L'INDICIBILE DI ME STESSO (Memorie in corso d'opera del Signor Nessuno)

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Narrativa Minerva Collana diretta da Giacomo Battara


L’indicibile di me stesso Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Grafica: Ufficio grafico Minerva Edizioni © 2014 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. ISBN: 978-88-7381-547-1 Finito di stampare nel mese di gennaio 2014 Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 www.minervaedizioni.com info@minervaedizioni.com


Armando Jivan Sahi

L’indicibile di me stesso (Memorie in corso d’opera del Signor Nessuno) Prefazione di

lorenzo ostuni Romanzo

Minerva Edizioni



Ringraziamenti Ringrazio i Maestri incarnati e disincarnati che mi nutrono della loro Luce mentre mi dispiego nel mondo. In particolare mando il mio amore a Osho, Deepak Chopra, Lorenzo Ostuni, Nichiren Daishonin, Daisaku Ikeda, Thich Nhat Hanh, Dalai Lama, Amma Amritanandamayi, Paramahansa Yogananda, e al Gesù dei Vangeli e di “Un Corso in Miracoli”. Ringrazio inoltre: L’editore Roberto Mugavero, per il quale ho provato da subito stima e fiducia. Sono profondamente grato alla famiglia di Lorenzo Ostuni per avermi concesso di poter mantenere nel mio esordio di scrittore, la prefazione e le pagine di cui mi fece dono il grande Lorenzo prima della sua prematura scomparsa. Sono molto felice che in questo libro Lui sia presente, perché nel mio piccolo ho potuto contribuire, grazie alla benevolenza della sua famiglia, a renderlo Eterno. Ma Puja Cristina Canducci per l’impagabile aiuto durante la revisione del manoscritto. Yuliana Arbelaez Cardona, Isabella Popani, Piera Vitali, Sujati Susanna Ricci e Laura Bontà per i preziosi feedback. Marco M. Lupoi, Gigliola Ruscelli, Daniela Tarantini, Franco Motta, Leonardo Morigi, Roberto del Mastro e Micaela Vichi per l’importante supporto tecnico. Il direttore di collana Giacomo Battara per la gentile disponibilità al confronto. Infinita gratitudine e tanto amore ai miei genitori, che mi hanno fatto crescere in un clima di assoluta libertà e rispetto.

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Dedico questo libro a Videha. Perché la sua venuta, quella mano tesa di un angelo mandatomi dal cielo, accelerò la realizzazione del mio destino. Vedendo le mie capacità e il mio potenziale, lei mi vincolò ad uno standard più alto e non mi permise mai di farla franca, quando non vivevo all’altezza di ciò di cui sono realmente capace.



Prefazione L’indicibile di un uomo, il dicibile di un libro

Umano, profondamente umano. Un libro insolito, per certi versi inaudito, scritto da un uomo sorgivo e insonne, dedito alla ricerca evolutiva di sé stesso. Un libro che è uno specchio incendiario. Una visione nitida, inorganica, corrosiva, una lettura alcalina sulla “cosa acida” di vivere. Un diario-scandalo che – a lettura conclusa – appare un libro-scandaglio e come tale prende di nuovo a sfogliarsi nella memoria recente, in attesa di diventare remota. A guardar bene l’opera di Armando Jivan Sahi è un detergente intimo che non si giova di alcuna formula lenitiva, ma di atteggiamenti divertiti e urticanti con finalismo destruens-costruens. Un libro che scardina le litanie dei luoghi comuni per seminare nei lettori aspri e nutrienti dubbi propri di una diversità intelligente. Una di quelle infrequenti opere a trance lucida che, arditamente e godibilmente, sa mettere a nudo il gioco altrimenti doloroso dell’essere nel mondo. L’autore, che si definisce il Signor Nessuno, capovolgendo se stesso, si rivela un pozzo senza fondo: umano, disperatamente umano. Il protagonista si cerca dal primo al settimo chakra: dalle pulsioni sessuali ai principi spirituali. Se c’è un chakra psicologicamente ferito, dolente e a volte eluso è il quarto, il luogo dei sentimenti. Una caratteristica dominante di questo testo è la superdensità, insieme seria e scanzonata, di un diario attanagliante che vuole raccontare le acute grandezze e le oblique miserie di un individuo disposto a rimanere a oltranza nella pista di sé stesso. Un irrequieto romanzo sull’essenza e la relazione con sé stesso, sulla relazione 9


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con l’altro, sulla effettiva possibilità di evolvere esistenzialmente e spiritualmente. Il cammino affannoso, ma illuminante del portatore d’incertezza all’atto di scalare il sesto grado della certezza. La storia di Armando è, nel fondo, la storia di ogni altro uomo: e se individuo è umanità, Cesenatico è il mondo. Armando, il signor Nessuno, non conosce altra via che cercare se stesso? Dunque Cesenatico non ha altra via che essere il mondo. Se l’autore/protagonista del libro dimostra narrativamente il suo destino di auto-esplorazione senza fine, vera “odissea” odierna, allora possiamo comprendere perché il suo chiamarsi Nessuno riecheggi non volontariamente l’identico appellativo che Ulisse volle darsi di fronte al mostruoso Polifemo. Lo ripeto: l’indicibile di me stesso è uno specchio ustorio, che sfida il lettore ad un rispecchiamento di fuoco. Certamente il libro contiene uno scandalo, che non è l’omosessualità, che è funzione umana, ma la Ricerca di Sé Stesso: e lo scandalo viene offerto in queste pagine al lettore su un piatto d’oro con amore e gratuità. In una civiltà che precipita verso lo Zero, l’unica cosa che ha senso è tendere verso l’Uno. Lorenzo Ostuni

