I PUNPîR ED BULÅGGNA – Velut ignis ardens

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Giuliano Musi

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Giuliano Musi, laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, è giornalista professionista dal 1973, ed è inoltre iscritto all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Bologna. Nella sua lunga carriera giornalistica ha ottenuto molti riconoscimenti tra cui il Premio Bardelli-USSI (Unione della Stampa Sportiva Italiana) quale miglior giornalista sportivo italiano sotto i 30 anni, il Premio “Terme Italiane”, più volte il premio annuale del Ministero dei Trasporti per inchieste sulla sicurezza stradale. Attualmente è caposervizio nella redazione di Bologna di Stadio-Corriere dello Sport e segue calcio, basket, motori. Per Minerva Edizioni ha pubblicato i volumi “Il Giro del Mondo di Tartarini e Monetti su Ducati 175” (secondo premio del XLI Concorso Letterario CONI, Sezione Saggistica), “Il Cucciolo, un gigante” (inserito nei cinque volumi più significativi e interessanti che hanno partecipato all’assegnazione del “Premio Bancarella Sport 2007”, ottenendo una segnalazione particolare), oltre ai romanzi gialli “I Glossatori” e “Il Contabile”.

I PUnPîR ED BULÅGgNA i pompieri di bologna

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Minerva Edizioni

Questa è la storia dei Vigili del Fuoco di Bologna. Avvenimenti e personaggi del mondo dei Pompieri, che ha sempre conquistato però chi ne ha fatto parte: la familiarità imposta dai turni massacranti di 24 ore; la caserma come seconda (e in alcuni casi addirittura prima) casa; i colleghi come amici fraterni con cui costruire il proprio futuro, con cui ci si rapporta in ogni istante e su cui si può contare, specie nei momenti di estrema difficoltà. La famiglia dei Vigili del Fuoco di Bologna, come testimoniano i documenti ufficiali, in oltre 200 anni è cresciuta e si è affermata anche basandosi su un’eccellenza professionale che tutti da tempo le riconoscono, frutto del profondo amore e rispetto che ogni pompiere ha avuto per il Corpo, per i colleghi e per la cittadinanza a cui ha offerto anche la propria vita.


A chi ha dato la vita per il bene di tutti


I PUnPîR ED BULÅgGNa di Giuliano Musi

Le fotografie sono state raccolte dall’autore presso l’Associazione Nazionale Vigili del Fuoco e da archivi privati Alcune foto sono state tratte dagli archivi di Walter Breveglieri, di Paolo Ferrari e di Gianni Schicchi L’editore rimane a disposizione per eventuali aventi diritto che non sia stato possibile individuare Si ringraziano: Comando Generale del Corpo Comando Direzione Regionale Emilia Romagna Comando Direzione Provinciale di Bologna Annamaria Pinelli dell’Ufficio Formazione del Comando Provinciale per la preziosissima opera di reperimento dati relativi al personale Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna in particolare il bibliotecario Maurizio Avanzolini Museo Civico di Bologna, in particolare la sezione romana coordinata dalla dott. Marinella Marchesi Museo del Risorgimento Archivio Comunale dott. Brini e sue collaboratrici Biblioteca Sala Borsa di Bologna, in particolare il bibliotecario Roberto Ravaioli Biblioteca del CONI Provinciale di Bologna Fotografi Paolo Ferrari, Gianni Schicchi, Walter Breveglieri, Mattiaccia Marino Lorenzo Parma per le ricerche nell’archivio comunale di Bologna

Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Impaginazione: Minerva Soluzioni Editoriali Srl-Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. © 2013 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna

ISBN: 978-887-381-533-4

MINERVA EDIZIONI Via Due Ponti, 2 40050 Argelato (BO) Tel. 051.663.05.57 - Fax 051.89.74.20 www.minervaedizioni.com email: info@minervaedizioni.com


Giuliano Musi

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PREFAZIONE La storia dei Vigili del Fuoco di Bologna inizia probabilmente qualche anno dopo l’istituzione della Militia Vigilum voluta a Roma da Augusto e potenziata poi da Nerone. Purtroppo non esistono tracce ufficiali relative alla nascita di questo servizio nella “colonia emiliana”. È documentato invece il Grande Incendio di Bologna del 53 dopo Cristo ed è logico pensare che i Romani, da sempre eccellenti amministratori e organizzatori, avessero previsto un corpo ad hoc per spegnere le fiamme anche nei capoluoghi delle province importanti. Cosa che avveniva regolarmente nell’Urbe come dimostrò la mobilitazione nel secondo grande incendio di Roma verificatosi sotto il principato di Comodo, oltre un secolo dopo Nerone. Le prime notizie attendibili su Bologna relative ai “servizi pompieristici in città” risalgono al 1765. Il fatto sorprendente è che la storia dei Vigili del Fuoco di Bologna rischiava di non avere il risalto che merita perché fino ad oggi non esisteva un libro che la tramandasse alle generazioni future. La pubblicazione di I Punpîr ed Bulåggna colma questa lacuna e regala uno squarcio spesso atipico e inedito non solo del 14° Corpo dei Vigili ma di tutta la vita cittadina che lo ha pervaso e di cui è stato elemento vitale. Avvenimenti e personaggi guidano il lettore alla scoperta del mondo dei Pompieri, purtroppo poco conosciuto, che ha sempre conquistato però chi ne ha fatto parte. La familiarità imposta in passato dai massacranti e frequenti turni di 24 ore cementava infatti una comunità d’intenti e di vita che non aveva fine anche quando, meritatamente, i Vigili andavano in pensione. La caserma era la seconda (e in alcuni casi addirittura la prima) casa, i colleghi diventavano amici fraterni con cui si costruiva il proprio futuro, con cui ci si rapportava in ogni istante e su cui si poteva contare, specie nei momenti di estrema difficoltà. Essere Vigili del Fuoco significa trovarsi costantemente in guerra con i cataclismi scatenati dalla natura e dall’uomo; rischiare insieme la vita rende fratelli per sempre. La famiglia dei Vigili del Fuoco di Bologna, come testimoniano i documenti ufficiali, in oltre 200 anni è cresciuta e si è affermata anche basandosi su un’eccellenza professionale che tutti da tempo le riconoscono. È indubbio però che questi livelli sono stati raggiunti sopratutto grazie al profondo amore e rispetto che ogni Pompiere ha avuto per il Corpo, per i colleghi e per la cittadinanza a cui ha offerto anche la propria vita.

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DAI ROMANI AD OGGI

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Roma, fin dall’epoca repubblicana, la lotta al fuoco era affidata ai “triumviri” diurni e notturni (svolgevano il loro compito nell’arco di tutta la giornata) che dirigevano squadre di servi e liberti forniti di rudimentali pompe e dei classici attrezzi manuali. Gli incendi erano un male contro cui si lottava quotidianamente, specie nelle “insulae” (i palazzi popolari che raggiungevano anche 5 piani di altezza), perché bastava nulla per appiccare incendi. Si trattava infatti di costruzioni fatte in gran parte in legno. Non erano state progettate e realizzate condotte forzate di acqua ai livelli più alti del terreno, nonostante gli acquedotti ne convogliassero grandi quantità fin nel centro della città per le fontane e le terme. Al comando dei triumviri, presso le porte e le mura, erano concentrate compagnie di servi pubblici che correvano sui luoghi degli incendi in rinforzo ai servi dei padroni delle abitazioni preda delle fiamme. Per Bologna non si ha notizia di un’organizzazione così studiata ma è logico pensare che esistesse comunque qualcosa di simile perché i maggiorenti cittadini conoscevano bene le usanze romane ed erano attenti nella difesa dei loro patrimoni. Non esistono documenti o reperti storici che lo attestino ma non si può escludere che il primo gruppo ufficiale di Pompieri di Bologna sia stato creato dopo il devastante incendio verificatosi nel 53 dopo Cristo. L’evento causò danni ingenti al centro cittadino e probabilmente la morte di parecchie persone. Forse la nascita dell’iniziale nucleo di Pompieri bolognesi è stata promossa proprio dall’imperatore Nerone che, a causa di quel rogo, aveva visto andare in fumo una fetta consistente delle proprietà bolognesi appartenenti alla sua famiglia. È certo che l’incendio di Roma del 64 d.C. portò al potenziamento del corpo dei Pompieri della capitale, che già esisteva e venne dotato dei mezzi di intervento più studiati ed efficaci. Fu Nerone, indicato per secoli come il mandante del grande rogo nell’Urbe, a migliorare il corpo di Pompieri nato qualche decennio prima. Il nucleo iniziale era stato voluto, come scrive Tacito, dall’imperatore Cesare Ottaviano Augusto che negli anni precedenti la nascita di Cristo aveva dato

