L'angelo controvento

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A mà , che amava il Berga e Paso e mi ha insegnato che chi arriva secondo non è necessariamente un perdente. A pà , che mi ha portato a vederli sui circuiti di Romagna. Vorrei che fossero ancora qui per ricordarli insieme.

Marco Tarozzi


Collana: Sul filo di lana

L’angelo controvento Storia e tragedia di Angelo Bergamonti

il campione che sfidò il proprio destino

Hanno ricordato Angelo Bergamonti: Rosa Nardi Bergamonti, moglie di Angelo Marina e Laura Bergamonti, figlie di Angelo Cesare Scappini, classe ‘43, l’amico barbiere di Gussola Francesco Ramella, detto Franco, coscritto e amico dai banchi di scuola DonUmberto Leoni, parroco a Gussola dal 1961 Roberto Pattoni, figlio del mitico “Pep” Pasquale Spadola, storico del motociclismo Benito Franco Magazzini, ex pilota e storico del motociclismo Claudio Bernagozzi, fotografo degli anni d’oro del motociclismo insieme al padre Walter Bruno Spaggiari, ex pilota e leggenda della Ducati Mario Lega, campione del mondo della 250 nel 1977, commentatore tv Secondo Casadei, fotografo a Riccione grazie a tutti loro per i contributi e per il tempo che mi hanno dedicato alla famiglia Bergamonti a Franco Magazzini per l’appendice statistica a Roberto Mugavero, editore coraggioso, a Paolo Tassoni e ai ragazzi di Minerva a Claudio Bernagozzi e Giuliano Musi a Giuseppe Pietralunga e Roberto Fusi, che coi loro motoclub tengono vivo il nome di Angelo a Marino Bartoletti: se maestro non ti piace, ti chiamerò amico... a Lamberto Bertozzi per l’immagine della copertina “Moto Revue” a pagg. 142-143 a Elisa per la pazienza e per Matteo fotografie della famiglia Bergamonti, principalmente realizzate da Walter Bernagozzi e Walter Scagliarini

Per le immagini contenute in questo volume l’Editore rimane a disposizione degli eventuali aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare. Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Direttore Collana: Marco Tarozzi Editor: Paolo Tassoni Grafica e impaginazione: Francesco Zanarini © 2011 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge. ISBN: 978-88-7381-372-9 Minerva Edizioni via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.663.05.57 - Fax 051.89.74.20 www.minervaedizioni.com e-mail: info@minervaedizioni.com


Sul filo di lana

Marco Tarozzi

l’angelo controvento storia e tragedia di angelo bergamonti il campione che sfido’ il proprio destino

Prefazione di Marino Bartoletti

Minerva Edizioni



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Un Angelo non può morire così di

Marino Bartoletti

Eravamo in tanti ad aspettare questo libro. Noi che abbiamo cominciato ad amare il motociclismo mangiando una piadina dietro le balle di paglia col mare alle spalle; noi che abbiamo visto i paddock senza le motorhomes; noi che abbiamo visto Arturo Magni e Gilba Milani guidare scuderie mondiali con la tuta da operai; noi che sapevamo che Angelo Bergamonti nel 1971 era uno dei tre più forti piloti del mondo; noi che purtroppo “c’eravamo” e che abbiamo ancora il gelo di quella pioggia nel cuore. Oggi Angelo avrebbe 72 anni: come Burgnich e Tumburus, come Pizzaballa e Albertosi, come Haller e Sormani, come Berruti e Gaiardoni, come Neal Sedaka e Peppino di Capri. Come Giorgio Gaber se non se ne fosse andato (almeno lui avendo dimostrato il suo valore). Oggi Angelo avrebbe un giorno in meno di Giovanni Trapattoni, come lui cavaliere di sport e di umanità. Grande classe, quella del 1939: classe temprata dalla guerra e dalla fame di riscatto; dalla durezza della semina e dalla felicità del raccolto C’è tutto in questo libro: la speranza e il rimpianto, la fortuna e il suo prezzo, la gioia e il dolore, la tenacia e il successo, la vita e la morte. Arricchito da testimonianze alle quali il tempo non ha tolto lucidità e alle quali i sentimenti non hanno tolto credibilità. Potrei aggiungere anche la mia, ma sarebbe inutile raccontare una volta di più quella tragedia (la prima alla quale assistetti da appassionato; una delle tante a cui purtroppo avrei poi assistito “per lavoro” dovendo accollarmi anche l’angoscia di raccontarle, a cominciare da quella di Monza del 20 maggio ‘73 che completò il perfido filotto del destino, portandoci via anche Pasolini e Saarinen). Curioso, terribile e ovviamente “non richiesto” il fatto che questi tre lutti abbiano inconsapevolmente allungato la vita sportiva di un campione, per sua fortuna, grande, ma soprattutto immortale (in tutti i sensi): Giacomo Agostini. Con loro in pista, i Mondiali di quei terribili primi anni ‘70 avrebbero avuto albi d’oro molto diversi. Ho provato a fare un gioco, forse crudele, ma certamente non banale: che sarebbe accaduto se Angelo non