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Salva/genti

Deepak Chopra: «Essere profondamente spirituali significa permettere alle problematiche profonde di venire in superficie invece che nasconderle». Osho: «È sempre un bene esporsi in una completa nudità, perché questo è il solo modo per conoscere se stessi. Un individuo vero è sempre pronto a mostrarsi fino all’essenza più intima del suo essere, perché non ha paura». Voltaire: «Odio ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo». Carl Gustav Jung: «Non c’è presa di coscienza senza sofferenza. In tutto il mondo la gente arriva ai limiti dell’assurdo per evitare di confrontarsi con la propria anima. Non si raggiunge l’Illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’oscurità interiore. Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia». Martha C. Nussbaum: «Chi è tollerante dice: Non hai il diritto a vivere la tua vita, ma sarò benevolo e ti concederò di viverla». Un Corso in Miracoli: «Il più santo di tutti i luoghi della terra è quello dove un odio antico è diventato un amore presente». Caroline Myss: «Cos’hai da offrire al mondo come fonte di saggezza creativa?» Lama Surya Das: «La vita somiglia molto ad una fotografia: il negativo ti serve per lo sviluppo». Louise L. Hay: «La sicurezza è la capacità di essere in contatto con il Potere Cosmico che crea ogni cosa». 11


Esther & Jerry Hicks: «Pensare è invitare nella propria esistenza». Benjamin Francklin: «Molte strade portano al successo, ma una sola strada porta sicuramente all’insuccesso: cercare di compiacere tutti». Marianne Williamson: «Il viaggio spirituale consiste nella rinuncia della paura, nel disimpararla, e fare dell’amore il principio fondamentale della vita. Essere amore è il nostro scopo sulla terra». Friedrich Nietzsche: «Le persone non vogliono ascoltare la verità, perché non vogliono vedere le proprie illusioni distrutte». Deepak Chopra: «Se il cervello non ha creato una rete neurale adatta a sintonizzarsi con la frequenza dello Spirito, non è possibile avere nessuna esperienza di Dio». Osho: “Un ricercatore di Verità (Sannyasin) non vive in base a delle idee, ma risponde all’esistenza. Egli è fondamentalmente un ribelle contro tutte le strutture, non vive una vita prefabbricata e non porta dentro di sé degli schemi. La spontaneità, la semplicità, la naturalezza, queste sono le sue doti. Egli non è più separato dal fiume dell’esistenza ma ne diventa la corrente”.


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Introduzione di un sogno ad occhi aperti

Da sempre sono rapito dalle autobiografie, perché tali creazioni mi nutrono di verità esistenziali. Certo nessuno potrà mai sapere quanti aggiustamenti e sconti alla propria vita l’autore si sia concesso, o se invece l’intera operazione si fondi sulla regale motivazione di offrirsi al mondo senza difese, donando la propria vulnerabilità all’umanità come incoraggiamento a liberarsi dei propri segreti e dei propri limiti. Io credo con tutto me stesso che più sapremo distaccarci dal fardello della nostra storia personale, più le nostri ali si dispiegheranno permettendoci di assaporare una piena libertà, quella che deriva dal non sentirsi più un io separato, ma membri di una collettività indivisa. È stato altamente nutriente prendermi per mano e addentrarmi in anfratti della mia esistenza ritenuti inconfessabili dalla mentalità collettiva, analizzare in piena accoglienza ciò che emergeva dalle profondità della mia vita. Penso che un libro dovrebbe rappresentare una sfida per chi lo legge, solleticare il lettore e condurlo ad abitare l’inosabile, quell’altrove che tanto affascina e intimorisce gli esseri umani. L’evoluzione personale per me è un processo, un divenire che prende corpo da una fascinazione per il mistero che condurrà a esplorare l’ignoto. Continuando a desiderare e contemplare ciò che già esiste nella nostra quotidianità, non potremo che generare la stessa gamma di manifestazioni. È una chimera credere che il sogno che portiamo in grembo, possa realizzarsi percorrendo quelle stesse strade che non ci hanno condotto ad alcun avanzamento. «La soluzione non si trova mai sullo stesso livello di coscienza che ha generato il problema», disse Einstein. Nella società contemporanea riconosco principalmente due tipologie di individui: coloro che più di ogni 13