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un nuovo assetto alle coorti urbane nell’ambito del riordinamento generale dei servizi pubblici. Augusto prestò molta attenzione al problema dello spegnimento degli incendi e istituì la MilitiaVigilum, forte di 7000 uomini, che operavano agli ordini di un capo supremo Praefectus Vigilum, personaggio dell’ordine equestre, di carattere militare, con giurisdizione civile e penale, coadiuvato da un luogotenente col titolo di Subraefectus. Tanto il Prefetto quanto il Sottoprefetto dei Vigili avevano come collaboratori alcuni Segretari (commentarieuses) per la redazione del diario del Corpo, dei sottufficiali (corniculorius) e delle ordinanze (beneficiari). La Militia Vigilum ebbe il duplice incarico della prevenzione e spegnimento degli incendi e del mantenimento della sicurezza della città. I 7000 uomini, ripartiti in Decurie e Centurie, erano raggruppati in 7 coorti, (VII Cohortes vigilum), acquartierate in sette caserme chiamate Castra (come quelle dell’esercito regolare) e in sette posti di guardia chiamati Excubitoria, in modo che ciascuna delle XIV regioni, nelle quali era divisa la città, avesse un posto di soccorso. In tal modo i Romani fin dall’anno 6 dopo Cristo avevano adottato il decentramento dei servizi di soccorso per ridurre al minimo il tempo necessario per iniziare lo spegnimento degli incendi. Ogni coorte era composta da 1000 uomini, i Vigiles, che dipendevano da un Tribuno, 7 Centurioni e vari sottufficiali Principales a cui erano assegnate diverse funzioni tecniche in base alla loro specializzazione. Inoltre vi erano 4 medici e un certo numero di infermieri, gli Aides. Il Tribuno aveva un addetto alla sua persona, il Secutor, e ogni Centurione poteva essere sostituito o aiutato da un graduato, l’Optio. In ogni coorte vi erano: i trombettieri (bucintores) per dare i segnali agli specialisti nei vari servizi e cioè gli addetti alle pompe e alle prese d’acqua (siphonarii e aquari), i portatori di materassi di salvataggio (emitularii), gli addetti ai bagni (balneari), gli addetti ai magazzini (horrearii), un alfiere (signifero vexillarius) che portava il gagliardetto e un ministro del culto (victimarius) per assicurare l’estremo soccorso spirituale alle vittime. Per lo spegnimento degli incendi i Vigili disponevano di un vasto materiale costituito da pompe, sifoni, tubi di cuoio o di legno, recipienti per l’acqua (hamac) secchi di giunchi spalmati di pece, pertiche (perticae), scale (scalae), corde (funes), copertoni (centones), sacchi di sabbia, pelli di animali imbevute di acqua o di aceto o spalmate di vetriolo; materassi, ramponi, martelli; zappe, seghe; roncole; ecc. Inoltre dagli scritti di Vitruvio viene tramandata l’invenzione di una macchina detta Antlia che serviva per mettere in pressione l’acqua nei tubi, permettendo così di raggiungere anche i piani elevati. L’acqua ovviamente veniva prelevata dai pozzi, dai fossi e anche dagli acquedotti che la portavano nelle ville, nelle insulae e nelle terme.

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L’Imperatore Claudio istituì una VIII coorte di Vigili a Ostia, dove ancora oggi è possibile ammirare i resti di una vasta caserma presso il Teatro, con un distaccamento al Porto per proteggere i grandi magazzini del Porto Claudio e della darsena Traiana. Nei secoli gli Imperatori, che avevano ben presente il pericolo degli incendi e il grande impatto emotivo che questi provocavano sulla popolazione, estesero e migliorarono il numero delle coorti portandole a 38 con un organico di ben 16.000 uomini. Dai graffiti che esistono tuttora sui muri della caserma della VII coorte, che aveva il proprio castrum in Viale del Re, risulta che i Vigili erano incaricati anche della pubblica illuminazione fatta con fiaccole di sego (sebaciaro) la cui origine rimonta probabilmente all’epoca dell’impero di Antonino Caracalla (210-215 d.C.). I Vigiles non si limitavano a combattere le fiamme ma svolgevano anche prevenzione ed educazione dei cittadini che venivano da loro eruditi e spesso anche multati, se sorpresi a fare un uso improprio dei fuochi in casa e nelle aree pubbliche. I Vigili romani svolgevano inoltre le indagini necessarie per capire le cause dei roghi ed identificare ed arrestare gli eventuali responsabili. Oltre a combattere il fuoco i Pompieri svolgevano funzioni minori di polizia urbana affiancando la Coorte Pretoriana (la Polizia vera e propria). Andavano però spesso oltre i compiti assegnati, tanto che gli imperatori furono costretti più volte ad intervenire per riportare gli esuberanti Vigiles nell’alveo delle loro funzioni istituzionali. Anche tra i Pompieri romani infatti non mancava la corruzione che si materializzava in varie forme. Spesso, prima di intervenire, si contrattava l’acquisto a prezzi stracciati delle case in fiamme. Crasso che aveva organizzato un proprio gruppo di Pompieri, formato da schiavi e liberti, diventò ricchissimo e potente anche grazie a questa strana attività. Non era infrequente neppure un impiego politico del corpo. La possibilità di trovarsi a fronteggiare un forte gruppo autonomo, potenzialmente pericoloso se male impiegato, creava grandi grattacapi all’imperatore Traiano. La preoccupazione risulta evidente da un carteggio con Plinio il Giovane che dalla Bitinia (l’attuale Turchia) gli sollecitava la nascita di un gruppo di Pompieri in quel luogo. Traiano rispose a Plinio che sarebbe stato un errore creare un corpo autonomo di Pompieri anche nei nuclei storici più importanti delle province lontane. Temeva infatti che i Pompieri si potessero trasformare in forza scelta, politicamente sfruttabile, per sovvertire l’ordine romano. Gli interventi di spegnimento degli incendi rimasero così affidati ai servi appartenenti ai padroni colpiti dagli incendi ed a gruppi di servi di proprietà pubblica e di liberti al servizio delle autorità imperiali.

