Mi pare di averci capito qualcosa (di Valeria Valeri)

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MI PARE DI AVERCI CAPITO QUALCOSA

Valeria Valeri, pseudonimo di Valeria Tulli (Roma, 8 dicembre 1921), è un’attrice e doppiatrice italiana. Apprezzata attrice del genere brillante, e dimostratasi anche di ottimo spessore drammatico, recita ininterrottamente sui palcoscenici teatrali, senza pause, sin dalla seconda metà degli anni quaranta, diventando una delle presenze storiche del teatro italiano del dopoguerra. A oltre 90 anni, e con quasi 70 anni di carriera alle spalle, Valeria Valeri è attiva ancora oggi in maniera continuativa nel mondo dello spettacolo, imitata soltanto, tra gli attori italiani, da Franca Valeri, Giorgio Albertazzi, Paolo Ferrari e Gianrico Tedeschi.

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MI PARE DI AVERCI CAPITO QUALCOSA Minerva

Un po’ diario, un po’ biografia; Valeria Tulli, nota come Valeri, si racconta nero su bianco: dagli inizi della sua lunga carriera di attrice al sodalizio artistico con Paolo Ferrari; dal cambio di cognome in Valeri alle persone che la confondono con Franca (altrettanto brava, ma dalla vena comica, anziché drammatica come Valeria); dall’amore per un uomo molto più giovane alla nascita della figlia Chiara. Appunti di viaggio, che l’attrice verga in modo scanzonato, ricordando gli episodi più significativi della sua lunga carriera, di “le pare di aver capito qualcosa”.


MI PARE DI AVERCI CAPITO QUALCOSA


RITRATTI Collana

Valeria Valeri mi pare di averci capito qualcosa

Direzione editoriale: Roberto Mugavero Grafica: Ufficio grafico Minerva Edizioni Editor: Elisa Azzimondi © 2015 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. ISBN 978-88-7381-791-8

Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 www.minervaedizioni.com info@minervaedizioni.com


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MI PARE DI AVERCI CAPITO QUALCOSA


INDICE

Voglio raccontare qualcosa di me Villa borghese Portami tante rose La mia religiosità La mia famiglia Mio padre zauro Trinità dei monti Le cerase rosse Ma tu pallida luna perché La buona frittatina di un uovo I palloncini colorati La bambola lenci Un piccolo dolcissimo ricordo Il tramve Muore mamma mia Lorenzo Il mio matrimonio Ma ‘ndo vai Il bel capitano Teresa Lalla la rossa Sandro ruffini Divagazioni Momenti d’amore Momenti di viaggio Il biglietto Il giornalino di gian burrasca

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Novant’anni e sei mesi

Allo sfasciato L’amore Vero amore fu La caduta Galeotto fu il libro e chi lo scrisse Peppino La famiglia benvenuti Una giornata da ricordare Papa francesco Un’escursione a bergamo alta Roncobilaccio La resurrezione e la vita Tivoli Gino Cervi La mia cosiddetta cultura La cravatta a righe verdi e blu Ondine 2012 Forlì Un ricordo struggente

p. 49 p. 51 p. 52 p. 53 p. 54 p. 56 p. 58 p. 59 p. 61 p. 62 p. 63 p. 65 p. 66 p. 68 p. 70 p. 74 p. 77 p. 78 p. 80 p. 81

Qualche notizia su di me...

p. 84

Dall’album di una vita

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Voglio raccontare qualcosa di me