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altra cosa vogliono evolvere e hanno imperniato la propria esistenza sul “Conosci te stesso”, e quelli che invece navigano a vista e non credono che ogni vita abbia uno scopo intrinseco da scoprire e sviluppare strada facendo. Per i primi l’esistenza sarà una ruota panoramica dentro gli abissi e le vette interiori, in un crescendo di libertà dai mille sapori, mentre i secondi saranno agiti da quelle piste neurali già installate nel cervello sin dalla nascita, e continueranno a chiedersi «Perché proprio a me?» Nel bel mezzo di queste modalità esistenziali si trova una miriade di persone, in cammino dall’incoscienza all’Illuminazione. Ricordo che già adolescente mi affascinava accedere alla vita altrui fin nei suoi più insondabili recessi, perché mi incanta e mi vivifica poter toccar con mano come la percezione dell’esistenza, vista da un altro, può essere qualcosa di assolutamente estraneo e sideralmente lontano rispetto alla mia visione del mondo e di come partecipo alla realtà manifesta. Al contempo ho sempre intuito che la distanza percepita può diventare un tramite verso altri modi di concepire me stesso e il tutto, se mi lascio avvolgere dall’oceano delle parole altrui e mi apro a scoprire che sono tutto e niente, e in alcun modo separato dal resto dell’umanità e dall’Universo. Spero tu possa specchiarti in queste pagine, affresco di quel sogno ad occhi aperti che è la vita, e trovarvi ispirazione per il tuo viaggio verso la gioia. E ora dammi la mano, lasciati condurre nei meandri della mia esistenza.

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Autunno 2010: I doni dell’ombra

Quel mattino di fine novembre iniziò con una singolare coincidenza. Mi alzai di buonora e prima di uscire dal letto congiunsi le mani in preghiera, ringraziando l’Universo per la vita che scorreva in me. La notte trascorsa non era stata per nulla riposante e invece del silenzio e della meditazione con mantra, scelsi di inaugurare la giornata con esercizi energetici e la voce cavernosa di Woven Hand, di cui avevo visto un memorabile concerto qualche giorno prima a Cesena; infine preparai il caffè e accesi il cellulare. Subito mi apparve un messaggio di Videha, la mia insegnante psico/spirituale: «Ti invito a venire stasera da me. Non puoi mancare all’insegnamento di domani sull’ombra! Sarà un seminario importantissimo, ci sto studiando sopra giorno e notte da settimane, e stanno accadendo cose incredibili. Ma potrebbe anche essere l’unica volta che lo terrò. Saresti mio ospite e ti farei partecipare gratis. Inoltre ti permetto di registrarlo». Rimasi sbalordito, perché nonostante la mia mente razionale avesse già deciso da tempo di non prendere parte a quell’esperienza, da almeno tre giorni mi partivano meccanicamente desideri in controtendenza, pensieri che avrei voluto non pensare in cui chiedevo alle forze cosmiche di essere invitato al corso sull’ombra, e che mi fosse regalato nonché permesso di registrarlo. Leggermente turbato mi domandai quale fosse la parte di me che formulava simili richieste, dato che il mio “io della realtà” non ne voleva sapere di partecipare a quel corso, ma non trovai risposte. Energeticamente sentivo però una sorta di pressione provenire da Videha. Cominciò così un insolito viaggio psico-emozionale, in cui mi sentii diviso fra la mia parte razionale, che aborriva l’idea di partecipare ad un altro corso, dopo le fatiche estenuanti degli ultimi sei 15


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mesi in tali ambiti, e un’altra vocina interiore che sussurrava perentoria: «Non puoi ignorare questa coincidenza, l’Universo vuole che tu vada!» Era quindi all’opera la voce dell’intuizione in quell’invito ad accogliere l’offerta della mia insegnante, oppure era lei che tramite induzioni subliminali mi induceva a seguirla contro il parere del mio “io della realtà”? E se invece fosse stato il mio inconscio ad aver esercitato una pressione su di lei? Ben lungi dal poter sciogliere l’enigma decisi di rispondere al messaggio, ringraziandola dell’opportunità e aggiungendo che mi sarei preso qualche ora per ascoltarmi e concludere. Scelsi però di non renderla partecipe della misteriosa sincronia creatasi, seppur conscio che i nostri rispettivi cervelli erano comunque collegati al di là dello spazio/tempo per effetto della risonanza limbica, fenomeno noto alle neuroscienze attuali. Nel giro di due ore la mia mente si schiarì, e nonostante segnali di paura che ogni tanto si affacciavano, decisi di affidarmi ai regali dell’ombra e partire, non prima di una capatina dal gommista. Durante il lungo viaggio per circa un’ora recitai il mantra buddista Nam myoho renge kio, poi avviai la musica e mi lasciai trasportare dall’ammaliante voce di Dulce Pontes; una marea di emozioni si fece largo attraverso il chakra del cuore, finché le lacrime scesero copiosamente. Almeno cinque anni erano passati dall’ultima volta in cui il pianto era riuscito ad aprirsi un varco. Quando infine arrivai a destinazione, mi fece una certa impressione varcare la soglia della sua villa, in cui non mettevo piede da diciotto mesi esatti, e mi turbò assai deporre la mia valigia nella sontuosa camera azzurra degli ospiti, ambiente saturo di presenze di ogni tipo. Quel luogo era gravido di ricordi: notti angosciose in preda a incubi e sofferenze indescrivibili, ma anche momenti sublimi in cui Videha, con compassionevole durezza mi apriva ai doni dello Spirito, permettendo alla mia consapevolezza di compiere voli acrobatici in esigui spazi di tempo. 16