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fosse volato in cielo col suo casco d’argento e col suo numero 6 in quella primavera così sbagliata di quarant’anni fa? Quasi sicuramente avrebbe dovuto mordere il freno per tutto il 1971 e forse anche per l’anno successivo, ripagando con la sua lealtà la fiducia che gli aveva dato il conte Agusta. Ma altrettanto sicuramente sarebbe stato lui il campione del mondo della 500 nel 1973 e a maggior ragione del 1974 al posto di Phil Read (la cui non più contenibile esplosione costrinse Agostini a passare - e anche a soffrire - con la Yamaha). Questo libro non può restituire a un ragazzo di trent’anni ciò che il destino gli ha tolto. Ma può aiutare a capire che campione e che uomo ci siamo persi. Quel 4 aprile, sicuramente, fu il Signore - non Bergamonti - a sbagliare la staccata: e per una volta, forse, anche la mira. Perché un Angelo non può morire così!


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Angelo Bergamonti aveva talento da vendere e una passione che si alimentava ascoltando il canto dei motori. Era un campione, e la maggior parte della gente lo capì solo vedendolo in sella alla MV Agusta, la moto più potente e vincente della sua epoca. Ma chi masticava motociclismo conosceva già il suo valore. Da quando, poco più che ragazzo, si inerpicava sulle strade montanare spolverando specialisti affermati della corsa in salita. Da quando, praticamente per un’intera carriera, si era trovato a combattere come un moderno Don Chisciotte contro le grandi scuderie con la forza della sua classe e mezzi quasi mai all’altezza, ma sistemati con le sue mani e la sua pazienza fino a diventare competitivi. Angelo Bergamonti era in grado di lottare contro chiunque, e lottò con forza anche contro il destino. Contro quel vento che gli soffiò perennemente contro, per tutta la carriera. Gli infortunii gravi, spesso causati da errori altrui, gli tarparono le ali quasi quanto le difficoltà economiche e la maledizione di trovarsi fuori tempo, non certo per colpa, agli incroci del destino. Angelo era un ragazzo di provincia, incapace di sotterfugi o false diplomazie, sincero fino a farsi male, legato a quelle radici mai rinnegate. Incapace di fingere o di atteggiarsi, di recitare una parte. Per capire il Bergamonti pilota, campione sempre a credito con la sorte, bisogna incontrare il Bergamonti uomo. Una persona aperta, solare con gli amici e la gente che lo conosceva bene. Uno che non si sentiva un fuoriclasse, ma semplicemente sapeva di esserlo. Sapeva di avere quel dono. Non che lo facesse pesare. Ma arrivare su un circuito, provarlo e poi affermare “domani posso scendere di due secondi sul giro”, nell’ambiente, poteva confondere. Creare la diceria del Bergamonti sbruffone, lo “Spaccamonti” dalle dichiarazioni roboanti. Solo che le sue non erano dichiarazioni, ma constatazioni. Perché quando quel “domani” diventava “oggi”, i due secondi venivano magicamente limati via. E allora ci si accorgeva che il Berga non aveva esagerato, era solo arrivato con le parole dove sapeva di poter arrivare con i fatti. E ci

