!». Sempre filosofico, il commissario, magari filosofia banalotta, ma non si può mica avere tutto nella vita... Un po’ più in là, un tavolo di giocatori orecchia il commento di Passerini. Un tipo alto, dal linguaggio ricercato, vestito in modo eccentrico, con una fila di tatuaggi che fanno capolino dalle maniche della felpa, ribadisce al commissario: «Penso proprio che siano stati degli artisti. Sì, veri artisti della rapina, quelli sì che ci sanno fare, quella sì che è una vera banda... Non li prenderanno mai!!» L’avvocato Paolo Ghedini oggi si vuole divertire, vuole stupire il pubblico del Circolo Morfeo stuzzicando Passerini e prendendolo per i fondelli con atteggiamento e gesti provocatori. Ovviamente, raggiunge il proprio intento. Infatti il commissario a cui, dal nervoso, esce il fumino dalle orecchie, si gira verso il tavolo da gioco e gli risponde a dovere: «Avvocato, che sia stato uno dei suoi clienti?» Ghedini continua indifferente a guardare le carte del Tarocchino bolognese, le tiene in mano e, mentre ne pela una, dichiara: «Che fortuna, ho pelato il matto!!» Intanto, è spalleggiato anche dai suoi compiaciuti compagni di tavolo, l’architetto Gustavo Bertuzzi, il ragioniere Athos Draghetti e Roberto Mazzacurati, domestico di alto livello, di lui si dice che abbia prestato servizio – come maggiordomo – alla corte della regina Elisabetta, esattamente nella reggia di Sandringham. L’avvocato non degna il commissario nemmeno di uno sguardo, alza le spalle e finalmente replica con alterigia: «Non credo proprio, poi anche se fosse, con una mia arringa il giorno dopo sarebbe già fuori dal carcere.»

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L’avvocato non ha torto, considerando la giustizia di oggi... Per parte sua, il commissario Passerini non ha certamente voglia di trovarsi in una zuffa, così gira le spalle all’avvocato e fa un cenno al suo vice: «Dai, Raoul, andiamo in Commissariato a lavorare, va là. Questi non hanno un ca...», si morde la lingua e termina il discorso dicendo: «Un cavolo da fare.». Poi impreca fra sé e sé, nel mordersi la lingua se l’è fatta gonfiare a dismisura e ora gli sembra di avere un pallone in bocca, porcaccia!

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Il venditore di pere - Martedì 2 ottobre, ore 15,02 Molinella è sempre qui, ferma e immobile, posizionata nella sua bella distesa pianeggiante, con la verde e lussureggiante campagna della Bassa emiliana, già in odore di Romagna, tra fiumi, fiumiciattoli, argini, campi coltivati, alberi da frutta, aironi cenerini e campanili che pendono. Anche qui le stagioni si susseguono e la vita continua nel suo solito percorso, con le monotone abitudini di paese pur se, osservando bene questo bel paesello, anche qui si riescono a vedere i cambiamenti lenti della natura e del progresso della civiltà. Oggi la temperatura è sul freschino andante e le seggioline di Monte Citorio sono tutte riposte nello sgabuzzino del barbiere Enrico nel suo primo giorno di apertura settimanale. Nonostante tutto, fuori dalla bottega c’è un bel via vai di cassette di legno, che vanno e vengono piene di pere mature. Un giovane ragazzo, dai capelli scuri e ricciuti, si prodiga nel convincere la gente, che passa poco distante dalla bottega, ad approfittare della conveniente occasione. L’accento identifica subito il personaggio che, peraltro, esibisce la tipica, inconfondibile parlantina da buon venditore. Si muove vispo e sicuro vicino al camion dal cassone scoperto, parcheggiato nella vicina aiuola e stipato con file di casse di pere: «Cumpràt chesta bella cassètt e’ pere, sugn’cinque euro.» Anche per gli abituali frequentatori di Monte Citorio quello che appare davanti ai loro occhi sembra un vero affare, certamente da non perdere. I più coraggiosi cominciano il