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Molti storici sostengono che il rogo di Roma sia stato strumentalizzato a fini politici dallo stesso Nerone che lo usò come diversivo per legittimare una sanguinosa restaurazione politica e stroncare un imminente colpo di stato ai suoi danni. Non c’è dubbio che le fiamme diedero di fatto mano libera a Tigillino, uomo di fiducia di Nerone e responsabile dei Pompieri, dai cui giardini pare sia addirittura partito il fuoco che invase l’intera città. Tigillino potè così stroncare la rivolta dei nobili Pisoni senza dare eccessivamente nell’occhio, visto che l’attenzione generale era focalizzata sull’incendio che stava devastando la capitale. Nerone, dopo aver ridato solide basi al suo potere politico eliminando in Roma ogni oppositore, stanziò una cifra astronomica per la ricostruzione della Capitale e per l’edificazione della sua splendida Domus Aurea che sorse su molti terreni devastati dalle fiamme. In questo stanziamento era prevista anche una consistente massa monetaria affinchè i Pompieri potessero darsi strutture sempre più efficienti. La MilitiaVigilum seguì le sorti della decadenza dell’impero romano specialmente dopo il trasporto della capitale a Costantinopoli. Il grande rogo di Bologna Nel 53 dopo Cristo a Bologna (prima ancora di Roma) si verificò un terribile incendio che distrusse gran parte del Foro bolognese. L’imponenza dell’evento è stata confermata dagli scavi che hanno riportato alla luce le fondamenta della basilica che si possono osservare in Sala Borsa. Tracce di ceneri causate dalle fiamme sono riscontrabili nei manufatti del livello corrispondente all’età romana. Si sa inoltre, lo riporta Tacito (nei suoi Annales XII, 58), che nel 53 d.C. un giovanissimo Nerone tenne un discorso in Senato aggiornando la massima assise sulla situazione di Bologna dopo il devastante incendio e sollecitando un massiccio intervento finanziario per la ricostruzione. Lo stanziamento da lui suggerito fu di ben 10 milioni di sesterzi. Era una cifra molto alta considerando le dimensioni del centro di Bologna ma si spiega col fatto che proprio in quella zona esistevano numerose proprietà appartenenti alla famiglia imperiale. La richiesta di Nerone fu accettata e i segni evidenti della ricostruzione degli edifici sono riscontra-

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bili sia sui resti delle terme che del teatro. Una statua in marmo di Nerone, forse voluta dal popolo bolognese per ringraziarlo di questo intervento, era stata innalzata nella zona del teatro e delle vicine terme che sorgevano nei pressi dell’attuale Piazza dei Celestini. Alcuni manufatti si possono ammirare anche in Via Barberia nei sotterranei dell’ex magazzino COIN, ora chiuso, dove appunto fu ritrovato il busto che oggi fa bella mostra di sé all’ingresso del Museo Civico. Della statua è rimasta solo la parte inferiore priva della testa, non si sa bene se per cause naturali o come segno di successiva contestazione del popolo bolognese nei confronti di un imperatore a dir poco discutibile. Come aveva già fatto a Roma non è quindi da escludere che Nerone abbia esteso pure a Bologna la creazione di un gruppo di Pompieri per evitare che futuri incendi azzerassero di nuovo le proprietà imperiali, le ville dei nobili e le insulae (i condomini) in cui abitava il popolo. Conforta questa tesi la grande abilità dei Romani nel programmare e amministrare al meglio le province conquistate e nel trasferirvi in tempi rapidi tutto ciò che funzionava nella Capitale e poteva favorirne controllo e sviluppo. Le vie consolari e la capillare programmazione del tessuto urbano ne sono l’esempio più lampante. La scomparsa dei pompieri nel medioevo Non si sa dunque se i Pompieri fossero presenti nella Bononia romana, è certo invece che di un’organizzazione antincendio della città non si hanno notizie prima dell’avvento delle truppe francesi di Napoleone. Fino a quel momento ci si arrangiava alla meglio puntando sull’iniziativa privata e spesso i fabbricati in fiamme andavano interamente distrutti. La decadenza dell’impero romano infatti aveva causato il deterioramento di ogni istituzione e anche i Pompieri erano finiti nell’ombra insieme a tutte le loro ingegnose attrezzature, gioiello della tecnica specie per quanto riguardava il trasporto dell’acqua a distanza. Nel Medioevo nelle grandi città il fuoco si combatteva con l’intervento di piccoli gruppi para militari, associazioni e confraternite. L’efficiente organizzazione romana era stata completamente dimenticata. Quando le fiamme aggredivano i fabbricati era normale che tutti si adoperassero per spegnerle, iniziando dai proprietari e dai confinanti (coinvolti in prima persona anche nelle spese di intervento) fino ai passanti che venivano ingaggiati all’istante. Evidentemente la buona volontà non bastava per avere validi risultati. Non esistevano specialisti del settore, non c’erano gruppi di persone con mezzi antincendio progettati ad hoc e si pagava cara

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anche la mancanza di punti di approvvigionamento dell’acqua nonostante Bologna fosse una delle città più ricche di canali, indispensabili per il funzionamento dei mulini e delle filande. A queste carenze va aggiunta l’estrema facilità con cui le abitazioni s’incendiavano. Travi portanti, tetti, scale e tramezzi erano realizzati in legno e la vita familiare faceva del fuoco elemento basilare per il riscaldamento e la confezione dei cibi che avveniva nei camini usando fiamme libere. Adiacenti alle case inoltre c’erano stalle e magazzini in cui si accatastavano i foraggi e la legna da ardere. Anche l’illuminazione era assicurata da torce e lampade che facilmente innescavano gli incendi. Ad un rischio altissimo non si opponeva purtroppo un’organizzazione valida e scientificamente avanzata nel combatterlo. Lo svanire delle istituzioni favoriva poi la disorganizzazione e la rilassatezza nell’affrontare le calamità. Iniziò così a radicarsi la convinzione che gli incendi fossero una specie di punizione divina, si pensava che eventi come gli incendi, le pestilenze e le carestie fossero incontrollabili e si potesse opporre solo la fede. È questa forse la ragione che spinse molti popolani a rischiare la vita per salvare un fratello dalle fiamme o difendere i beni del prossimo colpito da terribili eventi come i grandi incendi in palazzi pubblici e abitazioni. Perdere la vita, soffrire per il prossimo, assicurava la massima ricompensa in Cielo. La crisi dell’Impero Romano fece dimenticare anche le lungimiranti disposizioni relative all’ordine pubblico che erano state estese alle province. I triumviri notturni presenti nelle maggiori città dell’Impero, si ha notizia della loro esistenza nella Gallia fino al 600 dopo Cristo, svanirono nel nulla. Vennero soppiantati da associazioni di volontari costretti ad operare però in regime di semi clandestinità perché i principi governanti temevano che si potessero trasformare all’occorrenza in gruppi di opposizione politica. Un salto di qualità si registra dopo la regolarizzazione statale seguita all’incoronazione di Carlo Magno. Nel Sacro Romano Impero tornano a manifestarsi ed operare liberamente queste associazioni di fatto che raggruppavano cittadini volenterosi, i quali non ottennero mai però un inquadramento ufficiale. I Comuni affrontano marginalmente il problema con l’emanazione di statuti e affidando la lotta alle fiamme alle Corporazioni delle varie Arti, le uniche dotate di atipici strumenti antincendio. I bandi vengono anche strumentalizzati per espellere dal territorio del Comune intere fazioni di oppositori, accusati di appiccare volontariamente roghi ai beni degli avversari politici. I piromani venivano spesso impiccati sul posto o dati alle fiamme perché il reato d’incendio volontario era equiparato a quello di omicidio.