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si accorgeva di quel ragazzo tranquillo, semplice. Quello che dopo la gara si fermava a dare un consiglio a un collega più giovane, a scambiare un parere con un tifoso, a scherzare con un meccanico. Un uomo del popolo. Uno come tanti, solo in possesso di quella dote in più. Non certo baciato dalla fortuna: quella di Angelo Bergamonti non conobbe mai nemmeno l’indirizzo di casa. “Ne abbiamo fatti di sacrifici. La moto era la sua vita, ma era un uomo di grande umanità, fedele a me e innamorato delle sue bambine. Era sempre di buon umore, se qualcuno gli faceva qualcosa di storto si rattristava un po’ ma andava oltre. Aveva un obiettivo in testa, credo l’avesse da sempre, e io non ho voluto impedirgli di inseguire i suoi sogni. Lontano dalle gare sarebbe comunque morto dentro” Rosa Bergamonti “Era generoso nella vita come lo era in pista. Quando se ne è andato io avevo nove anni. Tra le prove, le gare e l’officina aveva pochissimo tempo libero, così quando veniva a casa cercava di essere molto presente. Anche perché mamma lo sgridava: “se continui a girare da una corsa all’altra, finisce che le tue figlie non ti riconoscono più. Così, finiva per portarci sempre con sé alle gare. Amava la sua famiglia” Marina Bergamonti “Quando papà è mancato avevo solo sei anni. Non ho i ricordi precisi di Marina, e me ne rammarico. Però ci sono momenti di tenerezza che sono ben vivi nella mia memoria. Ricordo che era sempre lui ad asciugarmi i capelli la sera dopo il bagno, e che io lo facevo ammattire. Ricordo i suoi occhi buoni e la sua dolcezza” Laura Bergamonti

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“Non ci potevi nemmeno litigare. Usciva e tornava dopo un’ora, dicendo: “allora, ti è passata?”” Rosa Bergamonti Moto e famiglia, famiglia e moto. Angelo Bergamonti ha avuto ben chiare le direttrici della propria esistenza. Ha amato le moto fin da ragazzino. Ha amato Rosa vedendola per le strade del suo paese, Gussola, ed è stato il primo vero amore. Un ragazzo di paese, diventato famoso perché sapeva far correre le sue moto. Ma quando tornava andava a infilarsi nei suoi posti del cuore, andava in cerca degli amici di sempre, di una sicurezza che solo l’aria di casa sa regalarti.


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“Era una persona generosa, semplice, assolutamente sincera. Si faceva voler bene. La nostra affinità era nata quando eravamo giovani garzoni di bottega. Aveva un gran rapporto con i giovani, la sua officina era sempre piena, quasi faceva fatica a lavorarci. Dispensava consigli a tutti, e non si risparmiava”. Cesare Scappini “Nel lavoro metteva anima e cuore. Aveva competenza e carisma, e maneggiava le cose con un talento unico. Anche quando le cose iniziarono a funzionare, non si atteggiò mai a divo. Certo, lo criticavano in molti. Dicevano che non amava abbastanza la famiglia, perché metteva a repentaglio la vita con le gare. Almeno vincessi, gli diceva qualcuno... Lui non replicava mai. Era timido, ma la volontà di arrivare era enorme. E quando riesci ad arrivare, una certa volontà di rivincita c’è se sei stato mortificato nel tuo talento. Non è un limite. È un’attitudine personale”. Don Umberto Leoni Non si battè mai per diventare un personaggio. Accadde naturalmente, quando salì in sella alla MV Agusta e tutti si accorsero di lui, perché nel frattempo in tanti, lo stesso conte Agusta in testa, avevano creato ad arte la figura dell’anti-Agostini. Ago contro il Berga, l’imperatore contro il cavaliere proletario, l’uomo degli otto (allora) titoli mondiali contro quello che aveva dovuto costruirsi da sé presente e futuro, e che cominciava a raccogliere i frutti della semina a trentadue anni. Dentro un contesto che, in fondo, non gli piaceva perché non lo faceva sentire a suo agio. “Secondo me la sua fatica nel diventare personaggio dipendeva dalle sue origini. Nelle relazioni interpersonali era addirittura timido. Alla sua carriera è nuociuto il fatto di arrivare da un piccolo paese, e certamente l’ombra lunga di Agostini, le sue agevolazioni. Angelo ha dovuto costruirsi tutto da solo”. Don Umberto Leoni

