DAVIDE VICARI
IL DRAGO DI DIHUK Romanzo
Minerva Edizioni
IL DRAGO DI DIHUK
Davide Vicari
Direttore editoriale: Roberto Mugavero Editor: Giacomo Battara Impaginazione: Minerva Soluzioni Editoriali © Immagine di copertina: Enrico Abenavoli © 2012 Minerva Soluzioni Editoriali srl – Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge. ISBN: 978-88-7381-481-8 I nomi, i personaggi e le situazioni raccontati di seguito sono di pura fantasia e non hanno riferimenti a persone o fatti reali, ad eccezione, ovviamente, dei rinvii ai personaggi storici e alle vicende reali quali le guerre che si sono succedute in Mesopotamia, oggi Iraq. Potete contattare l’autore all’indirizzo di posta elettronica: leonida2004@libero.it Finito di stampare nel mese di Novembre 2012 per conto della Minerva Edizioni - Bologna
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..Il Signore è giusto e mette l’empio alla prova, e chi ama la violenza detesta l’anima Sua. Farà piovere sugli empi carboni accesi: fuoco e zolfo e vento infuocato saranno la parte del calice loro...” (SALMO 11 versi 5 e 6 “LA BIBBIA” Libreria Editrice Fiorentina 1968)
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CAPITOLO 1 Il gatto sbarrò lo sguardo, assumendo un’espressione tra lo sbalordito e il preoccupato. Sembrava pensasse: che cosa sta facendo, questo?, e intanto allungava il naso a inseguire l’aria, a baffi ritti. L’uomo sollevò il pesante vaso fiorito, rovesciato dal vento, riposizionandolo dentro al suo piatto. Ruotò lentamente il capo per osservare l’ampio terrazzo. Incrociò lo sbigottito felino che lo puntava per niente rassicurato, accovacciato sull’ultimo gradino della scala in marmo che portava nel giardino. «Faccia da matto», disse sorridendo, «o lo pensi tu di me»? I gatti gli piacevano molto: lo rallegrava la loro bizzarria, lo incuriosiva la loro indifferenza, lo divertiva la smaccata alterigia con cui comunicavano le loro preferenze. Si avvicinò, ma l’altro, fiutato un incontro che non lo interessava, girò rapidamente i tacchi pelosi svanendo tra gli alberi. L’uomo si fermò, detergendosi il sudore dalla fronte con un fazzoletto di carta. Che caldo, biascicò, sempre peggio… Controllò la camicia che sembrava asciutta, recuperò la giacca, appoggiata ad una panchina e discese le scale basse per raggiungere il garage. Salito in macchina accese l’aria condizionata; in quel momento squillò il cellulare. «Buongiorno Nico. Dovremmo vederci». «Oggi»? 5
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«Presto». «Dove»? «Qui, in ufficio. Alle tre»? «Dovrei farcela. Prenderò il primo treno». «Bene. Alle tre». Nico spense il motore. Uscì dall’auto, chiuse il garage e si diresse all’inizio della rampa. Da lì guadagnò la strada maestra dove ingaggiò un taxi per raggiungere la stazione.