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Era già ora di cena e ci accomodammo nel salotto. Le pietanze erano state preparate da lei stessa, squisiti e delicati piatti vegetariani. Nella stanza una luce fioca, e sull’altare della meditazione accanto alla foto di Osho e di altri Maestri indiani, bruciavano incensi e una lunga candela avvolta in un manto di plastica rossa. Durante la consumazione del pasto come d’abitudine fu quasi solo lei a parlare; i discorsi ruotarono attorno a gustose anticipazioni e aneddoti privati che concernevano il corso dell’indomani e la sua preparazione, a cui la mia insegnante si era dedicata con zelo encomiabile nell’ultimo mese. Le sue parole scorrevano impetuose come un fiume in piena, ma poco a poco, quasi impercettibilmente avvenne un salto di qualità nel dialogo, che finì per diventare una seduta individuale. Con tutto me stesso avrei voluto evitare che la serata prendesse quella piega, ma il mio potere personale non riuscì a dirigere il corso degli eventi, per cui ne presi atto e mi impegnai a stare nel flusso, pronto ad accogliere le informazioni di una dinamitarda specializzata nel far saltare le strutture sabotanti altrui, come lei ironicamente si definiva. Videha scoperchiò la pentola, e le cose mai dette durante gli anni precedenti di apprendistato presero forma in una sorta di monologo. Mentre ascoltavo le sue nuove interpretazioni la mia pancia ribolliva di violente e dolorose emozioni. Lei era solita ripetere che l’elefante va mangiato un boccone per volta, e in tutta evidenza mi considerava pronto per ricevere un’altra grossa fetta di scomode verità. Sudando freddo capii di esser chiamato a mollare il controllo e stare nell’accoglienza, se davvero volevo vedere una volta per tutte i giudizi inconsci che avevo su di me, credenze sabotanti talmente forti da sostenere razionalmente, da essere diventate nel corso del tempo il mio lato oscuro. Ancora non sapevo che l’ombra non ha alcuna consistenza reale ed esiste soltanto la menzogna relativa ad essa, un luogo buio e 17


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inventato in cui buttiamo dentro tutte le cose di cui non ci vogliamo prendere la responsabilità, e che teniamo segrete o proiettiamo addosso agli altri senza esserne coscienti. La seduta terapeutica appena iniziata e il seminario imminente, erano stati sapientemente intentati e orchestrati con un unico scopo: creare un’operazione chirurgica che ci avrebbe condotti a riconoscere, demolire e asportare i corpi estranei delle nostre bugie. Ma nel volgere dell’interazione io proiettai un altro film e vidi scorrere fotogrammi assai diversi da quelli auspicati da Videha. «Il tuo desiderio di essere guardato, desiderato, altro non è che fame di attenzione, paura di non esistere, tutte cose che sicuramente hai provato a lungo quando eri un bambino che si sentiva non visto da entrambi i genitori. Nei ricordi che hai sul tuo vissuto, temevi che tua madre ti abbandonasse per sempre e sparisse improvvisamente dalla tua vita. Passavi notti insonni cercando di non addormentarti per paura di non ritrovarla più al tuo risveglio, mentre di tuo padre serbi solo sparuti ricordi sino ai tuoi quindici anni. Dovresti chiederti a cosa ti serve adesso, questa attitudine inconscia ad essere guardato! A sentirti esistere? E da cosa ti protegge? Dal non sentirti visto? Considerato? Forse perché dentro di te profondamente radicata c’è la convinzione che non sei abbastanza? Che non sei amabile? Ascoltami attentamente Armando, perché ora puoi decidere di invertire la rotta e sostituire quell’opinione con un pensiero deliberato opposto! Ancora tu non hai controllo sulla tua mente, è lei a dominare te, ma stai facendo rapidissimi cambiamenti e certamente ti sei molto evoluto rispetto a quando ti conobbi... Nei due anni passati con me accanto come facilitatrice, hai fatto quello che normalmente richiederebbe anche il triplo di tempo in un qualsiasi percorso psicoterapico, ma tu sai bene che noi siamo andati ben oltre la psicologia, poiché abbiamo lavorato con la “Pnl” e lo studio delle convinzioni 18


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inconsce e del linguaggio, la “Trascendenza”, abbozzi di “Primal”, tecniche sufi e molto altro ancora. Purtuttavia c’è ancora tanto da fare e tutto dipende da una precisa domanda che devi porti e a cui dovrai rispondermi prima o poi, perché il futuro corso del nostro rapporto Insegnante/Allievo dipende in larga parte dalla tua risposta a tale quesito: “Chi vuoi essere tu fra dieci anni, quando ne avrai 58?” Più alzi la posta più dovrai andare oltre nel processo di svelamento e integrazione dei meccanismi del tuo ego, quindi sarà inevitabile affrontare ancora gli abissi della notte buia dell’anima... Il tuo inconscio si sente sempre sotto attacco, ma non potresti desiderare di diventare un insegnante spirituale se tu già non lo fossi! Il punto è che tu lanci doppi messaggi, perché c’è una grossa differenza di livello fra la tua anima e la tua personalità. Il lavoro che stiamo facendo sul tuo bambino interiore è fondamentale. Parlando coi termini dell’analisi transazionale, occorre che tu faccia incontrare il tuo adulto con il tuo bambino soggiogato, tenuto a freno e terrorizzato dalla tua parte genitoriale, così autoritaria e violenta! Quel bimbo interpreta ancora l’ambiente come potenzialmente pericoloso, perché si sente indagato, violato, quindi la sua reazione è combatti o fuggi. Sin dalle scuole elementari lui ha sviluppato un sistema di difesa inconscia che gli fa interpretare i segnali esterni neutri come aggressioni, penetrazioni, e allora per integrare questo scenario di paura, il tuo bambino spaventato si mette dall’altra parte della barricata, e diventa colui che fa le domande, che a volte non sa tenere a bada la propria arroganza, che vorrebbe dare consulenze. Ma io ti dico: dedica le tue giornate alla ricerca della sua tenera voce, alla scoperta dei suoi piccoli bisogni! Basta poco per farlo felice se tu ci sei! Quando cominci a conoscerlo sarai commosso da lui, e allora ritroverai la fonte della vera gioia, dell’innocenza e del giocare con tutto, e a quel punto sarà la fine dei giudici e dei persecutori, perché il tuo bambino riprenderà a crescere libero, otti19


