A Gianluca Ferrari Sbirro buono
Gialli Minerva Lupi neri su Bologna di Massimo Fagnoni
Fatti, persone e avvenimenti sono frutto della fantasia dell’autore.
Direttore editoriale: Roberto Mugavero Grafica e impaginazione: Paolo Tassoni Grafica di copertina: Alessandro Battara © 2013 Minerva Soluzioni Editoriali srl – Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. ISBN: 978-88-7381-459-7 Minerva Edizioni via Due Ponti, 2 – 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 – Fax 051.897420 www.minervaedizioni.com email: info@minervaedizioni.com
Massimo Fagnoni
Lupi neri su Bologna Giallo
Minerva Edizioni
«Poi il sesto angelo versò la sua coppa sul gran fiume Eufrate, e le sue acque si prosciugarono perché fosse preparata la via ai re che vengono dall’Oriente. E vidi uscire dalla bocca del dragone, da quella della bestia e da quella del falso profeta tre spiriti immondi, simili a rane. Essi sono spiriti di demoni capaci di compiere dei miracoli. Essi vanno dai re di tutta la terra per radunarli per la battaglia del gran giorno del Dio onnipotente. E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Harmaghedon». Libro dell’Apocalisse 16
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Capitolo uno
1.
Pietro corre. È mattino presto. Gli uomini del porto si muovono lenti nella luce accecante di un’alba di Aprile. Dopo tanta pioggia è esplosa la primavera e alle prime luci del giorno è già caldo. Pietro ascolta i battiti del cuore, dalle cuffie del lettore mp3 gli scivola dentro un notturno di Chopin, l’opera nove numero due. Osserva la propria ombra nel sole del mattino e la riconosce, sentendo un improvviso affetto per il nuovo Pietro che si muove in città. Lui ha solo se stesso. È una nuova consapevolezza fredda e tagliente, si mescola con il dolore che l’ha accompagnato fino ad oggi. Il suo corpo funziona a dovere. L’aria si muove fresca e leggera, un sottile profumo di sale e mare gli entra in circolo. Il viso, a distanza di otto anni, è tornato a essere un insieme di accessori funzionanti. Gli occhi per vedere, la bocca per parlare e mangiare, le orecchie per ascoltare i rumori della città che si risveglia, e il naso per respirare i profumi del mare. Le gambe si muovono elastiche lungo i vicoli di Genova, fra i bar che stanno riaprendo e la vita che lentamente rianima la città. Da Piazza Caricamento a Piazza Raibetta il tempo di un respiro, e ancora avanti per le antiche strade della città controllando il battito cardiaco, ascoltando il movimento delle articolazioni che lo sorreggono, di nuovo forti, in giro per la città che fu violata quel maledetto 21 luglio del 2001. 9
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Pietro ha il percorso disegnato in testa, tatuato nel sangue, impresso a fuoco nei mesi e negli anni della nuova giovinezza. Giunge finalmente all’isola delle chiatte, il suo punto d’osservazione prediletto. È il centro della città per lui. Genova, tanto angusta e compressa, in questa porzione di spazio offre una panoramica a 360 gradi. Pietro può vedere i traghetti, le navi attraccate, la zona di Sottoripa, le colline sovrastanti fino a Castelletto, il porto antico, i magazzini del cotone e sullo sfondo, in lontananza, i grattacieli di Sampierdarena e infine la Lanterna. Inspira ed espira. Ventinove anni di sacro furore genovese, occhi azzurri a guardare il mare. Il battito cardiaco ritrova il ritmo normale velocemente, merito dell’allenamento e della tenacia. Si asciuga il viso con un lembo asciutto della maglietta, strofina i capelli ricci crespi e corti, poi si ferma a gustare la città. Non lo sa se tornerà, non sa neppure se avrà un futuro, ma ha finalmente ritrovato il suo corpo, la città, la forza e l’assoluta consapevolezza che il tempo rubato qualcuno dovrà ripagarglielo nell’unico modo accettabile, una vita per la sua vita.
2.