CAPITOLO 2 Roma è una bella città, ma avrebbe potuto essere Grozny per l’interesse che Nico manifestò nell’attraversarla. Non vedeva i monumenti né le ampie strade: il baccano dei passanti era attutito dall’abitacolo chiuso dell’auto di piazza che lo trasportava all’appuntamento. Il conducente taceva, contravvenendo al vetusto luogo comune. Nico confermò il suo apprezzamento con un generoso arrotondamento della tariffa. L’ufficio era anonimo, ma ben controllato. L’atletico portiere all’ingresso gli sorrise. «Documenti», disse scherzando, poi «benvenuto Signore, la aspettano al solito posto». Nico entrò nell’atrio, fece una smorfia ad uso telecamere – per ravvivare il film – , diceva, scambiò un cenno con due robusti giovanotti, quasi lì per caso, e poi prese l’ascensore 6
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fino al penultimo piano, stanza quattro. Entrò senza bussare e chiuse la porta. «Buongiorno Nico. Avrei preferito che si annunciasse». «Sono le tre esatte. Non mi piace essere in ritardo». «La prossima volta il tempo scatta quando le nocche incontrano il legno. Chiaro»? «Forse. Comunque farò sempre – e pesò quel sempre – come mi va». «Vede Nico non si tratta di disciplina, ma di educazione. Non esigo un comportamento marziale, ma civile». «Sa che cosa non sopporto di lei? Questi formalismi idioti, ipocrisie prive di senso. Devo bussare se entro nella stanza dove mi aspetta qualcuno da interrogare, o a cui far saltare le cervella?Devo bussare se entro al cesso»? «Sarebbe opportuno, potrebbe essere occupato. Lasciamo perdere, abbiamo già perso tempo inutilmente. Si sieda, devo dirle cose importanti». Nico si sedette guardandolo fisso in faccia. «Sentiamo». «È successo due giorni fa, i giornali non ne hanno ancora scritto ma lo faranno presto». In Iraq, a Dihuk, al nord, zona curda, hanno visto un drago. Nico non si scompose. «Pare sia vero, una bestia grossa, tre o quattro buoi messi insieme, come dimensione. Non mi faccia la solita domanda cretina, se ha le ali o no. Di ali non hanno parlato. Hanno detto che ha divorato bestiame spicciolo, ma anche insetti. Gli indigeni dicono di averlo visto, e filmato. 7
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L’hanno pure inseguito, ma quello è scappato, si è infilato in una grotta ed è sparito. La loro Università, quella del posto, ha avallato le immagini, le hanno spedite in Europa». «L’Università»? «Lì ce n’è una, gente seria. Qui stanno controllando e le immagini sembrano pulite. Tutto vero». «Bene, non lo metto in dubbio. Io che cosa debbo fare»? «Andare là e indagare. Possono esserci problemi seri. Le tribù dei dintorni parlano di un segno, e i segni sono sempre un problema. Rivolte, messia, eccetera. Guarda gli ebrei che cosa hanno combinato con i segni». «Anche gli altri, se è per questo. Il suo omonimo, Costantino, si è preso un impero». «Già. Molto acuto». «L’ impiccio è degli americani. Perché non ci pensano loro»? «Preferiscono non intervenire. Qualche generale ha già proposto una ricetta a base di marines e bazooka, ma farebbe troppo strepito. La zona adesso è tranquilla: meglio non farli sentire sudditi di qualcuno. Gli americani fanno sempre troppo chiasso: se sbudellano il mostro lo esibiscono, radio, televisioni, giornali... I curdi potrebbero gradire poco, dobbiamo capire come considerano il drago. Se lo vedono come un bene o come un male... Intendiamoci, ci credo poco a questa faccenda, ma mi preoccupano le conseguenze». «Quindi»? «Quindi due uomini, massimo tre, decida lei. Anonimi, silenziosi, allenati. Scoprite che cosa c’è dietro, se c’è qualcosa dietro. 8
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Eliminate il drago, o quello che c’è sotto, fatelo sparire. Non se ne deve parlare più». «Non ha detto che non se ne è parlato affatto»? «Per adesso, ma la notizia uscirà a breve, non siamo riusciti ad impedirlo. Però sarà cosa di un giorno, massimo due». «E la stampa indipendente»? «Non esiste stampa indipendente». «Edificante. Due è il numero giusto». «Tre è il numero perfetto». «La perfezione non è di questo mondo. Due. Posso scegliere l’altro»? «Già fatto. È Hermann. È già partito». «Il bagnino di Goebbels. L’ideale per essere in incognito». «È un ottimo elemento. La sua ironia è fuori luogo». «Alto, biondo, glaucopide, tedesco: sembra la reclame del perfetto ariano. Ah, gran nuotatore: direi che ha tutte le qualità necessarie per andare in un posto dove non c’è una goccia d’acqua, gli abitanti sono scuri e quasi sempre piccoli e in più non si vuole attirare l’attenzione». «Intanto è altoatesino, poi conosce le lingue mediorientali. Non dovrete fingervi indigeni, sarete due europei e non dovrete nasconderlo. Inoltre le idee politiche del suo compagno sono apprezzate dai nostri contatti». «A chi dobbiamo far capo»? «Il vostro riferimento si chiama Houzo, Ahmed Houzo. È un leader della zona. È disposto a collaborare». «Per motivi prettamente ideologici, scommetto». 9
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«Per il solito motivo, quello che dà l’indipendenza». «Capisco. Quando parto e dove trovo il bagnino»? «Subito. Il suo bagaglio è all’ingresso, col biglietto aereo, i suoi documenti, le istruzioni e due satellitari. Vi incontrerete a Baghdad, all’albergo...». «D’accordo. Arrivederci».