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rito dell’avvicinamento, per estorcere informazioni basilari sull’acquisto. Corinno Sallioni freme e si accosta per primo al venditore: «Scusi, ma lei da dove viene?» Il venditore, senza imbarazzo, risponde: «Vegne da Mirandòla, a’ndò’ c’è stato o’ terremòt.» Naturalmente Corinno, non contento della risposta, controbatte: «Sì, ma lei non è proprio di Mirandola, vero?» «E no, ca’ dicite? Io song’e’Capri, Capri porto.» Avevamo capito tutti che non era nativo di Mirandola, ma il fatto che venisse da quel paese aveva colpito i teneri cuori di noi frequentatori di Monte Citorio. I nostri pensieri corrono a quei brutti momenti e a quel dannato terremoto che aveva colpito il paese di Pico. Ci facciamo avanti tutti per contribuire, ci sembra un gesto giusto nei confronti di chi, in quel momento, è meno fortunato di noi. Così, a turno, cominciamo a tirare fuori i cinque euro, mentre il venditore continua: «Signori, comprateve chesta bella cassètta e’ frutta fresca, cinque euro.» L’isolano di Capri va letteralmente in visibilio nel vedere abbassarsi così velocemente la pila di cassette e, contemporaneamente, gonfiarsi le tasche di moneta sonante. Ognuno di noi si arrangia come può per portare a casa quella bella frutta fresca. Vasco, il pittore, detto anche Basèn sistema la cassetta nel baule della macchina parcheggiata poco distante. Altri scappano velocemente a casa a piedi, Gino detto al Chèp se la carica in bicicletta appoggiandola sul manubrio. A dare man forte al venditore di Capri ci si mette anche Enrico, che comincia a girare sul marciapiede avanti e indietro, con il suo grembiule bianco da barbiere, gesticolando per attirare l’attenzione di chi passa per di lì, tenendo in mano una spazzola e nell’altra un pettine.

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«Ohi, è un af-fare, fer-fermatevi e venite a comprare una ca-cassetta di pe-pere!» Il via vai di persone continua e arriva anche il capo patologo Mauro Tura. Enrico e tutti quanti noi di Monte Citorio andiamo verso di lui per raccomandargli l’affarone. «Dottore, tira fuori cinque euro che ti facciamo fare un affare della Madonna. Così ti porti a casa una fantastica cassetta di pere!». Anche al dottore sembra un’ottima opportunità, prende la cassetta, la paga e, prima di caricarla in macchina, la appoggia sulla panchina. Tutti contenti e spensierati diamo nuova vita al chiacchiericcio davanti alla bottega, cogliendo la succulenta occasione per aggiornarci dei tanti gossip del paese. Ad un tratto, svelto svelto, il giovane venditore di pere ci saluta, mette in moto il camion velocemente e ancora più velocemente parte, sparendo per via Mazzini. Lì per lì non diamo peso a quella improvvisa partenza, i più pensano che le vendite lo abbiano già soddisfatto e che, probabilmente, ha pensato di spostarsi in un’altra zona. Le chiacchiere davanti alla bottega continuano, quando un rumore ci fa ronzare le orecchie, ci giriamo e cerchiamo di capire di cosa si tratta. Dalla via principale vediamo transitare una storica Porsche 356 roadster di colore bianco. Al posto di guida, con un sorriso a trentadue denti, c’è l’avvocato Paolo Ghedini, nel sedile del passeggero sventola la lunga chioma di una fantastica mora: boia d’un mondo, che gnocca! Sia chiaro! Noi di Monte Citorio non soffriamo di nessun tipo di gelosia, proprio nulla ce ne cale nel vedere uno che va in giro con una gran macchinone.

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Noi non abbiamo invidia per nessuno, tranne per chi gira con un passerone galattico al fianco, quello sì che lo invidiamo! Basèn sbotta con un: «Oh, chi era quello là, con quella moraccia?» Al Chèp risponde: «Era quello sborone dell’avvocato Ghedini, il padrone del Cesare Magli & Figli, il Bed and breakfast che si trova nel borgo, di fronte al Campanile dell’orologio.» Basèn non ha capito niente: «Padrone di cosa? Del Sbed anch frecfast? E cos’è? Con un freschino così girano senza capotta!» Corinno controreplica: «Sono giovani, non ti ricordi cosa facevi tu alla loro età?» «Alla loro età andavo a lavorare già da un bel pezzo. E ci davo che ci davo, ma di pennellessa! E lei, la morazza, chi è?» «È la Romina, quella che vende le case nell’Agenzia immobiliare La tua casa, in via Calzolari.» «Ha l’agenzia dove una volta c’era Mantovani, il corniciaio.» «No, ti sbagli, lei ha l’agenzia dove c’era Pampolini, quello che vendeva le vernici.» «Ah, sorbole, ho capito. Però, lei è una bella patacca. Si tratta bene l’avvocato.» Oramai noi di Monte Citorio siamo sguinzagliati, nessuno ci tiene più a freno! E i discorsi continuano mentre fantastichiamo, con tutta l’immaginazione possibile, su quello che si sarebbe potuto fare se avessimo avuto anche noi la possibilità di uscire con la bella Romina. La maggioranza sogna di portarla a cena in un bel localino coi fiocchi, tipo Al Caminetto di Milano Marittima, altri avrebbero preferito risparmiare e stringere i tempi passando subito alla frutta.