Il giornalista RAI dell’ Emilia Romagna sfoggia un bel sorriso di circostanza. Nonostante i trentadue denti scintillanti, il completino con cravatta intonata alla camicia, rimane di una bruttezza definitiva, con una gaggia invidiabile e uno spiccato difetto di pronuncia. Il dubbio è legittimo, chi avrà deciso di assumere un tal esempio di faccia anti telegenica e soprattutto perché? Belli sorride mentre infila un toast con prosciutto cotto e sottiletta nel tostapane e ascolta annoiato le consuete notizie dalla regione. Il giornalista pare rianimarsi quando entra in collegamento con un operatore Rai che sta sorvolando la periferia di Bologna a bordo di un elicottero. 10
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Mentre il giornalista descrive la scena, il cameraman fa una totale della vallata. Sopra le voci del giornalista si sente il rumore invadente delle pale dell’elicottero noleggiato per l’occasione. «Giovanni mi senti? Ci puoi descrivere quello che vedi?». «Certo, buongiorno a tutti intanto. Stiamo sorvolando il nuovo complesso che oggi, 20 Aprile, sarà inaugurato. Un esempio dell’impegno dello Stato e della Regione nell’ambito della sicurezza». Intanto le immagini delle riprese televisive entrano nella cucina di Belli. Nella giornata soleggiata di fine Aprile si materializza il nuovo agglomerato che ha richiesto anni di lavoro. Il nuovo tribunale si erge maestoso, accanto alla nuova questura, sono due stabili ingombranti, vetro e acciaio, con una serie di pannelli solari a delimitare le superfici superiori, i due edifici sorgono accanto al vecchio carcere della Dozza che è stato ampliato, la nuova cittadella si distende nella pianura ai confini della città verso Ferrara. Belli si siede dopo avere apparecchiato la tavola della cucina e comincia a masticare lentamente il toast, sorseggiando una spremuta d’arance. Il progetto divenuto realtà visto dall’alto di una ripresa televisiva è imponente. Belli mastica e pensa che ancora una volta si è realizzato un progetto politico, che sicuramente avrà arricchito qualcuno portando potere ad altri. L’inquadratura torna in studio, dove il giornalista, sempre sorridente, riprende il filo del discorso. «Adesso entriamo in questo nuovo edificio dove ci sta aspettando la collega Carlucci per descriverci in diretta l’inaugurazione del nuovo tribunale. Mi senti Elena?». Una giovane giornalista, ossuta e occhialuta si materializza come per magia davanti alla telecamera. «Buongiorno a tutti. Dietro le porte chiuse che potete vedere alle mie spalle, sta avvenendo oggi la consegna degli encomi agli agenti e ufficiali della Polizia di Stato che nel 11
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2008 si sono distinti per atti particolarmente coraggiosi in difesa della città. Adesso entreremo in silenzio nella sala per assistere in esclusiva ad alcuni momenti di tale importante avvenimento». Belli si versa il contenuto di un’intera Moca nella tazza da caffè e accavalla le gambe, curioso e divertito dall’intera sceneggiata. Davanti alle porte della sala misteriosa ci sono alcuni agenti vestiti in alta uniforme e altre persone che parlottano e ridono. C’è una pausa di silenzio, la telecamera si avvicina alle porte che sembrano quelle di una sala cinematografica e qualcuno da dentro le schiude con lentezza teatrale. All’interno si apre una grande sala colma di persone con un palco assiepato di autorità dove un uomo piccolo e abbronzato sta parlando al microfono. «Oggi noi siamo qui per vivere in diretta un grande successo. Per anni ho perseguito la realizzazione di questo sogno, razionalizzare gli spazi della città, trasferire quella parte di lavoro, cresciuto in maniera esponenziale, dal centro storico, per potere con maggiore incisività e velocità permettere alla macchina della giustizia di fare il suo corso. Abbiamo riconsegnato Piazza Galilei ai cittadini, lasciando in quel luogo la Prefettura e tutti i servizi della questura che non hanno a che fare con la criminalità diffusa. Adesso... tribunale, questura e carcere sono concentrati in un unico luogo, dove potremo lavorare con maggiore serenità nostra e dei cittadini bolognesi». Un fragoroso applauso esplode nella sala. Assistono all’inaugurazione agenti della Polizia di Stato, carabinieri, Guardia di Finanza, Penitenziaria, Polizia Municipale. C’è anche un Vescovo accanto ad una schiera di suore. Sul palco vicino al Questore che ha appena parlato, s’intravede il Sindaco, serio dietro la barba bianca, il Prefetto e una sfilata di vice questori, commissari, ispettori. Tutti oggi vogliono salire sul carro dei vincitori... Elena Carlucci si avvicina al palco sgomitando in una selva di divise sudate. 12