Un po’ diario, un po’ biografia, comunque l’urgenza di raccontare qualcosa di me, di ricordare le persone, i fatti che mi sono rimasti nella mente e nel cuore, le emozioni, le soddisfazioni, le malinconie, le delusioni. Con la pretesa di: «Mi pare di averci capito qualcosa!» Ho 86 anni e questa mattina mi sono decisa, improvvisamente, di cominciare a scrivere su questa agenda del 2008! Oddio che paura per me che sono del 1921! È vero che era l’8 dicembre e in fondo si può dire che sono del ’22! Ma ogni tanto dico a me stessa, e qualche volta, ahimè, anche agli altri: vergogna, barare per 23 giorni! Valeria Tulli nata a Roma l’8 dicembre 1921. Mi sono detta, è bella, bellissima quest’agenda della Biagiotti; ecco, è qui che potrei cominciare a scrivere, ci sono così tante pagine da riempire, sì dai, poi vedremo! Se ce la farò, se resisterò così, con la penna in mano perché non so niente di computer, anche se mi piacerebbe mettere il becco in questa diavoleria, certo mi piacerebbe, ma anche andare in India mi piacerebbe, anche andare in Polinesia, certo! Ma... Quello che invece in fondo non mi piacque molto fu l’idea che ebbe quel mio marito di cambiarmi il cognome Tulli in Valeri! E come avevo ragione! Pochissimo tempo dopo, eccoti apparire all’orizzonte Franca Valeri. E fu uno strazio! Ancora oggi c’è chi ci confonde e non abbiamo niente in comune: lei geniale con i suoi personaggi, la sua comicità, i suoi film e chi più ne ha più ne metta; io con la mia normale carriera di attrice di prosa. Da ormai sessant’anni faccio questo mestiere e continuerò a farlo fino a “le dernier souffle”. Amo questo mestiere, è stato il mio mestiere, il mestiere che mi ha fatto arrivare a 86 anni con la gioia nel cuore, con la giovinezza nell’animo e, se da qualche tempo mi accade di avere dei malesseri strani, indefinibili, basta che metta 7


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piede in palcoscenico e… oplà! Accade il miracolo! Entro in uno stato di grazia e improvvisamente mi sento sana, giovane, piena di energia; certo qualche volta, ultimamente, accade che qualche parola voli via, come una farfalla; si tratta dei famosi “vuoti di memoria”, lì per lì è una cosa seria «oh Dio! Che devo dire?» non mi ricordo… impallidisco… annaspo… ma poi chissà perché mi viene da ridere. Ma sì, in fondo è anche una situazione comica: in questo periodo mi è capitato con Paolo, due o tre volte, ma lui non si scompone, è bravissimo! Rigira la frase, toglie, aggiunge, impapocchia come un prestigiatore… e naturalmente nessuno si accorge di niente. In questi giorni siamo al Parioli, stiamo replicando per la quarta volta in questi ultimi vent’anni: Vuoti a rendere! di Maurizio Costanzo e sempre con grandissimo successo. «Sono l’autore italiano vivente più rappresentato… mi sento un miracolato!», commentò lui con quel suo spirito così personale. Quando debuttammo con questa commedia, vent’anni fa, eravamo forse un po’ giovani per questi due personaggi, ma adesso che siamo… “vecchi”, siamo perfetti! “Vecchi!”,“Vecchi!”; veramente Paolo Ferrari ha sei anni meno di me, io però i miei 86 non li dimostro, e i conti tornano. Ammetto che dichiarare la mia età adesso per me è diventata una civetteria. Mi piace la faccia della gente quando dico che ho 86 anni! Io la butto lì come se niente fosse, e loro, per un attimo, si immobilizzano e poi «Nooo! Non è vero! Non ci posso credere! Non è possibile! Non lo dica! E poi il fatidico: “Io ci metterei la firma!”». Ma poi perché? È bello essere vecchi! In buona salute, certo! Se qualcuno (diciamo Dio) mi dicesse: «Ecco! Adesso, se vuoi, ti do la possibilità di tornare indietro nel tempo, scegli tu l’età che ti piacerebbe rivivere!» io, così di botto, direi: «Questa!» Mio Dio… 86 forse sono tanti e allora… diciamo 60! Però questa risposta è un po’ interessata perché avevo proprio sessant’anni quando sono stata folgorata dall’amore di quel ragazzo con gli occhi celesti: aveva 35 anni meno di me! Ed è stato un amore gioioso, spensierato, sensuale, molto sensuale, e non c’entrava niente la differenza d’età! È stato un amore limpido, non apparteneva al 8