CAPITOLO 3 L’aereo decollò la mattina successiva. Nico chiese i giornali alla hostess. Il Corriere della sera era stato tempestivo. 17 giugno 2008: «L’università di Dihuk giudica attendibili le immagini, inviate in GB e Germania» Iraq: avvistato un «drago» Visto e filmato nel Kurdistan un animale lungo 4 metri che ricorda gli animali delle fiabe DIHUK (IRAQ) – Carri armati, missili, blindati sì. Ma un drago in Iraq non si era ancora mai visto. Sino a qualche giorno fa. Quando l’avvistamento di un animale di una specie finora sconosciuta nel Kurdistan iraqeno ha suscitato grande clamore. Come riferisce l’agenzia locale «Voci dell’Iraq», all’inizio della settimana un gruppo di abitanti della città curda di Dihuk si è imbattuto per caso in un animale lungo circa quattro metri. RIPRESE – Il vice rettore dell’università locale, Hussein Amin, che ha preso visione delle riprese realizzate dai testimoni, spiega 10
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che l’animale «ha una forma simile a quello che potremmo definire un drago» e azzarda l’ipotesi che la creatura abbia almeno cento anni. I testimoni parlano di un animale che non assomiglia a nessuna delle specie conosciute e che si nutre di rettili e insetti. Per saperne di più, gli studiosi dell’università di Dihuk, che si trova 460 chilometri a nord di Bagdad, hanno inviato tutta la documentazione in loro possesso a due centri di ricerca in Gran Bretagna e Germania. Lesse il trafiletto tre volte, poi lo ritagliò per conservarlo. Con quello, sospettava, la stampa occidentale avrebbe sepolto l’informazione.
CAPITOLO 4 Quando si entra nell’Organizzazione, o l’Agenzia, come tutti la chiamiamo, si prende un nome d’arte. Come quando si prendono i voti, o si andava tra i partigiani o nella Legione Straniera. Nico si chiama Enrico Rossi, così come Costantino e Hermann sono stati battezzati altrimenti. Ha scelto Nico ma aveva proposto Copernico, la Chiesa Cattolica l’ha da sempre in uggia. «Copernico, perché non Galileo? Ragazzo, più semplicità. Nico, ecco Nico va bene». L’Agenzia ti fa scegliere se scegli quello che le sta bene. Il cognome lo sceglie lei, te ne affibbia uno tutte le volte che parti in missione e non è quasi mai lo stesso. 11
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L’Agenzia è in Occidente, ha varie sedi, formalmente è un ente privato, ma non la trovi sull’elenco telefonico. Tutela il mondo civile che non vuole rinunciare a mantenere la propria supremazia economica. Per farlo deve sfruttare le risorse di tutti gli altri Paesi: diffondendo la democrazia, un po’ alla volta, ci si arriva. Si può dire che l’Agenzia sia molto vicina ai Governi, democratici s’intende, e che chi lavora per lei sia un missionario. Sempre in giro a portare il bene dove ce n’è bisogno, anche a costo di imporlo. Il bene è bene, che diamine. Un missionario sui generis, però, con molte licenze e un imperativo: il fine giustifica i mezzi. Il fine, ovvero l’incarico, va portato a termine. Senza discutere. Nico pensa poco e non si dà gran peso. Ecco perché rimane a lavorare per loro, non dice mai no, rischia la pelle senza sapere che cosa dovrà fare il giorno dopo. Nico è fedele all’Agenzia, è un soldato scelto. O forse non se ne va perché non sa fare altro e la paga è buona. E uccidere non è così male. Soprattutto quando lo fai con la coscienza a posto.