“Sapeva di non aver tempo da perdere” Francesco “Franco” Ramella

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“Di persona era simpaticissimo, e molto modesto. Agostini andava nel suo furgone, lui veniva a parlare con noi. Esprimeva la sua felicità per avere finalmente una moto che poteva guidare come e dove voleva. Non aveva fatto i conti con le strategie di una grande scuderia...” Pasquale Spadola


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Si fece ben volere, Angelo Bergamonti. Dal popolo della passione, ma anche dai colleghi a cui si rivolgeva sempre con rispetto e altruismo. Per i più giovani, aveva sempre un consiglio, una frase di incoraggiamento, un plauso. “Ricordo una gara in salita a Morciano, nel ‘63. Lui non correva, allora si offrì di mettersi in prossimità di una curva per segnalarmi il punto di staccata, perché lì non c’erano riferimenti. Solo che ad ogni giro si avvicinava sempre più alla curva. Ogni volta mi faceva staccare due o tre metri più in là...”. Benito Franco Magazzini “Ai ragazzi diceva sempre: in moto state attenti, non esagerate”. Francesco “Franco” Ramella La famiglia. Angelo avrebbe voluto averla sempre con sé. Per questo il suo grande, ultimo sogno, confessato alla moglie Rosa, era quello di partire e girare l’Europa con un camper. Solo loro. “Tu e le bambine, le sole persone di cui ormai mi fido”, confessava in quegli ultimi giorni alla MV, quando ormai era rimasto solo dentro, nell’anima. Intanto, le portava con sé ogni volta che poteva. Ad applaudire quel papà che non aveva paura di niente. “Eravamo legatissimi. Per questo ho sempre fatto fatica a parlarne, dopo. Alle corse c’ero quasi sempre, restavo attaccata alla rete per vederlo passare e quando vinceva lo aspettavo con la corona d’alloro. Alle elementari scrivevo i temi sul mio papà e leggevo agli amici le sue gesta”. Marina Bergamonti “Un giorno mi affidò Rosa e Marina, a Cesenatico. Lui con la sua Paton stava incollato a Agostini e Hailwood, in gara. Mi accorsi che la bimba, ogni volta che Angelo passava, si metteva le mani sugli occhi”. Benito Franco Magazzini

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“Mi faceva addormentare. Veniva al bordo del letto e restava lì finché non chiudevo gli occhi. Ogni tanto cercava di mostrarsi duro, e diceva alla mamma: “tu gliele dai tutte di vinta, ma per fortuna ci sono io a mettere le cose in riga”. Ma alla fine non sapeva essere severo, e i bambini queste cose le capiscono al volo...”.” Laura Bergamonti “Per lui c’erano la moto, la Rosina, le figlie. Quello era il suo mondo”. Francesco “Franco” Ramella