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A un tratto, un urlo straziante interrompe i commenti, è un grido pazzesco, che scuote e fa tremare tutti di terrore! Guardiamo con attenzione, una donna sul ciglio della porta, a fianco della bottega, continua ad urlare, poi sbatte la porta e fugge via imprecando: «Ha detto che gli fanno schifoooo!» La stessa porta si riapre e sbuca fuori il vice commissario Raoul Romano Burnelli, sembra uno che le ha appena buscate. «Anna Lidia, torni indietro, ma venga qui. Ha capito male...» Il vice commissario abita proprio a pochi passi dalla bottega del barbiere, esattamente nella seconda porta a sinistra. Sembra veramente dispiaciuto: «Sono di nuovo da capo, porca miseria! Mi è scappata la domestica!» Disperato, Raoul sta per rientrare quando Enrico lo ferma: «Ra-raoul, cos’è successo?» Mortificato, risponde: «Oggi, dopo aver terminato il pranzo, la signora Anna Lidia si era messa a lavare i piatti e, mentre lei faceva i lavori, abbiamo cominciato a parlare. A un certo punto, mi ha chiesto se mi erano piaciuti i tortellini di oggi.» «E tu cosa hai risposto?» «Che non erano buoni come quelli fatti dalla mia mamma.» «Insomma, gli hai detto che ti facevano schifo...» «Nooo, nooo, non ho detto quello, ma lei, confusa e concitata, ha cominciato ad urlami nell’orecchio e non sono più riuscito a spiegarmi. Poi è successo quel che è successo, avete visto anche voi, è corsa fuori dalla porta con tutta la sua roba. E adesso cosa faccio?» Certo, diventava un bel problema trovare nuovamente una donna di servizio che andasse bene al vice commissario. Al

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solo pensiero di fare nuovamente la selezione c’era da picchiarsi nei maroni... Eravamo lì, desolati, quando, a un tratto, Corinno si illumina e dice a Raoul: «Ce l’ho io una persona veramente brava. Tu per quale squadra tifi?» Il vice commissario spalanca gli occhi: «Ma cosa c’entra?» «C’entra, c’entra. Non ti preoccupare... Allora, mi dici per quale squadra tifi?» «Sono milanista.» «Perfetto, con questa persona che andrò a presentarti, tu non devi mai parlare male della Juventus, e non esaltare il Milan, anzi non parlarne proprio! Fai sparire da casa bandiere, sciarpe e gagliardetti, ci siamo capiti?» I due si mettono d’accordo e fissano l’appuntamento con la nuova domestica per la settimana seguente. Tutto è risolto e la quiete sembra tornata nel paesello quando, all’improvviso, si materializza un uomo dalla figura diritta e severa, con la divisa delle Fiamme Gialle. Ci osserva negli occhi uno per uno, seriamente, senza dire una parola. Il barbiere, che sta già immaginando un nuovo verbale per qualche ricevuta fiscale non emessa, picchietta nervosamente le dita. Poi il suo volto si rasserena: ha ricordato che, nel pomeriggio, non ha ancora scalpato nessuno, ne è certo, per lui è tutto in regola. Il finanziere si avvicina al capo patologo, che è ancora in piedi vicino alla panchina su cui aveva appoggiato la sua bella cassetta di pere e, guardandolo fisso negli occhi, gli dice: «Chi ha comprato le pere?» Tura non fiata. Il finanziere, dopo un attimo di pausa per far crescere la suspense, continua: «Allora, chi di voi ha comprato le pere?»