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CAPITOLO 5 Baghdad è zona di guerra. Ovunque posti di blocco, macerie, squallore. La gente guarda indifferente o torva, con millenaria esperienza. Sumeri, babilonesi, assiri, medi, persiani, greci, arabi, inglesi, americani si sono succeduti su queste terre. Se hanno sopportato gli assiri, pensò Nico, che andavano avanti mutilando, impalando e bruciando, questi devono sembrargli uno scherzo. Di cattivo gusto, forse, ma meglio di quello che combinavano, venendo all’oggi, Saddam e i suoi. L’ albergo è in zona protetta, si ha una aspettativa di sicurezza. Nico congedò il taxi e, afferrato il bagaglio, entrò in una hall formicolante di occidentali. Hermann, come prevedeva, era seduto ad un tavolino del bar, dove sgranava occhi e sorrisi ad una pettoruta soldatessa yankee. Nico li squadrò, cercando velocemente un modo per fare allontanare la donna. Quella lo precedette, alzandosi dopo uno sguardo all’orologio che portava al polso. Si chinò su Hermann e lo baciò con dolce rapidità infilandosi una borsa a tracolla per poi dileguarsi verso l’uscita. Hermann, che gli dava le spalle di tre quarti, gli fece un cenno. «Vieni Nico, siediti». Nico lo stava già facendo. «Come mi hai visto»? 13
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«Con quelli» rispose l’altro, indicando dei Ray-ban a specchio appoggiati di fronte, all’estremità del tavolo. «Quando non sono con la schiena contro il muro cerco di prendere delle precauzioni». «Peccato che non esistessero ai tempi di Hickok» disse Nico. «Hitchcock»? «Wild Bill Hickok, pistolero e sceriffo, giocatore d’azzardo, ucciso alle spalle durante una partita a poker nel Far West. Vuoi sapere l’anno»? «No, che carte aveva»? «Doppia otto e jack, tutti neri». «È per quello che si chiama la mano del morto»? «Già». «Vuoi bere qualcosa»? «No, grazie. Chi è quella»? «È un capitano americano, ieri mi ha consegnato dei documenti». «E oggi»? «Poveretta è sola, lontano da casa, dal marito...». «Capisco. «Abbiamo parlato un po’…». «Mi immagino». «Hai letto le istruzioni»? «Sì, dobbiamo andare al nord e prendere contatto con un tale». «Esatto, una persona di spicco del clan dominante, nella zona di Dihuk». «Ritengo che andarci non sarà semplice». «Ho preso accordi. Ci aggreghiamo ad una colonna ame14
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ricana fino alla periferia di Kirkuk, poi facciamo da soli. A Kirkuk cambiamo mezzo e andiamo con due indigeni che dovrebbero avere via libera, speriamo…» «Quando partiamo»? «Domattina alle sei. Vuoi mangiare qualcosa»? «No, sono stanco. L’acqua funziona»? «Sì». «Vado in camera a fare una doccia e a studiare le carte. Portami due panini e qualcosa da bere quando sali». «D’accordo. La stanza è a mio nome». «Come sei registrato»? «Hermann Hesse». «Non Goering»? «Costantino ha il dono dell’umorismo, non della provocazione. E tu»? «Si vede che l’ha riservato a me. Nico Della Mirandola». «Ma non era Pico»? «Già».