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Nel Medioevo, e anche in seguito, non risulta dunque che il problema incendi sia mai stato affrontato con rigore scientifico anche se si ha notizia che in Firenze esistevano le “guardie del fuoco” che avevano una propria sede centrale con materiale apposito, un’organizzazione di base e posti di guardia in alcune botteghe artigiane decentrate. L’unica regola comune a molti Comuni era quella che prevedeva la mobilitazione dei brentatori per il trasporto di acqua da lanciare con le pompe. Le prime notizie sui vigili di Bologna I primi riscontri affidabili, per quanto riguarda Bologna, risalgono al 1765 quando con atto ufficiale fu stabilito che il Corpo dei Pompieri avrebbe usufruito per esercitazioni e addestramento (cosa che avvenne per decine di anni) degli spazi verdi compresi nell’Orto Botanico, poi trasferito nell’attuale sede tra Porta Zamboni e Porta Mascarella. L’orto botanico era stato ideato e creato nel 1567 dal famoso naturalista Ulisse Aldrovandi all’interno di Palazzo d’Accursio, nella zona tra il pozzo del Terribilia e Via Ugo Bassi. Si presume che la postazione dei Pompieri fosse nella zona alle spalle del pozzo, coi carri pronti sotto il loggiato, così da avere sempre libertà di movimento nei cortili interni e vie privilegiate di uscita su Piazza Maggiore. Nel 1786 l’attenzione del Senato bolognese fu più volte richiamata dalla precarietà che contraddistingueva gli interventi di spegnimento nei frequenti incendi che distruggevano case e magazzini. Le operazioni erano affidate alla buona volontà dei cittadini che non disponevano inoltre di alcun mezzo ad hoc. Fu deciso così l’acquisto di due grandi pompe che sarebbero state realizzate dalla fonderia del meccanico Francesco Comelli. Ma due pompe prementi non potevano risolvere il problema anche perché non esisteva alcun capitolato d’intervento. Nel 1795 fu approvato il primo atto ufficiale (scritto in latino, “Approbatio methodi observandi alicuius incendii occasione”) che stabiliva le regole base da seguire nei casi d’incendio e un primitivo piano di mobilitazione della cittadinanza. In questa occasione probabilmente fu anche perfezionata la prima vera dotazione di materiale (pompe e carri) voluta dal governo pontificio. L’atto del 1795 è basilare anche perché per la prima volta viene ufficializzata la ripartizione delle spese di intervento da dividere tra il proprietario dell’immobile andato a fuoco ed i proprietari confinanti. In precedenza infatti nel momento in cui si doveva stabilire a chi spettasse il costo degli interventi erano scoppiate terribili liti, sfociate anche in fatti di sangue. Come risulta da atti depositati presso l’archivio comunale erano molto frequenti poi le suppliche di cittadini indigenti rivolte al Senato. Chiedeva-

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no che si azzerasse o diminuisse il costo dell’intervento dei Pompieri o lo si rateizzasse così da non rovinare finanziariamente chi aveva già patito un grave danno a causa delle fiamme. Il Senato più volte accolse le suppliche dopo aver controllato con attenzione che non si trattasse di richieste capziose. Di rilievo anche l’obbligo generalizzato di mettersi a disposizione per chi si trovasse nei pressi del rogo, una volta che le campane delle chiese o del Palazzo Comunale avessero dato l’allarme. Emerge per la prima volta inoltre un barlume di organizzazione perché nello stesso atto viene sancito l’obbligo di intervento a carico del custode-direttore delle pompe e di non meglio identificati operai. Un primo nucleo di “pompisti” (allora erano definiti così), non ancora un corpo vero e proprio, stava nascendo di fatto pur tra mille traversie. Le uniche tecniche affidabili che venivano impiegate per spegnere le fiamme prevedevano l’approvvigionamento di secchi con acqua o di sacchi di sabbia attraverso improvvisate catene umane, rinforzate dai brentatori che portavano il materiale sulle spalle con recipienti più capaci. Non era previsto l’utilizzo di carri spinti a mano o trainati da cavalli anche perché le città avevano strade strette e viuzze che non avrebbero consentito il passaggio di mezzi di grandi dimensioni. Gli unici sussidi tecnici erano le pompe spinte a mano fino al luogo di intervento, attivate poi a braccia. È probabile che, nonostante mostrassero consapevolezza che la lotta al fuoco era un obiettivo cittadino prioritario, le autorità bolognesi siano state distratte dagli eventi politici che stavano portando Napoleone alla conquista dell’Italia. Solo così si spiega la lentezza nel limitare una piaga che colpiva tutti. La svolta con l’arrivo di Napoleone Il prefetto del Dipartimento del Reno aveva chiesto più volte formalmente alla Municipalità la creazione di un corpo stabile di pompisti ma le sue sollecitazioni non avevano mai avuto l’attenzione che meritavano. Si dovette attendere un atto perentorio dei francesi perché la situazione iniziasse a sbloccarsi. Fu infatti il generale di brigata Milossevitz, uno dei militari-tecnici giunti in città nel giugno 1796 (che probabilmente aveva svolto analoghe funzioni in patria), a ribadire nel 1801 le gravi carenze dell’organizzazione antincendio, oltre al pessimo stato del materiale a disposizione, ed a sollecitare un intervento radicale. Non va dimenticato che i francesi avevano sviluppato tecniche molto avanzate nella prevenzione degli incendi e che i Pompieri facevano parte del Ge-

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nio Militare tanto da trarne anche una porzione del nome. Si chiamavano infatti pompiers sapeurs (che significa Pompieri zappatori), e godevano della massima stima di Napoleone specie dopo le imprese in battaglia compiute alla Beresina, nella campagna di Russia. Oltre alle pesanti critiche il generale Milossevitz, nel 1804, convinse la municipalità a stendere un regolamento aggiornato per la formazione di un corpo di Pompieri ma anche questa iniziativa, pur autorevole, non ebbe il seguito sperato. Ci fu comunque un piccolo miglioramento con l’acquisto di nuove attrezzature come tubi di cuoio, picconi, corde, scale ecc… Parte della dotazione che faceva seguito alle iniziali pompe prodotte dalla ditta bolognese Comelli era di costruzione francese e per questo motivo negli anni seguenti il Comune approvò ulteriori arrivi di materiale transalpino, come risulta dalle delibere di Giunta che prevedono stanziamenti in franchi. Fa sorridere una delle disposizioni tassative del regolamento in vigore in quegli anni la quale recita che in caso di incendio i cavalli siano presi dalle poste e messi a disposizione mentre i brentatori, abitualmente impiegati nel trasporto del vino, lascino le cantine e si precipitino fornendo acqua alle pompe. Il salto di qualità avvenne solo nel 1815, stranamente alla caduta della dominazione dei francesi che erano stati i primi a cercare con insistenza la soluzione del problema. Fu il conte Camillo Grassi, nella sua veste di Podestà, a dare finalmente un assetto stabile al corpo fino a quel momento non ufficializzato, con la creazione della Compagnia dei Pompieri. Fu copiato in pratica il modello dei Pompiers di Parigi che ricalcava peraltro l’abbozzo iniziale del 1804 voluto dal generale Milossevitz. La compagnia dei Pompieri fu aggregata a quella degli artiglieri già presenti nella guardia urbana. Da questa decisione deriva l’iniziale inquadramento militare del corpo tanto che l’ingegner Giuseppe Tubertini, capo dei Pompieri, era anche capitano in seconda degli artiglieri. E anche la gerarchia interna dei Pompieri era di estrazione militare in quanto prevedeva un sergente maggiore, quattro sergenti, un caporale furiere e numerosi capi mastri e artigiani anch’essi col grado di caporale. Non erano ancora dotati di una divisa ufficiale ma erano riconoscibili per una coccarda coi colori di Bologna in evidenza sui vestiti. L’organizzazione fu ulteriormente affinata e mirata alle esigenze cittadine nel 1824 quando il senatore conte Cesare Scarselli fece approvare un nuovo regolamento. Una svolta radicale fu quella di sganciare il Pompieri dalla guardia urbana. Il conte Scarselli assunse personalmente la direzione del corpo delegando a quattro cittadini da lui dipendenti, uno per quartiere