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genere “passioni d’amore”, quelle passioni che ti sconvolgono la vita che ti fanno sentire in bilico, dove tu non esisti più! Dove tutto, tutto è in funzione di lui: ridi se ride lui, soffri se lui soffre, quei momenti in cui, come dice Ondine di Giraudoux «l’erba diventa nera…» quei momenti in cui magari tu chiedi: «che cos’hai? Perché sei di cattivo umore?» ti senti rispondere: «Invece di chiedermi se sono di cattivo umore, perché non fai qualcosa per farmi tornare il buon umore?». Però poi, in altri momenti, si può anche sfiorare il paradiso… e… allora! Quasi sempre ci si sente ricchi dopo che si è stati poveri, santi dopo che si è stati peccatori, sani dopo che si è stati malati; e com’è grande la gioia per una madre stringere sul cuore un figlio dopo le doglie! Com’era bella quella mattina Chiara tra le mie braccia! Piccola, tranquilla, paciosa! I capellucci neri neri, la pelle bianca bianca: «ma guarda com’è bianca!» aveva detto Romano, il portiere entusiasta quando l’aveva vista la mattina appena nata, «sembra Biancaneve». E il suo papà, che lei ha sempre adorato, le cantava cullandola: «Una piccolissima serenata con un fil di voce si può cantar ogni innamorato all’innamorata la sussurrerà! …la sussurrerààà…»

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Villa Borghese

Questa mattina con la mia amica Anna Maria e Cicci, “la scultrice”, abbiamo ascoltato la messa nella “casina di Raffaello”, ora chiesetta, a Villa Borghese. Oggi è il 20 di Aprile del 2008! Mi diverte, e un po’ mi sconcerta, il pensiero che, chissà, fra quarant’anni a qualcuno, magari a una mia pronipote, possa capitare di leggere questi miei “appunti di viaggio” e, andando a consultare un vecchio calendario, possa esclamare: «Toh! Era una domenica!». Ebbene sì, una domenica radiosa di primavera, con gli alberi già tutti rivestiti di foglie tenerelle, i cespugli di vezzose rose pronte a sbocciare, i cercis color ciclamino, un venticello carezzevole come i veli di chiffon e i pini… i pini di Villa Borghese… Respighi, sarà stato ispirato da momenti come questi per la sua trionfale sinfonia! Abbiamo ascoltato la messa con grande devozione. Le parole di un giovane prete, simpatico, gioviale, spiritoso con quel suo accento romanesco, arrivavano al cuore. Del resto mi succede spesso quando entro in una chiesa e assisto per caso a una funzione religiosa di vivere momenti di grande raccoglimento. Mi viene sempre in mente mamma mia, la sua fiducia in Dio, la sua grande fede contadina: semplice, naturale, incrollabile. E, infatti, a che serve farsi tante domande per le quali non c’è risposta? A una ulteriore domanda su tutto quello che ci circonda, al mistero che ci circonda, un illustre scienziato mi ricordo rispose: «Per avere una risposta a questo che mi chiede, caro signore, deve rivolgersi a un prete». E quanto mi è piaciuto il piccolo prete di questa mattina, un prete canterino! Aveva distribuito prima della messa a ognuno di noi un foglietto con le parole di canzoni religiose sconosciute, almeno per me, ma facili da cantare, voglio dire il motivo musicale non poteva che essere quello. Tutti erano attenti e raccolti; davanti a me una giovane coppia seguiva tutto con molta partecipazione e nel momento dell’ele10