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E voleva che la vita tornasse così. Semplice, lineare. Gli andavano strette le direttive della grande scuderia, pensava con nostalgia agli anni difficili, sempre in rincorsa, alla corte di Giuseppe Pattoni, uomo così simile a lui da diventarne una sorta di fratello maggiore. Lì avrebbe voluto ritornare, a quel suo motociclismo meno vincente e più convincente. Soprattutto più umano. Insieme “alle sue donne”, contornato da chi gli aveva dato affetto vero, da chi veramente amava. “Ho il ricordo di un bimbo che vedeva questo uomo guidare la moto del papà. Per me era semplicemente un mito. Anzi, il mito”. Roberto Pattoni “Veniva a casa nostra ogni volta che era a Bologna. E succedeva spesso, perché abitavamo a duecento metri dalla Morini, che allora era in via Bergami. Tra papà e Angelo era nata un’amicizia che andava oltre le rispettive professioni, uno motociclista e l’altro fotografo di motociclisti. Papà è stato tra i primi a battere a tappeto circuiti e gare facendo questa professione: all’inizio c’erano Walter Bernagozzi e Novello Gamberini di Crevalcore per le moto, e Fotowall, cioè Walter Breveglieri, per le auto. Poi arrivò anche Walter Scagliarini, che era stato il meccanico della Morini e di Tarquinio Provini. Da noi Angelo si sentiva un po’ a casa. Casa nostra era un porto di mare, ci passavano centauri di ogni età e ogni categoria, dagli junior ai senior, fino ai campioni più affermati. Ma la modestia e la sincerità di Angelo fecero breccia nel cuore di mio padre. E anche nel mio, che allora ero un ragazzo che iniziava a seguire quel papà sempre in movimento, a condividerne il lavoro e le passioni”. Claudio Bernagozzi “Per me è stato una persona cara. Ho avuto la grande gioia di questa relazione, un’amicizia che lui offriva spontaneamente”. Don Umberto Leoni

“Una volta lo vidi con Rosa all’albergo, prima di una gara. Erano in un angolo e parlavano teneramente. Dagli atteggiamenti si capiva il bene che voleva alla sua famiglia. Erano legatissimi”. Benito Franco Magazzini

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“Mamma ci raccontava che per Santa Lucia si alzava presto, e per lui era un sacrificio perché faceva notte in officina, per sistemare i nostri regali. Poi, quando ci alzavamo, restava nascosto per godersi il momento della nostra “scoperta”, e vederci felici”. Laura Bergamonti


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“Che persona era Angelo? Beh, era la classica persona di cui avresti potuto dire: mi sono fermato a prendere un caffè con Bergamonti. Era normale, uno come gli altri. Seppure con quel dono in più”. Pasquale Spadola “Per me con la morte di Angelo è finito tutto. Vado ancora a trovarlo: dei miei coscritti è stato il primo ad andarsene”. Francesco “Franco” Ramella “Tre parole per il corridore: stile, eleganza, competenza. E tre per l’uomo: bontà, generosità, passione”. Pasquale Spadola

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“Io ho ricordi vaghi di papà. Ma ogni tanto ho ancora la sensazione del suo abbraccio forte, ho un’idea del suo sorriso aperto. E sento l’odore del profumo che si metteva. Sono sensazioni che ho memorizzato da bimba, e quando riaffiorano mi riavvicinano a lui”. Laura Bergamonti


