ALBERTO MAZZUCA
Spreca
male
pagati
sindacati
promette pensioni
medicine
regala
mucchio
è un Paese falso
affaristi e di maneggioni
Cover by Alessandro Battara (www.morskipas.it)
In quella cena Mattei fa notare come dei tre partiti di massa la DC sia quella che ha fatto eleggere «il maggior numero di mezze figure; è veramente una “palude” afflitta da uno spirito gregario sconsolante. Tutti mediocrissimi: Gronchi come Tupini». Commenta Ansaldo: «Andiamo bene…».
PENNE AL VETRIOLO
Alberto Mazzuca, romagnolo, giornalista e scrittore, vive a Milano. I suoi libri: I potenti del denaro; Confindustria, una poltrona che scotta; La erre verde: ascesa e caduta dell’impero Rizzoli; La Fiat da Giovanni a Luca, un secolo di storia sotto la dinastia Agnelli; Il mito Alfa; I numeri uno del made in Italy; Torino oltre: venti storie di innovazione della nuova Torino e del nuovo Piemonte; Angeli tra noi, alla ricerca di chi si dona a Dio e agli altri; Guazzaloca, una vita in salita; Recordati, trent’anni di Borsa. Per Minerva sono usciti nel 2013 Gardini il Corsaro, storia della Dynasty Ferruzzi (prefazione di Marco Vitale) e nel 2015 Mussolini e Nenni. Amici nemici (scritto con Luciano Foglietta).
La macchina dei partiti costa. E anche parecchio, già nel 1963 un’inchiesta de Il Mondo aveva calcolato una cifra attorno ai cento miliardi di lire. Il grosso dovuto alla DC e al PCI. Il settimanale aveva anche elencato le fonti di finanziamento: gestione fuori bilancio dei ministeri; enti economici statali e parastatali; governi stranieri; Confindustria; i grandi del capitalismo industriale e della finanza; società di import-export gestite direttamente dai partiti; attività discrezionali della pubblica amministrazione. Un mare di soldi che alimenta la corruzione, gli scandali, il mismanagement, la mala economia in cui si tuffano e prosperano anche i criminali e le mafie di vario tipo e nome. Il mondo degli affari, in particolare quello che ruota attorno alle grandi industrie, si L’Italia lega sempre al sistema democristiano. E il capitalismo di;casa nostra non è più un Paese povero; è male amministrata. mostra così diverse sfaccettature: decine di migliaia di aziende piccole e medie si investe male; spende educare uomini che manda adi servire fanno concorrenza e restano sul per mercato grazie all’abbondanza mano d’opera a basso costo,per a un’alta produttività, a un lavoro non delimpiegati tutto sindacalizzato, a una l’arricchimento di altri Paesi; mantiene conflittualità bassa, a una maggiore evasione fiscale; in Italia sotto l’inchiesta, una o troppo pagati per quello che fanno male e quello grande iniziativa del Corriere della Sera che per due anni ha impegnato in giro per il si lascia imporre salariparla che delle tante cheper non fanno;un daiteam di cinque giornalisti, paese, regione regione, Montanelli piccole imprese che a Milano vivono all’ombra dei giganti «ma gelosamente che difendendo non è economico dare; la propria autonomia e indipendenza». Invece i grandi industriali privati, da Agnelli a saranno pagatedacon monetaMoratti svalutata; ha ferrovie chehanno servono Pirelli, da Pesenti a Falck, Massimo ad Attilio Monti, bisogno anche di appalti, credito agevolato, sovvenzioni nanziamenti a fondo perduto e bene soltanto quelli che nonpubbliche, pagano il fibiglietto; quindi si allineano sulle posizioni governative. Giorgio Galli parla dell’instaurarsi di a malati immaginari; ai chirurghi «un rapporto privilegiato col potere politico, per cui permette all’imprenditore schumpeteriano, amante del rischio e dell’innovazione, si sostituisce l’imprenditore politico integrato di far pagare somme che nessun ospedale straniero, meglio col potere». fornito dei nostri, metterebbe in conto; ha un Si sviluppa anche il fenomeno dei “treni della speranza” che dal Sud, soprattutto impiegati statali dei quali una(quasi gran parte per aziende dalla Puglia di e dalla Sicilia, portano al Nord 1500lavora chilometri percorsi in venti ore e mezzo)private; gruppi èsempre