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Noi tutti siamo allibiti, non capiamo quale atto ignobile possiamo aver compiuto con quella cassetta di pere e ci guardiamo negli occhi sbigottiti. La faccenda si fa dura quando, di nuovo, il finanziere indica la cassetta di pere del dottor Tura e ripete con tono arrabbiatissimo: «Allora!! Boia d’un mondo! Mi dite chi ha comprato queste pere? Sì o no?» Noi lo guardiamo con gli occhi fissi, senza fiatare, mentre il terrore comincia a serpeggiare nelle nostre anime, della serie: cos’è successo? E, per ingarbugliare ancora di più la situazione, ecco che arriva un secondo finanziere che dice all’altro: «L’abbiamo preso!» Un sorriso sarcastico spunta sul volto del severo controllore: «E allora, prima che il venditore di pere confessi, mi dite chi di voi le ha comprate?» Il capo patologo decide di fare l’agnello sacrificale e accenna con un filo di voce: «I-io.» Il finanziere non capisce da che parte arriva quella voce fievole e timorosa, così il dottor Tura ripete con un po’ più di voce: «I-io, le ho comprate i-io.» Il finanziere ribatte con una smorfia di incredulo disgusto: «Ah, lei è il dottore, il capo patologo...» «Sì, sì, sono io.» «E bravo, che bella figurina di emme abbiamo fatto, caro dottore!» Tura, a quel punto, prende coraggio e chiede con decisione: «Ma, mi scusi eh, abbia pazienza, ma vuole dirmi di cosa sono colpevole?» «Lei ha acquistato una cassetta di pere senza scontrino fiscale!» Una volta capito il conquibus, il dottore comincia a minimizzare: «Ma per cinque euro, era, anzi è solo una cassetta di pere, l’ho acquistata a fin di bene...»

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Il finanziere, che vuole mantenere le distanze, si accorge che il dottore comincia a ringalluzzirsi, così si rivolge a tutti noi, tanto per terrorizzare l’intero gruppo tenendolo saldamente in mano: «Ma voi con chi credete di parlare?» Il dottore capisce che, probabilmente, ha osato troppo: «Guardi, tenente, capitano, sergente, caporal maggiore...» «Sono appuntato, prego.» «Appunto, appuntato, ecco...» Il finanziere invita il dottore a seguirlo, è necessario verbalizzare l’accaduto. Si avvicinano all’auto e il finanziere comincia a segnare sopra ad un apposito modulo tutto ciò che il capo patologo gli dice. L’interrogatorio avviene sul ciglio della strada e attira l’attenzione nonché la curiosità di tutti i passanti, che guardano perplessi e blaterano. In una decina di minuti tutto è finito, il dottore ritorna affranto, ci guarda e dice: «Sapete da dove viene il venditore di pere?» «Da dove?» «Non è mica di Capri, è di Afragola! E non è mai neanche stato a Mirandola, ci ha preso per il c...»

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Sono spariti tutti! - Giovedì 4 ottobre, ore 8 Dopo un’abbondante colazione, il commissario Passerini esce di casa, con tanti buoni propositi: pensa già a una fermatina dal barbiere per leggere il giornale, poi andrà in Commissariato a compiere il proprio dovere. Ha però un sospetto, quasi una premonizione: oggi il destino lo porterà in un mare di guai e di rogne. Lo fiuta, e a dargli questa sensazione è il tempo, oggi nell’aria c’è un odore strano, quell’odorino di freddo umidiccio che entra nelle ossa e nel naso, no, non si preannuncia nulla di buono. Prima di mettere piede nella bottega del barbiere si guarda attorno alzando gli occhi al cielo, scrutandolo, decisamente oggi il tempo non gli piace proprio ed è sicuro che gli riserverà qualche sorpresa non graditissima, mah, starà a vedere... Afferra la maniglia della porta della bottega e la spalanca. La stanza è vuota, c’è solo Enrico che ha appena terminato le parole crociate, la sua grande passione, e sta per incominciare la vestizione col bianco grembiule. «Buongiorno Enrico, mi hanno raccontato cosa è successo martedì con le vostre pere...» Mentre Enrico sghignazza, il commissario afferra il Carlino e cerca di accomodarsi sopra alla poltroncina. In quel momento suona il cellulare: «Pronto.» «Commissario, sono Raoul, dovrebbe venire in Commissariato, è successa una vera tragedia!»