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Quando Angelo viene al mondo, il 18 marzo 1939, Gussola è un paese senza vie di mezzo, un posto dove il bianco non si mescola col nero, dove le parole e i pensieri sono pietre. Ed è un paese già consapevolmente contro. In Italia c’è un regime che sta infilandosi dentro una guerra tragica, per di più stringendo una maledetta alleanza contro l’emblema del male, il nazismo. Gussola si organizza, si batte e resiste. Alla fine del conflitto conterà ventidue giovani vittime immolatesi per un ideale di libertà. E le tensioni andranno avanti a lungo, nella lotta dei braccianti per un salario e condizioni di lavoro migliori, nel rosso che si contrappone non più semplicemente al nero, ma a tutto ciò che appare antidemocratico e antiliberale. Nella Bassa cremonese, le storie avranno un sapore tutt’altro che guareschiano, anche dopo la Liberazione. Peppone e Don Camillo hanno volti e animi radicati nella stessa terra, ma sono letteratura. La realtà lascia un sapore più amaro agli angoli della bocca. E lascerà strascichi, a lungo. La Resistenza è soprattutto “rossa”, anche se non mancano, come altrove, contributi e personaggi di cultura democristiana. Si organizza nel tratto di terra padana tra la provinciale Cremona-Mantova e, a sud, il corso del Grande Fiume, quel Po che divide sulla carta, e non sempre nella realtà, la terra lombarda da quella d’Emilia. Nasce principalmente negli ambienti dell’agricoltura, soprattutto tra i giovani, quelli che spesso lavorano la terra da “stagionali”, in cambio del puro sostentamento. Gussola è un luogo della memoria, in un elenco lungo: Torricella del Pizzo, Scandolara, Cingia de’ Botti, Solarolo, Martignana, Castelponzone, Cella Dati, Motta Baluffi, Tornata. La lotta si organizza con i primi leader, gente come Luigi Ruggeri, detto “Carmen”, e Paolo Bianchi, e coltiva i suoi protagonisti. Da Erminio Lupi a Annibale Mangoni, da Angelo Pasquali, “Manfredi”, a Giuseppe Ruggeri, da Angelo Marconi ai fratelli Furini. Papà Bergamonti è un uomo di questa terra. Alessandro, detto “il Ten” ha una scorza dura. Ha lavorato nelle miniere di Francia per tirar su fami-

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glia, e poi alla Snia. È un pezzo di pane, ma non eccelle certo in diplomazia. Quello che ha da dire, lo dice di fronte a chiunque. E continuerà a farlo, anche seguendo Angelo sui circuiti, travolto e coinvolto dalla sua passione. “Angelo era legatissimo ai suoi, ma questa schiettezza del Ten nei confronti degli altri a volte gli sembrava eccessiva. Ma come, diceva, io mi faccio in quattro per vincere una corsa, magari per battere gente che ha più mezzi di me, e papà con due parole rischia di mandare tutto il mio lavoro all’aria, di fare danni. Ma suo padre era così, istintivo. Non era tipo da fare calcoli...” Rosa Bergamonti Alessandro fa il taglialegna, mamma Pina la sarta. Entrambi pensano a un lavoro tranquillo per il ragazzo che cresce in un dopoguerra faticoso. Lui lascia subito intravedere una passione per i motori. Lo divertono, lo incuriosiscono, se può ci mette le mani. Ma è un bambino, si dicono sorridendo. Magari gli passa...

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“Eravamo compagni di scuola alle elementari. Stesso anno di nascita, stessi ambienti da frequentare. Angelo è del 18 marzo, è nato lo stesso giorno di Rivera e Rosato, ma quattro anni prima. Lui è diventato famoso, io ho scelto altre strade. Tranquille: ho fatto ragioneria e quando c’è stata l’occasione sono finito in banca. Alla fine degli anni Cinquanta era un’ambizione. Sono andato a lavorare a cento metri da casa mia e ci sono rimasto fino alla pensione. Di quegli anni delle elementari ho un ricordo nitido. Eravamo più di trenta, in classe. La maestra si chiamava Rina Speroni, e più tardi, in quinta, arrivò Emilio Bergamonti, che non era parente di Angelo. Era fratello di quel Giacomo Bergamonti che divenne deputato del Pci a trent’anni, il più giovane di quella legislatura, e poi morì a soli trentatré anni. In moto, quando si dice il destino. Angelo a scuola era un ragazzo tranquillo, taciturno. Non un timido, semmai un buono, già allora. Ricordo certe interminabili partite di pallone in strada, quando passavano rarissime auto persino sulla provinciale. Logico che rimanessimo amici. Si abitava in paese, ci si trovava. E più avanti, quando lui ha iniziato a correre anche fuori dall’Italia, si è ricordato che masticavo un po’ d’inglese e ha cominciato a venire da me per farsi preparare le lettere da mandare agli organizzatori delle gare. Sono stato una sorta di addetto stampa ante litteram, diciamo così”. Francesco “Franco” Ramella Le elementari, e poi le medie. E intanto Angelo manifesta definitivamente i sintomi di una passione totalizzante. Ama le moto, ci corre sopra per le strade di Gussola e impara a “sistemarle”. A poco più di undici anni già si fa vedere alle gimkane di paese.