CAPITOLO 6 Quando in un Paese fa un caldo asfissiante all’alba, il buongiorno si vede senz’altro dal mattino. La colonna americana partì puntuale ed arrivò senza intoppi a destinazione. I soldati scesero in una piazzetta di un sobborgo, luogo sicuro e presidiato da loro commilitoni, per rinfrescarsi in qual15
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che modo nei posti di ristoro che si affacciavano su quello spiazzo disgraziato. I due missionari, vestiti come iraqeni occidentalizzati e con un piccolo turbante in testa, si confusero tra la folla che si stava avvicinando per vendere qualcosa. Avevano lasciato i trolley a Baghdad e portavano piccoli zaini assai maneggevoli. «Non è pericoloso, per loro, mescolarsi alla gente»? «Anche per noi, se per questo. Fa parte del piano, è un rischio calcolato. Ci consente di sparire meglio». «Dove andiamo»? «Qua dietro, ecco, sono lì». Un arabo barbuto si avvicinò e li salutò nella sua lingua. Hermann rispose con una lunga frase e l’altro sorrise stringendogli la mano. Poi li invitò a salire su una jeep a quattro porte, uno a fianco e uno dietro al guidatore, un altro indigeno li guardò senza parlare. «Gente a posto» disse Nico. «Già» confermò Hermann «ci mettono a ics per farci capire che non vogliono farci accoppare». «Che cosa vi siete detti»? «Convenevoli». «Avrai detto qualche stupidaggine sugli ebrei». «Non ho niente contro gli ebrei, che tu ci creda o no, però qualche facezia sull’argomento li fa sempre sorridere e sgombra il campo da malintesi. Non vorrei che ci credessero americani: per loro sono tutti ebrei, a parte i neri. 16
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E loro con gli ebrei spesso ce l’hanno». «L’esperto sei tu». «Meglio tacere. Loro pensano che chi parla sempre sia giudeo».
CAPITOLO 7 La strada si snodava tranquilla, alternando tratti asfaltati a piste sterrate. Il conducente disse qualcosa. «Siamo quasi arrivati Nico. Sì e no ancora un’ora». Rumori secchi tagliarono la frase. Il guidatore si accasciò sul volante, poi si riprese un attimo, rallentando e infine sterzando a ridosso di una gobba sabbiosa. L’auto si fermò contro di essa e gli occupanti uscirono dalla parte destra, molto celermente. Tutti tranne chi li aveva portati fin lì che rimase immobile e sanguinante adagiato al suo posto. «Un agguato» disse Nico, «come state»? «Io bene, lui no», rispose il compagno. L’altro arabo si teneva le mani sul ventre e masticava parole sibilanti. «Sta maledicendo i suoi assassini. Adesso ha cominciato a pregare». Gli uomini avevano trovato rifugio in un fosso piuttosto ampio, dal quale, senza essere visti, potevano scivolare dietro un ondulato muro di sabbia. «Spostiamoci là, diglielo. Poi io andrò a destra e tu a sinistra, per accerchiarli. Lui resterà qui, sparando qualche colpo, se riesce». 17
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«Sì, ma con che cosa? Abbiamo lasciato le armi nel baule e...». Nico aprì il suo zaino, dal quale estrasse tre pistole, due Beretta, una Luger e altrettanti caricatori. Le distribuì mentre Hermann spiegava l’idea al ferito, il quale fece rapidi cenni d’assenso. Qualche colpo era stato esploso, ma erano ormai passati parecchi minuti silenziosi. «Devono restare fermi». Nico sparò due volte verso le dune antistanti e fu ricambiato da raffiche rabbiose. «Sono due», disse Hermann. «Lo penso anch’io. Andiamo». Mentre il loro compagno sparava con calma saltuarie pistolettate, i due, al riparo del fosso e in direzioni opposte, iniziarono la manovra d’accerchiamento. Hermann procedeva spedito, scivolando sulla sabbia sull’entusiasmo dei suoi trent’anni. Nico era più cauto, rapido ma estremamente attento a non mostrare alcuna parte di sé, perché sapeva che, nonostante il buio fosse ormai calato, i suoi assalitori erano probabilmente forniti di mirini a raggi infrarossi coi quali la notte è svelata. Hermann aveva percorso un centinaio di metri. Decise di attraversare la strada per raggiungere il lato opposto e inerpicarsi verso il nemico. Si issò sul ciglio e corse il più velocemente e silenziosamente possibile, raggiungendo in un attimo l’obiettivo. Si fermò per deglutire e riprendersi, poi si mosse verso gli assalitori. 18