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(San Domenico, San Francesco, Santa Maria Maggiore e San Giacomo), la responsabilità di fatto del servizio. La riforma del 1824 portò anche una struttura più snella e moderna con la soppressione dei titoli militari e l’introduzione di qualifiche tecniche collegate alla specializzazione dei singoli, da ingegnere a medico ad artigiani come falegnami, fabbri, muratori. Non era trascurata neppure una scala gerarchica con i titoli di Ispettore e Vice Ispettore, segretario e capi operatori. I Pompieri godevano del privilegio di andare liberamente a caccia nei boschi comunali ed erano esentati da ogni servizio di tipo militare. Avevano però un proprio rigido regolamento interno che irrogava pesanti sanzioni pecuniarie in caso di errori, ritardi o rifiuti di partecipazione agli interventi. L’organizzazione nello spegnimento dei roghi si rivelò innovativa ma non troppo funzionale. Era prevista infatti la direzione del Senatore e solo in caso di sua assenza comandava il responsabile di zona affiancato dai tre colleghi. All’arrivo del senatore sul posto si costituiva di fatto un comitato d’intervento da lui coordinato. Il corpo di Bologna ebbe però materiale all’avanguardia grazie alle ricerche fatte in proprio dal professor Giovanni Aldini che studiò a lungo l’impiego dell’amianto e delle tele metalliche antifuoco. A sue spese l’Aldini realizzò anche due tute e numerosi teli antifiamma che risultarono vincenti durante una prova fatta nel 1829 all’interno della caserma San Gervasio, ottenuto ovviamente il placet del cardinale Albini, legato pontificio di Bologna. Sempre nel 1829 furono evidenziate numerose carenze, in particolare la mancanza di una vera unicità di comando, e fu presentata un’articolata bozza di riforma del regolamento che non trovò però accoglienza. Come spesso capita fu necessaria una tragedia per smuovere le acque. La sera del 22 luglio 1830 in Via del Piombo si verificò un gravissimo incendio che causò la morte di una donna. Il conte Carlo Pepoli, Conservatore del Comune, sfruttò l’occasione per lodare la grande opera e il coraggio dei Vigili del Fuoco e per criticare duramente la scarsa dotazione di mezzi a loro disposizione. Il peso politico del personaggio sbloccò finalmente la situazione e il Senatore in carica affidò proprio al conte Pepoli ed al signor Giacomo Arnoaldi Veli la stesura di un piano di riorganizzazione per soddisfare al meglio le esigenze dei cittadini. Nel dicembre 1830 il progetto, che comprendeva anche tutte le proposte in precedenza formulate senza successo dall’ispettore marchese Banzi, fu presentato in Consiglio e sarebbe stato approvato nonostante l’aggravio di spese sul bilancio comunale che si aggirava sui 4080 scudi. Incombevano però eventi politici che distrassero l’attenzione del Consiglio e tutto rimase sospeso.

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All’inizio del 1831 il Conte Pepoli lasciò la carica di Conservatore delegato per i Pompieri al marchese avvocato Solimei mentre Arnoaldi Veli divenne vice ispettore. Il progetto fu ripreso, sfrondato di alcuni punti ma soprattutto ridotto come carico finanziario a 1890 scudi, e nel marzo 1832 fu presentato al cardinale Albani che lo trasmise al marchese Solimei. Nonostante i sostanziali ritocchi il Solimei fece rilevare che era ancora troppo oneroso per le vuote casse di Bologna e il suo parere di fatto tolse ogni speranza di approvazione. Si restò col regolamento del 1824 fino al 1836 quando, lentamente e senza atti ufficiali, iniziò una revisione sostanziale del regolamento unita all’acquisto di moderne attrezzature. In particolare una pompa molto potente, di progettazione inglese, che costò 312 scudi. Nel novembre 1837 il corpo fu fornito di una propria uniforme e di attrezzature ancora più moderne. Fu istituito inoltre un gruppo permanente di intervento presso il Palazzo Comunale (allora sede del Delegato Apostolico) coordinato da un capo posto. Il miglioramento nella struttura e nei mezzi consentì negli anni seguenti un lavoro molto più qualificato e il conseguimento di risultati incoraggianti tanto che ai Pompieri furono assegnati numerosi riconoscimenti ufficiali con elogi, encomi e decorazioni. Nel 1848 fu infine attivato un proprio ufficio amministrativo diretto da un comandante; il primo in questa carica fu il Conte Giovanni Bentivoglio, sostituito presto dal marchese Banzi che, preso da importanti problemi di governo della città e del Regno Pontificio, delegò molte delle sue funzioni all’ispettore capo Berti. L’insurrezione armata contro gli austriaci dell’8 agosto 1848 vide i Pompieri di Bologna sempre in prima linea con atti di patriottismo e di coraggio. Furono loro a limitare i danni, comunque ingenti, causati dalle truppe austriache in ritirata che lanciavano razzi e proiettili incendiari per fermare l’assalto del popolo bolognese. Nel 1849, a ruoli invertiti dei combattenti, i Pompieri spensero decine di incendi appiccati dai proiettili e dalle bombe che le truppe austriache lanciarono durante l’assedio di sei giorni che strinse Bologna in una morsa terribile. Entrati in città gli austriaci sciolsero tutti i corpi militari cittadini tranne quello dei Pompieri a cui però fu tolto l’uso delle armi da fuoco. Nel 1850 il regolamento fu cambiato in molti punti unitamente ad una sostanziale revisione della divisa. Alle sempre più importanti funzioni svolte dal corpo, che era impiegato anche nel controllo delle manifestazioni e degli spettacoli con propri contingenti all’interno dei teatri, non faceva purtroppo riscontro un’adeguata attenzione da parte dell’Autorità Comunale. La situazione era insostenibile tanto che il comandante, il marchese Banzi che si trovava a Messina, inviò le proprie dimissioni e le ritirò solo dopo grande insistenza e rassicurazioni del Senatore marchese Magnani.

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Alla fine del 1852 ai Pompieri venne affiancata una Compagnia urbana organizzata militarmente per i servizi e la scorta d’onore alle Autorità; era agli ordini del Comandante dei Pompieri ma con un regolamento interno separato. Entrambe le compagnie erano però considerate parte dell’esercito pontificio. Nel 1856 fu aggregata al Corpo dei Pompieri la nascente Banda musicale municipale. Non essendoci soldi nelle casse comunali il progetto della banda, presentato nel 1855, dovette attendere un anno e fu alla fine approvato solo con l’assicurazione che non avrebbe in alcun modo gravato sul bilancio comunale. I 40 musicisti infatti si impegnarono a suonare gratis per tre anni sotto la direzione artistica del maestro Cesare Aria e del capo banda, il maestro Alessandro Antonelli. Il gruppo non ebbe la fortuna sperata e di fatto sparì in tempi rapidi. Si dovette attendere fino al 1868 perché la banda dei Pompieri avesse di nuovo una presenza costante in città. Il Consiglio Municipale infatti approvò l’istituzione di un corpo di musica dei Pompieri su proposta del maestro-direttore Enrico Drusiani il quale rassicurò l’amministrazione che tutti i musicisti avrebbero prestato gratuitamente i propri servigi. Fu decisiva la “moda” che vedeva ogni Corpo di Pompieri in Europa dotato di un proprio gruppo musicale. Erano così numerosi che nel 1905 venne addirittura organizzato ad Alais, in Francia, un Concorso Musicale Internazionale a loro riservato. 18