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mista, curioso e pieno di domande fiduciose, mai sazio di scoprire nuove avventure. Il tuo bambino vive ed è sempre in te, con te, per te, perciò dedica la tua energia a trovarlo, ascoltarlo, rassicurarlo, e il tuo lavoro di ricerca sarà una gioia continua. Ti sentirai sempre amato, sempre protetto, e incontrerai solo persone gentili e amorevoli, senza ombre interiori. Questo è ciò che ti auguro con tutto il mio cuore!» Il discorso di Videha si protrasse per circa un’ora e nel suo dipanarsi mi sentii sempre più congelato e sotto pressione, finché esausto le dissi con tono perentorio: «Basta davvero!”» C’era un tacito accordo fra noi, e quella frase significava, una volta usata, che la seduta volgeva al termine nell’immediato per sfinimento del richiedente, senza possibilità di essere messa in discussione per alcun motivo. Ci congedammo in fretta e tutto intimorito piombai nella stanza da letto. Forte in me era la paura di passare la notte in preda ad incubi, ma cercai di mantenere la calma e recitai a voce alta la formula propiziatoria prima di andare a nanna, come la mia insegnante amava chiamarla. «Mando il mio amore e la mia buona energia a tutti coloro che ho conosciuto nella mia vita, e auguro loro una perfetta salute, tanta fortuna e una vita felice. So che dormirò stanotte un sonno tranquillo e avrò un risveglio radioso. Entrerò in contatto solo con Spiriti Sublimi, che mi daranno Gioia, Guida, Conoscenza, Ispirazione e Crescita Spirituale. Io sono al sicuro. Divina Suprema Unità e sorgente di ogni vita, io ti ringrazio per tutto ciò che ho, per tutto ciò che do e per tutto ciò che sono. Amen». In barba ai miei timori la nottata trascorse magnificamente serena, dormii di sasso e mi svegliai alle sette di ottimo umore. Il corso sarebbe iniziato alle 9,30. La maggioranza dei partecipanti era composta da donne, come spesso avviene negli eventi in ambito spirituale e culturale. L’insegnamento cominciò in perfetto orario e finì alle 20


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21,30 con una sola ora di stop. La mia insegnante parlò incessantemente per quasi undici ore, facendo una breve ma necessaria cronistoria della parola “ombra” e del suo inventore, Carl Gustav Jung, che così definì il nostro lato oscuro. L’esposizione dei concetti e gli esercizi che sperimentammo erano principalmente ispirati dal testo di un maestro contemporaneo. Rimasi colpito da molte sue osservazioni, in particolare quando affermò che chi incarna l’ombra con comportamenti devianti, ad esempio il serial killer, in realtà ha una funzione sociale e rappresenta una via di fuga e salvezza per la parte restante della società, che così impara con chi non identificarsi. Dopo la pausa Videha riprese la sua torrenziale dialettica e se ne uscì con un’affermazione che mi fece sobbalzare: a proposito dei possibili effetti negativi della tecnica che mi aveva trasmesso nel giugno del 2008, disse che era opportuno non usarla ogni volta che ci si sentisse ansiosi o preoccupati, altrimenti lo stato negativo iniziale si sarebbe potuto amplificare. Ma come, pensai indispettito, di una regola così fondamentale lei ne parla per la prima volta in un corso sull’ombra? E perché non l’ha mai menzionata nei seminari di iniziazione? Come era possibile una simile dimenticanza? La mia ombra cominciò a proiettarsi su di lei, ma ne ero del tutto inconsapevole. Professionalmente parlando si apriva uno scenario alquanto discutibile, ma non c’era tempo per soffermarmi oltre su quel particolare, anche se mi promisi che la cosa non sarebbe finita lì. A pomeriggio inoltrato cominciai a sentirmi malissimo; una forte ansia mi affaticava il respiro e percepivo un prepotente senso di paura dell’ignoto, il terrore che qualcosa di più grande di me potesse rapirmi all’improvviso per un viaggio senza ritorno. Tale deriva era una vecchia conoscenza, un leitmotiv che periodicamente si riaffacciava nella mia vita da quando ero entrato nel “Sentiero”. Riuscii a reggere sino alla fine del seminario, poi mi congedai in fretta e scivolai impaurito verso la camera da letto, dove avrei trascorso ore in preda a 21