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vazione lui si era inginocchiato in terra proprio come un fraticello; e poi c’era un bambino tenero, dolcissimo, di pochi mesi in braccio a un uomo, sarà stato sicuramente suo padre, lo si capiva da come lo teneva stretto a sé. Il bambinello buono, tranquillo, ascoltava con grande serietà i canti e le preghiere, guardando con l’occhietto curioso uno a uno ognuno di noi grandi, succhiando con impegno il suo ciucciotto e io pensavo: “Ecco, un domani lui non si ricorderà niente di questa domenica di aprile del 2008, tuttavia sarà certo l’aver vissuto fin da bambino momenti come questo a formare e ad alimentare la sua spiritualità”. Anch’io ricordo poco e niente di quando, bambina piccola, la mamma mi portava con sé a San Lorenzo in Lucina a dire le preghierine davanti alla Madonna. Se oggi, così, senza che accada niente, senza un motivo apparente, senza neanche il volo di una farfalla, io posso provare momenti di assoluta felicità, certamente lo devo anche all’aver vissuto quei momenti. A proposito di quelle nostre visite in chiesa, mamma mia si divertiva a raccontare un fattarello rimasto memorabile nella storia della nostra famiglia. Soffermandoci davanti ai vari altari lei mi aveva detto: «Ecco, vedi, questa è la Madonnina del rosario, questa è la Madonna addolorata, questa è la Madonna immacolata…» e così via! Un giorno, nella casa di Via Frattina, mentre ero seduta per terra davanti alla finestra della nostra camera da letto, saliva dall’appartamento di sotto un profumo di incenso (e questo lo ricordo anch’io) a quei tempi pare che qualcuno usasse bruciare l’incenso negli appartamenti come deodorante e siccome l’odore di incenso mi è sempre piaciuto evidentemente fin da piccola, tutta felice e ammirata esclamai: «Mamma, che puzza di Madonne!»

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Portami tante rose

Si avvicina il Natale di questo 2008 e io ho compiuto, sempre il fatidico 8 dicembre, 87 anni, ma che paura! Sono tanti, tantissimi, ma per mio fratello Peppino che a giugno ne compirà 95, in fondo, 87 sono pochi e per la grande Rita Montalcini che ne ha compiuti 100… che dire? E allora?!: «Riconzolate co’ l’aietto» (aglio piccolo), dicono a Roma; ma sì! Riconsoliamoci e andiamo avanti. Intanto lavoro ancora come una pazza e questa volta si tratta addirittura di un musical: Portami tante rose; recitato, ballato, e cantato, sissignori, da me, e da alcuni ragazzi di “Amici”. Il testo di Costanzo e Vaime, alla lettura, non era dei migliori; macchinose e deludenti sono state le prove e sarebbe anche noioso spiegare il perché. E allora? Mi sono rimboccata le maniche, ho cercato di salvare il salvabile e sera per sera, con i ragazzi, tutti bravi e volenterosi, le cose sono migliorate al punto di farlo diventare un successo! Mi piace tantissimo ritrovarmi ogni sera con loro: sono bravi, amorosi, caciaroni, tutti impegnati a far sempre meglio e lo spettacolo migliora continuamente; io recito, canticchio e ballicchio. Mi sento carina e forse, misteriosamente, sono anche più carina di quanto si possa supporre. Soltanto comincio un po’ (ma solo un po’, quando vengono a prendermi per mano i ragazzi per ballare) a barcollare e allora per reggermi, “stringo le chiappe” e vado. Così mi aveva detto tanto tempo fa, Giancarlo Sbragia, il mio amico del cuore che, all’inizio del monologo de Il diario di una cameriera, di cui aveva firmato la regìa, quella sera a Novara, aprendo il sipario a corridoio, come fanno i cantanti d’opera quando ringraziano, spingendomi verso il pubblico, con il suo sorrisetto ironico mi aveva detto: «E adesso stringi le chiappe a vai!»