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Nico era stato più fortunato; dopo una sessantina di metri la strada faceva una svolta a destra, superata la quale quasi si trovò a tu per tu con i nemici. Hermann aveva estratto la sua arma ed era pronto ad uccidere. Un’ombra si levò a venti metri da lui e sparò in direzione dell’auto. L’uomo rimase sfacciatamente in piedi e disse nel buio: «Non hanno più munizioni, o sono morti. Andiamo a prenderci le loro cose». «Attento» rispose una voce gutturale, «i cani sono furbi. Giriamo attorno». «No, sono morti. Ne era rimasto uno solo, ne sono sicuro». «Fratello» rispose l’altro alzandosi «la...». In quel momento la Luger di Hermann sparò, e la frase rimase tronca. L’uomo che stava parlando urlò, portandosi una mano alla spalla. Hermann continuò a premere il grilletto, ma il caricatore si era inceppato e non gli permetteva alcuna soddisfazione. Si tuffò dietro un grosso masso, appena in tempo per sfuggire a una gragnuola di colpi. «Il cane ha finito le munizioni! Andiamo a ucciderlo»! Due figure si mossero verso la sua direzione, la prima imbracciando il fucile con un ghigno soddisfatto, la seconda tenendo l’arma con la sinistra, e mormorando parole cariche di odio. Due colpi improvvisi fecero esplodere le loro due teste. 19
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Come cocomeri: schizzi rossi, bianchi e giallastri che imporporarono e sporcarono lo spazio circostante. «Puoi uscire Hermann. Gli amici se ne sono andati». Hermann si sporse un poco, poi si rizzò in piedi. Dove prima c’erano i due nemici, adesso stava Nico, che spostava col piede prima l’uno e poi l’altro, per accertarsi che non stessero ancora al mondo. «Alla testa, sempre. È l’unico modo per stare tranquilli». «Grazie. Direi che mi hai salvato». «Dovere, tu avresti fatto lo stesso. Riesci a capire chi sono»? Hermann rovesciò i cadaveri, li frugò e si rialzò. «Non hanno segni distintivi, probabilmente sono ladri. Non appartengono a clan importanti, o almeno non lo esibiscono». «Andiamo a vedere se hanno un’auto e se erano in compagnia». Discesero con cautela il pendio. All’imbocco con una strada secondaria trovarono un vecchio fuoristrada giapponese, con le chiavi nel cruscotto. «Tu vuo’ fa’ l’ammericano, ammericano...» canticchiò Nico, mentre Hermann guardava intorno per scoprire eventuali minacce. «Prendiamola e torniamo sulla via principale. Riprenditi la tua Luger, per poco non ci lascio la pelle» disse Hermann. Nico esaminò la pistola e, verificato che il caricatore era inceppato, lo spinse col dito verso l’alto, poi armeggiò con cautela e infine lo estrasse. «Adesso dovrebbe essere a posto». «Preferisco usare qualcos’altro. Raggiungiamo la nostra macchina». 20
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Quando tornarono sul luogo dell’agguato si fecero anticipare da un roboante annuncio che informava l’arabo ferito che erano loro e che avevano eliminato gli assalitori. Procedettero ugualmente con cautela, non avendo ricevuto nessuna risposta. Trovarono la loro guida riversa, senza più vita. «Poveraccio», disse Nico. «Già». Presero lo zaino di Hermann e anche il resto del bagaglio che caricarono sulla macchina requisita e imboccarono la strada maestra. Un chilometro prima di Dihuk si fermarono e abbandonarono il fuoristrada dietro a un dosso. Da lì proseguirono a piedi.