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incubi della peggior specie, senza riuscire a disconnettermi da quel canale di frequenza nonostante i tentativi più disparati. Disteso supino sul letto, non appena chiudevo gli occhi e varcavo la soglia fra la veglia e il sonno, subito mi svegliavo di soprassalto col cuore in gola e una sensazione di panico in ogni centimetro delle mie viscere, come quando in un incubo un assassino ci insegue per ucciderci. Non percepivo immagini, ma il solo entrare nel varco sospeso fra i due mondi, mi portava in un batter di ciglia a svegliarmi bruscamente contro la mia volontà, come se fossi rincorso da un coccodrillo dentro una palude. Il cuore mi batteva all’inverosimile, al punto di temere un infarto, l’ansia mi mozzava il respiro e la mia pancia sembrava un vulcano in procinto di eruttare. Se restavo ad occhi aperti la situazione era gestibile e riuscivo pure a scegliere dei pensieri rinforzanti, ma era sufficiente che le mie palpebre si chiudessero ad accogliere il sonno, che l’angosciosa soap opera ripartiva senza tregua. Se la classica esperienza di un incubo può farci stare malissimo e rovinarci l’intera nottata, immaginate se tale fenomeno si presentasse ogni quarto d’ora e con la medesima intensità... Capita l’antifona mi forzai a restare sveglio, ma ogni tanto, stremato, cadevo nel sonno, e puntualmente venivo azzannato da demoni che mi riportavano con veemenza alla realtà esterna; tale manifestazione non mi era sconosciuta, essendosi presentata con ugual virulenza altre quattro volte durante gli anni di apprendistato con Videha, ma mai prima di averla incontrata. Poco a poco sentii montare dentro di me un odio feroce verso la mia insegnante. Ritenni che ci fosse andata con la mano pesante nei miei confronti, tanto durante il seminario, con sarcastiche e pungenti frecciatine che facevano riferimento ad aspetti della mia vita privata messi in piazza senza alcun rispetto e preventivo consenso, quanto nella seduta individuale, da lei agita in mancanza del mio assenso. Dopo cinque ore interminabili d’angoscia, in un lampo 22


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decisi di fare la valigia e partire. Erano le due e trenta e sapevo che sarebbe stato sufficiente attendere una sola mezz’ora per poter portare a compimento la mia scelta. Di salutarla non me ne importava un fico secco, ma senza il suo intervento non sarei potuto andarmene, perché la sua auto era parcheggiata dietro la mia ed io non sapevo come azionare il cancello automatico né dove fossero le chiavi della sua macchina. Alle tre Videha si svegliò e scese in salotto, dove ero seduto ad aspettarla con la valigia già pronta. Non vedevo l’ora di abbandonare quel luogo, che in quel momento mi appariva infernale, per cui senza tanti preamboli e deciso a non fornire alcuna spiegazione le dissi che intendevo partire immediatamente; nel mentre mi ricordai del manuale per insegnanti del Suono Interiore Ripetuto (d’ora in avanti quando ne parlerò userò l’acronimo “Sir”), e le chiesi se avesse potuto prestarmelo. In totale silenzio e senza avanzare domande la mia insegnante frugò in una libreria, e con espressione assonnata mi porse il tomo. Il suo fu un gesto di totale fiducia, perché oltre ad essere il suo allievo prediletto, all’epoca ero seriamente interessato a diventare io stesso un istruttore di tale tecnica. Poi Videha mi accompagnò in cortile, spostò la sua auto e mi salutò con gentilezza. Appena fuori dalle sue mura mi sentii enormemente sollevato, come fossi uscito di prigione dopo aver scontato una lunga pena detentiva, ma prima di iniziare l’ardua impresa del ritorno a casa, decretai all’Universo e a me stesso che era mia ferrea intenzione arrivare a Cesenatico in mattinata, e che il viaggio si sarebbe svolto in tutta protezione. E così fu, grazie alla mia determinazione e all’aiuto delle forze invisibili che avevo chiamato; altrettanto importanti nel tenermi desto furono la recitazione del mantra buddista e una telefonata di quasi due ore all’amica Dany. Fui io a chiamarla. Dopo i classici convenevoli l’energia virò a 360 gradi, e l’interazione si trasformò in una sorta di seduta terapeutica per lei. Particolarmente ispirato, riuscii a comunicarle con delicatezza e precisione alcuni dettagli 23


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in merito a certi aspetti disfunzionali della sua personalità. Lei mi accolse con il massimo calore possibile, conscia che quel momento di straordinaria empatia conteneva le premesse per un notevole balzo di consapevolezza, che le avrebbe consentito un cambio di percezione nel modo in cui vedeva se stessa e il mondo. Dany si congedò ringraziandomi con affettuoso slancio e complimenti a go-go; a suo dire si era appena conclusa la più importante consulenza a cui si fosse volontariamente offerta. Durante il viaggio pensai alle scomode verità esposte con grande effetto scenico da Videha durante la seduta; riconobbi di trovarmi d’accordo su tutto tranne un particolare: non pensavo affatto di essere schiavo della mia mente, per cui mi chiesi se lei lo pensasse davvero o se fosse uno dei tanti agguati che tendeva al mio ego. Ho una mente che sa usare il mio cervello in modo potenziante ed evoluto, ma in momenti di disconnessione forse attivati dalla ferita da abbandono, può essere il mio bambino interiore a condurre il gioco. E allora sembro un disco rotto che continua a suonare a ripetizione lo stesso brano, finché si sovrappone la voce imperiosa del mio critico interiore che bolla come inutile tutto il lavoro fatto su di me, mi giudica impietosamente e infine proietta tali critiche all’esterno additando il colpevole di turno, poiché non sa reggere il carico di sentenze sulle proprie spalle. Il circolo vizioso si spezza solo quando la voce del mio adulto comincia a coccolare e parlare con quel bambino arrabbiato e impaurito, e se lo abbraccia tenendolo in grembo finché lui si calma, ed io nella mia totalità ritorno ad essere centrato. Il mio fanciullo interiore scatta in difensiva o in richiesta e può sentirsi ferito o abbandonato se un amico non mi cerca abbastanza o non mostra gratitudine per ciò che ha ricevuto da me. Quando la mia mente reattiva automatica inizia il suo teatrino composto da vari personaggi in cerca di gloria, non sempre riesco a cambiare rotta velocemente, ma sono ogni giorno più abile nel ricono24