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Ne era certo, aveva appena fiutato la rogna! La giornata non prometteva niente di buono e questa telefonata ne è la conferma! «Ma cosa è successo? Me lo puoi dire?» Raoul ha la voce strozzata: «Ci sono i titolari della gelateria Ponti che... commissario, venga qui per piacere!» Cribbio! Raoul è sconvolto e non riesce a trattenere l’emozione. Il commissario è spiazzato: «Ma... Raoul, hai perso la favella? Va là che sei un bel soggetto! Adesso arrivo.» Passerini capisce che Raoul non è in grado di gestire la situazione che gli si è presentata davanti, è preoccupato e non riesce ad immaginare cosa possa essere accaduto di tanto grave da non riuscire nemmeno ad accennarne al telefono. «Enrico, devo andare, torno più tardi.» «Ciao, commissario, vai pure a salvare la città, ah ah!» Passerini ignora la provocazione ed esce velocemente, dirigendosi con passo marziale verso il 278 di via Mazzini. Arrivato in Commissariato, viene catapultato in un tafferuglio di imponenti proporzioni: lo aspettano, infatti, non solo i titolari della Gelateria Ponti, ma anche una schiera di commercianti di alimentari, tutti in rivolta. «Non capisco... ma cos’è tutto ‘sto casino? Bolognesi, falli star tranquilli, eh!» Il commissario chiede che parlino uno alla volta, ma nessuno lo ascolta e il caos è totale. Il Commissariato è in subbuglio, tutti gli agenti sono intenti a placare il nervosismo di quelle persone che, però, non demordono. Passerini cerca con lo sguardo i titolari della Gelateria Ponti e fa loro cenno di seguirlo. Poi li fa accomodare nel suo ufficio: «Prego, prego, Luisa e Valerio, dico bene?»

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I due annuiscono, li vede molto nervosi e apprensivi: «Allora, ditemi, cosa è successo?» Luisa parla per prima, gesticolando con la mano destra: «Commissario Passerotto, per me è...» Il commissario piega la testa da un lato, seccatissimo: «Passerini, mi chiamo Gianni Passerini!» «Mi scusi, commissario. Per me è uno scherzo, quello che ci è successo è sicuramente uno scherzo...» Passerini è sbalordito e resta a fissarla con gli occhi spalancati, in attesa di sapere l’accaduto, guardando speranzoso per cogliere qualcosa di più dalle loro labbra, poi sbotta: «Allora??!! Cosa è successo?» I due si guardano negli occhi, poi Valerio ribadisce: «Per noi è uno scherzo...» Il commissario è paziente, tutto sommato è davvero paziente, ma sta cominciando ad innervosirsi irrimediabilmente, vuole una risposta, sposta nervosamente le natiche sulla sedia, dal bordo destro si sposta su quello di sinistra e viceversa poi, guardandoli bene in faccia, sbotta: «Bene, ho capito che è stato uno scherzo. E che tipo di scherzo vi hanno fatto?» «Commissario, per me è uno scherzo di pessimo gusto...» Passerini, preso da una sorta di tic nervoso, fa salterellare la gamba destra, vorrebbe sentire almeno un piccolo cenno ai fatti che hanno determinato quella tragedia. Allunga la mano, strizzatina di baffi, concentrazione, poi domanda minacciosamente: «Allora?!!! Volete spiegarmi??!!!» Luisa e Valerio si guardano negli occhi e rispondono in coro: «Ci hanno rubato tutti i Pancesare! Ohi ohi, ohi noi!» Un salto sulla sedia, Passerini sta per cadere per terra, poi il suo viso si allunga, si storce, si deforma e, stupito, esclama: «Oh, porca puttana!!!»