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L’impianto di climatizzazione fatica a rinfrescare gli animi eccitati da tanta felicità. «Adesso inizierà la vera e propria distribuzione d’encomi, che sarà materialmente inaugurata dal Questore». Dice piano Elena al microfono e intanto il cameraman zuma sul palco, dove persone si agitano e spostano oggetti, depositando sul tavolo i numerosi riconoscimenti, medaglie e nastrini, che presto saranno appesi ai petti di uomini coraggiosi. Il Questore riprende la parola. «Inizierò la consegna delle onorificenze agli uomini che si sono distinti nel corso dell’anno passato. Quale migliore occasione di questa per dare lustro al vostro valore. Alcuni di voi oggi saranno insigniti di un riconoscimento. Non potendo premiare tutti abbiamo dovuto con fatica individuare i più meritevoli, all’interno di una macchina che funziona perfettamente, nonostante gli scarsi mezzi e i continui tagli. Come sapete fra pochi giorni passerò il testimone al nuovo Questore, uomo di valore e prestigio che mi sostituirà nel difficile compito di responsabilità che Bologna comporta. Voi tutti sarete sempre nel mio cuore. Ovunque andrò... racconterò quali meravigliosi uomini operano in una delle città più complicate dell’Italia settentrionale». Una vera e propria ovazione echeggia nella sala assiepata. Applausi a scena aperta di agenti, sovrintendenti, ispettori, uomini e donne in divisa. La telecamera scivola sui visi, si ferma per pochi istanti sui volti più interessanti, sulle scollature generose e sugli occhi lucidi di chi già rimpiange l’ennesimo Questore che andrà a fare carriera altrove. L’inquadratura indugia per un secondo sul viso spigoloso di un alto e biondo sovrintendente, schiacciato dentro una divisa linda di lavanderia che a fatica trattiene muscoli da palestra abituati a muoversi in libertà. Belli, che sta sorseggiando il caffè, si concentra sull’immagine dell’uomo e scoppia in una solitaria risata, guarda Max in divisa, gli sembra un orso vestito a festa. Belli cerca di immaginare i pensieri dell’amico che con espressione imperscrutabile fissa il vuoto davanti a sé. Nonostante 13
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la lunga amicizia fra i due uomini non potrebbe mai intuire le riflessioni che stanno attraversando la sua testa. Massimiliano Re non sta applaudendo, sente vagamente la voce del Questore, le sue parole rotolano intorno a lui spalmandosi sui visi concentrati e accaldati dei colleghi. Si sente imprigionato dentro una camicia troppo stretta, in una giacca che non è abituato a portare, impiccato ad una cravatta che lo sta letteralmente strangolando, spera che tutto finisca in fretta e che venga presto il suo turno. Intorno a lui il brusio della festa non lo sfiora, dentro di sé ascolta una musica mescolata ai pensieri che lo aiutano a superare un inizio di crisi d’ansia. Un agente sudato e cicciottello sta applaudendo accanto a Re e ai suoi pensieri, guarda il sovrintendente e poi gli tocca con prudenza una spalla. Re continua a guardare il vuoto davanti a sé, assente come se effettivamente stesse ascoltando una musica in cuffia. Il poliziotto gli dà una piccola spinta nervosa. Re si volta e guarda con occhi truci il ciccione, è più basso di lui di venti centimetri. «Ti hanno chiamato sul palco, tocca a te». Gli suggerisce il poliziotto con tono incerto. L’applauso reboante irrompe nei pensieri di Re. È come il tuono di una cascata, o la rottura della vetrata di una boutique del centro, una di quelle di Via Farini, dove ci sono i negozi più belli di abbigliamento e dove spesso Re passeggia per riempirsi gli occhi con gli ultimi modelli di Armani o di Gucci. A volte sogna di entrare in quei negozi nottetempo sfondando le vetrate rinforzate con un suv nero e dopo avere arraffato pantaloni, scarpe, cravatte, scomparire nella notte. Come al termine di ogni bel sogno o di ogni delirio Re ha violenta la cognizione della realtà. Ci vogliono altri due secondi per capire che l’applauso è per lui, che non ama essere acclamato, se non dalle donne che regolarmente si porta nel suo piccolo monolocale perfettamente arredato. 14