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“Io ne ricordo nitidamente una, e deve essere stata tra le prime che ha corso. Era il ‘54, avevamo già quindici anni. Si correva al campo sportivo, dove oggi ci sono le scuole elementari di Gussola. Credo che Rosa non fosse ancora entrata nella sua vita. Si conoscevano, certo, ma come succede a ragazzi che vivono una realtà di paese. Non era ancora scattata la scintilla, diciamo. Beh, ricordo che in quelle prove era obbligatorio usare le scarpe, ma lui non ne era contento perché diceva che senza metterle “sentiva” meglio la moto. Arrivò primo, quel giorno, e all’arrivo le scarpe non le aveva più”. Francesco “Franco” Ramella “Sì organizzava in fretta e furia anche all’oratorio. Mettevamo giù i fari provvisori, mica c’era bisogno di permessi. Arrivavano anche gli specialisti: ricordo i Santuliana di Trento, che avevano vinto anche titoli italiani. Si andava a “premio”, attraversando il Nord Italia... A quelle gare arrivavano a centinaia per correre e a migliaia per vedere”. Don Umberto Leoni “A diciotto anni (beata incoscienza dei diciotto anni) metto su una officinetta e comincio a correre come velocista. Ma a undici ero già un “drago” delle gimkane. Lo confesso ora, perché credo che il “reato” sia caduto in prescrizione”. Angelo Bergamonti, da “Veterano Sportivo”, 1968

Angelo ormai ha deciso la sua strada. E in famiglia l’hanno capito. Lo mandano a prendere il “pezzo di carta”, e soprattutto a fare esperienza pratica, all’Istituto Professionale di Stato di Viadana. Lì incontra il primo grande maestro, Nello Fortunati. Che intuisce il talento del ragazzo e gli fa scoprire

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“Spesso si presentava alla gara con una vecchia Gilera 150 elaborata. Una volta, all’oratorio di Gussola, arrivarono i fratelli Santuriana con il Capriolo nuovo di zecca. Angelo iniziò a scaldare il motore. Lo aveva modificato con la doppia candela, e non si capiva se quello si avviava o si fermava. All’improvviso partì, e i Santuriana, lo ricordo come fosse adesso, presero il furgone e se ne andarono. Bei tempi, quelli. E gran bei personaggi. C’erano Vailati e Gusberti, grandi avversari di Angelo. C’era Cesare Lanzoni di Isola, “Nistula”. E Bruno Ticchio che faceva l’idraulico a Salarolo. E Romeo Antonietti, “Cischet”, coi fratelli. Avevano un gran seguito, c’era una sorta di fan club ante-litteram. Angelo sapeva catalizzare l’attenzione. Era un leader nato. Silenzioso, ma leader. Sono i migliori, quelli a cui basta spendere poche parole”. Cesare Scappini