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A voi lettori, forse, il fatto può sembrare non grave, e magari potreste anche scoppiare in una sonora risata, ma la vicenda è seria, serissima! E non pensate di essere in una scena di un film di Lino Banfi, perché sarebbe stato «Porca puttanola!», invece qui l’affermazione imprecatoria è proprio «Porca puttana», perché questa è la più grande tragedia che abbia mai colpito il mondo dolciario molinellese. Decisamente, è una cosa che non si può credere, rubati tutti i Pancesare della gelateria Ponti!! Passerini, serissimo e assorto nei mille pensieri che lo assalgono, replica: «È uno scherzo!» Luisa e Valerio lo guardano incalzando: «E noi, commissario, cosa le abbiamo detto...?» Poi continuano: «Ma la cosa più strana, commissario, è che li hanno rubati da tutti i negozi ai quali noi li abbiamo venduti!» «Oh, porca puttana! Non mi vorrete dire che tutte quelle persone che sono lì fuori hanno subito il furto dei Pancesare?! La situazione allora si complica, credo proprio non sia stato uno scherzo.» Il commissario è in fibrillazione e alza il telefono che si trova sopra alla sua scrivania: «Osti, venga nel mio ufficio, in fretta, muova con destrezza i suoi gambini storti, grazie.» Il silenzio regna nell’ufficio. Tutti sono pensierosi e cercano di immaginare chi avrebbe potuto commettere un tale colpo. Nuovamente Passerini alza il telefono: «Raoul, vieni qui nel mio ufficio.» Dopo pochi secondi si sente toc-toc, «Avanti», Osti e Raoul entrano in fila come le oche. «Siamo qui, commissario.»

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«Bene. Raoul, ti sei fatto un’idea su chi può avere combinato questo guaio?» «Sì, commissario, io ne sono sicuro! So chi è stato!» Passerini è esterrefatto per la sicurezza di Raoul: «E chi sarebbe?» Anche Luisa e Valerio si girano verso il vice commissario e attendono famelici la risposta. «Sono stati certamente quelli della Congrega della torta di tagliatelline.» «La Congrega? E a che scopo?» «Biznes, commissario, solo per biznes, per ricavarne baiocchi, i baiùch!» «Cioè...?» «Una strategia attenta e studiata nei minimi particolari. E questo per fare sparire dal mercato, in vista delle festività di Natale, tutto il Pancesare. In tal modo, potranno distribuire e vendere le torte di tagliatelline.» «Ad inizio ottobre...?» Raoul ha la sua tipica faccia volpina: «Chi prima arriva meglio alloggia, commissario!» Passerini comincia a parlare e, con tono compunto, spiega che, secondo lui, sono sicuramente stati piccoli ladri di mezza tacca. Luisa e Valerio intervengono: «Se il piano era quello di metterci in difficoltà, ci sono riusciti. Sa quanto tempo occorre per poter rifornire tutti i nostri rivenditori?» «Quindi, anche voi non escludete che la Congrega possa averci messo lo zampino, eh?» Certo poteva sembrare un colpo basso, probabilmente pianificato da tempo, il commissario comincia impartire ordini a Raoul e a Osti. Raccomanda ad entrambi di informare subito Vogli della scientifica e di inviare anche Grassi, af-

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finché possa fotografare i locali in cui sono avvenuti i furti. Spiega che dovranno rilevare eventuali impronte nel laboratorio della Gelateria Ponti, poi dovranno fare il giro di tutti i commercianti derubati per cercare indizi e tracce tra gli scaffali ormai vuoti. Servono immediatamente le prove che possano portare a quelli della Congrega, senza prove è impossibile poterli accusare. Infine, è necessario chiamare in Commissariato il presidente della Congrega. «Raoul, chi è il nuovo presidente della Congrega?» «Le voci dicevano che sarebbe dovuto diventare presidente della Congrega il capo patologo, il dottor Tura. Ma pare che il commissario Pietro Brini, ritirandosi in pensione, abbia pensato bene di fargli le scarpe. Per cui il presidente è sempre lui.» «Chi? Pietro Brini?» «Sì, commissario.» «Soccmel! C’dù maròn! Semper lò, oh! Sempre lui fra i piedi... Mo boia!» Un commento, questo, davvero inequivocabile e che – se ce ne fosse stato bisogno – amplifica ulteriormente la dimensione dello scarso apprezzamento che Passerini ha nei confronti di Brini. Ma poi, nella sua mente raffinatamente satanica, ecco che si concretizza un’idea meravigliosa... Infatti, pensandoci bene, quale occasione migliore per poter tritare sotto interrogatorio il rivale di sempre? Wow, è euforico! «Osti, portami qui l’ex commissario Pietro Brini, ma con le buone, eh... Lo trovi sicuramente alla Rosticceria Cinzia, dove ha sede la sua Scuola di cucina. Ah, digli solo che gli devo parlare.» «Agli oodini, commissaiio.», Osti non ha mai avuto la erre, si sa, per questo parla come uno zulù.