La dedizione del Corpo al bene pubblico fu confermata anche durante la terribile epidemia di colera che nell’estate del 1855 uccise in pochi mesi oltre duemila bolognesi. I Pompieri svolsero al meglio le funzioni loro assegnate e, superata l’epidemia, si impegnarono in manifestazioni benefiche a favore degli orfani. La più riuscita fu una recita (definita nei resoconti giornalistici come esperimento di recitazione ed accademia) avvenuta la sera del 6 marzo 1856 nel salone del Palazzo del Podestà. La popolazione gradì moltissimo l’iniziativa nonostante la scarsa attitudine dei Pompieri alla recitazione e fu raccolta un’ingente somma. Il contabile nella sua relazione ufficiale al Comandante certifica che, detratte le spese, l’incasso fu di 25685 scudi romani. Nel 1858 il marchese Banzi, promosso ad un’alta carica a Roma, lasciò il comando sostituito dal marchese Camillo Zambeccari. Causa le precarie condizioni di salute, il marchese Zambeccari l’accettò a patto che avesse la carica interinale il conte Angelo Tattini che, trascorsi pochi mesi, divenne comandante unico. La notte del 12 giugno 1859 l’esercito austriaco dopo dieci anni di occupazione lasciò definitivamente Bologna, imitato la mattina seguente dal Cardinale Legato Milesi. Ai Pompieri, il 13 giugno 1859, spettò il grande onore di togliere le insegne pontificie dal Palazzo Comunale Arcivescovile

Esibizione in Piazza Maggiore del 1876

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ed issare per la prima volta il Tricolore a Palazzo D’Accursio. Le truppe austriache, che temevano una vendetta del popolo per quanto avevano fatto dieci anni prima, non volevano abbandonare la Grande Guardia (il centro di Comando a Palazzo d’Accursio) in Piazza Maggiore. Alla fine si convinsero e consegnarono la postazione proprio ai Pompieri ed alla Gendarmeria tra gli applausi del popolo festante. I pompieri dopo l’unità d’Italia Per il rispetto dell’ordine pubblico fu creata una guardia provvisoria che affiancò quella urbana ed i Pompieri ma con l’entrata a regime del nuovo governo le prime due vennero sciolte. Rimasero i Pompieri che ripresero le loro funzioni tecniche, lasciando quelle di controllo di polizia che avevano provvisoriamente svolto sotto il comando del Conte Angelo Tattini, il quale proseguì come capo dei Pompieri. L’organico del corpo non era rispondente alle necessità e per questo motivo in occasione di grandi incendi si puntava molto sui volontari che svolgevano compiti logistici complementari come il trasporto del materiale e l’approvvigionamento dell’acqua. I disservizi però erano notevoli e il marchese Luigi Pizzardi cercò di superare l’impasse accordandosi col comando militare, rappresentato dal generale Cialdini, al fine di avere il supporto dell’esercito e non più dei volontari. I primi riscontri furono positivi anche perché la direzione degli interventi fu lasciata agli ufficiali del corpo dei Pompieri, tecnici specializzati, abili nel dirigere la forza lavoro militare. L’abilità dei Pompieri di Bologna fu confermata nel 1861 da due grandi incendi che rischiavano di provocare danni ingentissimi. Il primo in Via Altabella fu domato a fatica dopo molte ore e grandi rischi. Il secondo, che il 31 dicembre poteva distruggere interamente la Manifattura Tabacchi, richiese anche un’alta dose di improvvisazione. Gli ufficiali in comando si resero subito conto che con i mezzi tradizionali non sarebbero mai riusciti a domare il rogo. Le fiamme infatti si stavano dirigendo con grande rapidità verso le case confinanti ed i piazzali dove erano in sosta ben 280 carri pieni di materiale altamente infiammabile come foglie di tabacco e legna. Gli ufficiali non ebbero dubbi e ordinarono di aprire una breccia nel confinante canale di Reno deviando le acque negli scantinati e nei piazzali della manifattura. Rimedio estremo che ebbe però ragione delle fiamme salvando ingenti quantità di legna e tabacco caricate sui carri senza portare danni irreparabili alle strutture dell’edificio. L’originale soluzione fruttò anche gli elogi del barone Ricasoli a nome del Governo.

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Nel 1862 i Vigili furono armati con le carabine prima fornite alla compagnia artiglieri della Guardia Nazionale. I successi ottenuti dai Vigili di Bologna fruttarono negli anni seguenti una dotazione sempre più numerosa e qualitativa di attrezzature e carri trasporto. Il gioiello arrivò nel 1867; era la scala aerea Porta che costò al Municipio ben 3000 lire. Un altro grave inconveniente relativo al trasporto delle attrezzature fu superato nel 1870. La Giunta Comunale stipulò una convenzione con l’Assuntore del lavaggio delle strade, al costo di 25 lire mensili, per assicurarsi sempre la disponibilità di un conduttore e due cavalli per il trasporto dei materiali nel caso di interventi, in particolare fuori città. In precedenza il compito era affidato ad un vetturino che non aveva l’obbligo tassativo di mettersi a disposizione e interveniva se non aveva altri servizi in corso. I cavalli inoltre dovevano essere portati alla postazione del Palazzo Comunale dallo stallatico della Posta e spesso non se ne trovava di disponibili. Fu respinta invece la richiesta fatta dal Comandante di stipulare un contratto con un vetturino per tenere a disposizione quattro cavalli presso il Palazzo Comunale per gli interventi notturni. Le mutate esigenze della popolazione richiedevano un adeguamento rapido dei Vigili che continuavano però ad operare in base ad un regolamento superato e con fondi irrisori. La scarsa dotazione economica non consentiva l’acquisto di mezzi funzionali che all’estero erano ormai abituali. Si decise allora di rivedere completamente le disposizioni in vigore. Il compito fu affidato

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ad una commissione nominata dal Municipio che nel gennaio 1876 elaborò un testo approvato dall’autorità governativa. Per dimostrare la funzionalità del Corpo nello stesso anno fu organizzata una grande manifestazione in Piazza Maggiore in cui furono svolti esercizi di ginnastica e una simulazione di intervento su incendio. Era stata costruita una facciata in legno e tela a ridosso del Palazzo del Podestà e su questa i Vigili di Bologna mostrarono la loro abilità tra gli applausi della popolazione che gremiva la piazza. Nel febbraio 1876 al conte Tattini (comandante del corpo, “frenato” nel suo compito dalle cattive condizioni di salute) fu affiancato un giovane vice comandante, il conte Guglielmo Berti-Pichat, con l’incarico di svolgere la maggior parte delle incombenze dirigenziali. La scelta si rivelò subito vincente e il nuovo dirigente iniziò una profonda riorganizzazione che portò alla creazione di attività sociali all’interno del corpo. Fu inaugurata anche una palestra nei locali a terra del palazzo comunale, per svolgervi esercizi di ginnastica volti a migliorare l’efficienza fisica dei Pompieri. Gli interventi capillari di Berti-Pichat fruttarono una maggior dotazione tecnica con attrezzi di ultima generazione, rivoluzionarono la modulistica e l’organizzazione degli uffici, rividero in maniera sostanziale le direttive di intervento. Cogliendo al volo l’occasione del trasferimento dei Carabinieri in altra sede Berti Pichat ottenne che i Pompieri avessero maggiori e più idonei

Il parco mezzi schierato nel cortile interno di Palazzo D’Accursio dove si trova la caserma