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un mondo. Gli sarà accanto anche in futuro, seguendone da vicino la carriera. Se Fortunati è il “guru” per quanto riguarda i segreti del motore, Angelo ha già trovato anche l’esempio a cui ispirarsi per una vita da corridore. È un talento cresciuto non troppo distante, a Roveleto di Piacenza. Ha sei anni più di lui, ma a metà degli anni Cinquanta è già un fenomeno, per chi sa di motociclismo. Si chiama Tarquinio Provini. Bergamonti ne riconosce la stoffa, e proverà ad assomigliargli anche nello stile di guida. Poi, come sempre succede a chi è baciato dal talento, diventerà a sua volta unico. La scuola gli serve per togliersi gli ultimi dubbi, se mai ci sono stati. Angelo è poco più che un ragazzo, ma sa già cosa vuole. Le moto. Correrci, lavorarci intorno e dentro. Va a bottega e si prepara a fare da solo. “Faceva il garzone da “Menuìn” Guerreschi, in via Roma. Oggi al posto di quell’officina c’è una tabaccheria. Riparavano bici e moto, e io l’ho conosciuto lì, tra i motorini. Garzone anch’io, ma di barbiere. Il negozio era una trentina di metri più in là, ed è dentro quell’officina che siamo diventati amici. Stava sempre a trafficare coi motorini, uno dei primi ricordi che ho è quello di Angelo che lavora su un Motom tre marce, quattro tempi, per alleggerirlo e farlo in qualche modo marciare spedito. E ne ho un altro, piuttosto nitido. Di una delle primissime corse a Monza, credo fosse il ‘59, lui con un Settebello che aveva preparato per l’occasione. Si pigliò dietro con un certo Cremonini e volarono via tutti e due. Angelo finì la giornata con una mandibola malconcia. A diciott’anni mise su l’officina in proprio. I suoi genitori avevano capito che quello era il suo futuro, gli “aprirono bottega” sotto casa. Diventò un punto di riferimento. L’elaborazione era la sua forza, non aveva rivali. Ricordo un 98 Morini che aveva messo a 125, ci faceva le gare in salita, tipo la Coppa Selva di Fasano. Ma la sua prima vera moto da corsa fu una Mondial 125 con le forcelle stampate, che comprò usata per 400mila lire. Era color verde pisello, una roba incredibile... Poi arrivò il primo Settebello Morini, per 700mila lire”. Cesare Scappini

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Il “Berga” da Gussola ha le corse nel sangue, ma intanto sviluppa la sua piccola officina fino a farla diventare un punto d’incontro. Per clienti in arrivo da tutta la regione, e anche da fuori. Ma anche (o soprattutto) per i ragazzi del paese, per cui Bergamonti è già un manico, un mito, anche senza bisogno di chiedergli conto delle prestazioni in gara. “Aveva sempre l’officina piena, il suo rapporto con i giovani era fantastico. Era una persona semplice, generosa, si faceva voler bene. Con un


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carisma unico. Eppure non era un affarista: non correva dietro alla gente per farsi pagare. Mi paghi la prossima volta, diceva a chi non poteva farlo subito. E poi spesso la gente si dimenticava del debito. La motocicletta per lui era passione, vocazione. Tutte le sue scelte, allora e successivamente, furono dettate da questo. Magari in certi casi ha sofferto, sapendo di essere un talento e sentendosi offrire ingaggi peggiori di quelli di tanti. Ma per la moto avrebbe corso anche gratis, ne sono certo”. Cesare Scappini C’è la fila, nell’officina di Bergamonti. La voce si sparge, col passaparola. Laggiù a Gussola c’è uno che sa mettere le mani nei motori come pochi altri. Li sa ascoltare, li sa trattare. I clienti arrivano da Milano, da tutta la Lombardia, da sotto il Po. Soprattutto quelli che avevano scelto Morini. La marca preferita da Angelo, per lavorarci. Anche quella che più avanti gli avrebbe dato le prime grandi soddisfazioni. “Adorava quella marca. Era la moto che avrebbe voluto guidare, quando ancora pensava a un futuro da centauro. Invece, aveva un’idiosincrasia per il Mondial. “Non lo posso lavorare, non ci puoi fare niente”, diceva. Io, intanto, gli facevo da cavia. Arrivavano certi signori dalla città, con moto improponibili. Io mi mettevo lì davanti, col mio Garellino, e Angelo mi indicava e diceva loro: “Lo vedi questo qui? Ti lascia indietro, ci scommetto... Il Garellino, ovviamente, me l’aveva sistemato lui”.” Cesare Scappini

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“Lo vedevo passare per le vie di Gussola, quando provava le moto. Era bello, aveva uno sguardo profondo. fiero. Mia mamma mi diceva: guarda, c’è quel matto dell’Angelo che corre”. Rosa Bergamonti


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