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scerla, osservarla con distacco e soprattutto a non agire sotto il suo influsso, memore di quanti danni ho fatto a me stesso e agli altri quando ero totalmente alla mercé del mio ego, sempre intento ad ingaggiare battaglie, regolare conti, ordire vendette ed emettere sentenze. Ancora non sono un Santo, ma rientra nei miei progetti. È facilmente verificabile come gran parte della sofferenza che proviamo derivi dall’essere nell’aspettativa e nell’assurda pretesa che gli altri si comportino secondo i nostri valori. Un tempo mi infastidivano alquanto le persone che non rispondevano ai miei messaggi o non sapevano esprimere gratitudine per i doni e le attenzioni ricevute da me, perché percepivo quell’assordante silenzio come una lapidaria sentenza, ovvero “il tuo mondo non mi interessa”. Col tempo ho compreso che le modalità usate dagli altri nella comunicazione sono legittime quanto quelle che il mio ego riconosce come uniche e perfette, ed ho capito che ogni essere umano fa sempre del proprio meglio dal livello di coscienza che ha. Questo approdo mi consente di essere sempre meno toccato dall’agire altrui, di avere il mio punto di vista e valutare tecnicamente accadimenti e persone senza coinvolgimenti emotivi, per poi scegliere da quale livello relazionarmi. Il conflitto e la sofferenza sorgono quando giudico sbagliati o inappropriati i comportamenti della persona con cui sto interagendo, perché a mio parere non incarnano l’azione più saggia che potrebbe essere agita. Questo finisce per farmi pensare che l’altro è superficiale e mi dà per scontato. Ricordo che a un seminario sul bambino interiore, l’insegnante disse a tutti i presenti una frase che mi è rimasta scolpita dentro: «Non dare la tua intimità a chi non te ne fa esplicita richiesta o a persone che non sarebbero in grado di poterla apprezzare o ricevere, perché poi il tuo bimbo ne soffre». 25


Armando Jivan Sahi

Credo che tutti i nostri traumi rimarranno come un’impronta psichica, se non facciamo volontariamente qualcosa e ce ne assumiamo totalmente la responsabilità. È appurato da studi recentissimi che il nostro set point cerebrale, ovvero la modalità di percezione globale della realtà, che si stabilizza entro i primi sei anni di vita e ci fa vedere il bicchiere o mezzo pieno o mezzo vuoto, da solo non cambia. È invece possibile se ci affidiamo alla terapia cognitiva e alla meditazione congiunte. Poiché si parla sempre di vivere nel qui e ora, dato che esiste solo questo attimo che stiamo vivendo, trovo illuminante nella sua semplicità una storiella che diversi insegnanti contemporanei citano nelle loro opere e seminari: «Chi è la persona più importante della tua vita? È quella con cui ti stai relazionando nel momento presente! E la cosa più importante della tua vita? Quella che stai facendo ora!» Di fatto il momento presente è tutto ciò che abbiamo e rappresenta il culmine di tutta la nostra vita e delle precedenti incarnazioni. Se tenessimo sempre in mente questo postulato diventeremmo uno scrigno di virtù ed equilibrio, perché avanzeremmo nel mondo colmi di amore per la prossima persona con cui interagiremo e al culmine dell’attenzione verso l’atto che stiamo compiendo! E così, dopo tante riflessioni sulla natura della mia mente, due pause per il caffè, una lunga telefonata e la recitazione di un mantra buddista, arrivai finalmente a Cesenatico alle undici del mattino, esausto ma felicemente inquieto. Dopo aver varcato la soglia di casa decisi di non disfare la valigia e optare per un riposo immediato, ma il telefono fisso suonò. Con mia sorpresa si fece avanti Titti, una conoscente che da alcuni mesi si stava sottoponendo a chemioterapia in seguito alla scoperta di un tumore alle corde vocali. La sua voce era flebile; in un attimo raccolsi tutte le mie energie e feci a me stesso la promessa di essere contenuto, pacifico e compassionevole quanto più potessi, 26