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Sopra l’applauso che sta lentamente scemando, echeggiano le parole calde del Commissario Capo Badalamenti: «Oggi finalmente possiamo conferire la medaglia di bronzo al valore civile al sovrintendente Massimiliano Re con la contestuale promozione per merito straordinario a sovrintendente capo. È doveroso ricordare l’infausta occasione nella quale Re si è coperto d’onore salvando letteralmente la vita dell’assistente capo De Luca. Circa un anno fa, il 26 Aprile 2008 durante una partita di calcio Bologna Genoa come vi ricorderete vi furono violenti scontri fra le diverse tifoserie...». Re ha un leggero capogiro. Stanno parlando di lui, riaprendo una ferita, un piccolo strappo spazio temporale. In sottofondo la voce profonda del commissario ricorda con la precisione dell’ufficialità un episodio cruento. Nella testa di Re si sta materializzando il ricordo, quello privatissimo e vero, che come in un film ricomincia a girargli davanti agli occhi della memoria. «... Dopo una carica di alleggerimento gli uomini del reparto mobile erano riusciti a disperdere un nucleo di teppisti genovesi, che avevano incendiato alcuni cassonetti della spazzatura. Purtroppo uno degli agenti si è ritrovato isolato in Via dello Sport ed è stato circondato da un nucleo di sei ultras». Purtroppo un cazzo, pensa Re, lo volevano seccare quei pezzi di merda. Io li tenevo d’occhio per ordine del mio capo. Quelli non erano semplicemente animali che si scaldano per una partita di calcio, erano in quel posto per fare male. Non so ancora perché Loiacono mi aveva affidato l’incarico di tenere d’occhio proprio il loro capetto, D’Angelo Carmelo, pregiudicato, confinato in quel di Genova per tre anni e in quel momento uccel di bosco. «... I sei teppisti dopo avere circondato l’assistente De Luca hanno cominciato a colpirlo con calci, pugni e spranghe con l’assoluta determinazione di uccidere. Fortunatamente in quel momento transitava sulla sua moto il sovrintendente Massimiliano Re che...». Dio!, commenta Re,... quante cazzate... avevo capito subito che si metteva male e per un attimo ho anche pensato di lasciarlo nella merda 15
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quel coglione di De Luca che era riuscito a rimanere isolato dal resto del reparto. Poi è stato come al solito più forte di me... del resto bisogna anche divertirsi ogni tanto... «Il sovrintendente Re scendeva dalla sua moto e correva verso il gruppo di aggressori mostrando il tesserino di riconoscimento e intimando loro di interrompere il pestaggio». Tua sorella, sorride Re,... con il Trans Alp sono piombato in mezzo a quel branco di sciacalli comunisti. Il primo l’ho puntato con la moto, stava ammazzando di calci il collega, non avevo il tempo di pensare... è lo stronzo che ha subito i danni più pesanti, l’ho investito in piena schiena e sono rotolato di lato mentre la moto in scivolata ha continuato la sua corsa rimanendo accesa con un ringhio di motore impallato e un fumo acre che pareva quello dei lacrimogeni. Mi sembrava di essere Miki Rourke in Rumble Fish quando fa secco uno sgherro che gli ha crocchiato il fratellino Matt Dillon lanciandogli contro la moto. Che film meraviglioso, grazie Coppola di esistere. «... Nonostante la determinazione del sovrintendente a interrompere l’azione criminosa senza fare uso della forza i giovani teppisti si scagliavano contro lo stesso con furia al fine di renderlo inoffensivo...». Gli altri mammalucchi, ricorda Re, sono rimasti spiazzati dalla mia entrata cinematografica. Due si sono concentrati sul loro ferito che doveva essere il capo dell’allegra combriccola di carogne. Gli altri tre hanno dimenticato il povero De Luca che sembrava morto, coperto di sangue com’era, e si sono voltati verso di me. I primi due hanno preso la rincorsa e mi sono venuti addosso mulinando catene e spranghe. Io ho semplicemente applicato il modulo due della mia personale cartella di addestramento al combattimento di strada. Ho sfilato fuori dalla tasca la bomboletta nuova di Mace al C.R.1 che ho comprato da un collega tedesco tramite e-bay e ho sperato che funzionasse. Il gas CR è un gas lacrimogeno 10 volte più forte del “gas CS|CS”. Tra gli effetti vi sono irritazione cutanea, “blefarospasmo” e cecità temporanea, tosse e respiro affannoso con senso di soffocamento.