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spazi all’interno di Palazzo d’Accursio. Si stivò così meglio il materiale antincendio e i mezzi di intervento, e furono migliorati i luoghi di riposo e le camerate per i turni di notte. Furono ricavati anche nuovi locali in cui fu ospitato adeguatamente il Comando che fino a quel momento operava in un appartamento fuori del Palazzo. Si ottenne un duplice risultato: il Comandante sarebbe stato molto più presente, non solo in caso di allarme, e l’appartamento fu messo a reddito. Si può affermare che grazie all’opera del conte Pichat il corpo dei Vigili di Bologna, in soli due anni, raggiunse i massimi livelli nazionali. Sarebbe cresciuto ancora di più in qualità se il grande innovatore non fosse morto ad appena 29 anni a causa di una malattia incurabile. Il crescente numero degli interventi e la loro difficoltà portarono purtroppo anche le prime vittime in servizio. Nell’agosto 1877, durante un soccorso nei pressi di porta Lame, il Vigile Valentino Querzè cadde da un’impalcatura e rimase esanime al suolo. Essendo l’unica fonte di reddito per l’anziano padre, molto malato, la Giunta Municipale deliberò un vitalizio a suo favore di 20 lire mensili. Al grande onore di aver issato il tricolore a Palazzo d’Accursio i Vigili di Bologna, nel novembre 1878, affiancarono quello di essere scorta al Re ed alla Regina in visita in città. Per tre giorni furono in continuo contatto con i regnanti che gradirono molto il loro servizio e per questo ringraziarono il sindaco Tacconi che girò gli elogi al conte Tattini, considerato il miglior comandante che avesse avuto il corpo dalla nascita. Uomo di grande umanità e sempre attento alle esigenze dei suoi ragazzi morì purtroppo dopo poche settimane e fu sostituito dal suo vice Giuseppe Ballarini. Un grande aiuto al corpo giunse nel 1881 dall’inaugurazione ufficiale dell’acquedotto comunale che consentì, limitatamente al centro, interventi più rapidi e risolutivi grazie alla realizzazione di una rete di idranti che copriva il nucleo storico della città. L’anno seguente i Pompieri furono dotati di undici linee telefoniche che facilitarono ulteriormente il lavoro, la diffusione degli allarmi e la rapidità negli spostamenti. Le linee infatti raggiungevano ogni porta dove esisteva una postazione con un capoposto e tre uomini e le abitazioni degli ufficiali, così da allertarli anche di notte. Nel 1884 si contavano già 15 bocche fisse di acqua alimentate dal torrente Setta e il loro numero salì rapidamente fino ad 86 assicurando così un apporto decisivo nella lotta alle fiamme. Con questa risorsa furono evitate anche le dispute causate dal prelievo forzoso di acqua che in precedenza veniva effettuato nei pozzi dei privati. Nel 1884 il cavaliere Giuseppe Giovanardi Corelli, aiutante istruttore dal 1877, concluse approfonditi studi sul corretto uso delle pompe e sulle

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metodiche di intervento che divennero fondamentali per il miglioramento del servizio. Le sue intuizioni furono pubblicate in un manuale e recepite da tutti i corpi nazionali. Si provvide anche ad acquistare un fucile lancia corda di costruzione inglese. Nel 1886, vista in parte l’incompatibilità con la tipologia del servizio, venne tolto ai Pompieri l’uso della carabina (ormai superata come modello) e delle armi da fuoco in genere, riservando alle sole parate il dagone a sega molto più consono alla divisa. Nel 1887 per la prima volta furono inseriti nel materiale di intervento rapido anche due respiratori e un estintore Dik. La voglia di migliorarsi non è mai venuta meno al corpo di Bologna così nel luglio 1887, sfruttando la temporanea chiusura dell’Arena del Sole per i lavori di ampliamento di Via Indipendenza, fu organizzata una simulazione di incendio a teatro a cui vennero invitati i comandanti dei Pompieri di tutte le città vicine. Quella fu anche l’occasione per sperimentare sul campo le teorie innovative di Giovanardi Corelli. La rappresentazione ebbe grande successo da parte delle autorità, dei tecnici e del pubblico che era accorso numeroso. I sempre maggiori compiti svolti dai Pompieri nella prevenzione e nel lavoro quotidiano evidenziarono la scarsità del personale presente nei posti fissi così in negli anni 1890 e 1891 i rispettivi organici furono aumentati arrivando al numero di undici, compreso il capo posto. Durante i lavori di ristrutturazione all’interno del Palazzo Comunale, iniziati nel 1888, fu migliorata anche la sistemazione della caserma con una sala refettorio più funzionale, un dormitorio più ampio, magazzini attrezzati alla bisogna per riparazioni e stoccaggio materiali. Un passo importante si verificò nel 1879 grazie al comandante Ballarini che propose ed ottenne dalla Giunta Comunale l’assicurazione collettiva dei Pompieri così da tutelarli da infortuni in servizio che causassero morte o grave invalidità. Era il primo passo, seguito dall’altro ancora più lungimirante, formalizzato con la nascita nel 1894 della Cassa Sussidi e Previdenza, che oltre agli infortuni aiutava i Pompieri e le loro famiglie in caso di malattia e vecchiaia. Chi raggiungeva i 55 anni di età o un’anzianità di servizio di 30 anni poteva godere di un vitalizio di 15 lire mensili. L’erogazione di queste cifre era assicurata da un fondo che in quegli anni era già consistente raggiungendo l’ammontare di 14098,86 lire. Il fondo era alimentato con un prelievo mensile di 1 lira a carico dei Pompieri, erogazioni annuali di 1000 lire (poi ridotte a 500, 250 e infine eliminate) della Giunta Comunale, dai proventi assicurati da una percentuale su ogni spegnimento e dalle sanzioni disciplinari inflitte ai Pompieri. L’importanza dei Pompieri fu sempre riconosciuta dal Consiglio Comunale che a più riprese deliberò l’acquisto di mezzi all’avanguardia come una

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pompa a vapore che costò 400 lire. Furono studiati e poi acquistati per tutto il corpo anche i primi elmi di cuoio nero di produzione tedesca e i gambali protettivi che sostituivano le ghette impiegate fino a quel momento. Nell’agosto 1886 per la prima volta i Pompieri effettuarono un tipo di intervento che esulava dallo spegnimento delle fiamme e sarebbe diventato poi abituale e fondamentale. Salvarono infatti due muratori che erano stati seppelliti, in una buca profonda cinque metri, dal terreno franato loro addosso per il crollo di una parete laterale. Il fatto avvenne durante alcuni lavori negli scantinati di un edificio adiacente alla Banca d’Italia e si risolse positivamente col salvataggio di entrambi i muratori che dovettero restare però parecchi minuti interrati con solo la testa e le braccia libere. Le prime statistiche confermano l’importanza del Corpo di Bologna per assicurare il benessere cittadino e la sempre maggiore fiducia che la popolazione nutriva verso i suoi Pompieri. Dal 1877 al 1894 gli interventi erano saliti da 77 a 137 in media ogni anno con un costo per la comunità lievitato da 5363 a 9115 lire ma con un picco ancora maggiore, anche se non quantificabile, di vite salvate. Sempre nel periodo 1877-1894 risultava che erano stati effettuati 331 interventi per incendi di grande rilevanza, con una media di 18 l’anno, mentre le chiamate per incendi di scarso rilievo erano state 259, con una media di 14 l’anno. Ai soccorsi per incendi vanno ovviamente aggiunti quelli, sempre più numerosi e frequenti, per altri gravi incidenti come crolli e tragici eventi naturali. La professionalità dei Pompieri di Bologna fu testimoniata in sede nazionale già nel 1906 quando per la prima volta operarono in trasferta, a centinaia di chilometri dalla città, durante il devastante terremoto che aveva colpito la Calabria. Il terremoto-maremoto di Messina li riportò al Sud dopo appena due anni. Furono infatti i Pompieri di Bologna, insieme ai distaccamenti di Budrio e Imola, a mettere piede tra i primi nella città devastata e ad iniziare il durissimo iter dei soccorsi. La loro abilità e abnegazione fu riconosciuta anche dal re Vittorio Emanuele III. Gli elogi del re sono stati i primi di una lunga serie giunta fino ad oggi; gli ultimi per il massiccio intervento dei Vigili di Bologna in Abruzzo e nel Modenese. Altre “gemme” dei Vigili del Fuoco di Bologna sono state il doppio intervento negli anni 30 e nel 2001 per l’esplosione alla polveriera di Marano, la medaglia d’oro nel 1914 per l’apporto fornito nell’Abruzzo devastato dal terremoto, l’incidente ferroviario di Sasso Marconi del 1929 e nel 1931 il salvataggio del Teatro Comunale di Bologna che stava andando tutto in cenere a causa di un violentissimo incendio che distrusse comunque il palcoscenico e parte del coperto.