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memore delle passate e spesso infelici interazioni con lei, persona psichicamente instabile e profondamente infelice. Titti: «Io così non ce la faccio più, preferisco morire... » Sospirai profondamente e pacatamente replicai: «Mi dispiace sentirti parlare così... Le tue parole mi fanno sentire impotente, invece vorrei poterti aiutare... » In realtà mi ero espresso con una formula di circostanza, perché dopo quindici anni di sporadiche frequentazioni ad anni alterni, avevo maturato la convinzione che non fosse servito a nulla tutto il tempo che le avevo dedicato nei modi più svariati, anche se continuo a credere ai miracoli. Penso che l’unico vero sostegno che possiamo dare agli altri sgorghi da una compassione “disidentificata”, che si traduce nell’aiutare il prossimo ad aiutarsi, fornendogli i mezzi per alzarsi da solo. Le opere di carità alle persone indigenti sono ovviamente lodevoli e sempre auspicabili, ma rientrano in un altro ambito della compassione in azione, perché queste mie considerazioni riguardano la liberazione dalla sofferenza psichica e dell’anima. Per almeno tre anni ho praticato con grande slancio e determinazione il buddismo di Nichiren Daishonin, e sono tutt’ora convinto che recitare Nam Myoho Renge Kio sia una vera manna dal cielo; se la circostanza si presta mi capita ancora di trasmettere tale insegnamento a sconosciuti. Ospitavo meeting due volte al mese a casa mia, e una sera l’argomento di discussione da me proposto fu il seguente: «Co-dipendente o Bodhisattva?*» Durante l’accesa disamina giudicai alcuni partecipanti, valutandoli incapaci di una vera auto osservazione senza sconti. Sarebbe auspicabile sviluppare l’attitudine a chiederci ogni volta perché facciamo una certa cosa, qual’é la vera ragione che ci spinge ad agire in un certo modo, quale bisogno insoddisfatto o motivazione insatura origina dal profondo le nostre azioni o non azioni. Molte persone credono di compiere atti di servizio solo per puro spirito di compassione, ma al contempo sono agite anche da un senso 27


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schiacciante di solitudine o dal sentirsi in colpa se non si prodigano per gli altri, quindi i loro gesti sgorgano non soltanto dal cuore. Può essere all’opera una sovracompensazione dovuta alla cosiddetta “menzogna personale”, ovvero il pensiero più negativo che abbiamo su noi stessi e di cui non siamo coscienti, una credenza sabotante che dall’inconscio modella la nostra realtà materiale. Se il mio inconscio pensa che sono cattivo, per bilanciamento mi adopererò in lungo e in largo con azioni deliberate opposte. Alcune relazioni d’aiuto hanno tutte le caratteristiche di una co-dipendenza, perché il reciproco sostenersi è motivato da un senso di vuoto e dall’incapacità a stare soli con se stessi, oppure dal sentirsi cattivi se non si offre il proprio conforto a un altro. Queste attitudini inconsce creano una serie di relazioni interpersonali le cui fondamenta principali sembrano essere la paura e il senso di colpa, ma posso decidere di irradiare ogni cosa di una luce trascendente e scegliere di vedere all’opera soltanto l’amore nelle sue infinite sfumature. Io Armando scelgo di vedere l’amore come unico collante di ogni relazione, l’amore come il solo carburante, la sola cosa che tiene insieme le persone. Ai nostri occhi certi rapporti sentimentali appaiono come forme di sadomasochismo, ma la paura da cui sembrano trarre alimento è soltanto un’apparenza, il camuffamento di cui sono rivestiti, perché solo l’Amore è reale e tutto il resto è illusione. Questa è una posizione mentale fra le tante che ho analizzato e che potrei adottare, ma per quanto mi concerne tutto si riduce ad un solo punto: cosa scelgo di voler vedere? Cosa mi fa stare meglio? Quale prospettiva contribuirà maggiormente al diffondersi della pace e della benevolenza nel mondo, se questo è davvero ciò che voglio e non un concetto astratto con cui dare aria alla bocca? La sfida è riuscire ad incarnare tale intento in ogni istante della vita quotidiana, anche quando ci adoperiamo per arrivare al cosiddetto “successo” materiale. Come dice Marianne Williamson: 28


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«Il Miracolo è pensare alla carriera come al nostro personale contributo alla guarigione dell’Universo». Secondo alcuni insegnanti contemporanei, la stragrande maggioranza delle relazioni sentimentali sono in realtà dipendenze, in cui entrambi i partner compensano la mancanza percepita in se stessi usando l’altro per riempire quel vuoto e siglando una sorta di patto inconscio, in cui ognuno dipende dall’altro per la soddisfazione dei propri bisogni. Tale accordo, un vero gigante coi piedi d’argilla, cede non appena uno dei partner inizia a cambiare e a non rispondere più alle richieste dell’altro, le quali sono solo un modo per nascondere a se stesso il portato gravoso del proprio senso di colpa. A quel punto la relazione svela il suo vero volto e si mostra per ciò che è sempre stata, odio per se stessi mascherato da amore per la persona da cui dipendiamo, e che ha la funzione di non farci vedere ciò che nel profondo pensiamo di noi stessi. A quel punto, poiché non possiamo sostenere il profondo senso di colpa che ci possiede e che assolutamente non vogliamo vedere, ci metteremo alla ricerca di un nuovo partner tappabuchi con cui siglare un rinnovato patto di sopravvivenza. Fino a poco tempo fa ero d’accordo con questa posizione, ma ora sono cambiato e ne vedo la radicalità e il suo massimizzare il negativo. Sono valutazioni che non mi fanno stare bene e che non rappresentano ciò che voglio vedere, ovvero l’amore espresso dal livello di coscienza possibile. *Bodhisattva: Nella religione buddista esistono varie scuole, e per ognuna di esse il significato di tale parola è leggermente diverso. In senso generale trattasi di un individuo molto avanti nel processo verso l’Illuminazione, la cui missione è prendersi cura degli esseri umani e prodigarsi per condurli verso la felicità e l’agognata meta del Nirvana.

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