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I due cappelloni mascherati con fazzoletti rossi e blu sono rimasti disorientati dal getto e hanno continuato a sferrare colpi davanti a loro alla cieca per qualche secondo e poi lo spettacolo... Il C.R. è una simpatica sostanza tossica assolutamente proibita nel nostro paese di chierichetti. I due mascherati hanno cominciato a tossire e vomitare dopo una ventina di secondi, mentre il terzo urlava verso i due che si stavano preoccupando del compagno investito. «... Con determinazione e coraggio il sovrintendente Re urlava ai teppisti di essere un agente di polizia intimando loro di interrompere l’azione criminale, ma questi continuavano a infierire sul collega ferito per poi aggredire lo stesso Re». Lo spray, rammenta Re svelando la sequenza degli avvenimenti, non era più una sorpresa e comunque devo averlo utilizzato tutto per i due coglioni che stavano in disparte vomitando l’anima. A questo punto di fronte avevo i tre sopravissuti alla mia improvvisata, armati dei soliti attrezzi della tifoseria schizofrenica italiota, tondini di ferro e catene ridicole. Io ho aperto con scatto teatrale il mio baton telescopico estensibile in acciaio aereonautico. Così mi hanno insegnato alla scuola di polizia privata che ho frequentato nel mio stramaledetto tempo libero. Lancia il baton verso il cielo, estendilo con uno scatto... spaventerai i nemici. Io non so se i nemici si sono spaventati, ma non me ne fregava un cazzo francamente, perché li volevo semplicemente morti. Mi hanno attaccato dai fianchi e davanti dimostrando in ogni caso di avere del fegato, perché erano tutti più bassini e gracilini rispetto ai miei cento chili di cattivi propositi. «... Il sovrintendente riusciva a chiamare aiuto utilizzando il suo telefono portatile prima di rimanere ferito da un’arma da taglio per un attacco vile sferrato da uno dei sei aggressori che alle spalle cercava di colpirlo al collo». In effetti, Re ricorda, i ragazzi erano nei guai e hanno cominciato a capirlo quando ho colpito con il mio splendido attrezzo il primo al gomito, procurandogli una frattura composta guaribile in trenta giorni tramite gesso salvo complicazioni. Il secondo l’ho fatto volare con una spazzata mediocre, che ho ripescato dalla mia memoria di vecchio karateca Shotokan. Ha spiccato il volo all’indietro quel mucchio d’ossa e l’ho visto come 17
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al rallentatore mentre cadeva battendo violentemente la nuca contro il cemento della strada chiusa. È stato quel momento di ammirata contemplazione della mia spazzata nostalgica che mi ha distratto. L’ultimo dei moicani mi ha piantato un coltello di tutto rispetto nel deltoide sinistro penetrandolo per dieci centimetri buoni. Appena ho sentito il dolore con il baton nella destra, ho istintivamente colpito lo stronzo fra la nuca e la base del collo ed è un miracolo che non l’abbia ucciso. È scivolato a terra come un sacco di stracci puzzolenti e fotografando la scena con gli occhi appannati dal sudore e dal dolore della lama nel braccio, non ho potuto che grugnire dalla soddisfazione per un buon lavoro portato a termine. Cazzo erano tutti inoffensivi e a terra! «... Nel giro di pochi minuti sono giunte sul posto due volanti e poco dopo una prima ambulanza e la scena che si è presentata davanti agli occhi dei soccorritori era incredibile. I sei aggressori versavano in condizioni di non nuocere, e il sovrintendente cercava di assistere il collega ferito che era in quel momento privo di sensi, nonostante avesse nel braccio conficcato un coltello a serramanico». Sorridendo tra sé Re rammenta di averli fatti fuori tutti. Io mi guardavo intorno ed erano tutti a terra, compresi i due che avevo irrorato con il C.R. che stavano raggomitolati a cercare di ritrovare aria da infilare nei polmoni. Il braccio non mi faceva più male di uno strappo muscolare e pensai che fosse meglio chiamare aiuto a quel punto della commedia. Qualcuno doveva avere visto che qualcosa stava accadendo e l’aiuto è arrivato quasi subito. Hanno cominciato con il portare via il povero De Luca e poi è stato un via vai di ambulanze e polizia e carabinieri e vigili a chiudere le strade e giornalisti ed io in ogni caso sono partito presto verso il Maggiore con il mio coltello sardo piantato nella spalla. Nel complesso una giornata riuscita. «... Ecco perché oggi non poteva mancare su questo palco il sovrintendente capo Massimiliano Re». Un nuovo più fragoroso applauso rimbomba nella sala fre18