più numerosi di meridionali aff amati di lavoro, in gran costretta a cedere le sue industrie agli stranieri. parte manodopera disperata e a buon mercato. Torino ha una crescita impressionante , con unapiù ricchezza nonnel ’58 sono Insomma, legata alla Fiat, nel 1956 arrivano 44 mila persone, nel ’57 di 50 mila, 42 mila, nelesistente, ’59 superano i 45 facendo mila, neldebiti ’60 quasi 60 mila.cambiali, Nel 1961 con la città supera che vive e firmando il milione di abitanti, assorbendo in dieci anni un numero di immigrati pari alla reciproci inganni, il tutto a profitto di un piccolo gruppo popolazione di una città di medie dimensioni come Brescia. Il paese comincia a essere e digli distributori di quasi irriconoscibile: i contadini lasciano le campagne per fare operai nelle fabbriche o per aprirepolitici negozietti nelle città, la speculazione edilizia s’impenna e i costruttori di piccoli stipendi. si arricchiscono, la produzione industriale cresce e accanto alla grande industria cominciano a svilupparsi in varie zone piccoli imprenditori che si specializzano in determinati prodotti, la Borsa è ancora quasi sconosciuta e poche mani controllano Giuseppe Prezzolini il mercato finanziario favorendo avventure folli, i bilanci delle società quotate sono quasi tutti falsi, in pochi pagano le tasse, compaiono nelle case frigoriferi e televisori, s’immatricolano sempre più auto: 196 mila nel 1957, 209 mila nel ’58, 253 mila nel ’59, 381 mila nel ’60, quasi 500 mila nel ’61. «Neppure il colera è uguale per tutti. (…) Ma i Lauro, i Gava, i costruttori napoletani, i principi partenopei, coloro che figurano in testa nell’elenco dei redditieri, lor signori insomma, com’è che non hanno dovuto mettersi in fila per farsi vaccinare? Com’è che il vaccino, loro, l’hanno subito trovato, e hanno i limoni in casa, e se, Dio non voglia, si ammalano, non gli viene neppure in mente di farsi trasportare al Cotugno? La legge li protegge, la magistratura li rispetta, lo Stato non gli fa pagare le tasse dovute, i pubblici poteri li riveriscono e ora si vede che perché hanno i soldi, unicamente perché hanno i soldi, possono ridersene anche del colera».
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In Italia esiste comunque l’arte dell’arrangiarsi, «una filosofia di vita», dirà Prezzolini. E arrangiandosi il paese riesce a risollevarsi. Secondo Prezzolini, «il personaggio più significativo del tempo fu “il magliaro” al quale andrebbe dedicato un monumento. Salvò la patria. (…) Il governo quasi non esisteva. Gli stranieri lasciavano fare. I metodi si sa quali furono: il mercato nero, la bustarella, la camorra, il duro lavoro, l’aiuto familiare, le raccomandazioni, i sistemi dubbi o illegali, la prostituzione. Così fu rifatta l’Italia. Non fu certo con metodi “costituzionali”». Si arriva quasi all’assurdità: nonostante tanta povertà, scrive Nenni in uno dei suoi diari, Tempo di guerra fredda, «il paese offre, a chi l’osservi superficialmente, una impressione di cuccagna e di spreco. E in verità la classe benestante e ricca è di un cinismo senza uguali». Aumentano infatti i nuovi ricchi, coloro che, racconterà Elena Giacomini in L’Italia allo specchio, «pur appartenendo alla piccola e media borghesia, con astuzia e disinvoltura avevano saputo approfittare delle circostanze e, con mezzi più o meno leciti, si erano ricavati un ruolo insostituibile e redditizio». Gianni Agnelli ha un sogno: arrivare all’alleanza tra produttori e operai su obiettivi comuni. Una «nuova frontiera» nel mondo delle relazioni industriali, decisamente controcorrente rispetto al muro contro muro adottato da Valletta. I suoi primi sforzi sono proprio quelli di svecchiare l’azienda che con Valletta è stata guidata come una caserma piemontese, non ha nemmeno qualcosa che assomigli a un organigramma, nessuno sa (l’unico a saperlo era Valletta) se guadagna, dove guadagna, quanto guadagna. E per modernizzare l’azienda con gradualità (significa sfoltire da un lato la Dalasciando GianNaaPreda