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Tutti partono per le loro missioni, mentre Luisa e Valerio se ne tornano nella gelateria per seguire da vicino le operazioni della Scientifica. Ovviamente, in cuor loro sperano di poter ricominciare al più presto a rimpastare ingredienti per i nuovi Pancesare, chissà... Per il commissario è scattato il conto alla rovescia! Che impresa ritrovare tutti quei Pancesare prima delle feste natalizie... Chissà dove diavolo saranno finiti? E quale organizzazione titanica è stata messa in moto per farli sparire tutti in una notte, mah, che rompicapo! Passerini ripensa alla sua prima considerazione e capisce di aver fatto un errore: non potevano sicuramente essere stati dei semplici ladri di mezza tacca, il furto è stato organizzato troppo bene. Erano infatti spariti quintali di marmellata, uva sultanina, cioccolato al latte, farina, scorza d’arancio, miele millefiori e tanto zucchero semolato, tutto amalgamato molto bene nei famosi Pancesare o panoni che dir si voglia, e tutto quel ben di Dio si è volatilizzato in una notte, senza lasciare un minimo indizio! Ma perché rubare tutto quel po-po di roba? E per farne cosa? Mangiarselo tutto? Chissà che pandemonio intestinale, ah ah, zuzzerellone il commissario, sta visualizzando i ladri piegati in due sul water... ah ah!! Una cosa comunque è certa: anche Passerini, adesso, propende per una operazione della concorrenza affinché, una volta spariti tutti i panoni, la via sia sgombra per chi deve vendere migliaia di torte di tagliatelline, la logica non fa una piega. Mentre sta pensando, qualcuno bussa alla porta, toc toc, «Avanti», risponde il commissario con voce decisa e squillante.

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«Se non sono io a venirti a trovare, tu non ti fai proprio vivo, eh?» «Uh uh, vèe, Santo Merendino, che sorpresa, accomodati, si parlava di dolce merenda e appari tu, è un po’ che non ti si vede!» «Sai, con questa crisi devo correre il doppio per poi accontentarmi di guadagnare la metà...» «Ma dai!! Tranquillizzati un po’, non vorrai mica diventare più ricco del Berlusca, eh?» «Magari!» Dopo una stretta di mano amichevole e una pacca sulla spalla, il commissario non può non raccontarmi l’accaduto. «Merendino, è successo un disastro...» «Quale disastro?» «Nella notte hanno rubato tutti i Pancesare in circolazione!» «Adesso capisco la marea di commercianti che se ne stava uscendo dal Commissariato con certe facce imbufalite...» Passerini mi spiega che i sospetti ricadono sul presidente della Congrega della torta di tagliatelline, cioè Pietro Brini. «Ma hai delle prove?» «No, purtroppo, ho solo dei sospetti, comunque l’ho convocato in via del tutto informale, senza dirgli esattamente per cosa devo interrogarlo.» «Hai già visionato la scena del crimine?» «No, anzi, vieni con me.» Il commissario afferra il cappotto con gli alamari, che è appeso all’attaccapanni dietro di lui, si gira la sciarpa attorno al collo e infila velocemente un cappellino cerato in testa. «Andiamo, sono pronto.» Tutti imbottiti, ci incamminiamo per la strada, percorrendo a piedi via Mazzini con passo bello veloce. È impossibile

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non discutere sulla antica e gloriosa storia del famoso panone, così Passerini comincia a ripercorrere la storia della Gelateria Ponti, che in estate è una vera gelateria e in inverno produce il famoso Pancesare. Poi si lascia andare ai ricordi della sua gioventù e vagheggia quel fantastico gelato di tuttobiancofiore, come lo chiamavano a quei tempi, una fantastica prelibatezza che, negli anni Sessanta, era il vero gelato, l’unico e inimitabile gusto tuttobiancofiore, pronunciato così, tutto d’un fiato. Poi accenna ai giovani di oggi, che di quel gelato non hanno mai sentito parlare anche se, pochi lo sanno, è niente di meno che l’antenato dell’attuale gusto fiordilatte. Ed è con malcelata commozione che ricorda quando, da bambino, con 50 lire e qualche sorriso, riusciva a farsi dare la cestina grande, quella da 100 lire, che pacchia per il piccolo Passerini! Poi i pensieri vanno al panone e mi racconta del profumo che si respirava girando per il paese in prossimità delle feste natalizie. L’aria di Molinella era profumatissima e ovunque si respirava l’aroma che proveniva dalla cottura dei dolci tipici della ricorrenza e che non lasciavano scampo alla linea, come anche oggi, naturalmente. Quei momenti di festa erano ricchi, opulenti e golosi, fatti di spongate, torte di tagliatelline, panoni e torroni che si sfidavano a colpi di frutta secca e miele, mentre pandori e panettoni si contendevano il primato a suon di burro. Il panone era nato come dolce povero delle campagne bolognesi, il nome stesso dà già l’idea del pane sostanzioso che, nel suo impasto, accoglie tutto ciò che costituisce una tentazione dolce: dai canditi alle noci, dal cacao alla marmellata.