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La mia religiosità

«Brillavan nel cielo turchino le stelle d’argento pareano diverse pupille di cento occhi e cento quand’ecco in alto riluce un nastro d’argento…»

Cantavamo con le mie amichette dell’Azione Cattolica dietro l’altar maggiore, la notte di Natale, nella parrocchia di via Flaminia, tanti, tantissimi anni fa! Com’erano puri, dolcissimi, amorosi, i miei 13, 14, 15 anni vissuti con nel cuore Gesù! Ancora oggi, quando mi viene da pensare a Lui, mi intenerisco, mi emoziono, mi sembra di averlo conosciuto, di essergli stata amica come Marta, come Maria, come Maddalena e ce l’ho a morte con questa parte di me che, oggi e da tanto tempo ormai, si rifiuta di credere… comunque non demordo! Ogni tanto entro in una chiesa, mi inginocchio, parlo col Signore, penso a mia madre, alla sua fede incrollabile e misteriosamente mi tranquillizzo. Così come quando, in certe sere, prima di addormentarmi, leggo qualche passo del libro dove 13


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c’è la risposta ad ogni domanda per quanto riguarda la nostra vita terrena; per quella eterna, se eterna sarà, bisogna pazientare e avere fiducia. Anche Cicerone, che non conosceva certo Gesù, ha detto: «Quando saremo arrivati là finalmente vivremo!».: «Quo cum venerimus tum denique vivemus».

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La mia famiglia

Mio padre era un onest’uomo, gran lavoratore! Quel poco che guadagnava facendo il tranviere, mamma l’amministrava come un abilissimo prestigiatore! Come avranno fatto a non farci sentire poveri me e i miei fratelli Dio solo lo sa! È vero che tre di loro: Davide, Lorenzo e Peppino (bellissimi tutti e tre come divi di Hollywood) già dagli 11-12 anni lavoravano, erano “ragazzini de’ bottega” e naturalmente versavano nella cassa comune “lauti compensi”. Gino, il più grande, anche lui lavorava, però faceva un lavoro, come dire… intellettuale; teneva in ordine l’ufficio di un certo ragionier Betti, un ometto cordiale con la catena d’oro e l’orologio nel taschino del panciotto. Gino era diverso dagli altri tre. La verità è che lui metteva soggezione; certa gente nasce così, chissà perché? In via Frattina aveva una camera per sé, con una grande finestra sulla strada, mentre gli altri stavano appalloccati (tutti e tre!) in una stanzetta senza finestra… boh! Comunque era abbastanza bello anche lui! Fece una carriera fulminante nel giornalismo, diventando direttore amministrativo prima del Popolo di Roma poi del Tempo e poi addirittura dell’Ansa! «Ma il tuo vero cognome è Tulli, vero?», mi aveva chiesto un amico giornalista, «pensa che il direttore dell’amministrativo dell’Ansa si chiama Girolamo Tulli!». «È mio fratello!», avevo risposto io. «Nooo!!» aveva detto lui... «Però mi ignora, ce l’ha con me perché mi sono divisa da mio marito e faccio l’attrice…». «Nooo!». Purtroppo era andata così! Non me l’ha mai perdonato! L’avevo rivisto all’ospedale poco prima che morisse, ci eravamo baciati con un sorriso triste, forse riparatore, consapevoli tutti e due di tanta stupidità; a via Frattina mi adorava, aveva vent’anni più di me, era stato lui a volere che mi chiamassi Valeria. Grazie! Il mio nome mi è sempre piaciuto! Si preoccupava per me, era, chissà 15


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perché, continuamente in ansia per la mia salute e questo mi divertiva al punto che una volta mi ero spalmata sul dito un po’ di succo di ciliegia e corsi da lui piangendo. «Oddio, guarda, mi sono tagliata! Guarda, guarda qui il sangue!». Lì per lì ci cascò, si spaventò: «Oddio, ma qui bisogna disinfettare, mamma, mamma non hai visto? Valeria si è tagliata!». Da un’eternità questa scena l’ho sempre qui nella mia mente e nel mio cuore… ma come ha potuto poi ignorarmi per tutto il resto della vita?

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