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sca d’imbiancatura e luminosa di luci alogene distribuite con sapiente regia. La telecamera inquadra il volto indecifrabile di Massimiliano Re che lentamente si fa largo fra la selva di divise ed eleganti signore della Bologna bene. Re si arrampica sul palco come un alpinista che sale faticosamente in cima alla vetta. Stringe mani sudate e sente dentro un brivido freddo. Poi si volta verso la folla plaudente, una massa scura di divise e chiara di pelle femminile ostentata con elegante magnanimità. Re non può fare a meno di pensare che lì avrebbe potuto fare un bel macello con la mitragliatrice del Mucchio Selvaggio. Ma non ci sono Ernest Borgnine e William Holden a darmi una mano... però sarebbe una bella strage... passerei alla storia. Sovrintendente impazzito, si leggerebbe dopo, fa strage di poliziotti e preti alla giornata d’inaugurazione... poi vede Michele... bastardo... gli aveva promesso di entrare in sala con lui stamattina... Michele Angeli ispettore capo della sezione Digos di Bologna è appena entrato in sala e sorride vedendo l’amico Massimiliano Re sul palco nel suo momento di gloria. Ha fatto le corse per arrivare in tempo, non si sarebbe mai perdonato di non esserci oggi. È in borghese, sdrucito come al solito, jeans tagliati e maglietta da combattimento con Lenin che fa capolino davanti al simbolo di McDonald’s. Lui lavora sempre in borghese e porta con grinta giovanile i suoi quarant’anni in giro per la città a caccia d’indizi di deviati politicizzati e terroristi in fasce. È giustificato quando non indossa la divisa e semplicemente se ne frega delle convenzioni e degli obblighi, lavora sul crinale del rispetto delle regole. Non ha la licenza di uccidere ma ha il permesso di scivolare oltre i limiti consentiti, sempre nell’interesse comune. Michele si gode beato la folla di colleghi, il miscuglio di profumi e umori, fra scadenti dopobarba, essenze più delicate e odore acre di sudore malcelato. 19
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L’amico è sul palco, fra gli eroi e Michele pensa che se lo meriti quel trespolo precario. Oggi le stelle domani chissà... Il commissario riprende il microfono e zittisce con un solo sguardo la platea rumoreggiante e dice che a consegnare l’onorificenza al sovrintendente Re sarà il suo collega, assistente scelto Giovanni De Luca. Compare fra le divise e le barbe in fila sul palco un giovane assistente che a differenza di Re nella sua divisa fresca di bucato sembra ballarci dentro. È magro, alto almeno un metro e ottantacinque e si muove con passo leggermente insicuro verso il collega che lo sta guardando con occhi sgranati. Dio come si è ridotto il povero De Luca, sembra che gli siano passati sopra con un camion. Mi avevano detto che era uscito malconcio dalla convalescenza, ma non immaginavo in condizioni così pietose... mi fa quasi schifo ricevere sta cosa da questo zombie ambulante... perché non l’hanno lasciato a casa?... Ci faceva più bella figura, pensa Re. Mentre Re mastica le sue riflessioni, De Luca con un sorriso indefinito e un pallore cinereo si avvicina al commissario Badalamenti che gli sussurra qualcosa in un orecchio e gli consegna una medaglia con nastrino annesso indicandogli a seguire Re. La folla è ammutolita. Tutti contemplano quello che rimane del collega reduce della famosa aggressione dalla quale Re è riuscito a salvarlo. De Luca si avvicina al petto di Re che si erge davanti a lui e gli fa passare intorno al collo nerboruto il nastrino. Re si china verso il collega più basso e in quell’istante De Luca gli sussurra poche parole: «Ho bisogno di parlarti dopo... è importante». La voce è tremante come le sue mani, e un leggero velo di sudore gli copre la fronte. Re riesce solo ad annuire, mentre guarda il collega arretrare sul palco. La folla improvvisamente sembra ridestarsi ed esplode in un altro applauso. 20