CAPITOLO 8 Dihuk o Dahuk o Dohuk, centro principale dell’omonima regione autonoma, è una città posta a ridosso del confine con la Turchia, ed è abitata in prevalenza dall’etnia curda. Cerca d’essere moderna con risultati poco soddisfacenti nonostante l’autostrada, la buona Università locale e i colorati edifici che strizzano l’occhio all’Occidente, come il supermarket Mazi Mart. L’istruzione a buon livello è, oltre alla ricchezza di materie prime, il biglietto da visita del territorio curdo: vi sono ottime Università anche a Irbil e Mosul. 21
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La caratteristica principale degli abitanti di Dohuk è l’alta percentuale di nomadi che lì vive, o meglio si accampa con frequenza, aumentandone temporaneamente il numero. Altra nota di rilievo è il martirio sopportato dalla cittadina, come da Irbil, Zakho e Mosul, insomma da tutte le zone abitate dai curdi, ad opera dell’Iraq di Saddam che ha utilizzato tutti i mezzi, compreso l’iprite, per sterminarli. E anche con l’Iran ci sono stati grossi problemi. Perché tanto odio? Per il solito motivo: la ricchezza di queste zone, sature di oro nero. Kirkuk, il più importante centro petrolifero del Paese, alla fine degli anni Settanta è stato staccato dalla zona curda, assegnato a una regione (e riempito a forza di popolazione araba), seguendo un modo d’agire già attuato ad esempio dai sovietici in Lettonia, con conseguente esodo degli indigeni. Nel 2003 però, con l’arrivo degli americani, i curdi sono tornati in massa per vincere le elezioni e annettere città e pozzi di petrolio al loro Kurdistan. Allora, visto l’ingorgo di interessi e viste soprattutto le diverse alleanze dei vari gruppi politici locali, e per locali si intende l’intero Paese, si è creato un problema tuttora irrisolto. In sintesi il Governo centrale, forte dello statu quo, ha ammesso trentacinque compagnie petrolifere a partecipare alle gare di appalto per lo sviluppo dell’industria nazionale. Altre sei aziende hanno ottenuto di usufruire di contratti a breve termine. Il campo di Kirkuk, uno dei più ricchi del pianeta, non è ancora stato appaltato dal Governo; in compenso i curdi 22
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hanno stipulato per lui una ventina di contratti che non intendono assolutamente annullare. Considerate le tensioni interne tra gli stessi curdi, l’oltranzismo di alcuni loro gruppi politici, i rapporti spesso tesi con la Turchia, alla quale vorrebbero strappare del territorio e con l’Iraq, dal quale vorrebbero staccarsi, il Kurdistan, che non c’è ma che c’è, è un Paese in fortissima ebollizione. Perché potenzialmente potrebbe essere uno Stato indipendente. Perché potenzialmente potrebbe essere uno Stato tra i più ricchi al mondo. Perché potenzialmente potrebbe avere una ottima classe dirigente, istruita e preparata. Perché la loro etnia è diversa da quella turca, da quella araba e da quella iraniana. Perché la Turchia non è propriamente uno Stato amico. Perché l’Iraq si è spesso comportato da Stato nemico. Perché l’Iran è neutrale ma non simpatizzante. Soprattutto perché la popolazione curda non solo queste cose le sa, ma anche desidera con decisione cambiarle.
CAPITOLO 9 Hermann fermò un taxi polveroso. «All’hotel Bircin» disse e la macchina li portò a destinazione. Scesero e presero una camera, dove deposero lo scarno bagaglio. «E adesso aspettiamo» mormorò Nico sdraiandosi sul letto. Hermann lo imitò, con un sorriso appena accennato. 23
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Non avevano bisogno di parlarsi, solo di riposare. Sapevano entrambi che, nonostante nessuno avesse manifestato curiosità nei loro riguardi, quegli sguardi fissi, quasi assenti, che li avevano accolti fin dal loro arrivo, avevano tracciato le loro radiografie. Quel modo cordiale, quasi distratto, con cui avevano interloquito gli indigeni, sorridenti e privi di interesse per il luogo dal quale provenivano gli stranieri, ora era scomparso per lasciare posto ad occhi indagatori ed udito all’erta. «Sono due... non sono americani... probabilmente europei, sicuramente armati... Non parlano molto, uno solo sa la nostra lingua... Non hanno parlato tra di loro... Sono tranquilli... Sono all’albergo Birjin, all’angolo di Kawa Road». E dopo, quando gli informatori se ne erano andati, quegli occhi decisi, quelle orecchie attente si erano confrontati tra loro. «Probabilmente sono loro...». «Non c’è traccia dei nostri che li hanno accompagnati...». «Bisogna scoprire dove sono». «Manda degli uomini sulla strada per Kirkuk; prima di incontrare quei due dobbiamo sapere di più».
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