FortebracC struttura dei dirigenti casa pera primi quelli cheio. hanno più di settant’anni e ridisegnarla dall’altro con manager si attornia di uomini di fiducia. Meglio, Insieme a GiovanN ino nuovi) Guareschi, Leo Longanesi, dal momento che non ha grande capacità nel valutare gli uomini, si attornia di quelli Indro MontanelLi, GiovanNi Ansaldo, EnNio Flaiano, che lo fanno divertire secondo un metodo, dirà Marco Vitale, «da reggia più che da Mario PanNunzio, ArRigo BenedetTi, Ernesto RosSi, impresa». Ma sa anche utilizzarli con quel cinismo che in fondo, affermerà Montanelli, GiusepP e PrezZolini, CamilLa Cederna, «è l’arte di servirsi degli uomini». È il 12 dicembre 1969, un venerdì.FalL Alle aci, 16.37 Eugenio esplode a Milano una bomba nella Enzo Biagi, Oriana Scalfari, sede della Banca Giorgio nazionale dell’agricoltura di piazza Fontana: diciassette i morti, BocCa, Giampaolo Pansa... una novantina i feriti. Montanelli annota: «Il Vietnam a Milano». Nell’arco di un’ora scoppiano tre bombe a Roma (una vicino alla Banca nazionale del lavoro di via Veneto, due all’Altare della Patria) ma senza vittime. Un’altra bomba è trovata inesplosa a Milano nella sede della Banca commerciale in piazza della Scala. Un piano studiato, complesso. I sindacati parlano subito la stessa sera di «vile attentato fascista perpetrato con l’evidente scopo di atterrire la popolazione e predisporla a un colpo di mano di destra». Nella sede milanese della DC, in via Nirone, il senatore Giovanni Marcora dice in una tempestosa riunione che le bombe fanno parte di un piano voluto dalle destre estreme. Indro Montanelli commenta nel suo diario, I conti con me stesso: «La caccia alle false streghe, per consentire a quelle vere di compiere i loro misfatti, entra nella sua fase critica». La Cederna invece scrive sull’Espresso un articolo sulla MINERVA strage intitolato “Una bomba contro il popolo”. Inizia quella che molti anni dopo, nel 2015, Giampaolo Pansa definirà in La Destra siamo noi «una tragica parodia della guerra civile, recitata soprattutto nelle strade da tanti ragazzi che si pestavano, si sparavano, si accoppavano».
PENNE AL VETRIOLO I GRANDI GIORNALISTI RACCONTANO LA PRIMA REPUBBLICA
Da Gianna Preda a Fortebraccio. I due estremi, dalla destra alla sinistra politica. Ovvero dalla giornalista de “Il Borghese” definita «la tigre» da Prezzolini, la «Maxwell della politica» da Giorgio Torelli e «l’Oriana Fallaci della destra» da Marcello Veneziani, al corsivista de “l’Unità” che nasce borghese, ha un passato da democristiano prima di diventare comunista e trasformarsi in quello che Michele Serra descrive come «un gentiluomo che lavora per la classe operaia», Oreste Del Buono chiama «unico» ed Enrico Berlinguer «un capolavoro». E insieme a loro le migliori firme del giornalismo italiano: Giovannino Guareschi, Leo Longanesi, Indro Montanelli, Giovanni Ansaldo, Mario Pannunzio, Arrigo Benedetti, Ennio Flaiano, Ernesto Rossi, Oriana Fallaci, Camilla Cederna, Enzo Biagi, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa e altri ancora. Questa è la storia della Prima Repubblica italiana, quella che va dalla Liberazione nel 1945, si butta alle spalle la monarchia, arriva inizialmente alla caduta del comunismo nel 1989 e, in seguito, a Tangentopoli nel 1992. Per dare poi vita alla cosiddetta Seconda Repubblica che si rivelerà solo la brutta copia della Prima. Poco meno di cinquant’anni visti attraverso le loro penne corrosive, aggressive, taglienti, spesso satiriche. Cinquant’anni in cui si agitano e sgomitano per il potere affaristi, speculatori, boiardi di Stato, malfattori, rivoluzionari, golpisti, terroristi. E in cui nasce la partitocrazia, dilaga la corruzione, si espande la criminalità organizzata fino ad arrivare a trattare con lo Stato, si formano le caste, si favorisce il compromesso. Ma ci sono anche gli uomini che tentano di opporsi alla malapolitica, alla malaeconomia e alla malafinanza. A cominciare da un prete non amato dal Vaticano, don Sturzo.