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L’ultimo regolamento per il corpo dei Civici Pompieri di Bologna risale al 1922. La crescita del paese e la necessità di interventi sempre più rapidi a difesa della popolazione in caso di calamità e incendi di vaste proporzioni portò ad una riflessione in sede nazionale che dette vita al RDL (Regio Decreto Legislativo) del 27 febbraio 1939 n. 333, convertito in legge 27 dicembre 1941 n. 1570, istitutivo il Corpo Pompieri alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno, che riunì tutti i corpi dei Pompieri presenti sul territorio nazionale nelle varie città. Fu sostituito anche il termine Pompiere con quello di Vigile del Fuoco, pare di ispirazione dannunziana. Il nuovo governo fascista affidò l’incarico di razionalizzare il corpo ad un ardito della Prima guerra mondiale, Alberto Giombini che diventò il primo responsabile della “Direzione generale servizi antincendi”. Il punto cruciale del decreto era la nascita di un comando in ogni capoluogo provinciale a cui avrebbero fatto capo i distaccamenti creati nei centri più importanti. Le direttive con valenza nazionale erano poi emanate dall’Ispettorato Centrale Pompieri che di fatto razionalizzava i sistemi fino a quel momento mirati solo alle realtà locali. Altro punto qualificante era l’inquadramento a tempo pieno dei Pompieri professionisti, che svolgevano interventi unicamente a favore della popolazione, a cui potevano però essere affiancati volontari ingaggiati quando si palesasse la necessità; volontari retribuiti per brevi periodi. Al 1938 risalgono per Bologna la denominazione ufficiale di 14° Corpo dei Vigili del Fuoco (sancita col decreto n° 1021) e il motto Velut Ignis Ardens (Ardente come il fuoco) che lo contraddistingue. Sempre nel 1938 venne bandito il termine Pompiere sostituito da quello ufficiale di Vigile del Fuoco. L’anno seguente i compiti dei Vigili furono estesi anche ai porti di maggiore rilevanza con la creazione in queste aree di distaccamenti dotati di apposite imbarcazioni ed attrezzature mirate al particolare tipo di intervento. In provincia di Bologna erano attivi Distaccamenti Volontari nei Comuni di Bazzano, Budrio, Castel San Pietro, Castelfranco Emilia, Cento, Crevalcore, Imola, Pieve di Cento, Sant’Agata Bolognese, San Giovanni in Persiceto, San Pietro in Casale, Porretta Terme. Nel 1939 ne venivano definitivamente chiusi alcuni e fu inoltre vietata la partecipazione costante alle tradizionali iniziative pubbliche. Questo determinò un distacco sempre più netto tra la popolazione e il corpo che in precedenza vivevano in piena sintonia non solo gli eventi tragici ma anche i momenti di felicità come feste religiose e civili.

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La seconda guerra mondiale ha visto i Pompieri di Bologna protagonisti nei quotidiani interventi a sostegno della popolazione provata dai terribili bombardamenti alleati. Uno dei più devastanti è stato quello del 3 settembre 1943 in cui fu distrutta la stessa caserma dei Vigili in Viale Pietramellara, inaugurata appena tre anni prima. Negli anni del conflitto i Vigili di Bologna hanno pagato anche un alto tributo di vite umane con la perdita di cinque elementi durante le operazioni di soccorso dopo incendi e crolli in città e fuori sede. Ma anche in precedenza non erano mancati i caduti in servizio come ricorda una lapide posta in Via Orefici nel luogo in cui morirono tre Pompieri intervenuti per domare un grosso incendio che si era sviluppato nei sotterranei della ditta Malmusi-Gentili. In quegli anni la benzina per auto e il materiale combustibile si vendevano infatti negli esercizi commerciali, non esistevano distributori stradali, e fu proprio lo scoppio di alcuni serbatoi di benzene sistemati nei sotterranei e il successivo crollo dell’edificio a causare la morte dei Pompieri intervenuti in forze. Col ritorno di una pace stabile dopo il secondo conflitto mondiale il lavoro quotidiano dei Vigili del Fuoco è stato limitato fortunatamente alla soluzione di problemi locali. Spesso però sono stati punto di riferimento in operazioni di respiro nazionale e internazionale dopo la nascita della Protezione Civile e, nel suo ambito, delle varie colonne mobili regionali. Le calamità nazionali sono state frequenti e i Vigili le hanno fronteggiate dando il massimo. Un campo inaspettato di intervento è stato purtroppo causato dagli attentati terroristici ma anche in questo caso i Vigili hanno risposto con efficacia e decisione. Sono passati 78 anni dalla promulgazione del Regio Decreto Legislativo del 1935 che istituiva l’organizzazione provinciale e il coordinamento nazionale dei servizi pompieristici alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno. Una decisione storica, frutto di una riflessione in sede nazionale che aveva evidenziato come la crescita del paese, la guerra incombente e la necessità di interventi sempre più rapidi a difesa della popolazione si potessero raggiungere solo attraverso una struttura all’avanguardia che riorganizzasse le valide realtà locali. Bologna fu ovviamente uno dei fulcri della riforma. Punto cardine del sistema nazione, il 14° Corpo può vantare lunga tradizione, altissima professionalità e mezzi all’avanguardia al servizio di squadre specializzate raramente riscontrabili in altre regioni. L’organico è da sempre ai massimi livelli professionali, continuamente elevati grazie alla dedizione ed alla esperienza di tutti, e l’impegno dei singoli va ben oltre il rapporto di lavoro. A Bologna resta viva la convinzione che Pompieri si è per tutta la vita e che l’amicizia tra colleghi e il lato umano in ogni soccorso sono valori che non devono mai passare in secondo piano.

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Lo confermano la lunga tradizione e i successi ottenuti in regione e in tutta Italia grazie agli interventi della colonna mobile. Bologna è stata sempre in prima linea nel portare aiuto e conforto alle popolazioni colpite dai disastri naturali come dimostrano anche i recenti interventi per i terremoti in Abruzzo ed Emilia. Bologna ha pagato a caro prezzo e con grande dignitĂ anche i terribili eventi causati dal terrorismo, dando una lezione di vita che i suoi Pompieri hanno saputo tradurre in fatti concreti portando soccorso immediato alla stazione centrale, sul rapido 904, sul treno Italicus. Con questa storia e con un gruppo cosĂŹ affiatato altri importanti risultati non mancheranno. Bologna ed i suoi Vigili anche in futuro saranno punto di riferimento per chi soffre e per chi fa dell’impegno quotidiano a favore del prossimo una delle principali ragioni di vita.

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