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La tradizione vuole che sia fatto con ingredienti semplici, quelli che si potevano trovare facilmente nelle terre contadine, in misura diversa di volta in volta a seconda della disponibilità in dispensa. Una sorta di risposta al più cittadino certosino, maggiormente diffuso nella città di Bologna. Il commissario rispolvera tutto il suo sapere culinario. E mi continua a riempire le orecchie di fantastiche notizie. Racconta che le donne, una volta preparati i vari impasti dei panoni, si ritrovavano al forno del paese per un’infornata comune dopo che il panettiere aveva cotto il pane. Nel paese il forno preferito era quello di Martelli, Onofrio Martelli. Poi racconta che il vero genio che sfruttò la ricetta di una vecchia nonna è stato Cesare Ponti Sgargi, da qui il nome del famoso Pancesare, che iniziò a produrre nel 1913. Lui, conosciuto come Zizaròn, era nato nel 1882 e morto nel 1958, poi Arrigo e Arnaldo, i figli, proseguirono la tradizione, purtroppo il fratello Arnaldo morì giovane, a soli 27 anni. Arrigo era talmente appassionato al suo lavoro che decise di ampliare la produzione del Pancesare che, fino agli anni Ottanta, ha continuato ad essere cotto nel forno di proprietà degli eredi Martelli, esattamente di Pipetto Martelli. Il forno di Pipetto ora non c’è più, si trovava nella parte posteriore, dove adesso si trova la parte più nuova della farmacia Sgarbi. Passerini è lanciato, non si tiene più! Parla, racconta, illustra, narra... E ha anche gli occhi lucidi, sarà la commozione! Ricorda che il fornaio a volte teneva i panettoni troppo a lungo nel forno, così ovviamente si bruciavano, e fu proprio lì che l’estro creativo di Cesare diede il meglio di sé stesso! Infatti, per non buttarli, li trasformò nei Brusadelli. E pare che riuscisse a venderli sempre tutti ad un commerciante di Modena.

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Oggi sono gli eredi della gelateria Ponti, cioè Luisa e Valerio, che continuano l’attività di famiglia. Fra il passo veloce con cui abbiamo camminato e le belle storie del commissario, ci ritroviamo in un battibaleno davanti al laboratorio Ponti. Vediamo Giorgio Grassi, impegnato con fulmini di flash a catturare le immagini del... deserto di panoni. Gli scaffali d’acciaio sono completamenti vuoti e ad ogni flash sembrano brillare tristemente. «Buongiorno commissario, salve Merendino.» «Certo che qui dentro non c’è rimasto molto da fotografare...» «Sembra anche a me!» All’interno del laboratorio arriva anche Vogli della Scientifica. «Dottor Vogli, voi della Scientifica avete trovato qualcosa?» «No, commissario, questi sono dei veri professionisti, hanno aperto la serratura senza forzarla e non hanno lasciato la minima impronta. Specialisti, veri professionisti.» «Degli specialisti che si mettono a rubare del Pancesare, siamo messi bene!!» Alcuni dipendenti della gelateria stanno sistemando dei sacchi appena scaricati da un corriere. Una bella ragazza mora è intenta a riporli nell’adiacente magazzino, dove i rilievi sono già stati fatti. I suoi occhi incrociano quelli del commissario, sulle sue labbra appare un sorriso, Passerini è lusingato e ricambia la cortesia. Anche a me la ragazza piace, molto. Sto già pensando come attaccare bottone ma quel guastafeste del commissario ha altri progetti: «Merendino, sarà meglio andare, lasciamo qui chi deve lavorare.» Ciao bella ragazza mora, forse torno...

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