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Oggi sarà giornata di ovazioni e sbattimento di mani. Michele Angeli applaude verso l’amico e intercetta quel sorriso che riesce spesso a sedurre signorine e signore che hanno la sfortuna di inciampare sul suo percorso. Michele risponde al sorriso e alza le mani plaudenti per farle vedere meglio all’amico. Re gli strizza l’occhio, ha già archiviato la faccia emaciata di De Luca che nel frattempo è uscito di scena. Anche Belli sta applaudendo Re. Riesce a scorgere il profilo di Michele Angeli e pensa che gli piacerebbe essere con i due amici in questo momento, poi ricorda l’appuntamento per la sera fissato da Re, i tre amici si troveranno per cenare insieme. Sicuramente pizza al metro alla Fenice in via della Beverara. La pizza è buona, i gestori sono amici e poi offre Re, per festeggiare la promozione e la medaglia. Belli sta già pregustando la pizza. È contento di rivedere i due amici. Nella sua cornice quotidiana ci sono pochi spazi liberi da impegni e gli amici sono scomparsi, liquefatti, sbriciolati, svaniti nel tempo e nello spazio. Il suo quotidiano è pieno di Anna, la sua donna, che riempie ogni centimetro della sua vita relegando la nostalgia in un angolo. Non aveva calcolato di trovare nuovi amici in un mondo disseminato di comparse chiamate colleghi, conoscenti, vicini di casa, compagni di calcetto e corridori silenziosi della campagna bolognese. Poi un giorno sono comparsi quei due sbirri. Michele Angeli, bello come Raul Bova ma più realistico e ruvido. Soprattutto Massimiliano Re, una forza della natura, una specie di Flash Gordon con i capelli rasati. A Belli, l’amico biondo ricorda vagamente il protagonista di quella strana parodia dell’eroe dei fumetti che negli anni ottanta comparve come una meteora sul grande schermo. Quel giocattolone biondo, Sam Jones, nel film interpretava 21
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un quarterback dei New York Jets che si ritrova proiettato in un’ avventura nella quale non c’è nulla che abbia un senso compiuto. La cosa esilarante per Belli è che il film, irresistibile per lui, con un’attraente Ornella Muti, gli ricorda Re. Sempre sopra le righe, sempre di buon umore, e con l’innata capacità di cadere in piedi in ogni situazione. Belli è un assistente della polizia municipale di Bologna e lo sa, ne è sicuro, che in una situazione come quella in cui si è trovato Re sarebbe morto. Sa anche che se fosse per qualche miracolo sopravissuto avrebbe dovuto fare i conti con il suo comando, con l’amministrazione, con i media locali e ne sarebbe uscito sbriciolato come dopo il passaggio di uno schiacciasassi. Invece il suo amico è lassù a ricevere riconoscimenti, medaglie, promozioni e qualche donna gli starà già lanciando messaggi più o meno espliciti. Belli si stira voluttuosamente e comincia a riordinare i resti del suo pranzo frugale. La diretta è terminata e il conduttore della Rai sta illustrando i festeggiamenti previsti per il giorno dopo in occasione del consueto anniversario della liberazione di Bologna dai tedeschi. Belli asciuga un piatto e si ferma un istante a chiedersi se invidia l’amico. Re ha trentacinque anni, dieci meno di lui, è bello, alto, possente e in carriera, e nello stesso tempo sembra non gli importi nulla di ciò che è o di ciò che ha. Le donne lo vanno a cercare, è libero e vitale come un animale della prateria. Appoggia il piatto pulito al suo posto nella credenza e si concentra sul pulviscolo che come la scia di una stella cometa appare in un raggio di sole entrato dalla finestra. Si ridesta dall’istante perfetto. Scuote la testa sorridendo, no, non può invidiarlo. Primo motivo Massimiliano è matto, simpatico, esuberante, sopra le righe, e fondamentalmente fuori come un balcone. 22